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Capitolo 5: Il governo e la pubblica amministrazione

Il procedimento di formazione del governo

Il complesso iter formativo del Governo è articolato in diverse fasi. Il procedimento si apre con le
consultazioni, svolta dal Presidente della repubblica, con correlati incontri con personalità istituzionali (i
Presidenti delle Camere, gli ex Presidenti della Repubblica e originariamente anche gli ex Presidenti del
Consiglio). Al termine delle consultazioni, se il Presidente della Repubblica non ritiene di dover acquisire
maggiori informazioni, può conferire un mandato esplorativo, ovvero un preincarico allo stesso soggetto
candidato ad assumere il ruolo di Presidente del Consiglio, e procede al conferimento dell’incarico in forma
orale. L’incarico viene generalmente accettato con riserva, che può essere sciolta negativamente, dal
Presidente del Consiglio incaricato, rinunciando all’incarico, qualora non ravvisi le condizioni per formare
un Governo. In caso di crisi di Governo non si può procedere meccanicamente allo scioglimento delle
Camere, ma si deve prioritariamente verificare, attraverso le consultazioni, la sussistenza di una
maggioranza parlamentare per un nuovo Governo. Una volta sciolta positivamente la riserva, e quindi
accettato l’incarico, si perviene alla nomina e all’emanazione contestuale di tre decreti da parte del
Presidente della Repubblica, controfirmati dal nuovo Presidente del Consiglio: il decreto di accettazione
delle dimissioni del precedente Governo, il decreto di nomina del Presidente del Consiglio e il decreto di
nomina dei Ministri. Successivamente alla firma dei decreti di nomina il procedimento di formazione del
Governo si conclude con l’ultima fase, nel giuramento. Quest’ultimo atto significa l’accettazione della
nomina e il nuovo governo entra in carica.

Le vicende del rapporto fiduciario

Vi è una relazione di fiducia che lega l’Esecutivo alle Camere, racchiusa essenzialmente nell’art. 94 * Cost.
Questa disciplina è diretta a procedimentalizzare, da un lato, l’atto instaurativo della relazione fiduciaria
(mozione di fiducia), che consente teoricamente la permanenza in carica del governo per l’intera legislatura
o perlomeno fino a quando continuerà a godere della fiducia di entrambe le Camere; e dall’altro, l’atto
interruttivo del rapporto fiduciario (mozione di sfiducia), entrambe sono poste a tutela della stabilità del
Governo in carica. La mozione di fiducia è l’atto che interviene a conclusione dell’iter formativo del
Governo, avviato dal Presidente della Repubblica con le consultazioni ed ultimato con il giuramento. Il
Governo così formato si avvicenda con il governo dimissionario, rimasto in carica per assicurare, secondo il
principio di continuità il c.d. disbrigo degli affari correnti, ossia lo svolgimento delle sole funzioni di
ordinaria amministrazione ed urgenza. Al fine di consentire al Governo di entrare quanto prima nel pieno
esercizio delle sue funzioni, la Costituzione prevede, all’art. 94, che entro dieci giorni dal giuramento questo
si presenti alle due Camere per esporre il programma ed ottenere la fiducia, che ciascuna Camera accorda o
respinge (nel caso della mancata fiducia iniziale, anche da parte di una sola camera, il Governo è costretto a
dimettersi) con una mozione motivata, quindi che indichi le ragioni del consenso o dissenso parlamentare,
e votata per appello nominale, pertanto a scrutinio palese, e votata a maggioranza semplice dei presenti.
La sola ipotesi di atto interruttivo del rapporto fiduciario contemplato nella Costituzione è rappresentata
dalla mozione di sfiducia. L’art . 94 Cost. prevede che la mozione di sfiducia, oltre a dover essere anch’essa
motivata e votata per appello nominale, al pari dell’atto instaurativo della fiducia, deve altresì avere un
quorum di presentatori sufficientemente congruo, pari ad almeno un decimo dei componenti della Camera,
e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, per permettere un lasso
di tempo adeguato ad una riflessione che non porti a decisioni affrettate. Il voto contrario di una o
d’entrambe le camere su di una proposta del Governo non comporta l’obbligo delle sue dimissioni.
Il rapporto fiduciario rimane pur sempre nella disponibilità anche del Governo, il quale ha a disposizione la
c.d. questione di fiducia. Quest’ultima non è contemplata dalla Costituzione ed è stata regolata dalla prassi
parlamentare, per il semplice scopo di rafforzare la posizione debole del Governo, che può essere
sottoposto a mozione di sfiducia dalle Camere. Sulla questione di fiducia si vota per appello nominale, non
prima di ventiquattro ore su una singola legge o emendamenti che il Governo ritiene indispensabili per la
propria strategia governativa, in questo caso se c’è un rifiuto da parte delle Camere il governo è costretto a
dimettersi, altrimenti la legge in questione verrà pubblicata così com’è ed entrerà in vigore.
Pertanto, si verificano crisi di Governo parlamentari nel caso sia della mancata concessione iniziale della
fiducia anche da parte di una sola Camera, sia con l’interruzione del rapporto fiduciario intercorrente tra
Governo e Parlamento a seguito di un voto contrario delle Camere alla questione di fiducia posta dal
Governo su una propria proposta. Si verificano, invece, crisi di Governo extraparlamentari quando esse
sono determinate da dimissioni spontanee del Governo, ovvero dimissioni del Presidente del Consiglio,
senza un voto delle Camere. Tale prassi non è contraria alla Costituzione ma rischia di snaturare la logica
del rapporto fiduciario, relegando le Camere in una funzione di spettatrici impotenti. Da qui assurge la
necessità di parlamentizzare la crisi nata fuori dal Parlamento, invitando il Governo dimissionario a
presentarsi dinnanzi alle camere ad esporre le ragioni della crisi e consentire l’eventuale apertura di un
dibattito parlamentare chiarificatore in merito.
Infine, una particolare ipotesi è quella delle dimissioni senza crisi, sono quelle che il Governo in carica
presenta per prassi in occasione dell’insediamento delle nuove camere all’inizio della legislatura o in
occasione dell’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica.
Dalle crisi di Governo si differenziano i c.d. rimpasti governativi, cui si dà luogo per la sostituzione di uno o
più Ministri dimissionari per motivazione di carattere politico o personale, così senza aprire la crisi
dell’intero Esecutivo. In questi casi il Presidente del Consiglio ha il solo obbligo di comunicare alle camere
ogni mutamento relativo alla composizione del Governo. Per quel che concerne, infine, la mozione di
sfiducia individuale al singolo ministro, è stata disciplinata dal Regolamento della Camera soltanto nel 1986
e prevede le stesse procedure burocratiche previsto per la sfiducia totale dell’Esecutivo.

