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PARTE MONOGRAFICA

1 aprile 2019
L’Editto di Tessalonica del 380 d.C. è emanato dall’Imperatore Teodosio che si situa in un
insieme di provvedimenti che impongono il cristianesimo come unica religione ammessa
all’interno dell’Impero. Questo editto che riconosce la religione cristiana come l’unica
consentita comporta anche alcune restrizioni per gli ebrei: la possibilità di edificare nuove
sinagoghe e di praticare il proselitismo, cioè la diffusione della loro fede fra nuovi
convertiti. Tuttavia, è ancora più significativo che con un editto di questo tipo istituisce una
situazione non del tutto immediata, una situazione cioè in cui il potere politico non si pone
in modo esterno ed indifferente rispetto alle diverse fedi religiose. Ci troviamo alle origini di
una situazione che dura per tutto il Medioevo e per tutta l’età moderna, in cui il potere
politico si definisce come cristiano: questa identità religiosa caratterizzerà tutte le
istituzioni politiche di questi tempi. Non c’è una separazione fra Stato e Chiesa come nel
periodo contemporaneo. Quindi le minoranze religiose si trovano sottomesse anche ai
poteri politici che assumono per sé un’altra identità religiosa. Vi è una separazione della
comunità ebraica rispetto alla comunità generale cristiana: gli ebrei non partecipano al
governo politico delle città.
I regni romano-barbarici non hanno una restrizione rispetto ai popoli ebraici, ad eccezione
del popolo dei Visigoti in Spagna.
Al contempo pensiamo che quella delle comunità ebraiche sia una persistenza all’interno
dei due grandi spazi religiosi che si costruiscono nel Medioevo -> ponte culturale.
Gli elementi di chiaro deterioramento della posizione degli ebrei nel mondo cristiano
cominciano ad diventare evidenti dopo il 1000. Una prima fase critica è quella della fine del
XI secolo, quello della cosiddetta “crociata popolare”: queste schiere di estrazione
popolare si avviano verso la Terra Santa con Pietro l’Eremita e una delle prime cose che
fanno è una strage a scapito degli ebrei 🡪 scoppio di sentimenti antiebraici.
Un altro momento significativo è quello del 1215 d.C. con il Concilio Lateranense promosso
da Innocenzo III, che impone il segno di riconoscimento da parte degli ebrei.
Una fase ancora successiva è quella della peste del 1348 d.C. perché di una malattia che la
scienza del tempo non sapeva spiegare vengono accusati gli ebrei.
Un altro momento di storia generale è quello del 1492, quando vengono espulsi dalla
Spagna, pur non essendo il primo paese a farlo (prima lo avevano fatto l’Inghilterra, la
Francia, Principati tedeschi).
Il periodo che segue il 1000, il Basso Medioevo, è caratterizzato da un deterioramento della
posizione delle comunità ebraiche: una maggiore insofferenza popolare che si esprime in
stragi incontrollate, odi a livello cittadino quando ci si trova a fronteggiare una calamità che
non si sa spiegare, una maggiore pressione delle autorità ecclesiastiche che introducono
delle norme che servono ad identificarle e separarli, l’espulsione dagli Stati.
Il libro “Il vino e la carne” serve per avere un’idea concreta di come se la potesse passare
fra momenti più negoziali e relazionali e momenti invece più conflittuali una comunità
ebraica dell’Italia centrale.
Una tesi generale del libro alla luce della quale leggerlo è che la fine del Medioevo non è un
andamento nel senso di una maggiore integrazione o un maggiore rispetto della minoranza
-> alla fine del ‘400 la condizione degli ebrei peggiora: si diffondono certi odi popolari,
certe credenze popolari, si costituiscono i ghetti, si passa da un piccolo segno da indossare
ad un vistoso copricapo.
Nel 1422 la popolazione Romagnì viene accolta a Lucca, ma nel ‘900 sarà costretta ad
andare nei campi di concentramento.
Fonti: le disposizioni legislative/statuti; i carteggi politici, cioè le lettere che si trasmettono
autorità di diverso livello all’interno dello Stato -> non sono testi normativi; la condotta,
ovvero un documento di accordo fondativo della relazione -> un aspetto della condotta
poteva riguardare l’indossare o meno il segno distintivo; i processi; le prediche e il ruolo dei
frati, che saranno gli ispiratori presso le popolazioni di atteggiamenti di ostilità antiebraica;
i contratti notarili.
Dialettica fra norme e pratiche.

