Sei sulla pagina 1di 56

Introduzione dell'Autore 5

Parte prima Trenta casi

1. Un'intricata situazione alla base


di una sofferta decisione di eseguire aborti 15
2. Appropriazione di valori altrui:
criteri per una differenziala valutazione morale 18
3. Cooperazione materiale
in attività disoneste & causa di scandalo 21
4. Una situazione resa improvvisamente problematica nell'imminenza delle nozze 23
5. Aborto volontario
in una gravidanza dopo stupro 26
6. Un'assoluzione sacramentale
problematica da valutare 30
7. Un caso controverso di omosessualità 32
8. Idoneità al presbiterato & al celibato 34
9. Ricorsi ai contraccettivi nella vita coniugale35
10. L'accesso ai sacramenti
dì coppie irregolari e dei loro figli 37
11. Un'asserita giustificazione
dell'aborto in situazioni particolari 40
12. Rifiuto di terapie in presenza di patologìe gravi
con prognosi infausta 42
13. Una vicenda affettiva complessa
con tentato aborto & infanticidio 44
14. Limiti nella possibilità di trovare spiegazione
a una condotta oscillante
tra scelte eroiche & scelte disoneste 46
15. Aborto indotto in seguito a diagnosi prenatale
di anencefalia nel feto 48
16. Confessione di persona vicina alla morte.
Quali avvertenze per il confessore? 50
17. Soluzioni opposte di due confessori
circa l'idoneità al presbiterato 52
18. Celebrazione comunitaria della Penitenza.
Scelte contrastanti da parte di presbiteri 54
19. Scrupoli morali & confessioni 56
20. Un confessore «stakfinnovista» 58
21. L'assoluzione sacramentale
di un peccatore consuetudinario 60
/■
22. Criteri per la valutazione dell'idoneità
a compiere una scelta di vita celibataria 62
23. Un caso di eutanasia giustificata? 64
24. Amministrazione dei sacramenti con pericolo, per il sacerdote, di contagio
durante un'epidemia spesso letale 66
25. Vendita di un proprio rene: valutazione morale . . 68
26. Rapporti sessuali prematrimoniali 70
27. Contraccettivi: può essere lecita l'assoluzione sacramentale di chi rifiuta di porvi fine? 73

28. Aborto su minorata psichica non consenziente . . 75


29. Assoluzione di recidivi: due prassi conti-astanti . . 77 30 Ancora sulla idoneità
di una scelta di vita celibataria 79

Parte seconda Soluzioni proposte

1 83

CASO 1 Un 'intricata situazione alla base di una sofferta decisione di eseguire aborti

Giorgio, giovane intelligente e volenteroso, di uno dei Paesi più poveri del mondo, ha avuto la
fortuna di attirare su di sé l'attenzione di alcuni funzionari dell'Oms, i quali gli hanno offerto la
possibilità di studiare e laurearsi in medicina in una delle Università europee, usufruendo di una
ricca borsa di studio. Conseguita brillantemente la laurea, Giorgio ottiene una seconda borsa per
acquisire la specializzazione in ginecologia e ostetricia, mosso dal desiderio di contribuire così a
salvare la vita di tanti bambini e di tante mamme, che nel suo Paese ha visto morire per mancanza di
un'adeguata assistenza medica alla maternità e al parto. Giorgio si è pure convertito al cristianesimo
e ha ricevuto il battesimo nella Chiesa cattolica, divenendo un fervente cristiano.
Tornato in patria, riesce in pochi anni a conquistare il posto di primario nel reparto di ostetricia e
ginecologia dell'ospedale della capitale, l'unico ospedale di alto livello nel Paese, costruito e
finanziato da una società anglo-americana. Sposa-

tosi, Giorgio, grazie al ricco stipendio che percepisse, può assicurare alla famiglia un elevato tenore
di vita, e può mandare i figli in Europa per compiere studi universitari.
In questa felice situazione, però, un fatto nuovo viene a sconvolgere tutto. Sotto la pressione di
Paesi ricchi, il governo è costretto a emanare una legge che liberalizza l'aborto, senza ammettere
l'obiezione di coscienza per nessuno. La Direzione dell'ospedale invia a Giorgio una comunicazione
per avvertirlo che tra i suoi compiti rientrerà pure, d'ora in poi, l'esecuzione di aborti sulle donne
che ne faranno richiesta. Giorgio non esita a rispondere che eseguire aborti è contro la sua coscienza
e contro l'impegno, assunto con giuramento al momento di iniziare a svolgere la sua professione di
medico, di operare sempre a tutela della vita umana. Convocato dalla Direzione, Giorgio viene
posto dinanzi a un preciso dilemma: o accettare di eseguire aborti o perdere il suo posto di lavoro.
Gli viene concessa una settimana di tempo per riflettere e decidere.
Angosciato e preoccupato, Giorgio pensa che perdere il posto significherebbe andare incontro a
tutta una serie di conseguenze, tali da scompigliare radicalmente la vita non solo sua personale, ma
anche quella della moglie e dei figli. Dopo molte esitazioni, giunge alla conclusione che egli non ha
il diritto di far pagare ad altri, che sono per giunta persone a lui carissime e verso le quali ha gravi e
precise responsabilità, le conseguenze di una sua scelta. Perciò comunica alla Direzione
dell'ospedale che si piega alla sue richieste e si impegna a eseguire anche aborti.
Bastano, però, i primi aborti da lui eseguiti a fargli sperimentare un'inquietudine profonda e
insopportabile. Rendendosi conto che la violenta burrasca di sentimenti intensi che lo sconvolgono
non gli consente di dare una valutazione oggettiva delle sue scelte e di maturare una nuova
decisione ben ponderata, si rivolge a un amico, medico anche lui, ma primario in un altro reparto, in
cui ha molta fiducia, anche perché, prima di laurearsi in medicina aveva, seguito gli studi di
teologia in seminario quasi fino al termine, e Giorgio già altre volte aveva trovato in lui un valido
aiuto per la soluzione di problemi morali nella sua vita coniugale e professionale. Ma questa volta
l'amico trova preferibile che Giorgio si rivolga ad un sacerdote particolarmente apprezzato, Don
Luigi, data la singolare gravità del problema e la complessità delle conseguenze in questione.

Risposta Primo caso


/. Problema centrale.
Non è la valutazione della decisione di Giorgio di adattarsi a eseguire aborti. Non occorre aver
studiato un trattato di morale per sapere con certezza che l'aborto diretto e volontario appartiene a
quegli atti che sono gravemente e intrinsecamente disonesti e perciò mai, per nessun motivo leciti,
qualunque sia il prezzo da pagare.
Problema (in certo senso) è il ragionamento che ha portato Giorgio a ritenere lecito, nel suo caso
concreto, consentire alla richiesta della Direzione dell'ospedale: quale valutazione darne?
Esplicitato più dettagliatamente, il ragionamento è questo: se la questione riguardasse solo me, non
esiterei a perdere il posto di lavoro e il reddito alto che percepisco, ad andare incontro a una vita di
povertà e di incertezze dopo aver gustato ricchezza e benessere, considerazione sociale, eccetera.
Ma qui io faccio pagare ad altri un prezzo salato. Un prezzo che ha come unica causa una mia
decisione. Non ho nessun diritto di infliggere ad altri, che non

hanno fatto nulla di male per meritarlo, un peso così terribile. E questi «altri» sono mia moglie e i
miei figli, le persone più care che ho al mondo.
Altri problemi morali, nel nostro caso, non ci sono. Perciò quello ora delineato non è «centrale», ma
unico.

2. Come valutare questo ragionamento.


Anzitutto in sé stesso, cioè sul piano oggettivo, e poi nel concreto della situazione di Giorgio.
1) Sul piano oggettivo. La dottrina da richiamare è quella circa la fondazione della moralità, o della
valutazione morale dell'agire umano. La fonte di riferimento più autorevole e recente è l'enciclica
Veritatis splendor, particolarmente i §§74 ss. Riducendo le cose al minimo essenziale: è in contrasto
con la stessa Sacra Scrittura, oltre che con la dottrina costante della Chiesa, la posizione oggi
sostenuta da alcuni teologi, e denominata «consequenzialismo» o anche «proporzionalismo».
Secondo questi teologi, per qualificare un atto come moralmente onesto oppure disonesto, è
determinante la valutazione delle conseguenze che ne derivano (di qui la denominazione di
«consequenzialismo»). Siccome spesso tali conseguenze sono molteplici e contrastanti, si dovrà
farne un bilanciamento, per stabilire se sono proporzionalmente prevalenti le conseguenze
vantaggiose oppure quelle dannose (di qui la denominazione di «proporzionalismo»). Non esistono
perciò atti intrinsecamente disonesti, cioè che sono sempre e comunque onesti oppure disonesti, ma
uno stesso atto può essere onesto, oppure disonesto, a seconda delle sue conseguenze. L'Enciclica
poi riconferma la dottrina costante della Chiesa e ne illustra la fondazione biblica e anche razionale,
secondo la quale esistono atti che sono in sé stessi, o intrinsecamente, illeciti e quindi tali restano
sempre e comunque, qualunque siano le conseguenze e le intenzioni di chi li compie e le
motivazioni che adduce. È determinante l'atto in sé stesso, che risulta «non ordinabile a Dio» e
radicalmente in contrasto con la dignità dell'uomo.
Alla luce di questa dottrina morale, il ragionamento di Giorgio per giustificare nel suo caso
l'esecuzione di aborti è chiaramente sulla linea erronea del consequenzialismo. E questa via che lo
conduce a concludere erroneamente che nel suo caso, date le conseguenze della scelta opposta, gli è
lecito eseguire aborti, cioè uccidere esseri umani innocenti.
2) Sul piano concreto e soggettivo. Il ragionamento di Giorgio sarebbe corretto se la decisione di
non eseguire aborti fosse davvero una sua scelta personale, dovuta, cioè, a idee sue personali e,
quindi, la scelta opposta può essere altrettanto legittima. Invece il rifiuto di eseguire aborti è l'unica
scelta onesta e, perciò, gravemente doverosa per lui. Aveva visto giusto quando aveva detto alla
Direzione dell'ospedale che eseguire aborti costituiva per lui una inammissibile infedeltà alla sua
coscienza e al giuramento sinceramente fatto.
Per conto suo e interiormente, poteva aggiungere: fedeltà a Dio e alla sua legge scritta nel cuore
umano, fedeltà a Cristo e alla sequela di Cristo, che è inseparabile dalla croce, cioè da situazioni
crocifiggenti e ingiuste di ogni genere.
Se da questa sua fedeltà deriveranno grandi sofferenze non solo per lui, ma anche per altri, la causa
non è quella della fedeltà a valori irrinunciabili, ma una legge iniqua che pretende di legittimare
l'omicidio nella sua forma più grave, e, per giunta, calpesta anche il diritto ad agire secondo
coscienza retta e formata. Certo, Giorgio non ha diritto di far soffrire altri, ma non si tratta di
questo, bensì del dovere di fedeltà a esigenze fondamentali di onestà. E, invece, la scelta opposta,
cioè quella di eseguire aborti, che deve suscitare l'interrogativo: «come posso arrogarmi il diritto di
uccidere, di far pagare a innocenti, col prezzo della loro vita, la tutela del benessere della mia
famiglia?».
Si può aggiungere un'altra argomentazione, quella che la logica qualifica per absurdum, cioè: se il
ragionamento di Giorgio venisse valutato come giusto, allora bisognerebbe giustificare anche
l'apostasia in caso di persecuzione, e i martiri di tutti i tempi sarebbero solo dei fanatici, che hanno
spesso fatto pagare alle loro famiglie prezzi altissimi di sofferenze di vario genere, per il loro
fanatismo.

3, L'aspetto pastorale.
Passando dall'aspetto morale a quello pastorale, si individuano almeno tre indicazioni da seguire.
1) Giorgio va aiutato a cogliere, nel suo comportamento, la spia preziosa che gli svela quanto
cammino deve'ancora fare per capire chiaramente che cosa comporta seguire Cristo con coerenza e
fedeltà. Una scoperta che forse non avrebbe fatto senza questa prova dolorosa. Un cammino in cui
deve coinvolgere anche la moglie e i figli.
2) Va pure aiutato a scoprire il valore di testimonianza, forte e preziosa, che avrebbe il suo
rifiuto di eseguire aborti, pagando un prezzo così alto. Testimonianza e, quindi, evangelizzazione
particolarmente convincente nel suo Paese, in gran parte non cristiano. La sua può essere valutata
come una delle forme moderne di martirio.
3) Inoltre, la comunità cristiana locale andrà sollecitata a prendere coscienza che non può stare
a guardare e limitarsi ad ammirare, ma deve mobilitarsi per assicurare a Giorgio e alla sua famiglia
solidarietà concreta e generosa.

4. in sintesi:
1) problema centrale, anzi unico, è la valutazione critica, dal punto di vista della verità morale,
del ragionamento che ha portato Giorgio alla decisione di poter lecitamente farsi esecutore di aborti;
2) la soluzione di tale problema emerge facilmente se vi si dà una corretta impostazione.
Giorgio lo ha impostato male, anzitutto adottando l'errata fondazione consequenzialista per
giungere a una valutazione morale; in secondo luogo ponendola in termini di «diritto a», anziché di
«dovere di»; in terzo luogo perdendo di vista che il rifiuto di eseguire aborti non rientra tra le scelte
facoltative, ma è l'unica onesta e, quindi, doverosa. La fedeltà alla coscienza e, in definitiva, a
Cristo e alla sua sequela, implica normalmente anche la croce, cioè subire ingiustizie e sofferenze;
3) dal punto di vista pastorale emerge l'esigenza di aiutare Giorgio, e anche la comunità cristiana
locale, a valorizzare positivamente la situazione che è venuta a crearsi in seguito a una iniqua legge
statale in tema di aborto.

CASO 2 Appropriazione di valori altrui: criteri per una differenziata valutazione morale

Sandro è infermiere caposala in un reparto dell'ospedale della sua città, proverbialmente nota come
la più ricca e prospera dell'intero Paese, anche se quest'ultimo sta attraversando un periodo difficile
per l'economia nazionale. Lui però è di modeste condizioni. Sposato, ha quattro figli, tutti ancora
piccoli, e il suo stipendio è l'unico mezzo di sostentamento della famiglia. È uomo profondamente
onesto, credente e ben voluto da tutti per la sua bontà. Data la crisi economica in atto, un giorno il
governo decide, tra l'altro, di ridurre la spesa pubblica e dispone la chiusura di vari ospedali, tra cui
quello in cui lavora Sandro.
Preoccupato dì come potrà fare per sfamare moglie e figli, durante il tempo che intercorre tra la
decisione governativa e la sua attuazione, Sandro pensa che sia suo grave e preciso dovere trovare
la via per assicurare almeno l'indispensabile a sé e ai propri cari. Non riuscendo a trovare una
soluzione migliore, alla fine Sandro matura la conclusione che può ritenersi moralmente autorizzato
ad approfittare di ogni occasione per raggranellare denaro e oggetti di valore, da spendere poi
oculatamente^per il mantenimento della famiglia, visto anche che la maggior parte dei pazienti che
vengono in ospedale sono persone ricche e facoltose. La giustificazione di questa scelta è stata la
persuasione di trovarsi nella situazione di cui aveva sentito parlare anni prima, seguendo un corso di
catechesi. L'insegnante di morale aveva fatto affermazioni che lo avevano particolarmente colpito:
«In situazioni di estrema necessità, non c'è diritto di proprietà privata che tenga. Chi è alla fame non
ruba se si appropria di quello che trova, e dovunque lo trovi». Forte di questa convinzione, Sandro
prende a coscienza tranquilla quanto può sottrarre, sia all'ospedale sia alle persone con cui ha a che
fare. Riesce così ad accumulare denaro e gioielli per il valore di alcuni milioni di euro.
Ma una sera è sorpreso mentre sta cercando di togliere gli orecchini d'oro con rubini dal cadavere di
una ricchissima signora deceduta nel suo reparto. Sandro viene denunciato, e la polizia comincia a
sospettarlo responsabile anche di tutta la serie di furti e sparizioni misteriose, verificatisi in ospedale
negli ultimi mesi e per i quali nessuno aveva avanzato sospetti su di lui, data la stima di cui godeva.
Una perquisizione nella sua abitazione, disposta dall'autorità giudiziaria, conferma i sospetti e
Sandro viene arrestato, in attesa di processo.
Sconvolto fino alla disperazione, in preda anche a rimorsi prima mai provati, Sandro riceve la visita
di un suo cugino, Don Mario, da poco ordinato presbitero, e a lui chiede aiuto per fare chiarezza
nella sua anima. Don Mario, dopo averlo ascoltato, lo tranquillizza dicendogli che non c'era nulla di
cui sentirsi in colpa davanti a Dio, in quanto aveva agito nella convinzione di fare bene. Quello che
conta è la coscienza che uno ha sul momento. Inoltre la coscienza di Sandro era retta e veritiera,
dato che quello che aveva detto l'insegnante di morale è una verità sacrosanta, sempre insla dottrina
sociale dai Pontefici nel nostro tempo.

Risposta Secondo caso

/. Problema centì'ale.
Valutazione morale del comportamento di Sandro, comprese le ragioni su cui ha fondato la
giustificazione della sua liceità.

2. Dottrina da richiamare.
In sostanza quella a cui si richiama Sandro, ma troppo semplicisticamente. Si può ricorrere, per
questo, a san Tommaso IIII, q. 66, a. 7. Ma più ancora, sia perché più concisa, sia perché la fonte è
autorevolissima, alla Gaudium et spes, n. 69. Siamo nella Parte II della Costituzione conciliare,
capitolo III «Vita economico-sociale». Il n, 69 inizia col richiamare il grande principio generale
della destinazione universale dei beni: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene,
all'uso di tutti gli uomini e popoli». Omettendo ora, per brevità, i passaggi successivi, troviamo
l'affermazione: «Colui che si trova in estrema necessità ha diritto di procurarsi il necessario dalle
ricchezze altrui». Segue qui una nota, l'undicesima, anch'essa utile per noi: «In quel caso vale
l'antico principio: "in extì-ema necessitate omnia sunt communio, id est communicanda". D'altra
parte, per quanto riguarda il criterio, l'estensione e il modo in cui si applica il principio proposto nel
testo, oltre i moderni provati autori, cfr san Tommaso, Swnma theol, II li, q. 66, a. 7. Come è
evidente, per una retta applicazione del principio, sono da osservarsi tutte le condizioni moralmente
richieste».
Ed ecco, in sintesi, le precisazioni che si trovano in alcuni testi di Morale:
- la situazione di estrema necessità, in generale, si verifica quando uno si trova di fronte a un
pericolo mortale o di altro danno molto grave, e non può superarlo da solo con i suoi mezzi;
- l'appropriarsi di beni altrui, quando tale pericolo deriva dal non possedere mezzi sufficienti,
è lecito alle seguenti condizioni: a) che nella situazione concreta non esista altra via possibile per
salvarsi; b) che l'altro non versi nella stessa situazione; c) che si prenda solo quanto basta per
superare la situazione di pericolo.
Non è perciò da escludere anche una somma elevata, se realmente ci sono tutte le condizioni ora
accennate. E, se è lecito, è chiaro che non costituisce furto.

3. Soluzione del problema centrale.


Nella valutazione morale del comportamento di Sandro c'è da distinguere il piano oggettivo e quello
della responsabilità soggettiva.
1 ) Sul piano oggettivo:
- mancano tutte le condizioni richieste, a partire da quella fondamentale, cioè: per Sandro e la
sua famiglia non c'è la situazione di estrema necessità. La reale situazione è, piuttosto, quella di una
futura perdita dell'attuale posto di lavoro, quindi la prospettiva della disoccupazione. Una situazione
che in un Paese non arretrato, sia pure con qualche difficoltà nell'economia, non significa pericolo
di morire per fame. Lo Stato moderno prevede forme di sussidio, e non mancano ulteriori aiuti da
parte di associazioni di volontariato. Si profila dunque una situazione di povertà;
- anche dato e non concesso che sussista la condizione fondamentale, mancano altre
condizioni, anch'esse indispensabili. Precisamente: l'impossibilità di risolvere la situazione per altre
vie deve risultare da un' accurata ricerca in tal senso. (Sandro doveva perciò, per esempio: a. cercare
un posto in altri ospedali e case di cura private; b. stessa cosa presso medici liberi professionisti; c.
dare la sua disponibilità a Centri e Istituzioni che curano pazienti a domicilio, anziani, eccetera; d.
mettersi in proprio per iniezioni e cure a domicilio; e così via); inoltre, l'entità di quanto si è
appropriato è enormemente superiore a quanto necessario. Basterebbe per vivere di rendita per tutta
la vita.
Una conferma indiretta della illiceità del modo di agire di Sandro: se esso fosse onesto, porterebbe a
un vero sovvertimento sociale. Si pensi ai milioni di disoccupati nei vari Paesi europei.
In conclusione: sul piano oggettivo, Sandro ha commesso molti mrti e certamente gravi.
2) Sul piano della responsabilità soggettiva.
Risulta che Sandro è sempre stato una persona onesta e di buon cuore; ha anche curato la sua
formazione cristiana seguendo Corsi di catechesi. Davanti alle scelte fatte in una situazione nuova e
sconcertante, l'ipotesi fondata è che l'improvvisa prospettiva fosca sull'avvenire, per sé e per la sua
famiglia, sia stata il fattore scatenante di una seria alterazione psichica, fino allora latente, con una
vera predisposizione venuta ora allo scoperto. Sandro è stato preso da un vero e proprio panico, cioè
una paura sconvolgente che gli ha fatto percepire enormemente ingrandita ai suoi occhi sia la futura
situazione, sia la sua ineluttabilità. Ha quindi agito, come è tipico di ogni panico, sotto la pressione
di spinte interiori incontrollabili. Per chiarire tale situazione può essere utile un esempio: quando in
una sala di cinema scoppia un incendio, si determina un fuggi fuggi generale che porta a calpestare
chi cade. Si hanno così più vittime per la calca che per le fiamme, quando bastava un po' più di
calma per consentire a tutti di uscire sani e salvi.
Ne è conferma il fatto di non aver neppure pensato alla possibilità di altre vie di soluzione, il non
calcolare la misura nell'appropriarsi di beni altrui, il non sentire rimorsi finché non viene
incriminato e arrestato.
In conclusione: è fondato l'orientamento per una valutazione di non colpevolezza soggettiva.
dato che non può ritenersi responsabile delle sue scelte.
4. Altri problemi morali.
La valutazione morale del comportamento e del ragionamento di Don Mario.
La dottrina da richiamare è la stessa già segnalata per Sandro e, inoltre, quanto riguarda la coscienza
come norma prossima di moralità. E tale solo la coscienza rettamente formata, cioè quella che si
forma sulla base di una sincera ricerca della verità morale. Si veda in proposito un testo di Teologia
Morale fondamentale, oppure monografie sulla coscienza morale.
Quanto si è detto per Sandro, vale anche per Don Mario circa l'appello al principio derivante
dall'universale destinazione dei beni. E grave, però, che egli non abbia fatto un riferimento più
attento e più serio al principio e alle condizioni per la sua lecita applicazione. Sbaglia pure nel
qualificare la coscienza di Sandro come «retta e veritiera». E per Don Mario non ci sono scusanti
(panico, emozioni sconvolgenti), anzi c'è l'aggravante di una conoscenza della dottrina morale ben
più ampia di quella di Sandro, e la sua responsabilità di «maestro in Israele». Si possono addurre
come attenuanti la com-passione per le angosce di Sandro e il desiderio di tranquillizzarlo, da cui si
è lasciato prendere la mano.
In definitiva: è oggettivamente gl'ave l'errore di confermare Sandro nella convinzione errata della
bontà morale delle sue scelte; la colpevolezza soggettiva è probabilmente seria. Salvo ad addebitare
l'errore alla inesperienza (è appena stato ordinato) e a una compassione non criticamente
controllata.

5. Problemi di tipo pastorale. La prova per Sandro è durissima. Perciò gli devono essere assicurati
sostegno e conforto. Altrettanto va fatto per la sua famiglia. Tanto più che non si può ignorare la
prospettiva di un futuro processo, con condanna per furti e conseguente obbligo di restituire tutto.

