Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
All’ospite non lo dice per cortesia, ma lui deve portare a termine la sua tavola nei tempi e nei modi che ha stabilito.
L’intervistatore gli impedisce di lavorare e lui, immerso nel fumo del suo sigaro e dietro gli occhiali neri, cerca, con
gentilezza e allegria, di liquidarlo in men che non si dica. E allora per tornare a lavorare si sottopone alla perfida
tortura e racconta la sua vita.
«Il primo disegno l’ho fatto a sei anni. A Termoli nel molisano, dove sono nato il 9 marzo del ’23 sotto il segno dei
pesci, le strade erano sterrate. Per far passare i carretti venivano ricoperte in parte da grandi lastroni, uno in fila
all’altro. I miei primi disegni li facevo col carboncino su queste lastre. Erano in qualche modo le mie prime strisce».
Un inizio non facile. Ma come nasce Jacovitti? E poi questo nome... Ma è vero?
«Certo che è vero è di origine slava - albanese! Come mia madre Elvira. Fino a sei/sette anni parlavo albanese.
Mio padre Michele faceva il ferroviere. Ho poi un fratello e una sorella. Ricordo un episodio per far capire come si
viveva. Ero caduto in un braciere e mi ero bruciato le braccia. Ebbene fui curato da alcune donne, delle specie di
fattucchiere, con la piscia mista a terra messa sulle scottature. E... guarii! A Termoli c’era poi il problema
dell’acqua. Arrivava col treno. Un barilotto per lavarsi costava 20 centesimi. Molti bambini morivano perché si
utilizzava quest’acqua che doveva servire per lavarsi e costava di meno. Morì anche un mio fratellino appena
nato. Proprio per questi problemi ci trasferimmo, avevo otto anni, a Ortona a mare. A undici anni ci trasferimmo a
Firenze dove ho frequentato il liceo artistico. E’ li che mi hanno affibbiato il nomignoli “lisca di pesce” per la mia
altezza e per la magrezza»
E poi?
«Nel ’46 ho lasciato Firenze e andai a Roma. Nel ’55 ho iniziato una collaborare con il Giorno. Lì è nato Cocco Bill.
Facevo un supplemento che usciva il giovedì: Il Giorno dei ragazzi. Il giovedì il Giorno vendeva dalle 40 alle 50
mila copie in più. L’inserto è uscito fino al ’67. Dal ’67 al ’72 sono stato alla Rizzoli. Lavoravo per Linus, Oggi,
L’Europeo, La Domenica del Corriere. Lavoravo, come mia abitudine, otto/nove ore al giorno. Da solo, senza
aiutanti. Mi davano uno stipendio fisso da pubblicista e le tavole erano pagate a parte. Le tavole alle fine
ritornavano a me. Ne ho un archivio di circa duemila. Molte di quelle del Vittorioso però sono andate perse durante
la guerra. Una parte sono state andate alla Mondadori».
Jacovitti si ferma un attimo a pensare. Poi se ne esce con una riflessione sui suoi amici di sempre:
inchiostro e carta.
«E’ un vero peccato i pennini e l’inchiostro di china non sono più buoni come quelli di una volta. L’inchiostro è più
chiaro - dice rammaricato, indicando le boccette che ha sul tavolo - . Anche la carta non è quella di una volta. Fa
schizzare l’inchiostro. Per questo i disegni mi tocca ripassarli più volte. Vede, è tutto lavoro in più».
Lei è stato indicato come un disegnatore di destra, un fascista. Che rapporto ha con il fascismo? Suo
padre era fascista.
«Mio padre era fascista ma non aderì alla repubblica di Salò. E poi va ricordato un episodio: nel periodo delle
persecuzioni razziali, avvertì alcune famiglie ebree e che scapparono e si salvarono. Per quanto mi riguarda, nel
periodo in cui vissi nascosto a Firenze feci due strisce satiriche proprio sul fascismo. Protagonista era Battista
l’ingenuo fascista. Divenne famosa la battuta: “Eja, Eja, baccala!”. E poi creai una storia: Ahi Flitt . I personaggi si
salutavano non con il saluto romano ma con le corna. Era una satira sul nazismo. Erano una trentina di tavole
pubblicate nel ’44 in una rivista di studenti cattolici. Questo prima che arrivasse il famoso film di Charlot. Io l’ho
detto più di una volta: sono un liberale, un estremista di centro, un anarcoide».
Andreotti?
«Andreotti è senza dubbio un grande furbacchione, ma mafioso proprio no. Tra i democristiani il più onesto mi è
sembrato sempre Fanfani».
Ma insomma lei è un disegnatore di destra?
«Mi piacciono Fini e Berlusconi. Ma va ricordato che ho lavorato, sempre gratuitamente, per giornali come il Male,
Cuore e Tango».
Come è morto il Diario Vitt, che ha rappresentato per intere generazione un appuntamento agognato?
«Il Diario Vitt non è affatto morto. Il problema è diverso. Fino al ’60 eravamo gli unici a fare un diario per le scuole
con la Ave, una casa editrice cattolica. E quindi eravamo visibili. Si tiravano qualcosa come tre milioni di copie. Poi
arrivarono gli altri diari. In ogni caso il diario ha continuato ad essere pubblicato. Per dieci anni s’è chiamato Diario
Jacovitti, ma dal ’92 la Pigna ha comprato i diritti di testata dalla Ave ed è tornato il Diario Vitt».
Di recente?
«Ho votato per Berlusconi, mi dispiace che sia andato a finire male. Bossi non lo posso vedere. D’Alema invece
mi va bene perché non è più comunista».
Ha dei “discepoli”?
«Sì un ragazzo di venti anni che mi sembra sia proprio bravo. E’ figlio di un immigrato dalla Russia e vive in
Puglia. Si chiama: Nedeljko Balaica»
E Mussolini...
«L’ho conosciuto. E’ venuto a battere il grano nel mio paese. A sei anni gli scrissi una lettera. “Caro duce io mi
chiamo come te. Quando tu morirai - gli dissi - io prenderò il tuo posto”. Mi rispose: “Stai tranquillo, io vivrò a
lungo” . Poveretto ha fatto una brutta fine».
Chi è Jacovitti?
«Io sono un clown, un pagliaccio. Sono orgoglioso di essere un pagliaccio. Sono un matto».