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2016 1214171608 Diritto Tributario Fantozzi
2016 1214171608 Diritto Tributario Fantozzi
Diritto Tributario
Parte Generale
Seguendo la classificazione tradizionale si può distinguere l’aspetto economico da quello giuridico. Più
precisamente avremo :
Classificazione economica:
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- il prezzo privato o quasi privato era quello derivante dalla contrattazione a livello di
mercato, pertanto il suo ammontare era di solito superiore al costo.
- Il prezzo pubblico era quello che aveva l’attitudine a coprire il costo totale del pubblico
servizio
- Il prezzo politico, era individuato nelle due specie della tassa e del contributo, poiché il suo
ammontare, inferiore al costo del servizio, era tale per realizzare degli interessi collettivi,
pertanto l’ente pubblico si accollava una parte dell’onere.
- L’imposta costituiva la quota individuale del costo sopportato dall’ente pubblico per i servizi
indivisibili resi alla collettività.
Classificazione giuridica:
- Le entrate dello stato vengono classificato sulla base di un fattore discriminante che tiene
conto della natura del rapporto ( di diritto pubblico o privato) tra ente pubblico e i cittadini. La
distinzione è relativa al fatto se le entrate sono coattivamente imposte o se nascono per via di
rapporti contrattuali. Era facile ritenere dunque che i servizi pubblici indivisibili, poiché
rivolti alla collettività erano finanziati per mezzo di entrate coattivamente imposte, mentre i
servizi pubblici divisibili, poiché destinati a solo a una parte della collettività prevedeva la
ripartizione del costo tra i beneficiari e dunque venivano finanziati con entrate che traevano
origine da rapporti contrattuali di diritto privato.
Ulteriori classificazioni, fornite sempre dalla dottrina, prevedevano la distinzione tra entrate a titolo
commutativo ed entrate a titolo contributivo, le prime erano definite tali poiché costituivano corrispettivo
di una controprestazione, nelle seconde questa controprestazione mancava.
Le prestazioni imposte
Nel passato tale categorie teneva conto del fatto che vi era una distinzione tra entrate di diritto pubblico e
entrate di diritto privato. Dunque il tributo discendeva dalla concezione del rapporto obbligatorio di fonte
legale. In sostanza il tributo era la rappresentazione della sovranità e veniva applicato per via di regole
dello schema privatistico della obbligazione. Si è poi pervenuto ad un elaborazione teorica che tenesse
conto di esigenze di varia natura, quella di tributo quale espressione di autorità ed espressione di rapporto
obbligatorio, questa è la teoria delle prestazioni imposte, la quale si riferisce non solo ai tributi bensì a
tutti i rapporti in cui la prestazione del privato è dovuta sulla base di un imposizione autoritativa. Tutte le
esigenze dunque trovarono espressione del art. 23 della Cost. che sancisce “ nessuna prestazione
patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge”.
L’art. 23 prevede congiuntamente le prestazioni personali e prestazioni patrimoniali imposte.
Rientra nell’ambito delle prime ciò che è attinente a prestazioni di dare e fare quali ad esempio il servizio
militare e la mobilitazione civile. Sono tuttavia escluse le prestazioni derivanti da organizzazioni
imprenditoriali che non comportino obblighi ulteriori rispetto a quelli propri del rapporto di lavoro. Sono
dunque prestazioni personali attività comportanti l’esplicazione di energie fisiche ed intellettuali con
conseguente limitazione per il privato di determinare liberamente la destinazione delle energie medesime.
Nell’ambito delle prestazioni patrimoniali va ricompreso ciò che abbia attitudine a decurtare il patrimonio
del privato. La decurtazione può derivare sia da perdita di diritto reale o di credito che anche dalla nascita
di un obbligazione. Importante è che l’attitudine ad incidere sul patrimonio sia la ratio della norma
ispiratrice.
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Con riferimento alle prestazioni imposte e il loro assetto commutativo sembra pacifico includere le entrate
pubbliche ad assetto sostanzialmente commutativo tra le prestazioni patrimoniali imposte poiché si ritiene
che non vi sia corrispettività tra prestazione pecuniaria a carico del privato e attività svolta dall’A.F.
Un ultimo cenno merita la categoria di inerente l’imposizione di fatto nella quale sembra esserci forma di
corrispettivo, in senso tecnico, tra prestazione imposta e attività svolta dall’amministrazione finanziaria.
Prestazioni imposte :
imposte : dirette (colpisce la capacità contributiva); indiretta (colpisce consumo o trasferimento)
tassa
contributo
Sulla base dell’enunciato di cui all’art. 23, che precisa cosa occorre perché si abbia una prestazione
imposta resta da approfondire il carattere della coattività della prestazione. Innanzitutto, va considerato
quale prestazione imposta, anche il tributo che non opera secondo un assetto commutativo bensì
autoritativo. Infatti la Corte Costituzionale fa rientrare le tasse tra le prestazioni imposte poiché derivanti
da atto autoritativo. Con riferimento ai monopoli fiscali si discorre circa la fattispecie negoziale di natura
autoritativa allorquando la porzione della disciplina del rapporto è in sé sufficiente a realizzare il
depauperamento patrimoniale.
3. passaggio dalle costituzioni preunitarie all’ art. 53; già nello statuto Albertino vi era un
espressione “ contribuzione in proporzione degli averi dei regnicoli” atta a fissare un principio
importante poi ripreso durante i lavori preparatori della Costituzione. Quindi la Cassazione durante i
lavori preparatori fa riferimento al concetto di capacità contributiva, volendo porre un limite
sostanziale alla potestà d’imposizione. Essa ravvisa nella capacità contributiva la non corrispettività
tra obbligazione tributaria e prestazione di servizi indivisibili. Secondo Vanoni la formula della
capacità contributiva è un criterio di partecipazione ai carichi pubblici sorretta dal legame di
appartenenza ad una collettività organizzata.
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Esso menziona: “tutti sono tenuti a concorrere alla spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività“.
Al primo comma sono tutelati due interessi di pari rango, la collettività al concorso peraltro espressivo
della funzione solidaristica e l’interesse del singolo alla propria capacità contributiva espressivo della
funzione garantista.
Si tratta di un unità di misura che in maniera trasversale dovrebbe caratterizzare tutti i tributi.
La nozione di capacità contributiva non deriva da una legge ordinaria, bensì da una definizione di natura
giurisprudenziale.
Dall’enunciato si può, in primo luogo enucleare la regola del concorso, che sorretto dal principio della
capacità contributiva permette di abbandonare i precedenti schemi improntati alla controprestazione circa
il godimento del servizio pubblico. Secondo la regola del concorso la giustificazione della partecipazione
alle spese pubblica è la conseguenza dell’appartenenza ad una collettività organizzata, in via aggiuntiva
tale funzione solidaristica va letta in stretta combinazione con l’art 2 della Cost. che sancisce
l’adempimento ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Dall’analisi letterale del testo, di cui all’art 53, scaturisce che con la locuzione “ tutti” la sfera soggettiva
di applicazione si estende notevolmente con riguardo a tutti coloro che entrano in contatto con
l’ordinamento dello Stato. Questa è sicuramente una novità poiché nella disciplina dello Statuto Albertino
erano interessati solo i cittadini italiani con conseguente esonero dei non residenti. Questa definizione,
assai più ampia, permette un adeguamento continuo senza modificare la Costituzione, essa infatti riguarda
sia persone fisiche che giuridiche.
In secondo luogo, dall’enunciato di cui sopra, viene reso esplicita la doverosità al concorso con particolare
riferimento all’espressione “ sono tenuti”.
Sembra tendenza unanime escludere le sanzioni dall’applicazione dell’art 53 poiché difettano del requisito
solidaristica espresso dal concorso. Sono, inoltre, escluse le contribuzioni relative a prestazioni di servizi il
cui costo si può determinare divisibilmente. la Corte ha sostanzialmente ricollegato l’operatività dell’art
53. alla vecchia distinzione tra tributi atti a coprire il costo di servizi indivisibili (imposte) e tributi volti a
coprire servizi divisibili( tasse), ai primi si applicherebbe il principio ma non ai secondi. Infine, con
riferimento ai contributi, la Corte gli ha assimilati ad una tipica espressione di nuova ricchezza e dunque
strutturalmente all’imposta.
Da un attenta analisi tra art. 23 e art. 53 si nota come quest’ultimo abbia un campo di applicazione più
ristretto, infatti si riferisce alla sola categoria di tributi mentre il primo riguarda la categoria ampia delle
prestazioni imposte. Peculiarità, insita all’ art. 23 è che esso si riscontra anche in altri ordinamenti
( esempio quello comunitario) mentre l’art 53 è previsto solo dal nostro ordinamento pertanto genera
anche dei contrasti a livello di ordinamenti.
Dalla seconda parte del primo comma si evince il principio di capacità contributiva quale funzione
garantista. Seguendo l’evoluzione che si ha avuto in merito a questo principio si possono trarre le seguenti
conclusioni:
Capacità contributiva intesa come godimento per servizi pubblici ; in un primo momento la
capacità contributiva veniva identificata col godimento dei pubblici servizi ed è in funzione di ciò che
veniva determinato il concorso dei privati alle spese pubbliche. Dunque in un primo momento la
dottrina interpretò originariamente la formula Costituzionale come mera conferma del potere
attribuito al legislatore ordinario di determinare i criteri distributivi di concorso nei singoli tributi e
come salvaguardia del minimo vitale.
Capacità contributiva intesa come esplicitazione del principio di uguaglianza ; in questo caso si è
voluto operare un raccordo tra art. 53 e art. 3 della Cost. e dunque in sostanza ricondurre la capacità
contributiva quale garanzia di tutela di fronte ad eventuali discriminazioni di varia natura.
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Circa il dibattito tra capacità contributiva oggettiva e soggettiva si può pervenire al seguente giudizio,
seppur sintetico è sicuramente espressivo dell’idea postosi duranti i lavori preparatori della carta
costituzionale. Sembra indubbio il carattere della soggettività della capacità contributiva poiché
dall’enunciato risulta ognuno è tenuto a partecipare alle spese pubbliche in base alla propria capacità
contributiva. Dunque è necessaria la corrispondenza tra titolarità giuridica della fonte di ricchezza e
soggetto passivo, ed è per tale impostazione che la Corte ha dichiarato illegittima l’imputazione al marito
del reddito del coniuge non rientrante nella disponibilità giuridica e l’esclusione della moglie da ogni
soggettività tributaria.
Un carattere, peraltro essenziale della capacità contributiva è la sua attitudine individuale, nel senso che
varia da soggetto a soggetto, infatti si dovrebbe privilegiare l’imposta personale all’imposta reale in
ragione dell’enunciato dell’art .53.
Le caratteristiche della capacità contributiva si deducono dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale,
la quale ritiene che tale principio si debba fondare sui seguenti assunti caratteristici:
Effettività, intesa quale non imponibilità di ciò che serve alla sussistenza minima, cosiddetto
minimo vitale. Ciò equivale a dire tassazione della potenzialità economica reale, dunque tassazione al
netto e non al lordo.
Certezza, si richiede che la capacità contributiva sia certa e a attuale e non meramente fittizia. La
situazione ideale sarebbe avere un sistema fiscale basato sulla massima analiticità ma ciò
comporterebbe la paralisi del sistema fiscale. In merito alla certezza sorge un problema di presunzioni
relativa alla fase dell’accertamento del prelievo. In breve, l’utilizzo di presunzioni ( studi di settore)
semplifica notevolmente la rappresentazione reddituale del contribuente ma viola il requisito della
certezza. Nel nostro ordinamento sono ammesse le presunzioni relative (art 23 Cost.), ossia quelle che
ammettono prova contraria del contribuente, ma non sono ammesse le presunzioni assolute, ossia
inderogabili.
Attualità , intesa quale fattispecie impositrice al momento della manifestazione di ricchezza.
Dunque la capacità contributiva deve sussistere quando si verifica il prelievo e ciò costituisce un
limite ai tributi retroattivi. Poiché la retroattività è prevista , in termini processuali, la giurisprudenza è
intervenuta scindendo il concetto di retroattività in propria e impropria. La Corte ammette quella
impropria, ossia quando il presupposto di allora risulta tuttora attuale. Di contro, esclude quella
propria poiché viola l’attualità della capacità contributiva di cui all’art 53. Naturalmente l’attualità
comporta talune problematiche anche in un ottica futura e non soltanto riguardo a fattispecie
retroattive. Sembra chiaro il riferimento agli acconti, che realizzano dei prelievi anticipati con
riguardo alle performance reddituale. Giova sottolineare che laddove il reddito risulta essere stabile
(lavoro dipendente) non ci sono particolari problematiche, di converso laddove le performance
reddituale siano instabili (libera professione) si possono avere dei contrasti con il requisito
dell’attualità. La Corte è intervenuta a riguardo stabilendo che l’azione di rimborso costituisce il
rimedio ad eventuali scostamenti in termini di attualità della capacità contributiva.
Per relatività del concetto di capacità contributiva si deve intendere che vige una sorta di relativizzazione
del sindacato sulla sussistenza della capacità contributiva che dunque non si limita più a rilevare la
potenzialità economica del presupposto bensì a ricostruire il principio dell’art. 53 alla luce degli altri
principi e valori dell’ordinamento.
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In quanto ai tributi extrafiscali, si evince che essi siano ammessi poiché essi hanno finalità di concorrere
alla soddisfazione di altri principi o interessi di rango costituzionale.
Sulla base del concetto di soddisfacimento di altri interessi di natura Costituzionali si ritengono legittimi
anche le agevolazioni ed esenzioni fiscali. Essi, operando in deroga al principio espresso cui si ricollega il
presupposto del tributo, sono ritenute legittime ogni qualvolta che tale deroga trovi razionale e congrua
giustificazione in altri principi di rango costituzionale.
Tornando all’enunciato dell’art 53, precisamente al secondo comma, si rileva che il sistema tributario sia
ispirato a criteri di progressività. La Corte costituzionale ritiene che si tratti di una norma direttiva e non
precettiva. Ciò permette la legislatore ordinario di ricorrere anche a tributi proporzionali o regressivi
purché il sistema nel suo complessivo risulti essere progressivo. La progressività significa aliquote più
basse per redditi più bassi e aliquote più alte per redditi più alti.
Con riguardo al sistema tributario italiano si può fare una critica, peraltro fondata e dimostrata nel
momento in cui si analizzano i singoli tributi, circa il fatto che il sistema risulta essere tendenzialmente
regressivo. Ciò si vedrà meglio nel momento in cui si procede all’analisi della struttura dell’IRPEF.
Ultimo particolare in merito al tema è circa la tassazione di proventi illeciti. Si rileva come in passato tali
proventi non fossero oggetto di tassazione, oggi invece sono tassati ma è chiaro che l’introduzione della
legge ha avuto come effetto liberatorio dalla tassazione i proventi illeciti realizzati prima dell’entrata in
vigore della legge.
Per entrate parafiscali si intendono le entrate relative al finanziamento della sicurezza sociale, quale i
contributi a fini INPS. Questi contributi si caratterizzano da un lato per essere dovuti da enti pubblici non
territoriali e dall’altro lato per essere prelevate da questi in virtù della potestà d’imperio loro conferito
dalla legge ( prestazioni imposte art. 23)
Storia: Il potere di imporre tributi ha avuto radici diverse nelle diverse epoche storiche.
In epoca romana il tributo era espressione di potestà pubblica, la concezione moderna è invece
ricollegabile alla disgregazione delle strutture statuali e alla perdita di potere da parte del re o imperatore.
Le prestazioni tributarie non costituiscono più oggetto di obbligazione autoritativamente imposte, ma un
atto di volontà del feudatario. Già nello stato barbarico il principio del consenso al tributo si modificò
dall’originaria prestazione volontaria del feudatario al principe al consenso manifestato delle varie
adunanze di uomini liberi.
All’esperienza inglese si fa risalire il principio del “no taxation without rapresentation” con il quale la
nobiltà pretendeva di imporre al sovrano la necessità del proprio consenso al tributo. A tale esperienza si
affianca anche l’introduzione del controllo sull’impiego del gettito dell’imposta e quindi sulla gestione
delle risorse finanziarie (momento delle entrate e momento delle spese).
L’esperienza nordamericana: il principio del consenso è presente già nella Costituzione della Carolina del
Nord nel 1776, del Maryland e della Virginia immediatamente successive e quindi nella Costituzione
federale americana.