CASO 3 Cooperazione materiale in attività disoneste & causa di scandalo

Giuseppe è il maggiore di quattro fratelli in una famiglia povera, le cui condizioni sono diventate
disperate da quando è morto il padre che, col suo modesto lavoro, riusciva ad assicurare il
necessario alla moglie Gianna e ai figli. La buia situazione della famiglia si rischiara quando, dopo
tante vane ricerche di un lavoro, Giuseppe viene assunto come apprendista in una tipografia.
Intelligente e volenteroso, Giuseppe diventa ben presto un operaio abile e apprezzato. Il padrone
della tipografia lo passa tra i dipendenti stabili dell'azienda. Una vera fortuna per lui e per i suoi,
vista la dilagante disoccupazione specialmente giovanile.
Dopo qualche anno il padrone, vedendo che altre tipografie fanno affari d'oro stampando materiale
pornografico, decide di far posto a questa redditizia attività. Giuseppe si trova così a dover anche lui
lavorare per la stampa di riviste illustrate, poster, cartoline, calendari osceni. Educato sanamente da
una madre onesta e di fede, Giuseppe rimane sconvolto da quello che gli cade inevitabilmente
sott'occhio. Dopo un primo periodo in cui aveva la prevalenza un senso di disgusto, comincia a
cedere ogni tanto alla curiosità, fino a portarsi a casa, per poterli guardare con comodo, l'una o
l'altra delle pubblicazioni che gli passano tra le mani.
Facendo un giorno pulizia in casa più accuratamente del solito, la madre Gianna scopre nella
camera del figlio quello che mai avrebbe immaginato di trovarci. Scopre anche che tutto risultava
stampato nella tipografia in cui lavora Giuseppe. Profondamente angosciata, corre dall'amica
Lorena, che è stata insegnante di Giuseppe negli anni in cui egli frequentava la scuola media, ed è
anche catechista in parrocchia, le mostra quello che ha trovato e chiede che cosa fare.
Lorena condivide la preoccupazione di Gianna per il pericolo in cui viene a trovarsi Giuseppe di
guastarsi moralmente rimanendo in quella tipografia; inoltre fa riflettere Gianna su un altro a-spetto
grave della situazione, cioè che, così facendo, Giuseppe diventa complice e corresponsabile dei
danni morali incalcolabili che quella stampa produce in innumerevoli persone.
Le due donne, alla fine, concludono che Giuseppe ha il dovere di lasciare quel lavoro, anzitutto per
sottrarsi a un pericolo grave di rovina morale sua personale e, poi, per non essere complice del tanto
male che la pornografia diffonde nelle persone, nelle famiglie e nella società intera. Disonesto il
mestiere, non può che essere disonesto anche il guadagno che se ne ricava.

Risposta Tercer caso

1. Problema centrale.
Quale valutazione dare della soluzione che le due donne adottano rispetto alla situazione di
Giuseppe.

2. Dottrina da richiamare.
Tre sono i punti dottrinali indispensabili per una corretta soluzione del problema:
1) Concetto, distinzioni e criteri morali circa il pericolo di peccato grave. Sintetizziamo qui
l'essenziale di quanto offrono i manuali o i trattati dì Teologia Morale fondamentale, e usando come
sinonimi i termini di «pericolo» e di «occasione». Tale si definisce una situazione che spinge e
favorisce una scelta gravemente peccaminosa. Si distingue in pericolo «prossimo» e «remoto»:
prossima è l'occasione che per la maggioranza delle persone, oppure per l'esperienza personale già
fatta, riesce a indurre in peccato; remota è invece quella opposta. Altra distinzione è tra occasione
«necessaria» e «libera», a seconda che la persona ha o no motivi seri per restarci, o deve superare
gravi difficoltà per evitarla, oppure può liberarsene solo che lo voglia.
I criteri morali principali sono riducibili ai seguenti, che riguardano solo l'occasione prossima, dato
che quelle remote sono praticamente inevitabili nella vita umana.
- È gravemente obbligatoria la scelta di evitare ogni occasione prossima e libera; tale scelta fa
parte di un pentimento sincero del peccato, come ricorda anche la formula, suggerita nel
Catechismo, dell'atto di dolore nel sacramento della Penitenza: «Propongo di fuggire le occasioni
prossime di peccato». Esporsi senza serio motivo a pericolo grave di peccare mortalmente è già un
peccato; implica, infatti, il disprezzo del tesoro dello stato di grazia.
- Restare in un'occasione prossima, necessaria, esige anzitutto un serio e costante impegno di
renderla remota. E ciò con vari mezzi: eliminando circostanze che facilitano la caduta in peccato,
intensificando la preghiera e la frequenza dei sacramenti, rafforzando la volontà attraverso
l'esercizio abituale di piccole mortificazioni.
-Non realizzandosi tale obiettivo, si impone il dovere di evitare l'occasione, costi quello che costi.
Basterà ricordare le parole del Signore: «Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo
via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato
nella Geenna del fuoco» (Mt 18, 9).
2) Princìpi morali chea la varie forme di cooperazione al male. La cooperazione può essere:
materiale o formale, remota o prossima, necessaria (forzata) o volontaria (libera). Nessun problema
circa la cooperazione formale, quella, cioè, in cui chi coopera condivide l'obiettivo da raggiungere,
quindi è pura e semplice complicità. Altrettanto si può dire della cooperazione materiale prossima e
volontaria, tanto è evidente l'obbligo di porvi fine. Qualche criterio, invece, ci vuole per quanto
riguarda la cooperazione materiale prossima e necessaria. Si tratta, cioè, di una cooperazione che si
limita esclusivamente a partecipare all'esecuzione dell'atto esterno, con sincero dissenso interno
dall'obiettivo perseguito dall'agente principale; forzata, o necessaria, in due sensi: dettata da
situazioni di necessità di chi collabora, oppure indispensabile per l'atto in questione.
Prestare una tale cooperazione è lecito a condizione che ci siano ragioni proporzionatamente gravi,
cioè, tanto più gravi, quanto più è grave il male a cui si coopera e quanto più prossima è la
cooperazione.
3) Circa la pornografìa, nella valutazione morale, si dovrà distinguere tra produzione, diffusione,
uso, ma per la cooperazione alla produzione, è importante mettere in evidenza la gravità dei danni
che provoca la pornografia. Un'esposizione particolarmente attenta e autorevole si ha nel
documento del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali: Pornografia e violenza nei mezzi
di comunicazione sociale: una risposta pastorale (7 maggio 1989). Ecco in sintesi gli aspetti
negativi del fenomeno: offesa grave alla dignità della persona umana; degradazione della sessualità;
pervertimento delle relazioni umane, fino a diffondere un atteggiamento di disprezzo specialmente
della donna e dei fanciulli; incitamento a gravi disordini sessuali; graduale soffocamento del senso
morale; contributo alla corruzione morale della famiglia e della società. Altro documento utile è
quello del Pontifìcio Consiglio per la Famiglia in cui si riportano le conclusioni della Conferenza
Internazionale, svoltasi a Bangkok (Thailandia) dal 9 all'Il settembre 1992 sul tema: Lo
sfruttamento sessuale dei bambini attraverso la prostituzione e la pornografia.

3. Soluzione del problema centrale.


1) Giuseppe si trova in occasione prossima e necessaria di peccato grave, e con danni gravi per lui
stesso sul piano morale e spirituale. Come primo passo dovrà mettere in atto un serio impegno per
farla diventare remota, ponendo fine a ogni consumo personale di materiale pornografico. In caso di
mancato conseguimento di tale obiettivo, si dovrà accertare l'entità elTettiva dei danni che subisce e
delle cause soggiacenti: forse è vittima di semplice curiosità, perché è mancata una vera educazione
alla sessualità; oppure si tratta di danni più seri, riscontrabili in gravi cambiamenti nella sua vita, nel
suo modo di pensare e di valutare comportamenti sessuali. In caso di vera gravità dei danni, in
assenza di alternative, si imporrà l'esigenza di anteporre la sua sanità morale anche al posto di
lavoro. Ma un'alternativa sembra esserci e va tentata: dato che Giuseppe è un operaop apprezzato,
può chiedere al padrone di dargli lavoro in qualunque altro àmbito, ma non in quello delle
pubblicazioni pornografiche;
2) stessa cosa per quanto riguarda la cooperazione al male. Per questi due punti bisognerà
ricorrere a qualcuno dei manuali classici di Teologia Morale, anteriori, cioè, alle direttive date dal
Vaticano II circa il rinnovamento dell'impostazione della teologia morale;
3) valutazione morale della produzione e del consumo di materiale pornografico. Su questo
punto, un'esposizione ampia e organica si trova in un documento del Pontificio Consiglio per la
Famiglia: Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale (7 maggio
1989). Interessano specialmente i §§ 9-18. Una sintesi concisa di elementi, nel Catechismo della
Chiesa Cattolica n. 2354. Risulterà particolarmente rilevante il dato che la pornografia costituisce
una forma di scandalo (nel senso proprio del termine, cioè qualcosa che fa da inciampo nel
cammino morale) per i singoli, per la famiglia, per la società, in un àmbito tra i più importanti e
ricchi di valori morali, qual è quello della sessualità.

4. La soluzione della madre e dell 'amica.


La soluzione data dalle due donne al problema, appare già a prima vista troppo frettolosa e
semplicistica, sotto la pressione di sentimenti e preoccupazioni non ben controllate.
Per giungere a questa conclusione è necessario applicare alla situazione di Giuseppe quanto esposto
come dottrina morale circa l'occasione di peccato e circa la sua cooperazione alla produzione di
materiale pornografico. Si giungerà così alla conclusione che a Giuseppe si impone l'esigenza di
lasciare quel posto di lavoro, solo se dopo i vari passi da compiere secondo i criteri che sono stati
esposti nel punto precedente, risulti che il pericolo di peccato grave resta prossimo e che la
cooperazione si va configurando sempre più come formale.
In sintesi: se il problema fosse solo quello della cooperazione al male, Giuseppe potrebbe
continuare a lavorare nella tipografia, dato che si verificano tutte le condizioni richieste per la liceità
di tale scelta; le cose cambiano per il fatto che quel posto di lavoro sta diventando per lui un serio
pericolo di peccato e, a lungo andare, di guasti nella sua salute morale.
4. Altri problemi sia dottrinali sia pastorali.
1) valutazione motivata delle scelte del datore di lavoro;
2) come assicurare un'educazione integrale, che comprenda anche una valida educazione
sessuale, in una persona adulta in cui essa è stata carente;
3) come assicurare, inoltre, un'educazione cristiana tale da portare a un'adesione convinta a una
scala di valori in cui al primo posto stia realmente Dio e la fedeltà al suo amore, anche a costo di
sacrifici. ?
Per i problemi 2) e 3), come accade per ogni problema pastorale, non si può dare una soluzione
generalizzabile, ma solo caso per caso, sulla base di una seria conoscenza di tutte le circostanze,
compresa quella della personalità dei soggetti in questione e delle loro capacità.
Per il problema 1), invece, che è prevalentemente dottrinale, si delinea agevolmente la soluzione
sottolineando il dato che il datore di lavoro mostra di aver assorbito il criterio dell'assolutizzazione
del profitto, e questo quanto più elevato possibile. Criterio lapidariamente espresso dalla formula:
«gli affari sono affari» e la morale non c'entra. La pornografia, come si è visto, è un male di tanta
gravità, che la sua produzione non può mai diventare mezzo onesto di guadagno per nessuno.

CASO 4 Una situazione resa improvvisamente probleniatica nell'imminenza delle nozze

Gianni e Rosy sono due giovani venticinquenni, fidanzati da oltre cinque anni. Sono ambedue
«bravi ragazzi» e di famiglie ottime e benestanti. Stanno per laurearsi, e Gianni è già stato richiesto,
vista la media superlativa degli esami nei vari anni di università, da una grande industria
multinazionale della chimica, che gli assicura un invidiabile posto di lavoro ben retribuito. Inoltre i
genitori di entrambi hanno provveduto a preparare per loro una bella villetta, che sarà la loro casa. È
già stata fissata la data della celebrazione del loro matrimonio e i due fidanzati stanno seguendo il
corso di preparazione al matrimonio in parrocchia.
Gianni, tra l'altro, non ha mai rinunciato all'amicizia con alcuni compagni di università, nonostante
il fatto che questi non condividano le sue scelte di fede, e non rifuggono da comportamenti tutt'altro
che onesti.
Avvicinandosi la data della discussione della tesi e conseguimento della laurea, questi amici fanno a
Gianni la proposta di andare quel giorno a festeggiarla in una rinomata cittadina balneare, a loro
spese purché Gianni stia al programma che essi predisporranno. Gianni consegue la laurea a pieni
voti e con la pubblicazione della tesi a spese dell'università. Al colmo dell'euforia, la sera stessa
parte con gli amici per la località stabilita. In un ristorante di lusso gli amici pagano una cena
eccellente con vini squisiti, e, a forza di brìndisi ripetuti, riescono a far bere anche a Gianni un
numero eccessivo di bicchieri di vino, fino a essere un po' brillo. In queste condizioni il gruppo si
porta in una discoteca, dove gli amici di Gianni sanno bene che nelle bevande che si ordinano c'è
sempre l'aggiunta di qualche droga sessualmente eccitante.
Dopo la mezzanotte gli amici decidono di andare a dormire in un hotel e, partendo, prendono in
auto anche una ragazza. A quale scopo, però, Gianni lo capisce solo quando, ormai sistemati tutti
nella stesa camera, con loro c'è anche la ragazza. Quasi istintivamente Gianni reagisce, fino a
minacciare di andarsene. Ma dati lo stato di stordimento, la stanchezza e gli effetti del vino e delle
droghe, finisce per cedere alle insistenze degli amici e accettare la situazione. Dopo qualche
esitazione finisce anche per partecipare all'orgia sessuale di gruppo.
In capo a qualche ora, uno dopo l'altro, cadono tutti in un sonno profondo. Svegliandosi col sole già
alto, notano con sorpresa che la ragazza è sparita. Come prima cosa verificano se i loro portafogli
sono ancora al loro posto. Si sono appena tranquillizzati su questo, quando uno del gruppo scopre,
appeso alla porta, un cartello che prima non c'era, con scritto a mano: «Benvenuti nel regno
dell'Aids!!!». Scoprono così, terrorizzati, che quella ragazza sconosciuta era sieropositiva.
Ma il più sconvolto di tutti è Gianni. Nella sua mente si affolla tutto un groviglio di paure e di
interrogativi senza risposta, oltre alla paura del contagio: nascondere la cosa a Rosy? Confessarle
tutto? Ma con quali conseguenze? Sposarla nascondendo tutto? Fai' saltare il matrimonio? Ma come
giustificare una simile decisione ai genitori suoi e di Rosy? Che fare? Nei momenti di maggior
angustia gli balena persino l'idea di suicidarsi in un qualche finto incidente di auto.
In questo stato d'animo, Gianni si presenta a chiede consiglio al confessore.
CASO 5 Aborto volontario in una gravidanza dopo stupro

Loredana, studentessa di quindici anni, è stata abituata a uno stile di vita spensieratamente allegra.
La settimana ruota attorno al week-end, con le notti in discoteca fino alle ore piccole. A questo
l'hanno spinta e incoraggiata i suoi stessi genitori, Sandro e Wilma, nella convinzione che a quell'età
si ha il diritto di divertirsi e che la discoteca è il luogo in cui una ragazza può conoscere molti
ragazzi, e trovare il suo futuro sposo, come è accaduto anche a loro stessi. Ci sono pure due ragazzi,
più grandi, di una famiglia vicina, che vengono a prenderla e poi la riaccompagnano a casa in auto.
Ma una sera, appena giunti in discoteca, una telefonata della sorella dei due ragazzi li fa ripartire in
tutta fretta per accorrere in ospedale, dove la mamma è stata portata in seguito a un malore
improvviso e versa in serio pericolo di morte. Alla chiusura della discoteca, Loredana accetta
riconoscente l'invito di altri ragazzi sconosciuti, che si offrono di riportarla a casa con la loro
macchina. Dopo i primi scambi di cortesie e di gentilezze, i ragazzi gettano la maschera e
manifestano le loro vere intenzioni. Loredana si rifiuta, ma nulla può contro di loro, né non la forza,
né piangendo e implorando pietà.
Ma dopo un paio di mesi, non vedendo comparire il flusso mestruale, e non sapendo che quello
poteva essere segno di una gravidanza iniziata, chiede alla mamma di accompagnarla dal medico
per trovare un rimedio a quella disfunzione. Il medico non tarda a capire di che cosa si tratta e lo
comunica alle due donne, lontano dal sospettare quanto era accaduto. Loredana scoppia in pianto e,
davanti alla madre esterrefatta, narra la brutta avventura subita. Il medico cerca di tranquillizzarla,
dicendo che la cosa è facilmente rimediabile nel giro di pochi giorni e con poca spesa richiedendo
l'interruzione della gravidanza. Loredana però, che nonostante le apparenze è una ragazza di buon
cuore, si ribella all'idea di abortire. E mantiene lo stesso atteggiamento anche quando, tornata a
casa, al consiglio del medico si aggiungono le insistenze del babbo e della mamma.
Dopo ripetuti e inutili tentativi, il babbo si rivolge a un amico, Walter, suo collega di lavoro. Questi,
durante i molti anni passati in Germania, aveva frequentato una scuola di teologia, fino a essere
ordinato diacono permanente. Sandro lo aveva trovato più volte assertore convinto di tesi divergenti
da quello che di solito sentiva essere la dottrina della Chiesa, specialmente su problemi di morale
sessuale e matrimoniale. Verso di lui, anche Loredana nutriva stima e fiducia. Walter acconsente
volentieri a parlare con Loredana. Avuta da lei una descrizione completa del fatto, le dice che è
evidente che non ha nessuna colpa in tutto quello che è accaduto; perciò è assurdo che ella debba
pagare sulla sua pelle le conseguenze di peccati altrui, e con prezzi altissimi per tutta la vita. Già per
questo, dice Walter, è chiaro che Loredana ha tutto il diritto di sottrarsi a tale peso ingiusto,
abortendo. Aggiunge che teologi di fama, suoi professori in Germania, sostengono che una
gravidanza a seguito di stupro, è pienamente lecito interromperla, nell'interesse sia della donna sia
del figlio che, nascendo, sarebbe destinato a portare anche lui per tutta la vita il marchio di essere
figlio di sconosciuti delinquenti, nonché frutto non di un atto di amore, ma di una vergognosa
cattiveria contro colei che gli sarebbe mamma.
Persuasa da queste ragioni, Loredana chiede e ottiene di abortire.
Qualche anno dopo, Loredana si fidanza con un ottimo ragazzo. Avvicinandosi la data delle nozze, i
due partecipano al Corso per fidanzati organizzato in parrocchia. In una discussione suscitata da
un'altra coppia di fidanzati, Loredana è colpita dall'affermazione che l'aborto è sempre e comunque
gravemente illecito, anche quando la gravidanza fosse conseguenza di uno stupro. Viene anche a
scoprire che chi ha abortito incorre nella scomunica, la quale può essere assolta solo dal vescovo o
da un sacerdote autorizzato dal vescovo. Loredana rimane sconvolta, ma non sa decidersi ad andare
a confessarsi; la vergogna è più forte di lei. Lo fa solo alla vigilia della celebrazione del
matrimonio, rivolgendosi a un sacerdote sconosciuto di passaggio.

CASO 6 Un 'assoluzione sacramentale problematica da valutare

Rosaria è una donna sulla quarantina, di buona formazione cattolica. Un bel giorno, però, il marito
l'abbandona per andare con un'altra donna e le lascia anche due figli molto piccoli. La
preoccupazione maggiore di Rosaria è come riuscire a dare ai figli una valida educazione, in
assenza della figura paterna e con seri problemi anche economici.
Chiede perciò aiuto a Mario, da anni amico di famiglia, sposato e padre anche lui di due bimbi, con
una situazione economica più che buona. Da lui ottiene sia aiuti finanziari sia una presenza
affettuosa per i suoi figli. Ben presto, però, Mario comincia ad avanzare pretese di prestazioni
sessuali. Davanti al rifiuto di Rosaria, egli fa capire che solo a questa condizione è disposto a
continuare a darle il proprio aiuto. Rosaria allora, sia pure a malincuore, finisce per acconsentire.
In occasione della Pasqua la donna si presenta per la confessione a Don Remo. Il confessore fa
presente a Rosaria che deve assolutamente troncare quella relazione, se vuole mettersi a posto con
Dio. La donna è convinta anch'essa che il suo comportamento è gravemente peccaminoso. Ma, alla
richiesta "di Don Remo, risponde in termini vaghi ed evasivi. Non essendoci molto tempo a
disposizione, data la fila di penitenti in attesa, Don Remo chiede a Rosaria se almeno promette al
Signore di non peccare più. La risposta è affermativa. Inoltre, su invito del confessore, la donna
promette di recitare ogni giorno preghiere particolari alla Madonna.
Don Remo, allora, ritiene assicurate le necessarie disposizioni e dà l'assoluzione a Rosaria.
CASO 7
Un caso controverso di omosessualità

Renzo, ragazzo serio e credente, giunto all'adolescenza scopre con preoccupazione che
sessualmente non si sente attratto da nessuna ragazza, mentre sperimenta una strana attrattiva ora
per l'uno ora per l'altro dei suoi compagni, e anche per altri ragazzi che incontra occasionalmente.
Don Vito, a cui Renzo si confida, gli dice di non preoccuparsi, perché è normale che
nell'adolescenza affiori una certa omosessualità, come fase transitoria verso l'orientamento
eterosessuale.
Ma, col passare del tempo, la tendenza omosessuale in Renzo si fa sempre più forte, fino a essere
percepita come incontrollabile. Chiamato a fare il servizio militare, Renzo incontra presto altri
coetanei che sperimentano la stessa situazione, ma che tranquillamente seguono la loro tendenza in
ogni occasione che si presenta. Renzo finisce per fare anche lui altrettanto, ma con crescente
inquietudine e avvilimento. In capo a qualche anno si ritrova schiavo di una tendenza che lo
travolge in ogni occasione, anche quando cerca sinceramente di resistere. Si fa perciò insopportabile
l'angoscia che l'opprime, al punto che ogni tanto si affaccia in lui l'idea di farla finita suicidandosi.
In questo stato d'animo, in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes, gli capita di avere come
compagno di stanza un noto psicologo. Renzo ne approfitta per esporgli il suo caso e chiedere aiuto.
Lo psicologo dice a Renzo che può stare tranquillo in coscienza, perché i suoi comportamenti
sessuali non sono da lui liberamente voluti e, quindi, il peccato non c'entra.
Per qualche tempo Renzo vive tranquillo, ma la calma dura poco. Di nuovo tormentato da rimorsi,
viene a chiedere aiuto e consiglio a un sacerdote che ha fama di essere un bravo confessore e
direttore spirituale.
CASO 8
Idoneità al presbiterato & al celibato
CASO 9
Ricorsi ai contraccettivi nella vita coniugale

Don Ilario, diacono in attesa di essere ordinato presbitero, svolge il suo ministero in aiuto a Don
Mario, parroco di una grande parrocchia di città. Venuta a mancare la vecchia domestica, viene ad
abitare nella casa canonica una giovane nipote del parroco per i necessari servizi. Lucia (questo è il
suo nome) non tarda a manifestare un'intensa simpatia per il giovane diacono che, a sua volta, prova
la stessa attrattiva per la ragazza.
Gradualmente nasce tra i due un vero e proprio vicendevole innamoramento. Da gesti di semplice
familiarità, i due passano a scambiarsi affettuosità sempre più spinte. Don Ilario, consapevole del
pericolo che corre, cerca di reagire, ma si trova sempre da capo nel cedere e nello spingersi sempre
più avanti in intimità ogni volta più gravi.
Viene a confessarsi e chiede consiglio.
Giovanna, di trentasette anni di età, sposata e con cinque figli, da dieci anni si accosta molto
raramente alla comunione, perché non se ne sente degna. Il suo profilo psicologico è quello di una
personalità molto ansiosa, preda di interminabili incertezze davanti a decisioni da prendere e alla
valutazione morale del suo comportamento.
Una delle principali ragioni della sua ansietà nei confronti della comunione è la paura di aver
commesso, e di commettere tuttora, frequenti peccati mortali nella sua vita coniugale. Si trova,
infatti, in una situazione molto difficile, nel senso che suo marito è spesso, da alcuni anni, ubriaco,
ed essa usa contraccettivi per evitare una nuova maternità, in considerazione sia del già eccessivo
impegno economico per il mantenimento di cinque figli, sia nel timore che un figlio concepito in
quelle condizioni possa essere facilmente portatore di gravi deficienze anche psichiche.
In occasione della prima comunione di uno dei suoi figli va a confessarsi, ma col timore di fare una
confessione sacrilega, priva come si sente di una delle disposizioni necessarie per una valida
confessione, cioè l'impegno sincero e fermo di non commettere più il peccato costituito dall'uso di
contraccettivi.
CASO 10 L'accesso ai sacramenti di coppie irregolari & dei loro figli

Mario, un giovane di ottima famiglia e cristiano convinto, all'età di diciannove anni, dopo tre anni
di fidanzamento, sposa Maria, sua coetanea, conosciuta negli ambienti di Azione Cattolica, in cui
ambedue sono seriamente impegnati. Ma dopo qualche mese i due si separano, dichiarando
impossibile la loro convivenza coniugale.
Passati alcuni anni Mario, che ha continuato a vivere onestamente, si innamora di Francesca, che
lavora con lui in una banca. Mario non le nasconde la propria condizione di separato, ma Francesca
si dichiara ugualmente desiderosa di sposarlo. Data l'impossibilità di celebrare il matrimonio
religiosamente, i due decidono, a malincuore, di unirsi in matrimonio solo civilmente.
Sul finire del primo anno della loro unione, nascono due gemelli. I genitori chiedono al parroco di
battezzarli, ma Don Angelo si rifiuta perché ritiene che una coppia irregolare non può assicurare
l'educazione cristiana dei figli, condizione indispensabile per amministrare il battesimo a bambini.

