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Adsorbimento

Lezione 4-12

L’adsorbimento è un processo di purificazione: l’effluente da trattare è una corrente poco concentrata per
cui non è possibile utilizzare metodi distruttivi mentre le separazioni di bulk sono troppo onerose; pertanto
grazie all’adsorbimento si ottiene, a partire da tale corrente, un effluente pulito e un solvente esausto dove
il primo viene immesso nuovamente in ambiente mentre il secondo viene rigenerato. La rigenerazione
consente di ottenere un sorbente pulito e un effluente concentrato che, a questo punto, può subire sia
processi reattivi che di separazione. L’esempio cardine riguarda i composti organici presenti nei gas oppure i
metalli pesanti nei liquidi. Ho un effluente inquinato può contenere anche solo tracce di alcune sostanze
inquinanti ma nonostante ciò tali quantità rappresentano un pericolo per l’ambiente, come ad esempio il
biossido di cloro, alcuni composti organici, policiclici aromatici, mercurio ed anche i metalli pesanti che hanno
problemi di bio-accumulo (nelle acque i limiti di leggi sono dell’ordine dei ppb) ed in questi casi pensare di
utilizzare processi di tipo distruttivo è davvero molto complicato. Si consideri, ad esempio, l’abbattimento di
odori presenti nell’aria con un combustore catalitico, solo per arrivare alle T di esercizio del combustore avrei
bisogno di una quantità di energia spropositata rispetto alle moli che effettivamente devo rimuovere. Per i
costi e le conseguenti scelte impiantistiche, occorre valutare quanti €/mole di inquinante da trattare; quando
considero un combustore catalitico o termico per il trattamento di un composto organico nel primo caso
sono richiesti 300-650°C mentre nel secondo 700-1200°C, se devo trattare una corrente d’aria contenente
pochissimi ppm di un composto organico spendo una quantità di energia molto grande (necessaria per
arrivare a quelle T) per trattare pochi ppm. Nel caso in cui dovessi trattare una corrente che contiene, invece,
il 5% dei composti organici volatili è chiaro che il costo effettivo per mole di composto inquinante da trattare
scende in maniera drastica. Nel caso in cui l’effluente è così poco concentrato, che non conviene né utilizzare
un metodo distruttivo né tanto meno uno di separazione, si usa l’adsorbimento. Si considerino, inoltre, le
colonne di assorbimento che prevede l’operazione di lavaggio di un fumo per cui occorre inserire una certa
quantità di acqua a contatto con una certa quantità del gas e per la solubilità di quest’ultimo all’interno del
liquido ho un passaggio di fase; se considero una portata caratterizzata da tracce di inquinante la
termodinamica suggerisce che per quella data portata di gas è necessaria una portata d’acqua abbastanza
piccola per il completo trattamento dell’effluente ma che i tempi richiesti sono infinti in quanto il processo è
definito dalla diffusione in fase gas dell’inquinante che piano piano deve trasferirsi all’interfaccia del liquido.
Per quanto il processo possa essere termodinamicamente favorito se voglio realizzarlo in un volume finito, e
quindi in un tempo spazio finito, devo distribuire l’interfaccia del liquido in maniera perfetta ma, poiché non
siamo così bravi, lavoreremo con un eccesso d’acqua. Per i processi reattivi le portate minime sono
veramente molto basse ma per assicurare un contatto fluidodinamicamente valido che permetta di mettere
degli spruzzatori ad una certa quota e di far sì che mentre l’acqua scende abbatte velocemente il gas, ho
bisogno di una grossa distribuzione di acqua per assicurare nel tempo spazio di contatto il trasferimento di
materia dal gas al liquido. Quanto detto non dipende più dalla concentrazione del soluto, ma da quanto gas
devo trattare; per scegliere quanta acqua inserire, se voglio che i fenomeno di trasporto siano
sufficientemente veloci, ad un certo punto non sono più limitato dalla termodinamica ma da i fenomeni di
trasporto per cui se dovessi fare un assorbimento chimico di una corrente che contiene pochissimi composti
anche in tal caso, nonostante la solubilità sia molto alta, ho bisogno di una portata di liquido molto alta che
dipende dalla portata di gas, ovvero dalla fluidodinamica del sistema, e non più dalla concentrazione
dell’inquinante. Come per il catalizzatore, se voglio fare un processo di assorbimento di un componente in
tracce quasi sicuramente il rapporto liquido-gas sarà alto. I processi di separazione di bulk per questi effluenti
non possono essere presi in considerazione, perché per eliminare delle tracce avrei bisogno di reattivi, di
volumi di impianto molto grandi per cui il costo effettivo in termini di euro/moli da trattare cresce troppo.
Quando ciò accade, l’adsorbimento diventa una validissima opzione perché è un processo pensato per
operare sulle tracce. La forza dell’adsorbimento, specialmente in fase gas, riguarda proprio la possibilità di
avere rigenerazione: l’adsorbimento è quasi sempre reversibile lato gas, per cui quando riesco a spingere con
le rigenerazioni in maniera tale da poter ottenere alla fine del processo di trattamento un effluente
concentrato che mi permette di entrare nell’operabilità dei processi distruttivi e di separazione di bulk, sono
contento! Considero una corrente che contiene tracce di benzene, derivante da un processo di verniciatura
dove si usa un solvente organico, il quale è aspirato dalla cappa di ventilazione del verniciatore ed è
caratterizzato da concentrazioni bassissime; dopo di che passa in un filtro a carbone attivo il quale si esaurisce
dopo un certo tempo per cui viene sostituito. Quando il carbone attivo si è esaurito lo metto a contatto con
una corrente di vapore, di portata molto bassa ma ad alta T, per cui riesce a desorbire il 98-99% del benzene
che sta sul carbone; immaginiamo che la corrente del vapore è mille volte più piccola della corrente d’aria in
ingresso per cui ho ottenuto una concentrazione 1 a mille dell’inquinante da rimuovere. La corrente di vapore
a questo punto posso condensarla, rimuovendo l’acqua e ottenendo una componente di gas
concentratissima che posso inviare ad un bruciatore per lo smaltimento.
Si potrebbe avere anche una corrente contente ammoniaca in quantità piccolissime non posso effettuare
pertanto un assorbimento, per cui scelgo di fare adsorbire l’ammoniaca su un sorbente, il quale poi viene
desorbito, concentrando una seconda corrente la quale può essere inviata questo punto ad un convertitore
catalitico oppure ad una colonna di assorbimento. L’adsorbimento quindi è una purificazione e deve essere
inteso come un tramite tra la possibilità di concentrare l’inquinante per ottenere delle correnti che possano
essere effettivamente trattate con separazioni di bulk oppure con metodi distruttivi.
Il sistema deve lavorare in continuo ma poiché l’adsorbimento va ad esaurimento del sorbente e non sempre
è possibile realizzare l’operazione in continuo, la tipica configurazione processistica è la seguente:

