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I termini sono di origine anglosassone e stanno per mixed liquor suspended solids o mixed liquor

volatil solids. Indica il contenuto di MLSS o MLVS. Chi ha definito questi termini ha definito ciò
che è la traduzione di miscela aerata. Cioè, quando si parla di campione o di composizione di reflui
tali miscele vengono chiamate con i termini anglosassoni detti. Pertanto, con mixed liquor si vuole
definire ciò che c’è all’interno del reattore biologico e in italiano il termine è miscela aerata. Si ricorda
che i microorganismi sono misurati come solidi sospesi volatili, il termine indica che c’è biomassa,
non è quindi una miscela aerata. La miscela aerata è infatti composta dall’insieme acqua reflua e
ossigeno che noi immettiamo per creare le condizioni aerobiche, ma questo non è quello che c’è
dentro il reattore biologico, dentro questo infatti c’è l’acqua reflua, il substrato, l’aria per creare le
condizioni aerobiche e i microorganismi, VSST perché sappiamo che come parametro per la misura
dei microorganismi utilizziamo i solidi sospesi volatili. In realtà, si sa che il rapporto per le acque
reflue domestiche è costante e pari a 0,7, noto tale rapporto per semplicità misuriamo i SST, da cui
ricavo i SSV. Quindi, il contenuto delle sostanze che si trova dentro il reattore biologico prende il
nome di miscela aerata, intendendo che c’è una reazione con il contenuto di ossigeno messo a
disposizione da un sistema di aerazione e che ci sono dei microorganismi. Ciò si traduce, in termini
di sigle che derivano dai termini di origine anglosassone in MLSS o MLSV. Dall’eguaglianza del
quanto richiedono i microorganismi in prossimità della sostanza organica e della capacità di
ossigenazione derivante dalla legge di Fick ricaviamo quella che è la scelta della macchina. Si ricorda
che questa scelta è fatta entrando nel catalogo con un valore standard, ovvero un valore per il quale
la quantità pari alla massa di ossigeno che il sistema di aerazione è in grado di fornire al nostro sistema
nell’unità di tempo è resa avulsa, cioè indipendente, da una serie di fattori che influenzano il
meccanismo di trasferimento dell’ossigeno. Questi sono 5 e sono:
- Presenza di sale: il contributo salino della miscela, indicato con , si pone pari a 1;
- Eventuale presenza di particelle solide che ostacolano i microrganismi nell’esperimento,  =
1;
- La pressione atmosferica (di 1 atmosfera). La pressione atmosferica, questa se aumenta o
diminuisce, influenza il passaggio di un gas in un liquido (il gas è sempre ossigeno);
- La temperatura, pari a 20 Co, che influenza la solubilità di un gas in un liquido (se la
temperatura diminuisce la solubilità aumenta):
- Il valore di concentrazione che ha già il gas disciolto in un liquido quando si accende la
macchina, cioè il valore di concentrazione iniziale. Per iniziale che significa? Ciò vuol dire
che può anche essere a regime, a regime significa che quando il sistema sta funzionando ho
un valore di concentrazione di ossigeno all’interno della vasca che ho chiamato con c
all’incirca costante.
Determinate queste 5 posizioni definisco quella che è la massa di ossigeno che il sistema di aerazione
è in grado di trasferire nell’unità di tempo al sistema reattore biologico che fornisce il costruttore e
da questa uguaglianza scelgo la macchina. È stato visto che le macchine sono di due tipologie, sistema
di aerazione superficiale e sistema per insufflazione di aria. Un aspetto importante è la seconda
funzione a cui deve assolvere un sistema di aerazione. Ricordando quanto visto prima in termini di
parametri che influenzano il meccanismo biologico di ossidazione della sostanza organica, la forma
del contenitore all’interno del quale avviene il processo di ossidazione ha una sua influenza
sull’idrodinamismo. Cioè, una forma opportuna può aiutare a ridurre la concentrazione di sostanza
organica. Abbiamo visto due contenitori: il plug-flow e il mixed-flow. Questi due contenitori, in
funzione della modalità in cui sono alimentati, aiutano l’impianto a rispettare il valore soglia di 25
mg/l di BOD riducendo la concentrazione di sostanza organica (disciolta e non sedimentabile in
termini di substrato, facendola diventare nuova materia cellulare sedimentabile in un’unità
successiva). Questa condizione che pone a confronto plug- flow e mixed- flow analizzando
inizialmente il tracciante conservativo nelle due modalità di immissione ha portato a scegliere quello
che è il reattore biologico a completa miscelazione che per definizione prevede che le concentrazioni
siano uguali per ogni punto della vasca. Questa condizione deve essere soddisfatta da una tecnologia
apposita. Tale tecnologia, a parte la forma della vasca per la quale non vi è una prevalenza di una