2 aprile 2019
“Francesco Sforza al podestà, come ed uomini di Voghera (1452 aprile 26)”
Contesto dello stato regionale di Milano. Pluralità di rapporto scritto tra il duca di Milano e
la comunità di Voghera.
Non è una legge -> è messo al corrente di un problema e scrive all’autorità locale.
Documento del 1452.
Il duca si rivolge al comune e agli abitanti di Voghera.
Il duca dice: abbiamo ricevuto la lamentela che un esponente della civiltà ebraica ha
ricevuto delle minacce alla persona come nel patrimonio da un altro ebreo.
Luchina dal Verme -> feudataria del luogo.
L’episodio davanti al quale siamo è un’altra manifestazione a livello popolare di insofferenza
delle presenza ebraica e abbiamo invece un’interferenza del potere a loro favore.
A livello locale ci sono delle minacce, dei danni fatti al patrimonio di questi ebrei e il duca
interviene a loro favore.
Il motivo di questa insofferenza non lo sappiamo, ma lo possiamo dedurre, perché sono
ebrei attivi nel prestito (“attivi nel banco”) -> pur essendo un’attività richiesta è anche
un’attività che suscita insofferenza. Il grande concorrente del prestito ebraico sono i Monti
di Pietà, cioè delle istituzioni fondate spesso dai comuni, quindi con un profilo pubblico,
volute dai francescani, per il prestito su pegno per le persone di umile condizione. I motivi
per cui i francescani promuovono i Monti di Pietà è quella di limitare l’importanza del
prestito ebraico, creare dei circuiti di credito, un’economia cristiana che non ha più bisogno
del prestito degli ebrei.
Il principe di fronte a questa situazione prende apertamente la parte degli ebrei e chiede di
consentire loro di vivere secondo le loro usanze e consuetudini. “Si per rispecto deli capituli
facti con loro” per rispetto degli accordi (per punti) fatti con loro. “E’ nostra intenzione che
caduno iudeo possa vivere nel paese nostro securamente” -> si fa garante della loro
sicurezza nel suo dominio secondo l’idea che l’autorità pubblica si fa carico soprattutto di
chi è in una posizione di maggiore debolezza.
Questa è una prima tappa che ci attesta la presenza ebraica nello Stato di Milano, ci fa
capire che tipo di attività potevano svolgere, ci fa vedere che potevano essere interessati
da manifestazioni generiche di insofferenza e vediamo come l’autorità del principe si pone
come figura di contenimento di possibili insofferenze che si manifestano a livello locale.
Se ci spostiamo di qualche decennio vediamo che la situazione è già deteriorata -> libro
“Pasque di sangue” che prende in esame un’accusa specifica della cultura antiebraica di
questo periodo, cioè l’accusa che si diffonde alla fine del ‘400 di praticare l’infanticidio
rituale (anche nel capitolo VI del “Vino e la Carne”). Gli omicidi rituali sono un’accusa
alimentata dagli ambienti cristiani ed è l’accusa di ricorrere a dileggio del cristianesimo ad
un sacrificio di un bambino cristiano in prossimità della Pasqua.
Uno dei motivi forti di antiebraismo medievale è quella di deicidio: i cristiani ritenevano
che gli ebrei avessero ucciso Cristo.
Documento 6c citazione a pagina 68: documento del 1479 in cui si denuncia al duca il
dilagare di infanticidi rituali, parodia del martirio di Cristo. Gli ebrei si rivolgono quindi al
duca, perché oltre alla sicurezza personale, nasce anche un problema di ordine pubblico:
scoppiano addirittura dei tumulti a causa di questa accusa. È grande lo spazio di diffusione
di questa accusa: per tutta la Lombardia si inseguono queste voci e appena sparisce un
bambino il sospetto ricade subito sugli ebrei.
In questi anni il clima già è deteriorato e tuttavia nel 1479 è ancora forte l’aspettativa che il
duca di Milano intervenga a loro favore. Si aspettano che dalla sua autorità vengano parole
o azioni che fermino queste manifestazione di odio collettivo.
A segnare un cambiamento di clima, nel 1475, era successo un fatto importante in tutta
l’Italia settentrionale: a Trento era sparito un bambino, poi era stato trovato morto con
segni che apparivano sospetti e che potevano far pensare che fosse stato ucciso e questo
diede vita ad un processo contro esponenti della comunità ebraica trentina. Il vescovo (che
era anche il principe della città) lo volle fortemente e che diede luogo a delle condanne
oltre a ad un santo popolare (il bambino: Simonino).
Non solo gli ebrei sono accusati di violare il corpo del bambino, ma anche le streghe ne
sono accusate. Ad esempio a Bormio, vi è una richiesta nel ‘600 di disporre le sepolture dei
bambini in chiesa affinché le streghe non abbiano accesso al loro corpo. La sostanza della
richiesta è quella di aprire la fossa dei bambini all’interno della chiesa e non all’esterno,
cosicché le streghe non potessero usarli per i loro unguenti, polveri e sortilegi. Il corpo del
bambino attrae anche significati simbolici ulteriori che riguardano la sua potenza sacra.

“Un processo contro gli ebrei nella Milano del 1488”


Crescita e declino della comunità ebraica lombarda alla fine del Medioevo
Se nel 1452 il duca interviene a favore degli ebrei di Voghera che venivano osteggiati dalla
popolazione, se nel 1479 era ancora il punto di riferimento a cui rivolgersi per avere
protezione, nel 1488 anche il duca diventa ostile nei loro confronti. In quest’ultimo anno vi
è l’accusa di detenere libri proibiti anticristiani. Anche questo caso c’è un processo che si
tiene a Milano ad ebrei risiedenti in varie località dello Stato: il processo arriva alle
condanne a morte, ma di fatto Ludovico il Moro era particolarmente bisogno di denaro e la
condanna a morte era un pretesto di riscatto con il lascito di un’ingentissima somma di
denaro.
Questo tema della detenzione di libri proibiti è il tema di un’altra lettera, successiva di due
anni al processo, del 1490: questo documento viene nominato “Ordinatio pro
combustione librorum ebreorum”. È documento che l’autrice trascrive dai registri di un
notaio e però anche se contenuto nei registri di un notaio di nuovo ci troviamo di fronte ad
una lettera del duca di Milano. All’inizio della lettera troviamo chi l’ha mandata e alla fine
delle formule di chiusura e i destinatari. In questo documento vediamo un atteggiamento
del principe del tutto diverso rispetto agli anni passati e in cui parla molto duramente. Una
lettera di questo tipo rappresenta il momento in cui anche l’autorità pubblica raccoglie una
delle convinzione e delle voci dell’ostilità antiebraica, cioè secondo un paradigma detto “del
complotto” gli ebrei operino cerimonie anticristiane, anche l’autorità pubblica fa propria
questa visione dell’accerchiamento della comunità cristiana da parte degli ebrei e non si
pone più a difese delle loro consuetudine anzi interpreta un sospetto rispetto a queste
cerimonie.