F, c

F, c0
Purge

L’effluente, avente concentrazione c0, viene inviato alla colonna di adsorbimento impaccata, la quale genera
un effluente alla concentrazione c; la colonna ha una sua dinamica nel tempo per cui il profilo di
concentrazione rispetto a c0 è il seguente:

c/c0

tb t* t
ts

possiamo esercire la colonna fino ad un tempo tb, il quale è una funzione di varie cose tra cui l’altezza della
colonna. Quando si è esaurita tale colonna, poiché devo realizzare un processo in continuo, si hanno delle
valvole che provvedono a mandare in funzionamento la seconda colonna presente la quale è identica alla
prima. Alternativamente faccio funzionare l’una o l’altra colonna; quando una sta lavorando l’altra è in
rigenerazione per cui la linea di trattamento prevede una seconda linea di una corrente P (Purge).
Nel corso del processo di adsorbimento, ad una data T e P, ho un’isoterma di adsorbimento del tipo:
q T, P=cost

qb

cL c0 c
La colonna opera in un range di concentrazioni compreso tra c0 e cL ed il rispettivo range di capacità di
adsorbimento e mediamente la colonna ha un carico qb intermedio e proporzionale all’area tratteggiata nel
grafico della curva di breakatrought.
Nella fase di desorbimento per rigenerazione si hanno delle Pressioni e delle temperature differenti di lavoro
per cui l’isoterma è molto bassa, per cui il residuo di questo sistema ha una concentrazione cp potenzialmente
altissima si troverà ad avere una qp residua che dipende principalmente dalla forma dell’isoterma.
q T, P=cost

qp

cp c
Normalmente si hanno valori di qresiduo = 1-5% qb. Al ciclo successivo la colonna avrà già un carico residuo per
cui avrà delle performance diverse. Nel desorbimento si fissa il carico residuo che si lascia sul letto fisso e si
ricava la concentrazione di uscita nel gas (o viceversa) in quanto sono legate dall’equilibrio. La curva di
rigenerazione nel tempo ha un andamento del genere:
c/c0

t
La curva inversa rispetto a quella dell’adsorbimento, in quanto il sistema piano piano si scarico, e il tratto
decrescente (a sinistra) è dovuto al fatto che si ripulisce. Per cui dovrei far lavorare tale sistema fino ad un
tempo tale da garantire la massima concentrazione.
Opero un desorbimento che avviene o alzando la T oppure diminuendo la P: nel primo caso TR>>T
temperature swing adsorption mentre nel secondo PR<<P Pression swing adsorption.
Il problema di fondo è che il tempo di funzionamento della colonna posso deciderlo indipendentemente dalla
forma della MTZ: voglio che la colonna adsorba per più tempo allora metto più massa, voglio che la colonna
inverta il funzionamento delle valvole ogni 8h e allora metto una massa che mi garantisca dopo tale tempo
di arrivare al punto di breaktrought; chi definisce veramente il tempo di funzionamento (che diventa un
tempo di chiusura e apertura delle valvole) è il tempo necessario alla rigenerazione. Se la rigenerazione fosse
velocissima, 1s ad esempio, potrei decidere di far invertire le colonne ogni 10 minuti. Se invece avessi un
tempo di rigenerazione pari a 48h e scegliessi un tempo di adsorbimento di 8 h non potrei, innanzitutto,
lavorare solo con 2 colonne ma ne sarebbero necessarie almeno 6 colonne in serie e ciclicamente le varie
colonne si mettono in rigenerazione. Il ciclo si completa pertanto nelle 48h facendo ruotare 6 colonne, di cui
ce ne sta sempre almeno 1 rigenerazione e 5 che funzionano. E’ anche buona norma per ragioni di sicurezza,
avere una colonna di backup. Naturalmente questo si può fare, ma se volessi mantenere uno schema a 2
colonne la colonna non può avere un tempo di adsorbimento inferiore alle 48h.
Finché i tempi di rigenerazione e i tempi di adsorbimento sono simili posso usare effettivamente due colonne
in parallelo (o 2 array in parallelo a seconda anche delle dimensioni dei tubi che si vogliono avere), se invece
la rigenerazione ha un tempo più alto dell’adsorbimento (a parità di tempo di Break point) ho bisogno di
moltiplicare le sezioni di adsorbimento rispetto quelle di rigenerazione. Questa cosa la facciamo con i sistemi
di adsorbimento con plasma non termico, il quale è molto rapido e quindi manteniamo una serie di maniche
in parallelo (c’è una limitazione di spazio per cui per far funzionare il plasma la colonna deve avere un certo
diametro non troppo grande) di cui alcuni vengono messi selettivamente in rigenerazione.
Il funzionamento di questi sistemi è definito da due curve, isoterma di adsorbimento e curva di breaktrought
per cui diventa fondamentale saper costruire tali curve.

