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RIFLESSIONI SUL POSSESSO – DISPENSA

CAPITOLO DUE – ASPETTI DEL POSSESSO NEL DIRITTO ROMANO

2.1 – MORFOLOGIA DEL POSSESSO NELLE FONTI E SUA EVOLUZIONE


Lo studio delle fonti evidenzia l’importanza della prospettica dell’interpretazione giurisprudenziale.
Il possesso classico aveva ad oggetto res corporales. Più tardi sarà ammessa una quasi possessio
sulle res incorporales con riferimento a chi esercitava di fatto un diritto reale limitato sulla cosa,
senza tener conto della sua titolarità.

La possessio civilis viene contrapposta alla possessio naturalis e in età classica il possesso
qualificato da iusta causa possessionis o titolo di acquisto porta in base allo ius civile alla
proprietà per usucapione a meno che, in caso di res nec mancipi, non ne determini l’acquisto
immediato attraverso traditio o occupatio. Nelle fonti la possessio naturalis non ha effetti civili.
Il possessore iustus è colui che possiede nec vi, nec clam, nec precario. Diversamente è viziata.

La possessio tutelata dallo ius honorarium con interdicta è una signoria del pater familias sull’ager
publicus. Tale terreno apparteneva allo Stato, a un municipio o una colonia ed era concesso in
sfruttamento a privati dietro il corrispettivo di un vectigal.

La tutela interdittale e la relativa qualifica possessoria si estesero anche al possesso di fondi privati
e a cose mobili. La tutela venne riconosciuta a chi aveva intenzione di tenere la cosa per sé e non
per conto di terzi. Ciò indipendentemente se fossero proprietari o meno, in buona o mala fede.
Non si elabora un concetto di animus, specie se inteso quale animus domini. Per questo si riconosce
il possesso interdittale a soggetti privi dell’animus di tenere la cosa come propria (precarista,
creditore pignotarizio, sequestratario). Sono figure di possesso anomalo in quanto manca l’animus.

Nel IV secolo a.c. Roma estende il suo dominio sui territori circostanti: le terre conquistate
venivano distribuite in base alle situazioni locali in proprietà ai cittadini oppure in condivisione
pubblica.

Si potevano occupare terre senza corrispettivo, diventandone possessori. Le possessiones erano


revocabili ma i privati ne godevano senza limiti di tempo potendo, a partire dal II sec. a.C. anche
trasmetterle, ricevendo tutela contro i terzi.

Inevitabili furono i conflitti.


In ambito privatistico analoga terminologia possessoria è usata per indicare situazioni di
disponibilità di fatto non tutelate da interdetti, le quali configurano ipotesi di detenzione. Per
distinguerle dalla possessio interdittale venivano identificate con l’espressione in possessione esse.

A partire da Costantino cadde la distinzione tra dominium e possessio. Quest’ultimo termine non
fu più utilizzato per indicare situazioni di potere di fatto più o meno giuridicamente tutelati, ma
anche la proprietà o altri diritti reali, quali usufrutto, enfiteusi.

Sul piano sostanziale si mantenne la distinzione tra tutela possessoria e tutela petitoria.

Il diritto Giustinianeo, per influsso delle scuole giuridiche orientali, ritornò alla distinzione classica
tra proprietà e possesso, non più considerando la prima quale possesso particolarmente
qualificato. Possesso in senso proprio fu considerato quello accompagnato dall’animus domini,
qualificato come possessio civilis o iusta, in quanto di buona fede e fondato su una giusta causa.
Ma Iusta è qualificata anche la possessio fondata su concessione a pegno o precaria, ove manca
l’opinio domini (atteggiamento psicologico del possessore in buona fede, il quale ritiene di poter
esercitare sulla cosa il diritto di proprietà a pieno titolo) da parte del creditore pignotarizio o del
precarista.
Contrariamente a tale possesso, ogni altra disposizione di fatto di una cosa da parte di chi non ne sia
proprietario o possessore ad usucapionem, è qualificata come corporalis o naturalis possessio.
I giuristi giustinianei videro nella possessio iusta o civilis, non una disposizione di fatto
giuridicamente qualificata ma un vero e proprio diritto sui generis, distinto dalla proprietà, al punto
da riconoscere l’esistenza anche indipendentemente dalla effettiva disposizione materiale della cosa.

