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Al cor gentil rempaira sempre amore

Parafrasi
Amore ritorna sempre nel cuore nobile, così come l’uccello si rifugia tra le fronde. La natura non ha
creato l’amore prima del cuore nobile, né il cuore nobile prima dell’amore, poiché non appena il
sole fu creato, subito la sua luminosità risplendette, né essa nacque prima del sole. L’amore prende
dimora nel cuore nobile, esattamente come il calore nella luce del fuoco.

Il fuoco dell’amore si accende nel cuore nobile come la virtù in una pietra preziosa, dal momento
che non discende valore dalla stella prima che il sole la renda nobile (l’abbia purificata). Dopo che
il sole, per mezzo della sua potenza, ne ha eliminato ciò che vi è di impuro, la stella le fornisce la
sua proprietà (valore); ugualmente la donna, agendo come la stella, fa innamorare il cuore, che è
reso dalla natura eletto, puro, nobile.

Amore sta nel cuore nobile per lo stesso motivo per il quale il fuoco (sta) sulla sommità della torcia:
a suo piacimento vi splende luminoso e puro e non potrebbe essere altrimenti, tanto è indomabile.
Così una natura malvagia si oppone all’amore come l’acqua si oppone per la sua freddezza al fuoco
caldo. Amore dimora nel cuore nobile, come luogo a lui confacente, così come fa il diamante nel
minerale del ferro.

Il sole colpisce continuamente il fango, ma questo rimane impuro, né il sole perde calore. L’uomo
superbo dice: «Sono nobile per diritto di famiglia»; io paragono costui al fango, al sole il valore
della nobiltà, poiché non si deve credere che la nobiltà possa vivere fuori dal cuore, per dignità
ereditaria, se non si ha un cuore nobile predisposto per la virtù, come l’acqua lascia passare il raggio
del sole, anche se è il cielo che possiede sia le stelle sia il loro splendore.

Dio creatore risplende nell’intelligenza celeste più di quanto la luce del sole risplenda nei nostri
occhi. Essa (l’intelligenza del cielo) comprende il proprio Creatore che sta al di là del cielo e,
facendo girare il cielo (che le compete), prende a ubbidirGli. E realizza subito il beato incarico del
giusto Dio. Così, in verità, la bella donna, dal momento in cui risplende negli occhi del suo nobile
innamorato, dovrebbe dargli il desiderio di non distogliersi mai dall’ubbidirle.

Donna, Dio mi dirà: «Che presunzione hai avuto?», quando la mia anima sarà davanti a lui. «Hai
attraversato il cielo e sei giunto fino a me e mi hai preso come paragone di un amore profano, ma le
lodi spettano a me e alla Regina del nobile regno, grazie alla quale ogni malvagità finisce». Gli
potrò dire: «Ebbe l’aspetto di un angelo appartenente al Tuo regno; non fu colpa mia se mi
innamorai di lei».
ANALISI LIBRO PAGG.144-145
-Questa canzone è un esempio di Dolce Stil Novo, è il manifesto dell’amore cortese
-La prima strofa presenta il collegamento tra cuore nobile e amore, attraverso 1 similitudine?:
1)l’amore si trova nel cuore gentile, così come gli uccellini si riparano nel bosco
-Nella seconda strofa vi è la definizione dell’amore, cioè il processo di purificazione e
nobilitazione dell’uomo; anche questo è espresso attraverso una similitudine? Nel verso 30:
così come la pietra preziosa viene raffinata dal sole e riceve dalle stelle le sue qualità, così il
cuore solo con l’amore diventa buono (nobile).
-Nella terza strofa viene dichiarato che, se il cuore non è gentile (buono) non può innamorarsi;
anche qui viene usata una similitudine?: l’animo rozzo (non gentile) è come l’acqua fredda che
respinge il fuoco (incompatibilità tra amore e animo rozzo).
-La quarta strofa ribadisce il concetto della terza strofa con un’altra similitudine?: come il
fango non migliore anche se colpito dal sole, così l’amore non può avere un rapporto con
un’anima rozza (verso 34  CHIASMO).
Ne deriva che i nobili non sono quelli per stirpe, ma coloro che hanno il cuore gentile.
-Nella quinta strofa si passa dal piano sentimentale a quello religioso, sempre attraverso una
similitudine?: così come le stelle ubbidiscono a Dio, così l’uomo ubbidisce alla donna 
paragona la donna a Dio  ripetizione del verbo “obedir” versi 44 e 50.
-La sesta strofa corrisponde al “congedo”: parla della donna come fosse un angelo,
immaginando di parlare con Dio e si giustifica con lui per avere una devozione religiosa per la
donna.
Lo stile è dolce e limpido, senza regionalismi. E’ ricco di analogie e similitudini.
Il proseguire delle strofe portano un crescendo dal piano terreno a quello spirituale.
Ci sono molte ripetizioni (soprattutto “cor gentile” e “amore”)
Ci sono molte figure retoriche, soprattutto similitudini.

