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Profa.

Renata Londero
A.A. 2023-2024

EXCURSUS DI STORIA DI SPAGNA

1. LA SPAGNA DELLE ORIGINI: DAI FENICI AI VISIGOTI


Dopo il passaggio nella penisola dei Fenici (I millennio a.C.) e dei Greci (VI secolo a.C.), possiamo
dire che la storia della Spagna abbia inizio con l’arrivo dei Celti (900-650 a.C.), che vi diffusero la
metallurgia del ferro, e che a partire dal VII secolo a.C., si fusero con le popolazioni precedenti, gli
Iberi (dalla loro unione si sviluppò la civiltà cosiddetta celtibera). Dal 218 a.C. al 409 d.C., poi, in
Spagna (Hispania, con termine latino) penetrarono i romani, lentamente e a fatica (si ricordi, a titolo
d’esempio, la lunga resistenza ai dominatori romani, divenuta proverbiale, della cittadina di
Numanzia, presso l’attuale città di Soria, nel 133 a.C.). Nella penisola iberica i nuovi conquistatori
costruirono strade e città, sfruttarono terreni agricoli e miniere, e immisero l’economia della
regione nel grande commercio mediterraneo dell’epoca. Si ricordi, inoltre, che dal primo secolo
d.C. la romanizzazione procedette di pari passo con la cristianizzazione dell’Hispania.
Nel 409 d.C. la Spagna fu invasa dalle popolazioni barbariche (Svevi, Alani e Vandali; da questi
ultimi deriva il nome dell’Andalusia), fra cui si distinsero i Visigoti, che si stabilirono nel centro
della penisola, fissando la propria capitale nella città di Toledo. I Visigoti non si fusero mai
veramente con le popolazioni romanizzate che trovarono sul suolo iberico (non furono frequenti i
matrimoni misti), restando arroccati alle proprie attività e usanze, in uno sterile isolazionismo,
causa prima della loro debolezza. Pur rafforzata nei suoi legami con le popolazioni locali dalla
conversione al cristianesimo (per l’impulso dato in tal senso dal re Recaredo, che si convertì nel
587), la fragile monarchia visigota si trovò impotente a superare i propri conflitti intestini, in
ambito sociale, etnico ed economico, e crollò di fronte all’arrivo nella penisola degli invasori arabi,
che, guidati da Tariq, Califfo di Damasco, sconfissero il loro ultimo re Rodrigo (noto come Rodrigo,
el último godo=Rodrigo, l’ultimo visigoto) nella battaglia del Guadalete (711).

2. LA DOMINAZIONE MUSULMANA E I REGNI CRISTIANI DEL NORD

2.1. L’Islam nella penisola iberica


La dominazione musulmana della Spagna (in sostanza, tutta la parte centrale e meridionale della
penisola) fu opera dell’emiro Abderramán I (756-788), che organizzò il regime islamico in Al
Ándalus (così chiamarono gli arabi il proprio territorio in terra ispanica), gettando le basi di uno
stato che sarebbe durato oltre due secoli, fra momenti di grande splendore e periodi di declino. Nel
X secolo, dunque, la Spagna è divisa in due grandi nuclei territoriali, etnici e culturali: 1. Al
Ándalus (Andalusia, Portogallo meridionale fino alla città di Coimbra, Castiglia-La Mancia, litorale
meridionale, Extremadura, Catalogna fino a Barcellona, Aragona), dalla civiltà urbana
raffinatissima, e 2. i cosiddetti regni cristiani del nord (León, Portogallo settentrionale, Galizia,
Asturie, Navarra, Paesi Baschi, Cantabria), dediti alla pastorizia e all’agricoltura, e non
particolarmente sensibili alle arti. Entro il dominio musulmano, tuttavia, continuarono per secoli a
vivere i mozárabes, cioè i cristiani che non rinnegarono la propria fede, al contrario di quanto invece
fecero i muladíes, cattolici convertiti all’Islam. All’inizio del decimo secolo, l’Islam toccò il proprio
apice politico, economico e culturale nella penisola iberica: in città popolose (alcune di esse
raggiunsero i 100.000 abitanti) e architettonicamente splendide come Córdoba (si pensi alla
Mezquita=moschea), Sevilla (cfr. l’Alcázar=fortezza, con i suoi magnifici giardini), Málaga,
pullulavano attività di ogni genere (artigianato della ceramica, dell’avorio e del cuoio, lavorazione
della seta, oreficeria) e vivevano fior di matematici, fisici, medici, astronomi. Quando i musulmani
del Califfato di Córdoba (creato da Abderramán III nel 929) si sentirono abbastanza potenti e in
forze, cioè a cavallo tra il X e l’XI secolo, il generale Al Mansur (Almanzor, in spagnolo) cominciò a
spingersi verso il nord della penisola, ma fu fermato dai cristiani e morì in battaglia nel 1002. A
metà del 1000, poi, il Califfato si frammentò – per dissidi interni – in una miriade di piccoli regni, i

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taifas, che, pur essendo politicamente deboli, spiccarono per l’opulenza e la raffinatezza delle arti e
delle scienze esatte che vi si praticavano.