pi/p0 q
T

pi
tb t
ts

L’isoterma di adsorbimento è un dato sperimentale. Una volta fatta la sperimentazione, si hanno dei modelli
di adsorbimento per cui è possibile interpolare le curve: se si guarda al modello più comune che è quello di
0
𝑞𝑖,𝑚𝑎𝑥 ∗𝐾 𝑝𝑖 ∆𝐺𝐴𝐷𝑆
Langmuir il quale è rappresentato dalla seguente equazione 𝑞𝑖 = 𝐼+ 𝐾 𝑝𝑖
dove 𝐾 = exp [− 𝑅𝑇
]e qmax
rappresenta il massimo numero di siti attivi (selettivi per quel componente) disponibili sulla superficie del
solido adsorbente. Se si determinasse qmax in maniera precisa mediante una sperimentazione, a tre diverse
T, e fossi in grado di calcolare K per il fitting di queste tre cose potrei di fatto fare un fitting di queste curve
sostituendo a K l’espressione e quindi calcolando il ΔG di adsorbimento. Se si determina qmax e il ΔG di
adsorbimento di fatto posso conoscere l’isoterma corrispondente ad altre pressioni parziali oppure ad altri
valori di T. Pertanto, posso tirar fuori un modello che predice le isoterme ma sempre a partire da dati
sperimentali. Chi influenza La curva di breaktrought? Se il sistema fosse caratterizzato da una cinetica infinta
(velocità infinita) la curva di breaktrought collasserebbe verso un gradino che si muove ad una velocità di
𝑢𝑜 𝑐𝑖0
avanzamento che può essere espresso al seguente modo: 𝑣 = dove al numeratore si ha il flusso
𝜀𝑐𝑖0 +𝜌𝐵 ∗𝑞𝑖,0
di materia che entra in colonna mentre al denominatore il primo termine rappresenta la quantità di
concentrazione che si può mettere sul solido ed il secondo rappresenta la massa di solido per unità di volume
moltiplicata la capacità di adsorbimento del solido. La forma della curva di breaktrought è influenzata
dall’isoterma e dai coefficienti di trasporto di materia; più è rapido il trasporto di materia più tale curva tende
a diventare un gradino. Ci sono due metodi che consentono di stimare le caratteristiche di tale curva.
Entrambe i modelli si basano su un concetto molto semplice: se devo descrivere il flusso di materia nel
passaggio da una fase all’altra posso quasi sempre riferirlo a una forza spingente lineare e di fatto posso
definire un coefficiente Kc tale che 𝑑𝑁 = 𝐾𝑐 ∗ 𝑎 𝑆 𝑑𝑧 (𝑐𝑖 − 𝑐𝑖∗ ). Se devo trasferire materia dalla fase fluida
alla superficie del sorbente, ho un fenomeno all’interfaccia che sposta per diffusione le moli del componente
i verso la superficie e che possiamo descrivere mediante un profilo pseudo lineare (strato limite) per cui il
trasporto di materia può essere riferito alla diffusività del componente i diviso lo spessore δ, pertanto c’è
una resistenza al trasporto di materia lato gas. Questa resistenza fa si che se voglio sapere quante moli si
stanno spostando dal gas al solido posso scrivere per il lato gas 𝑑𝑁 = 𝑘𝑓 ∗ 𝑆𝑢𝑝 ∗ (𝑐𝑖 − 𝑐𝑖,𝑠𝑢𝑝 ), 𝑒 𝑘𝑓 = 𝒟/𝛿𝑓 .
Ci piacerebbe tantissimo che questa fosse l’unica resistenza al trasporto in quanto poiché il coefficiente kf è
legato alla fase fluida e allo spessore del strato limite vicino alla fase solida per cui posso controllarlo,
pertanto, se faccio muovere il gas più velocemente oppure aumento la turbolenza riesco a stringere 𝛿𝑓 e
quindi aumentare la velocità di trasferimento di materia. Nella realtà dei fatti il sorbente è una superficie
porosa per cui il materiale che entra deve diffondere prima nei macro canali, poi lungo canali che si fanno
più stretti e si ramificano, pertanto esiste un trasporto di materia interno al solido che vede come forza
spingente la differenza tra la concentrazione alla superficie esterna e una concentrazione media che riguarda
l’interfaccia per cui 𝑑𝑁 = 𝑘𝑖 𝑆𝑢𝑝2 (𝑐𝑖,𝑠𝑢𝑝 − 𝑐𝑖,𝑆 ). Questo è un trasporto puramente diffusionale: è difficile
che la turbolenza si trasmetta all’interno dei pori, anche perché questi pori passano dall’avere sezioni molto
grandi a sezioni molto piccole, per cui anche il gas ha difficoltà ad entrarci per cui si ha una grossa resistenza
al trasporto di materia. I flussi richiedono per definizione una superficie di passaggio, nel primo caso Sup1
rappresenta la superficie esterna dell’oggetto mentre Sup2 rappresenta la superficie di tutti i pori presenti
nel solido per cui le due superfici sono diverse. E’ buona norma, non riferire il trasporto di materia alla
superficie assoluta ma ad una superficie per unità di volume, per cui le superfici possono essere indicate
come Sup = a * V dove a indica la superficie per unità di volume e V il volume. Il valore di a è costante laddove
la superficie non lo è: se prendo una certa massa di particelle e conosco il grado di vuoto delle particelle nel
volume, la superficie per m2 è data da a (valore costante) per cui se cambio V cambio anche l’intera Sup.
Poiché sto considerando un flusso differenziale si ha che V = Sup*dz, in una colonna a letto fisso il volume
differenziale è dato dalla sezione della colonna moltiplicata dz. Questa grandezza si usa molto perché in
realtà, quello che si riesce a misurare sperimentalmente, è il prodotto K*a e non il coefficiente di trasporto
in assoluto. Quando è possibile effettivamente scrivere la resistenza al trasporto di materia in una forma
lineare si può, anziché esprimere correttamente il flusso con due termini, introdurre una resistenza globale
la quale vede un coefficiente di trasporto globale moltiplicato per un volume differenziale e per una forza
spingente 𝑑𝑁 = 𝐾𝑐 𝑎𝑆𝑑𝑧 (𝑐𝑖 − 𝑐𝑖∗ ) dove ci è la concentrazione lato fluido mentre ci* è una concentrazione
fittizia, che rappresenta la concentrazione ci che fa equilibrio ad un carico qi sul solido.
Sto effettuando un processo di trasferimento di materia che vede passare il soluto dalla fase gas alla fase
solida, in un certo istante di tempo il bilancio di materia dice che la concentrazione ci lato fluido è compensata
dal fatto che sul solido c’è una quantità di materia pari a qi; la quantità ci* rappresenta in corrispondenza di
qi il valore della concentrazione presente nel gas a cui fa da equilibrio. Possiamo ritenere tale quantità una
forza spingente perché se ci e ci* coincidono vuol dire che sul solido ho la quantità di equilibrio che posso
avere alla concentrazione ci per cui più di questo non si può mettere.

