Dalla sua comparsa nei primi anni 80/90, l'HIV/AIDS è divenuto un campo di studio denso per
l'antropologia culturale, indagando le politiche, le rappresentazioni sociali e i poteri economici
legati allo statuto della conoscenza.
L'introduzione delle terapie antiretrovirali a metà degli anni 90 e il miglioramento dell'efficacia
dai farmaci hanno inciso profondamente sul decorso della malattia: l'HIV/ AIDS da malattia fatale
è divenuto una malattia governabile e/o cronica.
La cronicità e la normalizzazione, dal punto di vista medico, della malattia devono comunque
fare i conti con la redistribuzione delle risorse tra aree geografico-economiche, con l'accesso alle
cure e, dunque, con le politiche sanitarie nazionali e globali, cosi come con le rappresentazioni
sociali della malattia.
Sebbene dunque, L'HIV sia un articolato campo d'analisi antropologica, ci sono anche delle
continuità epistemologiche evidenti: l'analisi delle disparità sociali e le diseguaglianze
nell'accesso alle terapie; il tema della prevenzione, moralità, religione e la tensione etnografica
che coglie come le persone con infezione convivono con la malattia e le sue incertezze.
Evidenziare il carattere di normalità, potrebbe essere una strategia di alcuni attori sociali per
contrastare lo stigma. L'idea di normalità implica per i pazienti non soltanto la sopravvivenza
biologica ma una vita sociale piena in cui poter immaginare la sessualità, l'espressione di sé e la
riproduzione. La normalizzazione ha contribuito a spostare l’analisi dai gruppi a rischio ai
comportamenti che investono la sfera della sessualità, delle relazioni di genere e della
riproduzione.
I dati qui presentati in seguito mirano a svelare le pressioni sociali cui queste donne HIV positive
rispondono, permettendosi di tracciare le modalità con cui i saperi medici, i silenzi e le idee sulla
riproduzione s'intersecano. I frammenti etnografici sono tratti dall’osservazione partecipante
svolta negli ambulatori durante visite e colloqui.
Gloria: 22 anni. arriva in Italia a 16 per raggiungere la famiglia.
Gloria scopre al contempo gravidanza e malattia e il suo caso, ci permette di capire come
responsabilità, scelta e possibilità costituiscono un tratto peculiare delle pratiche discorsive che
le pazienti rielaborano. Nel suo caso, posticipare il processo riproduttivo in atto viene rideclinato
colloquio dopo colloquio, ripristinando tempi di cura per sé, immaginando la riproduzione come
rinviabile per imparare a gestire la malattia. Questo processo è improntato nei termini di un’etica
somatica, cioè che riorganizza i valori per la gestione della vita stessa. Il silenzio sulla malattia, le
sembra indispensabile. L’anonimato sembra rinsaldare la relazione medico-paziente che fa perno
sulla fiducia e diviene spazio per pensare una vita con una malattia cronica e elaborare i
molteplici bisogni.
Destin: Donna 24 anni. Cresciuta in Italia da quando ne ha 3
Ha contratto l'infezione in utero dalla madre. Non manca mai di un controllo medico ed è
sempre puntuale, ma la gestazione la mette sotto tensione facendo emergere atteggiamenti e
reazioni emotive. In ospedale è guardinga, toglie tutti i farmaci e li nasconde in borsa, ripete le
cose da fare durante la gestazione e chiede delle analisi cui sottoporre il nascituro. La paziente
diventa ossessiva, preoccupata e difficile. Non vuole che questo accada al figlio in grembo e
diffida dei ginecologi, si fida solo degli infettivologi. Vuole dimostrare a tutti i costi di essere una
madre attenta e responsabile, riuscendo a interrompere la trasmissione infettiva.
Cosi come molti genitori di bambini disabili, anche i neo-genitori adottivi che si trovano ad
apparentare figli atipici sono intensamente catturati nello sforzo processuale di rivisitare il
concetto di “normalità”. Una tensione resa urgente che dà corpo a una vigorosa battaglia per la
negoziazione delle pratiche di categorizzazione biomedica e di cura.
In Italia, le Unità Operative di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'adolescenza (UONPIA)
rappresentano le strutture specialistiche per l'accertamento della disabilità e la certificazione dei
minori d'età secondo i dettami della legge 104.
Le UONPIA si costituiscono come unità zonali di erogazione di servizi integrati territoriali,
residenziali, che svolgono attività diagnostica, terapeutica e riabilitativa nell'ambito di patologie
neurologiche, neuropsicologiche e psichiatriche.
Le testimonianza dei professionisti che operano nelle due UONPIA, portano in primo piano alcuni
aspetti interessa della mappa pre-comprensiva che sottende le rappresentazioni delle famiglie
adottive e handicappate.
In gran parte dei casi, l'intervento del servizio viene richiesto direttamente dai genitori, i quali
mettono subito le mani avanti e comunicano che il figlio è stato adottato.
Le ragioni per cui i genitori si rivolgono al servizio sono svariate: Non si fidano delle informazioni
che hanno ricevuto dagli enti, o per disturbi adattivi nella nuova relazione familiare, o dalla
scuola che rileva soprattutto disturbi di apprendimento.
Sara : “ Le famiglie arrivano soprattutto per i disturbi del comportamento, perché i bambini non
stanno alle regole, non le seguono, sono oppositivi. Si tratta di disturbi della condotta che
vengono diagnosticati come disturbo oppositivo provocatorio. Sono bambini già segnati secondo
me, non solo dall'essere stati in istituto, ma proprio come genetica” --> Es. Bambini del brasile
che vengono adottati quando hanno pochi mesi, da grandi si comportano come un brasiliano che
arriva in Italia da poco.
Il fallimento adottivo può manifestarsi in momenti diversi lungo il ciclo vitale della nuova
esperienza familiare e può assumere diverse forme, dove la più estrema è la “restituzione”.
Lo smarrimento scaturito dall'inattesa scoperta di un figlio malato, spesso respingente, esprime
sia nelle pratiche sia negli affetti l'angoscia per l'incapacità di creare legami di famiglia secondo le
attese sociali ed emozionali conformi al modello prevalente della famiglia biologica. Di fronte a
questo pericolo, i neo-genitori cercano di salvare quel che possono della loro famiglia
immaginata e, alla ricerca di una qualunque speranza, affidano la loro sofferenza e il loro
disorientamento alle strutture psicosociali e sanitarie.
Se la speranza dei genitori adottivi e handicappati è quella di aggiustare la menomazione del
figlio attraverso le biotecnologie della diagnosi e della cura, lo scenario appare tutt'altro che
favorevole. La loro preventiva identificazione consente di immetterli, precocemente in un
protocollo terapeutico integrato, spesso prolungato fino a modificarne, se necessario, l'ambiente
di vita, per esempio ricollocandoli in strutture protette, allo scopo di ridurne per quanto
possibile, la rischiosità.