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L’esperienza francese: dal ‘600 è il sovrano che autonomamente statuisce l’imposta ed attua il prelievo.
Affinché si possa parlare del principio del consenso in Francia è necessario giungere alla fine del XVIII
secolo con la codificazione del principio nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Tale
principio viene poi esportato in tutti gli Stati continentali dove si afferma la rivoluzione francese.
Nelle costituzioni recenti il principio ha assunto diversi significati giuridici e politici. Nelle monarchie
costituzionali dove la posizione del sovrano era costituzionalmente molto forte, le riserve fungono da
garanzia della sfera patrimoniale dei sudditi nei confronti del potere dell’esecutivo. Negli Stati
parlamentari invece dove è il parlamento ad avere la supremazia sull’esecutivo, le riserve fungono da
strumento di garanzia degli interessi patrimoniali dei cittadini nei confronti dell’esercizio dei poteri di
supremazia pubblici.
L’esperienza italiana: all’esperienza francese si ispira l’art. 30 dello Statuto albertino secondo cui “nessun
tributo può essere imposto se non è stato consentito dalle camere e sanzionato dal Re”.
La dottrina italiana sin dall’inizio ha voluto includere nella formula dello statuto due principi
costituzionali: quello della riserva di legge nell’istituzione di prestazioni imposte e quello della necessaria
approvazione con legge del bilancio dello Stato.
La legge rappresenta l’estrinsecarsi della volontà dello Stato e quindi sintetizza il principio garantista del
consenso al tributo. Il tributo poi si realizza mediante un’obbligazione legale che nasce dal verificarsi di
un fatto previsto dalla legge. Ciò si coglie dall’art. 23 della Cost. “ nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”, il quale qualifica la legge come fonte primaria
delle norme tributarie. L’art. 23 a differenza dell’art. 30 dello statuto comprende non solo il tributo nella
sua generalità, ma anche prestazioni imposte non aventi carattere tributario (il riferimento – prestazioni
personali- Es. Servizio di leva).
La norma costituzionale, l’art. 23, contiene una riserva di legge relativa, occorre dunque definire quali
siano gli atti che soddisfano tale riserva, quali no, quale è la materia coperta da riserva e quale può essere
rinviata ad atti normativi di fonte non primaria.
La formula dell’art. 23 si riferisce agli atti definibili leggi secondo il criterio formale, cioè a quelli emanati
dagli organi e con il procedimento costituzionalmente previsto agli artt. 70-74. Sono quindi le leggi in
senso stretto, nonché decreti legge (fatto dal governo in caso di urgenza, per essere valido deve essere
convertito in legge entro 30 gg dal Parlamento) e decreti legislativi (fatto dal governo sulla base di una
delega data dal Parlamento).
Rispetto all’art. 23 è da valutare anche la posizione dei regolamenti comunitari, la dottrina tende ad
escludere il conflitto dei regolamenti UE con l’art. 23 Cost. o a ritenere che questo art. non possa essere
applicato.
Classificazione di riserva: Riserva relativa – consente al legislatore di attribuire una parte della disciplina
ad atti normativi diversi dalla legge o addirittura ad atti amministrativi generali.
Riserva assoluta – tutta la materia deve essere disciplinata esclusivamente per legge -.
L’oggetto della riserva - la base legislativa è realizzata quando la legge disciplina almeno gli elementi
essenziali che identificano la prestazione: il presupposto (fatto al verificarsi del quale la prestazione è
dovuta), il soggetto passivo (soggetto cui tale fatto è ricollegabile e che deve la prestazione), base
imponibile e aliquota (sono i criteri di determinazione quantitativa della prestazione stessa). La Corte
Costituzionale ha ritenuto da sempre che la base legislativa deve essere sufficiente ad impedire la
discrezionalità dell’amministrazione (trasmodi in arbitrio).
È necessario distinguere la fase di determinazione della base imponibile da quella di determinazione
dell’aliquota. Il legislatore di regola riserva alla legge la disciplina dell’aliquota o del tasso d’imposta,
demandando a fonti subordinate la parte tecnico-estimativa della base imponibile.
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La dottrina è pacifica poi nel ritenere che possa essere demandata ad atti non aventi forza di legge la
disciplina dell’accertamento e della riscossione, anche qui previa fissazione di principi e criteri che
impediscano l’arbitrio dell’amministrazione finanziaria.
Un altro aspetto da considerare nell’esame dell’art. 23 Cost. riguarda gli atti cui può essere rimessa
l’integrazione della disciplina legislativa.
Parte della dottrina tributarista nega la possibilità che provvedimenti amministrativi singolari integrino la
disciplina di legge, per altra parte della dottrina invece il fatto che la riserva sia relativa consentirebbe al
legislatore ordinario di non disciplinare integralmente la materia lasciandola alle fonti subordinate.
Fonte primaria del diritto tributario, a seguito della riserva di cui all’art. 23 Cost. sono le leggi e gli altri
atti aventi forza di legge. La riserva si risolve nel rispetto della disciplina procedimentale dell’attività
legislativa (è escluso il referendum abrogativo – art. 75 Cost.)
Leggi provvedimento: leggi riguardanti un caso concreto, è ormai comunemente ammessa la legittimità
delle leggi provvedimento, con un limite derivante dagli art. 3 e 53 Cost. che vietano discriminazioni
irragionevoli e ingiustificate.
Per ciò che riguarda i decreti legge e decreti legislativi è necessario sottolineare l’uso abnorme del
legislatore. Il principio della delegazione legislativa desumibile dall’art. 76 Cost. “l’esercizio della
funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con la determinazione di principi e criteri
direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Il potere legislativo delegato al governo
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risulta quindi essere diverso per natura e per portata rispetto a quello di cui sono titolari le Camere.
Bisogna dire che anche nel caso in cui le Camere delegano la funzione legislativa al Governo queste non
perdono la competenza nel regolare la materia oggetto di delega, ed in infatti in qualsiasi momento
possono revocare tale delega sia implicitamente (deliberano una legge formale che disciplini sulla materia
oggetto di delega) sia esplicitamente (atto di revoca). L’atto con il quale il governo si serve di questa
delega è il decreto legislativo. Ampiamente usato nel diritto tributario, occorre però che gli aspetti della
norma riservati alla legge in base all’art. 23 Cost. debbano essere predeterminati dalla legge di
delegazione.
Il decreto legislativo, atto avente forza di legge avente la potenzialità di abrogare o modificare altre norme
di legge, è in una posizione gerarchica inferiore rispetto alla legge delega.
L’estremo ricorso alle delega legislativa si giustifica dall’esigenza di sottrarre alle assemblee parlamentari
e riservare a organi tecnici materie complesse ad elevato contenuto tecnico. Anche se l’uso distorto di tale
strumento deriva anche dalla volontà politica di ridurre i tempi lunghi dei lavori parlamentari, dalla
difficoltà di maggioranze omogenee e dall’esigenza di introdurre continue modifiche.
Anche i decreti leggi, consentiti dall’art. 77 Cost. per casi straordinari e di urgenza, hanno conosciuto
un’espansione del tutto patologica. L’uso abnorme derivante da situazioni di instabilità politica e dalla
mancanza di maggioranze stabili ha finito per comportare in molte occasioni la mancata conversione del
d.l. in legge, procurando un aggravamento alla situazione di instabilità e incertezza. Basti pensare che a
partire dagli anni ’70 il governo ha fatto un assiduo ricorso alla prassi della c.d. reiterazione, consistente
nel riprodurre in un nuovo decreto legge il contenuto di quello non convertito, tale prativa è divenuta nei
primi anni ‘90 una vera e propria regola, sottraendo così la funzione legislativa al Parlamento. Solo con la
sentenza n. 360/1996 la Corte ha messo fine alla pratica della reiterazione dichiarando l’illegittimità
costituzionale del reiterare lo stesso contenuto in un nuovo decreto. La Corte ha anche asserito che in caso
di infruttuosa conversione si possa fare un nuovo decreto legge a condizione però che questi risulti essere
fondato su “autonomi” e pur sempre straordinari motivi di urgenza e di necessità.
I regolamenti possono essere emanati dallo Stato, dagli enti territoriali diversi dallo Stato e da enti
pubblici non territoriali. Il regolamento dello Stato è subordinato alle leggi costituzionali e ordinarie
mentre prevale rispetto ai regolamenti degli enti diversi dallo Stato.
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La violazione da parte del regolamento di una legge ne comporta la sua illegittimità. Sono sottoposti al
regime giuridico degli atti amministrativi, quindi possono annullati dal giudice amministrativo (TAR in
primo grado) e Consiglio di Stato in seconda istanza.
È fondamentale distinguere i regolamenti dalle circolari, in quanto le circolari non sono fonti
dell’ordinamento generale dello Stato, ma di quello interno delle singole amministrazioni.
Le circolari
Le circolari fanno parte delle fonti del diritto tributario, la dottrina tributarista le qualifica come atti
amministrativi interni.
La circolare amministrativa che altro non è che una comunicazione da parte dell’amministrazione che non
influisce sul contenuto o sulla natura dell’atto.
Volendo distinguere le circolari in funzione della loro efficacia abbiamo:
1. Le circolari, vere e proprie, atti che l’amministrazione riconosce di interesse generale per tutti gli
uffici e per i quali adotta forme di comunicazione particolarmente efficaci.(Pubblicazione sul
Bollettino del ministero delle finanze o G.U. per le più importanti)
2. Le note e le risoluzioni ministeriali sono risposte a quesiti rivolti sia da privati sia dagli uffici
periferici. La loro portata è limitata al caso preso in esame. La loro pubblicazione ne consente la
conoscibilità e l’utilizzo quali precedenti logico-interpretativi.
Per ciò che riguarda il contenuto delle circolari, esso può essere di diverso tipo.
L’amministrazione attraverso le circolari può impartire agli uffici istruzioni sul piano interpretativo sia
invitandoli ad accogliere o meno interpretazioni fatte proprie da organi giurisdizionali o amministrativi,
sia provvedendo essa stessa a interpretare disposizioni di legge, dirimendo così contrasti interpretativi.
Le circolari quindi informano i contribuenti dell’interpretazione fatta propria dalla P.A. e fondano
l’affidamento. Infatti conformare il proprio comportamento ad una circolare ministeriale può condurre,
ove tale interpretazione fosse ritenuta illegittima, all’esclusione della sanzione e degli interessi moratori.
Nel diritto tributario si ha tutela dell’affidamento allorquando si verificano situazioni evidenti di contrasto,
vi è cioè una situazione obiettiva di incertezza, il giudizio sull’obiettiva situazione di incertezza è dato dal
giudice tributario, il quale deve accertare la sussistenza di tale stato e disapplicare le sanzioni ove lo
ritenesse opportuno.
Le circolari pongono ancora regole di comportamento agli uffici relative all’attività interna
dell’amministrazione.
La circolare ha valore normativo soltanto all’interno dell’amministrazione che lo ha emanato, ciò significa
che non si impone ai soggetti estranei alla pubblica amministrazione. Non sono vincolanti per il
contribuente e quindi non possono essere impugnate perché non si è obbligati a considerarle.
Nel diritto tributario l’inosservanza della circolare è fatta valere come indizio di illegittimità dell’atto
dinanzi al giudice speciale costituito dalle commissioni tributarie.
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L’uso e la consuetudine
In una materia coperta da riserva di legge non sono ammissibili l’uso e la consuetudine.
Non è certamente ipotizzabile una consuetudine abrogativa o contra legem neppure in relazione a quella
parte della disciplina rimessa a fonti subordinate. Una norma consuetudinaria può soltanto abrogare
un’altra norma consuetudinaria.
La riserva di legge si oppone invece alla consuetudine prater legem, in quanto questa predispone di
integrare la disciplina.
In linea di principio nessuno ostacolo sarebbe presente per la consuetudine secundum legem, in quanto il
riferimento è contemplato dalla stessa legge, in realtà anche questa risulterebbe essere inammissibile nel
caso riguardasse gli elementi essenziali del tributo o la sua istituzione.
La consuetudine trova applicazione solo nell’ordinamento internazionale, vi sono infatti norme
consuetudinarie che regolano il trattamento fiscale dello stato straniero, del capo di stato straniero e ancora
dei consolati stranieri e rappresentanti diplomatici.
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L’art. 119 nella sua nuova formulazione stabilisce che “I comuni, le Province, le Città metropolitane e le
Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa”.
Il legislatore costituzionale è intervenuto su due aspetti della disciplina: ha voluto dare un fondamento
certo all’autonomia finanziaria degli enti locali, in secondo luogo ha fornito un contributo di chiarezza al
significato del termine “autonomia finanziaria”. Infatti la nuova versione dell’art. 119 al comma 1
qualifica l’autonomia finanziaria come autonomia sia di spese che di entrate. Al 2° comma inoltre
attribuisce alle regioni ed agli altri enti autonomi territoriali un potere di stabilire ed applicare tributi ed
entrate proprie.
Ciò potrebbe far sembrare che agli enti locali sia consentito il potere di introdurre autonomamente tributi
propri. Non è così, in quanto la presenza della riserva di legge, art. 23 Cost., impone che gli enti locali
abbiano iniziativa in materia tributaria solo nell’ambito prestabilito da una legge di rango primario.
L’art. 117 Cost. induce a ritenere la legge regionale istitutiva del tributo locale, però la competenza
regionale in materia tributaria è solo di natura concorrente con quella dello Stato, ed è estesa solo al
coordinamento del sistema.
Tributi regionali: Accanto all’IRAP, istituita con legge dello Stato, rispetto alla quale spetta alla legge
regionale la manovra delle aliquote e delle esenzioni, ci sono altri tributi regionali istituiti con legge
regionale quali:
- Addizionale regionale IRPEF
- Imposta sulle concessioni statale dei beni
- Tassa concessioni regionali
- Tassa regionale di circolazione
- Tassa regionale per il diritto allo studio universitario
- Compartecipazione al gettito IVA
La legge statale ha previsto per ciascun tributo i presupposti, i soggetti passivi, le principali modalità di
accertamento e riscossione nonché le aliquote minime e massime nel cui ambito si esercita la scelta con
legge regionale.
Tributi provinciali e comunali:
- Imposta comunale sugli immobili, ICI
- Imposta sulla pubblicità ed i diritti sulle pubbliche affissioni
- Imposta provinciale di trascrizione
- Addizionale comunale IRPEF
- Quote dell’imposta erariale sulle assicurazioni per la R/C degli autoveicoli
L’art. 119 Cost. stabilisce che gli enti locali “Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali
riferibile al loro territorio” e declama al comma 3° “La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo,
senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.” Quest’ultimo
aspetto provoca delle perplessità, in quanto la redistribuzione finanziaria non contempla una quantità certa
di risorse da destinare annualmente al fondo perequativo e non prevede alcun vincolo costituzionale dei
tributi che devono alimentare il fondo. La consistenza del fondo quindi è dipendente dall’andamento della
congiuntura economica e dalle scelte politiche dello Stato. Al momento il fondo perequativo è finanziato
attraverso una compartecipazione all’IVA.
Inoltre è stabilito che il fondo perequativo non abbia vincoli di destinazione, questo permette alle regioni e
agli enti locali di utilizzare le risorse trasferite per realizzare le priorità poste da ciascun livello di governo.
Il 4° comma dell’art. 119 Cost. stabilisce che le entrate proprie, insieme ai trasferimenti perequativi sono
finalizzati a finanziare integralmente le funzioni pubbliche.
Il comma 5° “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere
gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona … lo Stato
destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali”. La differenza con il fondo perequativo sta nel
fatto che queste risorse aggiuntive sono dirette ad integrare le risorse proprie delle regioni al fine però di
ottenere specifici risultati. Si parla in tal caso di finanza funzionale (tributi come strumento per garantire i
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diritti della persona) e non finanza neutrale (i tributi hanno solo funzione fiscale volta a mantenere la
regione gli enti locali in equilibrio finanziario).
Alle regioni a statuto speciale è attribuita una potestà normativa tributaria originaria, seppure limitata dalla
Costituzione, dalle leggi costituzionali e dalle leggi dello Stato che fissano i principi della legislazione
nazionale.
Le regioni a statuto speciale potevano istituire tributi nuovi colpendo manifestazioni di capacità
contributiva affatto o insufficientemente colpite da tributi erariali, purché non ci fosse contrasto con il
sistema tributario nazionale.