3 aprile 2019
Documento della Sassaiola Santa
La Sassaiola Santa è quel lancio di sassi che avviene nel periodo della settimana santa
contro gli ebrei in forme molto ritualizzate, non con la volontà di far male alle persone, ma
come un cerimoniale sociale. Il testo esprime la voce degli ebrei nella città di Spoleto nel
1506 che si lamentano per il fatto che si è andati oltre le consuetudini (pag. 223/224).
Gli ebrei denunciano che nella città di Spoleto l’usanza tradizionale diventa violenza
effettiva e soprattutto dicono mettono in pericolo i pegni (glieli rubano o li danneggiano).
Questo riferimento ai pegni testimonia una delle attività significative che svolgevano gli
ebrei: il prestito su pegno.
Tutti gli anni si fanno questi eccessi e a questo punto hanno paura di non poter vivere in
queste città e di doversene andare.
Nel proseguo si dice che gli ebrei distinguono la violenza dagli svolgimenti consuetudinari
della Sassaiola Santa: non si lamentano del cerimoniale del tipo tradizionale di cui sono
attori principale i bambini, ma quelli di cui sono responsabili i giovani e gli uomini maturi
per derubarli.
Nelle società di cui si occupano gli storici e gli antropologi spesso i diversi gruppi d’età
hanno diversi ruoli rituali. Nella società medievale questi gruppi d’età hanno delle funzioni
sociali ritenute come differenti: i bambini erano autori sacri che in questo periodo erano
particolarmente riguardati.
Savonarola: uso politico dell’infanzia -> mette in campo sulla scena politica della città i
bambini come strumento di una particolare politica. Egli voleva fare di Firenze anche una
repubblica della virtù. Si parla dei bambini del Savonarola perché nel periodo in cui vede
questo leader spirituale ed intellettuale, i bambini vanno in giro togliendo alle donne abiti
ostentanti il lusso o togliendo le carte ai giocatori o quando c’erano i condannati di reati
particolarmente gravi c’erano dei rituali particolarmente macabri che venivano agiti dai
bambini. C’erano inoltre delle forme di ostilità che vengono agite dai bambini come ad
esempio nei borghi del Canton Ticino erano interessate dalla presenza di mercanti stranieri
e quest’ultimi si lamentano di sassaiole ad opera proprio di bambini. In sostanza è come se
il bambino pur mostrando aspetti evidenti di fragilità sociale viene sentito come una parte
essenziale della politica per la sua aurea sacrale e diventa perciò anche l’espressione
collettiva in certi contesti collettivi e rituali dell’ostilità nei confronti degli stranieri, dei
condannati a morte, etc.
Viene poi tradotta la risposta della città e delle sue autorità che in sostanza dà ragione agli
ebrei e pone un po’ dei limiti a queste manifestazioni.

Fonte che viene dall’archivio comunale (immagini)


Affresco che si trova nella Val Camonica, in un territorio che in questo periodo non era
stato di Milano, ma Stato di Venezia. Questo dipinto mostra il culto popolare per Simonino
di Trento. Notiamo che anche se Simonino non sia un santo riconosciuto dalla Chiesa
cattolica alla fine del ‘400 viene rappresentato in una chiesa, su un piedistallo con scritto
“beatus Simon de tridendo martire…” -> gli viene conferito il titolo di martire. Vicino al suo
piede c’è un’arma da taglio, che secondo l’accusa potrebbe identificarsi come uno degli
strumenti con cui era stato ferito e condotto alla morte. È inoltre accostato a Gesù
crocifisso, al suo dolore, che inaspriva nel ricordo ancora di più il sentimento contro gli
ebrei.

Affresco di Giotto, cappella degli Scrovegni primi del ‘300. Rappresenta il momento in cui
Giuda rende riconoscibile Gesù a chi lo vuole catturare.

“Visibilmente crudeli” di Todeschini


Leggi suntuarie: codificano gli abbigliamenti concessi o meno ai diversi ceti. Alla fine del
Medioevo abbiamo una normativa che interviene su questi aspetti e ci aiuta a riflettere a
volte su quanto anche nel nostro sguardo circa determinati segnali sociali pesino dei
condizionamenti di tipo valutativo. Anche per questo il titolo del libro inizia con
“visibilmente”.
La questione del “crudele” la vuole approfondire rispetto al concetto di civiltà e a quello
dell’estraneità dello spazio di civiltà e quindi dell’inciviltà.
Rapporto civiltà – bosco.

8 aprile 2019
La categoria di “civiltà” come modi di agire, di pensare, di parlare che sottolineano
esclusioni di tipo sociale -> il ragazzo selvaggio.
Dietro la civiltà c’è la “civitas” dei romani, mentre dietro il ragazzo selvaggio c’è la “selva”.
Todeschini vuole farci capire cos’è la civiltà e cos’è il selvatico nella società medievale -> la
società deve essere compresa nelle sue varie componenti: una forte eredità del mondo
antico che valorizza la “civiltà della città”, la città come spazio privilegiato del convivere
umano; la cultura cristiana.
Tutta l’elaborazione dei concetti di civiltà e di non civiltà è molto condizionata dal fatto che
stiamo parlando del pensiero di intellettuali cristiani.
Nell’immagine sociale di questo storico, il centro è molto importante, ovvero quello
rappresentato dagli “esperti della fede”. Il loro compito non era più solo quello di diffusione
del Vangelo e di controllo di un’istituzione cristiana, ma hanno il potere di stabilire un
controllo fra fedeli ed infedeli, di stabilire un sistema di rappresentazione della società.
La selezioni delle fonti che opera è molto importante.
Apostolo Paolo -> una precoce formalizzazione scritta del cristianesimo.
Agostino, il più importante filosofo del cristianesimo occidentale; i padri della chiesa,
ovvero di polemisti, scrittori dei primi secoli di storia cristiana.
A suo modo di vedere da questa produzione intellettuale emerge una divisione
fondamentale fra una civiltà, essenzialmente cristiana, delimitata dall’obbedienza nei
confronti degli indirizzi intellettuali che proviene da questo centro di potere, e una
contorno di marginalità ed esclusione che può essere via via più estrema a mano a mano
che si passa dalla condizione di chi ha semplicemente una fama incerta o dubbia fino ad
un’esclusione che viene rappresentata coi contorni di una rappresentazione dell’animalità.
Chi sono questi esclusi o questi marginali? Quali sono i motivi di debolezza della loro
posizione? A questi, alla loro varietà è dedicato tutto il libro ovvero a coloro che vengono
da fuori; le donne la cui vita può essere considerata equivoca o scandalosa e le quali non
sono solo un motivo di scandalo astratto, ma raffigurata nella figura della concubina del
prete, colei che rischia di costituire una minaccia per il carisma sacerdotale, quella che può
macchiare la condizione del sacerdote; gli usurai, che usano le risorse in modo non
appropriato, non legittimo, i mestieri che possono essere anche necessari alla città, ma che
sono portatori comunque al loro interno di una macchia, di qualcosa di non pure, ad
esempio il mestiere del boia; gli ebrei; i poveri.
È come una società disposta su un piano inclinato, al cui centro ci sono gli ecclesiastici, che
si autotutelano nella posizione di maggiore vantaggio culturale, e poi coloro che sono
inferiori da un punto di vista sociale e comportamentale.
La concezione complessiva della società che l’autore ritiene di poter identificare in queste
opere è quella di gruppi seganti da una posizione di separazione, di non appartenenza
piena o parziale. Come punto d’arrivo ultimo di questa condizione di non appartenenza alla
civiltà ci sarebbe una non appartenenza all’umanità.
L’idea di fama è così importante nella società medievale perché essa non ha alla base una
scrittura anagrafica che identifica le persone in modo stabile. Fama: ciò che universalmente
si pensa di una persona; condiziona la posizione processuale. Il problema della capacità
della persona di essere un testimone credibile in giudizio è una questione controversa: la
testimonianza delle donne o degli ebrei, ad esempio. Non è una questione molto facile da
risolvere a priori, ma dipende dalla fama che quella persona ha. Essere noto come criminali
per atti precedenti commessi significava essere un sospetto privilegiato e significava anche
con maggiore disinvoltura essere un individuo per il quale si sarebbe fatto ricorso alla
tortura. Il ricorso della tortura in giudizio a chi aveva una cattiva fama segnala la
separazione fra i cittadini con una palese e segnalata buona fama da quelli che non
l’avevano. “Infame” o “innominabile”, cioè chi è più lontano dal centro.
La città è lo spazio della civiltà e il bosco è lo spazio del selvaggio, dove manca la legge, che
finisce con l’essere uno spazio dell’animalità. Il bosco è abitato per l’appunto da questi
soggetti non pienamente riconosciuti come umani.
Villani e rustici sono quelli che non sono pienamente cristianizzati, che conservano delle
credenze di tipo pagano (pagus: abitante del villaggio).
Barbari, detti “animales”, corrispondono alle periferie scarsamente cristianizzate.
Tipico del villano o del barbaro è lo scarso autocontrollo delle passioni -> passionalità
sregolata, tipica degli stereotipi del degrado.
Il punto di partenza è una riflessione critica su categorie come quella di civiltà, di selvaggio,
di villano, di barbaro. Ci troviamo difronte ad una civiltà che si auto-identifica come civiltà
cristiana: sono gli intellettuali cristiani che si attribuiscono una posizione centrale e
collocano gli altri ai margini o completamente al di fuori della cerchia della civiltà. Possiamo
quindi capire di più il titolo del libro: i “crudeli” sono i “non pienamente umani”. È
all’interno dello spazio del bosco che si colloca il crudele o il feroce: parole cariche di
valutazioni culturali. “Crudelis” e “crudus” -> natura ferina, vita nella selva di chi non
sviluppa un’appartenenza pienamente umana, rimanda cioè alla dimensione animale.
Abbiamo una società medievale organizzata dalla separazione, dalla gerarchia,
dell’esclusione, dal rapporto tra chi è padrone del discorso e chi viene rappresentato
addirittura come “non umano”.
Importante è il punto di vista e la voce dell’autore.
Importanza delle fonti.