qi

ci*
La forza spingente è lineare, poiché nei bilanci di materia tengo conto sia di q che di c mi è facile calcolare ci*
mentre è molto più difficile valutare ci,sup e ci,s.
Il flusso di materia lineare si ha quasi sempre ed esistono delle formule che consentono di valutare Kca a
seconda dei casi per tener conto sia delle resistenze lato gas che all’interno dei pori.
L’altra grande ipotesi che segna la differenza tra i due principali modelli che si usano per le formule del MTZ
riguarda la forma dell’isoterma, in quanto ci sono due soluzioni: una analitica che viene messa in forma
grafica che riguarda il caso di un’isoterma lineare che definisce il metodo di Hougen-Marshall mentre la
seconda è più generale e descrive un’isoterma favorevole sulla base del modello di Langmuir oppure di
Freundlich riportato da SUZUKI.
Iniziamo a descrivere il metodo di Suzuki che consente di stimare la lunghezza della MTZ, la zona che nel letto
consente di passare da c0 a 0 :

z
Ci permette pertanto di conoscere l’estensione compresa tra le due verticali nel grafico precedente. Il
metodo di Suzuki suggerisce che 𝑀𝑇𝑍 = 𝐻𝑇𝑈 ∗ 𝑁𝑇𝑈 dove il primo termine indica l’altezza di trasferimento
𝑣
unitario e il secondo il numero di unità di trasferimento. Il termine 𝐻𝑇𝑈 = 𝐾 𝑎 ovvero è dato dal rapporto
𝑐
tra la velocità di avanzamento del fronte (precedentemente definita) mentre il termine al denominatore è
legato alla velocità di trasferimento di materia; di fatto tale grandezza è il rapporto tra il tempo caratteristico
𝑐 𝑑𝑐
di trasporto di materia e il tempo di residenza. Invece, l’altro termine è pari a 𝑁𝑇𝑈 = ∫𝑐 𝐿 𝑐𝑖−𝑐𝑖∗ dove cL è il
0

limite del punto di breaktrought. Questo integrale, in realtà, ha delle soluzioni analitiche molto semplici
proprio nel caso di isoterme di Langmuir e Freundlich: applicando in maniera semplice il metodo proposto di
Suzuki si ha una stima molto veloce del MTZ. Si vuole conoscere quale è la differenza tra il tempo di
breaktrought e quello di saturazione, che è pari a 𝑡𝑠𝑎𝑡 − 𝑡𝑏 = 𝑀𝑇𝑍/𝑉; se volessi sapere la forma della curva,
sapendo che è una sigmoide simmetrica, devo sapere nel tempo dove sta la curva e quanto è estesa. Il tempo
t* si calcola molto facilmente in quanto viene fuori dal bilancio 𝑡 ∗ 𝐹𝑐0 = 𝜌𝐵 𝑉𝑞0 essendo q0 il valore che fa da
equilibrio a c0; è possibile calcolare tale tempo anche come 𝑡 ∗ = 𝑍/𝑣 ma Z non è nota. Nota t* e MTZ
sappiamo che la curva è una sigmoide che va da 0 a 1, si estende da tb a tsat (matematicamente ce ne è solo
una) e dove è posizionata nel tempo, per cui in questo modo si riesce a fare un primo dimensionamento della
colonna. Se questo fosse un sistema in continuo la colonna di adsorbimento, gas inviato dal basso e solido
dall’alto, sarebbe alta esattamente MTZ.
Il secondo metodo è grafico e vale per le isoterme lineare ed utilizza due parametri adimensionali,
𝐾𝑎 𝑘 𝑎 𝑍
𝑍 ′ = 𝜀𝑢𝑐 𝑍 (1) e 𝜏 = 𝑘 𝑓𝜌 ∗ (𝑡 − 𝑢 ) (2) e si riportano in un diagramma i profili di concentrazione:
𝑖 𝑑 𝐷 𝑖

c/c0

Z’

τ
Entrambe gli assi sono in scala logaritmica. Si hanno una serie di curve in funzione di Z’ e di τ. Se prendo una
colonna di altezza Z, faccio passare un gas con una velocità interstiziale ui che corrisponde ad una velocità di
colonna vuota di εui = u =G/S e a tale altezza corrisponde, dato un certo coefficiente di trasporto di materia,
un parametro Z’. La relazione che mi da la curva di breaktrought è rappresentata graficamente da una curva
dove però c/c0 non è legato a t ma al parametro adimensionale τ; nota u i, ε, il coefficiente di trasporto di
materia, entro nel diagramma individuo il corrispondente valore di Z’ dopo di che tabello i valori del tempo
e i corrispondenti c/c0, entro nella forma (2) e trasformo i valori di τ in valori del tempo.
Il coefficiente di trasporto kD deriva dal fatto che l’isoterma è lineare ed è descritta dall’equazione 𝑞𝑒𝑞 = 𝑘𝐷 𝑐,
mentre 𝑘𝑓 𝑎 è il coefficiente di trasporto di materia globale. Questo metodo consente di stimare la forma
della curva di breaktrought, data una qualsiasi Z; dalla forma di tale curva si conoscono il tempo di saturazione
e quello di breaktrought.