La riforma del Titolo V ha coinvolto anche la disciplina dedicata alle regioni a statuto speciale. L’art. 116
prevede che le regioni a statuto speciale “dispongano di forme e condizioni particolari di autonomia,
secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.
Potestà normativa tributaria è riconosciuta dal nostro ordinamento alle Comunità Israelitiche (hanno il
potere di prelevare un’imposta sul reddito complessivo ovunque prodotto a carico degli appartenenti alla
comunità) e alla Comunità dei greco-ortodossi di Venezia.
Per fase statica si intende quella fase in cui si istituisce un diritto (tipologia e struttura), dove vi è lo studio
del presupposto, del rapporto di imposta e dei soggetti.
Per fase dinamica si intende la fase applicativa del diritto, con l’esecuzione delle singole fasi del
procedimento di applicazione del tributo, accertamento, riscossione, rimborso del tributo.
Per ciò che riguarda la giuridicità della norma, rivestono importanza poco più che storica alcuni problemi
riguardanti la negata giuridicità della norma o per la mancanza del carattere della necessità o per la
mancanza del requisito della bilateralità, in quanto il contribuente non vanterebbe diritti a contrapposte
prestazioni da parte dello Stato. La dottrina comunque non ha avuto difficoltà nel confutare queste tesi in
quanto basate su equivoche eccezioni.
Altre teorie attribuivano alla legge tributaria qualità di legge in senso formale, cioè limitata a disciplinare
l’esercizio del potere da parte dell’amministrazione senza creare diritti ed obblighi nei soggetti. Di tale
tipologia di legge se ne può parlare semmai per quelle di ratifica dei trattati internazionali.
L’evoluzione della dottrina e soprattutto l’individuazione nei principi del concorso e della capacità
contributiva del fondamento e del limite del tributo hanno attribuito alla norma tributaria la natura di
norma giuridica finalizzata alla realizzazione di tali principi mediante l’assunzione di atti e fatti della vita
a presupposti di imposizione.
La norma tributaria è strumentale in quanto disciplina l’attività dell’ente pubblico rivolta a procurarsi i
mezzi per conseguire le proprie finalità istituzionali. La norma tributaria porta con se alcune caratteristiche
quali: - in primo luogo l’interesse fiscale, la possibilità cioè di subordinare altri principi, costituzionali e
non, riconosciuti dall’ordinamento all’interesse generale alla riscossione dei tributi riconosciuto quale
interesse alla sopravvivenza dell’intera collettività e non solo della P.A.
Per quanto riguarda la semplificazione della posizione del fisco, la legge si avvale delle presunzioni e
dell’equiparazione di fattispecie.
La legge permette in linea di principio di dimostrare dei fatti attraverso strumenti dimostrativi meno
rigorosi di quelli previsti dal diritto civile.
Presunzioni legali: è la legge stessa a predeterminare una parte dell’argomentazione presuntiva. Una volta
determinati certi fatti, vi è una presunzione legale, che se ne debba ricavare un ulteriore fatto. Le
presunzioni legali si divino in relative e assolute.
Presunzione legali relative: (iuris tantum) quando il contribuente è ammesso a provare che la conseguenza
del fatto dimostrato è stata diversa da quella presunta dalla legge.
Presunzione legali assolute: (iuris et de iure) non è ammessa la prova contraria e dunque vengono
equiparati, quanto a disciplina fiscale applicabile, atti o fatti diversi. (meccanismo della regola
d’esperienza)
Il rafforzamento della posizione del fisco avviene sia agevolando la funzione di controllo, sia dettando
delle norme che riqualificano fatti o soggetti apparenti e consentono al fisco di riqualificarli o di imputarli
a soggetti diversi. Es. in sede di rettifica o di accertamento di ufficio sono imputati al contribuente i redditi
di cui appaiono titolari altri soggetti, quando è dimostrato che egli ne è l’effettivo possessore per
interposta persona.
L’elusione fiscale: consiste in un comportamento non proibito da alcuna norma di legge che presenta le
seguenti caratteristiche:
- Avere l’intento di risparmiare l’imposta
- Avere un comportamento anormale rispetto a quello solitamente adottato nelle medesime
condizioni
- Far conseguire un totale o parziale risparmio d’imposta né previsto né consentito dal legislatore.
Si tratta quindi di un comportamento voluto consistente nell’impiego abnorme di un istituto consentito, al
fine del risparmio d’imposta.
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Il legislatore è intervenuto più volte per introdurre nell’ordinamento una norma antielusiva di carattere
generale.
Con un primo intervento ha inserito nell’art. 37 DPR 600 la possibilità per il fisco di imputare al
contribuente “i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato anche sulla base di
presunzioni gravi e precise e concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”. La
Corte di Cassazione ha ritenuto però che in tal caso di interposizione fittizia e non reale, pertanto la
disposizione rimane ancora nell’ambito della simulazione e nulla innova rispetto al sistema precedente.
Una vera e propria clausola antielusiva è stata introdotta solo con il D. Lgs. 8 ottobre 1997 n. 358 che ha
inserito nel DPR 600/1973 un nuovo art. 37 bis con la rubrica “Disposizioni antielusive”.
Questa disposizione ha risolto il problema dell’elusione in quanto rende inopponibili all’amministrazione
finanziaria “gli atti, i fatti e i negozi anche collegati fra loro privi di valide ragioni economiche, diretti ad
aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere riduzioni d’imposte o rimborsi
altrimenti indebiti”.
La riqualificazione della fattispecie richiede:
- Che vi sia un vantaggio fiscale
- Che vi sia un aggiramento di obblighi e divieti
- Che gli atti e fatti siano privi di valide ragioni economiche
Affinché l’amministrazione finanziaria possa disconoscere i vantaggi tributari conseguiti tutti questi
requisiti devono sussistere congiuntamente.
Una seconda conseguenza della natura strumentale della norma tributaria è la sua variabilità e
mutevolezza che si giustifica da un lato dall’esigenza di seguire le mutevoli manifestazioni di capacità
contributiva e di contrastare le continue escogitazioni dei contribuenti, dall’altro comporta la continua
modifica dei testi legislativi e il loro continuo aggiornamento, provocando una elevata instabilità della
legislazione tributaria.
La norma tributaria è altresì attuale in quanto si caratterizza per la sua elevata corrispondenza ai fenomeni
economici e giuridici del suo tempo.
Parte della dottrina ha sottolineato infine la semplificazione e il metodo casistico della norma tributaria.
La prima consiste nella riduzione di un concetto astratto di fatto imponibile ad ipotesi specifiche che
possano rinvenirsi nei comportamenti pratici dei contribuenti, il secondo consiste nell’indicazione, più o
meno dettagliata, dei casi sottoposti ad imposta al fine di privilegiare la semplicità di applicazione e la
certezza dei rapporti tributari nonché il gettito per l’amministrazione.
Il metodo casistico sottolinea il carattere di norma a fattispecie esclusiva.
- Norme sanzionatorie: attraverso le quali l’ordinamento assicura la punizione, con sanzioni sia
amministrative sia penali, dei comportamenti che violano norme sostanziali o formali relative
all’attuazione del tributo.
- Norme interpretative: riconducibili alla sempre più crescente opera di sostituzione del legislatore
all’amministrazione e all’interprete. Le norme interpretative sono divenute negli ultimi anni assai
frequenti, se è pur vero che la loro natura non crei problemi con gli artt. 23 e 53 Cost., bisogna
notare che sotto le forme dell’interpretazione si tende spesso ad introdurre retroattivamente norme
nuove.
- Norme derogative: frequentemente utilizzata dal legislatore tributario per integrare o modificare la
disciplina di un tributo. La norma derogatoria non si pone in termini di incompatibilità con quella
precedente, ma regola diversamente una parte dei fatti riconducibili alla fattispecie della prima
norma, in base al criterio della maggiore specificità. Sono particolarmente utilizzate dal
legislatore tributario per introdurre agevolazioni ed esenzioni.
- Norme concorrenti: si ha quando due o più norme presentano fattispecie parzialmente coincidenti
in modo che nessuna risulti intermante ricompresa nell’altra. Nello stabilire quale sia da applicare
al caso concreto si ritiene prevalga la norma più specifica.
- Norme condizionate: il momento iniziale o finale di efficacia è subordinato al verificarsi di un
evento incerto.
- Norme di rinvio: il cui abuso costituisce peculiarità nel settore tributario. Il legislatore ne fa largo
uso come strumento di produzione normativa. Nel rinvio la norma è formulata per riferimento ad
altro atto normativo, può distinguersi tra rinvio materiale, ha solo fini di brevità redazionale, e
rinvio formale, rinvio a norme che disciplinano fattispecie diverse, il rinvio non è a un testo
determinato bensì all’efficacia normativa di una fonte diversa.
Possibili inconvenienti legati all’ipotesi di rinvii: 1 - norme successivamente modificate magari
con soppressione della parte cui veniva fatto rinvio. 2 – Difficile controllo parlamentare sui testi
legislativi che recavano rinvii persino di secondo o terzo grado.
Diverso dal rinvio è il rapporto di presunzione dove il legislatore nel dettare la norma presuppone
la disciplina prevista ad es. da un altro settore dell’ordinamento.
Il legislatore ha infatti ricompreso nelle categorie di reddito di cui all’art. 6 del TUIR i proventi
derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già
sottoposti a sequestro o confisca penale.
- Il soggetto: costituisce il centro di imputazione degli effetti del presupposto. Esso è di regola colui
che ha posto in essere il fatto manifestativo di capacità contributiva. Devono essere individuati
analiticamente.
- La base imponibile: è costituita dalla grandezza che misura la capacità contributiva manifestata dal
presupposto ovvero l’oggetto del tributo. Es. IRPEF – il presupposto è il possesso del reddito,
l’oggetto è il reddito, la base imponibile è la quantità di reddito posseduta tassabile in capo al
soggetto.
Il minimo vitale è costituzionalmente garantito e il sistema dispone l’inapplicabilità dell’imposta se
la base non supera il minimo imponibile.
La legge poi, con riguardo alla composizione, indica di regola quali sono gli elementi che
compongono la base imponibile. La legge indica le componenti negative che debbano essere
dedotte da quelle positive.
- Il tasso d’imposta: è il coefficiente da applicare alla base imponibile per ottenere l’ammontare
dell’imposta. Il tasso può essere fisso o variabile.
Fisso: quando è espresso in un ammontare invariabile quale sia la grandezza della base imponibile.
Variabile: caso più frequente, è costituito da un’aliquota. L’aliquota può essere proporzionale o
progressiva.
Proporzionale quando rimane costante al variare della base imponibile.
Progressiva quando muta più che proporzionatamente al crescere della base imponibile.
Si parla di imposta regressiva quando l’aliquota decresce all’aumentare della base imponibile.
Passando ora al momento finale di efficacia. Gli atti normativi possono prevedere un termine finale di
efficacia, cosa che è frequente per i regimi fiscali agevolati a durata limitata.
- Il momento finale dell’efficacia può coincidere con l’abrogazione da parte di altro atto normativo
di rango pari o superiore. L’abrogazione può essere tacita o espressa.
- Un’altra ipotesi di cessazione è la dichiarazione di incostituzionalità, ai sensi dell’art. 136 Cost.,
quando la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità la norma cessa di avere efficacia dal giorno
successivo alla pubblicazione. La giurisprudenza comunque ritiene che tale dichiarazione non
travolga situazioni soggettive attive o passive “ormai esaurite”.
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Successione di legge tributarie nel tempo: la legge successiva di rango pari o superiore abroga la
precedente incompatibile. Nel caso di incompatibilità parziale è la norma speciale che deroga a quella
generale. Se la norma successiva ha carattere più ampio e generale di quella precedente, non si ha
abrogazione, ma deroga.
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Doppia imposizione internazionale: i presupposti d’imposta in due o più Stati si sovrappongono e dunque
le diverse leggi nazionali assoggettano due o più volte ad imposta la stessa ricchezza.
Il fenomeno della doppia imposizione ha assunto particolare importanza in campo internazionale in
riferimento soprattutto delle imposte dirette.
Le imposte sui redditi oggi nella maggior parte degli Stati vengono applicate sulla basi di due criteri: i
soggetti residenti per il reddito ovunque prodotto, mentre i soggetti non residenti sono assoggettati
all’imposta sui redditi derivanti da fonte poste nel territorio dello Stato. Se dunque un soggetto consegue
redditi da uno Stato in cui non è residente, ed entrambi gli stati adottano gli stessi principi, secondo i quali
lo Stato della residenza tassa tutto il reddito ovunque prodotto e quello della fonte tassa i redditi prodotti
sul suo territorio, non v’è dubbio che i redditi di fonte estera verranno sottoposti a doppia tassazione.
Il diritto internazionale non conosce alcun divieto espresso della doppia imposizione, anche perché un
eventuale divieto da parte dell’ordinamento internazionale provocherebbe l’inapplicabilità delle
disposizioni di entrambi gli Stati.
I metodi adottati dagli Stati per evitare la doppia imposizione internazionale sono diversi e dipendono
dalla struttura delle imposte esistenti nel paese. Così gli Stati che adottano il principio di territorialità,
limitano la tassazione ai redditi di fonte nazionale, risolvono il problema in quanto i redditi esteri sono
automaticamente esclusi. Per gli stati invece che adottano criteri di collegamento soggettivi, con imposte
di tipo personale, la doppia imposizione può essere evitata attraverso o il metodo dell’esenzione, che
consiste nell’escludere da imposta i redditi di fonte estera, ovvero attraverso il metodo del credito
d’imposta, che consiste nel dedurre le imposte pagate all’estero dal debito d’imposta dovuto nello Stato di
residenza sui redditi ovunque prodotti.
Gli Stati tendono a fare ciò mediante convenzioni internazionali contro la doppia imposizione.
Le norme convenzionali delimitano il potere normativo dei singoli stati al fine di eliminare la doppia
imposizione.
Metodo dell’esenzione: al verificarsi della fattispecie convenzionale viene esclusa in uno degli Stati
contraenti l’obbligazione nascente dal verificarsi della fattispecie di diritto interno.
Metodo dell’imputazione: Gli Stati contraenti si impegnano reciprocamente a compensare le obbligazioni
d’imposta di diritto interno a seguito del verificarsi della fattispecie convenzionale.
Si pongono però dei problemi d’interpretazione, dal momento che una difforme interpretazione da parte
dei due Stati potrebbe comportare che l’esecuzione del trattato nel diritto interno non corrisponda alle
obbligazioni assunte dagli Stati sul piano internazionale. Si pongono anche problemi di abuso delle
convenzioni da parte sia dei contribuenti (si sfruttano vantaggi da una convenzione che non sarebbero
applicabili) sia degli Stati. Queste ipotesi di abuso vanno inquadrate nel problema generale dell’elusione.
Si pongono infine problemi di tutela in relazione alla mancata o non corretta applicazione delle norme
convenzionali da parte dell’amministrazione di uno degli Stati contraenti.
- L’art. 25 del modello OCSE prevede la procedura amichevole attraverso la quale un soggetto che
dovesse ritenere che le misure adottate da uno o da entrambi gli stati contraenti comportino o
comporterebbero per lui una imposizione non conforme alla convenzione può sottoporre il
problema all’autorità competente dello Stato in cui risiede. Se il ricorso sarà fondato l’autorità
competente cercherà di regolare il caso per via di amichevole composizione con l’autorità
competente dell’altro Stato contraente.
- Altro metodo è il ricorso ad una decisione arbitrale, ma ad oggi tale procedimento non esiste, come
pure mancano giudici internazionali che decidano sull’applicazione delle convenzioni contro la
doppia imposizione.
Dalla doppia imposizione internazionale si differenzia la doppia imposizione interna, che si verifica
quando si ha duplice o plurima imposizione dello stesso presupposto all’interno dello stesso ordinamento.
L’art. 127 del TUIR dispone che “la stessa imposta non può essere applicata due o più volte in
dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”.
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Bisogna fare delle distinzioni sugli effetti che la risposta al quesito può produrre in ragione dell’oggetto e
della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge.
La novità rispetto al passato, non sta nella possibilità del contribuente di porre dei quesiti, ma nel diritto di
ricevere una risposta “qualificata”, ovvero dotata di rilevanza non meramente interna all’amministrazione.