La composizione del governo

La struttura del Governo è essenzialmente disciplinata dalla Legge 400/1988. Il numero totale dei
componenti della compagine governativa non può essere superiore a 63 e la composizione del Governo
deve essere coerente con il principio di pari opportunità tra donne e uomini stabilito dall’art. 51 * Cost.
L’art 92 * Cost. definisce il governo come un organo complesso costituito da più organi individuali
(Presidente del Consiglio e i singoli Ministri) ed un organo collegiale (Consiglio dei ministri). Accanto a
questi, considerati dalla Costituzione stessa organi necessari, possono comunque concorrere a completare
la struttura governativa organi governativi non necessari.

a) Organi governativi necessari: Le diverse interpretazioni dell’art 95 * Cost individuano tre distinti
principi organizzativi e di ripartizione delle funzioni: il principio collegiale, il principio monocratico, il
principio della competenza ministeriale. Il Consiglio dei Ministri è un organo collegiale composto da
tutti i Ministri e dal Presidente del Consiglio che svolge di Segretario del Consiglio, e possono altresì
partecipare, senza diritto di voto, su invito del Presidente del Consiglio, i Viceministri. Il Consiglio
dei ministri oltre ad assumere la titolarità di tutte le funzioni che la Costituzione e le leggi
costituzionali assegnano genericamente al Governo, rappresenta la politica generale del Governo, e
l’indirizzo generale dell’azione amministrativa. Il Presidente del Consiglio dei Ministri viene
nominato dal Presidente della Repubblica e dirige la politica generale del Governo, assumendosene
la relativa responsabilità, mantiene l’unità e l’indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e
coordinando l’attività dei Ministri. Posizione di primazia del presidente del Consiglio in seno al
Consiglio dei Ministri è stata rintracciata con la Legge 400/1988. Per cui, ricapitolando i poteri del
Presidente del Consiglio si conciliano nei poteri di rappresentanza, che esercita a nome del Governo
nei rapporti con gli altri organi istituzionali, poteri di promozione e coordinamento dell’attività dei
Ministri, potere di direzione degli organi collegiali, compiti di convocare le riunioni, fissarne l’ordine
del giorno, dirigere i lavori. L’art. 95 Cost attribuisce al Presidente del Consiglio la direzione della
politica generale del Governo, lo chiama poi a risponderne innanzitutto nei confronti del
parlamento, in relazione al rapporto fiduciario con questo intercorrente. Si tratta, dunque, di una
responsabilità politica. Dal momento che il Presidente esprime le sue dimissioni, queste
comportano automaticamente anche quelle di tutti i Ministri. I Ministri svolgono una duplice
funzione: componenti del Consiglio dei Ministri e quindi alla determinazione dell’indirizzo politico e
quella di organo di vertice di un particolare settore dell’amministrazione. Nel primo profilo
rientrano tutte quelle competenze che i Ministri esercitano partecipando al Consiglio dei Ministri, ai
sensi dell’art.92 Cost., assumendo una responsabilità collegiale. Nel secondo ambito i Ministri, in
quanto titolari di un Ministero, ovvero di specifiche funzioni politico- amministrative, danno al
ramo di amministrazione di cui sono preposti specifiche direttive politiche, costituendo essi stessi il
vertice gerarchico del ramo di amministrazione di cui sono a capo. Di quest’ultima complessa
funzione i Ministri sono responsabili personalmente ai sensi dell’art. 95 Cost., quindi aldilà della
responsabilità politica i Ministri sono giuridicamente responsabili come gli altri cittadini e quindi
incorrono per gli atti in violazione di responsabilità civile ed amministrativa. Per quel che concerne
