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QUESTIONE

L’arte è segno di libertà o di disagio?


Schopenhauer, Freud

estetica / psicologia

PARTIAMO DA ALCUNE RIFLESSIONI

Di fronte a un’opera d’arte – sia essa un quadro, una scultura, una poesia, una melodia – siamo in
primo luogo colpiti dalla sua bellezza, da ciò che essa esprime e comunica, e dalle emozioni che
suscita in noi. Un tempio greco, ad esempio, può colpirci per la sua maestosità, come una poesia per
la gioia, il dolore o la malinconia che proviamo nel leggerla.
Nello stesso tempo, però, le opere d’arte ci inducono a porci una domanda: perché qualcuno ha
sentito il bisogno di produrle? Più in generale: perché l’uomo produce opere d’arte?
Questo interrogativo acquista un significato particolare nei musei, dove spesso si trovano raccolte,
per la loro bellezza, non soltanto grandi opere, capaci di comunicarci sensazioni speciali, ma anche
oggetti della vita quotidiana come vasi, utensili, monili... Perché gli esseri umani, nel corso della
loro storia, hanno sentito il bisogno di produrre non semplicemente oggetti utili, ma anche
oggetti belli? Perché, ad esempio, per contenere l’acqua non ci si è accontentati di una semplice
anfora, ma si sono preferite anfore dipinte e riccamente decorate?
In fin dei conti, dunque, ci si può interrogare non tanto sul che cosa di un’opera d’arte (su che cosa
sia che la rende tale), quanto sul suo perché, con una domanda a cui forse neanche l’artista sa
rispondere, come è stato ben scritto dal regista sovietico Andrej Tarkovskij (1932-1986):

“L’artista crea istintivamente, egli non sa perché proprio in quel momento fa una cosa oppure
un’altra, scrive proprio di questo, dipinge proprio questo. Soltanto dopo egli comincia ad analizzare,
a trovare spiegazioni, a filosofeggiare e giunge a risposte che non hanno nulla in comune con
l’istinto, col bisogno istintivo di fare, creare, esprimere se stesso. In un certo senso la creazione è
rappresentazione dell’essenza spirituale nell’uomo ed è la contrapposizione all’essenza fisica; la
creazione o in un certo senso la dimostrazione dell’esistenza di questa essenza spirituale.”

Tarkovskij suggerisce dunque che l’artista crea in maniera istintiva, irriflessa, e che solo
successivamente la sua creazione diventa oggetto di una riflessione filosofica esplicita. La
creazione artistica risponde inizialmente un bisogno, a un impulso istintivo che lo spinge a creare
qualcosa, esprimendo se stesso.
Ma che cosa significa “esprimere se stesso”? In che senso nell’opera d’arte l’artista esprime se
stesso? Finché guardiamo un’opera d’arte soffermandoci solo sulla sua bellezza formale, non
riusciamo a cogliere il fatto che essa possa anche essere espressione di una personalità. Eppure,
come abbiamo visto, alla domanda “perché l’uomo produce opere d’arte?” Tarkovskij risponde che
lo fa perché così esprime la propria essenza spirituale. In altre parole, mediante la creazione
artistica l’uomo mostra di essere “più che natura”, cioè capace di fare cose che la natura non fa.
Questa capacità è ciò che i filosofi hanno chiamato anche “libertà”: l’artista crea, e creando
mostra di essere libero, e non solo soggetto alla necessità naturale.

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A questa affermazione si possono muovere alcune obiezioni: ad esempio si può osservare che molte
creazioni artistiche non nascono affatto da una condizione di libertà, bensì da una condizione di
non-libertà, e in questi casi l’arte è un po’ come lo “sfogo” in cui si convoglia il disagio di questa
condizione, l’espressione di un bisogno di libertà, più che della sua realizzazione. In sostanza, un
artista non crea perché è libero ma per dar voce al suo desiderio di esserlo. Nella storia non sono
rari i casi di artisti che nelle loro creazioni hanno espresso esattamente questo stato.
Che cosa esprimono, allora, le opere d’arte? Sono il frutto della libertà dell’artista o del suo
desiderio irrealizzato di libertà?

L’arte è segno di libertà o di disagio?


Sulla base delle tue convinzioni personali,
rispondi a questo interrogativo scegliendo tra le opzioni che seguono.