2.2. I regni del Nord e la Reconquista


Nel frattempo, nel nord della Spagna, dopo il predominio astur-cantabro (asturiani e cantabri) nel
secolo ottavo, inizia a emergere il potere castigliano, e nel 961 il conte Fernán González rende
indipendente la Castiglia dal regno di León, a cui era precedentemente unita (Reino de Castilla y
León). Nel nono secolo, poi, prende il sopravvento fra i regni cristiani quello di Navarra, regione
privilegiata per il fatto di trovarsi sulle vie del commercio (proveniente dalla Francia) e sul Camino
de Santiago, cioè la via del fiorente e notissimo pellegrinaggio verso Santiago de Compostela (città
della Galizia, dove dal nono secolo, appunto, si sviluppò il culto dell’apostolo Santiago). E mentre
il re navarrino Sancho III el Mayor (=Sancio III il Grande; 1000-1035) condusse la sua terra alla
supremazia sugli altri stati cristiani, suo figlio, Fernando I di Castiglia (1035-1065), portò la
Castiglia al primato della politica spagnola, riunificandola con il regno di León. Con questo
monarca ha inizio il periodo storico che prende il nome di Reconquista, durante il quale (per più di
due secoli), con dure battaglie, i cristiani si riappropriarono del centro-sud della penisola,
scacciandovi i musulmani. Ecco, dunque, alcune fra le principali tappe della prima fase della
Reconquista: sotto il regno del castigliano-leonese Alfonso VI (il monarca del più famoso eroe epico
ispanico, Ruy Díaz del Vivar, cioè il Cid Campeador), i cristiani ripresero Toledo (1085) e Valencia
(1094), mentre poco a poco, nel corso dell’undicesimo e dodicesimo secolo, in Castiglia sorsero
città come Ávila, Madrid, Zamora e Salamanca. Nel secolo XII, tuttavia, arrivò la controffensiva
musulmana, ad opera degli Almoravidi, rozzi guerrieri marocchini mossi da un forte spirito di
crociata, che ben poco contribuirono all’evoluzione delle arti, ma che misero in difficoltà i cristiani
con la propria belligeranza. I loro successori (dal 1146), gli Almoadi, più colti e tolleranti,
raccolsero comunque l’eredità loro lasciata dagli Almoravidi, ma furono sconfitti definitivamente
dai regni cristiani coalizzati (castigliani, aragonesi, navarrini) nella battaglia di Las Navas de
Tolosa (in Andalusia, presso Úbeda), nel 1212. La prima parte della Reconquista si chiude, dunque,
a metà del XIII secolo (Córdoba cade nel 1236, Jaén nel 1246, Sevilla nel 1248, Cadice nel 1250), e
alla fine del Duecento gli arabi lasciarono la penisola, con la sola eccezione del fiorente regno
nazarita di Granada, che resse fino al 1492. Al termine del XIII secolo, pertanto, i regni di rilievo
nella penisola iberica erano quello del Portogallo (resosi indipendente nel 1143), León, Castilla,
Navarra, e Aragona.

3. IL MEDIOEVO
Il regno indipendente d’Aragona, fondato dal re navarrino Sancho III el Mayor per suo figlio
Ramiro I (1035-1063), ebbe il suo momento di splendore durante il regno di Jaime el Conquistador
(=Giacomo il Conquistatore; 1216-1276), che riconquistò Mallorca (1232) e Ibiza (1235), e ancora
quando Pedro III el Grande, rivendicando i diritti della corona aragonese sulla Sicilia, sostenuto
dai potenti commercianti catalani, conquistò l’isola nel 1282. Nell’accordo di Caltabellotta (1302),
siglato da Jaime III, gli aragonesi confermarono la propria sovranità sulla Corsica, sulla Sicilia e
sulla Sardegna (conquistata a tutti gli effetti nel 1327). Inoltre, Aragona e Catalogna furono
attivissime nel commercio della lana (l’Aragona) e delle spezie (i catalani), facendo concorrenza a
Genova e a Venezia.
Invece, in Castiglia non decollò nessuna attività industriale, tanto che i re castigliani dovettero
ricorrere a ingenti prestiti da parte dei commercianti ebrei (da qui, il diffuso antisemitismo nella
Spagna medievale, che sfociò, prima, nella conversione coatta al cristianesimo intrapresa fra il 1391
e il 1415, e poi, nella loro espulsione dal paese nel 1492), e, attraverso il cartello pastorizio della
Mesta, imposero un’imposta fissa sulle greggi transumanti nella meseta (=l’altopiano che percorre
tutta la Castiglia centrale). Il predominio della Mesta lungo tutto il Trecento e il Quattrocento
paralizzò lo sviluppo dell’agricoltura in Castiglia e frenò ogni progresso imprenditoriale, con
conseguenze drammatiche per l’economia castigliana successiva.
Una volta liberatisi della minaccia islamica, i nobili che avevano sostenuto i loro sovrani nella
Reconquista, cominciarono a rivendicare la propria autonomia, tanto che la monarchia cercò un
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alleato fra i commercianti, soprattutto nel regno d’Aragona. Dove questa nascente borghesia
mancava, come in Castiglia, i contrasti fra aristocrazia e monarchia furono assai più forti. Dopo la
felice parentesi del regno di Alfonso X el Sabio (=il Saggio), 1252-1284, durante cui la Castiglia
rivisse il sogno imperiale di Carlomagno, guidata da una figura di re-intellettuale pacifico e
mecenate, le rivendicazioni nobiliari si inasprirono nel Trecento, quando salì al trono la dinastia
dei Trastámara, fondata da Enrico II (1369), uccisore del fratellastro Pedro I el Cruel (=Pietro I il
Crudele; 1350-1369), a sua volta ostile ai nobili e al clero. Alla contrazione economica e
all’epidemia di peste nera del 1348, che provocò l’abbandono e lo svuotamento delle campagne,
con il conseguente dissesto agricolo, in Castiglia il panorama politico-sociale fu aggravato dalla
cupidigia dei nobili: essi aspirarono a impadronirsi del potere regio per assicurare il proprio
immenso patrimonio terriero, gettando lo stato in una serie di guerre civili senza quartiere che
decretarono la gravissima crisi in cui esso cadde fra la fine del Trecento e la fine del Quattrocento,
da Enrico III (1390-1406) a Enrico IV (1454-1474). Durante il regno del debole Enrico IV, già
deposto nel 1465 dai nobili a lui ostili nella famosa “farsa de Ávila”, si aprì una lotta alla
successione, che vide opporsi la figlia illegittima di Enrico, Juana la Beltraneja (spalleggiata da
Francia e Portogallo), alla sorella del re, Isabel, la futura Regina Cattolica (Isabel de Castilla),
sostenuta da Aragona, Inghilterra e dal regno di Napoli (nel 1422, gli aragonesi si erano
impadroniti della città partenopea). Nel 1468, Isabel strappò a Enrico il diritto di successione, dopo
che questi dichiarò l’illegittimità di Juana la Beltraneja (frutto degli amori fra la moglie di Enrico
IV, Juana de Portugal, con il nobile Beltrán de la Cueva).
Nel 1469, dunque, Isabel de Castilla, si unì in matrimonio con Fernando de Aragón, re aragonese
dal 1412, e così ebbe inizio una nuova fase della storia castigliana, sotto la monarchia che riunì le
due corone di Castiglia e d’Aragona nelle persone dei Re Cattolici (1479-1504).