9 aprile 2019
“Gli ebrei nell’Italia medievale” di Todeschini.
Bisogna stare attenti all’interpretazione che l’autore propone, alle finti che usa, è
necessario considerare l’ambiente specifico a cui l’opera si riferisce e infine il tempo in cui
gli avvenimenti accadono.
Uno dei punti di partenza di questo libro è quello di includere gli ebrei all’interno di una più
generale storia italiana, cioè di non limitare l’Italia e la storia italiana del Medioevo ai
gruppi cristiani dominanti, essendo gli ebrei parte integrante di questa storia. Questo però
significa anche non fare solo una storia interna della comunità ebraica e che si risolva solo
nell’esclusione e nella persecuzione, ma valutare anche le occasioni di apertura di questa
minoranza verso l’esterno.
Nel parlare di Italia inoltre è importante il legame e il malcontento fra Italia del Nord e Italia
del Sud, poiché hanno avuto storie diverse anche per quanto riguarda la storia ebraica: nel
Sud c’è un’alta percentuale di ebrei e alla fine del Medioevo abbiamo una presenza più
strutturata di questa componente, rispetto al Nord che è frammentata in città-stato, qui vi
è una forte monarchia che assoggetta a sé, in un rapporto anche di protezione, le comunità
ebraiche presenti. Sono collegati direttamente ad un potere centrale forte che ci ha lasciato
della documentazione che ci fa vedere meglio queste comunità, mentre nell’Italia del Nord
abbiamo dei secoli di vuoti, perché è difficile sapere se ci fossero o meno presenze
ebraiche, presenze che sembrano intensificarsi più tardi provenienti dall’esterno e che si
insediano nelle città settentrionali economicamente avanzate, ma abbiamo comunque una
documentazione frammentaria così come frammentaria era la situazione politica
settentrionale del tempo.
Italia del Sud abbiamo attestazioni più continue ed omogenee e invece in Italia del Nord vi
è una presenza almeno apparentemente sporadiche e quindi attestazioni molto più
frammentate.
Il libro mette poi in evidenza l’elemento della vita interna: le comunità ebraiche abbiamo
una loro vita culturale e rituale significativa. Ci sono autori importanti che lasciano fonti
diverse che appartengono alla tradizione ebraica che attestano, non le relazioni col mondo
esterno, ma commenti religiosi, testi giuridici, letterari, poetici, etc. Erano presenze
ebraiche di alta cultura, che lasciano il problema che qualcosa ci sfugge, perché non
riusciamo perfettamente a capire come mai sfuggissero all’intervento delle autorità
politiche, come mai è così poco coerente e sistematico l’intervento rispetto alle comunità
settentrionali. Però questo riscontro di testi che vengono dalla vita interna del mondo
ebraico fa dire all’autore che non dobbiamo contrapporre troppo nettamente nord e sud,
confermando un’Italia del nord che non ha conosciuto nell’Alto Medioevo la presenza
ebraica.
Un altro punto è quello di non ridurre l’attività ebraica al solo prestito. Questo in realtà
emerge anche dal libro di Toaff: le comunità ebraiche non erano formate solo da banchieri.
C’erano medici, artigiani, vagabondi, diseredati: era una società non così omogenea, ma
differenziata al suo interno. La società cristiana, ad esempio, si avvale di medici ebrei, cosa
che sarà motivo poi di scandalo per i Francescani dell’osservanza. Quindi in tante pagine si
ritorna su questa immagine di un mondo molto più variegato al solo impegno finanziario.
Questa storia degli ebrei in Italia è segnata da un deterioramento sostanziale. L’autore non
vuole essere troppo schematico e magari semplicistico, però anche lui ne conviene circa il
fatto che prima abbiamo una situazione di maggiore organicità nell’ambito della civiltà
cristiana e poi una fase di deterioramento verso la fine del Medioevo. Un quadro di questo
tipo può essere utile anche per la lettura del libro di Toaff, perché c’è una grande insistenza
sulle fonti interne al mondo ebraico e quelle esterne, vi è il problema di ricostruire come
mai ad un certo tempo sembrano che si moltiplichino le presenze ebraiche in Italia centrale
e da lì ci sono dei piccoli gruppi che si diffondono. Poi vedrà anche quante attività
coinvolgessero il mondo ebraico oltre a quello del prestito. Questa attività è sopravvalutata,
perché la condotta, cioè i patti stipulati fra la città e la comunità ebraica, è essenzialmente
un accordo fra una famiglia di prestatori e le autorità cittadine, affinché assicuri il prestito e
in cambio gli si assicura la possibilità di avere una sinagoga e un cimitero. Questo accordo è
il momento di definizione ufficiale della presenza ebraica nella città, però non è detto che
non ci fossero già degli ebrei in città e non sembra che tutto il mondo ebraico possa essere
rappresentato da ciò che veniva scritto nella condotta. Noi abbiamo una documentazione
di emanazione cristiana che focalizza soprattutto l’attività di prestito, che pone in rapporto
la città essenzialmente con la famiglia del prestatore e sfuma i contorni del gruppo che c’è
intorno a lui. Negli accordi città-ebrei l’ambiguità è molto forte, perché non capiamo se
vengano fatti da un singolo o da una comunità, ma se da un singolo nel nome di chi lo fa?
C’è un’ombra di non chiarezza in questi accordi che le città centro-settentrionali stipulano
con le comunità ebraiche.

