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Dialisi e trapianto

Terapia sostitutiva:
Emodialisi extracorporea
 Emodialisi standard
 Dialisi alternative
Dialisi peritoneale
Trapianto renale
Quando si parla di terapia sostitutiva s’intende: una dialisi extracorporea che può essere
rappresentata da un’emodialisi standard o da dialisi alternative (che sfruttano delle proprietà
particolari delle membrane). La terapia sostitutiva è rappresentata anche dalla dialisi peritoneale
(che in passato veniva definita come emodialisi intracorporea) oppure dal trapianto renale.
Le principali funzioni del rene nativo sono:

Funzione escretoria attraverso l’eliminazione/rimozione dei prodotti


di scarto che derivano dalla degradazione del
metabolismo
Funzione omeostatica attraverso il mantenimento dell’equilibrio:
 idroelettrolitico
 acido base
 calcio-fosforo (o definito anche metabolismo
minerale), ecc…
Funzione endocrina attraverso la produzione di eritropoietina,
attivazione della vitamina D, ecc…
La terapia dialitica è in grado di sostituire/supplire le prime due funzioni renali, ossia la funzione
escretoria ed omeostatica. Attraverso la dialisi, infatti:

 Si eliminano i soluti ritenuti in corso di uremia attraverso due processi fisici che sono la
diffusione e la convenzione
[FUNZIONE ESCRETORIA]
 Viene rimosso l’eccesso di acqua attraverso il processo fisico dell’ultrafiltrazione e sodio
attraverso il processo fisico della convenzione
[FUNZIONE OMEOSTATICA]
 Vengono ripristinate le normali concentrazioni di potassio e degli altri elettroliti attraverso il
processo fisico della diffusione
[FUNZIONE OMEOSTATICA]
 Viene ristabilito un normale equilibrio acido base, dando il bicarbonato al paziente che si
trova in acidosi metabolica attraverso il processo fisico della diffusione
[FUNZIONE OMEOSTATICA]
 Viene ristabilito un normale equilibrio calcio/fosforo, dando calcio al paziente che si trova in
ipocalcemia attraverso il processo fisico della diffusione
[FUNZIONE OMEOSTATICA]
Con la dialisi non è possibile sostituire la funzione endocrina renale; in quest’ottica interviene
la terapia dialitica medica con iniezioni di EPO e con la somministrazione orale o endovenosa
di vitamina D.
Vi sono dei processi fisici alla base della dialisi, costituiti da:
1) diffusione: processo fisico attraverso il quale vi è il passaggio dei soluti dal sangue al
dialisato e viceversa attraverso una membrana ad essi semipermeabile; avviene secondo
gradiente di concentrazione ai due lati della membrana (dal compartimento della
membrana a maggior concentrazione di soluto a quella a minor concentrazione di soluto),
con passaggio pressoché nullo di solvente.
Il dialisato (ovvero il liquido di dialisi) che viene a
contatto con la membrana semipermeabile e grazie
ad essa con il sangue, infatti:
non contiene sostanze quali urea, fosforo,
creatinina, azoto, prodotti acidi;
contiene invece bicarbonato, calcio e
potassio.
Tali sostanze sono contenute con una
concentrazione molto più elevata nel sangue  per
cui ai due lati della membrana si crea questo
gradiente di concentrazione monodirezionale che
determinerà il passaggio di urea, acido urico,
creatinina, fosforo, ecc… dal sangue al liquido di
dialisi con conseguente rimozione di tali sostanze.

2) convenzione o trasporto convettivo: in cui il passaggio dei soluti dal sangue al dialisato o
viceversa attraverso la membrana avviene per trascinamento da parte del solvente
(acqua), che viene forzato ad attraversare la membrana per effetto di forza idrostatiche
in corso di ultrafiltrazione. In altre parole, portando via liquido del sangue, verranno
eliminate anche le sostanze disciolte nel sangue 
perché l’acqua non si muove mai da sola.
Il trasporto convettivo:
permette la rimozione di sodio in emodialisi standard
acquista maggiore importanza nelle dialisi alternative
 ovvero quelle dialisi in cui è possibile rimuovere
fino a 15-20 L di acqua al paziente e con esso anche
tutte le sostanze disciolte (soluti di medio PM quali
creatinina, urea, potassio, fosforo, acido urico, sodio,
ecc…) in tali 15-20 L  però sottrarre una quantità
così enorme di liquidi non è possibile perché
porterebbe il paziente alla morte nel giro di mezz’ora,
per cui contemporaneamente alla rimozione di questi
liquidi bisognerà somministrare grosse quantità di
liquido (17-18 L) al paziente. Quindi, se si vogliono
eliminare 3 kg (o litri) di acqua plasmatica e la dialisi alternativa è impostata a 20 L di
sottrazione, ne somministreremo 17 L in modo tale che la differenza (20-17) sia pari a quei 3
L in eccesso di acqua plasmatica che dovranno essere rimossi al paziente.