la responsabilità penale, l’art. 96* Cost. affida all’autorità giurisdizionale ordinaria, previa
autorizzazione parlamentare, la perseguibilità dei c.d. reati ministeriali, ossia di quei reati commessi
dal Presidente del Consiglio e dai Ministri nell’esercizio delle loro funzioni. La procedibilità
dell’azione penale è subordinata anche per coloro che non rivestono più la carica previa
autorizzazione delle Camere di appartenenza. L’Assemblea può negare l’autorizzazione a procedere
qualora ritenga che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato o di un
preminente interesse pubblico, salvo per alcuni atti come quello di commettere un delitto per il
quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura. Con la legge Alfano prevedrà successivamente,
per il solo Presidente del Consiglio, la sospensione di tutti i processi penali.

b) Gli organi governativi non necessari: A completare e arricchire l’articolazione dell’organo


complesso Governo, affiancando gli organi costituzionalmente necessari, vi sono una pluralità di
organi governativi non necessari, i quali possono essere suddivisi in organi collegiali ed organi
individuali. Gli organi collegiali si suddividono in:
 Il consiglio di Gabinetto istituito nel 1983 ed ha il compito della determinazione e della direzione
dell’indirizzo politico governativo
 I Comitati interministeriali sono organi governativi collegiali istituiti per svolgere funzioni non solo
di indirizzo, ma anche di natura normativa e provvedimentale, al fine di meglio coordinare l’attività
del Governo in un determinato settore
 I Comitati di Ministri sono istituiti con decreto del Presidente del Consiglio ed hanno compiti
sostanzialmente istruttori, ossia esaminare in via preliminare questioni di comune competenza tra i
Ministri che ne fanno parte, nonché esprimere parere sulle direttive dell’attività del Governo e su
problemi da sottoporre al Consiglio dei Ministri.
Gli organi individuali invece:
 Vicepresidente del Consiglio dei Ministri al quale spettano funzioni di supplenza del Presidente
in caso di assenza o impedimento temporaneo, equiparandolo per il resto agli altri Ministri.
 I Ministri senza portafoglio possono essere nominati all’atto della costituzione del Governo al solo
fine di svolgere funzioni loro delegate dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
 I sottosegretari di Stato che coadiuvano il Ministro ed esercitano i compiti che questi conferisce con
decreto ministeriale, non fanno parte del Consiglio dei Ministri ma possono intervenire ai lavori
parlamentari.
 I Viceministri sono quei Sottosegretari di Stato cui possono essere conferite, da parte del Ministro
competente, deleghe di una particolare ampiezza relative a aree o progetti di competenza di una o
più strutture dipartimentali. Essi possono partecipare alle sedute del Consiglio dei Ministri senza
diritto di voto, su invito del Presidente del Consiglio.
 I Commissari straordinari del Governo sono nominati dal Presidente della Repubblica al fine di
realizzare specifici obiettivi determinati deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei Ministri o per
particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali.
Nel concludere questa analisi sugli organi che compongono il Governo non si può non fare riferimento al
possibile conflitto di interessi in cui possono incorrere proprio i titolari di cariche del Governo, quindi sorge
la necessità di disciplinare il conflitto di interessi in ambito pubblicistico con la Legge “Norme in materia di
risoluzione dei conflitti di interesse”. Questa legge definisce che i titolari di cariche di governo nell’esercizio
delle loro funzioni si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici.
Le funzioni del governo: di indirizzo politico; amministrative; normative (rinvio)