Ad oggi l’attività di consulenza giuridica si distingue in attività interpretativa di carattere generale, che si
esplica attraverso le circolari predisposte dalle Direzioni centrali e rivolte alla generalità dei contribuenti,
degli uffici e degli operatori, e nei pareri relativi a specifiche fattispecie applicative sollecitati da soggetti
interessati a conoscere l’orientamento dell’amministrazione, riconducibili all’istituto dell’interpello.
In relazione alla procedura che agli effetti è necessario distinguere l’interpello ex art. 21 della L. 413/1991
da quello ex art. 11 dello Statuto dei diritti dei contribuenti.
- Interpello ex art. 21 L. 413/1991: il contribuente, mediante apposita richiesta, può conoscere
preventivamente il parere dell’amministrazione finanziaria in merito all’applicazione ai casi concreti,
rappresentati nell’art. 37 bis, in tema di disconoscibilità dei vantaggi conseguiti a seguito di
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operazioni che potrebbero essere considerate elusive, nonché di quelle relative all’interposizione
fittizia.
La richiesta a pena di inammissibilità deve essere indirizzata alla Direzione regionale competente per
territorio. Il contribuente in mancanza di risposta, entro 60 gg può rivolgere un ulteriore richiesta sulla
medesima fattispecie al “Comitato consultivo” per l’applicazione delle norme antielusive istituito
presso il Ministero delle Finanze. La mancata risposta del comitato entro 60 gg dalla richiesta,
trascorsi ulteriori 60 gg dalla diffida ad adempiere da parte del proponente, equivale a silenzio
assenso.
- Interpello ex art. 11 L. 212/200: strumento di carattere generale teso a far conoscere, preventivamente
e con efficacia vincolante in sede di eventuale accertamento, la posizione degli uffici in merito
all’applicazione di norme tributarie a casi concreti e personali, quando esistano obiettive condizioni di
incertezza sull’interpretazione delle stesse.
L’interpello del contribuente può avere oggetto esclusivamente atti normativi di fonte primaria o
secondaria relativi alla norma tributaria. L’istanza deve essere presentata alla Direzione regionale
dell’Agenzia personalmente dal contribuente, tra i soggetti legittimati ci sono anche i sostituti e i
responsabili di imposta limitatamente a richieste relative alle loro funzioni, mentre sono esclusi i
portatori di interessi collettivi. La richiesta di parere deve essere presentata all’amministrazione prima
che si applichi la disposizione di cui si chiede l’interpretazione, tuttavia l’inizio della procedura non
ha alcuno effetto sulle scadenze previste dalle leggi tributarie.
L’agenzia entro 120 gg dalla data di ricevimento dell’istanza è tenuta a portare a conoscenza del
contribuente una risposta motivata. Tale risposta ha efficacia solo nei confronti del richiedente e
limitatamente al caso concreto prospettato. Nel caso di inerzia oltre i 120 gg si considera il silenzio-
assenso relativamente alla soluzione formulata nell’istanza dal contribuente. A garanzia di ciò vi è il
2° comma dell’art. 11 che cita “qualsiasi atto impositivo o sanzionatorio emanato in difformità della
risposta, anche desunta implicitamente, si considera nullo”.
La disciplina prevede che l’amministrazione possa rettificare la sua risposta portando a conoscenza
del contribuente un parere diverso da quello già reso. In tal caso è necessario fare una distinzione a
seconda che il contribuente abbia già dato o meno applicazione alla norma oggetto dell’interpello. Nel
primo caso la nuova interpretazione dovrà essere tenuta in considerazione solo per eventuali
fattispecie future, nel secondo caso invece comporterà il pagamento della maggiore imposta dovuta,
unitamente agli interessi, senza però che vi sia l’irrogazione di sanzioni.
- Interpello ex art. 37 bis, comma 8 del DPR 600/1973: attribuisce al Direttore generale dell’Agenzia il
potere di disapplicare disposizioni di carattere tributario che, a scopo antielusivo, limitano deduzioni,
detrazioni e crediti di’imposta. A tal fine il contribuente deve presentare un’istanza descrivendo
l’operazione e indicando le disposizioni specifiche di cui chiede la disapplicazione.
- Interpello “ordinario”: attività di consulenza giuridica in risposta a quesiti specifici formulati dal
contribuente non riconducibili a quanto disciplinato dall’art. 11 dello Statuto, nonché gli interventi
interpretativi sollecitati da associazioni di categoria e sindacali, ordini professionali, enti pubblici o
privati che esprimono interesse di carattere generale. Non producono effetti giuridici vincolanti al
successivo operare dell’amministrazione, in tal senso la mancata pronuncia da parte degli uffici non
assume alcuna rilevanza dal punto di vista giuridico.
- Ruling internazionale: si tratta di una particolare forma di parere preventivo che le imprese con
attività internazionale possono richiedere all’amministrazione finanziaria in merito al regime dei
prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalities. L’atto che conclude questa
procedura è un accordo stipulato tra il competente ufficio dell’agenzia delle entrate ed il contribuente
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che ha efficacia vincolante per il periodo d’imposta nel corso del quale è stato stipulato e per i due
periodi d’imposta successivi, salvo che non intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di
diritto rilevanti al fine dei metodi di calcolo per la determinazione delle componenti di reddito e
risultanti dall’accordo sottoscritto.
Il complesso panorama normativo in cui si imbatte nel diritto tributario, presenta accanto alle norme
impositrice, ovvero propense alla definizione del presupposto, una serie di norme sostanziali e strumentali
che consentono l’attuazione del prelievo.
In passato era l’obbligazione tributaria, ovvero l’obbligazione derivante da un fatto previsto per legge ad
esser ricondotto all’attuazione del prelievo. Oggi gli schemi, inerenti gli studi circa l’attuazione del
prelievo muovono dalla combinazione tra problematiche relative alla fonte legale dell’obbligazione e
quella relativa all’accertamento del tributo.
Lo studio dell’accertamento, che in origine risentiva dell’approccio economico – finanziario del tributo,
considerava l’accertamento quale atto di regola necessario al fine della determinazione e liquidazione del
presupposto di fatto, tutto secondo previsioni legislative. L’accertamento, dunque si mirava ad inserire
l’interesse pubblico dell’attuazione del prelievo, in uno schema altrimenti privatistico quale quello
dell’obbligazione. Con riguardo all’attuazione del prelievo si è soliti individuare una fase statica, per la
quale il concetto di fattispecie risulta essere quello più adatto per la spiegazione. Si ricorda, in proposito,
che per fattispecie si intende una combinazione di elementi, individuati dalla norma, al cui verificarsi si
producono effetti giuridici già definiti dalla norma. Una volta verificatosi il prelievo e la fattispecie si
perviene alla fase dinamica del prelievo.
A tal proposito si distinsero tre teorie :
1. teoria dichiarativa, che attribuiva allatto di accertamento la funzione di dichiarare , ossia
determinare nel quantum, sulla base di un attività pubblicistica, una obbligazione peraltro già sorta
al verificarsi del presupposto. Gli atti dunque erano dichiarativi e dovevano confermare quanto
previsto per legge.
2. teoria costitutiva; che riconosceva che fin dal verificarsi del presupposto nasceva una funzione
vincolata d’imposizione o un potere per il fisco cui corrispondeva una soggezione generica del
contribuente. In sostanza attribuivano all’atto di accertamento natura costitutiva dell’obbligazione
tributaria. Gli atti, in questo caso, hanno natura costitutiva, ovvero producono effetti.
3. teoria della scuola romana ; gli atti successivi sono autonomi e sequenziali, si equipara il tutto al
procedimento amministrativo pertanto ogni atto ha effetti propri pur conservando la caratteristica
di esser adottati per raggiungere un fine comune ovvero la riscossione del tributo.
Con riguardo all’attuazione del prelievo si è soliti individuare una fase statica, per la quale il concetto di
fattispecie risulta essere quello più adatto per la spiegazione. Si ricorda, in proposito, che per fattispecie si
intende una combinazione di elementi, individuati dalla norma, al cui verificarsi si producono effetti
giuridici già definiti dalla norma. Una volta verificatosi il prelievo e la fattispecie si perviene alla fase
dinamica del prelievo.
In linea generale è corretto affermare che nello studio dell’accertamento si assiste ad un progressivo
passaggio dall’ottica privatistica a quella pubblicistica. Si afferma che si sta passando ad un rapporto
complesso d’imposta quale fattispecie a formazione progressiva del procedimento di imposizione.
Oggi nello studio dell’accertamento si è propensi a distinguere la fase statica da quella dinamica. Con la
prima si intende l’atto di accertamento e relativi effetti, mentre con la seconda si fa riferimento al
procedimento e relativi atti e fasi.
La su fornita introduzione, che si basa sulle più recenti teorie sulla fase di attuazione del tributo, deve
essere integrata con le interpretazioni derivanti dalla giurisprudenza Costituzionale.
Dunque, una volta definito il principio di capacità contributiva quale mera direttiva al legislatore e con
finalità di porre limiti per ciascun tributo anche nel momento dell’attuazione, si è aperta una nuova
prospettiva, inerente lo studio dell’accertamento, basata sulla distinzione tra la fase di accertamento del
fatto – presupposto e la fase di riscossione del tributo.
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Alla fase della riscossione, pertanto si attribuisce, le fattispecie inerenti obblighi e obbligazioni di
pagamento nonché obblighi di ritenuta d’acconto.
Alla fase dell’accertamento, invece, è attribuito il complesso di atti,fatti che hanno la funzione di
determinare il presupposto nel suo quantum.
Si può dunque affermare che l’accertamento tributario, inteso in senso di procedimento, ha come obiettivo
preminente l’individuazione precisa della capacità contributiva.
Nell’impostazione attuale, si nota la vincolatezza dell’attività di accertamento alle disposizioni normative,
la discrezionalità la si riscontra nell’attività di controllo e di riscossione. Più precisamente, accanto ai
giudizi tecnici dell’amministrazione finanziaria si nota una certa discrezionalità inerente la scelta di
procedere ad un accertamento analitico o induttivo, di ricorrere o meno alle indagini bancarie, studi di
settore ecc. Si tratta pur sempre di casi di discrezionalità attenuata, poiché i casi di piena discrezionalità si
riscontrano in quanto alle dilazioni della riscossione nonché all’attribuzione del domicilio fiscale.
In virtù della recente normativa risalta la sempre più accentuata tendenza a scindere la fase
dell’accertamento dalla fase della riscossione. Risulta dunque necessaria un adeguato collegamento tra le
due fasi, dato il verificarsi di forme di riscossione anticipata anche nei confronti di soggetti diversi dal
contribuente effettivo, ciò implica che risulta di difficile determinazione di quanto viene via via riscosso e
quanto risulterà dovuto una volta accertata la capacità contributiva sulla base del presupposto.
L’accertamento, opera dunque da vero e proprio raccordo tra riscossione anticipata e capacità contributiva
manifestata dal presupposto.
Un'altra segnalazione in merito al discorso è relativo al fatto che la dottrina prima attribuiva gli atti, quali
destinati alla materiale acquisizione del gettito da parte dell’erario, all’accertamento. Ora invece sono
accomunati alla fase della riscossione. Infatti, si discorre circa il fatto che ora gli atti di liquidazione siano
di competenza della fase di riscossione mentre all’accertamento compete il controllo e la valutazione del
presupposto. In merito alla liquidazione, si osservi come questa sia stata introdotta con gli art 36 bis e 36
ter ( rispettivamente D.P.R del ’76 e dell’ 82).
Il legislatore ha introdotto così anche nelle imposte sul reddito una fase di liquidazione delle imposte
dovute in base alle dichiarazioni.
Un breve cenno sull’accertamento parziale torna sicuramente utile. Tale forma di accertamento, che si
colloca indubbiamente nell’area dell’accertamento, propone che l’amministrazione non si limita a
correggere i dati risultanti dalla dichiarazione, bensì procede alla loro rettifica sulla base di elementi
esterni senza elaborarli o metterli a confronto con altri dati in suo possesso. Da questa progressiva
anticipazione delle attività di controllo e di liquidazione consente di escludere gli atti di liquidazione di cui
agli art 36 bis e dal novero degli avvisi di accertamento. Giacché si discorre di atti di liquidazione si noti
che la loro efficacia preclusiva si estende solo al quantum da versare e non invece ai fatti materiali in
ragione dei quali è dovuto il pagamento. Evidentemente il successivo atto di accertamento potrà perciò
determinare il presupposto di fatto e liquidare il tributo anche in diversa qualificazione degli oneri e
deduzioni oggetto di rettifica. Ciò è la risposta alla domanda se in caso di impugnazione, un eventuale
giudicato formatosi sul ricorso contro il ruolo si imponga al successivo avviso di accertamento. In quanto
all’avviso di accertamento parziale, la sua mancata impugnazione preclude la successiva valutazione dei
fatti su cui si è basato l’accertamento parziale, l’efficacia preclusiva in tal caso si estende anche agli
elementi costitutivi e non solo all’obbligazione di pagare una somma di denaro.
I Soggetti
In quanto ai soggetti si può far riferimento alla seguente classificazione per poi entrare nel dettaglio circa
le problematiche e peculiarità delle varie categorie interessate .
In quanto ai soggetti attivi si distinguono quelli in senso proprio da quelli a titolo ausiliario ( G.d.F).
Per quanto concerne i soggetti passivi si distingue tra quelli di diritto, ovvero su cui grava l’obbligo, e
quelli di fatto, su cui grava economicamente l’imposizione.
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Entrando brevemente nel particolare, si noti come lo Stato gestisce i tributi erariali secondo la seguente
ramificazione :
Stato – ministero dell’economia e delle finanze – agenzia delle entrate , agenzia del territorio, agenzia del
demanio, agenzia delle dogane
Partendo dalla classificazione tradizionale, secondo cui, è considerato soggetto attivo colui al quale
compete la potestà di imposizione, e soggetto passivo colui sul quale tale obbligo grava. Dall’analisi della
molteplicità di schemi attuativi che oggi si presentano, basti pensare al credito d’imposta, che a seconda
dei casi spetta a soggetti diversi rende sempre più sottile tale distinzione tradizionalista. Dunque per
pervenire ad una definizione unitaria di soggetto attivo si deve considerare la soggettività del tributo quale
istituto tipico del diritto tributario. Il criterio generale di individuazione del soggetto attivo tiene conto
dell’individuazione del patrimonio a cui si imputa l’effetto dell’obbligazione imposta al privato.
È soggetto attivo dunque il soggetto al quale si imputa direttamente, per effetto dei meccanismi previsti
dalla norma, l’incremento patrimoniale in cui si risolve il tributo.
Sulla base della considerazione del tributo quale istituto giuridico caratterizzato da una specifica ratio e da
una funzione tipica si può fornire la definizione di soggetto passivo.
È soggetto passivo colui che per l’operare del tributo concorre alle pubbliche spese a seguito del
verificarsi del fatto previsto dalla legge. Va sottolineato, con riferimento ai soggetti passivi, che ai fini
della legittimità costituzionale devono concorrere i seguenti due requisiti:
1. il soggetto deve essere colui nel quale si verifica la decurtazione patrimoniale
2. al soggetto stesso si deve imputare la capacità contributiva manifestata dal fatto previsto dalla
legge.
Ci si chiede se lo Stato possa essere soggetto passivo del tributo, tale che esso possa assommare in sé la
qualifica di creditore e debitore. A tal fine si devono analizzare due profili, ovvero :
1. si sostiene che non vi sia ragione per ritenere che la norma tributaria posta dallo stato,
nell’esercizio delle sue funzioni, non si applichi al verificarsi dei relativi presupposti anche allo
Stato quale organizzazione.
2. si è postp il dubbio se uno stesso soggetto possa intervenire nel rapporto giuridico in duplice veste
di soggetto attivo e passivo. La dottrina ritiene, ora , che vi sia ricorrenza di interessi diversi,
pertanto il tributo non assolve alla sua funzione principale ma consente di tenere meglio conto
dell’effettiva ripartizione tra i consociati dei carichi pubblici e dunque meglio calcolare il costo
dell’incidenza fiscale sugli altri soggetti.