Figure retoriche:
Ricorrente è la figura dell’anafora: (come… e com’…; vv. 2, 10, 12, 30 e 39); (né; vv. 3, 4, 7);
(così: vv. 9, 18, 25, 47); (che, ch’; vv. 5, 13, 36, 50, 55, 59); (per; vv. 16, 22, 29, 57); (e;
vv. 8, 40, 44, 45, 54, 56); (Amor… amore; vv. 21 e 28).

Frequente è anche il ricorso alle similitudini: (v.2, come l’ausello in selva a la verdura; vv. 9-
10, così propiamente/come calore in clarità di foco; v. 12, come vertute in petra preziosa; v.
20; a guisa di stella; vv.26-27; come fa l’aigua il foco/caldo per la freddura; v30, com’adamàs
del ferro in la minera; v.34, lui semblo al fango, al sol gentil valore; vv.39-40; com’aigua porta
raggio/e il ciel riten le stelle e lo splendore; vv. 41-42 Splende ‘n la ‘ntelligenzïa del cielo/Deo
crïator più che [‘n] nostr’occhi ‘l sole; vv. 47-48, così dar dovria, al vero, la bella donna).

Chiasmo (vv. 3-4; né fe’ amor anti che gentil core,/né gentil core anti ch’amor, natura e vv.
26-27; l’aigua il foco/caldo, per la freddura).

Un’anadiplosi unisce la fine della prima stanza e l’inizio della seconda (vv. 10-
11; foco. // Foco); tale figura è presente anche nei vv. 43 e 44 (‘l cielo, / e ‘l ciel).

Al v. 8 è presente una metonimia: il termine “gentilezza” indica l’essere umano con un cuore
nobile (in altri termini, gentilezza sta per cor gentile).

Anastrofi: vv. 3-4 (né fe’ amor anti che gentil core / né gentil core anti che amor, natura); v.
11 (Foco d’amore in gentil cor s’aprende); v. 30 (del ferro in la minera); vv. 58 (d’angel
sembianza).

Al v. 19 si nota la presenza di un climax (asletto, pur, gentile).

Per tre volte si ha poi il ricorso alla figura etimologica (una forma particolare di paronomasia):
vv. 20-21 (‘nnamora / Amor); vv. 40-41 (splendore / splende) e v. 56 (reina … regname).

Al v. 28 è presente la figura della personificazione (Amore).

Uso di perifrasi per indicare le figure sacre (al v. 43: suo fattore sta per Dio; al v. 56: reina del
regname degno sta per la Vergine Maria).

Sono presenti alcune allitterazioni (r (v. 1); l (v. 2, 5, 6, 14, 16, 17).
Pochi sono gli enjambement (vv. 25-26; vv. 26-27 e vv. 48-49).

Analisi Internet
Schema metrico:
canzone di sei stanze di endecasillabi e settenari secondo lo schema ABAB, cDcEdE. C’è una rima
siciliana (natura : ’nnamora , vv. 18 e 20) e varie ripetizioni di rime e rimanti da una stanza all’altra.
Sono capfinidas le stanze I-II (foco), II-III (’nnamora / Amor), IV-V (splendore / Splende).
L’ultima strofa funge da congedo.