3) ultrafiltrazione: si tratta di un trasferimento netto di acqua plasmatica dal sangue al


dialisato per differenza di pressione idrostatica tra i due compartimenti/lati della
membrana. L’ultrafiltrazione avviene:
in corso di dialisi (per cui oltre ai soluti si rimuove anche l’eccesso di acqua)
o in alternativa alla dialisi (l’ultrafiltrazione isolata per la sola rimozione di liquidi
e sodio) come nel caso di pazienti con scompenso cardiaco che non rispondono
più al trattamento farmacologico con i diuretici
L’ultrafiltrazione (in parte anche la convenzione e la diffusione) dipende da 3 fattori:

permeabilità idraulica della membrana che dipende dalla composizione molecolare della
membrana (idrofilia/idrofobicità, composizione
chimica, spessore, porosità, ecc…)
superficie di membrana cioè l’area deputata agli scambi

pressione transmembrana (somma dei In particolare:


valori di pressione idrostatica, cioè quella la pressione presente all’interno del
che si applica al compartimento ematico, compartimento ematico noi non l’andiamo a
e di pressione del dialisato, cioè quella modificare, poiché è la pressione idrostatica
che si applica al compartimento del del sangue che è presente all’interno del
dialisato  più alta è la pressione circuito extracorporeo ed è positiva.
transmembrana maggiore sarà quella su cui andiamo ad agire è la pressione
l’ultrafiltrazione del paziente) del dialisato (o pressione di aspirazione),
presente all’interno del compartimento del
Le attuali macchine di dialisi non fanno dialisato che è negativa.
impostare la pressione transmembrana In particolare: il sangue viene spinto a pressione
ma quest’ultima viene regolata positiva nel compartimento ematico e il liquido di
automaticamente dalla macchina, in dialisi viene tenuto a pressione negativa in modo che
funzione del calo di peso impostato l’acqua del sangue passi attraverso la membrana
(corrispondente alla quantità di acqua seguendo il gradiente pressorio transmembrana
che si vuole rimuovere durante la dialisi). eliminando l'acqua accumulata/in eccesso nel corpo.

LIQUIDO DI DIALISI
Il dialisato viene prodotto durante il trattamento emodialitico diluendo alcune soluzioni concentrate
di sali con acqua di rete, resa ultrapura (contenente solo idrogeno e ossigeno e privo di altri soluti
o contaminanti batterici  attraverso un processo definito di osmosi inversa) da parte del modulo
dialisato.
In genere si usano due soluzioni concentrate:
una acida, che contiene elettroliti e glucosio
una basica, che contiene bicarbonato e NaCl

Rene artificiale

La figura a sinistra è un esempio di macchina per


la dialisi; viene detta anche “rene artificiale”.
Questo tipo di macchine sono dotate di due
moduli:
 uno superiore (monitor): consente
l’impostazione del trattamento dialitico, ovvero di
regolare la prescrizione dialitica [cioè il tempo, la
velocità di dialisi, la regolazione della
concentrazione di sodio, di bicarbonato, la
velocità con cui viene sottratto peso al paziente,
la temperatura]
 inferiore (connettori di colore bianco e giallo  in cui si
attaccano alle 2 soluzioni concentrate): è la parte
del modulo dialisato; in base ai dati ai dati
precedentemente impostati, la macchina forma il
Come lo forma? La macchina prende l’acqua di
rete (resa ultrapura) la miscela con le 2 soluzioni concentrate (attaccate ai connettori giallo e
bianco) e una volta avvenuta la miscelazione la riprende e attraverso i tubi superiori, che vengono
collegati al filtro, fa passare il liquido di dialisi nel compartimento del dialisato.

Composizione e gradiente di concentrazione

Il liquido di dialisi ha una composizione elettrolitica simile a quella del liquido extracellulare  per
cui quando il liquido di dialisi viene in contatto con il sangue si verificheranno dei movimenti di
soluto dal sangue da un compartimento ad un altro (e viceversa) a seconda delle impostazioni che
si daranno alla macchina. Il liquido di dialisi, in particolare, contiene sostanze quali: …

Nella prima colonna della tabella sono indicati i valori dei soluti presenti nel liquido di dialisi; la colonna centrale con la scritta “sangue” indica le ipotetiche
condizioni ematiche di un paziente che si deve sottoporre a dialisi. Le frecce indicano come si dispongono i soluti dal sangue al dialisato.