Le funzioni del Governo si suddividono in funzioni di indirizzo politico, funzioni amministrative e funzioni
normative, tutte vivono in una situazione di reciproca implicazione. Il centro di imputazione dell’esercizio
della funzione di indirizzo politico nel Governo è attribuito al Consiglio dei Ministri, attraverso la
competenza a determinare i contenuti della politica generale, l’indirizzo generale dell’azione
amministrativa e chiamandolo infine a deliberare su ogni questione relativa all’indirizzo politico fissato dal
rapporto fiduciario con le Camere. Quest’ultimo deve comunque ricevere l’approvazione delle Camere,
legate al Governo dal rapporto fiduciario, l’indirizzo politico viene così condiviso tra Camere e Governo. Nel
Governo una volta individuati i fini politici (fase teleologica) si passa ad una fase strumentale nella quale gli
organi collaborano al suo svolgimento e predispongono i mezzi per conseguire i fini programmati. Dopo
aver determinato i fini e predisposto gli strumenti materialmente necessari per il loro conseguimento vi è
un'ultima fase in cui si svolge l'indirizzo politico la fase effettuale che spetta all'organizzazione
amministrativa centrale e periferica dello Stato.

La centralità del Governo nei rapporti con le istituzioni europee

Anche le relazioni comunitarie sono saldamente nelle mani dei Governi degli stati membri, i cui
rappresentanti compongono il Consiglio dell’Unione europea (il c.d. Consiglio dei Ministri). In Italia il
soggetto responsabile e abilitato dall’ordinamento a tenere i rapporti con l’Europa si è individuato nel
Governo. Esso è l’unico interlocutore nei confronti dell’Europa, lasciando assai raramente le scelte alla
discussione in sede parlamentare nazionale. La responsabilità delle posizioni portate in sede europea è
sempre stata attribuibile in prima istanza al singolo Ministro competente per materia, nonché al Governo
nel suo complesso, naturalmente. La Legge “La pergola” prevedeva poi forse anche per bilanciare l’assenza
del parlamento nel processo decisionale comunitario la necessità di presentare annualmente alle Camere
una Relazione sulla partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea. Stessa politica venne
attuata dalla legge Buttiglione che prevede informative obbligatorie, audizioni varie e soprattutto un
organo istituzionalizzato cui riferirsi per concordare la posizione italiana e precostituire un consenso
intorno alla normativa che si va ad approvare in sede comunitaria. A tal fine è stato istituito un nuovo
organismo, il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIAE), chiamato ad operare da
vera e propria cabina di regia; il CIAE viene così a costituire la sede istituzionale ove concordare le linee
politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nei confronti dei progetti di atti
comunitari e dell’Unione europea. L’organizzazione amministrativa è articolata in unità elementari o di
base denominate uffici. Con il termine ufficio si definisce il complesso organizzato di sfere di competenza,
persone fisiche, beni materiali, e mezzi volti all’espletamento di un’attività strumentale alla realizzazione
dei fini istituzionali dell’amministrazione. Perché si possa configurare un ufficio devono ricorrere due
elementi: l’unita organizzativa deve essere titolare di funzioni proprie della persona giuridica a cui
appartiene, l’unità stessa deve essere incorporata stabilmente nella struttura dell’ente (immedesimazione
organica). Nel concludere con un’analisi più generali del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni, occorre muovere proprio dai principi costituzionali, primo fra tutti è quello dell’’eguale
diritto di accesso ai pubblici uffici, senza distinzioni di sesso, e di norma, mediante pubblico concorso, in
ossequio principio meritocratico. Occorre ricordare che i funzionari pubblici sono tenuti ad un particolare
rapporto di fedeltà qualificata nei confronti dell’amministrazione in cui operano, sono legati
all’amministrazione di appartenenza da un rapporto di servizio che si caratterizza per l’essere stabile,
continuativo e, di norma, di tipo professionale e retribuito. Tale rapporto di servizio speciale è
comunemente definito rapporto di pubblico impiego.

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