direzione rispetto ad un’altra (si può dire cubica) bisogna inoltre effettuare una miscelazione e questa
la realizza il sistema di aerazione scelto. Scelto tale sistema, deve essere verificato cioè dobbiamo
vedere se la richiesta di ossigeno di 2 mg/l che portano alla scelta della macchina è sufficiente anche
a garantire la completa miscelazione, quindi, dobbiamo anche fare una verifica che è quasi sempre
soddisfatta in quanto la richiesta di ossigeno di 2 mg/l che portano alla scelta della macchina sia anche
sufficiente a garantire la completa miscelazione, quindi, dobbiamo anche fare una verifica che è quasi
sempre soddisfatta in quanto la richiesta di ossigeno per ossidare la sostanza organica è maggiore
rispetto a quella che è la necessità per effettuare la completa miscelazione. La verifica che è quasi
sempre soddisfatta ma che va comunque condotta è la verifica della potenza specifica ovvero della
potenza in rapporto al volume. Sono state fatte delle prove di laboratorio ed è stato visto il valore di
potenza minima per il quale già si ha che la distribuzione delle particelle nella vasca è omogenea. Nel
caso di reattore anossico e di reattore anaerobico cos’è che garantisce questo minimo valore di
potenza specifica se non c’è il sistema di aerazione. Anche in questi due casi di reattore, infatti, si ha
la necessità di una completa miscelazione, ma non c’è il sistema di aerazione. In questo caso ci sono
dei sistemi di miscelazione che non è una tecnologia che deve fornire aria ma un semplice miscelatore,
ovvero un sistema asse-motore-elica che si deve dimensionare. L’elica si dimensiona sulla base della
potenza specifica del motore. Si dimensiona la tecnologia non per la funzione di aerazione ma per la
funzione di miscelazione. Stiamo effettuando in tal modo una sorta di doppio dimensionamento:
- Dimensionamento per garantire le condizioni aerobiche;
- Dimensionamento per garantire la completa miscelazione, solo che il dimensionamento che
prevale è di solito quello sulle condizioni aerobiche, e questo risulta quindi soddisfatto ma va
sempre verificato.
Nel capitolo del trattamento dei fanghi, si ricorda che il fine di questa linea è la stabilizzazione dei
fanghi attivi, cioè dobbiamo neutralizzare i microorganismi presenti nei fanghi attivi perché sono
sostanza vivente, effettuando una digestione, questa digestione è effettuata in due condizioni:
- Nello schema semplificato con digestione aerobica;
- Nello schema completo con digestione anaerobica.
Nel primo caso abbiamo una vasca molto simile al reattore biologico, dove c’è qualche differenza
legata alla presenza di substrato. Anche lì dovrà essere dimensionato il sistema di aerazione e vedremo
che in quel caso il quantitativo di aria è un ordine di grandezza più basso rispetto a quello nel reattore
biologico, ciò è ovvio poiché tutto il substrato che abbiamo lo abbiamo ossidato nel reattore biologico
facente parte della linea acque. Nella linea fanghi il substrato che occorre ossidare nel digestore è:
- Il carbonio residuo rimasto, dell’ordine dei 25 mg/l, inferiore ai 250/300 mg/l presenti
all’ingresso dell’impianto. Si ricorda infatti che nel reattore biologico abbiamo una
concentrazione omogenea in tutto il reattore e tenuto conto che nel sedimentatore il substrato
è solubile e non si hanno processi biologici di fatto la concentrazione deve essere uguale a
quella dell’effluente, cioè di 25 mg/l. Questa concentrazione di substrato è presente nel
sedimentatore in tutte le sue parti (entrano 25, dalla canaletta di sfioro esce 25, dal fondo del
sedimentatore esce 25. I 25 mg/l li troviamo sul fondo del sedimentatore dove dipartono due
linee, una va nel ricircolo e una nella linea fanghi;
- L’altro carbonio che dobbiamo ossidare è quello interno o endogeno, questo carbonio richiede
ossigeno e quindi si deve considerare tale quantitativo di carbonio per calcolare l’equivalente
del sistema di aerazione, cioè la capacità di ossigenazione. Questo carbonio interno rispetto
al carbonio presente nella linea acque è molto più basso. Si avrà una situazione in cui
dimensioniamo il sistema di aerazione con la funzione di garantire le condizioni aerobiche ma
poiché la massa di ossigeno è bassa potremmo rischiare che non sia sufficiente per garantire
la completa miscelazione.
Nel caso del digestore quindi prevarrà la funzione di miscelazione rispetto a quella delle condizioni
aerobiche. Questa condizione della potenza specifica minima da garantire per la completa
miscelazione deve essere di 20 W/m3 nel caso di sistema ad aerazione superficiale e 1,2-1,4
m3aria/m3vasca.
Tipi di processi a fanghi attivi
Per carico si intende il carico organico, cioè q*S0. Il carico del fango C.F, è:
𝑞 ∗ 𝑆0
𝐶. 𝐹 =
𝑉∗𝑥