Sodio e Cloro Possono passare dal sangue al dialisato e viceversa in base alle
impostazioni fatte sulla macchina
Glucosio Passa dal dialisato al sangue e si dà per assicurare una stabilità
vascolare; previene l’ipoglicemia.
Bicarbonato Passa dal dialisato al sangue perché nel dialisato la concentrazione è
molto elevata (30-35 mEq/L  la concentrazione normale è 25-27
mEq/L). Nel dialisato le concentrazioni di bicarbonato sono molto alte
per:
 garantire, da un lato, un gradiente di concentrazione che
permette il passaggio di bicarbonato dal dialisato al sangue
del paziente
 permettere, dall’altro lato, al paziente di avere una “scorta” di
bicarbonato durante il periodo/intervallo interdialitico (48-72h)
 per compensare all’accumulo di acidi che avrà nei giorni
che seguono la dialisi (in cui il paziente a causa dell’accumulo
di acidi andrà in deficit di bicarbonato), ragion per cui i pazienti
che devono sottoporsi alla dialisi arrivano in una situazione
clinica di acidosi e lasciano l’ambulatorio in alcalosi.
Calcio Il calcio presente nel liquido di dialisi può variare da 1,5/3 mEq/L  si
tratta in realtà di calcio libero, ovvero non legato a proteine (albumina),
per cui l’equivalente di 9,2 mEq/L in termini di calcio libero equivale a
2,3 mEq/L. Di conseguenza:
 se si dializza un paziente con un dialisato contenente 2,5/3
mEq/L di calcio libero, rispetto ai 2,3 mEq/L presenti nel sangue
del paziente, si sta dando calcio al paziente (2,5/3 > 2,3)
 se si dializza un paziente con un dialisato contenente 1,5 mEq/L
di calcio libero, rispetto ai 2,3 mEq/L presenti nel sangue del
paziente, si sta rimuovendo calcio al paziente (1,5 < 2,3)
In passato si cercava di controllare il paziente in dialisi con
iperparatiroidismo secondario dando calcio, però col tempo si è visto
che questo calcio, nel corso del periodo interdialitico, aumentava la
probabilità di precipitazioni e, quindi, di calcificazioni vascolari 
perché erano pazienti che avevano anche un fosforo alto, che
aumentava tra una dialisi e l’altra (periodo interdialitico), e che più
facilmente si andava a legare con un calcio libero alto presente tra
una dialisi e l’altra.
Ragion per cui, oggigiorno, si tende a dializzare i pazienti con la stessa
quantità di calcio che fisiologicamente i pazienti dovrebbero avere.
Potassio Nel dialisato viene inserito anche il potassio perché i pazienti
potrebbero andare incontro a ipopotassiemia durante la dialisi; in
questo modo si potrebbe manifestare il rischio di arresto cardiaco in
sistole (così come in caso di iperpotassemia  un arresto cardiaco
in diastole). Per scongiurare tale evento una concentrazione fissa di
potassio viene immessa nel dialisato, che serve per mantenere
costante il gradiente di diffusione (differenza di concentrazione).
Ciò non significa che il paziente abbia bisogno ti potassio, ma che non
deve essere eliminato in quantità eccessive.

Il liquido di dialisi non contiene sostanze tossiche (che bisogna quindi rimuovere)  come:

 fosforo,
 creatinina,
 urea,
 acido urico, …
di conseguenza poiché il liquido
dializzante ne è totalmente privo, il
gradiente di concentrazione con il quale
vengono rimosse tali sostanze sarà
massimo e sempre diretto dal sangue al
liquido di dialisi.
Rappresentazione schematica del circuito extracorporeo
(linea arteriosa – dializzatore – linea venosa)

