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LO SPAZIO DEL TEATRO (F.

Cruciani)

CAPITOLO PRIMO: IL PUNTO DI VISTA


Lo spazio del teatro è un insieme complesso di elementi che non si può ridurre alla sola
architettura teatrale; lo spazio del teatro lo si pensa, innanzi tutto, come il supporto
visivo di un testo, oppure come lo spazio degli attori e luogo della rappresentazione. Il
teatro del ‘900 ha pensato sia il “Totaltheater” di Gropius (la sala attrezzata disponibile
a più usi e modificazioni di spazio), sia la sala polivalente di Le Corbusier (una sala
vuota e disponibile, priva però di senso prima di essere creata dallo spettacolo); ha
usato diversi spazi, dal teatro al chiuso a quello all’aperto. Lo spazio del teatro nel
Medioevo è un insieme complesso di oggetti che indicano e significano qualcosa; lo
spazio è il luogo in cui l’evento accade ed è qualificato dagli oggetti che sono simboli.
Praticamente è solo con l’invenzione dello statuto teatrale, dal primo Rinascimento fino
agli inizi del Novecento, che si ha uno “spazio” del teatro dopo gli spazi della
rappresentazione. La durata nei secoli degli statuti teatrali ha consentito l’elaborazione
e lo sviluppo di uno spazio del teatro (sala e scena) che si è identificato, nella sala
all’italiana; resta il fatto però che l’edificio teatrale si conosce come necessario ancor
prima che se ne individui l’uso, già nelle ricerche del tardo Quattrocento italiano e del
primo Rinascimento, con lo studio di Vitruvio e le “traduzioni” nell’architettura.
L’edificio teatrale è, dal ‘500 al ‘900, un monumento della città; da qui, poi, nascono i
mestieri dell’architetto teatrale e dello scenografo. L’arco scenico ed il sipario (ma
anche le luci) sono lì a segnare la divisione di due mondi: lo spazio del teatro diviene
una forma mentis (l’edificio e la sala); la scenografia diviene rappresentazione dello
spazio in cui avviene l’azione degli attori, e si sviluppa attraverso un’evoluzione che
inizia con la scena prospettica urbana a fuoco centrale, poi si sposta a quella
moltiplicata all’infinito della scena barocca, fino alla prospettiva per angolo e alla scena
di interno. Sul finire del Settecento, invece, si inizia a rompere lo spazio chiuso della
scena: con l’abolizione dei palchetti ed il realismo della scenografia, e con le tecniche e
le modalità di imitazione degli effetti del reale. Con il Novecento, poi, si pone il
problema della necessità del teatro, dei bisogni sociali ed individuali che il teatro stesso
sarebbe chiamato a soddisfare. Ma è già dalla fine dell’Ottocento che la cultura mette
tutto in discussione: il teatro esce dai teatri e ne crea di nuovi, modificando le sale per
cambiare il rapporto attorespettatore.

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CAPITOLO SECONDO: IL TEATRO CHE ABBIAMO IN MENTE
Ogni qualvolta ci capita di utilizzare metafore come “scena”, “sipario”, “ribalta”,
“palco” o “teatro”, esse ci evocano sempre la stessa tipologia di teatro, quella cioè del
cosiddetto “teatro all’italiana”. Questo teatro ci appare dunque come il teatro consueto
e convenzionale.

Il teatro all’italiana
Il teatro all’italiana è una cultura teatrale che diviene ben presto una vera e propria
forma mentis. Questo insieme organico continua a rimanere tale, dal XVI al XX
secolo, attraverso alcune variazioni e evoluzioni: si tratta di un teatro riconoscibile ed
individuabile nei mille teatri sparsi per l’Europa, e nel mondo, tutti diversi tra loro. Ci
sono elementi caratterizzanti del teatro all’italiana: una certa strutturazione della sala e
della scena, il palcoscenico attrezzato di quinte e di soffitta praticabile, ci sono
elementi come il sipario e l’arcoscenico, nonché i palchi che avvolgono la sala. Nelle
diverse forme la sala è morfologicamente un cilindro chiuso dall’arcoscenico e dal
sipario.

Le origini in Italia
Il teatro all’italiana trova le sue origini nell’invenzione del teatro che il Rinascimento
italiano opera. Il teatro del Rinascimento si costituisce con linguaggi ed oggetti
culturali che vengono da tempi diversi e da differenti livelli di cultura. Il De
Architectura di Vitruvio contribuisce alla formazione di un modello di edificio per
spettacoli. Lo studio di Vitruvio è integrato dall’interesse di molti pittoriarchitetti:
l’idea del teatro assume in sé la volontà della rappresentazione prospettica dello spazio
urbano. Il Rinascimento segna quindi il passaggio vero e proprio dal “luogo degli
spettacoli” al teatro. Ne nasce però uno spazio del teatro che non è ancora quello del
‘900: la tipologia della scena e del teatro nel trattato del Serlio; la sala di corte del
vasari; il teatro accademico (l’Olimpico di Vicenza); il teatro di corte privato (il teatro
di Sabbioneta). Sono veri e propri punti d’arrivo delle sperimentazioni del teatro nel
Rinascimento, ma anche punti di riferimento per il teatro del Cinquecento ed il definirsi
del teatro all’italiana.