4. I RE CATTOLICI
I Re Cattolici cercarono di riunire sotto il proprio dominio tutta la penisola, cominciando dal regno
nazarita di Granada, ultimo baluardo islamico in Spagna: nel 1492, esso cadde e in quell’anno ebbe
fine la Reconquista. Fernando, inoltre, riuscì a ottenere dal re francese Carlo VIII la restituzione del
Rossiglione e della Cerdagna (1493), in precedenza occupate dalla Francia; conquistò nel 1503 tutto
il regno di Napoli; si assicurò il dominio della Navarra (1512); estese il dominio della corona
castigliano-aragonese ad Algeri e Tripoli (1509-1511).
Fondamentale, fu, poi, l’impresa della scoperta dell’America (1492) e della sua colonizzazione, che
proseguì per tutta la metà del Cinquecento.
Durante la monarchia dei Re Cattolici, inoltre, fiorirono come mai prima di allora le arti e la
letteratura, con l’edizione di importanti grammatiche castigliane (come quella di Antonio de
Nebrija, vedi lezione n. 1), della Biblia Políglota Complutense (1513), che ricuperò i testi originali
ebraici delle Sacre Scritture; con la creazione di università prestigiose come quella di Alcalá de
Henares (1508); con la costruzione di capolavori dell’arte plateresca (=stile rinascimentale fiorito
ispanico) come la facciata dell’Università di Salamanca.
Tuttavia, i Re Cattolici si macchiarono anche di gravi errori che avrebbero compromesso
l’economia e la politica castigliana negli anni a venire: fu il caso della creazione del famigerato
Tribunale dell’Inquisizione (1481), dell’espulsione degli ebrei (attivissimi negli scambi
commerciali) nel 1492, e del consolidamento dei privilegi della Mesta, che avrebbe prodotto quella
miseria agricola responsabile (accanto alle enormi spese sostenute per la conquista e la
colonizzazione dell’America) della futura depauperazione delle casse reali nel Cinquecento.

5. IL CINQUECENTO: LA DINASTIA DEGLI ASBURGO


Alla morte di Isabel (1504), dopo un primo biennio di regno (alquanto tormentato) tenuto dalla
figlia dei Re Cattolici, Juana, soprannominata “la Loca” (=”la Pazza”) per i segni di follia che diede
durante la sua breve prova di governo, nel 1506 Fernando assunse la reggenza della corona, fino
alla propria morte (1516). Nel 1517 salì al trono il figlio di Juana la Loca e di Filippo il Bello, Carlo
V (Carlos I per gli spagnoli), iniziatore in Spagna della dinastia degli Asburgo (los Austrias, in
spagnolo), che reggerà le sorti del paese fino a fine Seicento. Dal 1517 al 1556, Carlo V – animato
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dall’ideale della repubblica cristiana sovranazionale e imperiale (alla maniera di Carlomagno) –
seppe dare grande impulso all’espansione territoriale, economica e culturale della Spagna. A lui si
devono, infatti, molte conquiste in Europa (il ducato di Milano, strappato alla Francia nel 1525; la
conferma della supremazia spagnola nel Regno di Napoli, in Sicilia e in Sardegna; la conquista
delle Fiandre e dei Paesi Bassi; l’annessione della Germania, ereditata dal nonno paterno
Massimiliano d’Austria), e la prosecuzione della colonizzazione americana: nel 1519, Hernán
Cortés conquista il Messico; nel 1536, Francisco Pizarro si impossessa del Perù; nel 1540 è la volta
del Cile, conquistato da Pedro de Valdivia. All’interno della Spagna, poi, nel 1521 Carlo V fermò la
minaccia dei comuneros castigliani, borghesi ribelli all’autorità regia, e negli stessi anni schiacciò la
rivolta delle germanías nella zona di Valencia. Dal punto di vista culturale, l’imperatore promosse
lo sviluppo della lingua castigliana, divenuta fondamentale instrumentum regni, e delle lettere: si
pensi alla notevole produzione dei libri di cavalleria, veri e propri “best-sellers” per l’epoca in cui
uscirono; alla coeva pubblicazione di una saggistica in prosa di tema filosofico e politico e di
tendenza pro-imperiale, come quelle dei fratelli Juan e Alfonso Valdés, di Juan Luis Vives o di
Antonio de Guevara; oppure, infine, alla nascita di un genere autobiografico nuovo, tipicamente
ispanico, come il romanzo “picaresco”, nato con il Lazarillo de Tormes (1554), che, attraverso la
figura del suo protagonista, il “pícaro” (un furfante che fa carriera nella malavita), mette a nudo i
difetti di una società complessa e conflittuale come quella cinquecentesca in Spagna. Fra gli errori
commessi da Carlo V, invece, vi furono la mancanza di incentivi all’industria, con il mantenimento
dell’immobilismo economico della Castiglia, e una cattiva gestione delle enormi ricchezze
provenienti dalle colonie americane, i cui beneficiari in realtà furono i mercanti francesi,
fiamminghi e genovesi, o che andarono a finanziare le impegnative operazioni militari
dell’imperatore in Europa.