2.2 – ACQUISTO, CONSERVAZIONE, PERDITA DEL POSSESSO


ACQUISTO
Esigenza di integrazione tra corpus e animus del possessore:
- corpus come impossessamento materiale della cosa, o anche mera disposizione di fatto
della cosa anche senza apprensione materiale;
- possibilità di acquisto solo animo;
- ci sono ipotesi di traditio brevi manu, con il permesso del tradens, si inizia a possedere per
sé una cosa prima detenuta per conto di lui.
- con il costituto possessorio si acquistava il possesso della cosa senza sua traditio corporale
da parte del precedente posessore, che inizia a detenerla per conto dell’acquirente.

A questo punto, sorge il problema per i soggetti privi di capacità intellettiva, non tanto per il
furiosus di cui è certa l’incapacità di acquistare da sé il possesso, quanto per l’impubere sulla cui
posizione le fonti non appaiono chiare. Di difficile soluzione si mostra anche il problema relativo
all’acquisto del possesso tramite i soggetti a potestà, schiavi e filii familias.
Nel soggetto a potestà che attua l’impossessamento per conto dell’avente potestà si richiede
l’intellectum possidendi, capacità di porre in essere l’atto di apprensione della cosa.

Si ammise l’acquisto del possesso per il tramite di persona non soggetta a potestà: il procurator o
il tutore. Per il d. giusti. è ammesso l’acquisto attraverso persona estranea a favore del terzo
ignorans.

CONSERVAZIONE
Anche in ordine alla conservazione del possesso si considera necessario il persistere della
disponibilità materiale della cosa accompagnata dall’intenzione di tenerla per sé.

Sin da Proculo si afferma la possibilità di conservare solo animo. La stessa cosa si afferma
quando:
- il possessore si allontana momentaneamente dal fondo con l’intenzione di ritornarvi,
- durante il sonno o la sopravvenuta pazzia del possessore,
- tramite intermediario,
- si conserva anche in caso di ingresso di altri nel fondo all’insaputa del possessore
sintantoché questi non abbia rinunciato a rientrarvi,
- se si allontana in caso di grave pericolo sociale o abbandono o consegna dovuta a dolo,
- affermata con riferimento al servus fugitivus, ma ciò solo fino a quando altri non se ne
impossessino o fino a quando non si comporti da uomo libero. Qui l’animus possidendi non
sarebbe più accompagnata da una situazione obiettiva.

PERDITA
 Il possesso si poteva perdere corpore et animo (in ipotesi di traditio).
 Si perdeva solo animo nell’ipotesi di costituto possessorio o in quella di possesso solo animo da
chi rinunciava a tornare nel fondo occupato clandestinamente da altri in sua assenza.
 Si perdeva solo corpore in tutte le ipotesi in cui non bastava il solo animus per conservarlo. Ai
fini della perdità del possesso nei casi in cui è determinante l’animus del possessore, si richiede la
capacità naturale di questi.

Con la morte del possessore il possesso non passa agli eredi voluntarii quando non sussista la
disponibilità di fatto della cosa da parte loro, mentre passa agli eredi necessarii.

2.3 – TUTELA INTERDITTALE POSSESSORIA


Gli interdetti erano strumenti con cui si proteggeva la disponibilità pacifica della res cui la nascita
del possesso era profondamente legata.