I due si rivolgono allora a un altro sacerdote, amico di Mario, Don Sergio, il quale dichiara indebito
il modo di procedere di Don Angelo e, assicuratosi anche della fede cristiana e dell'onestà di vita
dei padrini, decide di amministrare il battesimo ai due gemelli.
Vista la larghezza di vedute di Don Sergio, Mario e Francesca gli chiedono se nell'occasione non
possano anche loro partecipare più pienamente a quell'evento di grazia, accostandosi alla
comunione. Don Sergio, considerata la sincerità del loro desiderio, e tenuto conto del fatto che il
battesimo verrà amministrato in un luogo dove la situazione della coppia è sconosciuta, acconsente
ad ammetterli all'Eucaristia. Si induce a ciò pensando che questo può costituire un primo passo
verso una futura piena conversione dei due, mentre un rifiuto potrebbe farli allontanare dalla Chiesa
e dalla stessa fede.
Ragioni di lavoro fanno poi trasferire la famiglia in una città lontana. Quando i due gemelli
giungono all'età che consente loro di fare la prima comunione, vengono iscritti al catechismo di
preparazione. Nell'iniminenza della celebrazione il parroco, Don Giulio, chiede a Mario e Francesca
un documento che certifichi il loro matrimonio. Viene così a scoprire che i due sono uniti solo
civilmente. Don Giulio, allora, dice ai due che non ha nessuna difficoltà ad ammettere i figli alla
prima comunione, ma, pur con tatto e garbo, aggiunge che i genitori non potranno accostarsi
all'Eucaristia.
Questo diniego provoca la reazione sdegnata di Mario e Francesca. Essi sono convinti di ricevere in
tal modo un affronto ingiusto, perché se era stato loro consentito di accostarsi all'Eucaristia in
occasione del battesimo, ben più doveva esserlo ora, visto che c'erano maggiori ragioni per questo,
cioè: evitare lo scandalo nei figli, ormai in grado di capire, ed evitare una grave diffamazione
davanti alla gente, dato che tutti gli altri genitori dei comunicandi si sarebbero accostati alla
comunione; l'astensione dal sacramento, infatti, avrebbe finito per rendere pubblica la loro
situazione irregolare, fino allora rimasta sconosciuta.
Ma Don Giulio si mostra irremovibile, anche se sinceramente rattristato.
CASO 11 Un 'asserita giustificazione dell'aborto in situazioni particolari

Ines, una ragazza di sedici anni, è fidanzata da due anni con Mirko, di diciassette anni. Sono due
studenti, bravi ragazzi, che frequentano la chiesa, fanno parte di un gruppo giovanile parrocchiale e
della schola dei cantori.
Da qualche tempo i due ragazzi hanno cominciato ad avere rapporti sessuali. Un ritardo delle
mestruazioni mette in ansia Ines, nel timore di essere incinta. Il ritardo si prolunga e quindi Ines ha
la certezza dell'inizio di una gravidanza. Si confida con un'amica più grande. Questa le consiglia di
abortire, dato che la legge Io consente e non ha da chiedere nulla ai genitori. Può dunque farla
franca e senza alcuna conseguenza. Diversamente, portare avanti la gravidanza aprirebbe la via a
tutta una serie di conseguenze una più grave dell'altra.
Ines è abbastanza persuasa, ma le restano perplessità di coscienza. Ne parla con Mirko. E questi la
incoraggia a seguire i consigli dell'amica. Davanti alle resistenze di Ines egli minaccia di lasciarla,
se non si decide ad abortire e subito, prima che la gravidanza appaia evidente a tutti, a cominciare
dai genitori.
Pur sconvolta dalla prospettiva di ritrovarsi tra pochi mesi ragazza madre a sedici-diciassette anni,
Ines non riesce a tacitare la coscienza davanti alla prospettiva di abortire. Decide allora di rivolgersi
a un giovane sacerdote, Don Carlo. Questi suggerisce a Ines di aprirsi con i genitori. Ma Ines sa che
forse la mamma capirebbe, ma il babbo, un uomo all'antica, religioso sì ma severo, sarebbe capace
di cacciarla via di casa.
Don Carlo, dopo aver proposto altre ipotesi, tutte respinte, conclude che le conseguenze a cui
andrebbe incontro Ines, non abortendo, sono tali da renderle impossibile farvi fronte senza
impazzire; perciò Ines si trova innanzi un'esigenza etica per lei impossibile da rispettare. Ed è
dottrina certa che ad impossibìlia nemo tenetur. Ines, perciò, si trova costretta ad abortire. Per lei
(dice Don Carlo) abortire non è una scelta e, se è costretta a farlo, l'aborto non costituisce un atto
volontario. Manca, quindi, una delle condizioni indispensabili perché un atto sia imputabile
moralmente al soggetto che lo compie. E dunque Ines, abortendo, non commette peccato.
Tranquillizzata così in coscienza, Ines abortisce.
CASO 12 Rifiuto di terapie in presenza di patologie gravi con prognosi infausta

Andrea, giovane di solida formazione cristiana, laureato da poco in medicina presso una Università
cattolica, si è sposato da due anni e ha un figlio di uno. Avvertendo vari sintomi che lo
insospettiscono, si sottopone a esami clinici. Ne risulta la diagnosi di cancro all'intestino. Dalla
biopsia e da ulteriori accertamenti risultano pure metastasi iniziali in altri organi, tra i quali il fegato
e i polmoni. Inoltre il cancro si conferma a rapido sviluppo e ad alto grado di malignità.
Dopo attenta riflessione e preghiera, Andrea decide di rifiutare sia ogni intervento chirurgico sia la
chemioterapia; per il futuro dice di voler sottoporsi solo a terapie del dolore (se sarà necessario) e
alle cure normali. Egli giustifica così le sue scelte: nell'Università cattolica in cui ha studiato, c'era
anche un Corso pluriennale di etica e di bioetica, e Andrea confronta alcuni insegnamenti là ricevuti
con la sua pur breve esperienza di studente e di medico. L'esperienza gli consente di dire che i casi
come il suo, da lui visti, hanno avuto esito letale in tempi brevi, nonostante interventi chirurgici e
chemioterapie che hanno solo reso enormementcpiù doloroso tutto il cammino, ottenendo soltanto
qualche mese in più di una vita carica di ulteriori sofferenze e angosciata.
Altro insegnamento appreso nello studio di etica è che non si è obbligati a sottoporsi a cure
straordinarie, o sproporzionate. E tali egli ritiene le cure in questione. Perciò si ritiene autorizzato in
coscienza a rifiutarle.
Pressato però da affettuose insistenze della moglie, delle sorelle, dei genitori e degli amici,
comincia ad avere qualche dubbio sulla liceità delle sue decisioni. Si rivolge perciò a un sacerdote,
Don Luigi, per essere aiutato a vedere più chiaro nella sua situazione.
CASO 13 Una vicenda affettiva complessa con tentato aborto & infanticidio
Margherita è una ragazza di vent'anni, innamorata di Giorgio, un giovane di venticinque anni. Dopo
qualche tempo Giorgio è colpito, a causa di una malattia, dalla cecità, ed è costretto ad abbandonare
la sua attività lavorativa. Margherita, davanti alfa nuova situazione, decide di porre fine alla sua
relazione con Giorgio. Non passa, però, molto tempo che la ragazza inizia un nuovo legame
sentimentale con Vittorio, un giovane di ven-totto anni.
Dopo alcuni mesi, Margherita si accorge di essere incinta e lo comunica a Vittorio, il quale reagisce
alla notizia con un silenzio cinico e sprezzante. Poco dopo Vittorio perde il suo posto di lavoro
come contabile presso una ditta, accusato di brogli finanziari, e fugge via senza dare più notizia di
sé.
Rimasta priva di ogni risorsa finanziaria e abbandonata a sé stessa, Margherita giunge a decidere di
sbarazzarsi del figlio mediante aborto. Tenta due volte di attuarlo con l'assunzione di pil-
Iole adatte allo scopo, ma senza riuscire nel suo intento. Qualche mese dopo partorisce un bambino
sano e normale, che assomiglia tutto a suo padre Vittorio, ricordandole così costantemente la triste
esperienza trascorsa e rinnovandone il dolore. Le pesa, inoltre la situazione di abbandono da parte
di tutti, senza alcun sostegno, rifiutata anche dai suoi genitori e da tutti i conoscenti. II suo bambino
gli appare, perciò, come la causa di questa malasorte e giunge ad avere per lui un rancore sempre
più vivo.
Un giorno Margherita viene a conoscenza che Giorgio, il suo primo innamorato, ha recuperato la
vista, grazie a un intervento felicemente riuscito, e che egli sta cercando di riallacciare i rapporti con
lei. Abbandonata da tutti, di fronte al difficile impegno necessario per nutrire ed educare il figlio e,
soprattutto, per poter essere libera di riallacciare la relazione con Giorgio, sopprime il bambino,
riuscendo a far credere agli altri che la sua morte è avvenuta per un incidente in casa, del tutto
imprevedibile.
Riallaccia il legame con Giorgio, ritrovando il conforto di un amore e un po' di sostegno alle sue
precarie condizioni. Dopo un certo tempo, però, viene assalita da un angosciante rimorso per quanto
ha fatto, e decide di andare a confessarsi per ritrovare un po' di pace.
CASO 14
Limiti nella possibilità di trovare spiegazione a una condotta oscillante tra scelte eroiche & scelte
disoneste

Pier Luigi, di ventotto anni, è sposato da quattro anni con Francesca, e hanno due tìgli piccoli. Lui si
è da poco laureato in medicina, e sta facendo in ospedale la sua prima esperienza di medico. Ben
presto gli viene richiesto anche di partecipare all'esecuzione di aborti, ma egli si rifiuta, adducen-do
come motivo l'inconciliabilità di una tale richiesta con la deontologia professionale che lo vuole
sempre a servizio della vita, e anche con le sue convinzioni di coscienza. Dato però che la legge, in
quello Stato, non prevede la possibilità dell'obiezione di coscienza, viene licenziato dalla Direzione
dell'ospedale, in cui lavora anche Francesca, come infermiera.
Pier Luigi si vede così costretto a cercare lavoro altrove; ma, se vuole evitare il ripetersi della stessa
situazione, non può che cercarlo in uno Stato confinante, dove la legge prevede l'obiezione di
coscienza. In conseguenza si crea una situazione critica in famiglia, dato che lui deve vivere lontano
da casa, dove può tornare, e non sempre, solo per il week-end. Ciò finisce ben presto per creare una
grande tensione nella famiglia e, a lungo andare, Pier Luigi sente affievolirsi anche l'amore per la
sua sposa. La situazione si aggrava quando in lui nasce una profonda simpatia per u-na sua
collaboratrice, Veronica, che non manca di ricambiarla. La simpatia evolve ben presto hi a-more
vicendevole e i due giungono ad avere anche rapporti sessuali.
Dopo qualche tempo, Veronica rimane incinta. Ne informa Pier Luigi e aggiunge che è intenzionata
a risolvere la situazione abortendo. Pier Luigi non oppone nessuna obiezione e la donna abortisce.
CASO 15 Aborto indotto in seguito a diagnosi prenatale di anencefalia nel feto

Antonio e Maria, sposi da oltre cinque anni, cristiani convinti e praticanti, vivono con sofferenza il
fatto di non riuscire ad avere figli. Finalmente, però, le cure per la sterilità, a cui si è sottoposta
Maria, danno un felice risultato: Maria è incinta. Al terzo mese di gravidanza, il medico suggerisce
di fare un esame ecografico per una prima verifica della situazione. Risulta così che il feto è affetto
da gravissima malformazione: è anencefalo. Il medico, Gianni, propone l'aborto. E spiega a Maria
che in elevata percentuale l'anencefalia esita in aborto spontaneo in tempi anche brevi. Nei pochi
casi in cui la gravidanza giunge a termine, il bambino muore nel giro di ore o al più, se sottoposto a
terapie intensive, entro qualche giorno. Conclude che, perciò, è del tutto irragionevole che Maria si
sottoponga alla inutile fatica di portare avanti la gravidanza, e al logoramento stressante, anche
psicologico, dell'attesa della nascita dì un figlio destinato a morire subito. Alle obiezioni dì Maria, a
cui ripugna l'idea di far uccidere il figlio, Gianni risponde che tanto quel figlio dovrà comunque
morire; si tratta solo di anticipare di poéo un evento inevitabile. Maria, incoraggiata anche dal
marito, sì lascia convincere e acconsente.
Ma, ad aborto compiuto, insorgono in lei rimorsi sempre più vivi e angoscianti, che si fanno
insopportabili quando, ascoltando alla radio una trasmissione religiosa, scopre che l'aborto non solo
è sempre e comunque un peccato gravissimo, ma anche che chi lo commette incorre nella
scomunica. Si rivolge perciò a un sacerdote amico, Don Livio, nella speranza di ritrovare un po' di
pace interiore. Altrettanto fa il marito, anche lui inquieto in coscienza per il modo in cui si è
comportato.
CASO 16
Confessione di persona vicina alla morte. Quali avvertenze per il confessore?

Marco, conseguito brillantemente il diploma di ragioniere e, successivamente, la laurea in scienze


economiche e commerciali, viene assunto come ragioniere capo in una grande fabbrica di
motociclette, divenendo presto l'uomo di fiducia del proprietario Lucio. Questi è un giovane e abile
imprenditore che, in pochi anni, è riuscito a triplicare i profitti dell'azienda, grazie anche
all'adozione di mezzi disonesti, che egli giustifica dicendo che «gli affari sono affari», e che, se uno
vuol essere sempre onesto, finisce per mandare in fallimento l'impresa.
Marco, che è di famiglia povera e onesta, rimane sconcertato quando Lucio gli confida come si
comporta. Ma, dopo qualche tempo, si decide a collaborare col padrone in tutto, attratto anche da
vistosi aumenti di stipendio, ma più ancora nel timore dì essere licenziato in caso di rifiuto.
Ogni anno la ditta evade imposte per valori molto elevati. Dopo avere, insieme ad altre imprese,
contribuito efficacemente a far fallire un'azienda concorrente, Lucio ha potuto acquistare a prezzi
fallimentari gran parte del magazzino, realizzando profitti enormrnel rivendere poi motocicli e pezzi
di ricambio a prezzi correnti.
Dopo vari anni Marco si ammala, e la diagnosi è di quelle che non lasciano speranza di vita:
leucemia a rapido decorso. La prospettiva della morte risveglia in lui la coscienza, ed è deciso a
regolare la sua situazione davanti a Dio. Chiede perciò al cappellano dell'ospedale, padre Francesco,
di confessarsi.
CASO 17 Soluzioni opposte di due confessori circa l'idoneità al presbiterato

Don Pino, da poco ordinato presbitero, iniziando a svolgere il ministero della Penitenza, riceve, tra
l'altro, la confessione di un seminarista del Seminario maggiore, Nello, che frequenta il penultimo
anno di teologia. Nello, accusando di essere caduto nel peccato della masturbazione, risponde con
sincerità alle domande del confessore. Emerge così che Nello, fin da quando era nel Seminario
minore, a partire dalla pubertà, con frequenza variabile, aveva ceduto anche una volta alla settimana
ai suoi impulsi. Passato nel Seminario maggiore, era riuscito, nel primo anno, a ridurre molto tale
frequenza. Ma, durante le vacanze estive, la situazione tornò a peggiorare, e dal suo rientro in
seminario, una o due volte al mese ricadeva nel suo peccato. Il confessore abituale, e suo direttore
spirituale, non mancò di dare a Nello esortazioni e consigli sui mezzi per superare la difficoltà. Ma,
davanti al persistere di cadute, disse chiaramente a Nello che, perdurando la situazione, non poteva
accedere all'ordinazione al diaconato, che comporta l'impegno del celibato, e ripetutamente lo
consigliò a lasciare il seminario per avviarsi poi, a suo tempo, verso un buon matrimonio. Ma Nello
non accettò questo consiglio, perché l'aspirazione al sacerdozio l'aveva sentita fin dalla fanciullezza,
e quindi era persuaso che quella era la vocazione di Dio. Dopo aver ripetutamente, ma inutilmente,
insistito nel suo consiglio, Don Pino, che aveva ancora bene in mente gli insegnamenti del
Magistero studiati a scuola, ritenne giunto il momento di dire a Nello che, se non si impegnava
seriamente a presentarsi al Rettore del seminario per dirgli che, dopo seria riflessione e con il
consiglio del confessore, aveva deciso di lasciare il seminario, non poteva dargli l'assoluzione.
Nello, però, ritenne troppo severa la condotta di Don Pino. Si rivolse perciò a un anziano sacerdote,
Don Fausto, noto per la sua bontà e larghezza di vedute; gli espose con sincerità la situazione,
pregandolo tra le lacrime di riesaminare il suo caso. Don Fausto, forte della sua esperienza, che lo
aveva reso testimone di conversioni a una vita onesta di persone senza confronti più peccatori,
davanti a un pentimento così sincero di Nello, giudicò non solo di poter dare l'assoluzione, ma
anche di consigliare al penitente di proseguire verso il sacerdozio, con la fiducia che la grazia di Dio
avrebbe fatto il resto.
CASO 18
Celebrazione comunitaria della Penitenza. Scelte contrastanti da parte di presbiteri

Neil'imminenza della Pasqua, Don Filippo, parroco di un paese di oltre 7.000 abitanti, lodevolmente
esorta i fedeli a praticare la Penitenza e, in particolare, ad accostarsi al sacramento della
Riconciliazione. Preoccupandosi anche di aiutarli a percepire la dimensione ecclesiale del peccato, e
quindi del sacramento, decide di preparare una celebrazione penitenziale comunitaria. Prevedendo
un buon afflusso di fedeli, decide anche una celebrazione comunitaria con assoluzione generale.
Egli ritiene di poter giustificare la sua scelta col motivo che è troppo difficile trovare molti sacerdoti
disponibili e, inoltre, che così tiene conto della diminuita sensibilità di molti cristiani circa l'accusa
dettagliata di peccati mortali. Pensa di incontrare la sensibilità delle persone e di non allungare
troppo il tempo delle celebrazioni. In fondo non è l'unico a fare così, ma altri confratelli sacerdoti
hanno già fatto tale scelta. Per le stesse ragioni, Don Filippo ha trasformato il confessionale della
sua chiesa (un bel mobile del '700) in un elegante albo parrocchiale, convinto altresì che, col
penitente che desidera confessarsi, è più umano attenersi alla modalità di colloquio senza schermo
di sorta, a viso aperto.
Un confratello di una parrocchia vicina, Don Pasquale, comunemente qualificato come
conservatore, piuttosto rigido e non sempre aggiornato, gli fa notare che, così facendo, viola precise
disposizioni emanate in proposito dal Magistero. Trova pure non corretta l'abolizione del
confessionale.
Si chiede quale dei due sacerdoti agisca in modo corretto. Sarà pure opportuna qualche riflessione
di carattere pastorale.

CASO 19 Scrupoli morali & confessioni

Nella speranza di trovare un po' di tranquillità, ha fatto più volte una confessione generale di tutta la
vita, ma inutilmente. Anche ora, però, esprime il desiderio di ripetere tale confessione.

Luisa, dorma molto religiosa, madre di famiglia, si accusa piangendo in confessione che dopo la
morte di un figlio, tragicamente perito in un incidente stradale, è assillata da continui dubbi di fede.
I dubbi toccano specialmente l'esistenza stessa di Dio, il suo amore per noi come figli, la
sopravvivenza dopo la morte. Essa è la prima a riconoscerli come dubbi sciocchi e inconsistenti, ma
non riesce a liberarsene. Anzi, quanto più li combatte, tanto più i dubbi si fanno insistenti.
Accusa inoltre di essere già da anni tormentata da espressioni di bestemmia, che le risuonano
dentro. E anche qui, più si sforza di respingerle, più quelle si fanno frequenti e orribili. Si
aggiungono pure idee ossessive di suicidio.
Infine accusa di aver più volte omesso di partecipare alla Messa festiva, non a quella feriale, a cui
partecipa quasi ogni giorno, perché il trovarsi in un luogo chiuso dove c'è molta gente, le procura un
senso di paura e di fastidio, indefinibile e insopportabile.

CASO 20 Un confessore «stakhanovista»

padre Giovanni risponde semplicemente che già da tempo ha maturato la convinzione che molti
penitenti, costretti a un'attesa notevole al confessionale, finiscono per stancarsi e andarsene, senza
essersi accostati al sacramento, con grave danno per le loro anime. Non intende perciò cambiare una
scelta fatta secondo coscienza.

Padre Giovanni, sacerdote appartenente a una comunità religiosa, ha ricevuto l'incarico di


confessore in un santuario mariano della città in cui abita. Non passa molto tempo che il
confessionale diventa, specialmente in occasione delle principali solennità, quello vistosamente più
preferito da parte di molti penitenti. Motivo di questo, però, non è una sua eccezionale capacità e
sapienza, ma la fama che si è presto fatta di confessore più sbrigativo di tutti. E in realtà, quando il
suo confessionale è letteralmente assediato dalla folla, egli riesce a confessare fino a trenta e più
persone nello spazio di un'ora. Ottiene questo risultato dando l'assoluzione a ogni penitente, subito
dopo che questi ha fatto l'accusa dei suoi peccati, omettendo ogni domanda e ogni esortazione.
Non mancano, naturalmente, le critiche a un tale modo di procedere da parte sia di altri confratelli,
sia di sacerdoti diocesani. Il superiore della comunità prova a fargli notare amichevolmente la cosa
e gli chiede spiegazioni di una tale scelta.