Dimensionamento di una colonna di adsorbimento.


Per far ciò, innanzitutto, occorre definire un tempo di funzionamento; la curva di breaktrought ha una Z
fissata, ovvero, un letto grande Z metri che ha una sezione fissata. Sto parlando, pertanto, di un letto fisso
avente sezione circolare a una lunghezza complessiva pari a Z e che ha un’alimentazione F= u S dove u è la
velocità di passaggio che tipicamente varia tra 0.2-0.5 m/s e per i liquidi è ancora più bassa circa 0.1 m/s.
Fissata l’altezza della colonna e le caratteristiche del catalizzatore, in particolare il diametro delle particelle e
la relazione di equilibrio qeq(c), esiste un’unica curva che rappresenta il funzionamento di questa colonna nel
tempo all’uscita che ha la forma della curva di breaktrought. Tale curva è una sigmoide simmetrica; il fatto
che sia simmetrica deriva dei modelli ma nella realtà non è propriamente vero (nei gas lo è nei liquidi no).
Un’ipotesi forte dei modelli, ragionevole per i gas, è considerare la curva come una sigmodide simmetrica:
preso il valore c/c0=0.5 questo corrisponde ad un tempo t* che rappresenta il tempo di funzionamento ideale
della colonna se il trasporto di materia fosse infinito. La curva di breaktrought suggerisce che, data una
colonna lunga Z, il sistema ha un punto di simmetria coincidente con t* e un profilo sigmoidale che si sviluppa
tra due tempi che sono simmetrici rispetto a t*: un tempo è quello di saturazione (dovrebbe rappresentare
il tempo in cui c/c0=1 ma questo si ottiene per tempi infiniti, per cui tipicamente il tempo di saturazione si
calcola in corrispondenza di un valore del rapporto tra le concentrazioni pari a 0.95) e l’altro è quello di
breaktrought (teoricamente vorrei avere il primo tempo in cui c/c0 è diverso da 0 difficile da calcolare per cui
tipicamente si considera il tempo per cui il rapporto tra le concentrazioni è pari 0.05). In generale si possono
definire i due tempi, saturazione e breaktrought, simmetrici tra loro e corrispondenti rispettivamente ad un
rapporto c/c0 pari a 0.95 e 0.05 oppure visto che per cL c’è un limite di normativa uso questo valore per
calcolare tb e successivamente fisso tsat (solitamente simmetrico rispetto all’altro tempo). L’area compresa
tra la curva di breaktrought e l’asse delle ordinate è proporzionale alla quantità di soluto che il sorbente può
adsorbire, ovvero q(tsat)= qeq(c0) per cui il materiale è saturo (più di tale quantità non posso adsorbire). Se mi
fermo ad un istante di tempo precedente, ad esempio, proprio in corrispondenza di tb l’area che sta a sinistra
dell’ordinata passante per tale punto rappresenta la quantità che effettivamente sto utilizzando ad i fini
dell’adsorbimento: una volta raggiunto il limite di legge non posso andare oltre per cui la colonna la devo
fermare, pertanto tale area viene indicata con qb ovvero è la capacità di adsorbimento al break point. L’area
compresa tra il punto di break point alla saturazione rappresenta una zona di letto che fisicamente deve
esserci ma che di fatto non si utilizza, per cui corrisponde ad un volume morto della colonna. D’altra parte,
se la colonna lunga Z la portassi a saturazione arriverebbe alla qeq e a c0, proporzionale all’area tra l’asse delle
ordinate e il tempo di saturazione al di sopra della curva di breaktrought; in realtà si usa una quantità molto
più bassa in quanto devo fermarmi al tempo di break point per rispettare il limite di legge.
Quanto tempo dura questa colonna? E come conosco la MTZ e la LUB? Queste quantità sono note nel
momento in cui si conosce la forma effettiva della curva di breaktrought.
Per il dimensionamento la sezione viene definita mediante la scelta delle velocità dei gas (0.2-0.5 m/s) e con
la stima delle perdite di carico mentre la lunghezza definisce il tempo di funzionamento.
Se devo costruire la curva di breaktrought posso utilizzare dei modelli; una delle possibilità è sfruttare la
sperimentazione (visto nella prima parte del corso con Erto). Questo sistema funziona molto bene perché i
processi di adsorbimento sono in genere molto complicati per cui non c’è modo migliore che prendere il gas
o il liquido che si vuole trattare, metterlo in una colonna sperimentale e fare un’analisi e scalare direttamente
quel risultato (costruito a parità di velocità di passaggio nei tubi) su un sistema di grande scala.
In alcuni casi, però, questa possibilità non l’abbiamo: se si lavora per l’impianto di depurazione, l’acqua da
trattare l’abbiamo per cui in laboratorio è possibile effettuare più prove con diversi sorbenti per vedere quale
funziona meglio e poi riprodurre tale sistema su scala maggiore; ma se al contrario siamo noi i fornitori della
tecnologia non conosciamo il gas o il liquido che un dato impianto deve trattare per cui è necessario avere
per quelle tecnologie delle stime di primo ordine.
Non potendo costruire sperimentalmente la curva di breaktrought è necessario individuare altre strategie.
Il valore del tempo t* deriva da un bilancio di materia in cui sto dicendo che se avessi un trasporto di materia
velocissimo la curva di breaktrought è una funzione a gradino e pertanto la portata in ingresso F, avente
concentrazione c0, in t* si mette immediatamente sul solido nelle concentrazioni di equilibrio a c0. Il tempo
t* può essere stimato in maniera molto semplice dalla seguente equazione 𝐹𝑐0 𝑡 ∗= 𝑚𝑞𝑒𝑞 (𝑐0 ), [oppure
𝑢𝑐0 𝑡 ∗= 𝜌𝐵 𝑞𝑒𝑞 (𝑐0 ) se conosco l’isoterma di adsorbimento. La massa è definita come il prodotto tra una
densità di bulk (kg sorbente/m3 di letto per cui include anche il volume vuoto delle particelle) e il volume del
letto𝑚 = 𝜌𝐵 𝑉 = 𝜌𝐵 𝑆𝑍; esiste una relazione tra l’altezza della colonna e le caratteristiche della curva che
consente di calcolare t*. Nota la velocità, quanto è lungo il letto e la curva di equilibrio riesco a ricavare il
valore di t*. Il valore di t*non basta per capire come far funzionare la colonna perché dovrei conoscere il
tempo di break point. La curva di BT nei modelli è una curva simmetrica per cui se è noto t* e so calcolare la
differenza tra il tempo di break point e quello di saturazione allora riesco a calcolare tb. Devo sapere, però,
come calcolare la differenza tra i due tempi, in particolare, un metodo è fornito da Suzuki: se si guarda il
funzionamento di queste colonne esiste una formula che consente di ricavare la MTZ (valida per tutti i sistemi
𝑣 𝑐 𝑑𝑐
impaccati) per cui si ha che 𝑀𝑇𝑍 = 𝑣(𝑡𝑠𝑎𝑡 − 𝑡𝑏 ) = 𝐾 𝑎 ∫𝑐 0 𝑐−𝑐 ∗ . Se è noto il coefficiente di trasporto globale,
𝐶 𝑏
il valore di v che rappresenta la velocità del fronte di adsorbimento (velocità con cui si muove all’interno del
letto la MTZ) e la curva di equilibrio si è in grado di calcolare quell’integrale.
La curva di equilibrio è definita al seguente modo, relazionando q e c:

qeq(c0)=q0

c* c c0
La curva di BT dice che in corrispondenza di un certo tempo ho una certa concentrazione, e che la
concentrazione di uscita passa dall’essere 0 a c0. La mia concentrazione parte a zero e in corrispondenza del
tempo di saturazione diventa c0. Se voglio sapere in corrispondenza della mia c quale è la quantità adsorbita
sul solido mi basta fare un bilancio di materia differenziale nel tempo: ogni secondo entro con Fc0 e in uscita
ho Fc(t) in un istante di tempo pari a dt per cui si ha che 𝐹(𝑐0 − 𝑐(𝑡))𝑑𝑡 = 𝑚 𝑑𝑞 ovvero la differenza tra
ingresso e uscita è uguale alla massa di solido moltiplicata quanto è variata la concentrazione sul solido.
L’integrale visto in precedenza porta a definire q proporzionale ad un’area del grafico di BT; ad ogni c(t) per
cui posso sapere quanto vale q(t) perché di fatto posso calcolare l’integrale di tale area nota la forma della
curva di BT. Per ognuno delle c, posso calcolare un valore di q e so che quando il tempo coincide con quello
di saturazione il solido ha preso tutto il materiale possibile per cui la concentrazione di uscita è pari a c0. La
curva rossa definisce le condizioni di lavoro (che ci da la curva di BT), se fisso un qualunque istante di tempo
per cui prendo un qualunque punto della sigmoide è caratterizzato da una c e da una q, ma ricordiamo che q
non ha nulla a che vedere con il punto di equilibrio alla concentrazione c rappresenta quello che fino a questo
momento si è adsorbito sulla colonna; Il punto c* rappresenta il valore che idealmente farebbe equilibrio alla
concentrazione q presente sul solido. La forza spingente del processo è data dalla differenza tra c e c*.
L’integrale visto in precedenza ha delle soluzioni analitiche, in due casi specifici:
1. Isoterma di Freundlich;
2. Isoterma di Langmuir.
Suzuki riporta le equazioni per calcolare le due soluzioni analitiche.
𝑞
𝑦=
𝑞 𝑘𝑐 𝑞0
L’equazione di Langmuir può essere scritta come 𝑞 = 1+𝑘𝑐, in particolare si definiscono { 𝑐 per cui si
𝑚𝑎𝑥 𝑥=𝑐
0
𝑥
ha che l’isoterma di Langmuir assume la seguente espressione 𝑦 = 𝑟+(1−𝑟)𝑥 dove r prende il nome di
partition factor. Suzuki sostituisce tale espressione nell’integrale e risolve in funzione di r.
1
L’equazione di Freundlich, con la stessa posizione di prima diventa, 𝑦 = 𝑥 𝑛 . Date queste due equazioni, ci
sono delle formule analitiche per calcolare questi due integrali ed in particolare sono a pag 170 (eq 7.64 e
7.65). Suzuki, conoscendo MTZ=tsat-tb, visto che t* possiamo calcolarlo, permette di sapere con precisione
quanto valgono i due tempi; per cui visto che la curva BT è simmetrica rispetto a t* si piò tracciare noti questi
parametri. Dal punto di vista impiantistico, interessa sapere quanto vale il tempo di break point e quanto è
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l’estensione di MTZ poiché la sua metà rappresenta la lenght unused bed 𝑀𝑇𝑍 = 2 𝐿𝑈𝐵.
Dietro questo metodo ci sono due ipotesi forti:
1. L’isoterma è favorevole (modello valido per le isoterme non lineari). Se si cambia l’altezza della
colonna, la curva di BT si sposta in maniera simmetrica ma mantiene la forma: è nota la MTZ da
questo metodo per cui come per sapere come si comporterebbe una colonna più grande o più piccola
si sta dando per scontato che MTZ resta lo stesso mentre t* si sposta secondo la legge vista in
precedenza. L’ipotesi di fondo, quindi, è che la forma della curva di BT resta invariata ma questo è
vero solo per isoterme favorevoli;
2. Il trasporto di materia è scrivibile in una forma lineare. Se i dati sono ben descritti da una forza
spingente lineare, mi serve un coefficiente in grado di rappresentare bene il flusso in tali condizioni;
questo coefficiente deriva da varie formule che Suzuki riporta.
Se so che il flusso di materia posso decentemente esprimerlo con una forza spingente lineare, il che
determina la forma dell’integrale, che il coefficiente di trasporto di materia lo posso ricavare e che ancora
l’isoterma è favorevole per cui la forma della curva di BT non varia, posso efficacemente usare il metodo di
Suzuki.
Mi serve un letto pari a MTZ per far passare un fluido dalla concentrazione c 0 ad una c, per cui se anziché
considerare un letto fisso considerassi una colonna in cui mando un certo flusso di solido e uno di gas di fatto
lo spazio che mi servirebbe per realizzare tale operazione è proprio pari a MTZ.
L’adsorbimento è un processo di purificazione, per cui molte volte sono lontano dalla flessione dell’isoterma
e dall’eventuale asintoto, tanto lontano che delle volte mi posso accontentare di utilizzare l’equazione di
Freundlich per descrivere dati che l’asintoto virtualmente non lo vedo (cosa impossibile perché vorrebbe dire
che tanta più concentrazione invio tanto più il solido riesce ad adsorbire indipendentemente da tutto: c’è un
limite fisico alla superficie). Se sono, però, nei tratti iniziali dell’isoterma non percepisco minimamente la
presenza dell’asintoto ma mi trovo in una regione in cui di fatto, se estrapolassi, l’equilibrio è più o meno