Soggetti attivi
Con riferimento al concetto della potestà amministrativa d’imposizione, ovvero la posizione ed il ruolo
degli organi amministrativi cui è demandata l’applicazione dei tributi esistenti, si può evidenziare come vi
sia una sopravalutazione del momento di autorità nello studio del tributo , specie dalla parte della dottrina
costitutivistica, che ha individuato nell’atto di imposizione la fonte dell’obbligazione da ricondurre alla
potestà e dunque l’attività dell’amministrazione prima del sorgere dell’obbligazione. Altra considerazione
in merito , discende dal fatto che ai soggetti attivi non è attribuito l’obbligo di applicare il tributo nella
misura massima bensì nella misura giusta ossia corrispondente alla capacità contributiva espressa dal
presupposto. Ciò comporta la necessità che l’attività di accertamento e di rimborso sia svolta anche in
favore del contribuente indipendentemente da una sua specifica richiesta.
Affrontiamo ora il discorso inerente la natura dell’azione amministrativa. In primo luogo si afferma la
natura tendenzialmente vincolata dell’agire dell’amministrazione finanziaria che deve attenersi alle norme,
senza avere spazi per ponderare a propria discrezione gli interessi in conflitto. Nonostante l’impostazione
rigida, in termini di vincolatezza, non mancano taluni casi in cui l’attività possa essere ricondotta alla
discrezionalità. Nel caso concreto si fa riferimento alla dilazione di pagamento per somme iscritte a ruolo
che possono essere ripartite fino ad un massimo di 60 rate mensili o anche nel caso della sospensione circa
la riscossione fino alla pubblicazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale.
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indisponibilità, ovvero nei contratti con lo Stato non si può convenire esenzioni da qualsiasi specie
di imposta o tasse vigenti all’epoca della loro stipulazione, infatti si ha reato nel momento in cui il
pubblico ufficiale ometta o ritardi atti del proprio ufficio per interrompere o turbare la regolarità
dei servizi di accertamento e riscossione.
irrinunciabilità, a tal riguardo si ritiene che sia ammissibile l’accollo a carico dell’ente impositore
quando anch’esso sia soggetto passivo del tributo poiché non influenzerebbe il diritto alla
percezione del tributo dell’ente
intrasmissibilità, essa è predicabile per la potestà normativa, ma va tenuto conto che la potestà
amministrativa può essere affidata a soggetti diversi nel rispetto della legge.
Prescrittibilità, si evince l’imprescrittibilità della potestà d’imposizione e potestà normativa, ma
alle regole della prescrizione nonché decadenza sono soggette le singole fattispecie di attuazione
del tributo.
Avendo osservato i tratti caratteristici della potestà tributaria ora è possibile analizzare l’amministrazione
finanziaria e la sua struttura. Con la locuzione amministrazione finanziaria si intende il complesso
apparato volto alla gestione dell’imposizione nonché riscossione del tributo. Con riferimento
all’amministrazione finanziaria occorre fare una scissione temporale, ovvero analizzare la struttura pre –
91 e struttura post – 91.
Prima del della riforma del 91, l’amministrazione finanziaria era gerarchicamente ordinata in una
struttura centrale costituita dal Ministero delle Finanze e strutture periferiche articolate su base
regionale ( intendenza di finanza ) e provinciale ( uffici distrettuali).
Dopo la riforma, che si ispirava all’unificazione a livello centrale dei vari uffici per potenziare la
capacità operativa, la struttura risultava articolata in tre soli dipartimenti ( delle entrate, delle
dogane, del territorio) a loro volta suddivisi in direzioni centrali. A livello regionale, le competenze
dell’intendente di finanza erano devolute alle direzioni regionali ( delle entrate, del territorio e
delle dogane ).
Data la lentezza con cui si è attuata tale ristrutturazione si può affermare che le strutture organizzative
fossero già superate ancor prima di entrare in funzione. Infatti nel ’99, decreto legislativo venne costituita
un agenzia tributaria. L’idea alla base di tale cambiamento fu la distinzione tra fase di elaborazioni delle
strategie e delle politiche fiscali dalla fase di amministrazione attiva, poiché si prospettava in tal modo di
migliorare l’efficienza dell’azione di repressione dell’evasione fiscale.
Dunque attualmente la struttura prevede che ci sia il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con compiti
di coordinamento, indirizzo e controllo, e le quattro agenzie fiscali. Quest’ultime sono enti pubblici non
economici dotati di autonomia regolamentare,amministrativa e contabile a cui compete la gestione delle
funzioni svolte in precedenza dai dipartimenti delle entrate, dogane e del territorio. A titolo riepilogativo,
la titolarità dei poteri di indagine sono in capo alle agenzie fiscali, mentre la responsabilità politica sulla
funzione impositiva resta in capo al Ministero.
riscossione, organizzato sotto forma di persona giuridica e che curava la riscossione nel proprio
ambito territoriale.
B. Aziende di credito e uffici postali , con la soppressione dei servizi autonomi di cassa è stato
generalizzato la competenza di tali uffici. Infatti, per via di una delega irrevocabile conferita dal
contribuente all’azienda di credito, quest’ultima acquisisce la competenza di versare l’imposta
alla tesoreria dello Stato. A tal fine la banca rilascia un attestazione di pagamento, che la
giurisprudenza non considera una quietanza in senso stretto poiché non rilasciata dal creditore,
ma attribuisce ad essa comunque efficacia liberatoria per il contribuente.
C. Guardia di Finanza, agli ufficiali, sottufficiali e militari sono conferiti poteri e diritti di indagine,
di accesso, di visione e di controllo che spettano per legge ai vari uffici finanziari. La loro attività
investigativa, si presta estremamente utile ai fini dell’attuazione della norma tributaria.
D. Centri Autorizzati di Assistenza Fiscale ( CAAF), trattasi di società di capitali il cui oggetto
sociale è limitato allo svolgimento di attività di assistenza fiscale. In genere si distingue tra
CAAF – impresa, che prestano assistenza ai contribuenti titolari di redditi di impresa, e CAAF –
dipendenti, che prestano assistenza nei confronti dei sostituiti.
E. Garante del contribuente, istituito con l’art 13 dello Statuto dei contribuenti. Esso ha competenze
su tutte le questioni riguardanti gli uffici ubicati a livello regionali, presso i quali il Garante
risulta esser istituito. Si tratta di un organo collegiale costituito da 3 membri scelti e nominati dal
Presidente della Commissione tributaria regionale. La funzione principale è quella di garantire la
tutela dei contribuenti per mezzo di una attività di controllo circa l’operato delle amministrazioni
finanziarie.
Soggetti passivi
In quanto ai soggetti passivi, di cui si è già data un adeguata definizione sopra, emergono due interessi
particolari, più precisamente si individua :
1. un interesse del fisco alla semplificazione del rapporto con i contribuenti
2. un interesse al rafforzamento della garanzia patrimoniale del fisco e dell’interesse alla sicura
riscossione del tributo.
In virtù del secondo interesse, emerge chiaramente, che ai fini della predisposizione di idonee garanzie
patrimoniali, realizzati attraverso privilegi, ipoteche a carico del debitore, giova l’ampliamento
dell’ambito della responsabilità patrimoniale.
Dalla nozione di soggetto passivo, si evince, come già menzionato, un duplice requisito ai fini della
legittimità costituzionale. Invero, esistono talune fattispecie, che sembrano essere in contrasto con quanto
affermato. Infatti, dalla nozione di soggetto passivo si evince che il depauperamento patrimoniale debba
avvenire per mezzo di strumenti giuridici, ovvero nascita ed estinzione di rapporti obbligatori. Risulta,
altresì, chiaro che tali effetti giuridici debbano verificarsi in capo al soggetto titolare della capacità
contributiva manifestata dal presupposto anche quando il prelievo avvenga a carico di un soggetto diverso
in rapporto con il soggetto passivo. Prima di entrare nell’analisi di tali figure, ovvero sostituto e
responsabile d’imposta analizziamo brevemente il meccanismo, per via del quale si realizza il
trasferimento del depauperamento patrimoniale da colui che lo ha subito a colui che lo deve subire per via
del realizzarsi del presupposto. Tale meccanismo può derivare sia da regole di mercato, caso della
traslazione, sia da regole giuridiche, caso della rivalsa. Più precisamente :
Traslazione, si realizza qualora colui , che ha subito il prelievo, provvede a trasferirlo al soggetto
passivo del tributo, includendolo nel corrispettivo dei beni e servizi scambiati
Rivalsa, la sua funzione è quella di porre definitivamente in capo al soggetto passivo l’onere
economico del prelievo fiscale. Essa , normalmente opera attraverso lo schema del rapporto
obbligatorio, in cui è creditore colui che ha subito il decremento patrimoniale, mentre è debitore
colui che deve subire tale decremento per via della titolarità della capacità contributiva relativa al
presupposto.
Partendo dall’analisi della categoria che presenta maggiori tematiche, ovvero la seconda, possiamo
introdurre le due figure del sostituto e responsabile d’imposta. Essi vengono coinvolti nell’attuazione del
prelievo, pur non essendo titolari di capacità contributiva, per via dell’estensione della garanzia
patrimoniale e per tutelare l’interesse fiscale. Dunque la loro funzione è quella di concorrere all’esatto
adempimento del tributo. Entriamo quindi nello specifico :
sostituto d’imposta; “è colui che in forza di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di
altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto”. In merito alla suddetta
figura, va evidenziato come al aumentare del numero di figure del sostituto d’imposta si
incrementa la garanzia patrimoniale all’esatto adempimento. Con l’ultima finanziaria è stata
introdotta una nuova figura, ovvero il condominio dal punto di vista pratico si opera per mezzo
della ritenuta. Per i professionisti, questa si configura quale anticipo del prelievo, per i lavoratori
dipendenti, si ha l’estinzione dell’obbligo tributario. Sul caso delle ritenute ci si sofferma più
avanti. All’interno del concetto della sostituzione si è soliti distinguere tra :
Sostituzione d’imposta, quando il prelievo in capo al sostituto esaurisce l’attuazione
del tributo. Essa è definita anche sostituzione propria. Rientrano in tale ambito le
ritenute a titolo di imposta su interessi, dividendi, vincite e premi.
Sostituzione d’acconto, quando il sostituito non viene estromesso dall’attuazione
del prelievo poiché dovrà ugualmente procedere alla dichiarazione degli imponibili
assoggettati a ritenuta d’acconto. Essa è definita anche sostituzione impropria e
riguarda nei maggior casi redditi di lavoro.
Tra le due figure, sostituto e sostituito, la dottrina ritiene che ci siano rapporti di diritto privato.
Invero si configura un rapporto di base, per il quale risulta essere debitore il sostituto per
l’erogazione del dividendo, interesse ecc, e uno di rivalsa, per via del quale il sostituito
corrisponde una somma decurtata dell’imposta all’sostituto.
Tra gli obblighi del sostituto si registra:
Effettuare la ritenuta e rivalersi in capo al sostituito
Versare le ritenute all’erario
Certificare l’effettuazione della ritenuta
Presentare annualmente la dichiarazione dei sostituti d’imposta
Tenere le scritture contabili
L’eventuale violazione degli obblighi non è più considerato fattispecie autonomamente rilevante
sotto il profilo penale.
Risulta senz’altro evidente che dall’istituto della sostituzione scaturisce un rapporto trilaterale tra
amministrazione finanziaria, sostituto e sostituito. Vale la pena fare un breve cenno sulle possibili
controversie o conseguenze che si possono instaurare in tali rapporti. Con riferimento :
Sostituzione d’imposta, poiché si ha l’estinzione del carico tributario al momento
della ritenuta a titolo d’imposta, il sostituito resta dunque estraneo all’attuazione del
prelievo, tuttavia ha facoltà di intervenire nel procedimento di accertamento, e questo è
visto come mera partecipazione di privati a procedimento amministrativo. Esiste un caso,
previsto per legge, in cui si ha il coinvolgimento del sostituito, esso diviene coobbligato in
solido quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sanzioni e interessi relativi a
redditi sui quali non ha applicato la ritenuta a titolo d’imposta.
Sostituzione d’acconto, ci possono essere diverse controversie, quali ad esempio
quando il sostituto opera la ritenuta ma non la versa, in tal caso il fisco può agire solo nei
confronti del sostituto. Può accadere anche il caso in cui il sostituto non opera in tutto o
solo in parte la ritenuta e non la versa. In tal caso il fisco può pretendere l’importo della
ritenuta da entrambi ma se si presenta il caso in cui il sostituito abbia dichiarato a sua volta
il provento senza scomputare la ritenuta, il fisco avrebbe una doppia ritenuta. Infine può
presentarsi il caso in cui il sostituito contesti al sostituto l’effettuazione della ritenuta, esso
si riduce ad una controversia di diritto privato da sottoporre a giudizio del giudice ordinario.
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Tra le due tipologie, evidentemente la seconda è quella che del diritto civile, in quanto non è tenuta
alle osservanze dell’enunciato dell’art. 53. Entrando nello specifico, mancando l’unicità dell’obbligazione,
nel caso della solidarietà paritetica, è palese che il diritto di regresso potrà essere fatto solo per la parte
dovuta in ragione dell’art. 53. Evidentemente, nella solidarietà paritetica vi è un problema di rapporti
interni.
Si rilevano, in merito ai due concetti, una serie di osservazioni, di portata indubbiamente
importante ai fini della comprensione delle differenze insite alle due fattispecie considerate.
Nel caso della solidarietà paritetica, essendo unico il fatto imponibile e rivolgendosi
contemporaneamente e per l’intero a più soggetti, deve ritenersi che l’imputazione degli effetti si produca
nei confronti di ciascun soggetto per l’intero e ciò giustifica anche il fatto per cui a ciascun soggetto
passivo vada imputata la capacità contributiva nella sua interezza. Le ipotesi tipiche di tale solidarietà
sono ad esempio; negli atti sottoposti a registrazione, o solidarietà nelle imposte ipotecarie.
Nel caso della solidarietà dipendente si osserva, invece, che essa è tipica del responsabile
d’imposta. Questo tipo di solidarietà discende da un elaborazione dottrinale, che si basa sul rapporto tra
fattispecie tipica del tributo e la fattispecie estensiva della responsabilità. Ciò comporterebbe, dal punto di
vista processuale, che le condizioni per l’applicazione di un tributo risultanti da un giudicato o da un
accertamento inoppugnabile in capo all’coobbligato principale non potrebbero essere messe in discussone
dal coobbligato dipendente. La dottrina, tuttavia, ritiene che sia superata tale impostazione, poiché si
evince che l’obbligato dipendente non sia vincolato dall’imposizione definitiva nei confronti del
coobbligato principale e dunque possa contestarne i presupposti con giudizio autonomo.
Con riferimento al diritto di rivalsa, si noti che nel caso della solidarietà dipendente, esso si
esercita per intero, mentre nel caso della paritetica si effettua pro quota. Un ipotesi di solidarietà
dipendente è rappresentato dall’imposta di registro.
Per ultimo, merita una breve considerazione il concetto inerente il giudicato favorevole. Nel caso
in cui un coobbligato ottenga un giudicato di annullamento o comunque favorevole, non è detto che
attraverso l’art 1306 (sentenza nel caso di un obbligazione in solido) si possano ricondurre a unità tutti i
rapporti tributari. Infatti , ai fini del ricorso a tale art., peraltro meramente facoltativo, si necessita della
conoscenza del giudicato favorevole ottenuto dall’altro coobbligato solidale. Inoltre, l’eventuale
estensione di tale giudicato, incontra limiti processuali quale quello del diverso giudicato e quello della
definitività dell’accertamento a quest’ultimo notificato. Sulla base di ciò si evince, la legittimità
dell’amministrazione a procedere alla riscossione dei confronti dell’coobbligato non impugnante non solo
in pendenza di impugnazione da parte dell’altro coobbligato ma anche nell’ipotesi di totale annullamento
dell’ accertamento da parte del giudice tributario.
Riguardo ai soggetti passivi si possono osservare, con adeguata argomentazione, due problematiche, una
di carattere sostanziale e uno di rilievo costituzionale. In merito alla prima problematica, si deve partire
dal presupposto che le figure, inerenti i soggetti passivi, siano gli stessi sia per il diritto civile che per il
diritto tributario. Ci si è chiesti, se esistessero delle figure autonome, ovvero coniate dal diritto tributario,
che non siano riconosciute dal codice civile. Fino a qualche tempo fa, la risposta in merito era negativa,
tuttavia recentemente il legislatore fiscale ha coniato delle nuove figure, guardasi ONLUS o i TRUST che
non sono previsti dal codice civile. Inoltre, con l’ultima finanziaria, si parla anche dei condomini quali
soggettivi passivi.