CASO 21 L'assoluzione sacramentale di un peccatore consuetudinario

Sandro, di professione camionista, quasi ogni giorno e anche più volte al giorno, si adira nei
confronti di altri guidatori che, procedendo piuttosto lentamente, lo costringono a rallentare la
propria velocità, e sfoga la rabbia con bestemmie. Anche in casa, quando qualcosa lo fa infuriare o i
figli non vogliono obbedire, è solito bestemmiare. Altrettanto fa al bar nel giocare a carte.
In occasione della Pasqua, va a confessarsi da Don Angelo. Questi, dopo aver costatato che nelle
passate confessioni era stato assolto, ma dopo qualche settimana era sempre ricaduto nello stesso
peccato, fa notare a Sandro, con parole paterne, che una confessione senza un vero pentimento dei
peccati commessi, che include anche un sincero e fermo proposito di non commetterli più, è priva di
ogni efficacia e, se si completa il sacramento con l'assoluzione, si aggiunge un nuovo e grave
peccato, cioè il sacrilegio. Allo scopo di scuotere la coscienza del penitente e aiutarlo a maturare un
vero pentimento, Don Angelo ritiene opportuno differire l'assoluzione e lo invita a ripresentarsi
dopo otto giorni.
Questa scelta non viene però accettata da Sandro, il quale si presenta subito a un altro confessore,
Don Giulio. Questi chiede a Sandro se, quando bestemmia, è animato dalla perversa volontà di
insultare Dio o la Madonna. Avuta risposta negativa dal penitente, Don Giulio conclude che si tratta
di peccato solo materialmente grave. Esorta vivamente Sandro a vincere la cattiva abitudine, tenuto
conto anche dello scandalo che dà ai figli, i quali prenderanno con facilità la stessa abitudine. E
quindi lo assolve.
CASO 22 Criteri per la valutazione dell'idoneità a compiere una scelta di vita celibataria

Francesco, alunno del seminario, ha sempre sperimentato un'attrazione sensibile, a volte


decisamente sessuale, verso persone più giovani di lui, sia del suo stesso sesso, sia dell'altro.
All'interno del seminario non va oltre qualche particolare e forte amicizia con qualche compagno,
ma fuori del seminario, specialmente durante le vacanze in famiglia o in campi scuola, si spinge
spesso a comportamenti molto cordiali verso le ragazze, e cerca di far capire loro che le ama con
segni, come sguardi significativi, parole, scherzi, lettere, prolungate strette di mano, a volte anche
abbracci e baci.
II Direttore spirituale del Seminario, Don Franco, non manca di dare a Francesco opportuni
ammonimenti e consigli, ma non riscontrando nel di lui comportamento atti che siano chiaramente
peccati mortali, non ne mette in dubbio l'idoneità al presbiterato con l'inseparabile obbligo di
celibato.
Sopravviene però il cambiamento del Direttore spirituale per decisione del vescovo. Il nuovo
Direttore, Don Antonio, a cui Francesco non manca di aprire con sincerità il suo animo, mettendolo
al corrente anche di questi suoi comportamenti e attrattive, ha fin dall'inizio qualche perplessità
sulla vocazione del giovane. Non le manifesta subito, ma prende tempo per vedere direttamente
come procedono le cose su questo punto. Dopo aver costatato che, nonostante suggerimenti suoi e
dichiarazioni di pentimento da parte del seminarista, le cose non accennano a cambiare, Don
Antonio, tenendo presenti anche le chiare direttive del Magistero in materia, ritiene suo dovere
dichiarare a Francesco che ci sono chiari segni in lui per avere la certezza morale della mancanza di
idoneità ad assumere l'obbligo del celibato. Tale scelta porterebbe, prima o poi, a un'esistenza
infelice per la lotta estenuante ed eroica da sostenere per superare positivamente e serenamente le
immancabili e frequenti occasioni che l'esercizio del ministero presbiterale sempre comporta, con
danni incalcolabili per la comunità cristiana.
Domanda: chi dei due Direttori spirituali ha valutato correttamente la situazione e ha agito
conseguentemente per il bene del seminarista e della Chiesa.
CASO 23 Un caso di eutanasia giustificata?
somministrati a Leandro. Si consulta perciò con il cappellano, padre Anselmo, il quale si dice
d'accordo. Il primario'' ordina quindi al medico che somministra i farmaci di procedere in tal senso.
Di conseguenza, Leandro vive in uno stato abituale di incoscienza e di torpore e, in breve tempo,
sopravviene la morte.

Leandro, un operaio che conduce una vita praticamente atea, ma anche con l'abitudine di
bestemmiare, si ammala di un cancro doloroso, che rientra tra i pochi casi in cui a tutt'oggi non
esiste un'efficace terapia del dolore. Viene ricoverato in ospedale, in una stanza con quattro posti,
tutti occupati. Quando il dolore si fa particolarmente acuto, Leandro si mette a bestemmiare e sfoga
la sua rabbia anche insultando il personale che lo cura. Inoltre, la situazione per i compagni di
stanza si fa quasi insopportabile.
Il primario del reparto, prof. Rossi, profondamente cristiano e praticante, dopo un certo tempo,
comincia a riflettere sul fatto che, ogni giorno in più di vita, per Leandro non costituisce altro che
un ulteriore moltiplicarsi di peccati, e che egli deve tener conto anche del peso supplementare che
grava sui compagni di stanza. Si orienta perciò, nell'interesse dello stesso paziente e degli altri,
verso la decisione di abbreviarne la vita, aumentando le dosi di farmaci che vengono, anche se
inutilmente,

CASO 24 Amministrazione dei sacramenti con pericolo, per il sacerdote, di contagio durante un
'epidemia spesso letale
eroismo, ma semplice dovere di ogni sacerdote amministrare i sacramenti quando lì chiede
qualcuno che è in pericolo di morìe e non ci sono al momento altri sacerdoti a disposizione. Ma
ogni richiamo è inutile. Critiche e risentimenti giungono anche da non pochi fedeli. Don Ilario
ribadisce però che la sua scelta è giustificata, ed egli è tranquillo in coscienza; perciò continua a
camminare per la sua strada.

Don Ilario è stato nominato dal vescovo come secondo curato, in aiuto al parroco, in una popolosa
parrocchia di periferia urbana di una grande città. Dopo qualche tempo, in città scoppia un'epidemia
di una malattia sconosciuta, spesso letale, di facile contagio, e di cui la scienza non è ancora riuscita
a trovare un farmaco efficace.
Don Ilario, che è sempre stato un salutista, è preso da un vero panico di buscarsi la malattia e si
rifiuta di andare dai malati, anche per portare loro i sacramenti. Questo rifiuto lo giustifica dicendo
che mettere a così grave pericolo la sua vita sarebbe un eroismo, e questo non può mai essere
obbligatorio. Inoltre, non è lui il responsabile della pairocchia, ma lo è il parroco e, prima di lui,
l'altro curato più anziano. Si rifiuta, però, anche quando parroco e curato più anziano sono assenti e
giunge la richiesta di qualche famiglia in cui uno dei membri è gravemente ammalato.
Il parroco, Don Vito, non manca di richiamare paternamente Don Ilario, ricordandogli che non è

CASO 25 Vendita di un proprio rene: valutazione morale

Gianni, uomo onesto e credente, sposato e con due figli, per una serie di imbrogli di cui è rimasto
vittima, si trova, all'età di cinquantanni, con debiti che ammontano a più di cento milioni di vecchie
lire. Un debito ogni anno in aumento per gli interessi posti dalla banche creditrici. Da ultimo, lo
raggiunge la minaccia di sequestro di tutti suoi beni.
Nel tentativo di riuscire a soddisfare almeno in parte i debiti, Gianni pensa di mettere in vendita uno
dei suoi reni. Ma prima vuole essere sicuro che questo sia lecito. Si rivolge perciò al suo parroco,
Don Livio. Ma questi non si sente di dare una risposta seriamente motivata; perciò accompagna
Gianni da un apprezzato moralista, che abita poco lontano in città.
Il moralista, dopo aver attentamente ascoltato il racconto della vicenda, chiede tempo per rifletterci.
Come prima cosa, vuole verificare se quanto è accaduto corrisponda a verità. Ci riesce ben presto,
grazie alla conoscenza che da tempo ha di chi era sindaco del paese di Gianni. La conclusione delle
sue riflessioni, che subito comunica a Gianni, è che il gesto che pensa di fare è decisamente lecito.
Il motivò'di tale valutazione: se è lecito donare un rene per ragioni dettate dalla carità, altrettanto
deve dirsi del venderlo per soddisfare esigenze di giustizia. Avverte però Gianni che il suo
proposito è concretamente inattuabile, dato che la legge lo proibisce severamente, e non sarà
possibile trovare medici disposti a prelevare il rene e impiantarlo nell'ipotetico acquirente.
Non per avere ancora un parere, ma per sfogare la comprensibile angustia che lo tormenta, Gianni
confida tutto a un altro sacerdote suo amico, Don Sergio. Questi però dice di non condividere il
parere dell'illustre moralista, perché la vendita di un proprio organo è pur sempre un fare
mercimonio del proprio corpo, con evidente violazione della dignità della persona che viene
degradata a livello di merce di scambio.
Su questa base, Gianni decide di abbandonare l'idea, sperando che la Provvidenza intervenga in suo
aiuto. Cosa che sorprendentemente si verifica dopo poco tempo, quando una ricchissima signora,
sola e senza nessuno che possa avanzare diritti sull'eredità, muore lasciando per testamento tutto il
suo patrimonio al parroco Don Livio, con l'obbligo di destinarlo a opere di beneficenza, in aiuto di
bisognosi della parrocchia. Il parroco prontamente decide di usare una parte del ricco lascito per
consentire a Gianni di pagare tutti i suoi debiti.
CASO 26 Rapporti sessuali prematrimoniali
Walter e Rosy sono due giovani adulti cresciuti in famiglie veramente cristiane; oltre che assidui ai
sacramenti; sono anche impegnati nell'Azione Cattolica e nelle varie iniziative parrocchiali. Sono
fidanzati da ormai sette anni, costretti a differire la celebrazione del matrimonio da oggettive e gravi
difficoltà di tipo economico, a cominciare dall'impossibilità di avere un'abitazione propria. Da
tempo essi si sentono ormai una vera coppia, legati da un amore sempre più profondo. E si fa ogni
giorno più difficile riuscire a non dare al loro amore l'espressione più propria, costituita dall'atto
sessuale. Un comportamento largamente diffuso e praticato tranquillamente anche dai loro amici e
coetanei.
Capitò che i genitori di Walter si assentarono per alcuni giorni, per andare a trovare i genitori della
madre, che abitavano in un'altra città, piuttosto lontana. Accadde un giorno che i due si trovarono
soli nella casa di Walter. Più forte che mai sentirono la tentazione, e finirono per cedere. La gioia
intensa di quei momenti, però, fu presto soffocata da acuti rimorsi di coscienza, nella
consapevolezza di trovarsi ora in peccato mortale, e senza il coraggio di confessarsi dal parroco.
Fortunatamente, dopo alcuni giorni, videro un sacerdote sconosciuto, che era di passaggio, celebrare
la santa Messa. I due giovani chiesero di confessarsi, e il sacerdote, un certo Don Lorenzo,
acconsentì volentieri. Sia Walter sia Rosy fecero un'accusa sincera e completa. Don Lorenzo, dopo
qualche esitazione, disse a ognuno dei due che potevano stare tranquilli in coscienza, perché in un
caso come il loro, in cui un uomo e una donna si amano profondamente, sono giunti a costituire una
vera coppia, legata da un amore più autentico di quello di tanti sposati, un amore davvero coniugale,
a cui manca solo la pubblica sanzione costituita dalla celebrazione del matrimonio, l'atto sessuale è
legittima espressione del loro amore.
Da allora in poi i due approfittarono di ogni occasione per ripetere quella indimenticabile
esperienza. Ma la tranquillità nell'agire in tal maniera risultò ben presto superficiale; nell'intimo dei
due restava un'inquietudine che nulla riusciva a sopire. Partecipando a un pellegrinaggio
parrocchiale a un santuario mariano, decisero di confessarsi, aspettando il momento di scarsa
presenza di pellegrini, in modo che il confessore potesse dare loro tutto il tempo necessario.
Provvidenzialmente capitarono a confessarsi da un sacerdote particolarmente apprezzato come
confessore, padre Alfonso. A lui fu facile capire che il precedente confessore, forse eccessivamente
preoccupato di andare incontro a due giovani sotto ogni altro aspetto ottimi cristiani, aveva finito
per dare una valutazione benevola, ma erronea, del loro comportamento sessuale. Padre Alfonso
espose loro con tutta chiarezza la dottrina morale della Chiesa in materia. Si mostrò molto
comprensivo della difficoltà in cui i due erano chiamati a vivere la castità, e dette opportuni
suggerimenti per superarla. Dato che i due erano già assidui nella frequenza dei sacramenti e nella
preghiera, indicò loro anche la necessità di aggiungere l'esercizio della mortificazione in piccole
cose e, più ancora, evitare di incontrarsi in situazioni che costituiscono occasione di peccato.
CASO 27
Contraccettivi:.può essere lecita l'assoluzione sacramentale di chi rifiuta di porvi fine?

Lucia è una donna di trentacinque anni, cattolica non fervente, ma abbastanza praticante. Il marito
Antonio è decisamente ateo, anche se ha accettato di celebrare il matrimonio in chiesa; lascia però
libera la moglie di frequentare la chiesa e di educare cristianamente l'unica figlia, Lorena, nata dalla
loro unione. Per questa figlia, Antonio non dimostra il minimo interessamento, e nemmeno affetto,
tutto preso dal suo lavoro e dal gruppo di amici. Anche verso la moglie non dimostra granché di
amore. Un matrimonio dunque infelice, e che a malapena riesce a stare in piedi.
Antonio è deciso a non avere altri figli. Lucia, a sua volta, ha vari motivi per condividere questa
decisione del marito, specialmente per il fatto che egli si sottrae totalmente ai suoi compiti di padre.
Di comune accordo, nell'atto coniugale il marito usa il preservativo.
In occasione di una Missione popolare in parrocchia, Lucia, andando a confessarsi, fa un'accusa più
accurata, che include pure il suo comportamento coniugale, anche perché alcune cose udite nelle
catechesi dei missionari, ha suscitato qualche dubbio in proposito.
Il confessore, padre Pietro, spiega ampiamente a Lucia le ragioni per cui l'atto coniugale così
compiuto è sempre e comunque gravemente illecito. Ma la donna, dopo tutte quelle spiegazioni,
afferma candidamente che lei in coscienza non ci vede nulla dì male, mentre ammette che è male
l'adulterio, l'aborto, e altri comportamenti. Inutili restano le ulteriori insistenze e spiegazioni che
padre.Pietro le presenta. Richiamata alla doverosa fedeltà a ciò che è dottrina della Chiesa in
materia, Lucia ribatte tranquillamente che la Chiesa può benissimo sbagliarsi, come più volte è già
avvenuto, al dire di altri sacerdoti.
Alla fine padre Pietro decide di dare a Lucia l'assoluzione, in base al principio che la coscienza
individuale invincibilmente erronea esime dalla colpa ed è valida regola prossima di moralità.
CASO 28 Aborto su minorata psichica non consenziente

Francesca è figlia di due ex tossicodipendenti, risultata fin dalla nascita affetta da minorazione
mentale. Rimasta ben presto orfana di ambedue i genitori, il tribunale dei minorenni l'affida a un
tutore. Questi la ricovera in un istituto dove Francesca rimane fino all'età di diciotto anni. Un
giorno, mentre era sola in casa, viene violentata da uno che aveva mostrato qualche attenzione nei
suoi confronti. Alla violenza fa seguito una gravidanza. Quando questa si fa evidente il tutore,
Gianni, pensa che sarebbe disumano far nascere un bambino che sarebbe condannato a essere
affidato a una madre incapace e orfano di padre. Fa perciò ricoverare Francesca in ospedale, e
chiede ai medici di eseguire su di lei l'aborto.
Ma Francesca non è del tutto malata intellettualmente. Nell'attesa dell'intervento, una vicina di letto
riesce a farle capire che cosa sta per succederle. Francesca, allora, decide di manifestare ai medici il
suo rifiuto di sottoporsi all'aborto. Ma questi, facendosi forti di una disposizione di leg

ge, in cui un caso del genere è previsto e dà valore determinante a quanto decide il tutore,
procedono all'esecuzione dell'aborto.
Come valutare, dal punto di vista morale, il comportamento del tutore e dei medici, comprese le
ragioni con le quali sostengono le loro scelte. Inoltre, accertare chi di essi incorre nella scomunica.

CASO 29 Assoluzione di recidivi: due prassi contrastanti

Nella sua attività di confessore padre Cristoforo, convinto dell'importanza che ha l'evitare
un'occasione prossima e libera di peccato, ha come prassi frequente di differire l'assoluzione, sia
pure con parole profondamente umane, ai penitenti che ricadono nella stessa occasione, dopo aver
promesso, in una precedente confessione, di evitarla. Pensa così di ottenere un più fermo impegno
di evitare l'occasione, anche se i penitenti mostrano di pentirsi e rinnovano il proposito di evitare
l'occasione di peccato. Per esempio: un giovane militare, Giulio, che si era lasciato indurre dai
compagni ad andare in una casa di prostituzione, aveva promesso di evitare l'occasione, e poi si
ripresenta con lo stesso peccato. Così pure un altro giovane, Giacomo, che in incontri appartati con
la fidanzata, si spinge ad atti gravemente lesivi della castità, si accusa, promette di evitare incontri a
soli, e poi torna riaccusando lo stesso peccato.
Un confratello di padre Cristoforo, il padre Andrea, al contrario dà sempre l'assoluzione in casi

del genere, quando i penitenti si dicono sinceramente pentiti e propongono di evitare l'occasione.
Agisce così nella convinzione che il penitente ha diritto all'assoluzione quando si dichiara pentito,
in base al classico principio: «standum est cum poenitente, tam prò se quam contro, se loquente»,
cioè: il confessore deve credere alle affermazioni del penitente quando afferma qualcosa sia contro,
sia a favore di sé. Inoltre ritiene che, se si dovesse agire come fa padre Cristoforo, la dilazione
dell'assoluzione sarebbe frequentissima, col risultato di allontanare i fedeli dal sacramento.
Che dire del comportamento così diverso dei due confessori?

CASO 30 Ancora sulla idoneità di una 'scelta dì vita celibataria

Lorenzo, giovane ventenne, è in seminario e frequenta il terzo anno di studi teologici. Tra i doni
ricevuti dai suoi genitori c'è anche un computer. Lorenzo ne è entusiasta, e con l'aiuto sia di
manuali, sia di qualche compagno già esperto, riesce ad acquistare una buona padronanza dello
strumento, che gli torna molto utile nei suoi studi.
Un giorno, aprendo Internet, ha la sorpresa di vedere la pagina di apertura da lui scelta, «libero, it»,
sostituita da un'altra, inequivocabilmente pornografica. Chiede a uno dei compagni esperti se, oltre
ai virus capaci di danneggiare un computer, esista qualche altro tipo di aggressore, capace di
cambiare la pagina di apertura di Internet, e la risposta è affermativa. Lorenzo, che non aveva mai
visto materiale pornografico di nessun genere, è incuriosito da questa non cercata possibilità. La
curiosità si acuisce sempre di più, via via che scopre cose mai immaginate e sempre più oscene.
Finisce ben presto per dover interiormente lottare sempre più spesso, per sbarazzarsi di fantasie im

pure che quasi lo ossessionano. Altra conseguenza è quella di provare intense eccitazioni sessuali,
che sempre più spesso non riesce a vincere.
Il confessore a cui Lorenzo ricorre abitualmente. Don Luigi, gli fa notare che non si tratta di cosa
moralmente lieve, a partire già dalla stessa visione di materiale pornografico e, inoltre, per chi sta
per fare una scelta di vita celibataria, è come porre una premessa pericolosa per la futura fedeltà a
un impegno che esclude per tutta la vita ogni esercizio della sessualità.
Lorenzo ritiene esagerate le affermazioni di Don Luigi e si rivolge a un altro sacerdote, Don Paolo,
noto come uno dotato di molta apertura. Questi, però, si mostra ancora più severo, e dice a Lorenzo
che se non si impegna seriamente a porre rapidamente fine a quei suoi comportamenti, dovrà essere
messa in questione la scelta di una vita celibataria e, quindi, la stessa vocazione al presbiterato.
Parte seconda SOLUZIONI PROPOSTE

Cuarto caso

1. Problema centrale.
S'impone di tener distinti il piano dottrinale e quello pastorale.
1) Sul piano dottrinale: si pongono, oppure no, esigenze etiche nuove per Gianni nella
situazione in cui è venuto a trovarsi? E quali?
2) Sul piano pastorale: come essergli di aiuto? Ovviamente inevitabile è qualche intreccio tra i
due ordini di problemi.

2. Dottrina da richiamare.
Obblighi che si impongono in seguito a comportamenti a rischio di infezione da Hiv: 1) per tutti; 2)
per sieropositivo prossimo alla celebrazione del matrimonio.
Data la brevità di tempo intercorso tra la diffusione di questa pandemia e oggi, non esiste nessun
documento di Magistero universale specificamente dedicato ai nostri problemi, tranne un paio di
discorsi di Giovanni Paolo II. Bisognerà, perciò, ricorrere prevalentemente a testi recenti di teologia
morale o di bioetica. Ecco in sintesi i punti essenziali.
1 ) Obblighi per tutti. Come prima cosa, sottoporsi subito alle indagini cliniche per accertare se si è
o no. contratta l'infezione. Questo rientra nel dovere di curare la propria salute, specialmente perché
ogni ritardo nelle terapie rende ancora più problematica la loro efficacia. Altro motivo, quello di
evitare ogni comportamento che può infettare altri. E dato che un esito certo degli esami richiede
una loro ripetizione per circa sei mesi, nel frattempo, sono da evitare subito tali comportamenti e si
devono seguire fedelmente le comuni norme di igiene.
2) Per chi è nubendo. Se, come nel nostro caso, è già stabilita la data del matrimonio, e questa si
colloca nello spazio di seo mesi dal «fattaccio», sorge il conseguente obbligo di dilazionare la
celebrazione al di là dei sei mesi. Nel caso di esito positivo degli esami, quindi con la certezza di
essere sieropositivo, porre in atto una seria riflessione per prendere coscienza dei vari aspetti della
situazione, specialmente delle conseguenze che derivano da un eventuale matrimonio, nella vita di
coppia. Sono esigenze etiche tali da dover evitare ogni rapporto sessuale, assumendo così lo stile di
una convivenza di tipo fraterno. Tale riflessione è da condurre con l'aiuto di un'altra persona, saggia
e competente, in modo da assicurare una conoscenza e una valutazione oggettiva dei vari elementi.
3. Soluzione.
Per una valutazione del comportamento di Gianni sul piano della moralità oggettiva, non c'è che
applicare a Gianni quanto appena ora richiamato. Rimane, invece, da vedere quale orientamento
risulti seriamente fondato per una valutazione della colpevolezza di Gianni. Sono perciò da
considerare vari fattori:
- imprudenza e avventatezza nell'accettare la proposta di amici di cui gli erano ben note le
idee e i comportamenti preferiti;
- l'eccesso nel bere «fino a essere un po' brillo», già di per sé, cioè materialmente, non è
materia grave, in più non sono poche le circostanze attenuanti, facilmente rilevabili;
- il comportamento in hotel: Gianni era in condizioni di «stordimento, stanchezza, effetti del
vino e della droga», e sottoposto, inoltre, alle pressioni del gruppo. Tenendo presenti le condizioni
indispensabili perché ci sia peccato mortale, e tenendo conto dello stile abituale di vita di Gianni,
esiste un buon fondamento per orientarsi verso la valutazione di assenza di colpa grave, data la
notevole compromissione della piena avvertenza e, più ancora, di un libero consenso.
Per il problema sul piano pastorale, non c'è un'unica soluzione chea il comportamento che deve
scegliere Gianni, tranne alcuni passi iniziali di un cammino da percorrere, come, per esempio: la
richiesta di aiuto, a un sacerdote o a un amico di fiducia, per superare la situazione di
sconvolgimento interiore e ritrovare una sufficiente calma interiore; procedere agli esami clinici per
accertare che sia stata realmente contratta l'infezione. Ogni problema sorgerà solo se l'esito di tali
esami sarà risultato positivo. E per giungere a una loro corretta soluzione, non è possibile delineare
un itinerario prestabilito in partenza. Più che in altri casi, sarà la prudenza del consulente a
individuare la via giusta.
Comunque, in definitiva, il matrimonio non potrà essere vietato, ma solo motivatamente
sconsigliato, lasciando poi ai due di maturare una scelta consapevole e libera, dopo aver fornito loro
tutti gli elementi per conoscere la situazione singolarmente diffìcile, dal punto di vista etico, in cui
verrebbero a trovarsi se decidessero di celebrare il matrimonio.

