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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Il Presidente della Repubblica, nel sistema politico italiano, è il capo dello Stato italiano,
rappresentante dell'unità nazionale. Il Presidente della Repubblica si configura come un potere
«neutro», ovvero posto al di fuori della tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo o giudiziario).
Svolge una funzione di sorveglianza e coordinamento, secondo le norme stabilite dalla
Costituzione italiana, di cui è garante,,alcuni costituzionalisti hanno definito ampio e vago il suo
potere.Gli articoli della costituzione che riguardano il presidente sono quelli che vanno dall’83 al
91.E’ un organo costituzionale di garanzia quindi non più parte dell’esecutivo come nello Statuto
albertino. Si è arrivati a dire che la funzione di garanzia del presidente si configura come
indirizzo di politica costituzionale atto a neutralizzare la politica del governo laddove si
allontanasse dalla Costituzione.Anche se non si identifica in nessuno dei tre poteri partecipa
comunque di essi.

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune integrato dai delegati
delle Regioni (ovvero tre consiglieri per regione, con l'eccezione della Valle d'Aosta, che ne
nomina uno solo, per un totale di 58) e rimane in carica per un periodo di sette anni, detto
mandato. La Costituzione stabilisce che può essere eletto presidente chiunque, con cittadinanza
italiana, abbia compiuto i cinquanta anni di età e goda dei diritti civili e politici.
La residenza ufficiale del presidente della Repubblica è il Palazzo del Quirinale..
L'elezione del Presidente della Repubblica avviene su iniziativa del Presidente della Camera dei
deputati e la Camera dei deputati è la sede per la votazioneL’elezione avviene per scrutinio
segreto onde evitare che il presidente risulti espressione di una specifica componente politica.La
previsione di una maggioranza qualificata (i ⅔ dei votanti)nei i primi tre scrutini e di una
maggioranza assoluta per gli scrutini successivi serve a evitare che la carica sia ostaggio della
maggioranza politica. La carica rinvia infatti a un ruolo indipendente dall'indirizzo della
maggioranza politica.
Il presidente assume l'esercizio delle proprie funzioni solo dopo aver prestato giuramento innanzi
al Parlamento in seduta comune (ma senza i delegati regionali), al quale si rivolge, per prassi,
tramite un messaggio presidenziale.
Il mandato dura sette anni a partire dalla data del giuramento. La previsione di un settennato
impedisce che un presidente possa essere rieletto dalle stesse Camere, che hanno mandato
quinquennale, e contribuisce a svincolarlo da eccessivi legami politici con l'organo che lo vota.
La Costituzione Italiana non prevede un limite al numero di mandati per quanto concerne la
carica di presidente della Repubblica. Al 2021 si è assistito a un solo caso di conferma del
mandato del presidente uscente, e allo stesso tempo di elezione di uno stesso presidente per più
di un mandato: il 20 aprile 2013, infatti, le Camere hanno votato la rielezione del presidente
uscente Giorgio Napolitano.
Oltre che alla naturale scadenza di sette anni, il mandato può essere interrotto per:
● dimissioni volontarie;
● morte;
● impedimento permanente, dovuto a gravi malattie;
● destituzione, nel caso di giudizio di colpevolezza sulla messa in stato d'accusa per
reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90);
● decadenza, per il venir meno di uno dei requisiti di eleggibilità.
In caso di impedimento temporaneo, dovuto a motivi transitori di salute o a viaggi all'estero, le
funzioni vengono assunte temporaneamente dal presidente del Senato.
Gli ex presidenti della Repubblica assumono per diritto il nome e la carica di presidenti emeriti
della Repubblica e assumono di diritto la carica di senatore di diritto e a vita
La Costituzione, oltre a riconoscere alla carica la funzione di rappresentanza dell'unità del Paese
con tutte le prerogative tipiche del capo di Stato a livello di diritto internazionale, pone il
presidente al vertice della tradizionale tripartizione dei poteri dello Stato. Espressamente previsti
sono i poteri di:
1. in relazione alla rappresentanza esterna:
○ accreditare e ricevere funzionari diplomatici ,ratificare i trattati
internazionali,dichiarare lo stato di guerra, deliberato dalle Camere ;
2. in relazione all'esercizio delle funzioni parlamentari:
○ nominare fino a cinque senatori a vita ,inviare messaggi alle Camere
○ convocarle in via straordinaria ,scioglierle salvo che negli ultimi sei
mesi di mandato. Lo scioglimento può avvenire in ogni caso se il
semestre bianco coincide in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi di
legislatura,indire le elezioni e fissare la prima riunione delle nuove
camere
○ in relazione alla funzione legislativa e normativa:
○ autorizzare la presentazione in Parlamento dei disegni di legge
governativi,promulgare le leggi approvate in Parlamento,rinviare alle
Camere con messaggio motivato le leggi non promulgate e chiederne
una nuova deliberazione (potere non più esercitabile se le Camere
approvano nuovamente)emanare i decreti-legge, i decreti legislativi e i
regolamenti adottati dal governo,indire i referendum e nei casi
opportuni, al termine della votazione, dichiarare l'abrogazione della
legge a esso sottoposta
3. in relazione alla funzione esecutiva e di indirizzo politico:
○ nominare il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di
questo, i ministri . Secondo la prassi costituzionale, la nomina avviene
in seguito a opportune consultazioni con i presidenti delle Camere, i
capi dei gruppi parlamentari, i presidenti emeriti della Repubblica e le
delegazioni politiche,accogliere il giuramento del governo e le
eventuali dimissioni,nominare alcuni funzionari statali di alto grado,
presiedere il Consiglio supremo di difesa e detenere il comando delle
forze armate italiane,decretare lo scioglimento di consigli regionali e la
rimozione di presidenti di regione,decretare lo scioglimento delle
Camere
4. in relazione all'esercizio della giurisdizione:
○ presiedere il Consiglio superiore della magistratura ,nominare un terzo
dei componenti della Corte costituzionale,concedere la grazia e
commutare le pene.
Conferisce inoltre le onorificenze della Repubblica Italiana tramite decreto presidenziale
La Costituzione (art. 89) prevede che ogni atto presidenziale per essere valido debba essere
controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità, e richiede la
controfirma anche del presidente del Consiglio dei ministri per ogni atto che ha valore legislativo
o nei casi in cui ciò viene previsto dalla legge (come avviene per esempio per la nomina dei
giudici costituzionali, dei senatori a vita o per i messaggi alle Camere).
Come stabilisce l'art. 90 della Costituzione, il presidente non è responsabile per gli atti compiuti
nell'esercizio delle sue funzioni, tranne per alto tradimento o per attentato alla Costituzione, per
cui può essere messo sotto accusa dal Parlamento. L'assenza di responsabilità, principio che
discende dall'irresponsabilità regia nata con le monarchie costituzionali (nota sotto la formula:
The King can do no wrong, "il Re non può sbagliare"), gli consente di poter adempiere alle sue
funzioni di garante delle istituzioni stando al di sopra delle parti. La controfirma del ministro evita
che si crei una situazione in cui un potere non sia soggetto a responsabilità: il ministro che
partecipa, firmando, all'atto del presidente potrebbe essere chiamato a risponderne davanti al
Parlamento o davanti ai giudici se l'atto costituisse un illecito.
La controfirma assume diversi significati a seconda che l'atto del presidente della Repubblica sia
sostanzialmente presidenziale (ovvero derivi dai "poteri propri" del presidente e non necessitano
della "proposta" di un ministro) oppure sostanzialmente governativi (come si verifica nella
maggior parte dei casi). Nel primo caso la firma del ministro accerta la regolarità formale della
decisione del capo dello Stato e quella del presidente ha valore decisionale, nel secondo quella
del presidente accerta la legittimità dell'atto e quella del ministro ha valore decisionale.