Aspetti tematici e formali


La nobiltà del cuore è dunque diversa da quella di sangue. Il verbo rempaira significa "torna
regolarmente", che Gianfranco Contini interpreta "ha la sua vera dimora". Il termine ausello è un
provenzalismo. I primi due versi sono caratterizzati da una struttura chiastica: complemento di
luogo (Al cor gentil) + verbo (rempaira) + soggetto (amore); soggetto (ausello) + verbo (inselva) +
complemento di luogo (a la verdura).

Guinizzelli sostiene che la natura non ha creato l’amore prima (anti) del cuore nobile, né il cuore
nobile prima dell’amore, ma i due elementi sono caratterizzati dalla contemporaneità della
creazione, proprio come il sole (causa) e la sua luce (effetto). La sovrapposizione tra amore-sole e
cuore-luce stabilisce un paragone di natura divina. L’aggettivo "gentile" impiegato da Guinizzelli
definisce una nuova nobiltà, caratterizzata dall’"aristocrazia dello spirito".

Gentilezza è un caso di metonimia, dove il sostantivo astratto (o la qualità) sostituisce il concetto


concreto (o l’oggetto depositario di quella qualità) "cuor gentile". Questa caratteristica è così
connaturata al cuore gentile che i termini sono di fatto sinonimi. La gentilezza è la condizione
necessaria per provare l’amore, che è un sentimento raffinato e non volgare; essa deriva dalla natura
e non è acquisita per i nobili natali.

La prima strofa espone il tema dell’identificazione tra amore e nobiltà d’animo, in quanto aspetti
della stessa realtà e perciò inscindibili. Questo concetto ha fatto di questa canzone dottrinale il
manifesto dello Stilnovo, anche sulla scorta della posizione di Dante che la cita più volte come
esempio stilistico nel De vulgari eloquentia (I, 9, 3 e II, 5, 4) e ne richiama i contenuti nel sonetto
della Vita nova Amor e ’l cor gentil sono una cosa e nel Convivio (IV, 20, 7), e infine nell’episodio
di Paolo e Francesca in Inferno (V, v. 100).
Aspetti tematici
Nel Medioevo si riteneva che le pietre preziose avessero particolari proprietà curative, queste erano
descritte nelle raccolte dei lapidari. In questi versi forse Guinizzelli si rifà all’incipit di un sonetto di
Giacomo da Lentini: Madonna ha ’n sé vertute con valore / più che null’altra gemma prezïosa.
Aspetti tematici
Questa stanza, pur nell’apparente semplicità della similitudine tra la donna e la stella, pone in
campo un concetto di natura filosofica. Si tratta del rapporto stabilito da Aristotele tra potenza e atto
e tra materia e forma. Per poter realizzare una determinata forma (per esempio un cucchiaio) in una
materia (ferro) è necessario che vi sia un intervento (causa efficiente: il fabbro) che trasformi con il
suo atto la materia, in modo da dare vita a ciò che essa contiene solo in potenza. Allo stesso modo,
l’amore è solo "potenzialmente" nel cuore gentile e può realizzarsi (diventare atto) solo grazie alla
presenza della donna (causa efficiente) che lo fa nascere.

La seconda strofa stabilisce un parallelo tra la donna e la stella attraverso una similitudine: come le
stelle donano virtù speciali alle pietre preziose che sono state purificate dal sole, così la donna fa
innamorare il cuore già nobile per natura. L’immagine del Foco d’amore è presente già nella lirica
trobadorica e nei siciliani, in particolare nel sonetto A l’aire claro di Giacomo da Lentini (vv. 11-
14).

La terza strofa esprime l’incompatibilità tra l’amore e un’anima volgare attraverso le similitudini
del fuoco e dell’acqua. L’opposizione cor gentile (v. 21) – prava natura (v. 25) è resa con il
contrasto tra i campi semantici del caldo e del freddo. Per doplero (v. 22) si intende il candelabro a
due bracci.
Aspetti tematici e formali
Il poeta riporta il discorso diretto del nobile alter ("superbo, supponente") che ritiene di essere
nobile per la sua stirpe (sclatta); ma Guinizzelli sostiene, con due significative similitudini, che tale
nobiltà di sangue è come il fango, mentre il cuor gentile è come il sole: la sua luce lo colpisce
continuamente ma il fango non cambia sostanza né qualità. I paragoni instaurati dal poeta legano la
sfera sociale alla sfera naturale. Coraggio per "cuore" è un gallicismo; ere’ è un’apocope ("erede").