4. Altri problemi pastorali e riflessioni che il caso suggerisce.


Far riflettere Gianni sull'opportunità di rivedere le sue amicizie.
In una società e cultura del benessere, largamente scristianizzata ed edonistica, qual è quella
contemporanea, si delineano alcune esigenze particolari, per i genitori e per i giovani stessi.
Per i genitori: all'interno di una solida formazione umana, un'attenzione particolare da dare alla
scoperta del significato e dei valori della sessualità umana, testimoniati nella stessa vita dei genitori.
Inoltre, la cura di condurre i figli a una fede adulta e convinta, con l'aiuto e la collaborazione di altri
educatori, come gli insegnanti e i responsabili di gruppi giovanili promossi nell'ambiente
parrocchiale, o in movimenti nazionali e internazionali. Altre esigenze si intrecciano con quelle che
verranno indicate per i giovani.
Per i giovani stessi: una conoscenza critica della cultura dominante; maturazione di convinzioni
profonde su una valida scala di valori nella vita; coerenza abituale tra la fede professata e la vita
concreta, convinzioni e coerenza in una vita ben nutrita di preghiera, di frequenza ai sacramenti, di
carità operosa. Tutto questo, evitando una spavalda sicurezza di sé, prendendo sul serio l'evangelica
insistenza sulla vigilanza; partecipazione attiva a un gruppo giovanile formativo e concretamente
impegnato in iniziative o di apostolato, o caritativo, o di tipo sociale.

1. Problema centrale.
A differenza degli altri casi, in questo sono due i problemi centrali:
1) la valutazione morale della responsabilità soggettiva di Loredana neh"abortire;
2) identica valutazione delle tesi sostenute da Walter, e del suo conseguente comportamento
verso Loredana.
2. Dottrina da richiamare.
1) Punti essenziali della dottrina morale circa l'aborto procurato. Si tenga presente, in particolare,
quanto insegna sull'argomento l'enciclica Evan-gelium vitae e il precedente documento, a cui
rimanda la stessa enciclica, della Congregazione per la Dottrina della Fede: Dichiarazione su
l'aborto procurato. Non si ometta quanto riguarda la cooperazione all'aborto nelle sue varie forme.
In breve. L'aborto procurato è la diretta uccisione di un essere umano innocente, e quindi sempre e
comunque gravemente illecito. La colpevolezza della donna che abortisce è tutta da verificare: si va
dalla completa assenza di colpa alla pienezza della stessa. Quanto alla cooperazione, tra le varie sue
distinzioni, interessa qui particolarmente quella tra cooperazione «necessaria», cioè quella senza la
quale l'aborto non sarebbe stato commesso, e quella non necessaria. Sulla cooperazione si veda
quanto è stato già esposto nella soluzione del caso n. 3.
2) Elementi di carattere giuridico: alcuni tra quelli che riguardano la scomunica latae senten-tiae, in
cui incorre chi procura l'aborto e, tra i cooperatori, quelli la cui cooperazione si qualifica come
necessaria (can. 1329, § 2). La fonte non può che essere il Codice di Diritto Canonico e qualcuno
tra i libri di commento al Codice stesso. Qui basterà tener presente che chi non ha sedici anni
compiuti non incorre in nessuna pena (can. 1323, 1°), e chi ha compiuto i sedici ma non i diciotto,
non incorre nelle pene latae sententiae (can. 1324, § 1, 4°). Per quanto riguarda i collaboratori,
un'utile esemplificazione circa quelli che incorrono nella scomunica è offerta da un noto canonista:
«La scomunica contro l'aborto [...] colpisce non solo la donna [...] e il medico che lo esegue, ma
anche tutti quelli che vi hanno partecipato efficacemente con la loro opera materiale o morale:
assistente, infermieri, genitori che abbiano imposto l'intervento criminoso, ecc.» (L. Chiappetta, //
Codice di Diritto Canonico, voi. II, p. 450, Edizioni Dehoniane, Napoli 1988). Ci sono anche altri
elementi che costituiscono motivo di esenzione da pene latae sententiae^ ma nel nostro caso è già
sufficiente quello richiamato.

3. Soluzione.
1) Per quanto riguarda Loredana, sono due gli
aspetti problematici nel suo comportamento: la
valutazione da dare della responsabilità soggetti-
va; verificale se sia incorsa o no nella scomunica.
- Per la responsabilità soggettiva. Si dovrà tener conto del contesto in cui Loredana è stata
educata; della concezione che si è fatta della vita e dei suoi valori; dello stile di vita che conduce;
che si tratta di una ragazza dì quindici anni; della parte giocata dai genitori, dal medico; dall'amico
dotto e influente su una ragazzina; del clima culturale di oggi; della persuasione della liceità
dell'aborto nel suo caso. Ne risulterà un insieme di elementi tale da rendere fondato l'orientamento
per concludere su l'assenza di gravità nella colpevolezza di Loredana.
- Quanto alla scomunica: risulta con chiarezza che Loredana non la incorre. Anzitutto perché
minorenne, inoltre per l'assenza di colpa grave (è sufficiente un dubbio fondato sulla gravità della
colpa). Tutto questo a norma dei relativi canoni del Codice di Diritto Canonico.
2) Per quanto riguarda Walter. Emerge chiara-
mente che egli segue la teoria della fondazione
della moralità degli atti umani in base alle conse-
guenze, cioè il consequenzialismo, dichiarato erro-
neo nell'enciclica Veritatìs splendor. Con l'aggravante, nella scelta che egli propone a Loredana, di
ignorare, tra le conseguenze, quella evidentemente più grave, cioè l'uccisione di un innocente.
Inoltre Walter dà a Loredana una valutazione eccessivamente indulgente del suo comportamento,
giudicandolo esente da ogni colpa. Doveva sottolineare l'imprudenza di affidarsi a ragazzi
sconosciuti; la responsabilità in causa per lo stile di vita che conduce. Infine l'aver del tutto
trascurato ogni tentativo per suscitare in Loredana una svolta seria nella sua vita. Egli diventa così il
principale responsabile dell'aborto di Loredana, perciò incorre nella scomunica, configurandosi la
sua come cooperazione «necessaria» all'aborto.
4. Altri problemi, anche solo pastorali
1) Valutazione dei criteri educativi adottati dai genitori di Loredana. Sul piano oggettivo non
possono che qualificarsi come grave incoscienza e irresponsabilità. Divertirsi in età giovanile, sì,
ma più ancora sollecitare e favorire la scoperta di una corretta scala di valori e di ideali per
elaborare un progetto valido di vita e scoprire il disegno di Dio, o vocazione personale.
La discoteca come il luogo più adatto a trovare l'uomo con cui condividere la vita nel matrimonio e
formare ima famiglia, è invece normalmente il meno adatto per una scelta seria, salvo qualche rara
eccezione, come è stato forse per i genitori di Loredana. Per una valutazione, invece, della
colpevolezza soggettiva dei genitori, non disponiamo di nessun elemento.
2) Valutazione del comportamento dei genitori e del medico, compresa la questione se
incorrono o no nella scomunica. Oggettivamente si tratta di complicità grave all'aborto di Loredana
e non appaiono attenuanti tali da sminuire tale gravità. Hanno chiaramente contribuito
efficacemente a far vincere a Loredana la sua riluttanza ad abortire, conseguentemente incorrono
nella scomunica.
3) 11 sacerdote che conduce il Corso per i fidanzati, espone correttamente la dottrina della
Chiesa? Se davvero non ha svolto altri punti, la sua esposizione pecca di incompletezza per quanto
riguarda la scomunica, le condizioni per incorrerla e come ottenere l'assoluzione dal peccato di
aborto.
4) Il confessore occasionale che cosa deve fare davanti a una persona come Loredana e in una
situazione come la sua? Con domande attente e prudenti giungere a una conoscenza di tutti gli
elementi, specialmente: lo stile abituale di vita della persona, a quale età il fatto è accaduto, con
quale coscienza Loredana ha agito a suo tempo, persuasa da persona autorevole della liceità di
abortire in un caso come il suo. Il confessore avrebbe così avuto anche la possibilità di
tranquillizzare Loredana circa il non essere incorsa nella scomunica.
Inoltre aver cura di sollecitare una valorizzazione della svolta che la celebrazione del matrimonio
segna nella vita, sia sul piano umano, sia su quello propriamente cristiano. Suggerire per questo la
ricerca di qualche coppia di coniugi amici e seriamente credenti, di gruppi di sposi, di movimenti
come il Rinnovamento nello Spirito, Comunione e liberazione, Cammino catecumenale, e cercando
di coinvolgere in tutto questo anche il partner.

1. Problema centrale.
Come in qualche altro raro caso, sono due i problemi centrali, in stretta correlazione tra loro.
1) Rosaria: le disposizioni che mostra nell'ac-costarsi al sacramento della Penitenza sono
sufficienti per la validità e fruttuosità del sacramento?
2) Don Remo: quale valutazione dare del suo modo di comportarsi verso la penitente,
specialmente l'aver dato l'assoluzione?

2. Dottrina da richiamare.
1) Disposizionyi richieste nel penitente, specialmente circa il dolore, o pentimento: qualità
necessarie, con la classica distinzione tra contrizione e attrizione, e con il conseguente proposito
fermo di non commettere più quei peccati e, quindi, di fuggire le occasioni prossime di ricaduta.
Fonte a cui attingere: manuale di Teologia Morale, su quanto riguarda il sacramento della
Penitenza; oppure il Catechismo della Chiesa Cattolica, nelle pagine dedicate allo stesso
sacramento.
Sorvolando quanto riguarda l'accusa dei peccati, che deve essere sincera e integra circa i peccati
mortali, il pentimento deve essere almeno di attrizione, cioè motivato non dall'amore per Dio, ma
dal timore dei castighi a cui si rischia di andare incontro.
2) Concetto, distinzioni e criteri morali circa
l'occasione di peccato. Si veda in proposito quan-
to è stato già esposto nella soluzione del caso n. 3.
3) Criteri, per il confessore, circa il dare, negare o
differire l'assoluzione. L'essenziale è concisamen-
te espresso nel can. 980: «Se il confessore non ha
dubbi sulle disposizioni del penitente e questi chie-
de l'assoluzione, essa non sia negata né differita».
Nel nostro caso, dunque, l'assoluzione è dovuta.
Deve, invece, essere negata se al confessore risulta
con certezza l'assenza delle disposizioni richieste.
Se, invece, ci sono dei dubbi, due sono le possibili
scelte: in assenza di seri inconvenienti per il peni-
tente, il confessore differisca l'assoluzione, chie-
dendo al penitente di tornare dopo qualche giorno,
dopo aver riflettuto e pregato; in caso contrario, il
confessore ammonisca il penitente che, se non è ve-
ramente pentito, il perdono di Dio è reso da lui im-
possibile, e l'assoluzione non farebbe che caricarlo
di un altro e più grave peccato, cioè un sacrilegio.
Gli dia quindi l'assoluzione sotto condizione.

3. Soluzione dei due problemi centrali.


1) Rosaria: vive in occasione prossima e libera di peccato grave, sia pure con delle attenuanti,
costituite dalla serietà dei motivi. Attenuanti, però, che non fanno diventare veniale il suo peccato.
L'assenza di unproposito netto e fermo di troncare la relazione con Mario, non può non mettere in
questione la sincerità del suo pentimento.
2) Don Remo: procede con una certa faciloneria. L'assenza in Rosaria di disposizioni indispensabili
per una valida assoluzione, è più che chiara. Doveva perciò cercare di far maturare in lei il
proposito richiesto, facendo leva anzitutto sulla preoccupazione di Rosaria per l'educazione dei
figli, cioè: renderla consapevole del fatto che questo suo comportamento non può non essere di
grave danno anche per i figli, ed è quindi cento volte preferibile cavarsela da sola, proprio per il
bene dei figli. In caso di fallimento di questo tentativo, a Don Remo non resta che far presente alla
penitente che un'assoluzione senza pentimento sincero, non farebbe altro che aggiungere un altro e
grave peccato, quello di sacrilegio. Data la ristrettezza di tempo, e la circostanza della ricorrenza
pasquale, Don Remo esiga da Rosaria l'impegno di tornare in un altro momento, per riprendere il
dialogo, e le dia l'assoluzione sotto condizione.

4. Altri problemi ed esigenze morali e pastorali.


Che cosa deve fare Don Remo nel successivo incontro con Rosaria:
1) conoscere il livello effettivo di vita cristiana di Rosaria: è una di quelle che si confessano solo a
Pasqua? Oppure, prima di questa relazione con Mario, era assidua alla Messa domenicale, con una
buona frequenza dei sacramenti, e quotidianamente un po' di preghiera?
2) verificare la sua situazione economica e informarla sugli aiuti di cui può fruire da parte sia
della società civile, sia della comunità cristiana locale;
3) orientare Rosaria ad accettare l'aiuto e l'accompagnamento di qualche altra famiglia, ben
conosciuta da Don Remo per disponibilità, capacità e onestà;
4) per fare di questa confessione l'inizio di un cammino di vera conversione, esortare Rosaria a
una frequenza regolare del sacramento della Penitenza, presso un confessore fisso di sua fiducia;
5) davanti al fatto che Rosaria è stata abbandonata dal marito dopo pochi anni di matrimonio,
converrà pure verificare se non ci siano elementi che fondano dubbi sulla validità di quel
matrimonio e, quindi, l'opportunità di avviare un processo canonico mirante a una dichiarazione
della sua nullità.

1. Problema centrale.
Si può parlare di due problemi, o meglio, di un solo problema che si pone su due piani, quello
morale e quello pastorale.
1) Sul piano morale: la valutazione da dare alla situazione e al comportamento di Renzo;
2) sul piano pastorale: come aiutare Renzo in un cammino di superamento positivo delle
difficoltà.

2. Dottrina da richiamare.
1) La valutazione morale dell'omosessualità, sia sul piano oggettivo, sia su quello della
responsabilità soggettiva.
Si dovrà fare riferimento anzitutto a due documenti del Magistero, tutti e due della Congregazione
per la Dottrina della Fede: Dichiarazione «Persona fiumana» (n. 8) e la Lettera ai vescovi sulla
pastorale delle persone omosessuali. In quest'ultimo documento non sarà difficile individuare i
paragrafi dedicati alla distinzione tra tendenza e comportamento omosessuale, con la correlativa
valutazione morale sul piano oggettivo, e quelli che offrono orientamenti per la valutazione della
responsabilità soggettiva.
In breve. La tendenza omosessuale è un dato di fatto, non una scelta del soggetto, non una colpa, e
costituisce una difficoltà in più per condurre una corretta vita in àmbito sessuale. Il comportamento
omosessuale è, sul piano della moralità oggettiva, un disordine morale grave o materia grave di un
eventuale peccato mortale. Sul piano della responsabilità soggettiva, non è possibile dare criteri
generali, essa varia da situazione a situazione; si va così dalla piena responsabilità all'assenza di
ogni responsabilità. Si dovrà perciò cercare di conoscere quanto più possibile il soggetto, nella sua
personalità umana, nella vita di fede, e così via. Quello che è da escludere è «la presunzione
infondata e umiliante che il comportamento omosessuale sia sempre e totalmente soggetto a
coazione e pertanto senza colpa» (Lettera ai vescovi..., n. 11). Una tale deresponsabilizzazione
sarebbe infatti, tra l'altro, una grave offesa alla dignità della persona.
2) Per i problemi di tipo pastorale, il riferimento principale è, ovviamente, al secondo dei due citati
documenti. Ma nella consapevolezza che agli insegnamenti del Magistero occorrerà aggiungere le
maggiori acquisizioni delle scienze umane, per una corretta pastorale e pedagogia in materia.
La prima direttiva, offerta già in PH, è quella di accogliere la persona omosessuale con
atteggiamenti di stima, di comprensione e di incoraggiamento, e aiutarla a percepire la sua pari
dignità con tutti gli altri: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona umana come un
"eterosessuale" o un "o-mosessuale" e sottolinea che ognuno ha la stessa i-dentità fondamentale:
essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna» (Lettera ai vescovi..., n. 16).
Anche per quanto riguarda sofferenze e difficoltà di queste persone, il documento fa notare che
sono parte immancabile dell'esistenza umana, da accettare e valorizzare. Come tutti gli altri, le
persone omosessuali hanno doti e capacità da sviluppare, e debbono scoprire il disegno particolare
di Dio su ognuna di esse. In questa sede non è il caso di richiamare direttive date ai Pastori per la
pastorale delle persone omosessuali.

3. Soluzione del problema centrale.


Si tenga presente che i due piani del problema, quello dottrinale e quello pastorale, sono intrecciati.
Quasi superfluo è rilevare che siamo davanti a un caso di vera omosessualità. Semplice, perciò, la
valutazione sul piano della moralità oggettiva. Non altrettanto si può dire della valutazione della
responsabilità soggettiva, o colpevolezza, di Renzo. Essa appare fortemente ridotta nei casi in cui
Renzo cerca sinceramente di resistere, ma viene come travolto dalla sua tendenza. Sarà necessario,
però, verificare se ciò dipenda o no anche dallo stile abituale di vita cristiana di Renzo. A tale
proposito si dovranno dare indicazioni concrete per un programma di vita guidata dalla fede, nutrita
di preghiera, di frequenza dei sacramenti, come pure di impegni operativi nel campo del
volontariato, per investire sanamente molte delle energie affettive.
Infine è da ricercare la collaborazione con uno psicoterapeuta, esperto e fidato, esortando Renzo a
rivolgersi a lui, con la facoltà, esplicitamente data dall'interessato, di superare i limiti di segretezza
su quanto ognuno dei due viene a conoscere da Renzo, nella misura via via richiesta dalla
situazione, nell'interesse di Renzo.

4. Altri problemi.
1) Che cosa dire del comportamento di Don Vito? Sostanzialmente è da approvare. Doveva,
però, preoccuparsi anche di tracciare a Renzo un cammino di crescita, di irrobustimento della sua
vita cristiana e di conquista di una solida padronanza di sé. E, questo, anche indipendentemente dal
problema dell'omosessualità.
2) Stesso interrogativo per lo psicologo incontrato a Lourdes. Bisogna osservare che è stato un
po' precipitoso nelle sue affermazioni. Avrebbe dovuto prima acquisire una conoscenza più ampia
di Renzo, mai incontrato prima. È stato pure troppo categorico nel generalizzare la valutazione di
tutti i comportamenti omosessuali di Renzo. Inoltre, più che dare a Renzo una valutazione
preconfezionata del suo comportamento, avrebbe fatto meglio se gli avesse fornito dei criteri capaci
di metterlo in grado di valutare lui stesso il suo comportamento.

1. Problema cenu'ale.
Come in qualche altro caso, sono due i problemi di tipo, o ordine, diverso.
1) Valutazione morale del comportamento e della situazione di Don Ilario, ed esigenze che si
pongono per lui; è un problema tipicamente morale.
2) Riesame della sua idoneità o meno al presbiterato; problema di prudenza e di discernimento
pastorale.
2. Dottrina da richiamare.
Per il problema 1). Concetto, specie e criteri morali circa le occasioni di peccato grave. Si veda
quanto già esposto nella soluzione del caso n. 3.
Per il problema 2). Condizioni richieste per stabilire l'idoneità a una scelta celibataria, inseparabile
dal presbiterato. Tra i vari documenti del Magistero in proposito, si dovranno consultare
particolarmente: Paolo VI, enciclica Sacerdotalis cae-libatus e la connessa istruzione della
Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti educutivi per la formazione al celibato
sacerdotale. Sarà utile anche qualche testo recente di Morale, che abbia affrontato l'argomento,
come pure articoli di Riviste. Da segnalare in particolare l'opera di A. Cencini, in tre volumi: Per
amore, Con amore, Nell'amore, con il sottotitolo ricorrente Libertà e maturità affettiva nel celibato
consacrato (Edizioni Dehoniane, Bologna 1994-1995). In base agli Indici si potranno rintracciare i
punti che qui interessano, posti specialmente nel volume terzo. Vi si troverà, inoltre, l'elenco di tutti
i documenti del Magistero in proposito, inclusi quelli che riguardano il voto di castità nelle
comunità religiose (voi. 3, pp. 110 ss., nota 94). Ecco in sintesi le principali condizioni richieste:
- l'effettivo conseguimento di una maturità e di un buon equilibrio personale;
- all'interno di una maturità complessiva, viene sottolineata quella affettiva e sessuale, che
deve essere particolarmente solida;
- una castità consolidata, fino a vivere la rinuncia completa a ogni soddisfazione sessuale in
abituale e sostanziale serenità; perciò
- aver conquistato un autocontrollo «percettivo», non, cioè, ottenuto di volta in volta con
sforzi estenuanti, ma neh" accennata sostanziale serenità. Eventuali cedimenti gravi contro la castità
sfuggono a ogni possibilità di rilevazione. Li può far conoscere solo il soggetto interessato, e lo fa
in sede di confessione sacramentale e/o di direzione spirituale, in cui vige il più assoluto segreto;
- perciò anche per questo, oltre che per altre ragioni, si richiede che l'aspirante al presbiterato debba
avere obbligatoriamente un direttore spirituale effettivo. Ecco in proposito una frase
dell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis: «Il seminarista deve avere un adeguato grado di
maturità psichica e sessuale, nonché una vita assidua e autentica di preghiera, e deve porsi sotto la
direzione di un Padre spirituale» (n. 50).
Un assioma classico, sempre valido, da tener presente per la soluzione del caso, è quello che quando
ne va di mezzo la salvezza di anime, in caso di dubbio, si deve compiere la scelta che mette più al
sicuro: In dubio pars tutior est sequenda. Cioè, nel nostro caso, per decidere della non idoneità al
presbiterato, non è necessario avere la certezza di tale non idoneità, ma è sufficiente un dubbio
fondato.

3. Soluzione dei problemi centrali.


1) Don Ilario si trova in occasione prossima e libera di peccato grave. Non c'è che da applicare al
suo caso quanto esposto in dottrina. Egli, già dal primo insorgere di un'attrazione sessuale, avrebbe
dovuto reagire con ogni mezzo, specialmente evitando di trovarsi solo a solo con la ragazza, e
intensificare preghiera e mortificazione. Dopo una prima e una seconda caduta grave, restare
nell'occasione è lo stesso che voler peccare. Ora, comunque, deve togliersi subito di lì, avendo già
sperimentato che restarci equivale a peccare, nonostante i suoi sforzi.
2) L'impegno di celibato è già stato assunto. La vicenda successiva fa sorgere il dubbio che sia stata
una scelta sbagliata. Di qui la necessità di una verifica particolarmente seria e attenta, per vedere se
si tratta di una sbandata momentanea in un contesto di solida vita spirituale, oppure dì una
provvidenziale vicenda per scoprire l'errore, prima che sìa troppo tardi. Tale verifica Don Ilario
dovrà farla con il Padre spirituale, in piena sincerità da parte sua. Diverse ipotesi sono, infatti,
possibili:
- già negli anni precedenti l'ordinazione era emersa una castità vacillante, quindi la scelta è
stata un errore;
- il contesto del suo stile di una vita, per nulla innamorata di Cristo, quindi errore anche in
questo caso; oppure
- un contesto altamente positivo, in cui quanto accaduto è un episodio isolato. Perciò
prolungare l'intervallo tra diaconato e presbiterato, per avere conferma o smentita di una
valutazione positiva di idoneità;
- un ritardo nello svegliarsi dell'attrattiva per persone dell'altro sesso. Perciò, stessa soluzione
prevista per l'ipotesi precedente;
- quanto accaduto fa emergere una situazione, prima latente, di dissesto psicologico. Perciò
sarà molto utile avvalersi anche del contributo di uno psicologo. Il ricorso a uno psicologo è utile
anche indipendentemente da questa ipotesi, per una più completa conoscenza e valutazione della
personalità di Don Ilario, specialmente per quanto riguarda il grado di maturità affettiva.

4. Altri problemi.
Quelli ora esposti come centrali sono anche gli unici, purché vengano trattati in tutti i loro aspetti.