Pagine caricate l’8 aprile.


Il discorso riguarda la coesione sociale: vedere il problema del prestito come un problema
sociale e non tanto economico. Il prestito di denaro è una risorsa sociale. Il fatto che si
disponga di denaro a prestito in determinate occasione di bisogno è una risorsa di coesione
della società e questo è il problema che si pone alla fine del ‘400, perché i Francescani
osservanti, che valorizzano la coesione introno a valori cristiani, cominciano a sentire come
un problema la dipendenza della comunità cristiana dal prestito ebraico. C’è un’iniziativa
che viene da questi ambienti dei Francescani osservanti, che sono delle correnti interne al
francescanesimo, che cominciano nelle loro prediche a indicare come problematico il
prestito ebraico. Nel prestito ebraico c’è un problema come in altre forme della relazione
fra ebrei e cristiani.
Questa predicazione trova un parallelismo coi ceti dirigenti cittadini, cioè quelle famiglie
che governano la città, che cominciano anche loro ad avvertire il bisogno sociale che
consista nell’assicurare credito e in parallelo tutta una propaganda portata avanti dai
Francescani osservanti, tutto ciò converge nell’istituzione dei Monti di Pietà nel 1462 a
Perugia.
A pagina 176 viene spiegato cos’è il Monte: banchi pubblici di credito il cui capitale era
determinato da donazioni... e il cui obiettivo era il finanziamento dei poveri meno poveri,
ossia dei ceti meno abbiente delle città-stato.
Il Monte viene fondato per decisione del comune cittadino e dal quale resta dipendente.
Questo ente funziona come un istituto di credito: le persone portano dei pegni, glieli
stimano e fanno loro il prestito. Anche una pentola o un mantello venivano portati per
richiedere un prestito.
C’è tutto un insieme di regole per far sì che questo prestito fosse un “prestito al consumo”:
il prestito è come se avesse un limite verso il basso (prestavano cifre abbastanza piccole,
per tirare avanti qualche mese, per comprare ciò di cui avevano bisogno) e un limite verso
l’alto (una persona del tutto nulla tenente non avrebbe avuto accesso a questo prestito
perché non poteva dare un pegno di garanzia). Il meccanismo stesso del prestito su pegno
e il fatto che ci fosse un tetto all’entità del prestito, identificava come clientela del Monte di
Pietà non il mendicante, ma nemmeno il grande imprenditore, bensì un fascia media.
Un altro aspetto sociale era la limitazione del tasso di interesse: interessi al 5% per il Monte
di Pietà, ovvero un interesse basso, nel senso che al 5% poteva prestare anche un altro ente
benefico o un nobile di castello. Uno che vuole fare affari, un piccolo speculatore, presta al
10% e anche i banchi ebraici facevano tassi più alti. Oltre che identificare una clientela che
ha bisogno di piccoli prestiti si istituiscono tassi bassi. Inoltre, il singolo Monte di Pietà
presta ai singoli cittadini della città.
Gli atteggiamenti di chiusura e gli atteggiamenti di soccorso sociale vengono di solito
considerati un po’ opposti, mentre qui abbiamo un disegno unico. Quindi questa
dimensione di comunità è quella alla luce della quale comprendere un istituto di questo
tipo: far circolare il denaro all’interno della nostra comunità, venire incontro al bisogno dei
nostri cittadini.
Al di sotto di tutto ciò c’era un’ideologia della carità, nel senso che il Monte prende il
denaro da prestare da donazioni fatte prima a lui. Il Monte di Pietà racchiude tutte le forme
di carità possibile. Anche quest’idea di carità è pero una carità all’interno della comunità, è
un’idea di supporto ai poveri del luogo. È evidente che in un modello di questo tipo, che è
un modello di attenzione sociale, ma così fortemente legato ad un’idea di appartenenza,
era un modello che conseguentemente doveva mostrare la sua chiusura anche rispetto alla
comunità ebraica, a vantaggio invece dei cittadini cristiani della città.
Pagina 177: “peggioramento” per descrivere la situazione degli ebrei all’interno delle città.
Il Monte occupa una parte importante nella trattazione di questo libro e di quello di Toaff
perché è collegato a questo peggioramento della vita ebraica. Ma altre istituzioni di
peggioramento sono la costruzione dei ghetti e l’espulsione degli ebrei dalle città.
Resta il fatto che spesso il fatto erano stati chiamati in città per praticare il prestito e resta il
fatto che quindi nel momento in cui la città cristiana provvede per conto proprio alle
esigenze di prestito allora della presenza ebraica si può fare a meno.
I ghetti sono i punti di arrivo finale dell’allontanamento dalla realtà relazionale quotidiana
cristiana. Nel momento in cui agli ebrei si assegna in modo prescrittivo un luogo di
presenza, delle ore in cui possono uscire e altre in cui devono essere dentro, si ha una netta
separazione della comunità ebraica da quella cristiana. Il ghetto è il simbolo di una città che
rinuncia al relazionarsi con gli ebrei.
L’altro elemento importante è che proprio la fondazione del Monte contribuirà a chiudere
anche l’immagine degli ebrei con l’associazione stretta al prestito usuraio. La loro
specializzazione quindi diventa il prestito ad usura e quindi sarà essenziale anche nella
costruzione dello stereotipo dell’ebreo come usuraio. Il Monte di Pietà, al contrario, era
circondato da un’ideologia della carità (veniva sostenuto da donazione ed elemosine), ma
si caratterizzava da un punto di vista caritativo anche perché non perseguiva il profitto. Si
diceva che alla fine dell’anno se al Monte di Pietà avanzavano dei soldi li doveva
redistribuire; così come si diceva che se un pegno veniva messo all’asta dal Monte, il
ricavato doveva essere dato in parte alla persona che aveva impegnato il bene e che non
era riuscito a riscattarlo. Si circondava così di un’idea di bene comune, il cui contrario si
profilava nell’ebreo usuraio, che dissangua i cristiani.
Monti Frumentari (pagina 175): sono delle istituzioni che funzionano in modo analogo ai
Monti di Pietà, solo che invece di denaro distribuivano la semenza di cui i contadini
avevano bisogno.
Pagina 177 dalla riga 5.