1. Per comprendere se l’arte sia espressione di libertà oppure no, non dobbiamo far altro che rifarci
alla nostra stessa esperienza. Al di là dei loro specifici contenuti, una canzone, una poesia, un
quadro suscitano in noi sensazioni piacevoli. L’esperienza dell’arte è quindi un’esperienza di
piacere, e quindi di liberazione. L’opera d’arte, del resto, comunica il piacere provato dall’artista
nel produrla. La bravura dei grandi artisti consiste proprio in questo: nel saper esprimere e
comunicare la loro esperienza, rendendone partecipi anche gli altri.

2. Se è vero che un’opera d’arte, per essere tale, suscita un sentimento di piacere, è anche vero che
spesso la sua bellezza o piacevolezza contrasta con la vita reale di chi la produce. Le biografie dei
grandi artisti ci rivelano spesso figure con storie difficili e travagliate, per le quali l’arte è stata una
“fuga”, un modo per realizzare in un mondo fantastico, inesistente nella loro vita reale. Più che
l’espressione di una condizione di libertà, l’arte sembra quindi la denuncia di un disagio, al quale
si cerca di trovare sollievo nel mondo della fantasia.

Illustra brevemente le ragioni che ti hanno indotto a prendere questa posizione.


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APPROFONDIAMO LA QUESTIONE
Dal senso comune alla filosofia

1. Per Arthur Schopenhauer (1788-1860) l’arte costituisce una forma superiore di conoscenza,
che libera l’uomo dai suoi legami con il mondo fenomenico: essa, infatti, attinge in maniera
diretta e intuitiva al mondo delle idee, ed è quindi pura contemplazione. L’artista è in grado di
elevarsi a questo grado di conoscenza solo se egli stesso si è prima liberato dalle contingenze del
mondo ed è diventato puro correlato dell’idea, cioè dell’universale, limpido specchio di questa
realtà che, tramite l’opera d’arte, viene comunicata a tutti gli altri uomini.

2. Sigmund Freud (1856-1939) ha invece inteso l’opera d’arte alla stessa stregua dei sogni, cioè
come l’espressione di una frustrazione, o di un disagio, o come la realizzazione di un desiderio
inappagato, che trova soddisfazione del mondo della fantasia. In questo senso si potrebbe dire che
le opere d’arte sono “sogni a occhi aperti”. Per comprenderle è quindi necessario fare riferimento
alla vita dell’artista, per metterne in luce, tramite un’indagine psicoanalitica, le forze inconsce che
lo hanno mosso alla realizzazione dell’opera.

1. L’arte come elevazione alla conoscenza delle idee: Schopenhauer

L’arte come contemplazione


La filosofia di Schopenhauer costituisce una ripresa di alcuni elementi della filosofia platonica,
innestati sulla filosofia di Kant. Infatti, se per Kant il mondo fenomenico è l’unico conoscibile, per
Schopenhauer, che in questo segue Platone, è possibile attingere a una più elevata conoscenza che,
al di là di esso, “svela” le idee. Le idee, a loro volta, costituiscono la prima oggettivazione della
volontà, che per Schopenhauer è il vero “in sé” (il vero “noumeno) del mondo.
La conoscenza delle idee, però, non è possibile tramite le forme e le categorie indicate da Kant. Lo
spazio, il tempo e la causalità – alla quale Schopenhauer riduce tutte le altre categorie kantiane –
costituiscono infatti solo un aspetto del cosiddetto “principio di ragione”, tramite il quale si
conoscono tutti i nessi e le relazioni tra le cose del mondo. Ma questa è una conoscenza di tipo
intellettuale, mentre la conoscenza delle idee è del tutto intuitiva, e presuppone il superamento
delle forme che costituiscono il mondo fenomenico, e persino del principium individuationis, cioè
della particolarità del soggetto conoscente:

il soggetto cessa […] di essere puramente individuale, e diviene il soggetto conoscente puro e
libero dalla volontà; non si preoccupa più allora di andar dietro alle relazioni fondate sul
principio di ragione, ma si riposa e si assorbe nella contemplazione profonda dell’oggetto che
gli è dinanzi, e lo contempla in sé, al di fuori delle sue correlazioni con altri oggetti.
(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, § 34,
trad. it. di G. Riconda, Mursia, Milano 1969, p. 216)

La condizione che permette di cogliere pienamente la peculiarità dell’opera d’arte e il suo contenuto
conoscitivo – non la realtà particolare, ma l’idea universale – è dunque quella di una

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contemplazione del tutto disinteressata, libera dai vincoli (trascendentali e vitali) del mondo
fenomenico.