lineare del tipo 𝑞 = 𝑘𝐷 𝑐 (semplificazione del modello di Langmuir se c→0). Se c’è la linearità, sebbene il
trasporto di materia resti lineare, non posso più dire che questa curva sia costante e conseguentemente
anche la curva di BT cambia. In questo caso non posso più usare il metodo descritto in precedenza, ma mi
servo di un altro metodo ideato da Hougen e Marshall che prevede una risoluzione analitica
dell’adsorbimento per colonne a letto fisso con isoterma lineare e trasporto di materia di primo ordine. Il
loro metodo si riassume in un diagramma (visto in precedenza) che è la rappresentazione grafica della
soluzione analitica che loro hanno ottenuto. Il diagramma riporta sull’asse delle x un tempo adimensionale,
mentre sulle ordinate una concentrazione adimensionale e una serie di curve che sono proporzionali ad un
terzo parametro adimensionale indicato con Z’. Queste curve rappresentano esattamente la forma delle
curve di BT in funzione di τ e Z’ dove Z’ è praticamente l’adimensionalizzazione di Z mentre τ rappresenta
quella del tempo ma nella sua definizione include sia l’altezza della colonna che il tempo (pag 531 Suzuki).
Se voglio sapere il tempo di breakpoint di una colonna lunga 1m, noto il materiale adsorbente (nota la
pendenza kD della curva di equilibrio) e il coefficiente di trasporto di materia, entro nel diagramma
conoscendo Z’ e ricavo una curva c/c0 in funzione di τ. Quest’ultima curva la trasformo in una tabella di valori
che relaziona τ e c/c0 dopo di che prendo l’espressione di τ, nota Z, e la inverto per ricavare il corrispondente
valore del tempo. A finale ricavo una curva che vede t contro c/c0 che rappresenta la curva di equilibrio
desiderata. In questo caso non posso usare il modello della LUB per stimare il comportamento di colonne più
lunghe in quanto non si ha la costanza della MTZ: se voglio sapere il comportamento di una colonna più lunga
dovrò riprendere la curva che corrisponde al nuovo Z’ e rivedere il funzionamento della colonna. Queste
curve del metodo Hougen-Marshall ad un certo punto diventano delle rette via via più schiacciate e ciò è
ragionevolissimo: ognuna di queste curve rappresenta in qualche modo tutta la sigmoide da 0 a 1 e da 0 fino
al tempo di saturazione. Se prendo una colonna molto corta (non posso avere una colonna troppo bassa
altrimenti avrei il problema delle lunghezze di imbocco) la gran parte della curva che andrò a disegnare sarà
la sigmoide presa tra tempo 0 e tempo di saturazione; ma se avessi una colonna lunga 4 km una MTZ di 20
cm su tale lunghezza è praticamente 0. Per cui si vede un profilo che con la lunghezza si schiaccia sempre di
più. Se devo fare una colonna che duri 8 h, inizio a calcolare t* e si ha un’idea di quanto dovrebbe essere Z;
prendo un primo valore di Z, lo metto nel diagramma costruisco la curva di BT e si verifica se si ha 8h.
Sicuramente al primo colpo non mi trovo per cui itero il processo fino a convergenza.
Quanto visto per l’adsorbimento può essere effettuato anche per il desorbimento, ma ovviamente si ottiene
una curva di BT differente che non è più a gradino: mando una cosa pulita, piano piano si ripulisce anche il
solido quindi all’inizio non esce nulla poi prima si ha un picco di concentrazione e poi si ha un’eluizione
successiva del sorbente per cui la concentrazione si porta a zero.
E’ di fondamentale importanza conoscere il tempo caratteristico del processo che è legato al rapporto tra
quanta roba sta sul solido e quanto veloce è il processo. Nella velocità v si ritrova anche la curva di equilibrio,
in quanto, q0 è il valore di equilibrio di c0. Una stima orientativa di quanto è veloce un processo di
rigenerazione rispetto ad uno di adsorbimento posso farlo confrontando gli HTU che rappresentano lo spazio
necessario per avere una variazione di concentrazione unitaria nell’integrale (sostanzialmente misurano
quanto è efficiente il processo): più corto l’HTU più è alto il tempo di permanenza rispetto al tempo di
trasporto di materia; a parità di velocità e di tutto il resto, se un processo ha un HTU più basso vuol dire che
è più veloce. La stima del processo di desorbimento è più complicata ma è quella che guida effettivamente il
dimensionamento del sistema.
La sezione viene stimata sulla base di una velocità di riferimento che nel caso dei gas è un numero che va da
0.2 a 0.5 m/s mentre per i liquidi è molto più bassa, infatti, è dell’ordine anche di qualche mm/s.
Come si stimano le perdite di carico? Ho definito un’altezza, fissata una velocità, mentre la sezione deriva dal
rapporto tra la portata e la sezione; le perdite di carico le posso calcolare una volta definito Z. Quindi, decido
una velocità, calcolo una Z che mi consenta di avere un certo tempo di funzionamento, sulla base della
velocità calcolo la sezione mentre da Z ricavo le perdite di carico. Per le perdite di carico si può usare
∆𝑝 𝑢 1−𝜀 150(1−𝜀)𝜇
l’equazione di Ergun per cui si ha = ∗ ∗[ + 1.75𝜌𝑢],
𝑍 𝑔𝑑𝑝 𝜀3 𝑑𝑝
𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑑𝑝 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑎 𝑖𝑙 𝑑𝑖𝑎𝑚𝑒𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑖𝑐𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑚𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒 𝜀 𝑖𝑙 𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑣𝑢𝑜𝑡𝑜, 𝜌 è 𝑙𝑎 𝑑𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à 𝑑𝑒𝑙 𝑓𝑙𝑢𝑖𝑑𝑜 𝑚𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒
𝜇 è 𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑠𝑐𝑜𝑠𝑖𝑡à, 𝑔 è 𝑙 ′ 𝑎𝑐𝑐𝑒𝑙𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒𝑑𝑖 𝑔𝑟𝑎𝑣𝑖𝑡à. Questa equazione consente di calcolare o le perdite di
carico per metro oppure tutte le perdite di carico della colonna nota Z. Si può anche usare al contrario: si
fissa un valore della perdita di carico per m, da questa equazione si ricava la velocità e conseguentemente la
sezione.
Il discorso fatto fin qui va bene per il dimensionamento di letti fissi però nella pratica industriale c’è la
possibilità di avere dei sistemi in controcorrente o equicorrente, quindi di avere sistemi in continuo.
Immaginiamo di avere una colonna verticale in cui devo far scendere dall’alto una certa portata di solido e
dal basso una di gas; come faccio a fare in modo che il solido non si mescoli col gas e venga ritrascinato e
portato via? Devo andare a velocità molto basse. Quando metto del solido all’interno della colonna ho un
grado di vuoto molto alto, normalmente in un sistema continuo i gradi di pieno sono pari a 0.1/0.2 e quelli di
vuoto l’80/90% per cui è quasi tutto gas, mentre in un letto fisso posso avere sistemi che arrivano gradi di
vuoto del 50% per cui il processo è più veloce. Il processo in continuo in ogni caso si può fare, infatti, ci sono
dei reattori detti trickle bed in cui si invia un intero blocco di solido e lo si fa scendere molto lentamente
all’interno del reattore, con un gas che percola dal basso che deve camminare molto piano per evitare di
fluidizzare il letto. Se mando il gas dal basso, ad un certo punto si ha una velocità che una volta superata si
iniziano a trascinare particelle ma, poiché si ha a che fare con dei sistemi porosi, le particelle non vedono una
velocità data dal rapporto tra la portata e la sezione ma vedono una velocità interstiziale la quale è più o
meno il doppio rispetto a quella della colonna vuota. Quando la velocità interstiziale eguaglia la velocità
terminale porta a sollevare le particelle e a farle fluidizzare. La fluidizzazione è un processo in cui si riesce a
mantenere in sospensione un letto di materiale granulare e consente di avere un ottimo reattore miscelato
laddove serve avere un PFR. Per cui un letto del genere fluidizzato non mi conviene farlo, l’utilizzo del solido
infatti peggiora in maniera significativa. Pertanto, in questi reattori le velocità devono essere molto basse per
stare sufficientemente al di sotto della velocità di fluidizzazione. Ciò comporta che i reattori trickle bed sono
molto larghi e si utilizzano soltanto in determinate condizioni.
Esiste un’altra possibilità: se ho una corrente caratterizzata da una bassa quantità del componente in esame
e un materiale che è molto adsorbente, il modo migliore per massimizzare l’area di scambio è fare le particelle
più piccole possibili ma questo comporta perdite di carico molto elevate. Ma si potrebbe pensare di iniettare
tali particelle lungo i tubi e distribuirle bene: particelle piccole significa avere anche tempi di reazioni molto
brevi per cui è possibile dare al sistema tempo a sufficienza per reagire lungo un tubo e iniettare il solido
come particelle aventi diametro molto piccolo. Esistono dei materiali denominati powered activate carbon
che vengono iniettati lungo il processo e sono usati ad esempio nella desolforazione. Tipicamente questi
sistemi si accoppiano con sistemi di filtrazione a tessuto. Si lavora a bassa T (adsorbimento favorito) con
filtrazione (i filtri a manica funzionano fino ad un certo limite delle perdite di carico poi vengono “scotoliati”
e ripuliti); tra il tempo di iniezione e quello di “scotoliamento” tipicamente riesco a garantire un tempo di
residenza di un paio di secondi alle particelle sufficiente a farle reagire; per cui iniettando carbone in polvere
lungo i tubi risparmio il reattore, scarico tutto il carico sul filtro a manica che genera un gap superficiale che
di fatto è un piccolo letto fisso ma che però viene periodicamente ripristinato. Questo processo, quando non
sono richieste efficienze altissime, funziona bene e evita i grossi volumi delle colonne.
Sempre per il problema relativo alle sezioni molto grandi si osserva che molto spesso queste colonne vengono
volutamente messe in parallelo: tubi più piccoli e li si esercisce in parallelo per eguagliare il valore dell’enorme
sezione richiesta, la velocità complessiva resta la stessa (0.3-0.5 m/s) e si semplifica anche la distribuzione.

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