In dialisi i termini arterioso e venoso sono utilizzati in maniera opposta rispetto al nostro
organismo: cioè il “sangue venoso” è quello che si restituisce al paziente dopo essere stato
pulito attraverso il passaggio nel filtro; mentre il sangue arterioso è quello che si aspira al
paziente contiene le scorie che bisogna eliminare attraverso il passaggio nel filtro.
Quando facciamo una dialisi vi sono tutta una serie di rilevatori di pressione posizionati prima e dopo la pompa
sangue
, che ci permettono di capire come sta andando la dialisi (e quindi se la quantità di sangue che
si va a prelevare dal paziente sia adeguata o meno). Una pompa di aspirazione, definita pompa
sangue, aspira il sangue dal braccio del paziente ad una velocità di circa 300 ml/min e,
ovviamente, essendo un’aspirazione avremo una pressione, definita pressione arteriosa, che è
negativa  qualora quest’ultima sia eccessiva succede che:
da un lato si aspirerà meno dei 300 ml/min previsti
e dall’altro i vasi possano collabire  le due pareti della fistola collassano e l’accesso
vascolare del paziente si chiude, per cui la macchina automaticamente va in allarme nel
momento in cui questa pressione diventa troppo negativa.
Il sangue aspirato, poi, passa attraverso il circuito. Il sangue del paziente viene prelevato e,
attraverso una pompa, viene portato al filtro dializzatore. Al circuito può essere attaccata anche
una pompa dell’eparina, la quale consente di dare al paziente eparina nell’arco delle 4 ore previste
di dialisi allo scopo di evitare che ci siano coaguli all’interno del circuito o del filtro di dialisi  in
realtà non è necessaria fare un’infusione continua ma l’eparina può essere somministrata anche in
bolo: all’inizio della dialisi e, poi, eventualmente dopo due ore dall’inizio (quindi a metà) della
dialisi  questo perché l’eparina ha un’emivita molto breve, ragion per cui nell’arco di circa 2 ore
quest’ultima è scomparsa dal circolo  di conseguenza, una volta terminata la dialisi (2 ore
successive) si è sicuri che il farmaco, quando il paziente avrà abbandonato il centro di dialisi e
sarà eventualmente a casa, è scomparso dal circolo e non vi è rischio di emorragie  l’eparina è
un anticoagulante. Dopo che sono avvenuti gli scambi all’interno del filtro di dialisi il sangue viene
convogliato ad un gocciolatore che presenta un rilevatore a bolle d'aria. In particolare, se entra aria
all'interno del pozzetto (del gocciolatore) per una rottura del dializzatore o filtro di dialisi, il livello di
sangue presente nel pozzetto scende (perché parte di esso viene occupato dall'aria) e quando
quest'ultimo il livello di aria nel pozzetto giunge ad un limite/valore soglia del pozzetto  la
macchina per dialisi si blocca  mediante un'elettropinza (specie di klemmer) va automaticamente
a bloccare il passaggio/restituzione del sangue al paziente  questo serve a non fargli restituire,
oltre al sangue, aria che comporterebbe embolia gassosa. Dopodiché, scongiurato il pericolo,
per far ripartire la macchina per dialisi è necessario ripristinare il livello del gocciolatore ai valori
normali.
Tuttavia, anche In caso di mal posizionamento ago ecc... È possibile provocare stravaso al
paziente per cui il sangue che si sta restituendo al paziente fuoriesce e, quindi, non va nel vaso
comportando un aumento di pressione all'interno del circuito che verrà rilevato dal misuratore di
pressione venosa e la macchina andrà in allarme, bloccando anche in questo caso la restituzione
di sangue al paziente perché evidentemente la presenza di un'elevata pressione venosa è un
indice del fatto che ci sia un'ostruzione alla restituzione del sangue per cui la macchina si blocca
informandoci in un certo verso di andare a valutare la pervietà della linea/posizionamento dell'ago
prima di continuare la dialisi.
GLI ACCESSI VASCOLARI
Per collegare il paziente alla macchina è necessario disporre di un accesso vascolare, cioè di un
punto di prelievo del sangue in grado di fornire regolarmente le grandi quantità richieste per
realizzare dialisi efficienti. E ‘evidente che una semplice vena del braccio non si presti come
idoneo accesso vascolare, poiché le vene normali non possono essere punte molte volte con
grossi aghi e soprattutto perché la quantità di sangue che le vene possono fornire è di gran lunga
inferiore a quella richiesta per la dialisi.
Possono essere:
interni, che includono  la fistola artero-venosa diretta e la fistola artero-venosa protesica
esterni, che comprendono i cateteri percutanei endovenosi (temporanei o permanenti)
L'accesso vascolare maggiormente utilizzato è quello interno. . In alcuni casi i vasi del paziente
possono essere estremamente danneggiati, dato che si tratta di persone con IRC, con alle spalle
una storia clinica di ipertensione, di diabete, di calcificazioni vascolari ecc… Gli accessi vascolari,
nel corso degli anni, potrebbero andare incontro alla chiusura.
Ecco che il primo accesso vascolare in un paziente che deve effettuare la dialisi viene fatto al
livello del polso, in modo che una sua chiusura consenta di effettuare un nuovo accesso vascolare
a un livello superiore dell'’avambraccio. Alla chiusura del secondo accesso vascolare, bisogna
crearne un altro a livello della piegatura del gomito. Alla chiusura del terzo accesso vascolare non
è possibile effettuarne degli altri su quel braccio; quindi, bisogna creare i prossimi accessi vascolari
sul braccio controlaterale.
È importante preservare l'integrità degli accessi vascolari perché la dialisi può essere effettuata
solo da accessi provenienti dagli arti superiori (solo in condizioni di estrema emergenza possono
essere effettuati accessi vascolari dagli arti Inferiori).
In alternativa possono essere utilizzate delle protesi. Si tratta di tubi di silicone che mimano una
vena; queste protesi vengono collegate a un’arteria e una vena (anche a distanza). In questo
modo è possibile effettuare il trattamento dialitico.
Gli accessi vascolari esterni sono costituiti da cateteri che vengono messi in vene (gli accessi
vascolari esterni vengono posizionati in vene e non In arterie perché se venissero immessi in
queste ultime, la pressione elevata non consentirebbe di restituire Il sangue depurato, e perché
l'introduzione di un corpo estraneo in una arteria riduce Il flusso ematico che si dirige verso un
distretto corporeo) di grosso calibro; essi possono essere temporanei o permanenti.

Accessi vascolari

Abbiamo detto che noi aspiriamo il sangue con una velocità di 300 millilitri al minuto → una
velocità di 300 minuti al minuto ovviamente non è sopportabile da una vena periferica ne è
pensabile che io vado a pungere un'arteria (perché ovviamente questo è difficile non solo da un
punto di vista proprio anatomico in quanto le arterie stanno molto più in profondità rispetto alle
vene ma perché c'è una parete più ispessita soprattutto perché questo flusso arterioso mi assicura
l'arrivo di sangue per esempio alla mano del paziente, quindi non posso utilizzare una arteria e si
sia confuso) direttamente.
Allora quello che si fa per fare la dialisi è la creazione di un accesso vascolare, in particolare di una
fistola arterovenosa → si prende un’arteria di un paziente, la si anastomizza chirurgicamente con
la vena più anatomicamente vicina e una parte di sangue, o interamente, passa dall’arteria
all'interno di questa vena.
Questa vena, quindi, nel corso delle settimane successive andrà incontro a un aumento:

di dimensioni questo aumento di dimensioni mi consente di inserire gli Ago-


fistola aghi di calibro grosso ovviamente sono dei 15 g o dei 16 G perché anche l’ago è
importante in termini di assicurare sia l’aspirazione che la
restituzione.
e di lieve ispessimento della questo ispessimento della parete venosa rende il vaso
sua parete pungibile nel corso degli anni successivi → Tenete presente
che un paziente ogni dialisi deve mettere due aghi, fa 13 dialisi
al mese, quindi sono 26 punture fa, 156 dialisi nell'arco di un
anno e quindi stiamo parlando di 312 punture all'anno solo per
fare il trattamento dialitico.
Ci sono casi in cui arterie e vene sono:

 lontane
 ostruite
 non utilizzabili
allora in questo caso si possono fare delle fistole artero-venose utilizzando delle protesi, in
genere delle protesi di gore-tex → che consente appunto di mettere in contatto l'arteria con la
vena.
Abbiamo, purtroppo, anche casi in cui non è più possibile fare fistole ai pazienti perché il loro
patrimonio vascolare o è talmente danneggiato da fistole fatte in passato oppure per esempio
c'è un’alterazione vascolare tale come molto spesso in un soggetto anziano, vasculopatico, diabetico che non consente di
fare una fistola che funziona in lungo termine → allora in questi casi si utilizzano i cateteri
percutanei endovenosi. Sono cateteri venosi centrali che possono essere utilizzati:

- o in maniera temporanea
- o in maniera permanente.
I cateteri permanenti ovviamente sono quelli che si usano nel caso in cui non ci siano degli
accessi vascolari disponibili e non è possibile inserire delle protesi → si tratta di cateteri che
vengono posizionati, di solito, nella giugulare interna. La parte esterna del catetere viene
tunnellizzata (viene fissata sotto la cute), in modo che all'esterno fuoriesca solo il beccuccio di
raccordo; mentre i cateteri temporanei vengono usati nel caso in cui il paziente necessiti
acutamente della dialisi (quindi non è stato possibile preparare anticipatamente un accesso
vascolare) o quando all'arrivo del paziente nel centro di dialisi ci si accorge che l’accesso
vascolare è danneggiato. Il catetere temporaneo si può mettere in varie sedi, fondamentalmente
o in femorale o in giugulare, e questo catetere fondamentalmente viene tenuto in sede fino al
tempo necessario in cui viene ripristinata la pervietà della fistola o viene fatta una fistola ex
novo.

F.A.V. Diretta

Tendenzialmente una fistola diretta si tende a farla tra la vena cefalica e l’arteria radiare che a livello del
polso decorrono molto vicine tra di loro
in sede distale. Prima di eseguire questo tipo di fistola bisogna controllare
che l’arteria ulnare sia perfettamente funzionante perfonda correttamente → perché altrimenti se l'arteria
ulnare è sclerotica, presenta delle placche o è chiusa del tutto → la quantità di sangue che arriva
alla mano del paziente sarà una quantità minima e il paziente rischia di andare incontro a una
necrosi anche delle dita. Una volta fatta la fistola, la vena cefalica riceverà una parte o tutto il
flusso che viene dall'arteria radiale, a seconda che la anastomosi sia:

 termino laterale
 latero laterale
 termino-terminale
e ovviamente ho bisogno di almeno tre settimane di tempo dopo il confezionamento della
fistola per avere una portata adeguata, un ispessimento della parete adeguato e delle
dimensioni che siano facilmente utilizzabili per l'infissione degli aghi.

Tipi di cateteri

Queste sono delle figure sui vari tipi di catetere che


noi abbiamo. Ci sono i cateteri temporanei che in
genere hanno un lume unico, all'interno del lume
c'è una piccola separazione tra la componente
arteriosa che sarebbe quella attraverso la quale io aspiro il sangue dal paziente
e la componente venosa che sarebbe quella di restituzione del
sangue depurato al paziente
. Tuttavia, essendo un monolume,
in genere c'è sempre una commissione di
sangue per cui è inevitabile che io una parte
anche piccola di sangue che è stato appena
immesso nella via venosa venga poi ripreso
della via arteriosa → e questo ovviamente
comporta una dialisi meno efficace. Questo è il motivo per cui i cateteri venosi centrali
permanenti che vengono attualmente utilizzati hanno due lumi che sono completamente separati tra di loro: in
modo tale che questa commissione tra il sangue pulito che ho ridato al paziente e quello da
ripulire che devo aspirare non vengono mai in contatto. Questi due lumi vengono
normalmente posizionati a livello giugulare e si crea poi un tunnel sottocutaneo attraverso il
quale il catetere emerge al di sotto della clavicola, in modo che l'unica cosa che si vede all'esterno

fuoriesca solo il beccuccio di raccordo con le componenti parti finali ( )


arteriosa e venosa, attraverso cui io faccio la connessione con il circuito extracorporeo.

Complicanze

 Le complicanze che noi possiamo avere


dell'accesso vascolare, abbiamo detto che una
fistola arterovenosa può andare incontro a stenosi
o ostruzione e ovviamente il vostro compito e sia
quello di sorvegliare l'accesso vascolare, perché
l'infermiere è deputato alla puntura dell’accesso
quando il paziente inizia la dialisi e quindi è quello che si rende conto fondamentalmente se
abbiamo delle riduzioni delle portate, se abbiamo un sospetto di formazione di un trombo
all'interno, un'ostruzione, quindi deve da un lato sorvegliare l'accesso vascolare, ma
dall'altro deve anche educare il paziente a far sì che questo tipo di alterazione non ci
siano, quindi deve sapere che al paziente va suggerito di evitare sforzi con il braccio dove
presenta la fistola, di non portare pesi, di non portare soprattutto buste o borse
normalmente, si infilano nel braccio, perché questo comporterebbe un’ostruzione
dell'accesso vascolare.
 Altra complicanza di cui gli infermieri si devono fare carico per evitarla fondamentalmente è
la formazione degli aneurismi o pseudoaneurisma → si formano perché quando si punge
con gli Aghi fistola sempre allo stesso punto di attacco, si viene a creare un
assottigliamento della parete, e la grossa pressione che sta all’interno del vaso spinge in
alto questo assottigliamento della parete creando un aneurisma sul braccio del paziente sarà
il paziente stesso che chiederà di utilizzare sempre gli stessi punti di attacco perché ovviamente utilizzando sempre lo stesso punto di attacco, la parete del

vaso e la parte sottocutanea vanno incontro a un processo di cicatrizzazione un’evoluzione fibrotica e il paziente ha meno dolore, quando mettete gli aghi

sempre allo stesso punto.