6. DA FILIPPO II A CARLO II (1556-1700): LO SPLENDORE E LA DECADENZA


Sul versante culturale, il Seicento fu davvero il Siglo de Oro (=Secolo d’oro) con cui gli spagnoli lo
designano: in campo artistico, basti ricordare nomi di pittori come Diego de Velázquez ed El
Greco, o scultori dal carico stile barocco (o churrigueresco) come José de Churriguera e Alonso
Cano; in letteratura, accanto ai grandi mistici (Santa Teresa d’Avila e San Juan de la Cruz), si pensi
a Miguel de Cervantes e al suo monumento letterario, il Don Quijote (1605-1615), al geniale scrittore
satirico Francisco de Quevedo, all’eccelso ed ermetico poeta Luis de Góngora, autore delle
Soledades, e agli insigni drammaturghi Lope de Vega, Tirso de Molina e Calderón de la Barca, che
fecero raggiungere al teatro barocco spagnolo vette parallele a quelle toccate dal grande teatro
elisabettiano inglese.
Non altrettanto, però, si può dire delle sorti politiche del paese, che nel corso del Seicento si avviò
verso una crisi profonda e inevitabile, sfociata nella fine della dinastia asburgica, sostituita dal
casato dei Borboni all’inizio del XVIII secolo. La parabola ascendente inaugurata da Carlo V si
mantenne tale anche durante il regno di suo fratello, Felipe II (1556-1598), che, pur centralizzando
molto il potere in senso ispanocentrico (spostò la capitale del regno da Toledo a Madrid; creò una
imponente rete burocratica da lui coordinata) e mettendo in atto nella politica di casa sua i rigidi
principi della Controriforma (sancita dal Concilio di Trento, 1545-1563), diede ancora slancio alle
mire espansionistiche del suo predecessore: per esempio, nel 1580 conquistò il Portogallo (che
rimarrà sotto il dominio spagnolo fino al 1668). Comunque, molte delle sue azioni politiche e
militari furono improntate alla difesa dello status quo e degli sterminati possedimenti della corona
spagnola in Europa, in America e in Asia (le Filippine furono conquistate nel 1565), non senza
intoppi e sconfitte: se, infatti, nel 1571 Felipe II fermò con successo l’avanzata turca nel
Mediterraneo nella battaglia navale di Lepanto, fu emblematico invece l’esito, disastroso per
l’Invencible Armada (la flotta creata dal re per contrastare la potenza marittima di Elisabetta I
d’Inghilterra), nella battaglia che la oppose alla flotta inglese nella Manica, nel 1588. Inoltre, per
tutta la seconda metà del ‘500 la Spagna dovette continuamente fare i conti con sollevazioni in
Olanda, nelle Fiandre, in Portogallo, oltre che con l’aperta ostilità dell’Inghilterra e della Francia.
Alla morte di Felipe II, gli succedette nel 1598 (e fino al 1621) suo figlio Felipe III: questi, a
differenza de padre, che aveva accentrato nelle sue mani la conduzione degli affari dell’Impero,
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delegò la gestione della politica a un nobile ambizioso e corrotto, il Duque de Lerma. Durante il
regno di Felipe III, avvenne la cacciata dalla Spagna dei moriscos, i discendenti cristianizzati dei
musulmani (=moros) rimasti in suolo iberico dopo la Reconquista: questa mossa fu un errore
gravissimo, poiché la Spagna si privò in tal modo di una cospicua ed efficiente mano d’opera
agricola e di artigiani e commercianti eccellenti, quali erano, appunto i moriscos.
Attanagliata dai debiti e da una inflazione galoppante, la Spagna si ritrova poi sotto il comando di
un altro inetto, Felipe IV (1621-1665), che affidò il governo all’intelligente ma corrotto Conde-
Duque de Olivares. In questi anni, il paese subì una lunga serie di disfatte e perdite territoriali: nel
1640, vi fu una ribellione in Catalogna, sedata soltanto nel 1652; al termine della Guerra dei
Trent’Anni (1618-1648), nella pace di Westfalia, la Spagna dovette riconoscere l’indipendenza
dell’Olanda; nel 1659, con la pace dei Pirenei, la Spagna restituì alla Francia il Rossiglione e la
Cerdagna; infine, nel 1668, il Portogallo riacquistò l’indipendenza, scegliendosi un sovrano nel
casato dei Braganza.
Il culmine della decadenza, tuttavia, fu raggiunto durante il regno dell’incapace e malaticcio
Carlos II (1665-1700), soprannominato “El Hechizado”=”Lo Stregato”, per il fatto di essersi
circondato di maghi e fattucchiere a corte. In questi anni, la Spagna perse, assieme all’Artois e alla
Franca Contea, tutto il suo prestigio politico ed economico nello scacchiere europeo. Carlo nominò
erede al trono Filippo d’Angiò, e a questa scelta seguì una lunga guerra di successione, terminata
nel 1713, con la salita al trono di Felipe V (1700-1746), primo re della dinastia dei Borboni di
Spagna.

7. IL RIFORMISMO ILLUMINATO DEI BORBONI


Durante il regno di Felipe V, del suo successore Fernando VI (1746-1758), e soprattutto di Carlos
III (1759-1788), la Spagna fu il terreno propizio per la realizzazione dei principi del riformismo
borbonico, di stampo illuminista, in campo sociale ed economico soprattutto. Qualche risultato fu
raggiunto, come la fine dei privilegi della Mesta; inoltre, si diede forte impulso alla costruzione di
strade e all’apertura di canali, si riformarono le Università, e si tentò una razionalizzazione nello
sfruttamento dell’agricoltura (attraverso la parcellizzazione dei grandi latifondi), che, però, non
sortì gli effetti concreti sperati dai collaboratori del sovrano, intellettuali intelligenti ed entusiasti,
come G.M. de Jovellanos e il conte di Aranda, ma che, pure, avevano scarsi contatti con la realtà
pratica delle cose ed erano mossi da ideali riformisti utopici ed aristocratici, come quello di
educare il popolo “dall’alto”. In campo culturale, molto si fece, comunque, per favorire la
diffusione delle nuove conoscenze: si pensi alla creazione (v. lezione n. 1) della Real Academia
Española nel 1713, della Real Academia de la Historia nel 1714, e alla pubblicazione, fra le altre
opere linguistiche, del Diccionario de Autoridades (1726-1739); nel segno dell’innovazione e della
divulgazione pubblica e laica dell’istruzione, inoltre, furono espulsi dalla Spagna (1767) i Gesuiti,
che fino ad allora avevano detenuto il monopolio dell’educazione (religiosa e d’élite) nel paese.
Un momento difficile per la Spagna coincise, invece, con il regno di Carlos IV (1788-1808), che
affidò le cure dello stato al plenipotenziario Manuel Godoy, e dovette assistere allo scoppio della
rivoluzione francese e poi affrontare in patria la guerra di indipendenza (Guerra de la Independencia;
1808-1814), contro l’invasore francese. Illuminante, per riassumere la drammaticità di quegli anni,
è uno dei dipinti del maestro Francisco Goya, intitolato “Los fusilamientos del 3 de mayo” (“Le
fucilazioni del 3 maggio”), che a forti tinte riproduce la fucilazione da parte dei francesi di un
gruppo di patrioti spagnoli a Madrid (il quadro è oggi conservato nel museo madrileno del Prado).

