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Dopo la fine della dittatura di Primo de Rivera e la caduta della monarchia la Spagna

aveva attraversato un periodo di grave instabilità economica e sociale, che aveva visto
succedersi un fallito colpo di Stato militare e una violenta insurrezione anarchica nella
regione delle Asturie. La Spagna era l’unico paese al mondo in cui il maggiore
sindacato fosse controllato dagli anarchici. Ma era anche uno degli Stati in cui più si
faceva sentire il peso dell’aristocrazia terriera, che possedeva oltre il 40% delle terre
coltivate ed era strettamente legata a una Chiesa schierata su posizioni conservatrici e
tradizionaliste.
Queste tensioni condizionarono la vita politica della Spagna repubblicana, che si era
data nel 1932 una Costituzione democratica molto avanzata. Il quadro delle forze in
campo non era in apparenza molto diverso da quello di altri paesi europei: a sinistra
c’era un forte partito socialista ma si faceva sentire anche la presenza degli anarchici; a
destra i gruppi cattolici conservatori apertamente ostili alla Repubblica; al centro, come
in Francia, i partiti di ispirazione radicale e democratico-repubblicana. Ma queste forze
politiche, divise su tutto, erano accomunate da una concezione strumentale della
democrazia, che le portava a rispettare i verdetti elettorali solo quando erano favorevoli
alla propria parte. Da un lato i socialisti facevano ampie concessioni alla retorica
rivoluzionaria e appoggiavano ogni movimento di contestazione politica e sociale.
Dall'altro i cattolici conservatori non si riconoscevano nella Costituzione repubblicana,
guardavano con favore a un possibile intervento dei militari e non facevano mistero
della loro simpatia per i regimi autoritari e fascisti.
La vittoria del Fronte popolare
Quando, nel febbraio 1936, le sinistre unite in una coalizione di Fronte popolare si
affermarono nelle elezioni politiche, le tensioni accumulate esplosero in tutto il paese.
Le masse proletarie vissero la vittoria come l’inizio di una rivoluzione sociale. I gruppi di
destra risposero con la violenza squadristica, in cui si distinsero le formazioni della
Falange, che si ispiravano al modello fascista.
Una guerra civile di fatto era dunque già in corso, quando un gruppo di militari,
seguendo una consolidata tradizione nazionale, decise di ribellarsi al governo
repubblicano. L’evento scatenante fu l’uccisione, il 13 luglio 1936, da parte di poliziotti
repubblicani, dell’esponente monarchicoconservatore José Calvo Sotelo. A guidare la
ribellione fu una giunta di cinque generali, in cui il ruolo predominante fu assunto da
Francisco Franco, a capo delle truppe coloniali di stanza in Marocco. I ribelli, detti
nazionalisti, assunsero inizialmente il controllo della Spagna occidentale; le prime fasi
dello scontro parvero però favorevoli al governo repubblicano appoggiato da una parte
delle stesse forze armate e sostenuto da un’intensa mobilitazione popolare, mantenne
il controllo della capitale e delle regioni del Nord-Est, le più ricche e industrializzate.
Ciò che fece pendere la bilancia a favore dei nazionalisti di Franco fu il comportamento
delle potenze europee. Italia e Germania aiutarono massicciamente gli insorti
franchisti. Mussolini inviò in Spagna un contingente di 50 mila “volontari” oltre a
notevoli quantità di materiale bellico, mentre Hitler fornì soprattutto aerei e piloti e si
servì della guerra per sperimentare l’efficienza della sua aviazione. Nessun aiuto venne
invece alla Repubblica da parte delle potenze democratiche. Frenato dagli alleati
inglesi e preoccupato dal rischio di uno scontro aperto con gli Stati fascisti, il governo
francese di Fronte popolare si astenne da ogni aiuto palese ai repubblicani e si illuse di
bloccare gli aiuti al campo opposto promuovendo un accordo generale fra le grandi
potenze per il non intervento nella crisi spagnola. Sottoscritto, nell’agosto del ’36, anche
da Italia e Germania, l’accordo fu però rispettato solo da Francia e Gran Bretagna.