1, Problema centrale.
Valutazione del comportamento di Giovanna nei suoi vari aspetti.

2. Dottrina da richiamare.
1) Quanto riguarda la procreazione responsabile e la contraccezione. Documenti magisteriali di
riferimento: la Costituzione pastorale Gaudium et spes, l'enciclica Humanae vitae, l'Esortazione
apostolica Familiaris consortio.
La contraccezione è intrinsecamente un disordine morale grave. Però questo principio, come altre
esigenze etiche nella vita sessuale di una coppia coniugale, si applica solo nell'esercizio liberamente
voluto della sessualità genitale, come espressione dell'amore coniugale. Fondamento di tale
principio è l'inscindibilità dei due significati dell'atto coniugale, il significato unitivo e quello
procreativo (cfr HV, n. 12). Perciò, quando venisse meno il significato unitivo, perché l'atto non è
espressione di amore, la scissione è già avvenuta, e non trova più giustificazione l'obbligo di
mantenere il significato procreativo; anzi, evitare che da tale atto possa derivare una procreazione
può essere dettato da un giusto senso di responsabilità, purché si usino mezzi realmente
contraccettivi e non abortivi.
2) La coscienza ansiosa, o scrupolosa, e le conseguenti implicazioni nella valutazione dei
comportamenti della persona da essa affetta. Fonte della dottrina: qualunque trattazione organica
circa la coscienza morale, sia nei corsi di Teologia Morale, sia monografie sull'argomento. Utile
anche qualche testo di Psicologia sperimentale.
In sostanza: la scrupolosità rientra tra le forme di idee ossessive, precisamente quelle che
riguardano l'ambito della moralità delle proprie azioni. Tali idee si impongono alla coscienza del
soggetto, e sono refrattarie a ogni tentativo mirante a fare chiarezza sull'inconsistenza delle
valutazioni morali da parte del soggetto stesso. Trattandosi di persone credenti, l'indicazione
principale, non per eliminare tale patologia in tempi brevi, ma per consentire alla persona di
convivere con essa in crescente serenità, è stata individuata da sant'Alfonso de' Li-guori
nell'obbedienza cieca al confessore, il quale deve anche ottenere dal penitente che questi scarichi sul
confessore ogni responsabilità connessa con azioni che egli percepisce erroneamente disoneste.

3. Soluzione del problema.


La scelta di Giovanna di evitare una nuova gravidanza è seriamente motivata. Per attuarla è
evidente l'impossibilità di ricorrere ai metodi naturali. In base a quanto esposto sopra, nell'atto
imposto da un marito ubriaco è indubbiamente soppresso ogni significato unitivo. Si tratta di vera e
propria violenza intraconiugale. Facile dedurne la conseguente valutazione di liceità nel ricorso a
contraccettivi.
Oltre però a tranquillizzare Giovanna in questo àmbito, il confessore dovrà pure avviare il non
facile processo di formazione di una coscienza retta e semplice. Oltre a fare la parte sua, già sopra
accennata, trattandosi di un problema prevalentemente psicologico, sarà necessaria, o almeno molto
utile, anche la collaborazione di uno psicologo.

4. Altri problemi.
Non ci sono. Perciò quello proposto come centrale è, più semplicemente, unico.

Da notare, come premessa, che si tratta di un caso molto complesso, perciò è particolarmente
difficile una soluzione del tutto soddisfacente.

1. Problema centrale.
In una varietà di ipotesi, sembra fondata quella che indica due problemi centrali.
1) L'ammissione ai sacramenti di coppie sposa-
te solo civilmente e dei loro figli.
2) Valutazione del comportamento dei sacerdoti.

2. Punti di dottrina da richiamare.


Dato il carattere eterogeneo dei problemi, che sono dottrinali, giuridici e pastorali, sono
conseguentemente di vario tipo anche le fonti da consultare: Documenti del Magistero, sia
universale, sia dell'episcopato locale; il Codice di Diritto Canonico, qualche testo di Teologia
Morale e di Pastorale.
1) Ammissione ai sacramenti di coppie sposate solo civilmente. Trattandosi di battezzati, come è
noto, i due sono soltanto dei conviventi di fatto, o concubini, non essendoci matrimonio vero se non
quello che è sacramento. Sono, dunque, in uno stato di peccato mortale permanente e pubblico.
Inoltre, quando alle spalle dei due, o anche di uno solo, c'è un matrimonio valido, la loro unione ha
pure il carattere aggravante di unione adulterina. Conseguentemente, non è possibile per loro
ricevere il sacramento della Penitenza, dato che si esige nei penitenti un vero pentimento col
proposito di porre fine alla loro convivenza, a meno che questa sia richiesta da seri motivi, qual è
certamente l'educazione di figli ancora minorenni. In tal caso si richiede l'impegno di vivere in
completa astinenza sessuale, trasformando l'amore coniugale in amore fraterno oppure amicale. Può
bastare, in proposito, fare riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1650 e 2384) e
all'Esortazione apostolica Familiaris consortìo (§ 84, capoverso 5).
Per quanto riguarda, invece, l'ammissione dei figli ai sacramenti appare chiaramente che sarebbe
una vera e propria ingiustizia infliggere loro la pena dell'esclusione dai sacramenti per colpe
commesse da altri. Si tratta solo di vedere se esistono, e quali, delle condizioni particolari nella loro
ammissione. Nulla di particolare è prescritto nel Codice di Diritto Canonico, per quanto riguarda il
sacramento del Battesimo. È ovvio però il dovere, da parte del parroco che lo amministra, di porre
una cura più attenta nella verifica di alcune delle condizioni richieste. In particolare, è da verificare
con cura se è sufficientemente assicurata la successiva educazione cristiana del battezzando, da
parte o degli stessi genitori oppure del loro padrino.
Nessuna condizione particolare è prescritta per l'ammissione al sacramento della Comunione
eucaristica, oltre quelle prescritte per tutti.
2) Per la valutazione del comportamento dei tre sacerdoti, è ovvio che è impossibile una valutazione
unica per rutti, e che si renda necessario trattare distintamente ognuno dei tre casi. I punti dottrinali
già richiamati sono sufficienti per una fondata valutazione.

3. Soluzione dei due problemi centrali.


1) L'ammissione ai sacramenti di Mario e Fran-
cesca e dei loro figli.
Appare evidente l'illiceità dell'ammissione della coppia, data l'assenza delle condizioni
indispensabili per tale ammissione.
Per quanto riguarda, invece, l'ammissione dei figli, non esiste ostacolo di sorta. Per il Battesimo è
sufficiente che il sacerdote che lo amministra faccia la dovuta verifica circa le condizioni richieste
per ogni bambino da battezzare.
2) Valutazione del comportamento dei sacerdoti.
- Per quanto riguarda Don Angelo è facile, e
quasi ovvia la valutazione. Siamo in presenza di un rigorismo ingiusto. Egli non ha per nulla tenuto
conto del fatto che, almeno Mario, presenta più che sufficienti condizioni per dare un'educazione
cristiana ai figli. Nessuna attenzione, poi, ha portato su una identica capacità da parìe del padrino.
- Don Sergio ha dato una corretta valutazione del comportamento di Don Angelo e ha fatto la
scelta giusta procedendo al Battesimo dei gemelli.
Non si può due lo stesso della decisione di ammettere alla Comunione i genitori. T motivi che egli
adduce a giustificazione di tale scelta presuppongono l'errata concezione che l'ammissione sia
lasciata alla discrezione del sacerdote, e finisce per mettersi in contraddizione con precise
disposizioni date dal Magistero; disposizioni, come si è visto, non di mero diritto positivo, ma
oggettivamente richieste dalla situazione stessa.
- Don Giulio: si è comportato correttamente, sia dal punto di vista dottrinale sia da quello
pastorale, anche qui però con una riserva. Ci sono motivi seri che giustificano la scelta di non pone
fine alla convivenza dei due giovani, e in casi del genere non è assoluta l'esclusione dai sacramenti,
ma è possibile l'ammissione a certe condizioni, richiamate nel punto precedente; Don Giulio, però,
non ha fatto nessun tentativo di esporle a Mario e a Francesca, e di verificare la volontà dei due a
impegnarsi in tal senso.

4. Altri problemi ed esigenze.


1) L'evidente opportunità di mettere in questione la validità del matrimonio tra Mario e Maria, data
l'età giovanile dei due al momento della celebrazione del matrimonio, e la durata vistosamente
breve della loro convivenza. Nessuno dei tre sacerdoti si è preoccupato di questo.
2) La pastorale delle coppie giovani, in continuità con la preparazione al loro matrimonio,
come accompagnamento per la crescita del loro amore e per il superamento delle immancabili
difficoltà.
3) La pastorale di coppie irregolari, per evitare che la loro esclusione dai sacramenti finisca in
un'indebita esclusione da tutta la vita della comunità ecclesiale e per tentare di avviare un cammino
di conversione della coppia. Fa parte di tale pastorale anche l'educazione della comunità
parrocchiale a non giudicare il comportamento di chi si astiene dalla Comunione, in qualunque
circostanza.

1. Problema centrale.
Valutazione morale del comportamento e delle motivazioni addotte dalle varie persone in causa:
Ines, l'amica sua, Mirko, Don Carlo.

2. Dottrina da richiamare.
Sull'aborto procurato: si veda quanto è stato già esposto nella soluzione del caso n. 3. Identico
rinvio per quanto riguarda la cooperazione a un aborto e la scomunica annessa.

3. Soluzione del problema centrale.


1) Ines. La valutazione morale sul piano oggettivo è semplice ed evidente: l'aborto direttamente
procurato è sempre e comunque gravemente illecito. Non altrettanto semplice è invece quanto
riguarda la colpevolezza soggettiva di Ines. Non sono poche le attenuanti: ancora minorenne, è più
facilmente influenzabile da persone adulte, specialmente se si tratta di persone autorevoli, qual è il
sacerdote Don Carlo; inoltre la ragazza si trova nel turbine di emozioni intense e contrastanti.
Aggravante, invece, è il suo rifiuto di prendere in seria considerazione le alternative che le vengono
proposte. In definitiva, è abbastanza fondata l'ipotesi di esclusione non di ogni colpevolezza, ma
della gravità nella colpevolezza.
2) Le altre persone che sono coinvolte nella vicenda hanno in comune la qualifica di
cooperatori (o complici), ma in forme e gradi diversi di cooperazione, da stabilire attentamente. La
responsabilità maggiore, cioè una cooperazione «necessaria», è da attribuire a Don Carlo, ma non a
lui solo: senza l'influenza dell'amica e le minacce di Mirko, è tutt'altro certo che Ines si sarebbe
rivolta a Don Carlo già quasi decisa ad abortire. L'amica e Mirko hanno avuto un ruolo
determinante neh'orientare Ines verso la scelta di abortire.
3) Quanto a Don Carlo, il ragionamento che lo conduce a sostenere l'assenza di ogni
colpevolezza da parte di Ines appare privo di consistenza da vari punti di vista:

- mette a confronto la vita del figlio di Ines col timore di una compromissione della salute
psichica della madre e dà a quest'ultima la precedenza;
- dà per impossibile ciò che è, invece, solo difficile;
- asserisce una costrizione in Ines che è, invece, inesistente;
- gli sfuggono due verità fondamentali: l'indisponibilità di ogni vita umana e la grave
immoralità di ogni aborto diretto, mai giustificabile.
L'attenuante della sua inesperienza non è tale da escludere la gravità della sua colpevolezza.

4. Altri problemi.
Basterà, in questa sede, la semplice toro formulazione, senza la correlativa soluzione, tenendo conto
che solo il primo problema esige per la sua soluzione il richiamo di conoscenze dottrinali e,
precisamente, di carattere giuridico, già considerate sopra. E in base a esse, è facile la soluzione del
problema. Gli altri due problemi, invece, sono di carattere puramente pastorale; ciò rende
impossibile soluzioni generali, sono possibili solo soluzioni caso per caso, a seconda di situazioni
concrete, ogni volta diverse l'una dall'altra e non suscettibili di descrizioni precostituite in sede di
ipotesi.
1) Individuare, tra le varie persone in causa, quali incorrono nella scomunica prevista nel
Codice di Diritto Canonico.
2) Nella pastorale giovanile, come dare aiuto tempestivo ai giovani nel prendere coscienza
criticamente della cultura dominante e nello scoprire i valori della sessualità, come pure la gravità
morale dell'aborto diretto, sempre e comunque.
3) In ogni comunità cristiana, a livello sia pure solo diocesano, come dare vita a Centri di aiuto
alle gestanti in difficoltà, specialmente se nubili, prima e dopo il parto.

7. Problema centrale.
Valutazione morale delle scelte di Andrea e delle motivazioni con cui le giustifica.

2. Dottrina da richiamare.
1) L'obbligo di curare la propria salute e i legittimi limiti nella cura.
2) Concetto e distinzione tra mezzi ordinari e straordinari, o proporzionati e sproporzionati, e
correlativi princìpi etici.
Si tratta di due problemi fortemente intrecciati. La fonte a cui attingere sono alcuni tra i documenti
del Magistero: la Dichiarazione sull'eutanasia della Congregazione per la Dottrina della Fede, § IV;
del Pontificio Consiglio «Cor unum», Questioni etiche relative ai malati gravi e ai morenti, § 2;
prima ancora, di Pio XII, Risposta ad alcuni importanti quesiti sulla rianimazione (24 novembre
1957). Sarà poi più che utile la consultazione di qualcuno dei manuali di Teologia Morale. Ecco in
sintesi i punti principali.
- Neil'Introduzione al nuovo Rituale dell'Unzione degli Infermi si afferma, tra l'altro: «Rientra
nel piano stesso di Dio e della sua provvidenza che l'uomo lotti con tutte le sue forze contro la
malattia in tutte le sue forme» (n. 3). Si dà, dunque, un preciso dovere di porre un serio impegno per
guarire, ricorrendo ai mezzi che la scienza medica offre. Non fare nulla in tal senso sarebbe
chiaramente una dimostrazione di disprezzo di quel bene che è la salute.
- Quanto ai limiti di tale doverosità, si è fatto a lungo ricorso alla distinzione tra mezzi
ordinari e mezzi straordinari, col conseguente principio dell'obbligatorietà dei primi e non dei
secondi, tranne casi in cui ricorrano circostanze particolari per cui l'ammalato sia una persona
necessaria al bene di altri. Tale è, per esempio, un genitore di figli ancora piccoli. È recente la
proposta di un'altra distinzione. Quella tra mezzi proporzionati e mezzi sproporzionati. Senza
poterci addentrare in un'analisi critica, basterà qui rilevare che in documenti del Magistero si fa uso
di ambedue le distinzioni, quasi come sinonimi. Più precisamente: sembra di cogliere,
imphcitamente, l'affermazione di un rapporto di complementarità, nel senso di fare della
proporzionalità il criterio per definire come ordinario oppure straordinario una determinato mezzo.
3. Soluzione del problema centrale.
Intervento chirurgico e chemioterapia sono oggi le cure ordinarie del cancro, negli ospedali di un
Paese sviluppato. La durata del prolungamento di vita conseguente varia da organismo a organismo,
data la diversa responsività individuale, che nessuno può stabilire a priori. Per Andrea l'obbligo di
sottoporvisi viene ulteriormente rinforzato dal fatto di essere padre di un figlio piccolissimo, data
l'importanza che ha per questo figlio un prolungamento della presenza del padre. Tanto più che le
moderne terapie del dolore conseguono normalmente lo scopo senza causare nel paziente la perdita
dello stato di veglia. La legittimità del rifiuto potrà porsi in seguito, quando risultasse l'inutilità di
insistere in ulteriori cicli di chemioterapia.

4. Altri problemi.
Che cosa dovrebbe dire ad Andrea il sacerdote a cui egli si rivolge per fare chiarezza sulla
situazione e sulle scelte da fare.
Richiamando anche dati medici, facilmente comprensibili da Andrea, Don Luigi dovrebbe,
anzitutto, fargli presente quanto appena ora detto per la soluzione del problema centrale.
Aggiungere inoltre che Andrea non può dare per sicuro ciò che è solo una probabilità statistica,
circa l'evoluzione della sua malattia, e che la sua esperienza è troppo breve per darle un peso
determinante. Mentre è un dato sperimentale acquisito il frequente verificarsi di una notevole
differenza nella durata di sopravvivenza del paziente rispetto alle previsioni dei medici. Pazienti a
cui i medici avevano pronosticata la morte entro due o tre mesi, non raramente sono poi
sopravvissuti per qualche anno Don Luigi dovrebbe pure ricordare ad Andre; l'efficacia delle
cosiddette cure palliative, spesso capaci di prolungare notevolmente la durata della vita e in
condizioni ben più tollerabili. Infine, dato che Andrea è un uomo profondamente creden te, il
sacerdote non trascuri di alimentare in lui anche la speranza di una guarigione miracolosa, la cui
frequenza è maggiore di quanto comunemente si pensa, grazie alle preghiere di familiari e amici.
Andrea è certamente in grado di mettersi nelle migliori disposizioni di filiale fiducia in Dio, senza
cadere in un'indebita pretesa nei suoi confronti.

1. Problema centrale.
Non presentano «problemi» i comportamenti delle varie persone, dato che è facile e semplice dare
una valutazione morale di esse. Ciò che, invece, fa problema è che cosa deve fare il confessore per
dare un valido aiuto a Margherita.

2. Dottrina da richiamare.
Conseguenza sorprendente è che, per la soluzione del problema così individuato, non ci sono punti
dottrinali da richiamare. Si tratta, infatti, di un problema essenzialmente pastorale, per la soluzione
corretta del quale, non c'è che da fare appello alla prudenza ed esperienza del confessore; quella che
segue perciò, più che una soluzione, è l'indicazione di alcuni passi che possono ritenersi come
obbligati in ogni situazione del genere.
3. Soluzione del problema.
Come premessa per creare un buon clima di fiducia, sarà bene che il confessore mostri di
apprezzare la scelta di Margherita di aprirsi in sede di confessione su quanto ha fatto. Inoltre, come
prima cosa, aiuti la penitente a prendere coscienza della gravità degli atti compiuti, ma, nello stesso
tempo, l'apra alla fiducia nell'amore misericordioso del Padre.
Il confessore dovrà tener presente di aver davanti una persona umanamente immatura, che dimostra
un'estrema leggerezza nel trattare superficialmente situazioni decisamente serie, e a cui è mancata
una valida educazione sia umana sia cristiana. Margherita, inoltre, mostra di aver acriticamente
assorbito la cultura dominante circa la sessualità umana. Emergerà allora che il vero problema di
fondo è la necessità di dare avvio a un cammino, non breve, di maturazione umana e di formazione
cristiana. Un compito che non potrà essere assolto unicamente dal sacerdote, ma sarà necessaria la
collaborazione di una coppia di sposi capaci di svolgere un delicato lavoro educativo e di mostrare,
nella vita concreta, la preziosità dei valori umani e cristiani della sessualità e del matrimonio. Se poi
esiste sul posto un gruppo di giovani adulti impegnati, esorti Margherita a parteciparvi; infine la
solleciti a coinvolgere in questo cammino anche Giorgio.

7. Problema centrale.
La valutazione morale delle varie scelte compiute da Pier Luigi.

2. Dottrina da richiamare.
1) L'obiezione di coscienza nei confronti dell'aborto. Il Magistero tratta l'argomento non in
documenti specifici, ma all'interno della trattazione di argomenti più ampi. Si veda in particolare:
Conferenza episcopale italiana, Istruzione pastorale sa Comunità cristiana e accoglienza della vita
umana nascente; più brevemente, ma con maggiore autorevolezza, l'argomento è trattato anche
nell'enciclica Evangelium vitae.
Obiezione di coscienza è il rifiuto di eseguire quanto è legalmente prescritto, o anche solo
consentito, da una legge civile, perché ritenuto inconciliabile con convinzioni morali seriamente
maturate. Se ciò avviene in campo sanitario, si parla di obiezione di coscienza sanitaria. Bisogna
distinguere l'obiezione morale da quella legale. Quest'ultima è l'obiezione prevista e regolamentata
dalla stessa legge, con la possibilità di sollevarla senza alcuna conseguenza sull'ufficio che si
ricopre. Si tratta, quindi, di un diritto. L'obiezione morale è invece il dovere di sollevarla, sia o no
riconosciuta nella legge. È ovvio che il porla in caso di mancato riconoscimento legale, costituisce
per il legislatore reato di omissione di atto dovuto, e può esporre il soggetto a conseguenze che lo
penalizzano. Ma ciò non esime dal dovere di sollevarla, da parte di quanti possono essere chiamati
ad aver parte nell'atto in questione, in ragione del loro ufficio.
2) Criterio per operare una scelta moralmente corretta, nel caso di esigenze legittime contrastanti.
Non può che essere quello che si basa su una fondata scala di valori, con la conseguente priorità per
la scelta in cui sono in gioco valori di maggior peso.

3, Soluzione del problema centrale.


La prima scelta di Pier Luigi di rifiutare l'esecuzione di aborti, anche a prezzo di perdere il posto di
lavoro, è stata un encomiabile adempimento di un grave suo dovere.
Non lo è, invece, la scelta di un posto di lavoro lontano dalla famiglia, perché il bene della sua
famiglia costituisce un insieme di valori tale da fare di esso una priorità assoluta. Ne sono conferma
le gravi e dannose conseguenze che ne sono derivate.

Altrettanto da riprovare è l'atteggiamento tenuto nei confronti di Veronica, quando questa gli ha
manifestato l'intenzione di abortire. Un silenzio che Veronica ha potuto interpretare come tacito
consenso. >"

4. Altri problemi.
Come spiegare, in una persona così profondamente onesta, la mancata ricerca di soluzioni
alternative, come, per esempio, lasciare l'attività ospedaliera e passare a quella di Ubero
professionista, restando nella stessa località o poco distante da essa.
E come spiegare il persistere di tale mancata ricerca di un'alternativa, quando essa si è fatta ancora
più imperiosa, cioè quando Pier Luigi ha cominciato a sperimentare l'affievolirsi del suo amore per
la sposa e l'insorgere di una pericolosa simpatia per Veronica.
Infine come spiegare il silenzio davanti a Veronica intenzionata ad abortire, mentre si era mostrato
decisamente contrario all'aborto in ospedale.
Siamo davanti a incoerenze evidenti, ma una spiegazione seriamente fondata è possibile soltanto
sulla base di una conoscenza dello stile di vita e della personalità di Pier Luigi, più ampia di quella
che offre la descrizione del caso.

1. Problema centrale.
Come valutare, in base agli elementi offerti nella presentazione del caso, il comportamento della
coppia e del medico dal punto di vista della responsabilità soggettiva, compreso il ragionamento
con cui il medico cerca di giustificare l'aborto in casi del genere. E, in subordine, verificare chi tra
loro incorre nella scomunica stabilita nel Codice-di Diritto Canonico, in caso di aborto procurato.
2. Dottrina da richiamare.
Nel richiamo di punti dottrinali e giuridici si dà per presupposto quanto è stato già esposto nella
soluzione del caso n. 3, circa la cooperazione al male, e nel caso n. 5 sulle condizioni per incorrere
nella scomunica; queste, però, saranno da completare.
Opportuno è premettere un breve accenno su quanto riguarda la diagnosi prenatale. Si tratta di varie
tecniche, alcune invasive, altre no, per accertare le condizioni di salute dell'embrione e/o del feto.
L'ecografia è tra quelle non invasive.
Per quanto riguarda la responsabilità soggettiva di coloro che partecipano all'esecuzione di un
aborto, l'attenzione dovrà portarsi sulle circostanze di maggior rilievo che possono aggravare
oppure attenuare, o addirittura annullare, tale responsabilità. Una cura particolare dovrà essere data
a quanto riguarda la madre. Essa è la più esposta al rischio di non poter dare una valutazione
oggettiva delle decisioni da prendere; anzitutto perché sta vivendo, di solito, una situazione interiore
di intensa burrasca di sentimenti, di emozioni, di conflitti psichici. Di qui la possibilità di una seria
compromissione sia della necessaria conoscenza valutativa delle cose, sia della vera libertà
interiore. Due condizioni indispensabili perché si dia peccato grave. Si aggiunge spesso il peso di
pressioni dall'esterno, da parte di altri, come il medico, il coniuge, parenti; pressioni che possono
essere determinanti per far superare alla donna le ultime incertezze.
Le condizioni per incorrere nella scomunica, a parte quelle che qui non interessano, come quella
riguardante l'età delle persone in causa, sono:
- accertata gravità del peccato, per la presenza di tutte le condizioni richieste per la
responsabilità del soggetto;
- conoscenza della pena annessa al peccato; l'ignoranza che esime dall'incorrere in pene latae
sententiae è solo quella incolpevole (can. 1324, § 1, comma 9° e § 3); è esclusa perciò l'ignoranza
«crassa» o «supina», cioè dovuta a trascuratezza o disinteresse totale, e quella «affettata», cioè
intenzionalmente voluta per sentirsi più libero di violare una legge (can. 1325). Questa esenzione
dalle pene latae sententiae si dà tutte le volte in cui si verifichi una diminuzione di imputabilità;
l'elenco di tali attenuanti nel can 1324, § 1, è solo esemplificativo, non tassativo.
Su tutto questo argomento, si può utilmente consultare il volume di L. Chiappetta, Il Codice di
Diritto Canonico, voi. II, Edizioni Dehoniane, Napoli 1988, pp. 442-445.