8. L’OTTOCENTO: CONSERVATORI E LIBERALI AL POTERE


Dopo l’abdicazione forzata di Carlos IV, in piena guerra d’indipendenza, si aprì una parentesi
liberale in Spagna, quando nelle Cortes (=parlamento) di Cadice, nel 1812, si promulgò una
Costituzione che proclamò la sovranità nazionale e la libertà di stampa. L’assolutismo monarchico,
però, fu restaurato nel paese al rientro dalla Francia del re Fernando VII (1814-1833): se, poi, i
liberali riuscirono a riprendere il potere nel triennio 1820-1823, la repressione non tardò a farsi
risentire, durante la cosiddetta “ominosa década” (=l’ignominioso decennio; 1823-1834), quando
furono costretti all’esilio (in Francia e in Inghilterra) moltissimi intellettuali di idee progressiste.
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Nel frattempo, era scoppiata in America Latina la guerra di indipendenza dalla Spagna, che infuriò
per tutta la prima metà del secolo XIX, e si concluse nel 1898, con l’indipendenza di Cuba. Nel
1833, il regno di Fernando VII si chiuse con la guerra carlista, dal nome del fratello conservatore
del monarca, Carlos, che inutilmente cercò di opporsi alla primogenita di Fernando, Isabel, per la
successione al trono.
Ebbero così inizio (dopo un’altra parentesi di governo liberaleggiante) il regno di Isabel II (1843-
1868), e la cosiddetta “era isabelina”, scossa da continue lotte fra conservatori e liberali, ma anche
testimone dell’espansione economica della Spagna, con la desamortización, cioè la confisca dei beni
ecclesiastici da parte dello stato (1836), con la costruzione delle prime ferrovie (1848), con il lancio
dell’industrializzazione (soprattutto in Catalogna, nel settore tessile; e nei Paesi Baschi, nel settore
delle costruzioni navali), e con la nascita parallela della classe borghese, dipinta, nei suoi vezzi e
nei suoi difetti, nelle opere del maggiore romanziere ottocentesco spagnolo, Benito Pérez Galdós
(1843-1920). Oltre alle guerre carliste (cioè dei conservatori oltranzisti, residenti in particolare nel
nord del paese), che insanguinarono la Spagna per un quarantennio, Isabel dovette affrontare la
strenua opposizione dei liberali, che, capeggiati dal generale Juan Prim, la detronizzarono nel 1868:
quell’evento prese il nome di rivoluzione di settembre, o “gloriosa” (gli spagnoli la conoscono
come “La Septembrina” o “La Gloriosa”, tout court). Il governo liberale di Prim, tuttavia, ebbe vita
breve: si concluse, con l’assassinio dello stesso generale nel 1871, proprio nell’anno in cui fu
restaurato il potere monarchico, nella figura di Amedeo di Savoia (1871-1873).
Nel 1873, poi, fino all’anno successivo, la Spagna conobbe un governo repubblicano, per la prima
volta nella sua storia (la Prima Repubblica): essendo però retta da intellettuali poco avvezzi alla
gestione della cosa pubblica e sovente in disaccordo fra di loro, l’esperimento repubblicano
naufragò nel 1874, anno in cui i Borboni rientrarono in Spagna, con Alfonso XII (1874-1885), figlio
di Isabel II. Durante il regno di Alfonso XII, coadiuvato dall’intelligente Primo Ministro Antonio
Cánovas del Castillo, la Spagna conobbe un’epoca di rilancio agricolo (in Castiglia e nel sud
soprattutto) e industriale (in Catalogna e nei Paesi Baschi specialmente), e vide la nascita dei primi
movimenti socialisti: nel 1879 Pablo Iglesias fonda il Partido Socialista Obrero Español (PSOE), e nel
1888 sorge la Unión General de Trabajadores (UGT), il primo sindacato spagnolo di orientamento
socialista.
L’ultimo scorcio del XIX secolo fu dominato, sulla scena politica, dalla regina María Cristina, che
governò per un quindicennio (1885-1902), prima di lasciare il testimone al suo primo figlio
maschio, il futuro Alfonso XIII (di cui parleremo nella lezione n. 6). Durante la reggenza di María
Cristina, nel 1898, altresì definito “el año del desastre” (=l’anno del disastro), la Spagna dovette
cedere agli Stati Uniti le sue ultime colonie, Cuba, le Filippine, Puerto Rico e Guam, perdendo
definitivamente il ruolo di potenza coloniale, che aveva detenuto p er ben quattro secoli.

9. IL NOVECENTO: LA MONARCHIA DI ALFONSO XIII (1886-1931)


Nel XX secolo, la Spagna ha attraversato epoche molto tormentate e assai diverse fra loro: è infatti
passata da un periodo di instabilità politica e sociale piuttosto forte – nel primo trentennio -, a una
dittatura militare (1923-1930), dall’esperienza della Seconda Repubblica (1931-1936) alla guerra
civile (1936-1939), dalla lunga dittatura di Francisco Franco (1939-1975), al definitivo approdo alla
democrazia (1975-).
Durante la monarchia di Alfonso XIII (1886-1931), si susseguirono una serie di primi ministri – dal
conservatore Antonio Maura al progressista José Canalejas – che, malgrado vari tentativi di
risoluzione di problemi annosi come l’amministrazione locale, la riforma agraria, il malcontento
della classe operaia (soprattutto nelle zone più industrializzate del paese, come la Catalogna) , non
portarono grandi e concreti cambiamenti: di qui, l’esplosione operaia a Barcellona, nel 1909, e lo
sciopero generale del 1917, culmine e anticipazione di gravi insofferenze sociali. Allo scoppio della
Prima Guerra Mondiale, pertanto, una Spagna “invertebrata” (secondo la celebre definizione del
maggiore filosofo spagnolo contemporaneo, José Ortega y Gasset) e in crisi non potè che tenersi in
disparte rispetto agli eventi bellici, proclamando la propria neutralità. Una pur temporanea
soluzione a questa situazione parve profilarsi nel 1923, quando, con il consenso di Alfonso XIII, il
generale Miguel Primo de Rivera instaurò una dittatura militare, proponendo un governo
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energico che ristabilisse l’ordine e la disciplina, ma la sua strategia politica, puramente difensiva,
non sortì gli effetti sperati, e, osteggiato dagli intellettuali, dalla borghesia, e da parte dell’esercito,
Primo de Rivera dovette scegliere la via dell’esilio nel 1929.
Se dal punto di vista politico, questo periodo ebbe molti alti e bassi, non altrettanto si può dire
della vita culturale, tanto che il primo trentennio del Novecento è conosciuto come la “edad de
plata” (“l’età d’argento”): basti solo ricordare qualche nome di artista – Luis Buñuel, per il cinema;
Salvador Dalí, in pittura -, e il gruppo di poeti che costituirono la cosiddetta generazione del 27:
Rafael Alberti (1902-1999), Federico García Lorca (1898-1936), fucilato allo scoppio della guerra
civile, Luis Cernuda (1902-1963), Jorge Guillén (1893-1984), Pedro Salinas (1891-1951), Vicente
Aleixandre (1898-1984).