Per medio carico si intende C.F = 0,2 0,3 kgBOD/ (kgSST*gg). Il termine x è la concentrazione di
biomassa. Il tempo di detenzione in dispensa indica che l’acqua reflua che entra in vasca sta
mediamente 1,2-2 ore prima di uscire, di conseguenza, il processo di ossidazione ha una durata di
questo tipo. La sedimentazione primaria he un effetto sulla dimensione del rettore biologico, perché
se c’è la sedimentazione primaria questa prevede la rimozione della parte sedimentabile della sostanza
organica, ovvero il carico organico che, facendo delle considerazioni, ammonta circa al 30%, si ha
un 30% in meno del carico organico, se effettuo il dimensionamento di un reattore biologico a servizio
di uno schema completo dall’espressione di C.F si ricava quella per il volume
𝑞 ∗ 𝑆0
𝑉=
𝐶. 𝐹 ∗ 𝑥

Dove q*S0 si riduce del 30%, cioè uso 0,7 q*S0.


Processi a basso carico o ad aerazione prolungata e ossidazione totale. Per ossidazione totale si
intende che, in pratica, ossidiamo tutto il carbonio. Per aerazione prolungata abbiamo valori di carichi
del fango molto bassi, 0,01< C.F. < 0,08. Ridurre C.F. ha un peso nella dimensione del reattore
biologico, in particolare sono inversamente proporzionali. Quindi, se porto C.F. a valori di 0,3 il
volume calcolato aumenta, e ancor di più se C.F scende a 0,08-0,01. Si deve effettuare uno studio di
fattibilità in funzione delle dimensioni dell’impianto. Se ho un impianto medio-piccolo è lecito usare
C.F. 0,01 altrimenti per impianti medio-grandi è praticamente impossibile. Per un impianto a servizio
di un centro abitato di tipo turistico, anche se si è dimensionato V per valori del carico del fango di
0,2-0,3, nelle condizioni di esercizio dell’impianto possono verificarsi condizioni che comportano
una riduzione del carico del fango ai valori più bassi. In caso di esercizio per centro turistico C.F non
resta bloccato a 0,3 ma cambia perché cambia tutto il carico organico, ovvero il prodotto q*S 0 (la
biomassa cambia ma di poco, pertanto si può assumere che il valore resta costante). Quindi, C.F
cambia nelle 24 ore e può cambiare in base alla fluttuazione degli abitanti nelle stagioni, nei centri
turistici, passando da 0,3 a 0,01 il che significa che il reattore biologico può funzionare con sistemi
ad aerazione prolungata e ossidazione totale. In questo caso si ha che il processo che si sviluppa
generalmente nella linea fanghi di ossidazione della sostanza organica, cioè l’ossidazione del
carbonio interno cioè la stabilizzazione della biomassa, avviene nella linea acque, in quanto finisce il
carbonio che si deve ossidare e, poiché la biomassa continua a stare in condizioni aerobiche, prende
il carbonio interno. C’è infatti scritto basse produzioni di fango di supero in quanto la biomassa si
nutre del carbonio interno. I sistemi ad aerazione prolungata hanno il grosso svantaggio di richiedere
volumi molto più grandi ma ove questi possono essere realizzati in condizioni di passaggio in periodi
diversi dell’anno, hanno l’enorme vantaggio di azzerare o almeno alleggerire notevolmente l’unità di
digestione della linea fanghi. D’altro canto, fissare C.F. a 0,08 o 0.01 significa, ad esempio, un
quantitativo di 1kg di biomassa e di 200kg di microorganismi. Se si ricorda la curva con crescita
illimitata, crescita limitata, fase endogena si tende a questa ultima fase in quanto si hanno molti più
microorganismi rispetto alla disponibilità di substrato. Questi sistemi a basso carico e ad aerazione
prolungata sono anche utilizzabili nel caso di piccoli centri urbani, perché, viste le piccole portate i
volumi del reattore sono contenuti e alleggerisco la linea fanghi, nella quale non avrò una digestione
che avverrà direttamente nel reattore biologico.

Sono tutti schemi che si possono realizzare e che, rispetto allo schemino del sedimentatore primario,
reattore, sedimentatore finale, possono avere variazioni. Ci sono sistemi con una seconda immissione,
dove si ha una sedimentazione primaria, si ha un reattore plug-flow, con il passaggio con dei setti da
un canale principale a un altro, e si verifica un processo di tipo plug-flow o altro dispositivo dove si
ha la possibilità di variare l’immissione all’interno della vasca per aumentare o diminuire i tempi di
residenza cellulare. Pertanto, in funzione del carico alimentato all’impianto e di concentrazione
alimentata all’impianto, nel caso di regolazione, si può avere la necessità di variare l’età del fango
non soltanto cambiando quella che è la portata di ricircolo:
𝑉∗𝑥
𝛳=
𝑞𝑠 ∗ 𝑥𝑟

Con:
- V = volume del reattore biologico;
- x = concentrazione nel reattore biologico;
- V*x = massa di biomassa presente nel reattore biologico;
- qs = portata avviata alla linea fanghi;
- xr = concentrazione al fondo del reattore;
- qs*xr = massa allontanata nell’unità di tempo.
Questo parametro, in relazione con la portata di ricircolo qr ha effetti sulla concentrazione di biomassa
nel reattore biologico. Variare l’età del fango  e la portata di ricircolo che vi è collegata significa
anche variare la concentrazione nel reattore biologico. A monte di ciò c’è un ragionamento importante
che è il principio su cui si basa il trattamento biologico a fanghi attivi che porta a fare il ricircolo
cellulare, che abbiamo visto consente di svincolare quello che è il tempo di residenza cellulare con il
tempo di ritenzione idraulica. Fenomeni idraulici li separiamo dai fenomeni biologici, cioè, quanto
tempo sta l’acqua è diverso da quanto tempo stanno le particelle all’interno del reattore. Questa
situazione di alimentazione differenziata ha degli effetti sull’età del fango.