Nella quarta strofa Guinizzelli esprime la sua personale definizione di nobiltà: la nobiltà di stirpe
non eleva un animo volgare, quindi la vera nobiltà si trova soltanto nelle qualità spirituali. Questa
norma che caratterizzerà tutto lo Stilnovo è un’esplicita critica sociale: i veri nobili non sono tali per
diritto di sangue, ma in virtù del fatto di possedere un cuore gentile. Questo tema può forse riflettere
la nuova visione borghese e cittadina opposta a quella aristocratico-feudale.
In questi versi la bella donna è paragonata a Deo crïator, mentre l’uomo gentil è paragonato
all’[i]ntelligenzïa del cielo. Dopo l’opposizione caldo/freddo (terza stanza) Guinizzelli realizza
l’ulteriore opposizione alto/basso. L’Amore e il cor gentil si legano dunque all’area semantica del
"calore" e dell’"altezza", accostandosi all’immagine divina; l’anima vile e scortese (prava natura) si
lega invece alle aree semantiche del "freddo" e del "basso".
Aspetti tematici
Si noti che qui non siamo in presenza dell’immagine stilnovistica della "donna angelo": Guinizzelli
stabilisce semplicemente un paragone pregnante tra la donna e Dio che mostra la figura femminile
come un essere onnipotente al quale l’uomo deve piena obbedienza. Il rapporto uomo-donna non è
più caratterizzato dall’"omaggio" tipico del vassallaggio (amore cortese), ma è collocato in un
contesto di tipo filosofico: come la donna è simile a Dio, l’uomo è simile all’angelo e gli deve
obbedienza.

La quinta stanza stabilisce un paragone tra la donna e Dio. Quest’ultimo trasmette la propria volontà
alle intelligenze angeliche che la eseguono; allo stesso modo la donna infonde nell’uomo che ha un
animo nobile la costanza di ubbidirle. Guinizzelli riprende le teorie aristoteliche (interpretate da
Averroè e Avicenna), secondo le quali Dio interviene sul mondo attraverso intermediari che
eseguono i suoi ordini, e il primo di questi è l’ [i]ntelligenzïa del cielo, che la teologia cristiana
individua negli angeli.
Il rimprovero divino, espresso con un discorso diretto e con il ricorso all’iperbole, è condotto
attraverso una similitudine. Tale figura, che nella poesia di Guinizzelli riveste un particolare
significato, consente infatti di paragonare programmaticamente due dati differenti e sottintende una
totale fiducia nella parola poetica, capace di definire un oggetto, se non in modo diretto, almeno in
virtù di un’immagine.
L’espressione Tenne d’angel sembianza è significativa del pensiero guinizzelliano, ma non deve
essere scambiata con la celebre definizione stilnovista della "donna angelo": qui la donna non è un
angelo ma ne ha solo la sembianza, assomiglia solo a un angelo. Siffatti paragoni si trovano anche
nei trovatori, nei siciliani e nei rimatori toscani duecenteschi.
Aspetti tematici
Ritorna il tema del rapporto conflittuale tra amore terreno e amore celeste. L’accusa che Dio rivolge
al poeta è dunque un argomento pregnante di tutta la poesia antica. Dio accusa il poeta di aver
rivestito con semblanti divini un amore vano (umano) e il poeta risponde in modo arguto con una
nuova similitudine: Tenne d’angel sembianza. Guinizzelli risolve così questo contrasto che però si
ripresenterà anche a Cavalcanti e a Dante: il primo approfondirà il tema dell’irrazionalità
dell’amore in chiave epicurea; il secondo rileggerà la figura femminile come "via" che conduce a
Dio.

L’ultima stanza (6°) funge da congedo e Guinizzelli vi esprime l’immagine della donna simile a un
angelo. Il poeta immagina di parlare con Dio il quale rimprovera Guido di avere mostrato una
devozione religiosa verso una donna, anziché verso di lui. Il poeta si giustifica dicendo che la donna
amata aveva l’aspetto di un angelo del cielo e perciò non gli deve essere attribuita alcuna colpa.

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