Il presidente gode della non-responsabilità per qualsiasi atto compiuto nell'esercizio delle sue
funzioni. Le uniche eccezioni a questo principio si configurano nel caso che abbia commesso
due reati esplicitamente stabiliti dalla Costituzione: l'alto tradimento (cioè l'intesa con Stati
nemici) o l'attentato alla Costituzione (cioè una violazione delle norme costituzionali tale da
stravolgere i caratteri essenziali dell'ordinamento al fine di sovvertirlo con metodi non consentiti
dalla Costituzione).
In tali casi il presidente viene messo in stato di accusa dal Parlamento riunito in seduta comune
con deliberazione adottata a maggioranza assoluta, su relazione di un Comitato formato dai
componenti della Giunta del Senato e da quelli della Camera competenti per le autorizzazioni a
procedere. Una volta deliberata la messa in stato d'accusa, la Corte Costituzionale ha la facoltà
di sospenderlo in via cautelare.
Per i reati commessi al di fuori dello svolgimento delle sue funzioni istituzionali il presidente è
responsabile come qualsiasi cittadino. Secondo parte della dottrina, non sarebbe accettabile la
tesi (rigettata a suo tempo in Assemblea Costituente da Umberto Terracini) che egli risponda di
eventuali comportamenti criminosi solo alla fine del settennato: si dimetta o meno, egli deve
rispondere subito per i reati di cui è accusato, pena l'ammissione di un privilegio che romperebbe
con gli artt. 3 e 112 della Costituzione. Altra autorevole dottrina è favorevole al giudizio alla fine
del settennato.
Il cosiddetto "lodo Schifani" (legge n. 140/2003) disponeva che i presidenti della Repubblica, del
Consiglio, della Camera, del Senato e della Corte costituzionale non potessero essere sottoposti
a procedimenti penali per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della
carica o della funzione fino alla cessazione delle medesime: ne discendeva la sospensione dei
relativi processi penali in corso in ogni fase, stato o grado. Questa legge è stata dichiarata
illegittima dalla Corte costituzionale
Nella prassi ogni presidente ha interpretato in modo diverso il proprio ruolo e la propria sfera di
influenza, con maggiore o minore attivismo; in generale la potenziale rilevanza delle prerogative
a essi conferite è emersa soprattutto nei momenti di crisi dei partiti e delle maggioranze di
governo, rimanendo più in ombra nelle fasi di stabilità politica. Tra tali prerogative, il potere di
rinvio - connesso alla funzione di promulgazione delle leggi - è uno degli strumenti più utili allo
scopo.
Tra i costituzionalisti è emersa una duplice interpretazione del potere del presidente.Per alcuni
non è solo un notaio ma può e deve determinare con la sua politica un indirizzo teso a garantire
la costituzione,la nazione e il corretto funzionamento del sistema Paese.Secondo altri invece non
deve assolutamente svolgere un ruolo politico,deve limitarsi a nominare il presidente del
consiglio poi non deve interferire con esso.Nella sostanza ultimamente è prevalsa la prima
posizione e i presidenti sono stati più interventisti che notai.

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