3. Soluzione del problema centrale.


Cominciando da Maria, non sono poche le circostanze attenuanti della sua colpevolezza. La
decisione è maturata in mezzo a una vera burrasca di emozioni e di sentimenti contrastanti; si sono
aggiunte pressioni dall'esterno, da parte del medico e anche di suo marito. Ci si può quindi
fondatamente orientare verso l'ipotesi dell'assenza, o almeno, insufficienza, della libertà interiore,
con la conseguente valutazione di una colpevolezza non grave.
Il medico, invece, è evidentemente il responsabile principale dell'aborto. La fallacia del suo
ragionamento si può cogliere agevolmente, oltre che con l'appello al principio della inviolabilità di
ogni vita umana innocente, rilevando a quali approdi si giungerebbe, per una logica ineludibile,
partendo da quelle affermazioni. Si giustificherebbe così ampiamente l'eutanasia di ogni malato
grave con prognosi infàusta. Un'aggravante della sua colpevolezza è costituita dalla sua professione
di medico, che sa bene che cos'è un aborto e non è influenzato da nessun fattore emotivo.
Il marito di Maria. È evidente la sua complicità. Non altrettanto evidente, ma con fondata
probabilità, si può dire che si tratta di una cooperazione «necessaria», senza la quale Maria non
sarebbe giunta alla decisione di acconsentire alla proposta di abortire, fatta dal medico.
Infine, quanto a Don Livio, si pone l'interrogativo su come deve comportarsi con i due sposi, pur
con i limiti di ogni tentativo di precostituire una traccia di un colloquio pastorale. E importante il
fatto che egli ha davanti a sé una coppia di cristiani convinti e praticanti. Non sarà perciò difficile a
lui, fare luce sulla verità della situazione: tranquillizzare Maria sulla sua non grave colpevolezza;
chiarire, con opportune domande, l'entità della cooperazione di Antonio; a tutti e due ricordare che
qualunque colpa viene con gioia perdonata da Dio, quando chi l'ha commessa è pentito.
Resta ancora da risolvere il problema della scomunica, cioè chi tra le varie persone coinvolte la
incorra. In base alla dottrina ora esposta risulta che non la incorre Maria, dato che non è gravemente
colpevole. La incorre certamente il medico, primo responsabile di quanto accaduto. Quanto ad
Antonio, solo se risulterà con certezza che la sua è stata una cooperazione «necessaria» all'aborto,
incorre anche lui nella scomunica.
Lo schema di soluzione seguito nei casi precedenti non è applicabile al caso in questione. Si tratta,
infatti, non di valutare il comportamento di Marco, ma di rispondere alla domanda: come deve
comportarsi il confessore in un caso del genere?
Per una risposta corretta, oltre a ovvie indicazioni di carattere pastorale quando il penitente è
prossimo alla morte, bisogna individuare ed espone brevemente la dottrina morale circa l'obbligo di
riparare danni economici causati ad altri, e l'impegno in tal senso da parte del penitente, incluso
quanto riguarda le modalità di attuazione di tale obbligo. Questa dottrina si può facilmente trovare
in qualunque manuale di Teologia morale. Saranno i punti dottrinali richiamati a fornire al
confessore i criteri per assumere un comportamento adeguato.

1. L'obbligo di riparare.
Si pone per ogni danno colpevolmente causato. È un obbligo grave se tale è anche il danno. Tale
può essere o il danno in sé stesso, quindi sempre e comunque grave, oppure grave relativamente alle
condizioni del danneggiato. Così, per esempio, rubare cento euro non è un danno grave, se il
derubato è un miliardario, mentre lo è se il derubato è un povero che vive solo di elemosina.
L'esigenza particolare che presentano peccati di questo genere per ottenerne il perdono è l'impegno
serio di ripararli, nella misura concretamente possibile da parte del colpevole. Si tratta di un obbligo
di giustizia, che è parte integrante del pentimento sincero del peccato commesso. Se il danno si è
concretizzato in un furto, la riparazione è costituita dalla restituzione di quanto rubato al legittimo
proprietario. Se la cosa rubata è stata distrutta, venduta, oppure se il danno è consistito nel causare
perdite di beni e di valori ad altri, la riparazione sta nel dare alla persona danneggiata l'equivalente
in denaro capace di compensare l'entità del danno che le è stato infetto.

2. Modalità della riparazione.


Nel caso di una reale impossibilità di effettuare la riparazione, l'obbligo non cessa; viene solo
rinviato nel tempo il suo adempimento, e il colpevole deve impegnarsi a fare, nel frattempo, anche
sacrifici e rinunce per rendersi possibile l'adempimento, almeno parziale e graduale, dell'obbligo
stesso.
Quando il danno è stato opera di più persone, tra loro complici, ognuna è obbligata a riparare la sua
parte, cioè una parte proporzionale all'entità della sua partecipazione.
Chi è colpevole occulto, quegli cioè la cui complicità è rimasta sconosciuta alla gente, può tutelare
il suo buon nome servendosi di altre persone amiche per far pervenire al danneggiato i[ risarcimento
del danno da lui causato.
Vi sono poi diversi casi in cui la persona danneggiata non può essere raggiunta, per esempio, perché
deceduta senza eredi, oppure è emigrata in un Paese lontano; oppure il danneggiato è lo Stato, cioè
la comunità politica. In tutti i casi di impossibilità, quanto è dovuto non può essere lecitamente
trattenuto dal colpevole, ma deve essere da lui dato a quelli che nella società sono sempre titolari
del diritto di essere aiutati, cioè i poveri, o individualmente o attraverso istituzioni e associazioni
impegnate nel soccorso ai bisognosi.

3, Come deve comportarsi il confessore di Marco.


Come già sopra accennato, i criteri di comportamento non sono che la facile applicazione dei punti
ora richiamati. II confessore dovrà, per prima cosa, chiarire a Marco i vari aspetti della situazione.
Responsabile principale di tutti i danni commessi dalla Ditta in cui Marco lavorava è Lucio. Marco
vi ha avuto parte come collaboratore. Di conseguenza, egli è tenuto a riparare solo una parte dei
danni.
I danni causati sono specialmente due:
1) allo Stato, con l'evasione fiscale;
2) all'azienda fatta fallire, con danni sia ai suoi
proprietari, sia agli operai che vi erano addetti.
I danni allo Stato sono facilmente quantificabili; non così l'entità dei danni all'altra azienda e alle
persone coinvolte, ed è praticamente impossibile a Marco raggiungere le singole persone
danneggiate.
La sua colpevolezza, inoltre, è attenuata dal fatto di essere giunto a collaborare non di sua libera
scelta, ma principalmente mosso dal timore di perdere il posto di lavoro.
Date le condizioni di salute di Marco e la brevità di tempo a sua disposizione, il confessore indichi a
Marco la via concretamente possibile per adempiere i suoi obblighi, cioè quella di stabilire per
testamento che tutti i suoi beni dovranno essere destinati a opere di beneficenza di carattere sociale,
come, per esempio: a un orfanotrofio, a una Casa di riposo per anziani, a un Patronato per
disoccupati, alla Caritas, e simili. Dopo che Marco avrà assunto tale impegno, il confessore può e
deve dargli l'assoluzione.

II problema da risolvere è quale valutazione dare al modo di comportarsi dei due confessori nei
confronti del seminarista Nello. Nella soluzione del caso n. 8, del diacono Don Ilario, sono già state
indicate le fonti a cui fare riferimento, quando è in questione l'idoneità a una scelta celibataria da
parte di un candidato al presbiterato.
Su tale base, va tenuto presente che si tratta della situazione di un soggetto ormai adulto, il quale si
mostra incapace di praticare costantemente la virtù della castità, anche in una vita che in
grandissima parte è di studio e di preghiera all'interno delle mura di un seminario, con limitati
contatti col mondo estemo. Appare, allora, evidente che una tale situazione rende priva di
fondamento ogni previsione che in futuro, in una vita che comporta un quasi continuo contatto con
un mondo, qual è quello di oggi, saturo di stimoli sessuali, Nello diventi capace di una vita
celibataria, che implica l'astensione totale, e abitualmente serena, da ogni forma di soddisfazione
degli impulsi sessuali.
Si delinea quindi con chiarezza la risposta corretta al quesito che si è posto al termine
dell'esposizione del caso: dei due confessori è il primo, Don Pino, ad avere agito correttamente, pur
mancando ancora di una matura esperienza. L'altro, Don Fausto, ha agito privilegiando proprio una
scelta già da Paolo VI chiaramente riprovata, cioè quella di «pretendere che la grazia supplisca in
ciò la natura» (enciclica Sacerdotalis caelibatus, n. 64).

È ovvio che, per una motivata soluzione delle domande sollevate dal caso, è necessario e sufficiente
richiamare la normativa che regola l'amministrazione del sacramento della Penitenza. Le norme
essenziali sono contenute nel Codice di Diritto Canonico, nel capitolo dedicato a tale sacramento,
limitatamente ai canoni 959-964, 978 § 2 e 988. Il canone 978 può considerarsi come una premessa
generale nel nostro caso, in quanto stabilisce il carattere obbligatorio delle norme emanate «dalla
competente autorità», per il motivo che il confessore è «ministro della Chiesa». È da notare che la
nonnativa codifica spesso norme emanate da tempo dalla Chiesa, specialmente nel Concilio di
Trento, il quale non ha mancato di definire che l'obbligo di accusare i propri peccati è di diritto
divino (Sess. XIV, can. 7). Oltre al Codice, nonne più dettagliate sono nel nuovo Ordo paenitentiae,
facilmente reperibile in traduzione italiana curata dalla Cei, con il titolo Rito della Penitenza.
Interessano qui soprattutto vari punti
delle Premesse. Una sintesi autorevole della normativa offre il Catechismo della Chiesa Cattolica,
nei paragrafi dedicati a «La celebrazione del Sacramento della Penitenza» (§§ 1480-1484).
Basterà qui ricordare qualcuno dei punti essenziali, desunti dal Catechismo. La «celebrazione
comunitaria della riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale» è ammessa solo
«in casi di grave necessità [...]. Spetta al vescovo diocesano giudicare se riconano le condizioni
richieste [...]. Una considerevole affluenza di fedeli in occasione di grandi feste o di pellegrinaggi,
non costituisce un caso di tale grave necessità» (n. 1483).
Risulta perciò evidente l'inaccettabilità delle scelte compiute dal parroco Don Filippo e la
correttezza delle rilevazioni fatte dall'altro parroco, Don Pasquale. Non è in questione l'essere
«progressisti» o «conservatori», ma l'essere fedeli o no alla condizione di «ministri», e non di
«padroni», nell'amministrazione dei sacramenti.
Dal punto di vista pastorale si può notare che non è certo la via scelta da Don Filippo quella capace
di risvegliare nelle coscienze il senso del peccato e il valore del sacramento della Penitenza. Per
quella via si giunge piuttosto a confermare le deficienze di fede e di vita cristiana, diffuse nella sua
comunità panocchiale.

Il problema da risolvere è come deve comportarsi il confessore in casi del genere. Si dovrà perciò
anzitutto chiarire che cosa si intende per idee e impulsi ossessivi, fobie, e quale influsso hanno sulla
responsabilità della persona che ne soffre. Tale chiarimento è reperibile in un Dizionario di
Psichiatria o anche di Psicologia.
Nella consapevolezza che abbinare brevità e precisione sull'argomento è quasi impossibile, data la
complessità di tali fenomeni, ecco un tentativo di sintesi dell'essenziale.
Utile appare una premessa. Quando si tratta di «imputabilità», il riferimento è al grado di
consapevolezza e di libertà con cui il soggetto agisce in una data situazione. I fattori capaci di
influenzarlo possono essere interni oppure esterni. Interni sono, per esempio, dimenticanza,
ignoranza, sonnolenza, eccetera; esterni sono: minacce, costrizioni, violenza, eccetera. Alcuni
fattori incidono sulla consapevolezza, altri sulla libertà di scelta.
1) Idee ossessive. Col termine «idee» si inten-
dono contenuti psichici conoscitivi di vario tipo:
concetti, affermazioni, ragionamenti, ricordi, im-
maginazioni, valutazioni. La qualifica di «osses-
sive» riguarda idee irrazionali, insistenti neh' im-
porsi all'attenzione del soggetto, anche in contra-
sto con la sua volontà.
Quando le idee ossessive riguardano il campo della moralità delle proprie azioni, vedendo peccati
inesistenti o almeno molto maggiorati rispetto alla realtà e, in persone di fede cattolica, con la
ripetizione delle confessioni per l'idea di non aver accusato come dovuto i propri peccati, tali idee
ossessive sono denominate «scrupoli».
Si tratta di un fenomeno psichico più o meno patologico in sé stesso; inoltre spesso sintomo di uno
stato patologico, o malessere, di tipo nevrotico.
Il soggetto è consapevole della irrazionalità di quelle idee, vuole sinceramente sbarazzarsene, ma
finisce per ottenere l'effetto contrario quando si sforza di farlo.
2) Con impulsi e fobie si passa dall'ambito co-
noscitivo a quello affettivo nella vita psichica.
Impulso è una spinta interiore a porre un determinato atto, indipendentemente da ogni libera scelta
del soggetto.
Fobia è uno di tali impulsi, cioè una spinta a fuggire da un dato luogo, situazione, eccetera, in
seguito a un senso di paura del tutto immotivata e irrazionale. L'ossessività è come per le idee.
Quando la fobia ha per oggetto l'ambiente esterno, si danno due tipi dì fobia: la claustrofobia, che
rende intollerabile stare in luoghi chiusi, e l'agarofobia che riguarda invece luoghi aperti, come
piazze e strade. C'è da aggiungere che, quando sì tratta di impulso particolarmente folte e ossessivo,
il passaggio all'atto può essere incoercibile. In tal caso l'impulso è detto anche «anancastico» o
«necessitante». Tutto nella piena consapevolezza del soggetto.
3) La valutazione dell'imputabilità di atti posti sotto impulsi ossessivi, come pure di idee ossessive,
non è cosa semplice, a parte le fobie. Bisogna, infatti, verificare anzitutto quale rapporto c'è tra tali
idee, impulsi, e lo stile abituale di vita della persona, il suo mondo interiore di scelte libere e
consapevoli. Così, per esempio, idee e impulsi ossessivi in campo sessuale, in un soggetto dalla vita
dissoluta e viziosa, sono evidentemente imputabili, mentre in un soggetto con una seria
impostazione di vita onesta e un impegno abituale di vita casta, appare fondata una valutazione di
non imputabilità.
Quando però il fenomeno investe più campi, o àmbiti, di vita, è chiaro che si è davanti a una
personalità disturbata nel suo insieme. Siamo, dunque, in psicopatologia, e il problema è
decisamente clinico, non morale. Ho detto «a parte le fobie», perché queste sono sempre un
problema solo psichico, non morale; di competenza, perciò, non del confessore, ma dello psicologo
o dello psichiatra. Il confessore può solo aiutare a evitare un supplemento di danno, qual è quello di
angustie di coscienza fuori luogo.
Sulla base di questi chiarimenti, si può delineare la linea che deve tenere il confessore. Quelli di
Luisa sono problemi non morali, ma di carattere psiclùco. Competente per risolverli non è, quindi, il
confessore da solo, ma in collaborazione con uno psicologo o uno psichiatra. Come anche
l'esperienza ha dimostrato nel caso di Luisa, consigli ed esortazioni del confessore non sono
sufficienti, restano anzi inefficaci. Il confessore, perciò, si impegni a persuadere Luisa a rivolgersi a
uno di tali professionisti. Persuadere soggetti come Luisa a fare un passo del genere è, di solito,
difficile. Ci vuole quindi molta pazienza nell'ascoltare, nel ripetere anche le stesse cose, in attesa di
raggiungere il risultato. Dopo un certo tempo, però, occorre fermezza nell'esigere che la penitente,
per obbedienza, faccia sua l'indicazione del confessore.
C'è comunque un'indicazione, non risolutiva certamente, ma molto utile, che il confessore può dare
subito a Luisa: lottare direttamente contro tali idee e fobie è proprio la tattica più sbagliata e
dannosa. Tale tattica, infatti, non fa che fissare maggiormente tutta l'attenzione su di esse, col
risultato di renderne più intensa l'azione e più persistente la loro presenza. Tattica migliore, perché
aderente alla realtà, è cercare di comportarsi interiormente come se quelle fantasie fossero nella
testa di un'altra persona; sono, infatti, del tutto estranee e lontane da ogni libera scelta di Luisa.
Per evitare poi il rischio che Luisa incappi in un professionista o rigidamente freudiano, o
comunque legato a un'antropologia atea o materialista, sarà opportuno che il confessore includa
abitualmente, tra le cose utili per il suo ministero, l'avere a disposizione qualche preciso indirizzo da
fornire alla persona interessata. Se però egli opera in una città in cui esiste un Consultorio di
iniziativa cristiana, la prima indicazione da dare sarà proprio questa, che garantisce la presenza, o la
collaborazione, di professionisti competenti e pienamente rispettosi delle convinzioni religiose di
chi a loro si rivolge. In ogni caso, dovrà impegnare Luisa a dare allo psicologo la facoltà di
informare il suo confessore su ogni elemento che risulti utile per una vera collaborazione.
E infine ovvio che non venga accolta la richiesta di Luisa di fare ancora una volta una confessione
generale.

Come per altri casi, il problema è quello di valutare il modo di comportarsi di padre Giovanni in
confessionale e le ragioni con cui intende giustificarlo.
Ancora prima di scomodare la dottrina da richiamare, basta un minimo di esperienza e di riflessione
per orientarsi verso una valutazione negativa. Ma, in questa sede, occorre motivare ogni
valutazione. Se quel modo sbrigativo padre Giovanni lo usasse solo con penitenti assidui al
sacramento e immuni da peccati mortali, mentre ci sono numerosi altri penitenti in attesa, per
dedicare ad altri il tempo dovuto, il suo comportamento sarebbe encomiabile. Ma così non è.
Tra gli obblighi del ministro del sacramento della Penitenza c'è anche quello di assicurarsi che siano
presenti tutte le condizioni per la sua validità e fruttuosità. Fa parte di tale compito anzitutto quello
di interrogare, con prudenza, il penitente che accusa peccati gravi in modo insufficiente, come, per
esempio, senza indicare la specie, il numero di volte in cui ha peccato o circostanze specificanti,
senza dire nulla delle occasioni in cui più facilmente pecca. Un caso, questo, molto frequente
quando si tratta di persone che si accostano al sacramento solo in occasione della Pasqua o poco di
più. Un'accusa generica, e magari fatta con chiara indifferenza, fa sorgere anche il dubbio fondato
che manchino le disposizioni richieste, cioè un vero pentimento per motivi di fede e il proposito
fermo di evitare d'ora in poi i peccati e le occasioni prossime di commetterli. E il confessore ha
l'obbligo di cercare di suscitare le opportune riflessioni nel penitente e di esortarlo a un vero
pentimento, indicandogli anche mezzi e cambiamenti da introdurre nella sua vita per avviare un
vero cammino di conversione.
Non tenendo conto di tutto questo, padre Giovanni opera nel rischio frequente di amministrare il
sacramento privo di validità e di fruttuosità, con evidente grave danno per i penitenti, i quali,
ritenendosi perdonati, non torneranno più ad accusare quei peccati, con conseguente rischio di
dannarsi. È noto il detto di san Francesco Saverio: «Molto meglio poche confessioni ben fatte che
molte temerariamente affrettate». Anche sant'Alfonso si dimostra più volte giudice severo di
sacerdoti che amministrano il sacramento in modo frettoloso, fino ad affermare: «Molti per la loro
eccessiva facilità sono la causa per cui tante anime vanno in perdizione».
Si può aggiungere un accenno all'intervento del suo superiore religioso. Se padre Giovanni si
mostra ostinato nel suo modo di procedere, anche dopo ripetuti richiami, egli ha il dovere di
proibire a lui di esercitare il ministero della confessione Si tratta, infatti, della salvezza eterna di
molte anime, e vale il noto assioma: «Salus anima-rum suprema lex».
1. Problema centrale.
La valutazione del diverso comportamento dei due confessori.

2. Dottrina da richiamare.
1) Come valutare, dal punto di vista della colpevolezza soggettiva, ('abitudine di bestemmiare.
Quando la causa delle bestemmie è l'accendersi della passione dell'ira, quanto più intensa è tale
passione, tanto minore è la colpevolezza. Esplicita è in tal senso la dottrina anche di san Tommaso
d'Aquino: «Quanto maggiore è l'impulso della passione, tanto minore è il peccato» (II.II, q. 154, a.
3, ad 1). Si tratta di quei moti detti «primo primi», che precedono ogni avvertenza. Ma se il soggetto
non si impegna a controllare la sua ira, non è esente da colpevolezza in causa. Se, invece, causa
delle bestemmie è proprio l'abitudine, per cui il soggetto bestemmia anche in assenza di ogni moto
di ira, l'abitudine liberamente contratta aggrava la sua colpevolezza.
2) Criteri circa il dare, differire, negare l'assoluzione da parte del confessore. Si possono ricavare da
quanto stabilito nel can. 980 del Codice dì Diritto Canonico: «Se il confessore non ha dubbi sulle
disposizioni del penitente e questi chieda l'assoluzione, essa non sia negata né differita». Dunque,
obbligo di darla quando il confessore non ha motivi per mettere in dubbio la presenza delle
disposizioni richieste; obbligo di negarla, se il sacerdote ha la certezza del contrario; obbligo di
differirla nel caso di dubbio, oppure, si può aggiungere, se questa scelta è dettata dal maggior bene
del penitente.

3. Soluzione del problema centrale.


Se il primo confessore, Don Angelo, ha già altre volte confessato Sandro, è in grado di mettere
fondatamente in dubbio la dovuta sincerità del suo pentimento e la fermezza dei suoi propositi,
mentre la gravità della sua colpevolezza è evidente almeno nei casi in cui è solito bestemmiare
senza che a ciò sia spinto da un impeto di collera. Don Angelo, perciò, ha fatto una scelta corretta
dilazionando l'assoluzione e corretto è stato anche il modo con cui l'ha fatta. Se, invece, è stata
quella la prima volta che confessa Sandro e non ha cercato di conoscere meglio la sua situazione, la
scelta fatta sembra affrettata e troppo severa.
Senz'altro errato appare, invece, il comportamento del secondo confessore, Don Giulio. Egli ha
seguito l'errata concezione, avanzata da alcuni moralisti, i quali hanno affermato che, perché ci sia
peccato mortale, è necessaria l'esplicita volontà di offendere Dio. Una tesi anche recentemente
riprovata dal Magistero nella Esortazione apostolica postsinodale Reconciliatìo etpaenìten-tia: «Si
dovrà evitare di ridurre il peccato mortale ad un atto di "opzione fondamentale" - come oggi si suol
dire - contro Dio, intendendo con essa un esplicito e formale disprezzo di Dio o del prossimo. Si ha,
infatti, peccato mortale anche quando l'uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie
qualcosa di gravemente disordinato» (§ 17, capoverso penultimo). E chiaro, perciò, che Don Giulio
ha commesso un grave errore nel valutare la colpevolezza di Sandro e nella conseguente
assoluzione a lui concessa. Oltre che errore grave, egli commette anche sacrilegio, dato che la sua
ignoranza dottrinale non è in alcun modo scusabile.