L’eccezionalità del genio artistico


Questa condizione, che riguarda chi contempla le opere d’arte, non è altro che il correlato della
condizione che caratterizza il vero artista, cioè il “genio”. La genialità è dunque la condizione
necessaria non solo per fare arte, ma anche per comprenderla.
L’arte nasce quindi dalla conoscenza della vera realtà ideale: essa «concepisce con la pura
contemplazione, e riproduce poi, le idee eterne, cioè tutto quello che vi è di essenziale e di
permanente in tutti i fenomeni del mondo» (ibidem, p. 223). L’essenza del genio consiste in
un’attitudine supernormale a tale contemplazione: essa non è concessa all’individuo comune, che
è tutto pieno e soddisfatto del presente e incapace di elevarsi alla contemplazione pura e
disinteressata. È concessa invece al genio, che è in grado di spogliarsi della propria soggettività per
elevarsi all’oggettività pura delle idee. Da questo punto di vista, la creazione artistica richiede un
processo di liberazione dalle catene del mondo fenomenico e coincide con uno “stato di grazia”
che porta l’individuo geniale a contatto diretto con il mondo delle idee:

La genialità consiste dunque nell’attitudine a mantenersi nell’intuizione pura, perdendovisi; a


redimere dalla schiavitù della volontà la conoscenza che le era originariamente asservita; in
altre parole, bisogna perdere affatto di vista il proprio interesse, la propria volontà, i propri
fini; bisogna per un certo tempo estraniarsi completamente dalla propria personalità, per non
restare che puro soggetto conoscente e limpido occhio del mondo […].
(ibidem, p. 224)

La genialità artistica è qualcosa di eccezionale, e la stessa opera d’arte è solo un momento di


eccezionalità ritagliato all’interno della vita normale: essa è come l’irrompere improvviso di una
realtà ideale, che spezza la continuità della vita fenomenica retta dal principio di ragione. Se la
conoscenza che obbedisce a questo principio «è paragonabile ad una orizzontale corrente
all’infinito», l’arte è invece «una perpendicolare intersecante l’altra linea in un punto preso a
piacere» (ibidem, p. 223)

L’essenza dell’opera d’arte


Malgrado queste caratteristiche di eccezionalità, il genio deve comunque riuscire a comunicare agli
altri la sua conoscenza. Per questo la sua opera si distingue tanto da quella del sognatore, quanto da
quella del folle, con i quali comunque ha alcuni punti in comune: l’uso della fantasia e
l’affrancamento dal principio di ragione. Ma nell’opera d’arte il genio deve riuscire a trasmettere in
qualche modo la sua conoscenza dell’idea e il piacere che essa produce. Nell’opera viene infatti
rappresentata direttamente l’idea, libera da tutte le contingenze che potrebbero turbarla, così come
l’artista la contempla nella sua visione:

L’artista ci fa contemplare il mondo con gli occhi suoi. Possedere una tale capacità visiva,
riconoscere l’essenza delle cose che esiste all’infuori di ogni relazione, è il dono innato del
genio; essere capace di comunicare questo dono e la suddetta capacità di osservazione è il lato
acquisito e tecnico dell’arte.
(ibidem, p. 234)

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La creazione artistica è quindi per Schopenhauer l’espressione di un’elevata condizione dello
spirito, propria di chi, come nel mito della caverna di Platone, è riuscito ad arrivare alla conoscenza
diretta delle idee, con la differenza che non la filosofia, bensì l’arte è il culmine di questa ascesa
conoscitiva. In essa quindi si esprime il più alto alto grado possibile di libertà dell’artista: la
libertà dal volere e dalle contingenze del mondo fenomenico, l’elevazione dell’individuo al di sopra
della sua soggettività particolare, per divenire soggetto indipendente da ogni condizione del tempo,
“puro occhio contemplante”. A questa condizione è legato il piacere estetico, anzi il piacere
supremo, che è connesso alla sola conoscenza pura.