 Di pertinenza infermieristica sono anche le eventuali lesioni cutanee sono, soprattutto le


infezioni, è ovvio che voi dovete fare un'attenta disinfezione della cute del paziente
prima di mettere gli aghi → eventuali lesioni infette presenti in prossimità della fistola
vanno trattati immediatamente, in modo tale da evitare che questa infezione posso
poi trasmettersi all'accesso vascolare.
Altre condizioni, invece, ovviamente possono dipendere dalla fistola stessa quindi, dalla portata della fistola e dalla
costituzione chirurgica con cui viene fatta la fistola, che sono fondamentalmente
quali:

 l’iperafflusso venoso distale e quindi il sangue che viene dalla mano non riesce a
scaricare adeguatamente, perché comunque c'è una cefalica che è stata utilizzata per fare
l'accesso vascolare.
 o all'inverso abbiamo un problema di afflusso di sangue arterioso alla mano del
paziente con la formazione di anche lesioni ischemiche o, nella migliore delle ipotesi, una
sensazione di arto freddo la mano diventa viola, si fa fredda perché arriva meno sangue alle dita.

Cateteri centrali

Per quanto riguarda invece i cateteri centrali, le due vie di inserzione sono la femorale e la
giugulare, le vene succlavie non vengono mai utilizzata, non solo perché è difficile accesso
chirurgico, ma soprattutto perché se io vado a mettere in succlavia un catetere, ovviamente la
presenza del catetere mi determinerà un’alterazione della succlavia e quindi quando poi andrò a
fare la fistola arterovenosa, dal lato dove ho posizionato il catetere, il sangue che sta all'interno
della fistola non scarica bene all'interno della vena succlavia e la fistola si chiude. La fistola o non
parte proprio al tavolo operatorio o nel giro di qualche giorno va incontro a chiusura, per cui per
preservare tutto il braccio e quindi tutte le fistole che si possono fare dall'arto superiore, la
succlavia non deve mai essere utilizzata. Possiamo utilizzare, invece, femorale e giugulari interne
ovviamente anche in questo caso abbiamo delle indicazioni specifiche, cioè per esempio una vena
femorale in un soggetto obeso o in un soggetto per esempio incontinente, paziente che porta il
pannolone non glielo metterei mai, perché le probabilità che il paziente abbia infezione a livello
dell'inguine sono ovviamente altissime e quindi questo paziente rischia di farsi delle sepsi, degli
shock settici proprio perché ho utilizzato una via impropria. In genere non si utilizza la vena
femorale anche nei soggetti giovani, perché nei soggetti giovani sono dei potenziali candidati al
trapianto renale e il rene trapiantato, come vedremo più avanti, viene posizionato nella fossa iliaca
o destra o sinistra e viene fondamentalmente anastomizzato con le vene iliache, se io all'interno
utilizzo una via femorale e attraverso la femorale introduco il catetere, che in genere hanno una
lunghezza di 25-30 cm, questo catetere mi può tranquillamente arrivare ad alterare i vasi non solo i
femorali, ma anche l’iliaca, e questo mi comporterà ovviamente eventuali problemi chirurgici nel
post trapianto.
La giugulare interna è una sede di elezione, invece, per il posizionamento del catetere
permanente, quindi quando non ho più possibilità di fare altre fistole artero-venose, tenete
presente, che un altro motivo per cui si parte dal polso è non solo perché la vena cefalica e arteria
radiale in quella sede sono molto più vicine tra di loro, quindi l'intervento è più facile, ma anche
perché nel caso in cui si chiuda la fistola a livello del polso io ho la possibilità di fare una seconda
fistola a metà dell'avambraccio o eventualmente di fare un ulteriore fistola alla piega del gomito. Se
ovviamente io partissi direttamente facendo una fistola prossimale, quindi alla piega del gomito, io
non ho più possibilità di fare le fistole a valle. I pazienti, purtroppo nell'arco della loro vita dialitica,
che può essere anche una vita decennale, possono andare incontro a ostruzione delle fistole
progressive per cui paziente dopo un paio d'anni 2-3 anni chiude la fistola distale, si fa una fistola
dallo stesso lato prossimale e casomai il paziente chiude anche quella, per cui si ricorre all'altro
braccio, si fa una fistola anche qua si cerca di farla distale, se non è possibile si fa prossimale, ma
una volta che siamo arrivati a livello prossimale del braccio controlaterale, il paziente non ha più
posti dove fare le fistole, allora in questo caso l'unica opzione per poter dializzare il paziente in
attesa del trapianto se è giovane ed è candidato o in attesa dell’exidus, cioè finchè non muore, e
quello di realizzarlo con un catetere venoso centrale e viene posizionato per una maggiore
comodità a livello della giugulare interna.
I cateteri hanno anch'essi delle complicanze, le complicanze principali possono essere o delle
complicanze al momento in cui si posizionano, quindi sono complicanze iatrogene, ad esempio io
se metto un catetere nella vena femorale, vena e arterie femorali decorrono l’una a fianco all'altra,
siccome nell'inserire un catetere posso andare incontro ad una puntura accidentale dell'arteria
corrispondente, quindi o dell'arteria femorale, ma posso anche pungere la carotide se sto
mettendo un catetere in giugulare. Sempre a livello della giugulare si può pungere la parte
superiore del polmone, della pleura quindi possiamo determinare un pneumotorace al paziente,
possiamo determinare le aritmie nel momento in cui il catetere viene posto all'interno della
giugulare, ma arriva troppo in profondità e quindi mi va a toccare la parete dell'atrio e mi determina
un’aritmia che può essere un’aritmia atriale, ma può essere anche poi eventualmente un’aritmia
ventricolare. Nel lungo termine le complicanze dei cateteri percutanei endovenosi sono le infezioni
e le trombosi e anche in questo caso, soprattutto per quanto riguarda l'infezione, il compito
dell'infermiere è fondamentale nel prevenire questa infezione, quindi un'adeguata asepsi, una
disinfezione dei punti di emergenza cutanea dei cateteri, ma anche manovrare nelle maniere più
sterili possibili e oltre alla prevenzione, anche quello nel momento in cui andate a fare l'Attacco in
questo catetere di rendervi conto se ad esempio c'è un inizio di processo infettivo, un
arrossamento della cute o anche la fuoriuscita di pus dal tunnel sottocutaneo. Le trombosi sono
anche se ovviamente sono un problema, nel senso che la trombosi è a carico del catetere
principalmente, e in questo caso fondamentalmente si sostituisce il catetere in maniera molto
semplice e immediata, ma possiamo avere anche delle trombosi delle vene centrali e quindi
praticamente il paziente che mette per esempio in giugulare destra un catetere venoso centrale
può avere un problema trombotico che richiede la rimozione del catetere e il posizionamento
all'altra vena, quindi alla giugulare di sinistra, ci sono e noi purtroppo abbiamo attualmente un caso
in dialisi da noi, in cui abbiamo utilizzato l'ultimo accesso vascolare possibile del paziente. Il
paziente c'ha tutte e due le giugulari trombotiche, c'ha la femorale sinistra trombizzata e l'unica che
possiamo utilizzare è una femorale destra, nel momento in cui si trombizza anche la femorale
destra del paziente purtroppo il paziente morirà, perché non può più fare trattamento dialitico.
Quali sono le complicanze nel lungo termine del paziente emodializzato, cioè perché muore un
paziente? Un paziente può morire o per cause acute e le cause acute relative al trattamento
dialitico sono essenzialmente l'accumulo di liquidi, accumulo eccessivo di liquidi e quindi
fondamentalmente un edema polmonare oppure un accumulo eccessivo di potassio e quindi il
paziente che non dializza in maniera adeguata, eventualmente ha anche un introito dietetico di
potassio eccessivo e va incontro a un’iperpotassiemia che è potenzialmente fatale. Nel lungo
termine la principale causa di morte del paziente dializzato sono le patologie cardiovascolare,
quindi più della metà dei casi di decesso in dialisi le si hanno per una coronaropatia, per un ictus,
per uno scompenso per aritmia.