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Tra Cinquecento e Settecento, in Europa
In Europa, tra Cinquecento e settecento, gli spettacoli vengono fatti nei teatri delle
accademie, nei teatri di corte o dei nobili e poi in quelli pubblici. In Italia, tra fine ‘500
e primi ‘600, le tradizioni del luogo teatrale e della scena si concretizzano attorno alle
équipes di architettiscenografi. Sono questi spazi al chiuso o all’aperto, strutturati
sull’ideaforma dell’anfiteatro o del pubblico disposto a semicerchio, e in cui la scena
viene riempita anche in altezza. Il primo teatro pubblico in Italia si trova a Venezia,
nel 1637. Poi in Italia si iniziano a costruire edifici teatrali per tutto il ‘600 e pian
piano si definisce la tipologia del teatro barocco: una platea a forma di U, un’area
scenica profonda e attrezzata, uno spazio non delimitato da pareti ma da ambienti. La
tipologia che poi prevarrà è quella a “palchetti”. Intorno al 1640 il teatro all’italiana è
definito come spazio di relazione, interno ed assoluto, un ambiente che deriva e fonda
una forma mentis del teatro, ed è capace di inglobare in sé anche i teatri “diversi” in
Europa.
In Inghilterra, a partire dal 1576, si costruiscono teatri pubblici come il Theater, il
Globe. Sono però pertinenti al teatro barocco europeo, quindi connessi anche a quella
cultura rinascimentale da cui deriva il teatro all’italiana. D’altronde il tipico teatro
pubblico elisabettiano è “a forma di anfiteatro romano”. Non è pertanto estraneo alla
cultura teatrale del Rinascimento ed ha una sua definizione “classica”.
Simile è la situazione in Spagna, dove il primo teatro pubblico si aprì a Madrid nel
1579. Anche qui i teatri hanno una disposizione spaziale che non si oppone al modello
del teatro all’italiana: è uno spazio rettangolare con al fondo un palco, c’è una galleria
che corre intorno alle pareti e due luoghi scenici disposti su due diversi piani, entrambi
praticabili.
Per quanto riguarda la Francia, invece, i rapporti con l’Italia sono di carattere più
diretto e specifico: lo spazio teatrale si era definito, in Francia, in sale strette e lunghe;
la scena, pur influenzata da quella italiana, è ancora strutturalmente la scena
simultanea. Solo a metà Seicento il legame con l’Italia si farà organico tanto da
sviluppare, nel secolo XVIII, il modello francese del teatro all’italiana.

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Teorie dello spazio teatrale e pratiche degli scenografi
Alle origini del teatro all’italiana, gli architetti erano allo stesso tempo costruttori e
scenografi; questo legame durò a lungo. La figura dello scenografo si viene delineando
come colui che inventa lo spazio scenico, ma la sua opera si può concretizzare solo
grazie alla collaborazione di altre maestranze. Non si tratta unicamente di operai, ma
anche del macchinista e del pittore delle scene. Lo spazio richiede dunque uno staff, e
questo non è certo un aspetto di minore rilevanza nel definirsi del modello del teatro
“all’italiana”. Il mestiere dell’architetto non si limita alla sola costruzione materiale
dell’edificio teatrale: architetti e pittori, fin dal ‘500, raccoglievano libri di disegni,
bozzetti, schizzi e appunti che costituivano la ricchezza delle “botteghe”.
Ripercorriamo ora le modalità in cui si organizza lo spazio scenico: la sala
cinquecentesca, con l’impianto a U e gradinate della sala, si affronta ad un
palcoscenico in cui la scena è costituita da due file di quinte laterali e un fondale,
costruiti e/o dipinti. La sala barocca è a gradoni, logge e palchetti ma sempre più ad
“alveare”. A metà Seicento si utilizzano quinte piatte laterali in diagonale. La
scenografia barocca si separa dall’architettura e si specializza: con il moltiplicarsi delle
quinte il palco diviene profondo, le scene sono costruite direttamente sul palco e
rappresentano una prospettiva all’infinito. Per muovere le macchine ci sono funi,
tiranti, contrappesi, per uno spazio tutto usato, dal sottopalco alla soffitta. La
scenografia arriva così a costituire una vera e propria drammaturgia, visto che gli
spettacoli – e gli spettatori – richiedono sempre di più sorpresa, movimento, effetti.
Con il settecento si semplificano le scene e gli effetti e se ne riduce il numero.
Nell’Ottocento l’uso del sipario tra gli atti rende meno necessaria la mutazione a vista e
si sviluppano tecniche e spazi per diminuire i tempi di allestimento delle scene sul
palco tra un atto e l’altro. Prevalgono le “scenequadro” e diminuisce l’uso delle quinte
e si incrementano i fondali. Si sviluppano anche macchine idrauliche e meccaniche
(poi elettriche) per gli usi della scena e per mutarla. L’illuminazione, a gas e poi
elettrica, cambia radicalmente il rapporto scenasala ed i modi rappresentativi: ed ora la
ribalta ed il lampadario centrale, come il sipario ed i palchetti, divengono una tipologia
del teatro all’italiana.

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Norma e trionfo del modello
Le modalità di costruzione dei teatri si fanno mano a mano più tecniche: si privilegiano
sempre di più i problemi dell’acustica in un teatro in cui lo spettacolo delle macchine e
degli effetti cede il passo allo spettacolo delle passioni, degli attori e dei cantanti. C’è
una progressiva separazione tra i mestieri dell’architetto, dello scenografo, del
macchinista: gli scenografi fanno solo le scene e la macchineria diviene ingegneria
specializzata. Ne deriva che il teatro è sempre più un monumento della città. Nascono,
così, teatri in tutta Europa che si basano sul modello della sala all’italiana, ma il
trionfo del modello incrina la norma, la irrigidisce in tradizione conservatrice. I
mestieri si separano e specializzano, le forme variano e cercano altro. Il teatro
all’italiana, dunque, si irrigidisce nelle sue categorie, essenzializzando le sue funzioni.

La grande tradizione
Nell’Ottocento la sala teatrale barocca e settecentesca non esprime più un modello di
teatro, ma la sua tradizione ripetuta e accettata è di grande successo e gratificante per il
pubblico. Ci sono motivi chiaramente economici e culturali: l’esistenza di numerosi
teatri già costruiti determina e privilegia l’uso di queste sale; le abitudini del pubblico,
e degli uomini di teatro. Tanto più che il teatro diventa, nel XIX secolo, una
consuetudine largamente diffusa; andare al teatro è vita di società ed è il modo migliore
per avere fama ed onori. Il teatro dell’Ottocento è il monumento della borghesia,
fondato sull’impresariato ed organizzato come luogo sociale della città. La scenografia
stessa vive un momento di semplificazione, mirando alla costruzione di atmosfere
adeguate al testo, potenziando il realismo degli effetti illusionistici. La scenotecnica
diviene il punto forte dello spazio scenico, grazie sì alle nuove possibilità tecnologiche,
ma anche per la sostanziale rivoluzione che portano le nuove tecniche d’illuminazione:
nel 1850 tutti i teatri sono illuminati a gas, e nella seconda metà del medesimo secolo
si diffonde la luce elettrica. In un secolo di rivoluzioni e ridefinizioni, lo spazio del
teatro all’italiana si muove con la prudenza e la sicurezza delle forme consolidate. Ci
sono, e non potrebbe essere altrimenti, dei tentativi di rompere il modello, specie in
forme e funzioni diverse del palco o nella sala; oppure con la costruzione di teatri
all’aperto, all’”antica”, popolari; o anche piccoli teatri privati nelle case e nei salotti.
Lo spazio teatrale nel XIX secolo non è più solo l’oramai borghese teatro all’italiana:
la tradizione di questo modello, non più viva, non è più spazio del teatro creativo; ma,
nella memoria, resta lo spazio del teatro, un luogo della cultura europea.