In quanto, alla seconda problematica, si osservi che data l’impostazione Costituzionale, ciascuno ha la
propria capacità contributiva, ed è in ragione di questa che si deve partecipare alle spese pubblica.
Tuttavia, si presentono dei casi, di cui sopra, nei quali vi sono altri soggetti a partecipare all’imposizione
fiscale, è palese il riferimento alla figura dell’ sostituto d’imposta. In un sistema, di carattere progressivo e
personale tale figura, evidentemente, comporta dei problemi dal punto di vista costituzionale. Infatti, la
Corte è intervenuta a riguardo, stabilendo che nell’enunciato dell’art . 53 vi è un ulteriore interesse, ovvero
l’interesse fiscale del fisco, che merita pari tutela riguardo alla capacità contributiva. Si tratta dell’interesse
del fisco alla rapida e sicura esazione del tributo, pertanto il problema della potenziale illegittimità
costituzionale della figura del sostituto è stato superato attraverso un interpretazione giurisprudenziale.
Sulla base dell’interesse fiscale, che non è esplicito nell’enunciato costituzionale, il legislatore fiscale può
prevedere soggetti terzi al presupposto da coinvolgere nell’attuazione del tributo senza incorrere
nell’illegittimità costituzionale.
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Infine, in riferimento, a quanto menzionato precedentemente, si fornisce un breve cenno sul sistema delle
ritenute. Si è soliti distinguere tra due tipologie di ritenute, ovvero :
1. a titolo d’imposta, la sua applicazione comporta l’estinzione dell’obbligo tributario. Esse sono
sostitutive anche se comportano dei problemi. Uno di natura etico- morale, poiché si applica la
misura dell 12,5 % sia per chi lavora, che per chi percepisce dividendi da partecipazione societaria.
Un secondo problema è relativo al fatto che viene meno la progressività di cui all’art 53, poiché
essendo proporzionale paga meno chi guadagna più.
2. a titolo d’acconto, consiste per lo più in un prelievo parziale da rettificare successivamente nella
dichiarazione.
Attualmente vi sono due impostazioni riguardo al regime sostitutivo, impostazione per ora teoriche che
però potrebbero rilevarsi quale scenario futuro:
lasciare la ritenuta a titolo d’imposta, ma alzarla al 20% poiché l’Italia è considerato un
paradiso fiscale. Certamente ciò è discutibile poiché permette di eludere la presentazione della
dichiarazione. Ad esempio, acquistando un immobile, lo si intesta ad una società, si percepiscono i
dividendi che sono tassati con il regime sostitutivo e non si presenta la dichiarazione.
Prevedere la ritenuta a titolo d’acconto e a fine anno procedere alla dichiarazione facendo il
saldo e applicando l’aliquota progressiva.
Prima di passare alla fase dell’accertamento, si analizzano una serie di fattispecie concernenti il fenomeno
della successione in materia tributaria. Procedendo in ordine abbiamo :
La successione a titolo di eredità; trattasi di una fattispecie nella quale gli eredi del de cuius
subentrano nelle situazioni soggettive trasmissibili da quest’ultimo, il che va esteso anche alle
situazioni soggettive di natura tributaria. Essa vale sia dal lato attivo che da quello passivo. Con
riferimento all’ipotesi di successione mortis causas vi è una deroga rispetto alla disciplina
civilistica, ovvero “gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari
personalmente in proporzione della loro quota ereditaria e ipotecariamente per intero”. La nuova
formulazione, limita la responsabilità degli eredi alle obbligazioni dei tributi, il cui presupposto si
sia verificato anteriormente al decesso anche se la dichiarazione, autoliquidazione o iscrizione a
ruolo siano state poste in essere successivamente. Va esclusa, invece, la responsabilità per la parte
di tributi di carattere continuativo successiva alla morte del de cuius. La coobbligazione solidale
non si applica nel caso di successione a titolo di legato, questo per esplicito riferimento normativo.
Nel caso, di rinunzia all’eredità, revocabile entro 10 anni, si ritiene che colui che rinunci ai sensi
dell’art. 519 cod. civ. non diventa mai erede pertanto non può essere chiamato a rispondere delle
obbligazioni tributarie del de cuius. Vige inoltre l’intrasmissibilità delle sanzioni.
Gli eredi, oltre che nel debito d’imposta, succedono altresì nelle situazioni soggettive strumentali
all’applicazione del tributo, ad esempio la dichiarazione tributaria può essere presentata da uno dei
coeredi liberando tutti gli altri.
Nel caso in cui vi sia processo pendente, questo si interrompe. Tuttavia, gli eredi devono
comunicare le loro generalità e residenza, affinché gli atti del processo non vengono notificati al
domicilio del defunto.
Successione nel debito d’imposta delle perone giuridiche;si ravvisa che il caso in cui si verifica
una tale successione è nel caso di un operazione straordinaria di fusione. La giurisprudenza ritiene
che si possano applicare gli schemi della successione mortis causas, il che pare assai discutibile,
tuttavia nella pratica accada abbastanza raramente. Si ricorda, secondo quanto previsto dal TUIR,
la società risultante dalla fusione dovrà procedere alla dichiarazione dei redditi relativo all’ultimo
periodo d’imposta delle società fuse.
Successione a titolo particolare ; qui si analizza la successione a titolo particolare inter vivos. Si
ricorda, in proposito, le varie figure civilistiche, quali quelle dell’accollo, delegazione ed
espromissione. Va, in primo luogo, evidenziato, che data l’indisponibilità del credito tributario non
si ha la liberazione del debitore originario, si tratta dunque di una responsabilità cumulativa e non
sostituiva in capo al nuovo soggetto. In quanto all’ accollo è ammesso senza che vi sia la
liberazione del contribuente, esso ha solo valenza interna. Identico esito, in merito alle figure della
delegazione e dell’espromissione, entrambe possono essere cumulative ma non realizzano un
fenomeno di successione.
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Patti di imposta; si registra, a seguito di importanti sentenza della Cassazione, la nullità di tali
patti, in quanto finalizzati a traslare il sacrificio economico su un soggetto diverso da quello che
manifesta la capacità contributiva. Tuttavia, considerando che nelle imposte indirette, l’operatività
delle rivalse fa si che l’incidenza finale del tributo non corrisponda alla capacità contributiva
manifestata, e nelle imposte dirette, data l’ammissione di rivalsa facoltativa, oltre a quella
obbligatoria si perviene che il carico fiscale ricade su un soggetto diverso. Resta assai dubbia la
disciplina circa i patti di imposta.
Ultimo concetto peculiare, in merito alla tematica dei soggetti, è quella relativa all’istituto della
rappresentanza.
Innanzitutto la disciplina della rappresentanza segue le regole generali, salvo qualche lieve deformazione.
In quanto alla rappresentanza legale e volontaria valgono le regole generali. È ammessa anche la
rappresentanza negoziale sia in termini di adempimenti obblighi di dichiarazione, sia per rappresentanza e
assistenza tecnica del contribuente avanti agli uffici finanziari. In merito alla rappresentanza negoziata, la
procura deve essere conferita per iscritto.
In ambito processuale, è altresì richiesta la rappresentanza che viene attribuita per mezzo di atto pubblico
o scrittura privata autenticata.
Infine, vi è la disciplina della rappresentanza dei soggetti non residenti, a tal riguardo, gli enti che non
abbiano sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato, devono indicare nella dichiarazione
l’indirizzo della stabile organizzazione e le generalità e indirizzo di un rappresentante per i rapporti
tributari.
Accertamento
L’accertamento costituisce la prima fattispecie dinamica della fase dell’attuazione del prelievo. Nella
trattazione di tale fattispecie si terrà conto della seguente suddivisione, che peraltro giova a fornire
maggiore chiarezza dal punto di vista didattico:
Accertamento e le sue fasi
Vari metodi di accertamento
Vari atti di accertamento
strumento per acquisire i diversi interessi coinvolti nell’agire discrezionale della P.A. proprio in virtù
dell’assenza di poteri discrezionali del fisco nella determinazione della base imponibile.
Il ricorso alla nozione di procedimento, vale a sottolineare l’impugnabilità dell’atto finale per vizi degli
atti intermedi e pertanto anche termini di decadenza nel collegamento degli atti tra loro.
La fase dell’accertamento, dunque, si inserisce tra la dichiarazione e la fase della riscossione.
Indubbia importanza riveste il fatto che il meccanismo dell’accertamento è interamente disciplinato per
legge, pertanto gli uffici non hanno potere autonomo e discrezionale e di conseguenza non possono
derogare a principi di legge.
In merito al concetto concernente l’impostazione, secondo la quel l’accertamento è una parte integrante di
un procedimento, è senz’altro utile confrontare il tutto con il concetto di autotutela. Si ricorda, in
proposito, che con la legge 241/90 si ha avuto l’introduzione del potere di autotutela in capo alla P.A. Tale
potere, si estrinseca nella facoltà della P.A. di ritirare, modificare atti propri. Prima dell’introduzione di
tale istituto, si procedeva per ricorso, oggi, invece, si procede tramite rettifica. Ciò viene visto, non solo
come maggiore garanzia per i cittadini, bensì quale nuovo potere della P.A. In merito al concetto di
autotutela, ci si è posti il quesito circa il fatto se tale figura competa altresì all’ A.F. In un primo momento,
il Consiglio di Stato ha negato circa l’applicazione di tale istituto da parte dell’A.F. salvo poi pervenire
alla conclusione che nel ’94 una legge ha previsto l’applicazione dell’autotutela da parte
dell’Amministrazione Finanziaria. Essa non presenta né limiti soggettivi, né limiti oggettivi, bensì ci si è
chiesto circa la natura del potere, ovvero se esso è un diritto del contribuente o dell’A.F. Si è giunto alla
conclusione, che si tratta di un potere dell’amministrazione e ciò fa si che vi sia l’impossibilità di
impugnazione da parte del contribuente.
A titolo meramente informativo, si evidenzia che nell’ambito di operatività dell’Amministrazione
Finanziaria vi siano degli atti soggetti alla discrezionalità :
Discrezionalità piena; rateizzazione del debito tributario
Doverosa; è un indiscrezionalità condizionata, infatti è prevista dalla legge del ’94 che impone
l’intervento dell’Amministrazione in caso di errore macroscopico, quale quello di una doppia
imposizione ad esempio.
Una volta introdotto il concetto concernente la figura dell’accertamento, si fornisce qui di seguito una
serie di casi, nei quali si verifica la partecipazione del privato alla fase dell’accertamento:
A. Una forma di partecipazione è prevista nel caso dell’introduzione e aggiornamento di studi di
settore, secondo i quali, la legge impone agli imprenditori e lavoratori autonomi coinvolti,
l’obbligo di fornire all’amministrazione, sia attraverso la dichiarazione, che attraverso appositi
questionari, i dati contabili ed extracontabili relativi all’attività esercitata.
B. Un'altra forma di partecipazione si ha nel caso di un controllo formale della dichiarazione nella
fase di liquidazione disciplinato dagli art. 36 bis e ter del D.P.R. 600/73.
C. Alla luce di quanto previsto all’art 6 dello Statuto del contribuente (2000), l’amministrazione
finanziaria, prima di procedere all’iscrizione a ruolo, qualora sussistono incertezze su aspetti
rilevanti della dichiarazione, deve invitare il contribuente affinché questi fornisca chiarimenti o
produca i documenti mancanti.
D. Alla chiusura del processo verbale di constatazione, il contribuente può comunicare entro 60 giorni
osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. Si noti a riguardo, che l’avviso di
accertamento non può essere emanato, a pena di nullità, prima del suddetto termine.
E. L’istituto di accertamento con adesione costituisce sicuramente una delle fattispecie più
rappresentative della partecipazione del privato alla fase di accertamento.
F. Conciliazione giudiziale, di cui si dirà oltre.
G. Parte della dottrina ritiene che anche i casi di interpello siano da includere in quest’ambito,
FANTOZZI gli esclude.
H. Accertamento dell’elusione; ovvero l’accertamento che disconosca fattispecie elusive e applichi le
imposte in base alle fattispecie eluse. A tal proposito, si raccomanda una fase di contraddittorio
prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento, da esperirsi previa richiesta al contribuente
entro 60 giorni.
I. Ultima fattispecie di partecipazione del privato all’attività di accertamento si ha nel caso in cui, si
procede all’irrogazione di sanzioni. Il legislatore ha previsto, in tal caso, un contraddittorio
preventivo, infatti l’atto di contestazione si converte in provvedimento di irrogazione delle
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sanzioni se entro 60 giorni il trasgressore e gli coobbligati in solido non producono deduzioni
difensive.
Dichiarazione
Secondo la dottrina tradizionale, la dichiarazione è l’atto fondamentale di collaborazione del contribuente
con il fisco. La sua funzione è quella di portare a conoscenza dell’ente impositore i connotati quantitativi e
qualitativi del presupposto a carico del contribuente. Si tratta di un atto obbligatorio, unilaterale, recettizio
e a contenuto obbligatorio. Il fatto che si tratti di atto dovuto, l’eventuale omissione comporta gravi
sanzioni amministrative e penali.
Posto che essa assolve alla funzione di portare a conoscenza il fisco circa l’esistenza, nonché la
dimensione del presupposto, è chiaro che la dichiarazione può condizionare la successiva attività di
controllo. Infatti, l’omissione della dichiarazione consente l’accertamento d’ufficio su elementi raccolti e
su presunzioni semplici. Viceversa, una dichiarazione completa e fedele fa si che l’attività di controllo non
si concluderà con alcun avviso di accertamento.
Dato il nesso tra presupposto e collegata dichiarazione, vi sono dei casi, previsti dalla legge, nei quali la
dichiarazione avviene in assenza di presupposto. Invero, il fisco richiede la dichiarazione anche in
mancanza di redditi ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili. Ciò è giustificato
dall’interesse del fisco alla continuità nell’acquisizione delle rilevazioni contabili.
Si possono, altresì, presentare casi in cui, anche in presenza di reddito vi siano soggetti esonerati
dall’obbligo di dichiarazione. Il caso in questione è quello relativo alle categorie che non superano il
valore minimo, meglio conosciuto quale minimo vitale.
La natura giuridica della dichiarazione è quella di dichiarazione di scienza. In passato, si presumeva che
fosse una confessione stragiudiziale, che dunque fosse ritrattabile per errore di fatto o revocabile per
errore di diritto. Ritenere che la natura giuridica della dichiarazione sia quella di dichiarazione di scienza,
vale a dire che essa sia ritrattabile, in genere, nel termine di 1 anno. Si discorre altresì circa il fatto se essa
abbia connotati negoziali, la risposta è negativa ed inoltre ci si limita a dire che gli effetti della
dichiarazione discendono dalla legge e che essa ha natura volontaria, pertanto non può essere inficiata da
vizi di volontà come avviene nei contratti.
Nonostante numerosi dibattiti circa la natura giuridica e suoi effetti, oggi si può ritenere che il
contribuente ha un obbligo doveroso nei confronti del fisco, non tanto di compilare il modulo, bensì di
trasmettere le informazioni che siano collegate al presupposto. Data questa impostazione, la legge ha
riconosciuto espressamente che, salva l’applicazione di sanzioni amministrative, la dichiarazione può
essere integrata per correggere errori od omissioni mediante la presentazione di una successiva
dichiarazione. In particolare, va sottolineato, che in caso di maggior reddito o maggior imposta, è fissato
un termine per la presentazione della dichiarazione integrativa senza l’applicazione di sanzioni.
Si potrà avere, dunque, che come il fisco può rettificare gli errori commessi dal contribuente in
dichiarazione (ar. 36 bis e 36 ter) senza far perdere all’imposta rettificata la natura di imposta dichiarata,
così il contribuente può rettificare, entro 1 anno, la dichiarazione a proprio favore. La dichiarazione
integrativa in aumento può essere presentata, con sanzioni ridotte, entro 90 giorni dal termine di
decadenza per la presentazione e con sanzioni normali entro il termine di decadenza per l’accertamento,
salve le ipotesi di ravvedimento operoso. Va distinta l’istanza di rimborso che può essere collegata con una
dichiarazione rettificativa, ma deve essere presentata entro un altro termine.