L ’unico Stato a portare aiuto alla Repubblica fu l'Urss, che non solo rifornì il governo
spagnolo di materiale bellico ma favorì, attraverso il Comintern, la formazione di
Brigate internazionali: reparti volontari composti in buona parte da comunisti ma
aperti ad antifascisti di tutte le tendenze e di tutti i paesi, fra cui non pochi intellettuali
di prestigio, come l’americano Ernest Hemingway, il francese André Malraux, l’inglese
George Orwell. Numerosi furono gli italiani e i tedeschi che trovarono nella guerra
l’occasione per combattere in campo aperto quella battaglia che non potevano
affrontare in patria. L’intervento dei volontari antifascisti ebbe un significato morale e
politico largamente superiore a quello militare. Ma non bastava a controbilanciare gli
appoggi internazionali di cui godevano i franchisti.
Inferiori agli avversari sul piano militare, i repubblicani erano anche indeboliti
politicamente dalle loro divisioni interne. Mentre Franco, insignito del titolo di caudillo,
si guadagnava l’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche, dell’aristocrazia terriera e di
buona parte della borghesia moderata e realizzava l’unità di tutte le destre in un partito
unico chiamato Falange nazionalista, il Fronte popolare vedeva allontanarsi quei settori
della borghesia progressista che, favorevoli in un primo tempo alla Repubblica, erano
ora spaventati dagli eccessi di violenza cui si abbandonavano soprattutto gli anarchici.
Mentre i nazionalisti mettevano in piedi nei loro territori uno Stato dai chiari connotati
autoritari, i repubblicani si scontravano fra loro sull’organizzazione presente e futura
della società e sul modo stesso di combattere la guerra.
Particolarmente grave era il contrasto che divideva gli anarchici dagli altri partiti della
coalizione a cominciare dai comunisti, favorevoli, in omaggio alla strategia dei fronti
popolari, a una linea relativamente moderata, tale da non rompere l’unità con le forze
democratico-borghesi. Il contrasto assunse toni drammatici soprattutto nella
primavera del ’37, quando a Barcellona gli anarchici si scontrarono armi in pugno con i
comunisti e l’esercito regolare repubblicano. I comunisti che, grazie al legame con
l'Urss, godevano di un’influenza sproporzionata alla loro modesta consistenza
numerica, adottarono nei confronti degli anarchici metodi simili a quelli in uso nella
Russia di Stalin: numerosi militanti scomparvero fra il ’37 e il ’38 e un intero partito, il
Poum, nato dalla confluenza fra trotzkisti e anarco-sindacalisti, fu liquidato anche con
l’intervento di agenti sovietici.
Le divisioni nel fronte repubblicano contribuirono a far svanire quel clima di
entusiasmo popolare che aveva caratterizzato le prime fasi della resistenza
antifranchista e facilitarono l’offensiva delle forze nazionaliste. La sorte della guerra fu
segnata nella primavera del ’38, quando i franchisti riuscirono a spezzare in due il
territorio controllato dai repubblicani separando Madrid dalla Catalogna. Abbandonata
da tutti, la Repubblica spagnola resistette ancora per quasi un anno.
All’inizio del ’39, i nazionalisti sferrarono l’offensiva finale che si concluse, in marzo, con
la caduta di Madrid.
Tre anni di guerra civile lasciarono nel paese una pesante eredità di lutti e distruzioni.
Terminata pochi mesi prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, la guerra
civile spagnola ne rappresentò per molti aspetti un sinistro preludio: non solo perché
ne prefigurò, gli schieramenti, il carattere di “guerra ideologica”, ma anche perché in
Spagna furono adottati per la prima volta metodi e tecniche di guerra che l’Europa e il
mondo avrebbero presto sperimentato su ben più ampia scala.

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