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CAPITOLO TERZO: LO SPAZIO DELLE RAPPRESENTAZIONI
Il teatro all’italiana organizza, morfologicamente parlando, la sala e la scena in modo
unitario. La sua storia coincide con quella dell’istituzione teatrale: eppure riguarda
solamente il periodo cronologico che va dal XVI al XX secolo, e solo il teatro di
cultura europea. E’, per lo spazio del teatro, categoria culturale egemone, ma non
l’unica; c’è un altro modo di pensare ed organizzare lo spazio teatrale, quello cioè che
vede la rappresentazione stessa come elemento generatore dello spazio. Nel teatro di
cultura europea, lo spazio delle rappresentazioni ha una sua forte consistenza nel
periodo storico che precede il definirsi del teatro all’italiana, è presente durante
l’egemonia di quel modello e torna ad essere la base dello spazio teatrale nel XX
secolo.

Il teatro medievale
Una zona d’indagine è ovviamente il “prima” del teatro all’italiana, e cioè il teatro del
medioevo in Europa: innanzi tutto non ci sono edifici teatrali, non c’è nemmeno il
concetto di palcoscenico. I modi della rappresentazione costruiscono le relazioni attore-
spettatore, scenaazione fruizione; l’unica distinzione iniziale che la storiografia ha
saputo fornire era tra spettacolo itinerante (processionale e/o su carri) e spettacolo a
sede fissa, al chiuso oppure all’aperto. Gli spettacoli a sede fissa erano suddivisi in:
spettacoli a scena “piatta”, alla francese; la scena “volumetrica”, prevalente in
Germania, con serie di palchi singoli e tridimensionali, collocati in uno spazio urbano
all’aperto; e scena “circolare” prevalente in Inghilterra, con palchi singoli collocati
sulla circonferenza (ma anche al centro). La prima riflessione resta quella che non
esiste, nei teatri del Medioevo, una forma dello spazio teatrale e della scena, gli spazi
vengono costruiti dalla rappresentazione stessa. Questo vale certamente per gli
spettacoli a sede “fissa”, ma non solo: anche lo spettacoli itinerante è strutturalmente
simile. Quando il suo movimento si arresta, ed inizia la rappresentazione, anch’esso
entra in contatto con una platea. Il pubblico si sente avvolto dallo spazio della
rappresentazione: ma è uno spazio che in realtà non esiste. Lo spazio avvolgente,
grosso modo, è lo spazio del teatro medievale. Per quanto concerne la storia, il teatro
medievale muta notevolmente nei secoli e non si sviluppa secondo un principio di
evoluzione organico e coerente.