Analizziamo qui di seguito le diverse tipologie di dichiarazione in relazione dei soggetti obbligati:
A. Dichiarazione dei redditi; è imposta annualmente al contribuente che deve dichiarare i redditi
posseduti anche se non consegue alcun debito d’imposta.
Dichiarazione delle persone fisiche; valgono le seguenti regole, il rappresentante
legale provvede laddove vi sia l’incapacità legale delle persone a procedere alla dichiarazione.
Nel caso in cui, vi siano più soggetti obbligati alla stessa dichiarazione, quella fatta da uno,
libera gli altri. Infine, dopo l’abolizione del cumulo dei redditi, ciascun coniuge può presentare
la dichiarazione per proprio conto.
Dichiarazione delle società di persone; la dichiarazione è unica, ma va
incrociata con quella del socio ai fini dell’imposta personale. Si riferisce a società semplice, in
nome collettivo, in accomandita semplice e società e associazioni ad esse equiparate (IRPEF,
IRES)
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B. Dichiarazioni IVA ; in questo caso il modello non varia in funzione dei soggetti obbligati, bensì è
unica. La dichiarazione annuale IVA deve essere presentata da tutti i soggetti IVA, ovvero coloro,
che ai fini del tributo, rivestono la qualità di imprenditore o professionista. Essa va presentata
anche nei casi in cui non ci siano operazioni imponibili o acquisti gravati da IVA
Sulla base di quanto illustrato, si procede ora a discorrere circa il contenuto e la forma della dichiarazione,
il tutto in funzione della distinzione di cui sopra:
A. Contenuto della dichiarazione; La dichiarazione dei redditi, sia per le persone fisiche che
giuridiche, devono contenere tutte le indicazioni previste per legge, tenendo conto che la mancata
indicazione degli elementi necessari alla determinazione del reddito comporta che questi si
considerino non dichiarati ai fini sia dell’accertamento che delle sanzioni. In particolare si richiedono
anche gli elementi identificativi del contribuente ed il luogo nel quale sono conservate le scritture
contabili. Per ciò che concerne quest’ultime, si noti come nell’impostazione tradizionale si allegava
alla dichiarazione la copia del bilancio e del conto economico, mentre ora basta l’indicazione della
sede presso la quale sono tenuti e messi a disposizione dell’amministrazione finanziaria in caso di
richiesta.
Nel caso della dichiarazione annuale IVA, si richiede l’indicazione dell’ammontare annuo di
operazioni imponibili, non imponibili ed esenti, nonché l’IVA detraibile.
entro 30 giorni dal ricevimento del relativo invito. Nel caso di si società, la dichiarazione deve essere
sottoscritte anche dalle persone fisiche o dal presidente in caso di organo collegiale.
La natura dell’attività istruttoria ha dunque natura conoscitiva, poiché è volta a determinare il presupposto,
vigilare sul comportamento delle categorie di contribuenti nonché provvedere all’acquisizione di elementi
affinché si possa migliorare la determinazione del presupposto e verificare circa l’adempimento degli
obblighi strumentali.
La fase istruttoria è considerata un attività propria di tutte le attività amministrative.
Innanzitutto si tratta di un attività propria, che si concluderà con un proprio atto, diverso da quello per il
procedimento amministrativo.
In quanto all’attività istruttoria, essa viene posta in essere da soggetti diversi che pongono in essere il
procedimento amministrativo. Gli atti distinti, sono caratterizzati dalla propedeudicità, nella fase di
accertamento gli atti hanno efficacia propria, infatti per la sospensione si deve procedere attraverso il
ricorso.
In quanto alla finalità della fase istruttoria, questa varia a seconda dell’atto da adottare. Da ciò discende
che le finalità possono essere :
individuazione di eventuali violazioni del soggetto contribuente
se visto, come fase antecedente all’adozione di un atto, in tal caso ha la funzione di reperire le
informazioni necessarie nonché i mezzi di prova che costituiscono l’avvio dell’accertamento.
Andando per ordine, bisogna dapprima individuare i soggetti da controllare, e poi fare riferimento ai
soggetti che la pongono in essere nonché come si evolve la fase istruttoria.
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Dunque, individuata la finalità della fase istruttoria, ci si accinge ad affrontare il problema circa
l’individuazione dei contribuenti da controllare. A tal proposito, un D.P.R. del 73, stabilisce che i criteri
selettivi debbano essere stabiliti annualmente dal Ministero delle Finanze, tenendo conto della capacità
operativa degli uffici. In merito alla questione dei criteri selettivi, ha avuto influenza notevole la recente
riforma, infatti con l’introduzione delle forme di assistenza ai contribuenti, da un lato si agevola
l’adempimento del contribuente, mentre d’altro canto, si agevola anche la posizione dell’amministrazione
finanziaria, poiché questa ha maggiore facilità nella selezione delle posizioni da accertare e
nell’esecuzione dei controlli. In genere la sottoposizione a controlli avviene sulla base del dato
dimensionale dell’attività del contribuente, pertanto è tenuta un apposita banca dati, all’interno della quale
sono registrati i contribuenti cosiddetti grandi e medio grandi, per i quali è previsto un controllo ciclico,
mentre per i contribuenti piccoli, l’attività risulta assai ridotta. Per quest’ ultimi, invece divengono
peculiari i studi di settore.
Dunque, oltre ai criteri selettivi, diviene fondamentale comprendere il contenuto dei poteri istruttori,
attraverso i quali si impongono doveri ai contribuenti o terzi a vario titolo ben identificati.
Per ciò che concerne i poteri attribuiti agli uffici, si è soliti distinguere tra :
poteri diretti ad acquisire informazioni relative al contribuente cui si riferisce il controllo
poteri diretti ad acquisire informazioni in generale
poteri esercitati nei confronti del contribuente cui i dati e documenti si riferiscono
poteri esercitati nei confronti dei terzi con i quali il contribuente ha dei rapporti.
Dalla suddivisione riveste una particolare importanza, in quanto trattasi di fattispecie predeterminate dalla
legge, al di fuori delle quali, un accesso, o richiesta di informazione ne determina l’invalidità dell’atto di
accertamento che su tale illegittima acquisizione si basa ovvero l’inutilizzabilità della prova
illegittimamente acquisita.
Naturalmente, in contrapposizione dei poteri di cui sopra, vi sono delle garanzie atte a tutelare il
contribuente. Più precisamente, sono queste le disposizioni previste dallo Statuto del contribuente:
verifiche, ispezioni ed accessi, salvo in casi eccezionali svolti durante l’orario dell’esercizio
dell’attività arrecando il minor turbamento possibile
idonea documentazione in casi di urgenza
verifica presso il professionista che assiste il contribuente, questo su esplicita richiesta del
contribuente
il contribuente, a verifica iniziata, ha diritto ad essere informato delle ragioni, dell’oggetto su cui
verte la verifica nonché di essere assistito da un professionista.
Eventuali rilievi od osservazioni, tanto del contribuente, tanto del professionista che lo assiste, si
dovrà dare atto nel processo verbale delle operazioni di verifica.
Durata massima di 30 giorni lavorativi della verifica, prorogabili per altri 30 in casi particolari
purchè motivati dal dirigente dell’ufficio.
Il contribuente può rivolgersi al Garante del contribuente qualora ritenga che i verificatori
procedano con modalità non conformi alla legge.
Rimanendo in tema di garanzia del contribuente, alla luce di quanto previsto dal rinnovato modo di
intendere il rapporto fisco – contribuente, non volto più alla mera imposizione, bensì orientate a dei
modelli di collaborazione, giova ricordare i recenti interventi nomativi che hanno disciplinato il
contraddittorio nella fase di istruttoria.
Le ipotesi di contraddittorio, in questione, si riferiscono a situazione specifiche, come ad esempio il
contribuente, che sottoposto a verifica, può comunicare osservazioni e richieste entro 60 giorni dal rilascio
della copia del verbale di chiusura delle operazioni, ciò comporta che l’avviso di accertamento non può
essere emanato prima della scadenza del suddetto termine.
Passando ora ai soggetti che pongono in essere l’attività istruttoria, si distingue tra :
Guardia di finanza
Team verifica che fa parte dell‘A.F., da non confondere con i reparti di accertamento che invece
curano la fase dell’accertamento.
In quanto al procedimento della fase istruttoria, si deve far riferimento alle seguenti fattispecie :
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Accesso , essa costituisce il presupposto delle successive due, non è dunque a se stante.
Ispezione, trattasi di una verifica minore, in genere fatta per acquisire uno specifico documento
Verifica, essa ha una portata maggiore, infatti è più completa potendo riguardare tanto un intero
anno, tanto più anni quanto eventualmente limitarsi ad un singolo tributo.
Dunque entrando nel particolare, l’accesso affinché possa essere posto in essere, necessita innanzitutto
della adeguata documentazione. Pertanto, variando a seconda del luogo di accesso, si dovrà chiedere
autorizzazione al consiglio dell’ordine, nel caso di accesso presso lo studio di un professionista, nel caso
di un accesso alla sede personale ci vuole l’autorizzazione del procuratore della repubblica oltre a quello
dell’ufficio dell A.F. mentre nel caso di accesso alla sede legale si necessita l’autorizzazione tipica della
G.d.F.
Le autorizzazioni menzionate, devono altresì prevedere l’indicazione del tipo di ispezione o verifica che
verrà effettuato.
Nel caso dell’amministrazione finanziaria saranno al massimo due i soggetti addetti a svolgere la verifica,
nel caso della G.d.F. si arriva fino ad 8 elementi per ciascuna sede oggetto di verifica.
Nel caso di ispezioni e verifiche, la prima attività viene effettuata al fine di individuare i registri di
contabilità. Il comportamento dell’imprenditore deve essere collaborativi nei confronti di chi esperisce la
verifica, altrimenti eventuali rifiuti potranno compromettere l’efficacia probatoria in sede giudiziaria. La
non esibizione è tollerata in caso di richiesta vaga, laddove risulta essere specifica, la non esibizione
compromette la successiva efficacia probatoria in giudizio. In quanto ai tempi questi trovano il loro limite
in 60 giorni con possibilità di proroga purchè adeguatamente motivate. In una circolare della G.d.F. i 60
giorni sono intesi quali giorni pieni dell’attività dell’intera pattuglia.
In merito agli atti si possono distinguere queste due tipologie :
1. processo verbale quotidiano, esso è tenuto secondo un ordine cronologico, contiene la
descrizione dei fatti e non delle osservazioni, necessita della firma dell’imprenditore
2. processo verbale di contestazione, questo contiene le osservazioni sulla base del materiale
acquisito. Esso è formato da tutti i verbali quotidiani tutti gli allegati e la parte relativa alle
osservazioni. Tramite ciò vengono rese note le sanzioni proposte e le patologie riscontrate. Esso
però non è redatto in contraddittorio come nel caso del processo verbale quotidiano.
Con il secondo si conclude la fase istruttoria. Una copia verrà trattenuta dalla G.d.F., una rilasciata
all’imprenditore e l’originale sarà consegnato all’A.F. che deciderà se procedere con l’avviso di
accertamento. Non tutto ciò che viene redatto dalla G.d.F. sarà oggetto di avviso di accertamento, il
funzionario deve leggere in maniera critica il processo verbale di contestazione, successivamente potrà
emettere l’avviso di accertamento o procedere con un ulteriore indagine. Dal punto di vista normativo, il
passaggio dalla conclusione della fase istruttoria alla fase di accertamento non avviene in automatico.
Da notare, che il processo verbale di contestazione, non può essere impugnato, poiché è un atto istruttorio
che non arreca alcun danno al contribuente. Il danno sussiste nel caso venga emesso l’avviso di
accertamento.
Gli atti istruttori hanno la finalità di precludere l’instaurazione di una lite.
Un recente intervento della cassazione ha stabilito che la verifica si estende a tutte le parti che fanno parte
del patrimonio, purchè sia prevista l’autorizzazione. (esempio Ricucci)
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I vizi di legittimità, inerenti la fase di istruttoria, sono state prese in considerazione dalla Cassazione, la
quale ritiene che lo scenario attualmente sia il seguente :
Illegittimità oggettiva per precludere il contraddittorio, questo determina l’inutilizzabilità dei
documenti
Illegittimità derivante da autorizzazione, la quale non lede la sfera giuridica del soggetto quindi si
parla di utilizzabilità delle prove
Metodi di accertamento
Innanzitutto, tra la fase istruttoria e i metodi di accertamento, si inserisce un ulteriore fase, ovvero quella
del controllo della dichiarazione dei redditi, trattasi di una fase che non si conclude però con un atto
proprio pertanto non è da ritenersi una tecnica di accertamento. Va inoltre, ricordato, che il primo
adempimento in termini di presentazione di dichiarazione, è del ’54. si riteneva che dalla dichiarazione
non scaturissero solo informazioni sul reddito, bensì anche sul patrimonio, questo serviva al fisco per
costituire l’anagrafe tributaria, oggi gestito dalla SOGEI, si tratta di un macro computer che contiene
una serie di informazioni del contribuente, dall’abolizione del segreto bancario comprende anche dati
finanziari e pertanto mediante la tecnica delle verifiche incrociate si può limitare il problema dell’evasione
fiscale. Meritano un breve cenno anche i Centri di servizi, che nati per creare l’anagrafe tributaria sono
poi stati trasformati in organi che svolgono un controllo formale della dichiarazione. La logica vuole che
sa il contribuente a presentare la dichiarazione, attraverso CAF, datore, o commercialista, questa poi è
oggetto di controllo dei Centri di servizio e successivamente si avrà l’inserimento dei dati nell’anagrafe
tributaria. Il controllo della dichiarazione, si chiude con un atto finale che è l’iscrizione a ruolo, esso non è
un atto proprio dell’accertamento, bensì della riscossione. Esso si basa su un serie di calcoli numerici, dal
quale possono discendere le cosiddette cartelle pazze, ovvero fenomeni di iscrizione a ruolo per
dichiarazioni non conformi alla legge ma di fatto coerenti, ciò deriva dal fatto che si utilizzano procedure
automatizzate e non si ha un controllo del funzionario. Un esempio concreto è dato dalla proroga del
termine per l’adempimento in zone terremotate, se il software non è aggiornato, il sistema lo percepisce
come adempimento tardivo e dunque emette la cartella pazza. Il problema di fondo è che se non
impugnate divengono esecutive, il termine è di 6 mesi. Dunque , ultimata la fase dell’istruttoria, questa
generalmente è seguita da un atto di accertamento, per mezzo del quale l’amministrazione potrà fare
valere una diversa determinazione del presupposto o la violazione di obblighi strumentali da parte del
contribuente. La dimostrazione, di tali circostanze, compete all’amministrazione finanziaria, che al
contempo avrà l’onere di provare quanto afferma.
Ricorrendo ad un breve excursus storico, si ritiene di pacifica affermazione che si è assistito ad un
continuo dibattito alimentato dai contrasti relativi alle tendenze di determinare il reddito effettivo e le
tendenza a determinare il reddito normale con l’applicazione di coefficienti, medie e via discorrendo. La
tendenza dell’utilizzo di metodi standardizzati era da ritenersi ragionevole per via del contesto nel quale
venivano applicato, ovvero in una società nella quale le manifestazioni di ricchezza si caratterizzavano per
una certa staticità, si riteneva che l’applicazione di coefficienti, indici e cosi via, non comportasse uno
scostamento significativo rispetto al reddito effettivo. E con la nascita delle società di capitali che si
avverte che tale impostazione comporterebbe un compromesso notevole in termini di scostamento tra
reddito effettivo e normale. Si arriva dunque alla grande riforma del ’73 che sancisce una serie di profondi
innovazioni.
Prima di tutto va tenuto conto del fatto che il problema dei metodi di accertamento trae spunto dalla
notevole platea di contribuenti di fronte alla quale l’amministrazione finanziaria, dovendo individuare
opportuni metodi per procedere ad un efficace accertamento. Dato questo presupposto si è provveduto a
fare una prima macro distinzione dei contribuenti, sulla base degli obblighi di tenuta delle scritture
contabili o meno. Pertanto avremo che :
Accertamento analitico -
induttivo (art. 39 comm. 1
lettera d) presunzioni qualificate
accertamento extracontabile
(art. 39 comm. 2)
-presunzioni semplici
E’ obbligato alla tenuta delle scritture contabili (fiscale e non civilistico) chi produce un particolare reddito
; autonomo e dipendente.