Il pretore garantiva la situazione possessoria contro atti di turbativa o di spoglio da parte di terzi
attraverso gli interdetti: tali provvedimenti d’urgenza ordinavano determinati comportamenti a chi
sottraesse, turbasse o interrompesse il possesso, sulla base di quanto di quanto sosteneva colui
che rivolgendosi al pretore intendeva acquistare, conservare o recuperare la cosa posseduta.
Il destinatario poteva obbedire o contestare il provvedimento: nel primo caso si realizzava una
protezione immediata del possesso e nel secondo caso su ordine del pretore le parti promettevano di
pagare una somma di denaro se la condotta risultava essere contraria a norme. Si realizzavano così i
presupposti per passare al provvedimento di urgenza alla tutela giudiziaria normale attraverso lo
strumento dell’actio ex stipulatu.

La tutela interdittale (provv. Amministrativi) nacque a tutela della possessio dell’ager publicus
(differendo quindi dalle actiones) ma venne estesa all’ambito privatistico, in virtù della sua natura
garantista per scongiurare l’autotutela.
Di regola era tutelato solo il possesso del possessore iustus in contrapposizione a quello iniustus o
titolare di vitiosa possessio (possesso ottenuto vi clam o precario, con violenza, di nascosto, o per
concessione revocabile).

La tutela interdittale possessoria è apprestata per difendere il possesso attuale, per recuperare
quello perduto e per acquisirlo ex novo.

Il pretore vieta di disturbare chi abbia posseduto senza vizi nei confronti della controparte per
maggior tempo durante l’ultimo anno antecedente il rilascio dell’interdetto.

È autorizzato quindi il ricorso all’autodifesa privata per recuperare il possesso dal possessor
iniustus o da chi ha posseduto per minor tempo nell’ultimo anno. L’interdetto adempie a funzione
conservativa o recuperatoria del possesso.

Poi vennero aggiunti altri interdetti con funzione recuperatoria del possesso di immobili.
 L’interdetto restitutorio unde vi è stato introdotto prima che a seguito dell’inottemperanza
all’interdetto uti possidetis si potesse addivenire in sede di giudizio contrnzioso a una restituzione
giudiziale. Il pretore ordina che venga restituito il possesso dell’immobile del possessore iustus
spogliato con violenza, risulta quindi legittimo lo spoglio anche violento effettuato ai danni del
possessor iniustus.

 Variante dell’unde vi è l’interdetto de vi armata laddove c’è spoglio tramite banda armata, è
tutelato anche il possessor iniustus.

 Per la sottrazione clandestina di possesso di immobile fu creato l’interdetto restitutorio de


clandestina possessione.
 L’interdetto restitutorio de precario è diretto alla restituzione di quanto il precarista ha
ottenuto, o il risarcimento di quanto egli non ha più per suo dolo. Il pretore emana l’interdetto su
richiesta di parte e dietro sommaria cognizione della causa: il destinatario può obbedire e allora il
procedimento termina con il raggiungimento del risultato voluto; o può disobbedire, si aprirà una
seconda fase del procedimento.

 Nel caso di interdetto uti possidetis (o utrubi) entrambe le parti effettuano sul fondo un atto
simbolico di forza con cui si formalizza il rifiuto di ottemperare al divieto pretorio. Ciascuna
promette all’altra in forma di stipulatio una somma a titolo di penale per il caso in cui il proprio
atto di forza risulti illegittimo e per il caso in cui risulti legittimo l’atto di forza della controparte: le
due parti potranno reciprocamente convenirsi in giudizio al termine del quale l’ultimo possessor
iustus sarà assolto nei due giudizi in cui è convenuto e otterrà la condonna della controparte nei due
giudizi in cui è attore. Nel frattempo, il possesso interinale (provvisorio) è attribuito alla parte che
promette di pagare la somma maggiore per il caso di soccombenza.
Laddove il possessore interinale, risultato soccombente, non restituisca il fondo e i frutti nel
frattempo prodotti, sarà condannato (iudicium Cascellianum o secutorium).