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Lo spazio dei professionisti
Per comprendere molti teatri nella storia occorre guardare come le pratiche
rappresentative abbiano costruito il loro spazio delle rappresentazioni.
Il teatro elisabettiano è un teatro di professionisti. Nella sua forma di edificio non si
oppone affatto al modello all’italiana, e viene letto come modello all’antica; tra fine
‘400 ed inizi ‘500 anche in Inghilterra si diffonde l’umanesimo, la conoscenza del
teatro antico e le riflessioni italiane; ma la rottura con il cattolicesimo, e i non
buonissimi rapporti con l’Italia, fanno del teatro elisabettiano un teatro in cui vecchia e
nuova cultura coesistono. Ciò che caratterizza in modo costante la specificità dello
spazio nel teatro elisabettiano è un teatro a piattaforma per l’attore. A definire
l’ambiente teatro è dunque la grande piattaforma di recitazione, disponibile e flessibile
per l’arte dell’attore, alle sue relazioni con il pubblico e con il personaggio. Questa
organizzazione professionale del teatro in Inghilterra definisce uno spazio del teatro
che non si oppone affatto al modello proposto dal teatro all’italiana, ma evidenzia una
alternativa strutturale: uno spazio per gli attori che vada a favorire anche la loro
relazione sia con il pubblico che con il personaggio.
Non è diverso, da questo punto di vista, lo spazio teatrale che si definisce in Spagna. Il
teatro spagnolo aveva come prototipo rappresentativo i tre carri che riunendosi in una
piazza formavano il palcoscenico. Anche in spagna il luogo teatrale, quando non è
all’italiana, è un ambiente determinato dalla grande piattaforma su cui agisce l’attore,
con risultati analoghi a quelli del teatro elisabettiano.
In Italia, dalla seconda metà del ‘500 fino agli inizi del ‘600, gli spettacoli, ed i relativi
spazi, non sono tutti uguali: c’è il teatro di sala, il teatro da torneo e da feste. Gli attori
agiscono a diversi livelli e, specie in Italia rappresentano ogni forma di teatro, dalla
farsa ai generi “colti”. Appartengono a diversi livelli sociali e culturali, e le compagnie
vere e proprie dei comici dell’Arte, prima di arrivare a recitare nei teatri di corte o
pubblici, recitano nelle “stanza per commedie”. Quindi si pensi ad una rete molto vasta
di tali “stanze”, adattabili a molteplici tipi di spettacoli a seconda della maggiore o
minore ricchezza degli impresari che affittano o delle compagnie ospitate.
I teatri all’italiana più poveri sono quelli dove è l’attore a creare la finzione del teatro
ed il suo spazio. C’è dunque, come si vede da questi esempi, uno spazio dell’attore
professionista in relazione con lo spazio del teatro in cui agisce e che ha nel palco il
vero e proprio nodo generatore dello spazio scenico e teatrale: la diffusione del
professionismo attorico genera un’essenziale unità dello spazio del teatro.
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CAPITOLO QUARTO: IL MAGAZZINO DEL NUOVO
Il teatro greco e romano
Ancora oggi, la presenza del teatro greco si basa su una morfologia di cui non si può
fare a meno di parlare: l’elemento generatore è l’orchestra, lo spazio circolare in cui
avviene l’azione; gli spettatori vi si raccolgono attorno. L’orchestra è lo spazio
originario ed essenziale; lo sviluppo dello spazio del teatro greco sta nell’aggregazione
di elementi funzionali che modificheranno la centralità dello spazio di
rappresentazione, orientandola verso lo spazio degli spettatori ad emiciclo e verso un
fondale che si articolerà in forme sempre più complesse; solo alla fine del secolo V
l’orchestra sarà rialzata grazie ad un piccolo scalino di pietra. Successivamente si
arriva ad una sostanziale modifica dello spazio del teatro: il nodo generatore non è più
l’orchestra, bensì il piano che ha come sfondo la skené ed è delimitato dai paraskenia.
Il centro di attenzione e di tensione si sposta dall’orchestra all’insieme piano skené-
paraskenia; dal coro all’attore, quindi.
Il teatro romano lo si studia come una evoluzione del teatro greco: la novità
fondamentale è in una autonoma costruzione architettonica. Si pensi a Vitruvio che, tra
il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., nel De Architectura definisce le tipologie del teatro
greco e romano, e ne indica le differenze. A Roma il primo teatro stabile è quello di
Pompeo, 55 a.C.; eppure l’organizzazione degli attori, già al tempo di Terenzio, ci
fanno pensare all’esistenza di spazi teatrali, anche se non permanenti. Del resto a
Roma si costruiscono tardi i grandi teatri di pietra, ma lo stesso non è nel Lazio e in
Italia: ci sono teatri non costruiti appositamente, ma realizzati tramite il recupero e
l’utilizzazione di architetture.
C’è quindi una storia molto complessa e non lineare degli spazi teatrali in Grecia, Asia
Minore, Africa, Sicilia, nei paesi italici, nell’impero romano; lo spazio scenico antico
non è solo quello dei teatri monumentali, né c’è una forma definita ed assoluta. Resta
il fatto che tutto ciò che il teatro occidentale, nel corso dei secoli, “inventa” o
“reinventa” è la morfologia del teatro greco e romano: quello greco è un teatro
semplicemente monumentale, a cui il teatro romano aggiunge la relazione urbana di un
edificio circolare organizzato per la comodità ed il piacere degli spettatori.

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Teatri d’Oriente
Con l’espressione teatri asiatici si intende indicare le numerose e diverse forme teatrali
dei paesi asiatici; con teatri orientali si indica la storia dei rapporti tra la cultura
occidentale e le culture dell’Asia, e dei modi in cui queste ultime sono state inserite
nella storia. Quella dei teatri asiatici è una storia complessa, con alla base l’espansione
di quattro grandi religioni (Induismo, Buddismo, Confucianesimo, Islam), a cui il teatro
è sempre strettamente connesso; in più non va dimenticato che, in Asia, danza e teatro
sono una realtà sola, legata alla musica: c’è alla base la fisicità dell’attore e l’utilizzo
del colore e dei costumi come base della scenografia.

Il teatro indiano
Ci sono varie forme di spettacolo ed il natya è quello che noi chiamiamo teatro, ovvero
una forma d’arte composta da elementi quali la danza, la musica, la pantomima, la
recitazione ecc. C’è una rigida composizione dello spazio, che fa risultare il miglior
teatro quello rettangolare (30m X 15m); il teatro tipico è poi diviso in due parti uguali:
una per il palcoscenico ed una per gli spettatori. Anche il palcoscenico è diviso in due
parti uguali (la zona dietro è lo spogliatoio), quella anteriore ancora in due parti, di cui
quella più avanzata è il luogo dell’azione. Il pubblico, in tutti i casi, deve essere ad un
livello più alto rispetto al palcoscenico. Lo spazio scenico essenziale è creato dal corpo
e dai movimenti dell’attoredanzatore.

Il teatro cinese
Si fonda, per quanto concerne lo spazio, sull’arte dell’attoredanzatore, sui costumi e
sugli accessori; non esiste una definizione dello spazio scenico come architettura
teatrale. Le pareti, infatti, hanno la sola funzione di proteggere e separare l’ambiente
dall’esterno, ed il tetto è l’elemento qualificante. Il palcoscenico è una piattaforma
rialzata con una stanza di servizio alle spalle; non c’è scenografia nel teatro classico
cinese: sala e palco sono decorati per essere belli ed efficaci. Le convenzioni del teatro
cinese si fondano su una minuziosa riproduzione di dettagli reali. L’omissione
consapevole della scenografia, naturalmente, esalta ed evidenzia lo spazio creato
dall’attore: proprio per questo possiamo parlare, nel caso del teatro cinese, di
scenografia dinamica.