Quest’altra vasca di ricircolo del fango, questo nel caso di eventi meteorici. In caso di tali eventi dove
aumenta la portata, per preservare la massa di biomassa nel reattore biologico effettuo l’alimentazione
in prossimità dello scarico, per preservare i microorganismi che finirebbero nel reattore biologico e
poi si innescherebbe il fenomeno di risalita del fango ovvero perdita di biomassa nel reattore
biologico. Sono degli schemi che di fatto differenti modalità di scarico e alimentazione della vasca.
Riguardo le fasi di funzionamento, abbiamo un livello minimo segnato in rosso, in questa fase la
portata entrante è diversa da 0, la portata uscente è uguale a 0. Si ha un riempimento della vasca e
l’aerazione è in funzione. La seconda fase la portata entrante è diversa da 0, quella uscente è pari a 0
e l’aerazione non è in funzione. Avviene la sedimentazione dentro questo bacino unico e si raggiunge
il livello 3, massimo, dove Qe è diversa da 0, Qu è diversa da 0, e si ha lo scarico del chiarificato con
l’aerazione non in funzione. Quando si spegne l’aerazione il processo biologico avviene con delle
cinetiche più basse.
Sono delle vasche viste nei sistemi di aerazione superficiale ad asse orizzontale. Queste vasche hanno,
oltre alla peculiarità che già abbiamo incontrato, delle spazzole, in particolare ve ne sono 2 per evitare
che si abbia fuoriuscita di acqua generando onde, queste vasche hanno funzionamento a basso carico
e si verificano dei meccanismi di nitrificazione. In queste vasche, infatti, essendo i tempi di
permanenza dei microorganismi più lunghi delle vasche usuali, si ha il tempo di far sviluppare i batteri
autotrofi, che hanno delle cinetiche più basse rispetto a quelli eterotrofi. I batteri autotrofi sono quelli
nitrificanti cioè quelli che ossidano la sostanza azotata, in particolare ossidano l’ammoniaca per
trasformarla, in presenza di ossigeno disponibile, in nitriti e nitrati. I batteri nitrificanti sono autotrofi
ma hanno dei tempi più lunghi degli eterotrofi. Quindi in queste vasche, essendo i tempi lunghi si
verifica una crescita di condizioni aerobiche e anossiche alternate, pertanto questi sistemi hanno un
buon rendimento per la rimozione dell’azoto.

AMMONIACA = AZOTO AMMONIACALE➔ Nitriti (NO2)


➔ Nitrati (NO3)
Ma così non è stato ancora rimosso l’azoto, occorre denitrificare nitriti e nitrati in azoto gas e tale
processo avviene a mezzo di batteri eterotrofi in condizioni anossiche. La materia da ossidare è la
sostanza organica mentre l’accettore di elettroni non è l’ossigeno ma il composto azotato. I batteri
prendono 02 dal composto azotato, la molecola si scinde e avviene l’eliminazione dell’azoto. La
denitrificazione avviene perché, se tracciassimo un profilo dell’ossigeno a partire dalla prima
spazzola andando verso la seconda e inserendo delle sonde, si osserva come l’ossigeno non è costante,
in particolare l’ossigeno è massimo in prossimità della spazzola dove avviene la ri-aerazione per il
meccanismo per il quale i volumetti di acqua vengono messi a contatto con l’atmosfera, ma, via via
che l’acqua prosegue dalla prima spazzola verso la seconda, questo quantitativo di ossigeno
diminuisce fino a scendere al di sotto dei 0,5 mg/l, cioè, in prossimità della seconda spazzola si sono
sviluppate delle condizioni che sono anossiche, cioè assenza di ossigeno libero ma disponibilità
dell’ossigeno legato ai composti dell’azoto. Sempre in prossimità della seconda spazzola ma avanti
si sono sviluppati i batteri autotrofi e quindi questi hanno provveduto, in presenza di ossigeno, a
nitrificare. In prossimità della seconda spazzola, gli eterotrofi denitrificano e trasformano i composti
dell’azoto in azoto gas.

