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Critica della ragion pratica

La ragione, secondo Kant, per le idee di cui non possiamo avere esperienza, si illude di poter
conoscere. Quello che sta dicendo Kant è un colpo terribile per la filosofia perché sembra che
quell’ambito della filosofia, (la filosofia che si occupa della metafisica), viene completamente
esclusa. Ma ci sono delle idee metafisiche che sono assolutamente importanti per la ragione,
quando la ragione è chiamata a decidere di agire: la critica della ragion pratica. La ragione
pratica è la nostra ragione che spinge la nostra volontà ad agire. Come mi devo comportare? Ciò
presuppone che io decido di fare delle azioni: come devo agire? La ragione a questo punto non
serve più per la conoscenza, ma serve per capire come devo agire. Un fondamento importante,
dice Kant, dell’agire, dell’azione, della ragione che decide di agire, è un presupposto, un’idea
metafisica, che è la libertà. La libertà diventa il fondamento importante per qualsiasi azione, (la
ragione deve decidere liberamente, non deve essere costretta da nessuno). È un’idea metafisica
perché la ritroviamo in quell’idea di mondo in cui dicevamo: nel mondo c’è libertà, o c’è
necessità? Quando io mi trovo a dover decidere il mio comportamento in situazioni complicate, e
che tirano in ballo la morale, ecco che la libertà diventa fondamentale: l’azione che è per mia
volontà, è un’azione morale oppure no? La legge morale la ho dentro di me. L’azione morale è
un’azione per cui non è una questione solo di carattere soggettivo, ma l’azione deve perdere la
sua soggettività e allargarsi all’universalità. Kant ci vuole dare delle linee guida: l’azione che sta
compiendo può essere un’azione valida per tutti quanti? Ci sono le massime, (dei comandi/regole
soggettive). Esempio: faccio il furbo, e ciò presuppone che tutti gli altri siano stolti. Kant dice che
ci sono dei comandi, che egli chiama imperativi. La ragione comanda se stessa: do un comando a
me stessa. Ci sono due tipologie di imperativi: imperativo ipotetico e imperativo categorico.
L’imperativo ipotetico si costruisce con “se “. Esempio: se voglio essere promosso,,devo studiare;
se non mi voglio ammalare, chiudo la finestra. Si tratta di un comando che la ragione dà a se
stessa, però questo comando ha un fine. La ragione impone di fare qualcosa a sé stessa in
funzione di qualcos’altro. Se voglio questo, devo fare. L’imperativo categorico: devo perché
devo. Io devo studiare perché devo, (me lo dico da solo). È un comando che dai a te stesso
liberamente. Faccio la carità perché mi sono imposta questa regola, (la voglio fare), e questa è
un’azione morale. L’azione non è più morale nel momento in cui voglio ottenere un fine. Kant non
ci dice come dobbiamo agire e cosa dobbiamo compiere o meno, ma ci dice la forma, e la sua
morale guarda molto all’intenzione: quello che avviene prima dell’azione. Io faccio la carità, ma la
persona a cui do i soldi li spende per drogarsi, anziché prendersi da mangiare: la mia intenzione
era buona. Kant dà più peso all’intenzione. Per capire se l’azione, è un’azione morale o meno,
Kant ci dà delle indicazioni che lui chiama formule dell’imperativo categorico. La prima formula:
“agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre al tempo stesso, come
principio di una legge legislazione universale “. L’azione che deve compiere, la compio veramente
nel momento in cui do avvio alla ragione che spinge la volontà, e quindi si fa l’azione. Come è
possibile però che possiamo riconoscere questa azione, come un’azione morale? È chiaro che
diventa un’azione morale nel momento in cui abbraccia l’universalità. Se ha una validità
universale, cioè oltrepassa i limiti della soggettività, allora sì, dice Kant; segue questa formula.
Questo è quello che viene definito all’interno della critica della ragion pura, però in altri scritti di
Kant, (fondazione della metafisica e dei costumi), presenta altre due formule. La seconda: “agisci
in modo da considerare l’umanità sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre
anche come scopo e mai come semplice mezzo“. Non devi mai considerare come un mezzo per
arrivare ad ottenere qualche cosa, gli altri sono il fine, lo scopo della tua azione morale. L’ultima
formula, (è un po’ ripetitiva): “agisci in modo che la volontà, con la sua massima, possa
considerarsi come universalmente legislatrice rispetto a sé medesima”. Kant non sta dando
nessun contenuto, dà solo la forma. L’uomo vive, e l’obiettivo da raggiungere sarebbe quello del
sommo bene, che per Kant si raggiunge sommando la virtù e la felicità. Ma l’uomo virtuoso è
necessariamente anche felice? No. Perché se io agisco in modo morale, virtuoso, molto spesso
mi sto anche limitando, non posso sempre perseguire i miei interessi egoistici. Secondo Kant,
virtù + felicità, nella vita non è detto che sia effettivamente così. La ragione ha bisogno delle idee
metafisiche per il raggiungimento del sommo bene: l’idea metafisica di libertà è il fondamento di
ogni azione, perché la ragione deve essere libera, altrimenti se è costretta “non se ne esce”.
L’idea di anima di Dio diventano fondamentali, non conosceremo mai se queste due idee
esistono, ma la ragione, quando deve agire, utilizza queste idee come dei postulati, (parola che
deriva dalla matematica, quelle definizioni da cui si parte, senza dimostrarla). Postuliamo che
l’anima è immortale e che Dio esiste. La ragione usa queste idee perché non fonda nessuna
conoscenza, ma con esse elabora una speranza ragionevole per cui sarà pure vero che io in
queste esistenza non arrivo al sommo bene, ma ho una speranza ragionevole, in quanto postulo
che l’anima è immortale, di conseguire il sommo bene, anche dopo la morte, perché la mia anima
è immortale. Speranza ragionevole: Dio esiste, ragionevolmente questa speranza mi porta
sperare che Dio esiste, e probabilmente questo sommo bene sarà una sorta di premiazione di
Dio. È bene che noi non abbiamo conoscenza né dell’anima, e né di Dio, perché se avessimo una
conoscenza certa allora la mia azione non sarebbe più morale, perché alla fine io agisco in
questa vita perché so che c’è un “premio”.

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