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Il teatro giapponese
Tra i vari teatri giapponesi i più importanti sono il Nô, il Kabuki ed il Bunraku. Anche
in Giappone non c’è uno spazio del teatro ben definito creato dal palcoscenico: lo
spazio scenico viene creato dall’attore.
La scena del Nô è caratterizzata da: la presenza del tetto che ha valore strutturale; è
segno di unità spaziale, visto che le mura perimetrali non definiscono l’edificio e non
danno unità di spazio. Ma soprattutto il tetto definisce il luogo della rappresentazione,
segnando il luogo sacro. Il palcoscenico à una piattaforma, alta circa un metro, con una
piccola scala verso il pubblico; il palcoscenico è delimitato dai quattro pilastri che
reggono il tetto.
Posteriore, ma immediatamente di largo successo, è il Kabuki. Il Kabuki è spettacolo in
movimento, ed ha sviluppato una notevole scenotecnica. Le scenografie sono attrezzate
per diversi effetti, come terremoti, incendi, voragini ecc. Lo spazio scenico circonda lo
spettatore, gli offre la visione migliore per le scene più forti; l’edificio teatrale è un
contenitore, la scena è lo spazio della visione: anche qui sono importanti i movimenti, i
costumi ed i colori dell’attore.
Il Bunraku è un teatro di marionette, accompagnate da musica e canto, che ha origine
alla fine del Cinquecento. All’inizio vi è solo una scena stretta ed allungata, con un
piccolo sipario, all’aperto; si sviluppa però rapidamente in una scena profonda
incorniciata da un proscenio. All’inizio del XVIII secolo i burattini divengono alti fino
a due metri, manovrati sulla scena; e la scenografia diventa realistica.

I teatri di piazza e di strada


I teatri di strada non sono un “prima” logico del teatro, né tantomeno un “prima”
cronologico: sono una realtà parallela di lunga durata. Si può pensare dunque ad un
teatro all’aperto che riproduce modalità esistenti dei teatri al chiuso. Lo spazio del
teatro, in questo caso, è essenzialmente uno spazio di relazione, uno spazio sociale,
creato da una manipolazione della realtà ambientale. La scenografia urbana può essere
utilizzata senza apportare modifiche, o con interventi che delimitino lo spazio; lo
spazio scenico può essere “fisso” (palchi) o “mobile” (spettacoli itineranti), ed anche
gli spettatori possono seguire lo spettacolo oppure avere un posto fisso. Nella sostanza
il teatro di strada è l’attore, che occupa uno spazio del vissuto ed attira l’attenzione;
tutto dipende da lui.

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CAPITOLO QUINTO: LE APERTURE DEL ‘900 CON I POSSIBILI SPAZI
DEL TEATRO
I luoghi del teatro e dello spettacolo nell’Ottocento
L’inizio risiede nel Romanticismo, e cioè in un teatro che rifiuta ogni omologazione a
modello e che si arricchisce di spazi nuovi. L’edificio teatrale si propone come
monumento della città, una funzione della società; ogni città si qualifica per la
cattedrale, il palazzo comunale ed il teatro (anche la più piccola). La rivoluzione del
teatro romantico sta nel progetto di un rifiuto di un teatro fatto tramite i cliché del
teatro stesso; il dramma romantico, pertanto, risulta a volte “non teatrale”. Nuova
mentalità e nuove tecnologie cambiano lo spazio del teatro, andando contro la
standardizzazione del “teatro all’italiana”. Queste nuove tecniche, come
l’illuminazione a gas, cambiano totalmente la scena, visto che la luce può essere
variata d’intensità e controllata; la scenografia è caratterizzata da imponenti
allestimenti e grandiose quinte. Dunque, nell’Ottocento, il teatro si deve confrontare
con i diversi spazi dello spettacolo contemporaneo. Ne nasce una frattura che porta gli
uomini di teatro a ripensare lo spazio del teatro stesso nella sua specificità di uso e di
funzione: si pone il problema di quale spazio per quale teatro, senza l’ossessiva
presenza egemonica della morfologia del teatro all’italiana. Il teatro diventa “un”
teatro: si continuano a costruire teatri, ma soprattutto si adeguano – nella sala e nella
scena – per renderli funzionali alle nuove esigenze; questi edifici teatrali, nuovi o
restaurati, più o meno attrezzati e meccanizzati, conservano rinnovandolo uno spazio
del teatro che è anche una “memoria” del teatro, una cultura ed un ambiente; si
sviluppa una reazione alla scena “semplice”, sentita come “shakespeariana”, ed
influenzata dal mito rinnovato della scena greca. Ma la grande rivoluzione è il teatro di
Wagner, celebrato come la definitiva rottura con il teatro all’italiana: la prima
differenza che salta agli occhi è che si tratta di uno spazio pensato a monte per
l’esecuzione delle sue opere, ovvero uno spazio funzionale ad “un” teatro; la macchina
scenica del teatro all’italiana viene conservata, tuttavia sopprime la buca del
suggeritore, rende neutra la ribalta, elimina il proscenio tipico e ne realizza uno triplo.
Resta immutato, invece, il palcoscenico. Da Wagner il teatro del Novecento erediterà
non solo la realizzazione di un anfiteatro per la visione e l’acustica ottimali, ma anche
la distanza salascena e, soprattutto, la rottura con uno spazio codificato, il
cambiamento di mentalità.

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La realtà della scena: Naturalismo e Simbolismo
Nel XIX secolo, i modi di produzione delle scenografie sono assai organizzati: i pittori
di scene sono professionisti che forniscono in serie gli ambienti richiesti, già
predisposti oppure eseguiti su committenza; alla scenografia, fin dagli anni sessanta
dell’Ottocento, si aggiungono oggetti reali (mobili, tappeti, oggettistica di vario tipo).
Dilaga la pittura realistica dei panorami. Nelle poetiche del Naturalismo e del
Simbolismo lo spazio scenico diviene vera e propria arte che cambia l’ambiente
spaziale del teatro. Lo spazio teatrale resta frontale e si basa sulla separazione netta tra
sala e scena: così lo spazio scenico viene profondamente rinnovato; il realismo storico
si spinge fino all’estremo, cercando non solo la verità ma soprattutto l’autenticità dei
fatti narrati. I dettagli sono perfetti: non si vuole una descrizione, bensì si cerca una
realtà; la scena non è solo un effetto per il pubblico, ma viene assunta come una vera e
propria realtà drammaturgica: il teatro è l’insieme omogeneo dell’attore e della scena, e
ciò significa una novità sostanziale. Naturalmente si usano tecniche nuove di zecca,
come la luce elettrica ed un utilizzo drammaturgico della luce stessa. La verità sulla
scena si esalta con il teatro naturalista di Antoine, che nel 1887 fonda il Théâtre Libre
sposando le teorie di Zola: in Antoine lo spazio scenico è l’ambiente dei personaggi ed
ha la funzione delle descrizioni nei romanzi; è un condizionatore dei personaggi e dello
loro azioni: e come tale deve essere “vero”. Falsità della scena come falsità
conseguente dei personaggi: quindi la realtà della scena è una funzione più dei
personaggi che degli spettatori. La realtà dello spazio scenico scaturisce logiche
conseguenze: innanzi tutto lo spazio resta chiuso in sé, e diviene variabile in funzione
dell’azione drammatica; è il luogo del personaggio, quindi gli attori non devono usare
né il proscenio né la relazione con il pubblico (e quindi la sala è al buio, come già
accadeva nel teatro di Wagner). Inoltre la scena è tridimensionale, con oggetti disposti
non a favorire la visione dello spettatore bensì i movimenti del personaggio in un
ambiente reale.

