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Nell’opera Kant analizza l’ambito morale e distingue tra ragion pura pratica indipendente dall'esperienza e dalla sensibilità e ragione
empirica pratica, che opera sulla base dell'esperienza e delle sensibilità. La ragione pratica non ha bisogno di essere criticata nella sua
parte pura perché in questa essa si comporta in modo legittimo, obbedendo a una legge universale. La critica riguarda quindi la ragione
empirica, ovvero la sua pretesa di costituire l'unico motivo dell'azione. Secondo Kant la morale è segnata dalla finitudine dell'uomo
poiché la ragione vi incontra la resistenza della natura sensibile dell'uomo. Alla base della critica della ragion pratica si trova una legge
morale a priori, valida per tutti e per sempre. Questa legge morale assoluta e incondizionata si lega strettamente anche alla libertà
(primo presupposto della vita etica), all'universalità e alla necessità della legge etica, ossia essere immutabilmente uguale a se stessa in
ogni tempo e in ogni luogo. Per Kant la morale è ab-soluta, cioè sciolta dai condizionamenti istintuali: non è la razionalità necessaria di
un essere infinito che si identifica con la ragione, ma la razionalità possibile di un essere finito che può assumere, o no, la ragione come
guida della propria condotta. La legge morale assume la forma di un comando, che pretende dall'uomo il superamento dei suoi impulsi
egoistici. La polemica contro il fanatismo morale è l'idea di poter superare i limiti della condotta umana, sostituendo alla virtù la
presunzione della santità. La santità etica è una situazione di perfetta adeguatezza alla legge. La morale non riguarda la materia o il
contenuto del volere, ma la sua forma.
L’articolazione dell’opera
La critica della ragion pratica si divide in 1dottrina degli elementi e 2dottrina del metodo. La 1 tratta degli elementi della morale e si
divide in analitica (espone la regola della verità, etica) e dialettica (affronta la parvenza morale, ovvero l'antinomia connessa all'idea di
sommo bene). La 2 tratta del modo in cui la legge morale può accedere all'animo umano (educazione, esempi).
Il sublime
Il filosofo irlandese Edmund Burke, opponendolo al bello, lega il sublime alla dismisura, alla sproporzione, alla cupezza e a tutto ciò che
può destare idee di dolore e di pericolo. Questo pensiero influenza anche Kant, che afferma che il sublime è quello stato d’animo che
proviamo di fronte a entità naturali smisuratamente grandi (sublime matematico) o potenti (sublime dinamico), che inizialmente
richiamano la nostra piccolezza fisica, ma che in seguito rimandano alla nostra grandezza spirituale, testimoniata dal fatto di essere
portatori delle idee della ragione, in particolare all’idea di infinito (sublime matematico) e dell’idea di dignità morale (sublime
dinamico). Il sublime si differenzia dal bello perché il primo si nutre del contrasto tra immaginazione sensibile e ragione, provocando in
noi fremito e commozione.