10. LA SECONDA REPUBBLICA (1931-1936)


Il 12 aprile 1931 si svolsero le elezioni amministrative, in cui repubblicani e socialisti sconfissero i
partiti monarchici. Il 14 aprile fu, così, proclamata la repubblica, chiamata Seconda Repubblica (la
prima era stata quella del biennio 1873-1874), e Alfonso XIII lasciò la Spagna alla volta di Roma.
Niceto Alcalá Zamora fu designato presidente del governo provvisorio, a cui presto seguì il
governo di coalizione (repubblicani e socialisti) guidato da Manuel Azaña. Il 9 dicembre fu
promulgata la nuova Costituzione, che, fra l’altro, concesse un regime di autonomia alle regioni
bilingui (Catalogna, Paesi Baschi, Galizia). Il governo di Azaña promosse una serie di importanti
riforme, da quella agraria (espropriazione dei latifondi alla nobiltà terriera e al clero), a quella
scolastica (con notevoli miglioramenti soprattutto nella scolarizzazione elementare), ma fu
osteggiato dagli anarchici, che organizzarono rivolte in tutta la Spagna nel 1932, e dai partiti di
centrodestra, che, alla guida di Alejandro Lerroux, vinsero le elezioni nel 1933. Il governo Lerroux
resse fino al dicembre del 1935, in mezzo ai disordini, che culminarono nell’insurrezione
organizzata dalle sinistre nelle Asturie (1934) e in una ribellione indipendentista scoppiata a
Barcellona lo stesso anno. Nel frattempo, nel 1933, per opera del figlio di Miguel Primo de Rivera,
José Antonio Primo de Rivera, era nata la Falange, movimento oltranzista di destra, responsabile
negli anni a venire di indiscriminate attività squadristiche e dell’eliminazione sommaria di molti
oppositori dei nazionalisti: i falangisti furono altresì noti come le “camicie blu” (camisas azules), dal
colore della loro divisa.
Nel gennaio del 1936, i partiti della sinistra strinsero il patto elettorale del Frente popular (Fronte
popolare), che vinse le elezioni: Manuel Azaña tornò alla presidenza del governo, ma per pochi
mesi. Infatti, l’assassinio del deputato monarchico Joaquín Calvo Sotelo nel luglio del 1936 fu la
goccia che fece traboccare il vaso: l’esercito, legato ai partiti di destra e al clero (fortemente
danneggiato e perseguitato durante la Seconda Repubblica), proclamò l’Alzamiento nacional (la
sollevazione nazionale) contro la repubblica. Il 17 luglio 1936, con la rivolta dell’esercito di stanza
in Africa, ha inizio la guerra civile.

11. LA GUERRA CIVILE (1936-1939)


Nel frattempo, il comandante in capo dell’esercito nelle Canarie, il generale Francisco Franco
Bahamonde, era rientrato con le sue truppe in Spagna, e il 1 ottobre 1936 assunse la carica di capo
di stato e di comandante delle forze armate nazionaliste (che da lui prenderanno poi il nome di
“franchiste”). Il 26 settembre, intanto, i nacionalistas (i militari ribelli) avevano occupato Toledo,
strappandola ai republicanos, e iniziando così quella che essi chiamarono la “cruzada” (crociata) in
difesa dell’ispanità e del Cattolicesimo, contro i repubblicani. Sul piano internazionale, i franchisti
poterono contare sull’aiuto militare della Germania di Hitler e dell’Italia mussoliniana, mentre i
repubblicani furono sostenuti dalla Russia e da moltissimi volontari di idee progressiste,
provenienti da molti paesi (Inghilterra, Francia, Italia, Stati Uniti, ecc.), pieni di entusiasmo ma
meno organizzati dei loro nemici dal punto di vista militare e strategico. Queste schiere di
volontari si riunirono nelle Brigadas internacionales, tra cui primeggiarono il battaglione italiano
Garibaldi, e il battaglione statunitense Lincoln. Le Brigate internazionali, che ebbero un valore
simbolico di grande rilievo, furono anche elogiate in varie opere letterarie del tempo. Valgano da
esempio alcuni versi del grande poeta spagnolo Rafael Alberti, nella nota lirica “A los
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internacionales” (“Agli internazionali”): “Venís desde muy lejos, mas esta lejanía/¿qué es para
vuestra sangre que canta sin fronteras?/La necesaria muerte os nombra cada día/no importa en
qué ciudades, campos o carreteras” [“Venite da molto lontano, ma questa lontananza/cos’è per il
vostro sangue che canta senza frontiere?/La morte necessaria vi nomina ogni giorno/poco
importa in quali città, campi o strade”]. Moltissimi intellettuali spagnoli e stranieri si schierarono
dalla parte dei repubblicani: fra essi si possono ricordare il poeta Miguel Hernández, morto
prematuramente in un carcere nazionalista nel 1942; Rafael Alberti, poi esule in Argentina e in
Italia durante il franchismo; il grande poeta cileno Pablo Neruda; e poi ancora Hemingway,
Spender, Brecht, Thomas Mann, Malraux, per fare solo qualche nome.
La prima grande battaglia fu quella di Madrid (23 novembre 1936), in cui, al grido di “No pasarán”
(“Non passeranno”), i miliziani repubblicani e le Brigate internazionali difesero con successo la
capitale: Franco dovette ritirarsi. Ma l’avanzata nazionalista non si fermò: nel 1937, pur battuto sul
fiume Jarama, e nella grande battaglia di Guadalajara (8-18 marzo), Franco si spostò sul fronte
basco: il 26 aprile fu bombardata la cittadina di Guernica, resa celeberrima dal capolavoro di Pablo
Picasso; e il 19 giugno i nazionalisti conquistarono Bilbao, avanzando da nord verso sud-est.
Il 31 ottobre 1937, il governo repubblicano si trasferì a Barcellona, che nel corso dell’anno era stata
teatro di durissimi scontri fra i comunisti e gli anarchici del POUM (Partido Obrero de Unificación
Nacional), come, ad esempio, racconta lo scrittore inglese George Orwell in Homage to Catalonia
(1939). Nel 1938, i nazionalisti si portarono sul fronte dell’Aragona, raggiungendo poi il litorale
mediterraneo; il 15 novembre, nella storica battaglia dell’Ebro (il fiume che attraversa l’Aragona,
passando per Zaragoza), i repubblicani subiscono una dura sconfitta dai nazionalisti. Le Brigate
internazionali lasciano la Spagna. Ai repubblicani restano la Catalogna, la zona valenciana,
l’Andalusia fino a Granada e la Castiglia (fino a Madrid compresa), ma ancora per poco. Infatti,
dopo aspri scontri, il 26 gennaio 1939 Barcellona cade in mano nazionalista, e pochi giorni dopo il
governo repubblicano, guidato dal 1937 dal socialista Juan Negrín, si trasferisce a Madrid. Il 28
marzo 1939 i franchisti entrano a Madrid, e il 1 aprile Franco annuncia la resa dell’esercito
repubblicano e la fine della guerra.