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Ricerca di senso: Fuchs, Appia, Craig
Fuori dai teatri commerciali, e contro il teatro borghese, si cercheranno nuovi sensi e
valori dello spazio del teatro perché si vuole un altro teatro, antinaturalistico ed
essenziale. Per Georg Fuchs il senso del teatro si ridimensiona: il teatro non è finzione
ma festa e rito. Lo spazio dell’attore non è “altro” rispetto a quello dello spettatore, ed
il luogo scenico è creato dal movimento ritmico del corpo umano nello spazio. Di
quest’ultimo il teatro non può proprio fare a meno, come può fare invece per le parole,
i suoni, gli effetti. Per Fuchs lo spazio scenico è modificabile, la luce ed il colore
costantemente al servizio dei movimenti dell’attore. La scena non deve essere
condizionata da spazi predeterminati.
Ben più radicali sono le idee di Appia e Craig, che avranno lunga influenza nel secolo
XX°: essi partono dalla ridefinizione totale del luogo dell’azione scenica. Appia è uno
scenografo regista la cui riflessione sulla scena dilata ad una concezione totalizzante
del teatro. Da un lato c’è la pratica, incentrata sulle messinscene wagneriane; dall’altro
lato la teorizzazione che lo spingerà all’estremo: la scena di Appia è fondata sul
volume e sulla luce attivati dalla “resistenza” dell’attore. Il movimento dell’attore crea
lo spazio scenico, materiale e praticabile, percorribile quindi dall’attore e non solo
indicato dalla pittura; la luce anima il rapporto attorespazio. E la sala non è separata,
perché è una parte del luogo unico che è il teatro. Appia può progettare le sue scene
anche in sale all’italiana: la sua scena è sempre frontale.
Anche Craig non si preoccupa della frontalità salascena o del luogo degli spettatori;
pensa le sue scene in un quadro scenico tradizionale. Anche in lui la rivoluzione è
sostanziale: crea un nuovo spazio, dove lo spettatore sia chiamato a partecipare. La
scena di Craig non è descrittiva ma suggestiva e sintetica. Gli scritti di Craig si
intrecciano alle messinscene, ai disegni e ai progetti: si scopre la teoria del regista
come creatore dell’opera d’arte teatrale, e si teorizza la “Supermarionetta”.
Appia e Craig non sono importanti solamente perché fondano il concetto di regia, ma
anche e soprattutto perché hanno rivoluzionato lo spazio della scena e lo spazio del
teatro invertendo i valori: lo spazio scenico è movimento drammatico, non illustrazione
del dramma. Il problema dello spazio non è come e dove mettere gli spettatori, o come
creare lo sfondo della rappresentazione; lo spazio del teatro diviene il sistema di
relazioni in cui il teatro consiste.

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Ricerca di valore: Stanislavskij
Il problema dello spazio del teatro, che viene consegnato al nostro secolo, è quello di
un luogo attrezzato per vedere spattacoli e quello di un luogo creativo per
l’espressione artistica. Il senso d’insieme lo si può individuare osservando
Stanislavskij: il percorso dei suoi spettacoli e quello della sua ricerca del lavoro
dell’attore implicano scelte sullo spazio del teatro e sullo spazio scenico. Il Teatro
d’Arte di Mosca inizia il suo lavoro al vecchio e ripulito Teatro Ermitage, con pessima
acustica e pochi posti (circa 800);eppure le scene realistiche degli allestimenti
innovano lo spazio scenico. Ma è solo nel 1902 che le premesse del 1897 possono
realizzarsi: non si costruisce un nuovo edificio, bensì si ristruttura il Teatro Omon, un
ex hotel. L’ambiente è comodo e confortante, con una sala a forma di U e poltrone che
ne seguono l’andamento; ci sono due gallerie (niente palchi) e le pareti della platea
delimitano lo spazio. La sala è tradizionale, impropriamente definita all’italiana,
profonda circa 21 metri e larga quasi 24. L’insieme è progettato in modo da non
distrarre i 1100 spettatori, costantemente invitati a calarsi nella serietà dell’arte; la
scena, dinanzi la sala, è separata da un sipario di tela grossa ed il palcoscenico è più
grande della sala. Il palcoscenico ha un’attrezzatura moderna in ferro: c’è al centro una
piattaforma girevole (cosa rara a quei tempi) perfezionata in modo da avere una botola
per abbassare o rialzare la piattaforma azionata da motori elettrici. Soppressa la ribalta,
i riflettori sono collocati in alto e, a fianco della buca del suggeritore, c’è una cabina
con una tastiera elettrica in grado di manovrare la luce della scena e del teatro, e di
regolarne l’intensità. Il teatro di Stanislavskij è un tempio: è improntato sull’etica e
sulla disciplina (si arrivò ad attori che non uscivano a ringraziare il pubblico alla fine
degli atti, oppure alla richiesta di puntualità da parte del pubblico); lo stesso
Stanislavskij vuole un pittorescenografo che conosca l’arte del teatro, con cui lavorare
a messinscene realistiche in cui, oltretutto, si sostituisce la classica piantazione
rettangolare con uno spazio mosso e variato. La luce attiva e drammatica e l’oggetto
materiale restano gli strumenti perché la scena sia funzionale all’attore.