10 aprile 2019
“La vita di Agricola” e “La Germania” di Tacito.
Alcuni dei testi di Tacito dimostrano una forma di particolare interesse per il mondo dei
barbari.
“La vita di Agricola” è dedicata ad un personaggio della Roma del tempo, combattente e
governatore della Britannia, che rappresenta verso Nord il punto estremo dell’espansione
romana. Tacito ci permette di entrare ben in profondità nel processo di organizzazione di
questa regione.
Questo è un racconto di trattamento da parte dei romani dei ragazzi selvaggi e ci permette
di introdurre nella sua sostanza culturale il tema dei barbari.
Tacito racconta: “L’inverno seguente fu impegnato…”.
Questi uomini trattati sono i britanni, conquistati e vinti, e di cui si dice che sono “disperso
ac rudes” ed è per questo che inclinano alla guerra e non alla pace. Vivono nei villaggi, in
case fra i boschi, non in un consorzio pienamente civile. Agricola li aiutava in forma ufficiale
a costruire case, templi, piazze, etc. “così che la gara per la conquista della lode veniva a
sostituire efficacemente la costrizione”. Spingeva gli stessi uomini vinti nell’assumere gli
standard di vita romani, fatti di luoghi di culto monumentali, di spazi di vita urbana, etc.
“Prese inoltre a istruire nelle arti liberali i figli dei capi…” -> lavorando sul piano
dell’educazione, piuttosto che su quello della costrizione, seleziona due cose: i giovani, che
sente come più promettenti per un’adesione agli standard romani, come ancora suscettibili
agli ideali romani; i figli dei capi.
È una romanizzazione che coinvolge soprattutto le élite, ma al di fuori di queste vi sono
anche gruppi che generano instabilità sociale e che alla romanizzazione restano estranei.
I giovani vogliono padroneggiare la lingua romana, l’eloquenza del popolo romano. I
britanni imparano a vestire come i conquistatori e in particolare assumono l’uso della toga.
Tacito assume una posizione critica, perché sa sviluppare una riflessività, un distacco dal
proprio etnocentrismo e assumere una prospettiva neutrale. Dimostra di non negare una
qualche forma di riconoscimento alla cultura dei barbari.
Quando parla invece dei Germani dice che apprezzano molto il dono, che è scambio
sociale, creazione di solidarietà…”Noi abbiamo anche insegnato ad usare il denaro” -> non
si capisce se sia positivo o se sia stato un elemento di corruzione.
A poco a poco attraverso le caratteristiche di un complessivo quadro di civiltà i britanni
diventano simili ai romani. Concepiscono il rapporto tra le persone, il proprio tempo libero,
la cura di sé come romane. “Ignari essi chiamavano civiltà tutto questo, che null’altro era se
non un aspetto della loro servitù”. Per civiltà veniva usato “umanitas”, poiché in fondo
questo standard di cultura era il compimento generale della realizzazione della
civilizzazione.

“Barbari, immigrati, profughi, deportati…”


Il libro è dedicato alla presenza dei barbari nell’impero romano.
I barbari vengono dipinti come immigrati e profughi, anche se in alcune occasioni
minacciosi per la stabilità dell’Impero romano, eppure il loro apporto è stato fondamentale
in due ambiti: come manodopera su terre dello stato o che appartenevano a grandi
proprietari, non più in condizioni di schiavi, ma di contadini strettamente dipendenti
(coloni); come guerrieri nell’esercito, che aveva un reclutamento molto vasto, costituito da
persone più o meno a vita le quali poi attraverso questo servizio si costituiscono una
posizione, mettono via somme di denaro, si sposano e socialmente migliorano il proprio
status. L’esercito era inoltre un grande veicolo di mobilità geografica, luogo di incontro
culturale fra le diverse componenti culturali interne e esterne all’Impero, sia nella forma di
soldati arruolati nella struttura regolare dell’esercito sia di barbari che restano al seguito
dei loro capi e vengono arruolati come mercenari dagli imperatori, anche fra loro rivali.
Il libro è costituito con uno svolgimento cronologico e identifica alcuni temi fondamentali
(trasferimenti forzati, gli insediamenti, l’arruolamento, il lavoro nelle campagne romane, il
ripopolamento, i coloni, etc.). Introduce anche la categoria della “cittadinanza”, che era un
coacervo di privilegio molto complesso. Il problema più generale era quale fosse la cornice
legale di presenza e di impegno dei barbari all’interno dell’Impero.
I barbari hanno una concezione della loro cultura più come inclusiva (barbari si nasce),
mentre i romani pensano che si possano assimilare i loro costumi e le loro usanze (romani
si può diventare).
Oltre a questo la cosa importante è la posizione che assume l’autore, una posizione di tipo
interpretativo -> l’impero romano ha bisogno di barbari, come contadini e soldati,
ponendosi il problema di come leggerli in una cornice legale. Barbero insiste su questi
aspetti e nell’introduzione assume una posizione esplicita: “Potrebbe sembrare una
descrizione del nostro mondo, e invece è la situazione in cui si trovò per secoli l’impero
romano di fronte ai barbari…”. Dice che si possono stabilire dei nessi, tuttavia queste
situazioni non sono identiche, cerca di articolare le sue motivazioni -> l’inclusione sociale
non può spiegare tutto. Non bisogna temere di affrontare il passato alla luce di problemi
che oggi sentiamo come vivi e presenti.
Pagina 7: parla della frontiera -> da un lato l’Impero era attraversato da barbari, dall’altro la
presenza romana superava il confine.
L’autore è esplicito nel dire che occupandosi di questo argomento ha anche colto gli stimoli
del presente, nel senso di partire dai problemi dell’oggi per dar senso alla storia. È evidente
che però di questi processi si può dare una valutazione diversa, cioè ci può essere una
sensibilità nell’ambito della ricerca, che tende a vedere più la problematicità tra
popolazioni diverse.
Questo libro in effetti è un libro che non tace i motivi di tensione, ma tuttavia è più incline a
sottolineare la continuità fra il mondo romano e quello barbaro.

