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Composizione
A norma dell’art. 92 Cost., il Governo è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che
costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Da tale disposizione risulta che il Governo è composto da più organi individuali (il Presidente del
Consiglio ed i singoli ministri) e da un organo collegiale (il Consiglio dei ministri); si tratta infatti
di un organo complesso.
L'organizzazione del Governo può anche presentarsi più articolata di quella essenziale definita in
Costituzione.
Tale struttura può essere integrata dal Vicepresidente del Consiglio, da ministri senza portafoglio
e da Sottosegretari di Stato.
Questi ultimi coadiuvano i ministri nella loro attività, esercitando le competenze dagli stessi
espressamente delegate. Al contrario dei ministri senza portafoglio, i quali fanno parte a pieno
titolo del Consiglio dei ministri, i Sottosegretari non prendono parte alle sedute del Consiglio con
la sola eccezione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, cui sono affidate le funzioni
di segretario del Consiglio dei ministri.
Formazione
La formazione del Governo costituisce un procedimento che viene avviato all’inizio di ogni
legislatura o qualora si apra una crisi di Governo per il venir meno del rapporto di fiducia o per le
dimissioni del Governo in carica.
La Costituzione è estremamente laconica al riguardo e si limita (all’art. 92) a disporre che il
Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di quest’ultimo, i
ministri.
Le norme che disciplinano il procedimento di formazione del Governo sono pertanto, in gran parte,
non scritte e costituiscono altrettante convenzioni costituzionali.
Nell’ambito delle consultazioni il Presidente della Repubblica incontra i maggiori esponenti di ogni
partito rappresentato in Parlamento, per comprendere quale sia la personalità che in quel momento
ha maggiori probabilità di ottenere la fiducia delle Camere.
A quest’ultima il Presidente della Repubblica affida l’incarico di formare il Governo.
L’incaricato, di regola, accetta con riserva, ossia decide solo dopo aver sentito i maggiori esponenti
del suo partito ed anche eventualmente di altri gruppi, al fine di verificare la possibilità di ottenere
una maggioranza parlamentare.
Se dopo tali colloqui si sente in grado di assolvere al mandato affidatogli, egli scioglie la riserva e
sottopone al Presidente della Repubblica la lista dei nominativi dei ministri, con i quali intende
condividere le responsabilità di Governo.
Il Presidente della Repubblica nomina allora con proprio decreto il Presidente del Consiglio ed i
ministri, i quali prestano giuramento nelle sue mani.
Entro dieci giorni dal giuramento il Governo si presenta alle Camere per esporre il programma che
intende svolgere e ottenerne la fiducia.
La mozione di fiducia, presentata dai gruppi parlamentari di maggioranza, deve essere motivata e
votata per appello nominale.
Per la sua approvazione non è richiesta una maggioranza qualificata ma soltanto la maggioranza dei
presenti.
La mozione di sfiducia
Le Camere possono porre fine l rapporto che le lega al Governo con l’approvazione di una mozione
di sfiducia. In seguito alla approvazione di tale mozione, da parte anche di una sola delle due
Camere, il Governo deve presentare le sue dimissioni al Presidente della Repubblica e si apre la
crisi di Governo.
L’art. 94 Cost. prevede che la mozione di sfiducia deve essere motivata e votata per appello
nominale. Inoltre, deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti la Camera e non può essere
messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.
La questione di fiducia
Dalle mozioni di fiducia e di sfiducia va tenuta distinta la questione di fiducia. Mentre, infatti, le
prime sono presentate dai parlamentari, la seconda è posta dallo stesso Governo tutte le volte che
esso, temendo colpi di mano da parte di una maggioranza, divenuta incerta, voglia assicurarsene
l’appoggio allorquando si tratti di un atto il cui risultato risulti essenziale per il proseguimento della
sua azione politica.
Ponendo la questione di fiducia, insomma, il Governo implicitamente avverte le Camere che, in
caso di esito del voto contrario a quello da esso voluto, si dimetterà ed aprirà la crisi.
Le funzioni normative
Il potere esecutivo non si limita a svolgere funzioni amministrative ed attività di direzione politica
ma, in deroga al principio della divisione dei poteri, pone anche in essere norme costitutive
dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Gli atti normativi del potere esecutivo si distinguono a seconda che abbiano o non abbiano la stessa
efficacia formale della legge.
Così, sono equiparati alla legge i decreti legislativi ed i decreti-legge; mentre i regolamenti hanno
un’efficacia inferiore a quella della legge.
I decreti legislativi
I decreti legislativi (di cui all’art. 76 Cost.) vengono adottati dal Governo su delega da parte delle
Camere, conferita con apposita legge (la c.d. legge delega), che fissa i punti fondamentali ed
essenziali, sui quali il decreto dovrà articolarsi, ed i limiti di tempo, entro cui la delega potrà essere
esercitata.
Il Governo non può uscire da quei limiti stabiliti dal Parlamento per cui, se è vero che ci troviamo di
fronte ad una eccezione al principio della divisione dei poteri, è altrettanto vero che la delega da
parte delle Camere, sempre necessaria, pone dei limiti ben precisi a questa eccezione.
Solitamente le Camere delegano il potere legislativo al Governo per la disciplina di quelle materie
che richiedono conoscenze tecniche o specialistiche, che il Governo può acquisire attraverso il
Ministero dello specifico settore.
I decreti-legge
Anche nell’adozione dei decreti-legge (di cui all’art. 77 Cost.) il Governo incontra dei limiti, in
quanto:
l'emanazione di un decreto-legge deve essere giustificata dalla ricorrenza di un caso
straordinario di necessità ed urgenza, che impone di "provvedere" con immediatezza;
inoltre, il Governo, il giorno stesso in cui il provvedimento è emanato, deve presentarlo per
la conversione in legge alle Camere, che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e
si riuniscono entro cinque giorni.
La conversione deve intervenire entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto; se il
decreto-legge non è presentato al Parlamento per la sua conversione oppure se il decreto-
legge, pur presentato alle Camere, non è convertito in legge, perde efficacia fin dall'inizio,
facendo venir meno gli effetti medio tempore prodotti, ma è consentito alle Camere di
regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge non convertito.