Più semplice è la seconda fase del procedimento in ipotesi di interdetto unde vi o de vi armata.
Chi ha ottenuto l’interdetto convoca la controparte che non vi ha ottemperato dinanzi al magistrato
e da lì inizia un processo per sponsionem o arbitrario.
Nel primo caso il possessore promette di pagare una somma a titolo di penale per l’ipotesi in cui
risulti illegittima la mancata restituzione (sponsio), mentre la controparte effettua analoga promessa
per il caso in cui la restituzione è avvenuta o è legittamente inattuata (restipulatio). Le due parti
possono convenirsi reciprocamente in giudizio in base a queste due stipulazioni. La persona
soccombente che non restituisca la cosa può essere condannato in apposito iudicium de re
restituenda.

Prima che abbia inizio tale procedimento per sponsionem il possessore può chiedere al pretore la
nomina di un arbitro: il giudice invita il possessore che risulti in torto a restituire, lo condanna al
quanti ea res est (valore della cosa con riferimento al mercato). È un procedimento che evita al
soccombente il pagamento della penale e appare di origine più recente.

In età postclassica si conservò una tutela possessoria distinta da quella della proprietà, anche se
perseguita in analoghe forme processuali per la sostanziale commistione di interdetti ed azioni.
Per disposizione di Costantino il possesso sottratto con la forza deve essere restituito e il
colpevole è punibile con la deportazione e la confisca dei beni se risulta non aver diritto alla cosa,
altrimenti con la perdita di metà della cosa stessa che è assegnata al fisco.

Il diritto giustinianeo ritorna parzialmente al regime interdittale possessorio classico, pur


mantenendo in vigore le disposizione sanzionatorie postclassiche per cui si perde non solo il
possesso ma anche la proprietà qualora se ne è proprietari, mentre in caso contrario si paga a titolo
di penale una somma pari al valore della cosa stessa.
Il diritto giustinianeo rispetto a quello classico è caratterizzato:
- dall’unificazione del regime di utrubi con quello dell’uti possidetis,
- dall’unificazione del regime dell’unde vi con quello del de vi armata,
- dalla limitazione dell’autodifesa privata,
- dalla semplificazione del procedimento interdittale,
- dall’eliminazione tra processo possessorio e petitorio,
- viene meno il concetto di usus quale potere di fatto esteso a tutto ciò che può costituire
oggetto di vindicatio e determinante, con il perdurare per un certo tempo, l’acquisto di
situazioni giuridiche privatistiche.
Il possesso aveva a oggetto res corporales ma già in età classica si afferma il concetto di quasi
possessio con riferimento alla situazione di chi, di fatto, esercita sulla cosa il diritto reali limitato di
usufrutto senza che si guardi se egli ne sia o meno titolare.
A tutela della sua possessione sono estesi gli interdetti possessori uti possidetis e unde vi.

Analogamente è tutelato con appositi interdetti, predisposti nell’editto pretorio, chi esercita di fatto
talune servitù prediali (di acquedotto, di passaggio) senza che rilevi se egli ne sia titolare o meno,
sempre che le servitù non siano esercitate vi clam o precario.
Di qui di sviluppa l’idea del quasi possesso, avente ad oggetto, anziché la cosa corporale, il diritto
reale limitato di usufrutto o servitù. Tale possessio iuris fornisce la base per il riconoscimento
dell’acquisto dei suddetti diritti tramite traditio e usucapione.

Sebbene la possessio è possessio rei che insiste su res corporalis e sebbene la tradizione riconosca
nel possesso una situazione di fatto cioè l'espressione di un potere sulla cosa che va al di là del
diritto di possederla pur potendo con esso coincidere, si potrebbe arrivare a concepire l'esistenza di
una natura giuridica della situazione di diritto del possesso anche sulla base delle testimonianze
delle fonti.
Se è vero che il possesso non è inserito nel catalogo dei diritti, il possidere coincideva con
l’esercizio in concreto delle facoltà spettanti al proprietario. Perciò il possesso era tutelato con
interdicta.

Per i romani, in conclusione, il possesso non viene identificato come diritto, ma neppure res facti
produttiva di conseguenze giuridiche ma come situazione giuridica rilevante.

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