Altra tipologia sono i processi ad ossigeno puro. Per ossigeno puro si intende che nel reattore
biologico non si immette più aria ma ossigeno puro. Noi immettiamo aria perché questa è fatta per il
20% circa di ossigeno, non interessano gli altri composti di cui è fatta. Se in prossimità dell’impianto
abbiamo disponibilità di ossigeno puro possiamo immettere ossigeno puro con notevoli vantaggi. La
pressione dell’ossigeno puro rispetto a quella atmosferica è maggiore (credo sia giusto minore), ciò
significa che nella fase liquida riesco a solubilizzare un maggiore quantitativo di ossigeno (legge di
henry), cioè posso ottenere una concentrazione a saturazione maggiore. In particolare, la
concentrazione a saturazione nel caso di ossigeno puro è 44 mg/l contro i 9,3 mg/l con superficie del
liquido a contatto dell’aria. Nell’aria 02 è al 21% e la pressione parziale della molecola è 0,21, qua
abbiamo 9,3/0,21 = 44 mg/l. Ricordando la legge di Fick sappiamo che la massa di ossigeno che
riusciamo a trasferire nel gas è proporzionale a (Cs-C) = gradiente o differenza tra la saturazione e il
valore di concentrazione. Questo valore, molto più alto, permette di garantire delle concentrazioni di
ossigeno molto più grandi e quindi ciò dà benefici poiché le cinetiche si accelerano, i microorganismi
sono più veloci e posso andare oltre il valore di C.F. di 0,3 ➔ carico organico maggiore ➔ volumi
più piccoli del reattore biologico. In figura si vede che è sempre un reattore biologico a sx +
sedimentatore a dx però si immette dell’ossigeno puro. Questo ossigeno puro lo immetto, il fango di
ritorno è reimmesso in basso a sx, ci sono dei comparti, l’alimentazione del sedimentatore, delle
turbine che hanno il solo compito di garantire la miscelazione. Si hanno delle aste, indicate in rosso,
che sono dei miscelatori, non è più la turbina che conosco degli aeratori superficiali. Avviene la
miscelazione dopodiché ho uno sfiato per l’ossigeno con i cataboliti, cioè quello che non viene
utilizzato.

La convenienza di tale tipologia è legata al fatto di essere più o meno vicini alla fonte di ossigeno
puro.
Il CAS, o conventional activated system, è lo schema classico reattore biologico – sedimentazione,
dal CAS si passa a sistemi avanzati. Altri sistemi non convenzionali sono:
l’SBR, che sta per sequencing batch reactor, cioè reattore in batch sequenziale. Il reattore batch ha il
compito che il volume di detenzione è determinato dal tempo che il liquido sta nella vasca, perché la
portata in ingresso è ≥ 0 a seconda del riempimento o del vuotamento. Il sistema funziona come una
prova in batch, ovvero prevede delle fasi:
La prima fase è l’alimentazione, si vede che vi è un certo volume che entra, i puntini indicano i
microorganismi. Abbiamo un volume occupato e un volume disponibile variabili tra il 50 e il 100%,
dopodiché effettuo la reazione e come si vede sale il volume, ho una durata della fase del 35% del
totale, poi avviene la sedimentazione dei microorganismi, dopo ancora lo scarico dell’effluente,
ovviamente dall’alto, successivamente un’attesa e uno scarico fanghi e il ciclo ricomincia da capo.
Non prevede vasche in parallelo, quindi è un reattore che funziona in discontinuo, è una buona
soluzione nel caso di reflui di tipo industriale, può essere utilizzato anche nei reflui industriali perché
hanno dei carichi organici maggiori di quelli convenzionali, ma può essere utilizzato anche
nell’ambito più raro dei reflui di natura domestica, ad ogni modo il problema della discontinuità,
siccome si hanno le fasi di ingresso diverse da 0, poi a un certo punto è = a 0 e quando è nulla siccome
è il solito flusso in ingresso all’impianto o faccio un volano oppure quello che faccio è utilizzare più
reattori in parallelo quindi distribuisco organizzando il sistema in più reattori.
Altra tipologia di sistema è il sistema detto a pozzo profondo. Lo stesso termine indica le
caratteristiche, il reattore biologico è realizzato in un pozzo, quindi in una vasca molto profonda,
questo è il caso accennato quando si è parlato dei sedimentatori degli impianti di depurazione
realizzati in caverna, quindi all’interno di cave ad esempio nel caso di climi rigidi dove le temperature
esterne sono proibitive. Lo spazio disponibile è vincolante e ricavo in profondità il volume che mi
serve. Nel caso in cui realizzo i volumi con estensione in verticale, ci sono delle condizioni che fanno
variare un po’ le condizioni usuali del dimensionamento. Il meccanismo di trasferimento di un gas in
un liquido che dipende, tra le grandezze, dalla pressione. Il fatto di avere una profondità elevata porta
a far variare la pressione e quindi si solubilizza più gas nel liquido ➔ maggiori rendimenti. Come si
può vedere dal disegno è un pozzo, si ha un setto verticale al centro altrimenti l’acqua uscirebbe senza
arrivare al fondo e poi risale, quindi si fa un setto che blocca e l’acqua è forzata a seguire questo
percorso. Quando scende abbiamo un sistema di aerazione, posto circa in mezzeria, che di fatto porta
all’ossigenazione del sistema. I limiti, o gli svantaggi, sono i vincoli geologici o idrogeologici nel
senso che queste tipologie di sistema non è pensabile in termine di sistemi convenzionali.
Disinfezione delle acque reflue
Ci troviamo sempre nella linea acque e ci posizioniamo a valle del sedimentatore, siamo nella sezione
di consegna all’impianto dove abbiamo terminato tutte le operazioni relative al trattamento dell’acqua
e dobbiamo effettuare l’ultimo passaggio che non è nemmeno certo sia necessario fare. La
disinfezione, infatti, non è sempre attiva. Tale unità pertanto è sempre prevista ma può essere o meno
in funzione a seconda delle necessità. Per far funzionare la disinfezione è necessario inserire un
disinfettante. Questo ha dei costi e, inoltre, porta alla formazione di sottoprodotti. Nelle condizioni
ordinarie di funzionamento dove non è previsto il riuso delle acque la disinfezione è quasi sempre
disattivata. È in funzione quando l’ufficiale sanitario dà l’ordine di effettuarla per condizioni
particolari, si attiva il funzionamento e si effettua il dosaggio con il disinfettante, cosa diversa è invece
l’ambito del riuso delle acque (fini irrigui, ecc.) dove si effettua la disinfezione. Un intervento di
disinfezione può essere fatto non solo per le acque reflue ma anche per acque di tipo potabile che, si
vedrà in lezioni successive, vengono identificate nelle classi A1, A2 e A3, in funzione della qualità
dell’acqua della sorgente. Tali classi hanno dei filoni di trattamento quindi delle operazioni diverse,
ma al di là della tipologia di acque alla fonte è sempre prevista la disinfezione. La classe A1 è la
migliore e viene prevista filtrazione e una disinfezione. Nelle classi A2 e A3 si hanno degli ulteriori
passaggi a partire dalla chiariflocculazione al passaggio per i carboni attivi ecc. Anzitutto occorre
vedere i principi alla base della disinfezione, si deve definire un disinfettante “ideale” e vedere quali
sono le sue caratteristiche, così come le leggi che regolano il meccanismo di disinfezione e le tipologie
di disinfettante disponibili in commercio. Infine si descrivono le vasche all’interno delle quali si
verifica questo processo di natura prevalentemente chimica (ma non solo chimicamente, vi sono
anche altri modi). L’obiettivo della disinfezione è l’eliminazione o la riduzione degli agenti patogeni.
L’infettante è la sostanza che causa patogenicità. Nella tabella della slide precedente sono riassunti,
in funzione della tipologia di patogeni, il tempo di sopravvivenza Ts e la dose minima D
dell’infettante Più quest’ultima è bassa e più è sufficiente una bassa quantità di patogeno per causare
la contaminazione del volume di acqua.
Questi sono gli organismi di principale interesse per la salute che possono essere presenti nei liquami,
le malattie che causano e l’ospite. Non abbiamo la possibilità di rilevare tutti i patogeni, quindi si
utilizzano degli indicatori che danno riscontro della loro presenza. Tali indicatori sono di seguito
riportati.
Se il rapporto indicato è compreso fra 1 e 4 l’inquinamento c’è sempre ma è incerto, cioè non si sa a
cosa è dovuto. Ci sono, pertanto, sostanze patogene presenti nel campione di acqua ma non si conosce
la causa, alcuni motivi possono essere uno scarico derivante da allevamento di bestiame e che si è
infiltrato nel terreno, oppure uno scarico di una vasca Imhoff, di un collettore fognario che perde in
prossimità della sorgente da cui si vuole effettuare un approvvigionamento idrico. Gli indicatori,
quindi, sono utilizzati anzitutto per verificare la presenza di patogeni e, dopo, in funzione del rapporto,
l’origine. Esistono, essenzialmente, due modalità di misura dei microorganismi:

Il primo indica il numero più probabile di microorganismi, si fa una conta e in modo statistico si risale
a tale valore.
(Raggi g sono raggi )
I metodi fisici sono meno frequenti ma pur sempre utilizzabili. Gli agenti chimici eliminano i
patogeni, con il cloro ad esempio si distrugge il protoplasma cellulare.

Ci chiediamo che qualità deve avere un disinfettante per soddisfare appieno il nostro obiettivo e
senza avere degli svantaggi:
- Efficacia a basse dosi è utile perché meno è necessario metterne per fare lo steso effetto e
minori sono i costi, per largo spettro di azione si intende che deve agire efficacemente su più
tipologie di patogeni;
- La rapidità d’azione è importante perché tempi di azione maggiori o minori significa mettere
in gioco dei volumi. Se abbiamo un flusso di acqua che entra e che dobbiamo trattare, la
dobbiamo trattenere per un certo tempo e ciò significa dover realizzare dei volumi, maggiore
è il tempo necessario maggiore sarà il volume. La rapidità d’azione consentirebbe di ridurre i
volumi dell’unità;
- Per persistenza dell’azione battericida si intende che il disinfettante deve agire anche durante
il trasporto, cioè il suo effetto deve permanere, garantendo la sicurezza dei volumi di acqua
fino alla consegna con una certa concentrazione di disinfettante residuo. Tale persistenza è
prevista nella 152 del testo unico sulle acque, per acque potabili e anche per le reflue. Per le
acque potabili la garanzia di qualità deve essere, a carico del gestore, al contatore e non al
potabilizzatore. Durante il trasporto dell’acqua potabile potrebbe avvenire contaminazione
con biofilm, con delle infiltrazioni di acqua esterna inquinata, ecc.;
- Facilità e sicurezza per l’operatore. Con opportune procedure per l’impiego questo è facilitato
e, inoltre, più sicuro;
- Il fatto di poter stoccare appositamente il disinfettante senza tenere conto della data di
scadenza è conveniente, un disinfettante che scade subito non è vantaggioso, in questo caso
bisogna comprarne poco per volta e aumentano i costi;
- In realtà, nei disinfettanti in uso, a seguito del dosaggio si costituiscono sempre dei
sottoprodotti che sono i cloro-composti. Tali sottoprodotti da un lato noi li dosiamo per
garantire che l’acqua non ci danneggi, dall’altra porta a un problema che è la presenza di
sostanze che sono nocive. Le sostanze che si formano non sono microorganismi, ma sono
delle combinazioni con i composti del disinfettante. Questi composti, una volta che si
formano, si devono controllare, c’è una procedura che è la curva del breakpoint e, inoltre, altri
accorgimenti da prevedere quali la rimozione della sostanza organica;
- Non devo alterare le caratteristiche organolettiche dell’acqua, se questa in funzione della
composizione ha una certa gradevolezza non deve essere alterata. Se si considera il cloro come
disinfettante, si sa che avviene un’alterazione (durezza dell’acqua) ma in una condizione
ideale tale attitudine deve essere limitata.