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CAPITOLO SESTO: IL NOVECENTISMO DEI PITTORI, DEGLI
ARTISTI E DEGLI ARCHITETTI A TEATRO
Inizialmente nel pensare lo spazio del teatro del Novecento c’è la rivoluzione
ideologica e sistematica proposta da FuchsLittmann, da Appia e da Craig: i princìpi
sono quelli della realtà della scena come materiale generatore dello spazio teatrale,
dello spazio come linguaggio espressivo dell’opera e quindi del regista. La scena
aperta porterà all’abolizione del sipario; il montaggio, la simultaneità, la pluralità dei
luoghi nel tempo e nello spazio si apriranno ad ogni forma possibile. Lo spazio non
sarà più quello “reale” degli spettatori e quello “finto” degli attori.

La scena delle avanguardie


Gran parte della storia dello spazio scenico nel XX secolo sono ricerche e
sperimentazioni che cambiano il teatro ed il suo spazio. Il teatro delle “avanguardie
storiche” se non è stato una vera rivoluzione ha certamente contribuito a modificare e
riformare i modi rappresentativi e la cultura dello spazio teatrale. I punti di partenza
comuni sono il rifiuto di una scena che produce l’illusione della realtà fenomenica, la
volontà di non separare pubblico e scena, la scissione dramma e teatro, la liberazione
espressiva; ed anche l’esperienza del cabaret futurista dadaista ed espressionista.
Diffusa è la tecnica del montaggio, nell’interazione con la pittura e in quella più
profonda con il cinema: così lo spazio del teatro si cerca fuori dal teatro, anche se la
tendenza prevalente è quella di rifondare la struttura e la forma architettonica della sala
sul modello di Wagner. Le molte ricerche delle avanguardie europee hanno un evidente
debito verso il primo Futurismo di Marinetti, per la distruzione dello spaziotempo
scenico, la tecnica della sorpresa, la rottura della scatola ottica e l’abolizione della
ribalta. Il Futurismo vuole investire globalmente lo spazio del teatro, in senso eversivo.
La scena come elemento creativo del teatro è alla base anche di quegli scenografi dei
primi anni Trenta che, negli Stati Uniti, daranno vita alla New stagecraft, un
movimento strettamente legato alle avanguardie europee ma soprattutto ad Appia e
Craig e al teatro di Stanislavskij, Reinhardt e Copeau. I teatri d’arte, svilupperanno
scene semplici e simboliche, specie quelle del Group Theatre, intorno al quale si
stringe la New Stagecraft. Più che il movimento d’insieme, però, saranno i singoli
artisti e le singole personalità a dare novità e suggestioni.

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Il teatro degli architetti
Per le nuove scene occorrono nuovi teatri, ma l’edificio teatrale è una costruzione
costosa e duratura. E’ questa una profonda contraddizione che porterà alla separatezza
tra i teatri degli architetti e quelli degli uomini di teatro. Negli anni cinquanta del
Novecento questa contraddizione arrivò a far pensare all’inutilità di costruire edifici
teatrali; per il costo, il riutilizzo di edifici esistenti, l’uso di spazi non destinati al teatro
e il costante esodo degli uomini di teatro. Ci sono i vecchi teatri “all’italiana” e ci sono
teatri nuovi, progettati per ospitare al meglio spettacoli, con palcoscenici attrezzati e
con una sala rivolta verso il palcoscenico stesso; questi sono i teatri più diffusi,
sostanzialmente simili ed unificati sotto la dicitura morfologica di “ teatri a proscenio”,
data la frontalità sala scena. Altra morfologia diffusa è quella del teatro derivato da
quello greco ed elisabettiano: non nel senso della ricostruzione storica, ma in quanto
strutturato sull’unico spazio che comprende sala e scena. Così la sala può essere
rettangolare o ad anfiteatro, gli spettatori a semicerchio, frontali, o su tre lati. E’
l’assenza dell’arcoscenio che caratterizza questa morfologia, la cosiddetta “sala aperta”.
E ancora c’è il teatroarena, la sala organizzata con una zona centrale con il pubblico
attorno; oppure con la scena intorno agli spettatori posti al centro. Non vanno
tralasciati i teatri “totali”, trasformabili, adattabili, che possono divenire una qualunque
tipologia di teatro; ma ci sono anche i teatri mobili, che si possono spostare e quindi
allestire ovunque. In pratica non esiste forma o spazio del teatro che il Novecento
abbia tralasciato. E non c’è neppure una reale successione cronologica di tali
morfologie quanto una loro compresenza.

Di fronte al teatro possibile


Le tipologie del teatro come edificio si consolidano solo nel secondo dopoguerra: ci
sono teatri a scena centrale, anulare, oppure sferici. Ma il problema più studiato ed
indagato è quello relativo all’adattabilità e flessibilità dello spazio: la sala riducibile
con pareti e soffitto scorrevoli, gradinate rientranti per modificare lo spazio, pavimenti
elevabili a più livelli; oppure l’aggregazione in uno stesso complesso di più sale dalle
caratteristiche diverse. Una variante è quella proposta dal riuso di spazi preesistenti, in
cui l’architettura teatrale si innesta come spazio interno: dal classico anfiteatro alla sala
attrezzata, fino all’edificio nell’edificio.

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CAPITOLO SETTIMO: IL TEATRO DEGLI UOMINI DI TEATRO
Nel Novecento lo spazio del teatro diventa, più che un problema “artistico”, un
problema di mercato. Le sale si vogliono utilizzare più per ospitare spettacoli che per
veri e propri luoghi dell’arte del teatro. La cultura teatrale del XX secolo ha una forte
coerenza e unità nella ricerca e nella sperimentazione: si va dalla riforma dello spazio
teatrale proposto da Wagner allo spazio proposto da Appia.

La scena espressiva cinetica: Mejerchol’d


Il lavoro di Mejerchol’d copre i primi quattro decenni del secolo XX: in Russia egli
segue una sua profonda coerenza nella ricerca di un teatro che sappia esprimere e
promuovere una società diversa. Per Mejerchol’d non serve una riforma per
trasformare l’edificio teatrale, ma una rivoluzione: per lui il teatro è un tutto unico non
divisibile in sala e scena, e che alcune convenzioni rendono il tutto meno accogliente
per attori e spettatori; dichiara inoltre che si deve lottare contro la staticità dell’edificio
teatrale a favore di un dinamismo, e presenta il progetto per il nuovo teatro: a pianta
ellittica, con un grande anfiteatro per il pubblico, una arena centrale ed una alla fine
della U dell’anfiteatro.