15 aprile 2019
Nell’Europa che costituiva i suoi stati nazionali fra 800 e 900, il fenomeno delle invasioni
barbariche è stato visto come origine dell’identità etnica dell’Europa contemporanea.
Se esiste un livello di interpretazione che lo storico propone è vero che finora abbiamo
considerato delle prospettive di storici che tendono a sottolineare la circolazione fra il
mondo dei romani e il mondo dei barbari: forme di passaggio non sempre traumatico, etc.
Ma questa non è l’unica posizione degli storici, soprattutto se vediamo la prospettiva degli
archeologi, ci dobbiamo domandare se la romanizzazione ad un certo punto venga meno e
si dia luogo ad un avvicendamento di modelli culturali.
Ne “La vita di Agricola” si fa riferimento a templi, piazze, case, alla lingua, al modo di
vestire, ai portici, ai bagni e ai conviti come a luoghi che i Romani conquistano e insediano
la loro cultura. Tuttavia, tempo qualche secolo e sarà il contrario.
Vedere un rapporto di civiltà anche nelle trasformazioni che riguardano il modo di vestire,
di abitare, di seppellire i morti può essere la strada di ricerca per scoprire gli usi e i costumi.

“Italia longobarda”
Nel 568/569 d.C. i Longobardi conquistano l’Italia centrale e poi centro-meridionale.
Valutare la distanza fra queste culture, il carattere traumatico dell’insediamento non è
facile e colloca gli storici su posizioni anche differenti.
Da pagina 17 a pagine 23: alla nota 22,23,24,27 c’è un riferimento costante ad una
studiosa, Cristina La Rocca, di cui si condividono i risultati. Mentre un autore nei confronti
del quale vengono espresse delle riserve è Gianpietro Brogiolo (nota 25).
Video Brogiolo:
● Infrastrutture: (rete viaria, acquedotti, fogne, ecc.)
● Templi
● Luoghi di spettacolo
● Grandi terme pubbliche
● Foro ed edifici delle magistrature cittadine
● Edifici utilitari (horrea, macella)
● Collegia
Gli spazi pubblici della città romana vengono smantellati o trasformati, altrimenti cessa
l’attività monumentale. Le nuove case che si costruiscono sono delle capanne. Occupati da
case sono anche gli edifici adibiti allo spettacolo o alla cura del corpo o le infrastrutture.
Demolizione e destrutturazione sono alcune significative parole dell’esposizione di
Brogiolo.

29 aprile 2019
La popolazione Romanì
Alla fine di pagina 110 si ricorda il primo contatto (1422) che si è verifica fra la popolazione
europea e la popolazione chiamata allora come “gente d’Egitto/Egizi”. Un gruppo di questa
popolazione in movimento verso l’Europa Occidentale, come parte di una più antica e
lunga migrazione cominciata al centro dell’Asia, in un’area dell’India meridionale. Hanno
per un certo tempo soggiornato in una regione fra la Turchia e il Peloponneso, chiamata
“piccolo Egitto”, da cui il nome “Egizi”. Un’altra ipotesi è che sia un mito d’origine,
coltivando un’origine leggendaria egizia, come aspetto di mito e quindi che non ci sia un
“piccolo Egitto” da cercare, ma che si debba accogliere questa definizione come un dato di
origine mitologica.
1422: sono in Italia per chiedere al papa un’indulgenza collegata a miti d’origine. Il loro
essere in cammino in queste prime rappresentazioni storiche è un pellegrinaggio collegato
ad una penitenza, perché sarebbero una popolazione cristiana che aveva però
abbandonato la fede perché sconfitti dai turchi. L’idea è che loro siano in cammino come
per una penitenza, collegata alla volontà di raggiungere Roma e il papa (Martino V) e forse
hanno davvero ottenuto un documento papale di privilegio che consentiva loro il transito di
terra in terra, di non usare violenza contro di loro, etc. Il documento è attestato in copie
locali, ma non si trova a Roma e parti di questo documento sembrano un po’ strane da un
punto di vista filologico, suonano poco credibili nel loro linguaggio come emesse
effettivamente dalla cancelleria papale. C’è allora il dubbio se questo documento sia in
tutto o in parte falsificato.
Fare luce su queste origini è molto complesso, è tutto avvolto anche da ombre leggendarie
che evidentemente hanno connotato questo primo incontro fra popolazioni che non si
conoscevano. In un primo momento questa popolazione non è nota e la gamma di reazioni
che viene dalla popolazione italiana è molto varia: a Lucca, ad esempio, vengono descritti
con connotati nobiliari, mentre altri li accusano di rubare e quindi sono portatori di risposte
di allontanamento e di espulsione. Le forme di relazioni sono molto articolate.
Pagina 110: e non di meno il proseguimento della ricerca…
Identità di queste popolazioni che si definiscono “Egizi”: per parlare di loro si usa un
linguaggio dell’identità etnoculturale. Questa identità si caratterizza per una certa coesione
interna e poi per quei segnali che sono importanti nel Medioevo, ma anche nell’età
successiva nel definire l’identità, come gli abiti, la natio (genus), la coesione, il mito
d’origine le strutture sociali (famiglia) e le attività economiche (spesso si tratta di
un’economia di margine e quindi di occupazione di una periferia non produttiva della vita
economica, come di vivere di elemosine e furti, secondo gli stereotipi, o arti divinatorie).
Tutto questo è un discorso sulla diversità, un elenco di elementi distintivi, altri modi di
vivere, di vestirsi, di sposarsi.
È evidente che all’accentuazione degli elementi di diversità può ben combinarsi uno degli
atteggiamenti politici della presenza di comunità Romanì in Italia e in Europa nel corso dei
secoli: ghettizzazione, espulsione, bando sono stati molto frequenti. In sostanza si è spesso
ritenuto che anche nel caso degli Egizi fra ‘400 e ‘600 l’atteggiamento sia diventato di
minore tolleranza e minore volontà di sostenere i loro viaggi e si sia sviluppato un
atteggiamento di espulsione. Maggiore severità, intolleranza crescente, inasprimento,
repressione.
Al centro di questa linea politica c’è il rafforzamento politico ed istituzionale dello Stato.