2. L’arte come sintomo di repressione: Freud

L’arte come sogno e come gioco


Indagando i meccanismi che presiedono alla formazione artistica, Freud vi introduce il punto di
vista della psicoanalisi. Il valore estetico dell’oggetto artistico rimane così in secondo piano,
mentre assume importanza soprattutto il suo legame con la vita psichica dell’autore.
Freud, infatti, concepisce l’opera d’arte come una specie di “sogno a occhi aperti”. Nell’opera
d’arte l’artista dà forma a contenuti psichici che a causa della censura dell’Io e del super-Io non
troverebbero espressione, proprio come accade nel sogno, in cui il materiale psichico rimosso si
presenta in configurazioni difficilmente decifrabili. La differenza tra l’opera d’arte e il sogno è che
nella prima l’artista dà alla materia (il colore sulla tela, il marmo, le parole di una poesia...) una
maggiore coerenza formale, grazie alla quale l’opera diventa oggetto di piacere per il pubblico,
che vi intravede la liberazione da una tensione pre-esistente.
Quel che ci permette di penetrare nel segreto della creazione artistica è l’attività infantile più
normale: il gioco. Come accade nel gioco, infatti, così anche nell’arte si inventano nuovi mondi e
si sogna a occhi aperti:

Forse si può dire che il bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta: in quanto si
costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del
mondo.
(S. Freud, Il poeta e la fantasia, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio,
trad. it. di S. Daniele, E. Luserna, C. Musatti et al., Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 49)

Per questo motivo in ognuno di noi è nascosto un poeta, celato nel bambino che eravamo e che non
possiamo più tornare a essere, perché il gioco, nell’età adulta, è visto come qualcosa di disdicevole.

I conflitti alla base della creazione artistica


Ma che cosa spinge l’uomo a staccarsi dalla realtà e a “sognare a occhi aperti”, cioè a fantasticare?
A questa domanda Freud risponde che si tratta di dare sollievo a un disagio, a una condizione di
infelicità, ovvero del tentativo di soddisfare desideri che nella realtà non possono trovare
appagamento:

Si deve intanto dire che l’uomo felice non fantastica; solo l’insoddisfatto lo fa. Sono desideri
insoddisfatti le forze promotrici della fantasia, e ogni singola fantasia è un appagamento di un
desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti.
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(ibidem, p. 52)

L’artista, quindi, è un uomo che fugge dalla realtà perché non riesce ad adattarvisi e cerca a
livello fantastico l’appagamento delle proprie pulsioni più profonde (d’amore, di gloria, di
autoaffermazione). Alla base della creazione artistica, quindi, c’è una condizione di tensione
psichica che non trova risoluzione in maniera diretta e che deve perciò realizzarsi in una forma
diversa e socialmente accettabile. Così Freud esprime quest’idea:

Le forze motrici dell’arte sono gli stessi conflitti che spingono altri individui alla nevrosi, e che
hanno indotto la società a fondare le sue istituzioni. [...] L’artista cerca innanzitutto
un’autoliberazione e, comunicando attraverso la sua opera, la trasmette ad altri che soffrono
degli stessi istinti trattenuti. È vero che egli rappresenta come appagate le sue fantasie di
desiderio più personali, ma queste divengono opera d’arte soltanto attraverso una
trasformazione che mitiga l’aspetto urtante di questi desideri, ne cela l’origine personale e
offre agli altri, rispettando le regole estetiche, seducenti premi di piacere.
(S. Freud, Linguistica, estetica e psicoanalisi,
in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio,
op. cit., p. 180)

L’artista, in altre parole, cerca di risolvere le proprie nevrosi (conflitti irrisolti, dovuti
fondamentalmente alla repressione di istinti sessuali) attraverso la creazione di opere d’arte, nello
stesso modo in cui l’individuo le elabora nei suoi sogni o la società è indotta a creare le sue
istituzioni. Così facendo egli offre ad altri, afflitti dalle medesime nevrosi, un’occasione di
liberazione, dal momento che, grazie alla forma esteticamente piacevole delle sue opere, presenta
questi suoi conflitti come risolti.