Tutti gli spazi possibili: Reinhardt


Lo spazio come strumento di relazione attorespettatore, la scenografia come
espressione drammaturgica e come strumento dell’attore, la rottura con uno spazio
codificato e la ricerca di un ambiente nuovo sono elementi costanti nell’avanguardia
teatrale del XX secolo; e lo è anche per Max Reinhardt. Per Max Reinhardt ogni
spettacolo ha il proprio spazio, con una scena che utilizza la tecnologia e
l’illuminazione per creare il luogo ideale per l’attore: un luogo dove si trovi la verità
del personaggio. Grazie all’esperienza di Reinhardt, ben presto dilaga sia in Europa che
in America la consapevolezza che lo spazio è un linguaggio della rappresentazione e
non un dato a priori; che diversi spazi sono necessari per differenti opere; che il ritmo
dell’azione, la relazione attorespettatore, quella tra spettatore e spettacolo, sono
modalità creative del regista. Il teatro può essere creato ovunque, purché si crei
all’attore lo spazio giusto per agire in un contesto. Reinhardt introduce importanti
innovazioni: a parte la scena girevole, introduce la “consolle” per il controllo delle
luci.

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Alle origini dello spazio teatrale: Jacques Copeau
Con evidente compiacimento, Jacques Copeau sottolinea come il suo teatro sia
perfettamente agli antipodi di quello di Reinhardt. Per Copeau, infatti, ogni tecnicismo
è più o meno vano ed occorre non riformare o rivoluzionare il teatro, bensì per
rifondarlo. Non lo scenografo, ma l’architetto ed il poeta sono i punti di riferimento per
lo spazio teatrale, di cui l’attore è il centro; la scena che ne deriva è, pertanto, uno
spazio in funzione dell’arte del teatro, così come la sala: uno spazio architettonico per
una recitazione fisica che vada a costituire la poesia del teatro. In questo modo Copeau
crea le basi per un rifiuto del teatro esistente e del bisogno di un altro teatro che lo
porterà a fondare, nel 1913, il Vieux Colombier. La posizione teorica viene espressa
nel manifesto del 1913: lo spazio chiede una scena non realistica ma sintetica e
stilizzata, senza tecnicismi esterni al dramma vero e proprio; si oppone alle tecniche,
alle teorie ed alle formule. Povertà scenica ed onestà di interpretazione permettono che
il testo reso vivo nell’attore crei lo spazio scenico necessario, in una messinscena che
suggerisca e concentri l’attenzione. L’interruzione della guerra, la visita di Appia e
Craig, l’esperienza americana, la riapertura del Vieux Colombier, sviluppano e
precisano poi la poetica di Copeau ed il suo spazio scenico: la sala nuda e l’ambiente si
riorganizzano in un pensiero consapevole. La rifondazione del teatro si incentra sulla
“forma drammatica”. Lo spazio ritmico diviene l’essenza della composizione teatrale
di Copeau. Per rifondare il teatro, perché nasca una nuova e vera drammaturgia, il
teatro ha bisogno di formare un nuovo attore e di avere uno spazio architettonico ben
chiaro e stabile. Il Vieux Colombier è un luogo di uomini del teatro e non solo una sala
per spettacoli; ed anche per questo motivo crea l’ambiente e l’atmosfera che qualifica
lo spazio del teatro.

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Grotowski e lo spazio di relazione
Lo spazio scenico come modalità drammaturgica diviene così un dispositivo di
relazione sulla scena e di relazione con gli spettatori. E’ questo il filo rosso che
attraversa le ricerche degli uomini di teatro intorno allo spazio nel nostro secolo e che
possiamo ritrovare anche nelle due polarità a cui più si è riferito il teatro a noi
contemporaneo: il teatro della crudeltà di Artaud e quello epico di Brecht. L’istanza di
Artaud è di organizzare i mezzi teatrali nel teatro come simboli e di restituire valenze
metafisiche al linguaggio, ai gesti, ai movimenti, ai suoni, alle scenografia. Brecht
realizza le sue opere in spazi teatrali tradizionali; ma se ne serve come strumento per
contraddirli, a cominciare dal non nascondere con le scene il palcoscenico, esibendone
le luci, i meccanismi, l’artificialità per creare finzioni. Il suo è un ambiente scenico
polivalente, composto di strutture leggere modificabili nel corso dell'azione e di oggetti
funzionali, con strutture tecniche semplificate. In questa direzione si muove anche
Jerzy Grotowski, che ha sperimentato fino alle estreme conseguenze. Il nodo essenziale
e generatore del teatro è la relazione attorespettatore: di qui il luogo scenico può essere
solo il medium cinetico per l’attore, e lo spazio del teatro non può essere altro che una
organizzazione dello spazio capace di orientare i due gruppi che lo rendono possibile,
cioè gli attori e gli spettatori. Lo spazio non diviso in sala e scena è quindi unitario, e
consente che lo spazio del teatro venga determinato per ogni nuovo evento
rappresentativo. Il teatro “povero”, che si basa sulla relazione attorespettatore, vuole
uno spazio semplice tutto da organizzare, ed ottiene così una libertà ed una ricchezza di
possibilità che va oltre i condizionamenti dello spazio teatrale. Anche per quanto
riguarda lo spazio del teatro c’è uno sviluppo organico e coerente in Grotowski: ogni
spettacolo ha una sua forma e organizzazione dello spazio teatrale
drammaturgicamente attiva. Il teatro di Grotowski è oramai un teatro totale incentrato
sull’attore, e lo spazio del teatro è oramai ambiente di esperienza. Non c’è
suddivisione tra scena e platea, non c’è scenografia: c’è uno spazio organizzato in
modo unitario perché gli spettatori facciano anch’essi l’esperienza di un evento
insieme agli attori.

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