Queste ovviamente sono anche le principali patologie che noi abbiamo a carico il paziente
dializzato anche quando non sono fatali anche farsi un infarto, per esempio un infarto del
miocardio che è un infarto non fatale, ma ovviamente è una probabilità di fare infarto che è molto
molto più elevata rispetto sia al soggetto della popolazione normale, quindi che non ha
l'insufficienza renale, ma ha un rischio cardiovascolare che è molto più alto rispetto al paziente che
ha un insufficienza renale cronica non in dialisi. L'ipertensione arteriosa è l'altra complicata
complicanza frequente perché non sempre riusciamo a controllare con la sola dialisi l'espansione
del volume, quindi la quantità di liquidi e di conseguenza appunto l'ipertensione arteriosa.
L’iperparatiroidismo secondario ha gli stessi meccanismi e riconosce la stessa terapia che noi
abbiamo visto fare nell’insufficienza renale cronica, quindi si usano chelanti del fosforo, si usa
vitamina D, in più in dialisi si possono usare dei farmaci che direttamente bloccano la produzione
di paratormone, questi si usano solo in dialisi e non si usano in fase conservativa. Il 90 95% dei
pazienti che stanno in dialisi sono i pazienti anemici, perché ovviamente il loro rene, che
praticamente non funziona più, non è in grado di assicurare un'adeguata produzione di
eritropoietina.
Un paziente che è in dialisi è un paziente
immunodepresso, ha una maggiore suscettibilità
alle infezioni, ma anche un sistema immunitario
che è meno competente, questo è il motivo per cui
per esempio la risposta anticorpale che per
esempio abbiamo al vaccino per il Sars COV 2,
nel pazienti in dialisi è estremamente ridotta, cioè
risponde producendo anticorpi, più o meno un 40
50% di paziente, l'altra metà non è in grado, non
ha un sistema immunitario tale da riuscire a fare
una carica anticorpale protettiva. Paziente che è in
dialisi molto spesso può andare incontro a
malnutrizione e in questo caso però è una
malnutrizione così trattabile o anche prevenibile, la possiamo prevenire nel momento in cui noi
dializziamo in maniera adeguata un paziente, quindi evitiamo che si accumulino tutta una serie di
sostanze tossiche, alcune di queste sostanze vanno ad accumularsi anche a livello del centro
ipotalamico della fame, per cui il paziente ha inappetenza e l'anoressia del paziente in dialisi è un
qualche cosa che ovviamente va più che combattuta, deve essere prevenuta perché una volta che
si è instaurata vista la fragilità di questi pazienti, diventa anche difficile da trattare e molto spesso
conduce a morte il paziente. Un altro elemento importante da Tenere presente è quello dietetico,
perché nel paziente che sta in dialisi, a differenza di quello che abbiamo visto in pazienti in
conservativa, il carico di proteine in questi pazienti va aumentato, non va ridotto. Cioè il paziente
che sta in dialisi non deve fare la dieta ipoproteica, ma deve avere un apporto di proteine che è
anche eventualmente aumentato rispetto al normale, questo perché attraverso la dialisi si perdono
aminoacidi, si perdono dei piccoli peptiti, perché passano liberamente nel filtro di dialisi e quindi
vengono eliminati dall'organismo. Il soggetto deve compensare a questa perdita di aminoacidi
aumentando la quota proteica che introduce con l'alimentazione.
Dopodiché io devo definire un’adeguatezza
dialitica, cioè come faccio a capire che sto
dializzando bene un paziente,
fondamentalmente se gran parte delle sue
alterazioni metaboliche elettrolitiche risultano
ben controllata e il controllo quando viene
fatto? viene fatto prima della dialisi, perché se
io lo faccio dopo la dialisi, cioè dopo che ho
depurato il sangue del paziente, io troverò un
potassio basso, troverò una Creatinina che
può arrivare anche a 1-1,5, un’azotemia
perfettamente normale, un fosforo normale,
ma questo non è l’effetto delle condizioni reali
del paziente, è esclusivamente effetto della
dialisi che ho appena effettuato. Io invece devo vedere come il paziente arriva al momento del
trattamento dialitico, e in questo caso il paziente deve arrivare con una potassiemia che non
supera i 6, questo perché mi fa capire che la quantità di potassio che io sto rimuovendo dialisi
dopo dialisi adeguata, ma anche il suo introito alimentare di potassio non è eccessivo. Devo
vedere che l’acidosi sia un’acidosi lieve e quindi che abbiamo un bicarbonato, almeno superiore a
20 e questo mi dice che la quantità di bicarbonato che gli sto dando ogni dialisi è sufficiente per
tamponare l'acidosi quando il paziente non viene a deliziare, abbia una fosforemia al di sotto di 5,5
in assenza di altri farmaci, quindi vuol dire che la dialisi in sé, è efficace a rimuovere questo
potassio. Ha un’azotemia che non sia eccessivamente elevata, un buono stato nutrizionale, quindi
non ci sono i segni iniziali della malnutrizione o dell'anoressia, che il primo parametro che si riduce
l'albumina e soprattutto che abbia un buon controllo dell'anemia questo indipendentemente se il
paziente faccia o non faccia supplementazione con eritropoietina.
Per essere sicuro che il paziente faccia dialisi adeguata io devo tenere però tutta una serie di
condizione che vengano rispettate:

- Allora innanzitutto devo avere un accesso vascolare ben funzionante, quindi che mi
assicura un flusso ematico di almeno 300 ml al minuto, puoi tenere presente che il 300ml al
minuto, significa che nell'arco di un'ora io sto ripulendo un litro e 8 di sangue del paziente e
in quattro ore sto ripulendo in grosso modo 7 litri e due di sangue.
- Devo assicurarmi anche di avere un flusso del dialisato che sia adeguato, perché questo
flusso del dialisato mi serve per fare gli scambi, ma mi serve anche per dare il bicarbonato
al paziente, soprattutto mi devo assicurare che sia puro quindi quanto più adeguato, quanto
più libero di sostanze, soprattutto di residui dei prodotti batterici che sono quelli che mi
possono eventualmente indurre uno stato febbrile del paziente.
- Il filtro deve essere molto permeabile, deve essere biocompatibile, deve avere una
superficie superiore al metro quadro, motivo per cui per esempio nel nostro centro non
troverete nessun filtro che è inferiore a un metro e se, non vengono proprio ordinati,
perché non vengono proprio utilizzati o perché non devono essere utilizzate le superfici
troppo piccole, se non in caso particolari, quindi se non ho per esempio una dialisi per un
bambino o per un soggetto che pesa 40 kg, allora in questo caso un filtro anche di 1 metro
e due, potrebbe essere sufficiente.
- L'elemento chiave per assicurare un'adeguata dialisi è il tempo, la durata del trattamento
dialito, cioè bisogna far capire al paziente che la durata minima efficace sono 12 ore a
settimana, ma queste 12 ore settimana sono il minimo non sono lo standard. Nel senso che
io posso avere un paziente in cui nonostante le 12 ore a settimana, non riesco a depurare
adeguatamente le sostanze, oppure non riesco a rimuovere tutti i liquidi che il paziente
porta tra una dialisi e l'altra, perché ne porta troppe, allora in questo caso la dialisi va
possibilmente allungata a 4ore e 30 o eventualmente in alcuni casi particolari va inserita un
quarto trattamento dialitico a settimana, in modo tale da essere sicuri di raggiungere e di
avere a disposizione un tempo di dialisi tale che mi consenta di rimuovere sia le scorie che
i liquidi in eccesso.

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