Il primo meccanismo è tipico di alcool e acqua ossigenata, il secondo del cloro e dell’ozono.
Tutti i fattori che intervengono nella disinfezione sono sintetizzati nella legge di Allen. Il prodotto
deve risultare costante. La concentrazione efficace non è la concentrazione che effettivamente
dosiamo. Se, ad esempio, doso 10 mg/l quella efficace non sarà 10 ma 8,7 mg/l perché una parte della
dose non è utilizzabile per svolgere l’azione battericida. Se diminuisco Tc e aumento Cen. Tc è in
sostanza la cinetica e significa costo sul volume della vasca. D’altro canto dosare di più significa
aumentare la probabilità che si formino i sottoprodotti. Giocando sui 2 termini Ce e Tc e in funzione
della tipologia di disinfettante (n e cost. sono funzione della tipologia di disinfettante) posso
rimuovere efficacemente i patogeni. I valori di Ce e Tc sono determinati dalla legge di Allen, che è
la legge che sintetizza il fenomeno e che dipende dalla tipologia di disinfettante, e però sono già
disponibili delle tabelle, derivate da tale legge, che suggeriscono questi valori che devo utilizzare per
dimensionare le unità. La vasca di contatto, pertanto, avrà dimensioni che dipendono dalla tipologia
di disinfettante.
È riportato un abaco in cui viene indicato il legame che c’è tra il tempo e la concentrazione per il
cloro. In ascisse vi è il contact time, ovvero il tempo necessario, in minuti, a uccidere il 99% dei
patogeni presenti, in ordinata vi è la concentrazione, in mg/l, di acido ipocloroso necessaria. Ciascuna
delle curve è specifica di un patogeno.
Questa è un’altra tipologia di grafico che mette in relazione il tempo e la concentrazione per quanto
riguarda il cloro che fa vedere la dipendenza del Tc e le concentrazioni di diversi composti del cloro
per rendere inattivo il 99% di dato virus.

Sono riportate le forme utilizzabili disponibili in commercio dei disinfettanti a base di cloro. A noi
interessa Cl, la cui disponibilità è sotto forma di questi composti. Vedremo che se doso clorogas ho
alcune tecnologie, ho delle pompe che prendono questo gas e lo immettono nella vasca di contatto,
se ho ipoclorito di sodio o di calcio per me è lo stesso ed è un’altra tipologia di dosaggio e stessa cosa
per il biossido di cloro. Pertanto, a seconda del composto a base di cloro, ho tecnologie e sistemi di
impianto diversi. Ovviamente se ho ipoclorito, clorogas o biossido di cloro ho delle reazioni chimiche
in acqua (poiché il dosaggio avviene in acqua) che sono diverse.

Per ipocloriti e per il clorogas il comportamento è equivalente e le reazioni sono sopra riportate. Un
aspetto importante è il valore del pH. Se questo è basico, o acido, sposto l’equilibrio delle reazioni in
una direzione o nell’altra.
In particolare si osserva che per pH > 5 sono presenti lo ione ClO- che è un potente antiossidante ma
battericida blando, e HClO che è un potente battericida circa 80 volte più potente di ClO- quindi a noi
interessa massimizzare HClO. Per pH prossimi a 7, che è il pH delle acque reflue, ho dei valori il
70% di HClO il totale dei composti presenti.

La seguente rappresenta la distribuzione delle specie del cloro a 25°. Sono riportati, in funzione del
pH, i rapporti:
𝐶𝑙2 𝐻𝑂𝐶𝑙 𝑂𝐶𝑙 −
𝐶𝑐𝑙,𝑡𝑜𝑡. 𝐶𝑐𝑙,𝑡𝑜𝑡. 𝐶𝑐𝑙,𝑡𝑜𝑡.