12. DAL REGIME FRANCHISTA (1939-1975) A OGGI (2019)


Con la vittoria dei franchisti, ha così inizio la lunga dittatura militare di Francisco Franco – dal
1939 al 1975 -, caratterizzata, nel primo decennio, da crudeli epurazioni, dalla lentissima e faticosa
ricostruzione del paese dopo una guerra terribile (che aveva prodotto atrocità di ogni genere su
entrambi i fronti, e che ancor oggi costituisce una ferita non rimarginata nella storia
contemporanea spagnola), da una situazione economica precaria (acuita dall’autarchia voluta da
Franco) e dall’isolamento internazionale della Spagna (molti paesi ruppero le relazioni
diplomatiche con il paese). Nel 1941 è fondato l’Instituto Nacional de Industria (INI), a cui si deve
la creazione di imprese nazionali legate alla lavorazione del petrolio, alla metallurgia,
all’aeronautica (Iberia), alla fabbricazione di automobili (Seat). Negli anni Cinquanta, Franco
cominciò ad aprirsi maggiormente al mondo: nel 1952 la Spagna entrò nell’UNESCO, nel 1955 fu
ammessa all’ONU, e nel 1958 entrò a far parte del Fondo Monetario Internazionale, con la
possibilità concreta di ottenere un sostegno finanziario importante per il rilancio economico della
nazione. In questo decennio, si ruppe anche il modello autarchico vigente negli anni Quaranta: si
intensificarono i rapporti commerciali con i paesi stranieri (anche con gli USA), e si liberalizzarono
le importazioni. Venne dato slancio alla produzione industriale anche in zone tradizionalmente
meno attive in tal senso, come la Castiglia e l’Andalusia, fu modernizzata e ampliata la rete
ferroviaria e viaria, migliorò lo sfruttamento dell’agricoltura. Dal 1963 al 1975 si susseguirono, poi,
i cosiddetti planes de desarrollo (piani di sviluppo), in ambito industriale. Nel frattempo, con gli anni
Sessanta, anche la rigida censura e chiusura franchista si andò attenuando, e la Spagna divenne
un’importante meta per il turismo di massa (Andalusia, costa valenciana e catalana, Baleari,
Canarie).
Nel frattempo, dal 1947, formalmente la Spagna era di nuovo una monarchia, e nel 1969, Franco
designò come proprio successore – cioè come futuro re di Spagna – il principe Juan Carlos di
Borbone, nipote di Alfonso XIII. Nel 1973, Franco rinunciò alla carica di capo del governo,
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nominando al suo posto l’ammiraglio Luis Carrero Blanco, assassinato in un attentato dai terroristi
indipendentisti baschi dell’ETA, nello stesso anno, a Madrid. A Carrero Blanco succedette il
moderato Carlos Arias Navarro. Il generalísimo (o caudillo, come fu soprannominato per
antonomasia) Franco morì il 20 novembre 1975, e la Spagna, che negli anni Settanta si era
gradualmente avviata verso una moderata apertura alla democratizzazione, veleggiò verso la
transizione democratica, prima sotto la guida della UCD di Adolfo Suárez (1976-1982), poi del
PSOE di Felipe González (1982-1996). Poi è seguita l’era del Partido Popular di José María Aznar,
fino alla sconfitta del PP ad opera del rinnovato PSOE, guidato da José Luis Rodríguez Zapatero,
che ha governato il paese – tra grandi riforme iniziali ed enormi difficoltà finali - dal 2004 al 2011:
la vittoria è andata decisamente a favore dei Popolari, che, capeggiati da Mariano Rajoy, hanno
cercato di porre freno alla grave crisi socio-economica che la Spagna stava attraversando. Il paese
negli ultimi anni si è arricchito di nuove realtà politiche: da Ciudadanos de Cataluña, un partito
progressista catalano non autonomista (nato nel 2006), a Unidos Podemos (sorto nel 2014),
paragonabile al nostro Movimento 5 stelle. Il 20 dicembre 2015, alle elezioni generali, ha vinto il PP,
ma senza maggioranza assoluta in Parlamento; secondo il PSOE; terzo, Podemos. Una situazione
analoga si è creata dopo le elezioni del 26 giugno 2016: il PP è andato al governo, ma senza
maggioranza assoluta, e con una difficile situazione di alleanze politiche con gli altri partiti votati:
PSOE, Podemos, Ciudadanos. Gravi sono state le vicende legate alle forti tensioni indipendentiste
esistenti in Catalogna, nell’ottobre del 2017 (referendum sull’indipendenza della Catalogna dalla
Spagna, dichiarato illegale dal governo spagnolo). Le elezioni generali del 23 luglio 2023, seguite a
un quadriennio a guida socialista (Pedro Sánchez), sono state vinte dal PP di Alberto Núñez Feijóo,
il cui fronte conservatore è privo, tuttavia, della maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento,
avendo perso numerosi consensi il partito ultranazionalista Vox (presieduto da Santiago Abascal).
Pertanto, attualmente la Spagna è ancora guidata dal Presidente del governo uscente, Pedro
Sánchez, alle prese con la spinosa questione dell’indipendentismo catalano (per governare
necessita dell’appoggio dei partiti catalanisti), e alla ricerca di alleanze per riproporre una
investitura progressista per la prossima legislatura.