4. Alni problemi
Sono solo di carattere pastorale. Nell'indurre Sandro a un sincero pentimento e fermo proposito di
non bestemmiare più, è più che opportuno rendere il penitente consapevole del fatto che le
prevedibili ricadute in qualche bestemmia, data la forza dell'abitudine, non costituiscono peccato
mortale, essendo atti compiuti contro la sua sincera volontà. Questo è utile che Sandro lo sappia per
prevenire lo scoraggiamento, e quindi la rinuncia a ogni impegno, nella convinzione che tutto è
inutile.
Altro suggerimento pratico sarà quello di dare a Sandro l'indicazione di esercitarsi a proferire
espressioni tali che, grazie a una lieve storpiatura di parole, l'espressione perde ogni significato
blasfemo, come, per esempio: «porca matosca!», «porco diavolo!» e simili.

Per dare una risposta fondata al quesito sollevato da questo caso è necessario fare riferimento a
direttive e orientamenti dati in materia dal Magistero, e già indicati nella soluzione del caso n. 8. Ad
essi però è molto utile, nel nostro caso, aggiungere un passo di un documento della Congregazione
per l'Educazione Cattolica, in forma di «Memorandum», indirizzato ai vescovi degli Stati Uniti il 9
luglio 1995, non reso pubblico nelle fonti ufficiali della Santa Sede, ma di cui ha citato alcuni brani
l'allora Segretario della stessa Congregazione, mons. José Sa-raiva Martins, in un incontro con i
rettori dei Seminari della Sicilia nello stesso anno; la sua Relazione fu pubblicata sulla rivista
Seminarium 25 (1995), pp. 802-812.1 brani che qui interessano sono i seguenti: «Non deve essere
accettato [...] un candidato che tende a un'eccessiva familiarità con le ragazze, anche se in modo
casto». Utile anche la successiva citazione, di portata generale: «Per l'ammissione in seminario si
richiede un alto standard di castità e di integrazione della personalità».
In base a questi riscontri non sarà difficile dare una risposta motivata al quesito sollevato dal caso.
Risulterà evidentemente corretto il modo di agire del secondo Direttore spirituale; da disapprovare,
invece, quello del pruno, che, inoltre, si assume serie responsabilità davanti a Dio e alla Chiesa, per
le prevedibili conseguenze che un errore del genere avrà sia sul soggetto stesso, sia sulla comunità
cristiana. Si tenga pure presente che per giungere a una doverosa valutazione di non idoneità non è
necessaria una certezza, ma è sufficiente anche il dubbio, in base al criterio, accolto anche in
documenti del Magistero, che nel dubbio si deve fare la scelta più sicura: «In dubìo pars iutìor est
sequenda».

/. Problema centi-ale.
Evidentemente è il comportamento del primario, prof. Rossi, e le ragioni con cui giustifica le sue
scelte.

2. Dottrina da richiamare.
Gli insegnamenti anche recentemente e ampiamente proposti dal Magistero della Chiesa, nella
Dichiarazione sull 'eutanasia, del Pontificio Consiglio per la Dottrina della Fede, e autorevoUnente
confermati nell'enciclica Evangelium vitae.
Data la persistente confusione circa il significato del termine, occorre anzitutto richiamare la precisa
definizione che ne dà la citata Dichiarazione: «Per eutanasia s'intende un'azione o un'omissione che
di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L'eutanasia si
situa, dunque, al Uvello delle intenzioni e dei metodi usati» (§ II). Subito dopo segue la valutazione
morale dell'eutanasia, ma conviene riportare quella, più autorevole, che ne dà la citata Enciclica: «In
conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i vescovi della Chiesa
Cattòlica confermo che l'eutanasia è lina grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione
deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana [...]. Una tale pratica comporta, a
seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell'omicidio» (§ 65).
3. Soluzione del problema centrale.
Sul piano della moralità oggettiva è evidente la gravità del disordine morale della decisione del
prof. Rossi, e l'insostenibilità delle argomentazioni addotte per giustificarla. A quanto ora riportato
dei chiari insegnamenti del Magistero della Chiesa, si può aggiungere che qui è in questione
finvìolabilità della vita umana, col relativo principio per cui ogni diretta violazione di essa è un
disordine intrinsecamente e gravemente illecito.
Sul piano della responsabilità soggettiva, dato l'abituale stile di vita del primario e la conferma da
parte del cappellano della liceità delle sue idee, è legittimo pensare che il prof. Rossi abbia agito in
buona fede e, conseguentemente, senza commettere peccato.

4. Altri problemi.
La valutazione morale del comportamento del cappellano dell'ospedale. E determinante la sua
approvazione a quanto progettato dal primario, e non esiste alcuna attenuante. L'eventuale ipotesi
che egli ignori la dottrina della Chiesa in tema di eutanasia, sarebbe piuttosto un'aggravante.
Da valutare pure la pronta obbedienza del medico a ordini del suo primario, senza curarsi della loro
grave negativa valenza morale. Il rifiuto di obbedire ai legittimi superiori è doveroso persino per
religiosi che hanno emesso il voto di obbedienza, nel caso che l'ordine dato dal legittimo superiore
sia eticamente inammissibile.

7. Problema centrale, anzi unico.


È facilmente individuabile: dare una valutazione morale del comportamento di Don Ilario e delle
ragioni che egli adduce per giustificarlo.

2. Dottrina da richiamare.
Quanto riguarda principi e criteri circa l'esporre a pericolo la vita propria. Si dovrà, per questo,
consultare un manuale di Teologia Morale, nella parte riservata a problemi di morale della vita
fisica.
La vita è dono prezioso di Dio, ed è ovvio che esporsi alla leggera a pericolo di perderla,
equivarrebbe a disprezzarla. Ma non si può spingere la difesa della vita come se fosse il valore
supremo a cui tutto può e deve essere sacrificato. Ci sono valori per la cui salvaguardia è lecito, e a
volte persino doveroso, esporre la via a pericolo anche estremo. Si pensi ai martiri di tutti i tempi,
che non hanno esitato a rischiare la vita pur di non perdere il valore della fedeltà a Dio. Si
comprende così il principio generale: esporre a pericolo la propria vita è lecito per una ragione
proporzionatamente grave. Si richiede, cioè, una ragione tanto più grave, quanto più elevato è il
pericolo.
Oltre che lecito, l'esporre a pericolo la propria vita è doveroso quando ciò sia richiesto
dall'adempimento di compiti connessi con una professione indirizzata direttamente e specificamente
a servizio di beni fondamentali nella comunità civile o in quella religiosa. Per esempio:
- la professione medica e sanitaria, a servizio della vita e della salute di tutti;
- le professioni a servizio dell'incolumità e sicurezza civile, nei vari corpi di polizia;
- le professioni a sevizio dei cittadini in pericolo, nei corpi di vigili del fuoco e della
protezione civile, o del soccorso alpino;
- la professione ministeriale, nelle varie religioni, a servizio delle necessità spirituali e morali
dei credenti.

3. Soluzione del problema.


Dalla dottrina ora esposta risulta, fra l'altro, che l'esporre a pericolo la vita propria, da parte di Don
Ilario, nelle circostanze descritte nel caso, è non eroico ma semplicemente doveroso, dato che ciò
rientra normalmente nell'esercizio della sua professione a servizio delle necessità spirituali dei
fedeli. Scelta e ragionamento di Don Ilario sono simili a quelli del ben noto Don Abbondio del
Manzoni.

1. Problema centrale.
La valutazione morale del dono di un proprio organo pari, per gravi ragioni, e, conseguentemente,
valutazione delle due tesi opposte con i relativi argomenti di sostegno.

2. Dottrina da richiamare.
Ovviamente, quanto riguarda gli aspetti etici del trapianto di organo. Non esistono documenti del
Magistero specificamente dedicati a questo tema, tranne un breve accenno nell'enciclica
Evangelium vitae, che conviene riportare perché notevolmente pertinente per il nostro caso. Si trova
nella Sezione dedicata al «celebrare il Vangelo della vita» (§§ 83-86). Parlando di «gesti eroici» in
tal senso, il Pontefice accenna anche a «l'eroismo del quotidiano» e dice: «Tra questi gesti merita
particolare apprezzamento la donazione di organi compiuta in forme eticamente accettabili, per
offrire una possibilità di salute e perfino di vita a malati talvolta privi di speranza» (§ 86). Ma per la
soluzione del nostro caso sono necessari altri elementi circa gli aspetti etici dei trapianti di organo.
Si dovrà per questo ricorrere a qualcuno dei testi di Bioetica, oppure a monografie sui trapianti.
Per quanto riguarda la donazione di organi da vivente, occorre tener distinta la valutazione morale
da quella giuridica. Punti in comune sono la valutazione positiva della donazione di un organo da
vivente e la sua limitazione ai cosiddetti organi pari, specialmente i reni, dato che la funzione vitale
in questione viene sufficientemente assolta anche dal solo organo residuo. Dal punto di vista
giuridico la cessione di un organo a pagamento, negli Stati che hanno emanato una legge sui
trapianti, è severamente vietata e punita. Un divieto dettato non dal considerare il comportamento
come un reato, ma allo scopo di prevenire gli inevitabili e gravi abusi, di cui sarebbero vittima i più
poveri e disperati. Come è tristemente dimostrato da quanto si verifica in Paesi poveri, dove una
legge sui trapianti non è neppure pensabile, data rirrinunciabile esigenza di attrezzature tecniche e
di personale medico specificamente preparato: pazienti di Paesi ricchi, in lista di attesa di un
trapianto, con la complicità di sanitari locali, comprano l'organo da trapiantare. Dal punto di vista
morale, invece, non come valutazione generale, ma caso per caso, non si vede che cosa obiettare a
una persona che, non per ricavarne un guadagno, ma per trovare una via d'uscita da una situazione
insopportabile per sé stessa, e più ancora se vi è coinvolta la famiglia, decidesse di mettere in
vendita un suo rene, non intravedendo altre concrete possibilità';

3. Soluzione del problema.


Dalla dottrina morale ora esposta, sulla donazione di organi da vivente, risulta corretta la soluzione
del problema proposta dal moralista. Don Sergio, invece, avrebbe ragione se la vendita di un
proprio organo fosse fatta a scopo di lucro; questo solo, infatti, sarebbe mercimonio. Mentre Gianni
pensa di farlo unicamente per tirar fuori sé stesso e la sua famiglia da una situazione debitoria, che
minaccia di avere gravissime conseguenze per loro.

4. Altri problemi.
Sono solo di ordine pastorale. La comunità ecclesiale locale non può ignorare situazioni del genere.
Il parroco, in particolare, se non le conoscesse, rivelerebbe una inescusabile scarsa conoscenza delle
famiglie della parrocchia a lui affidata. Se non esiste in parrocchia nessuna associazione di
volontariato caritativo (cosa che sarebbe un'altra deplorevole lacuna), o se le risorse locali non
avessero la possibilità di dare adeguata soluzione a un caso del genere, resterebbe da percorrere la
via di ricorrere a qualche organismo diocesano, come la Caritas, anche per prevenire decisioni
disperate da parte di chi ha bisogno estremo di aiuto.

Si tratta anche qui di un caso di confessione. Il problema da risolvere è quello di dare una
valutazione motivata circa il modo di comportarsi dei due confessori, Don Lorenzo e padre Alfonso.
Elemento determinante per tale valutazione è la corretta dottrina morale della Chiesa sui rapporti
sessuali prematrimoniali. È dottrina professata dalla Chiesa fin dagli inizi, che l'ambito unico in cui
è lecito l'esercizio della sessualità è quello matrimoniale. Una posizione in netto contrasto con i
costumi e le concezioni del paganesimo al principio, e oggi con i costumi e le concezioni della
cultura dominante, che professa il diritto alla libertà sessuale illimitata e irresponsabile. Dovrebbe
già bastare questo per dare una valutazione morale negativa dei rapporti sessuali prematrimoniali. E
così è stato fino a tempi recenti, fino a quando, cioè, alcuni teologi moralisti hanno sostenuto la
liceità di tali rapporti in determinate circostanze, come quelle presenti nel nostro caso. Ed è stato
questo uno dei motivi che hanno indotto il Magistero a pubblicare un documento, in forma di
Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede «Su alcune questioni di etica
sessuale», che inizia con le parole «Persona fiumana» (29 dicembre 1975).
L'essenziale circa il nostro caso è nel brano seguente: «Molti oggi rivendicano il diritto all'unione
sessuale prima del matrimonio, almeno quando una ferma volontà di sposarsi e un affetto, in
qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, richiedono questo completamento, che
essi stimano connaturale; ciò soprattutto quando la celebrazione del matrimonio è impedita dalle
circostanze esterne [...]. Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana, secondo la quale
ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio» (§ 7).
Non si tratta dunque di un insegnamento nuovo, ma solo di una riconferma della dottrina
tradizionale, resa opportuna, anzi necessaria, davanti al diffondersi di errori gravi in proposito.
Appare così evidente che il primo confessore, Don Lorenzo, ha accettato le concezioni erronee da
poco comparse, mentre il secondo confessore, padre Alfonso, ha agito in piena correttezza. Questo
sul piano dottrinale.
Sul piano pastorale, inoltre, Don Lorenzo ha la responsabilità di indurre in errore la coscienza di
Walter e di Rosy e di spingerli a perseverare in comportamenti gravemente disordinati. Padre
Alfonso, invece, oltre a riportare sulla via della verità i due giovani, ha avuto tatto nel mostrarsi
comprensivo della difficoltà in cui si trovano i due nel viverla, e ha dato opportuni suggerimenti
concreti per superarla.

Anche in questo, come in altri casi, il problema è il comportamento adottato dal confessore, padre
Pietro, e non quanto riguarda la contraccezione.
Ha fatto certamente bene, padre Pietro, nel dedicare ampio tempo alla spiegazione dei motivi che
giustificano la condanna morale della contraccezione e a richiamare l'esigenza di accogliere la
dottrina della Chiesa in materia. Non altrettanto si può dire, invece, della decisione di dare a Lucia
l'assoluzione e del principio in base al quale ha creduto di giustificarla. La coscienza erronea,
infatti, è legittima norma di moralità solo se l'errore è incolpevole. Ma, nel nostro caso, il rifiuto
della verità morale e della stessa dottrina della Chiesa appare evidentemente dettato dalla volontà di
non accogliere una verità scomoda, date le esigenze che deriverebbero dalla sua accettazione nel
comportamento da assumere. Si tratta, dunque, di un errore tutt'altro che incolpevole.
Anziché concedere l'assoluzione, la scelta legittima e anche pastoralmente preferibile sarebbe stata
non quella di negare l'assoluzione, ma di differirla, esigendo da Lucia l'impegno di riflettere su
quanto le è stato esposto, di pregare lo Spirito Santo di aprirle l'anima alla verità e di tornare dopo
qualche giorno. Se poi, al suo ripresentarsi, Lucia si dimostrasse ostinata nel proprio rifiuto, al
confessore non resterebbe che negare l'assoluzione, dopo aver manifestato tutto il suo dispiacere nel
vedersi costretto a tale decisione, e addueendo la giustificazione che un'assoluzione data in quelle
condizioni non solo sarebbe nulla, ma aggiungerebbe ai peccati già commessi un altro e più grave
peccato, quello di sacrilegio.
Vari aspetti dottrinali circa l'aborto, compresa la questione della scomunica, sono già venuti in
questione in alcuni casi precedenti. Non è perciò il caso di richiamarli tutti e ampiamente, ma sarà
sufficiente un richiamo per accenni degli elementi necessari per la soluzione del caso presente.
Una rilevazione previa, però, si impone sulla vicenda nel suo insieme. Essa è come caratterizzata da
una grave disumanità da parte di quanti si occupano di Francesca. Né il tribunale, né il tutore si
sono prospettati la soluzione migliore, cioè quella di cercare una famiglia disposta ad adottarla. Il
tribunale inoltre, da quello che risulta successivamente, l'ha dichiarata «incapace di intendere e di
volere», mentre tale decisamente non è la ragazza. E le cose si ripetono davanti alla gravidanza
sopraggiunta: nessuno pensa, come alternativa preferibile all'aborto, di porre il bambino, una volta
nato, in stato di adottabilità, qualora l'incapacità educativa della madre risultasse confermata dai
fatti.
Venendo ora ai particolari quesiti posti dal caso, va richiamata anzitutto la grave illiceità di ogni
aborto direttamente procurato, e questo sempre e comunque. I veri responsabili dell'aborto sono il
tutore che lo ha richiesto e i sanitari che lo hanno eseguito; il fatto che questi agiscono in base a
disposizioni di legge non scalfisce neppure minimamente la loro grave responsabilità morale.
Per quanto riguarda la scomunica, tra le varie condizioni richieste per incorrerla, l'unica da
verificare è la conoscenza, in questi soggetti, della pena stabilita dalla Chiesa per l'aborto. Questa
ignoranza non è seriamente ipotizzabile nei sanitari; non è, invece, da escludere per il tutore. Il caso,
però, non fornisce nessun elemento utile in proposito.

Per dare una risposta correttamente motivata all'interrogativo che solleva il caso, è necessario
anzitutto richiamare brevemente l'essenziale circa le esigenze che pone la situazione di un'occasione
prossima e libera di peccato. Un concetto sufficiente di occasione di peccato e di occasione
prossima è largamente diffuso tra i fedeli, dato che tali termini compaiono nella stessa formula in
uso dell'«atto di dolore» nel sacramento della Penitenza. E vi compare pure il proposito di «evitare
le occasioni prossime di peccato». Resta da precisare la qualifica di occasione «libera», che si
contrappone a «necessaria». «Libera» è l'occasione che si può evitare senza dovere per questo
affrontare qualche sacrificio consìstente, ma è sufficiente la sincera buona volontà. Chiaramente è
inclusa, come sua parte integrante, in un sincero pentimento del peccato commesso.
Inoltre, per quanto riguarda l'assoluzione, come è stato già richiamato in un caso precedente, il
penitente che presenta le condizioni richieste ha il diritto di ricevere l'assoluzione, e il confessore ha
il dovere di darla.
Venendo ora ai due confessori, iniziamo col primo, il padre Cristoforo. Adottare spesso la scelta di
differire l'assoluzione appare, già in prima battuta, moralmente scorretto e pastoralmente dannoso.
Mettere in dubbio la sincerità di un proposito, per il fatto che non è poi stato fedelmente mantenuto,
presuppone la pretesa che l'uomo sia dotato di una capacità costante di coerenza. Se così fosse,
basterebbe qualche mese di buoni propositi per raggiungere la santità. La mancanza di fedeltà a un
proposito preso sinceramente si spiega con un cambiamento della volontà e, salvo eccezioni, non
autorizza a mettere in dubbio la sincerità del proposito preso a suo tempo. Differire solo per un
motivo del genere l'assoluzione di un penitente che afferma di essere pentito, e di voler rinnovare il
proposito, implica la negazione del diritto del penitente debitamente disposto a ricevere subito
l'assoluzione.
Dal punto di vista pastorale, poi, la frequenza di tale indebita scelta finisce per ottenere risultati
opposti a quelli che si ripromette padre Cristoforo, cioè: allontana i fedeli dal sacramento. Quello
che, invece, va fatto per rendere il penitente più capace di superare la sua difficoltà, è il porgergli
paternamente consigli e indicazioni concrete per rafforzarne la volontà, come, per esempio: dare
alla preghiera abitualmente uno spazio maggiore nella giornata, avere l'umiltà di invocare l'aiuto del
Signore nel momento della tentazione, aumentare la frequenza dei sacramenti della Penitenza e
della Comunione, recarsi sempre dallo stesso confessore per essere meglio guidato e sostenuto nel
cammino.
Quanto all'altro confessore, è chiaro che egli fa la scelta opposta a quella di padre Cristoforo. Si
passa da un eccesso al suo opposto. L'eccesso è di escludere in modo assoluto ogni altra scelta.
L'uno e l'altro sembrano non conoscere l'appello alla prudenza del confessore nel valutare caso per
caso quale sia la scelta preferibile o, addirittura doverosa.
Senza poter qui esaurientemente svolgere l'argomento, come prima indicazione di massima si può
dire che bisogna distinguere due grandi tipi di penitenti: quelli che si confessano solo una o due
volte ogni anno e quelli che si accostano con una buona frequenza al sacramento. Per i primi
sarebbe di danno la scelta di dilazionare l'assoluzione, perché è troppo alto il rischio che non si
presentino di nuovo entro un ragionevole spazio di tempo. Il confessore dovrà piuttosto fare quanto
è possibile per suscitare in loro le dovute disposizioni di pentimento e di proposito, e dare quindi
l'assoluzione. Per gli altri, invece, non si possono escludere situazioni in cui appaia pastoralmente
vantaggioso per il penitente la dilazione dell'assoluzione, non imposta, ma paternamente proposta
dal confessore e accettata dal penitente.

Siamo davanti a un caso di tipo misto, cioè con elementi dei casi sia del primo tipo, sia del secondo.
/. Problema centrale.
È anzitutto la valutazione morale dell'uso di materiale pornografico in generale, e in particolare da
parte di un candidato al presbiterato, che comporta, tra l'altro, l'impegno dì una vita celi-bataria. Ne
seguirà, quasi ovvia, la valutazione del comportamento dei due confessori.
2. Dottrina da richiamare.
Occorre precisare attentamente concetti ed esigenze morali che si pongono nei confronti della
pornografia. Questo termine, infatti, fa riferimento a realtà notevolmente diversificate. L'elemento
di fondo è la presentazione volutamente pensata e realizzata in modo da soddisfare curiosità
morbose, fino a favorire la patologia denominata voyeurismo e provocare l'eccitazione sessuale. Si
danno gradazioni diverse di oscenità; se ne possono qui indicare due: la prima incidentale e
transitoria, costituita solo da qualche scena erotica all'interno di un insieme per lo meno passabile,
se non addirittura positivo; la seconda, quando l'intera intelaiatura dell'esposizione è incentrata su
un susseguirsi di scene platealmente oscene.
La liceità di accesso a pubblicazioni del genere è possibile solo per la pornografia di grado minimo.
Lo è quando si ha un motivo serio per farlo. Mai lecito, invece, l'uso di pubblicazioni interamente
pornografiche. Come conferma di tale valutazione si può addurre anche il fatto che, quando esisteva
l'Indice dei libri proibiti, la concessione dell'autorizzazione a leggerli per motivi di studio escludeva
sempre esplicitamente ogni libro osceno. La asserita necessità di conoscere anche questo genere di
pubblicazioni è meramente pretestuosa.
Quando poi l'utente è un candidato a una scelta di vita celibataria, oltre a quanto appena detto e che,
ovviamente, vale anche per lui, si aggiunge l'esigenza di una verifica della sua idoneità a tale scelta,
in base a criteri già esposti in casi precedenti e che, perciò, vanno qui dati per noti.

3. Soluzione del problema centrale.


Dando per ovvia e scontata la valutazione morale del comportamento del seminarista Lorenzo,
come disordine morale grave, resta da risolvere il problema della sua idoneità a una scelta di vita
che comporta il celibato. In base ai criteri di discernimento in materia, la valutazione dei
comportamenti dei due confessori non può che essere positiva. La differenza che si rileva non va
giudicata come contrapposizione, ma come vicendevole integrazione.
C'è da aggiungere che la verifica dell'idoneità al presbiterato non è da rinviare a un secondo tempo,
condizionandola al successivo comportamento di Lorenzo, ma si impone da subito, inserendola in
un'attenta conoscenza del contesto complessivo della vita spirituale e della storia passata del
seminarista. Appare comunque altamente probabile che l'esito della verifica sarà quella di una non
idoneità, se non altro perché l'idoneità non può essere dotata della necessaria certezza morale che è
richiesta.
INDICE

Potrebbero piacerti anche