L’arte e la cultura come sublimazione


Il processo per cui una pulsione libidica (cioè connessa a impulsi sessuali) viene “deviata” dalla sua
meta originaria, ritenuta inaccettabile, per essere realizza in forme più elevate (quali sono le opere
d’arte) viene chiamato da Freud “sublimazione”. In sostanza, quindi, l’opera d’arte sarebbe il
risultato di una tensione istintuale “sublimata”, ovvero della repressione della libido. La
sublimazione nasce quindi da un disadattamento, da un profondo disagio dell’artista, che, non
tollerando le rinunce a cui la realtà sociale lo costringe, cerca di dare realizzazione ai propri desideri
nel mondo della fantasia. L’arte è un “premio seducente” per questa rinuncia.
Tramite questa deviazione della libido dalla sfera sessuale verso quella culturale, la
sublimazione costituisce un potente fattore di sviluppo della cultura, dall’arte alla scienza, alla
tecnica, alla ricerca.
In un famoso saggio dedicato a Leonardo da Vinci, Freud conduce un’analisi psicoanalitica delle
opere e della vita del genio rinascimentale, mostrando come nella sua sete di sapere universale e
nella sua feconda attività artistica si possa rintracciare la sublimazione di impulsi sessuali risalenti
all’infanzia.
Resta comunque aperta la domanda, secondo Freud, riguardo a quale sia il legame tra repressione e
sublimazione, dal momento che non tutte le persone represse diventano grandi artisti. Freud
ammette che esiste un margine di libertà che distingue il grande artista dal semplice nevrotico.
Nella creazione artistica c’è un elemento necessitante – quello dei processi biologici – e un
elemento di casualità (e quindi di libertà), dovuto alle vicende biografiche assolutamente singolari
dell’artista e alla sua risposta alle repressioni della società. Cosicché, conclude Freud:
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Dato che il talento e la capacità artistica sono intimamente connessi con la sublimazione,
dobbiamo ammettere che anche l’essenza della creazione artistica ci è inaccessibile dal punto
di vista della psicoanalisi.
(S. Freud, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci,
in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, op. cit., p. 146)

Ora che hai ascoltato le ragioni dei filosofi,


decidi se intendi rimanere fedele alla tua idea iniziale o se preferisci cambiarla,
e indica in sintesi gli argomenti che ti hanno indotto a questa decisione.
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UNA QUESTIONE APERTA...

La domanda sul perché delle opere d’arte ha trovato nei due autori esaminati risposte molto diverse:
da una parte, per Schopenhauer, l’opera d’arte è frutto di uno stato estremamente elevato dello
spirito, di un momento di libertà assoluta dalla sofferenza e dalla contingenza del mondo, ed
esprime una conoscenza superiore, che supera il sapere concettuale della scienza e della filosofia;
dall’altra, per Freud, essa è un sogno a occhi aperti, una fantasia con cui si cerca di trovare
appagamento a desideri repressi e inconfessati, una sublimazione, un modo culturalmente
accettabile con cui l’uomo esprime le proprie nevrosi. Si tratta di due approcci molto diversi, che ci
fanno guardare in maniera molto differente alle opere d’arte: come un’altissima creazione dello
spirito nel caso di Schopenhauer, e come una compensazione alle proprie frustrazioni nel caso di
Freud.

Se l’opera d’arte ci mostri una realtà superiore, in cui l’aspirazione dell’uomo alla libertà trova il
suo pieno appagamento, o denunci un disagio, presentandosi come un fantastico “premio di
piacere”, è una domanda la cui risposta ha notevoli implicazioni, sia riguardo alla concezione
dell’uomo, sia riguardo al ruolo dell’arte nel mondo. Ma i due diversi approcci hanno conseguenze
rilevabili anche in modo più immediato e semplice, ad esempio nello studio di una poesia come A
Silvia di Giacomo Leopardi. Quel che distingue le due prospettive, infatti, alla fine è il peso che,
nella comprensione dell’opera, ha la vita dell’artista, la sua biografia. Se per Schopenhauer questa
può essere del tutto ignorata (perché ciò che è importante è l’opera nella sua bellezza formale, nella
sua oggettività, che è la presentazione dell’oggettività dell’idea), per Freud il riferimento alle
vicende personali che hanno portato l’autore a comporre quella poesia (l’esperienza della morte in
giovane età della figlia del cocchiere di famiglia) è fondamentale, e senza un tale riferimento A
Silvia resta un oggetto bello, ma probabilmente privo di tutto il páthos esistenziale che
diversamente potrebbe esprimere.

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