Resumen de historia de España (época contemporánea, del s. XVIII a hoy día)

La historia española desde el siglo XVII hasta finales del XIX atraviesa momentos de gran
prosperidad (como sucede durante el reinado de Carlos V, el primer monarca de los Austrias en
España; o cuando gobierna el Borbón Carlos III, rey ilustrado y reformista, en el siglo XVIII), pero
también temporadas de decadencia y crisis, tanto social como política y económica: es el caso del
reinado de los últimos Austrias (Felipe III, Felipe IV y Carlos II), cuando España pierde sus
posesiones geográficas y su prestigio a nivel mundial; o del siglo XIX, cuando se alternan formas
de gobierno liberales y republicanas (las Cortes de Cádiz, en 1812; la Primera República de 1873-
1874) a la más dura restauración monárquica (Fernando VII; Amadeo de Saboya).
El siglo XVII, pues, es “de Oro” en el campo cultural, por las excelentes obras artísticas y literarias
que se producen en él (cf. la pintura de Velázquez y del Greco, las esculturas de Alonso Cano, el
Don Quijote de Cervantes, las comedias de Lope de Vega y Calderón de la Barca), pero no lo es en
el ámbito político y social. El XVIII destaca, en cambio, por los esfuerzos que los Borbones y sus
colaboradores (la mayoría de ellos, intelectuales) hicieron para reformar sectores como la
educación, la agricultura y la cultura. Y, para terminar, el XIX, a pesar de sus muchos y repentinos
cambios en el poder, fue el siglo en el que nació la clase burguesa, surgieron (=sorsero) las
primeras industrias modernas, y se desarrollaron (=si svilupparono) los ideales socialistas (cf.
creación del PSOE y de la UGT).
En el siglo XX España ha pasado por experiencias muy diferentes: el reinado de Alfonso XIII (1886-
1931), la dictadura militar del general Miguel Primo de Rivera (1923-1929), la Segunda República
(1931-1936), la guerra civil (1936-1939), el largo régimen franquista, y el paso a la democracia
después de la muerte de Franco (1975). Tras los frustrados intentos reformistas del rey y de Primo
de Rivera, siguieron las libertades democráticas de la Segunda República, que, sin embargo, no
supo evitar desórdenes sociales, huelgas y conflictos políticos entre los socialistas y los partidos de
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derechas que se alternaron en el gobierno. La experiencia republicana terminó trágicamente, con el
estallido de la guerra civil, auténtica herida abierta en la historia contemporánea del país. Después
de tres años de crueles batallas y de bombardeos que destruyeron la nación, con atrocidades en los
dos bandos, tanto el republicano como el nacionalista, los franquistas ganaron y llegaron en
triunfo a Madrid, el 1 de abril de 1939. Una vez finalizada la guerra, empezó el régimen militar
franquista, dirigido por el general Francisco Franco, que duró hasta el día de su muerte, el 20 de
noviembre de 1975. En los años cuarenta la situación económica española fue muy difícil por la
lenta reconstrucción y el aislamiento del país, pero en los cincuenta todo fue mejorando, cuando
España se abrió a las relaciones internacionales, emprendió planes de desarrollo industrial, y la
censura se hizo menos rígida. En 1969 Franco nombró a Juan Carlos de Borbón como sucesor suyo,
dejando abierta la puerta hacia un moderado proceso de apertura política que llevaría a la
transición democrática de la década 1975-1982, cuyo primer protagonista político fue la Unión de
Centro Democrático (UCD) guiada por Adolfo Suárez. Después siguieron la larga temporada del
PSOE, con Felipe González (hasta 1996), y los ocho años de gobierno del Partido Popular (José
María Aznar). Finalmente, a partir de las elecciones generales del 14 de marzo de 2004, han vuelto
a gobernar el país los socialistas, encabezados por José Luis Rodríguez Zapatero. Tras introducir
una serie de grandes reformas en ámbito social y político, sin embargo, los socialistas no han
conseguido enfrentarse a la gravísima crisis económica que estaba afectando a España sobre todo a
partir de 2010: en efecto, en las elecciones generales de 20/11/2011 ha vuelto a ganar el PP, guiado
por Mariano Rajoy, que ha intentado sacar al país de su difícil situación. En los últimos años han
surgido nuevas fuerzas políticas, que han cambiado el panorama institucional: Ciudadanos de
Cataluña (surgido en 2006) y Podemos, nacido en 2014, que se puede comparar con nuestro
Movimento 5 stelle. Tras las elecciones del 26 de junio de 2016, siguió gobernando el PP pero con
una situación política de difíciles alianzas con los otros partidos votados: PSOE, Podemos,
Ciudadanos. Muy grave fue la situación social y política de Cataluña, con sus fuertes tendencias
independentistas, en octubre de 2017 (referendum sobre la independencia de Cataluña, que se
declaró ilegal). En las elecciones generales del 23/07/2023, después de una legislatura socialista
(gobernada por Pedro Sánchez) ganó el PP de Alberto Núñez Feijóo, que, sin embargo, no obtuvo
la mayoría absoluta en las Cortes (en el frente conservador el partito ultranacionalista Vox,
presidido por Santiago Abascal, perdió muchos votos). Por lo tanto, actualmente España está
guiada por el Presidente del Gobierno en funciones, Pedro Sánchez, líder del PSOE, quien está
intentando formar un gobierno de coalición con el partido Sumar y los partidos catalanistas.

BIBLIOGRAFÍA SELECTA DE REFERENCIA

- F. García de Cortázar-J.M. González Vesga, Breve historia de España, Madrid, Alianza, 2001
(nueva edición).
- J. Vicens Vives, Aproximación a la historia de España, Barcelona, Vicens Vives, 1960 (trad. it.,
Profilo della storia di Spagna, Torino, Einaudi, 1966).
- Sitios web:
- www.historiasigloXX.org/enlaces/españa.htm
- http://cervantesvirtual.com/historia

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