Dove si vede che per pH = 7 ho circa il 70-80% del valore di HOCl e 20-30% di ClO-.
In quest’altro grafico sono riportati in funzione del pH paria 7 la stessa informazione del valore del
circa il 70-80% di HOCl e 20-30% di ClO- e per pH pari a 9 ho 5% di HOCl e 95% di ClO-. Devo
mantenere il pH a 7, o poco più, per massimizzare HClO-.
I sottoprodotti, detti clorocomposti, sono sostanze nocive, e sono monoclorammina, diclorammina e
trioclorammina. Questi sottoprodotti si costituiscono per la presenza di numerosi composti ossidabili
sopra riportati. Oltre un certo limite si formano altri composti riportati. L’effetto della clorammina è
controllato determinando quella che è la concentrazione efficace, abbiamo parlato di una
concentrazione di dosaggio e di una concentrazione efficace, come stimiamo il valore di
concentrazione efficace? Se riportiamo in un grafico la clorodose, ho un’acqua e cominciamo a dosare
cloro, a partire da concentrazione 0, e, aumentando il cloro dosato vediamo quant’è la concentrazione
di cloro attivo, che all’inizio è combinato e poi è libero, necessario, cioè effettivamente utilizzato per
effettuare l’azione battericida. Per basse concentrazioni cloro in soluzione non ce n’è, viene
consumato per altro. Cioè, noi dosiamo, ma poi in concentrazione disponibile per l’azione battericida
abbiamo un valore prossimo a 0, ciò perché il cloro si combina con altri composti, ad esempio con
sostanze organiche, ecc. avvengono quindi altri processi, che non danno disponibilità di cloro libero
per il processo di ossidazione, cioè per la formazione delle clorammine. Dopodiché superata questa
soglia io ho che la clorodose è praticamente prossima al cloro attivo libero, cioè quello che io doso è
uguale a quello che mi ritrovo disponibile. Dopodiché da 0,5 in poi io doso e il valore di cloro effettivo
per esercitare l’azione battericida diminuisce, al valore di 0,75 si raggiunge un minimo del cloro
attivo, tale minimo è dovuto sempre alla combinazione della clorodose con altri composti.
Ciò che faccio è dosare un valore superiore a 0,75 mg/l in modo tale da avere che tutta la clorodose
è cloro attivo libero, cioè la curva rossa è parallela all’azzurra, il valore di dosaggio deve essere
superiore al valore di breakpoint. Questo valore di cloro raggiunto corrisponde ad un punto in cui la
formazione di clorammine raggiunge un valore massimo, seguito poi dalla loro totale scomparsa. Il
cloro aggiunto oltre questo valore sarà tutto cloro libero, con buon potere disinfettante. Quindi, il
cloro si inizia a combinare con i composti già presenti nell’acqua generando sottoprodotti, e
conseguentemente a questo comportamento o non dà soprattutto nella fase iniziale cloro disponibile,
oppure dà origine a un quantitativo che è minore di quello dosato, quindi quello effettivo disponibile
non è quello che sto dosando. Ad esempio, in curva si vede che per valore di 0,6 di clorodose (tratto
discendente dell’intervallo C) mi ritrovo un valore di cloro attivo di circa 0,15 che trovo vedendo il
valore di ordinata della curva rossa. La curva di breakpoint dipende dalla legge di Allen e la famosa
tabella funzione del tipo di liquame tipologia di disinfettante porta ad avere n<1 e Tc ≥ 30 min. In
tabella sono riportati i dosaggi da effettuare, ovviamente questi dosaggi portano ad avere una
clorodose superiore al breakpoint. Il dosaggio varia a seconda del refluo che devo trattare poiché
ciascun refluo contiene sostanze differenti che reagiscono (è il motivo per cui per liquame non trattato
ne metto di più) poi scendo a 5 mg/l se il quantitativo di sostanze che tendono a combinarsi col cloro
è minore e serve meno cloro per superare la curva di breakpoint.
Il limite di legge è di 0,2 mg di cloro residuo. Nel caso in cui si dovesse superare questo valore ed è
una possibilità concreta perché se mi ritrovo ad avere necessità di dosare ho sostanze maggiori a quel
punto mi ritrovo con un valore residuo che eccede i limiti di legge e in questi casi devo togliere questo
cloro effettuando una declorazione ovvero una riduzione della concentrazione di cloro residuo.

Dicevamo che le tecnologie sono diverse a seconda della tipologia di disinfettante.


- Nel primo impianto ci va una semplice pompa, la vasca è ovviamente analoga all’impianto a
clorogas però gli impianti per rendere disponibile la clorodose sono più semplici e sono
costituiti da un semplice serbatoio che contiene l’ipoclorito di sodio, o di calcio, e una pompa
che lo preleva per metterlo all’interno della vasca di contatto dove avviene l’azione
battericida;
- Ho una bombola per il clorogas che poi viene messo in soluzione, da questa soluzione
costituisco questa miscela per poi effettuare l’acqua di cloro e il dosaggio, per poi immettere
nella vasca, che è quella a dx, la clorodose. Questo schema prevede una bombola, un
evaporatore e un dosatore.
Impostata la portata che deve essere inserita nella vasca per dare quella clorodose si fa un calcolo
funzione della densità dell’ipoclorito di sodio e si determina quello che deve essere la portata massica
da inserire nella vasca per garantire in funzione della portata che entra nel bacino di contatto (che è
la portata trattata dall’impianto) quanto deve essere questa portata. Successivamente nella vasca di
contatto avviene l’azione battericida e poi da questa vasca esce per scaricare, nell’ambito delle acque
reflue, nel corpo idrico ricettore.

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