30 aprile 2019
Dipinto di Caravaggio: lettura della mano di un giovane da parte di una chiromante zingara,
identificata dall’abbigliamento esotico. Mentre gli legge la mano, gli sta sfilando l’anello. In
questo modo il pittore sta ammiccando in modo un po’ complice a convincimenti che
potevano essere diffusi fra il suo pubblico nel sommare intorno a questa figura di zingare
qualcosa di familiare e al contempo affascinante ed esotico, collegato a divinare il futuro,
ma anche alla furbizia nello sfilare l’anello.
Rapporto che non è riducibile alla mera estraneità di questa cultura altra, nemmeno
riducibile è la sua assimilazione, ma è stato un lungo rapporto di reciproco scambio, anche
se ha avuto come esito una conseguente marginalità, allontanamento e repressione,
soprattutto nel ‘500.
Nonostante tutto però uno degli stereotipi che è necessario superare riguarda per
l’appunto l’economia. Che ruolo assegnare all’elemosina e al furto rispetto alla
sopravvivenza di queste comunità, non avendo terre da coltivare e possedimenti d’altro
genere? Il viaggio assume allora dei significati culturali importanti ed è anche la fonte
essenziale della loro sussistenza: dovevano rivolgersi alle altre comunità per ricevere aiuto,
per questo all’inizio entro i poli dell’elemosina e del furto si muovono le loro stesse
possibilità di sopravvivenza. È un’economia della marginalità.
Tuttavia, ci sono anche casi di comunità che si insediano stabilmente in alcuni territori,
come il quartiere zingaro che si insedia alle porte di Napoli, e queste comunità, grandi o
piccole, vanno a svolgere attività economiche degne di nota ed importanti per il resto della
società.
È importante questo discorso sull’economia perché riguarda alcuni stereotipi da superare,
secondo i quali sarebbero sempre stati perseguitati o che non sarebbero mai riusciti a
svolgere vere e proprie attività economiche.
Questo discorso è la premessa diretta per vedere che l’assegnazione di ruoli economici da
parte delle società locali portarono anche al raggiungimento di livelli di vita piuttosto
rispettabili da parte della popolazione Romanì (pag. 114-115). Queste persone che avevano
una famiglia e un lavoro non potevano essere confusi con altre categorie di personaggi
oziosi.
L’altro aspetto dei matrimoni è importante perché uno degli elementi tradizionali, quali una
certa promiscuità delle relazioni coniugali, veniva riconosciuto e condannato dalla Chiesa,
ma non c’era solo questo aspetto e va riconosciuto loro uno stile di vita più rispettabile.
Addirittura si può dire che in alcuni casi sia da rivedere anche lo stereotipo più
generalizzato che riguarda queste comunità, ovvero il nomadismo. In realtà questo
nomadismo non è che sia una caratteristica immutabile nel tempo (pag. 111-112-113). In
alcune situazioni queste comunità si stanziano per svolgere alcune attività.
Importanza nello stabilire un rapporto culturale segnato da diffidenza e a volte da
condanna, ma anche dalla possibilità di costruire possibilità di scambio è rappresentato dal
campo religioso, dove vediamo da un lato che è sul piano religioso che si afferma la loro
separatezza (la loro ortodossia è dubbia, esercitano pratiche magiche, contraggono
matrimoni non riconosciuti dalla Chiesa), ma la religione offre anche un inquadramento
all’interno di una vita religiosa cristiana anche da parte di queste comunità. A volte,
tuttavia, le autorità si preoccuparono di queste credenze e attivarono anche gli uffici e i
tribunali che in età moderna reprimevano le usanze ritenute devianti.
Pag. 116: iniziativa di carattere missionario che un gesuita aveva promosso verso una
comunità zingara che cercò di organizzarne la vita sociale e religiosa compatibile con quella
della Chiesa.
Ultimi aspetti che frastagliano in tante situazioni individuali o locali l’apparente espulsione
politica dell’età moderna fra il ‘500 e il ‘600 vengono riportati a pag. 114 e verso la fine del
documento. In termini generali questo regime dell’eccezione individuale è proprio
caratteristico del funzionamento dei vari stati.
Un’altra questione può essere il mondo delle comunità locali: è difficile astrarre un modello
e dire se tendono a comportamenti di maggiore apertura i poteri centrali o le comunità
locali. I piccoli centri, le comunità chiuse, a volte, mettono in campo dei comportamenti di
espulsione e repulsioni del diverso rispetto alle quali sono poi i poteri centrali a dover
intervenire. Nei confronti degli zingari si trovano anche da parte delle comunità locali
fenomeni cruenti e di espulsione, ma di solito si sono trovati dei compromessi che hanno
reso meno incisivi i generalizzati dispositivi di espulsione che venivano dai poteri centrali.
Anche metodologicamente non si può dire “zingari” o “romanì” in generale perché, pur
essendo tutti marginali, sono differenziati al loro interno. Poi ci sono le esperienze
individuali e coloro che individualmente cercano e trovano un’integrazione, uscendo in
qualche modo uscendo dalle loro comunità, oppure ci sono interi gruppi che si stabilizzano
in una sede urbana o rurale o ancora ci sono gruppi che continuano nel loro viaggio
tradizionale.

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