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Analisi “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io”

Dante, facendo uso di un’allegoria, che si estende lungo tutto il sonetto, e seguendo
la tradizione provenzale del “plazer”, comunica tramite la composizione il desiderio,
intorno al quale si sviluppa un’atmosfera fiabesca, di riunire una stretta cerchia di
amici per poter parlare d’amore attraverso l’uso di composizioni poetiche. I temi che
dominano la poesia, infatti, sono l’amicizia, vista secondo i canoni stilnovisti come
un sodalizio e una condivisione di ideali riservata a pochi spiriti eletti, che potrebbe
essere descritta come “amicizia intellettuale”, riflettendo gli ideali aristocratici degli
stilnovisti; quasi come antitesi, nelle due terzine si aggiunge il tema dell’amore, che,
accomunando i tre poeti appartenenti alla corrente dello stilnovismo, è al centro di
quell’amicizia intellettuale. Possiamo, in virtù di ciò, dividere la composizione in due
blocchi, nei quali l’autore si concentra su due tematiche differenti: nel primo, che
comprende le due quartine, parla del suo desiderio di compiere il fantastico viaggio
con i due amici, mentre nelle due terzine si augura che ai tre si uniscano le rispettive
donne amate.
Nella prima quartina Dante esprime il desiderio, reso evidente grazie all’uso dei
verbi contenuti in tutta l’opera: la maggior parte di questi appartiene infatti al
campo semantico del desiderio, ciò è delineato ancora di più dal modo congiuntivo
in cui sono coniugati, di essere preso e messo, insieme agli amici Guido e Lapo, su un
vascello, metafora con la quale Dante si riferisce alla poesia, che navigherà in base
alla loro volontà, chiaro riferimento al ciclo arturiano.
La composizione inizia con un vocativo, di cui l’autore si serve per riferirsi al suo
amico, Guido Cavalcanti, seguito immediatamente da una virgola che, insieme alla
parola “incantamento”, ha lo scopo di rallentare il ritmo della strofa e creare
l’atmosfera fiabesca che l’autore vuole rendere; nel primo verso troviamo inoltre un
polisindeto, ovvero la costante ripetizione della congiunzione “e”, che al contrario
della virgola, rende più veloce il ritmo della strofa. Inizialmente, in realtà, l’atto di
essere presi e messi sull’imbarcazione di cui parla nel secondo e terzo verso,
essendo esercitato da un’entità esterna, che dati i riferimenti al ciclo arturiano,
comprendiamo essere il Mago Merlino, sembra essere quasi imposto, non
volontario; a questa apparenza di forzatura però si contrappone il “voler vostro e
mio”, presene nell’ultimo verso della quartina.
Nella seconda quartina Dante prosegue con la descrizione fantastica del vascello su
cui vorrebbe viaggiare: parla innanzitutto di come questo, navigando secondo la loro
volontà, non incontrerebbe mai tempeste o brutto tempo che gli possano recare
impedimento; nella seconda metà della quartina, invece, parla di descrive il modo in
cui vivrebbero: sempre uniti, accrescendo il desiderio di stare insieme.
Nel corso di queste prime due quartine, è frequente l’uso di parole appartenenti al
campo semantico del linguaggio marinaro: troviamo “vesel” e “vento” nella prima
strofa, mentre nella seconda “tempo rio”, ma spicca nel verso il termine “fortuna”,
che in questo caso non assume il significato odierno della parola, cioè quello di
“buona fortuna”, infatti la parola assume più significati in base al contesto: in latino
infatti, oltre a indicare sia la buona che la cattiva sorte, ha anche il senso di “caso”,
da questo significato deriva l’aggettivo “fortuito”, può significare anche “ricchezza”;
ma l’accezione che Dante utilizza in questa lirica è quella di “tempesta”, usata in
passato nel gergo marinaro.
Nella prima terzina, l’inizio della seconda sequenza in cui può essere scansionata la
lirica, Dante prosegue elencando le tre figure femminili che vorrebbe
accompagnassero i tre amici nel loro viaggio. Il primo verso riporta i nomi di monna
Vanna, donna amata dal Cavalcanti, e monna Lagia, che invece era la donna amata
dal Lapo Gianni; nel verso usa per riferirsi alle donne amate dagli amici l’attributo
“monna”, titolo che veniva adoperato all’epoca quale appellativo verso le donne di
condizione elevata. Curioso è il modo con cui fa riferimento alla donna da lui amata,
utilizzando infatti una perifrasi che ne rende piuttosto complicata l’identificazione;
probabilmente non si riferisce a Beatrice, in quanto sicuramente Dante si rifà a una
sorta di catalogo che egli forse scrisse per elencare le sessanta donne più belle di
Firenze: di questo catalogo non si ha traccia, però grazie al sirventese sappiamo che
Beatrice stessa occupava la nona posizione, mentre viene citata “quella ch’è sul
numer de le trenta”. Il riferimento al Mago Merlino, tramite la formula “buono
incantatore”, nella terzina in esame è evidente, visto il richiamo al ciclo bretone
precedentemente citato.
L’ultima terzina è quella che esprime meglio il desiderio di Dante di dissertare con i
suoi amici sul tema a loro più caro, quello dell’amore, in una dimensione di armonia
e di piacere, e che anche le loro amate ne siano contente così come ne sono loro.

In conclusione possiamo affermare che il componimento è perfettamente in linea


con la poesia tipica degli stilnovisti, in quanto il tema amoroso è posto al centro
della narrazione, così come il tema dell’amicizia tra intellettuali.

Francesca Delli Colli

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