Vi sono due particolari precisazioni da fare, ovvero i metodi non sono fungibili, e laddove la dichiarazione
sia falsa si deve procedere per prova, si ricorre dunque al fondamento probatorio. In caso di mancanza di
quest’ultimo si opera attraverso le presunzioni. Da ciò discende che :
Accertamento analitico , si ricorre alle prove
Accertamento sintetico , si ricorre alle presunzioni
Un breve riferimento al sistema delle presunzioni giova senz’ altro, si distingue solitamente tra
presunzioni :
Assolute , non ammettono prova contraria, viola l’art. 53 Cost.
Relativa, ammette prova contraria ma con l’inversione dell’onere della prova
Va tenuto conto che questo metodo si applica al di sotto di un determinato limite, i contribuenti sapendo
ciò in anticipo possono semplicemente dichiarare il minimo previsto ovvero 100 000 000 lire. Il
contribuente, può rendere nullo le due presunzioni se è in grado di dimostrare queste tre particolarità :
Reddito soggetto a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta
Eredità (denuncia di eredità)
Donazione (imposta sulle successioni)
Rinvenendo agli ulteriori metodi di accertamento, tra cui figura l’accertamento parziale, si tratta di una
verifica rapida per effettuare l’incrocio di dati. Se all’interno di una verifica si riscontra una patologia si
rimette a questo tipo di accertamento senza compromettere l’intera verifica. La sua funzione principale è
quella di non pregiudicare l’emanazione di un atto di accertamento successivo.
L’accertamento integrativo, invece, consente di effettuare una verifica su una verifica già conclusa, si ha
dunque un nuovo atto di accertamento integrativo, che può essere emesso solo in presenza di fatti
sopravvenuti. Per fatto sopravvenuto si intende un fatto che non era possibile conoscere nel corso della
prima verifica. Questo metodo prevede che vi sia un metodo a titolo integrativo ed uno a titolo principale.
Fino alla scadenza del termine per la notifica dell’avviso di accertamento, questo può essere intergrato o
modificato in aumento attraverso la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di
nuovi elementi. Esso , a pena di nullità, dovrà indicare specificatamente i nuovi elementi e gli atti o fatti
attraverso cui si è venuto a conoscenza di questi. In merito al rapporto tra atto di accertamento integrativo
e atto integrato, parte della dottrina ritiene che esso sia sostitutivo – revocatorio e di annullamento, mentre
altra parte ritiene che esso sia parte integrante al fine della corretta determinazione del presupposto e della
base imponibile. Occorre altresì specificare che agli atti di accertamento integrativi sono rigorosamente e
tassativamente disciplinati dalla legge in funzione di una tendenziale unità procedurale dell’accertamento
a garanzia della tutela del contribuente. Decorso il termine di decadenza per l’accertamento, si consolida il
presupposto anche in relazione a possibili sopravvenute conoscenze di nuovi elementi e la riscossione
definitiva dell’imposta che ne consegue resiste a qualunque evento successivo non essendo neppure più
possibile l’azione per indebito arricchimento.
L’accertamento per studi di settore è quello che garantisce una maggiore sistematicità. Il problema di
fondo nella loro applicazione è quella di ledere la capacità contributiva effettiva di cui all’art. 53 della
Cost. fornendo un breve excursus storico, ai fini della comprensione di quale sia stata l’evoluzione che ha
portato alla loro adozione. Dapprima va sottolineato che sulla base dell’enunciato di cui all’art 53 della
Cost, l’accertamento dovrebbe essere analitico e non basarsi su grandezze verosimili quali le
presunzioni.
In Italia, con la riforma del 73 basata su 4 metodi accertamento, non si prevede un metodo di
accertamento generale, esso cambia sulla base della categoria di appartenenza. Ciò ha reso l’intero sistema
fiscale macchinoso nelle procedure, il ché naturalmente, in presenza di una notevole eterogeneità di
contribuenti comporta delle molteplici problematiche. Lo scenario vuole che dagli anni ‘80 in poi si
assiste ad un continuo susseguirsi di metodi per colpire i contribuenti :
Coefficienti presuntivi di ricavi, (dati certi costi, si determinano i ricavi. Creava dei problemi con
l’enunciato dell’art 23.
Coefficienti presuntivi di redito ( dati certi costi e ricavi, non si può dichiarare inferiore ad un
totale prestabilito) . il limite è legato alla discriminazione tra le categorie.
Minimum tax , si riferisce in parte all’attività svolta (organizzazione) ed in parte al bilancio
(contabilità) il limite è dato dal fatto che si dovrebbe prima verificare il risultato poi la struttura.
Studi di settore ( ’94), vengono introdotti per essere più conformi al criterio dell’ effettività, si
ritiene sia il giusto compromesso tra reddito effettivo e redito normale.
I studi di settore sono un elaborazione statistica di più variabili dichiarati dal contribuente stesso. vi è
l’intermediazione delle associazioni di categoria, le quali collaborano sia in fase di acquisizione che
elaborazione dei dati forniti. Questi studi non si applicano :
primi 3 anni di attività
fase di liquidazione
attività superiori a 5 mln di euro , si procede per via ordinaria.
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Infine, l’accertamento con adesione, che è stato introdotto con il medesimo decreto che ha introdotto
l’autotutela. La logica sottostante a tale metodo è legata al fatto che il contribuente è intenzionato a pagare
ma non per le somme imposte, pertanto si procede con questo metodo dell’adesione. Esso ha natura
transattiva, si realizza attraverso la proposta e l’adesione. Si realizza nel seguente modo, una delle parti,
normalmente il contribuente, effettua un istanza al fine di rendere noto la sua proposta, la controparte, in
genere l’amministrazione, la valuterà e redigerà il verbale il quale diviene impositivo. Esso, peraltro è
inoppugnabile, definita la lite si può procedere alla rateizzazione dell’imposta e precludere ulteriori fasi di
accertamento. Esso si estende a tutti i contribuenti e a tutte le categorie di reddito. In quanto agli effetti,
come già visto non è impugnabile, non è inoltre integrabile o modificabile a iniziativa dell’ufficio salvo
una particolare deroga, secondo cui è ammessa la possibilità di esperire un ulteriore azione accertatrice
qualora :
sia sopravvenuta la conoscenza di elementi nuovi idonei ad accertare un maggior reddito che risulti
superiore al 50 % di quello già definito
siano stati definiti accertamenti parziali
in presenza di redditi derivanti da partecipazioni
Riprendendo la procedura da seguire, essa può essere sia su iniziativa di parte che d’ufficio. Nella prima
ipotesi, il procedimento può essere avviato solo dopo l’avvenuta notifica di un avviso di accertamento o
rettifica, non preceduto dall’invito a comparire, ed anche in assenza di tale notifica, purchè siano stati
effettuati accessi, ispezioni o verifiche.
Nella seconda ipotesi l’ufficio trasmette al contribuente un invito a comparire, nel quale vengono indicati i
periodi d’imposta suscettibili di accertamento, nonché l’ora e data della comparizione.
In caso di esito positivo della procedura, l’atto di adesione necessariamente motivato, viene redatto in
forma scritta in duplice forma e deve essere sottoscritto dal contribuente e dal capo dell’ufficio o da un suo
delegato.
La norma stabilisce che nel caso venga effettuata un istanza i termini dell’impugnazione dell’avviso di
accertamento restano sospesi. La sospensione è prevista poiché l’avviso, decorsi 60 giorni diviene
definitivo.
Dapprima, merita una considerevole trattazione la questione che concerne l’atto di accertamento. Posto
che, nella trattazione si è soliti affermare l’evincersi di una maggiore complessità nella definizione
dell’atto di accertamento rispetto alla definizione della fase, si può rimettere a quest’ultima causa laddove
si incontrino una serie di confusioni nell’atto di accertamento. In taluni casi vi è stato fatto ricomprendere,
nella definizione di atto di accertamento, l’atto di liquidazione, altre volte l’atto di ingiunzione, i ruoli e
persino le decisioni giurisdizionali. Queste confusioni, hanno persino influenzato il legislatore, che nella
fattispecie, facendo riferimento alla nozione di atto di imposizione, ha equiparato agli altri atti
impugnabili il silenzio dell’amministrazione sull’intimazione a provvedere al rimborso. Da ciò discende la
notevole difficoltà che si ha avuto nell’inquadrare l’atto di accertamento.
Dopo alcune brevi considerazioni, veniamo ora alla definizione dell’atto di accertamento. In quanto alla
natura, si tratta di un atto autoritativo di individuazione del presupposto e , dunque, di determinazione
dell’imponibile ed eventualmente dell’imposta e di altri elementi essenziali del presupposto. L’atto di
accertamento, al pari della dichiarazione, ha effetti sia sul versante dell’accertamento che su quello della
riscossione. Basti pensare che esso costituisce fattispecie di riscossione poiché legittima l’iscrizione a
ruolo di una quota di imposta corrispondente all’imponibile accertato. In merito alla trattazione dell’atto di
accertamento va tenuto conto del fatto che esso compendia in sé l’attività valutativa del presupposto e si
contrappone alla corrispondente attività posta in essere dal contribuente con la dichiarazione. Tra i
caratteri dell’accertamento spicca la sua tendenziale unilateralità, ma si sottolinea altresì che in taluni casi
possa avere natura bilaterale, come nel caso del concordato che precede l’emanazione dell’atto
(accertamento con adesione). Esso , essendo un atto dell’autorità, è indirettamente esecutorio, esso
legittima l’emanazione di un atto di riscossione che ne costituisce il titolo esecutivo.
In quanto alla denominazione, essa varia a seconda del tributo preso in considerazione, ad esempio,
avremo l’avviso di rettifica nel caso dell’ IVA, mentre nel caso dell’imposte di registro si parla di avviso di
liquidazione.
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Avendo già fatto riferimento alla natura dell’avviso di accertamento, si aggiunge che esso, essendo
emanato da un ramo dell’Amministrazione Pubblica, si configura quale atto amministrativo, pertanto nella
disciplina generale si rimette alla legge 241 / 90. Nella fattispecie si rimette comunque alla disciplina
speciale del tributo.
Entrando nello specifico dell’atto di accertamento, si può scindere la trattazione nei seguenti punti
fondamentali :
presupposti, tra i presupposti all’emanazione dell’atto di accertamento vi è la competenza, infatti
l’atto deve essere emanato dall’ufficio competente nei confronti del contribuente, individuato sulla
base del domicilio fiscale. In caso di un ufficio territorialmente incompetente che emani un atto di
accertamento, vi è l’ipotesi di nullità. Altro presupposto è rappresentato dal termine, poiché l’atto non
può essere emanato se è scaduto il termine di decadenza previsto per legge. Il terzo presupposto è
costituito dalla difformità tra dichiarazione e situazione di fatto, ciò rilevata sulla base dei poteri di
controllo ovvero l’omissione della dichiarazione dovuta o presentazione di una dichiarazione nulla.
Infine l’ultimo presupposto è dato dalla doverosità dell’atto di accertamento.
Forma , la legge disciplina solo limitatamente la forma, si limita infatti a dire che debba trattarsi di
atti di accertamenti sottoscritti dal capo dell’ufficio o altro impiegato da lui delegato. L’eventuale
sottoscrizione di un soggetto diverso, o la mancata sottoscrizione determina la nullità dell’atto. Il
documento, deve altresì comprendere gli elementi di cui al 2 comma dell’art. 42 del D.P.R. 600 /1973,
cioè l’indicazione dell’imponibile accertato, aliquote applicate, ritenute d’acconto e crediti d’imposta,
motivazione con distinto riferimento ai singoli redditi e con specifica indicazione dei fatti che
giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici di accertamento. La mancanza di tali elementi
comporta la nullità dell’atto. Data la tendenza dottrinale e giurisprudenziale a considerare l’atto di
accertamento recettizio, si deve altresì tener conto della disciplina inerente la notifica. La forma
ordinaria di notifica è quella effettuata attraverso il servizio postale.
Contenuto, denominato anche dispositivo, esso varia da imposta ad imposta, nel caso dell’imposte
sui redditi, è necessaria l’indicazione dell’imponibile, le aliquote applicate,eventuali crediti d’imposta,
detrazioni ecc. In quanto ai destinatari dell’atto di accertamento, sono tutti coloro cui è direttamente
riferibile la capacità contributiva manifestata dal presupposto, nonché coloro che la legge equipara a
questi. Sicuramente di fondamentale importanza nel caso dell’atto di accertamento, è la motivazione
ovvero la ragione per cui si provvede al adozione dell’atto di accertamento. Esso in primo luogo è
rinvenibile quale strumento di difesa in favore del contribuente, infatti è sulla base della motivazione
che generalmente si provvede all’impugnazione dell’atto. Nella formulazione della motivazione,
l’amministrazione dovrà indicare tutti gli elementi raccolti nel corso della fase istruttoria
amministrativa che precede l’accertamento. Si dovrà ricostituire l’iter logico giuridico percorso dall’
ufficio nella soluzione delle diverse questioni di fatto e di diritto. La seconda funzione è quella di
proiettare la funzione dell’atto nel futuro, nel senso che la motivazione serve a definire la futura
materia del contendere nel momento che si farà ricorso in giudizio.
La motivazione per relationem attraverso lo Statuto dei contribuenti ha assunto una sua autonoma
disciplina giuridica. Infatti è espressamente previsto che se nella motivazione si far riferimento ad
altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama. L’eventuale inosservanza ne determina
la nullità dell’atto. Come già stabilito, la mancata motivazione comporta la nullità dell’atto. Dato il
problema relativo al fatto che se in presenza di una maggiore base imponibile incontestabile, ed altresì
in mancanza di una motivazione, l’atto diviene nullo e dunque non viene tutelata, l’attività
dell’amministrazione finanziaria. Per questo motivo si distingue tra, motivazione di fatto e
motivazione di diritto. Attraverso la motivazione di fatto si rende noto il riscontro documentale
avutosi in fase istruttoria, essa non è mai sindacabile. Nel caso della motivazione di diritto si deve
separare l’aspetto della norma azione dalla norma sanzione, la prima riguarda la scelta del metodo di
accertamento, è prevista per legge ed è importante ai fini dell’individuazione delle prove. La norma
sanzione invece riguarda la norma violata. Va inoltre sottolineato che in merito alla motivazione, nel
diritto amministrativo si fa la distinzione tra motivazione assente ( nullità) e motivazione insufficiente
( integrazione della P.A. con successivo atto), nel diritto tributario tale distinzione non si ha per via
del fatto che è vietato emettere due atti distinti sullo stesso presupposto. Ultimo cenno merita la
fattispecie inerente le prove, infatti per definizione la prova serve a dare fondamento ad una pretesa, la
motivazione invece giustifica la pretesa. Nel caso delle imposte dirette è menzionato la motivazione,
non si ha l’elemento della prova, essa dunque non è un elemento essenziale. Inoltre, nessun atto
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prevede che la prova sia fornita contestualmente alla richiesta, essa sarà formata in giudizio. L’onere
della prova ricade sull’amministrazione finanziaria. In conclusione, fornito una breve considerazione
che dovrebbe agevolare quanto menzionato. con riferimento all’avviso di accertamento si è soliti
distinguere tra elementi essenziali e non. La mancanza dei primi determina la nullità, la mancanza dei
secondi determina l’annullabilità. Tra gli elementi essenziali si inseriscono i seguenti : ufficio che
emana l’atto, destinatario, maggior imponibile, maggior imposta, aliquota, sanzione, interessi,
motivazione, sottoscrizione del responsabile. Con riferimento alla sottoscrizione, non deve essere
autografa, si deve distinguerla dalla firma, che deve essere autografa e fatta alla presenza
dell’ufficiale.
Autotutela dell’amministrazione finanziaria , il concetto di autotutela è di peculiare importanza
nell’affrontare il tema che riguarda la correzione di eventuali vizi formali o sostanziali dell’atto.
L’autotutela è stata codificata nel ’92. una volta istituito tale istituto, che si configura quale potere
degli uffici di procedere all’annullamento totale o parziale di propri atti , salve che sia intervenuto
giudicato. Ci si è posto il problema di individuare i limiti della responsabilità dei funzionari chiamati
in concreto ad esercitarlo, essi rispondono patrimonialmente solo in caso di danno cagionato per dolo
o colpa grave. La disciplina in merito, stabilisce che l’autotutela può tanto essere attivata per via del
contribuente , quanto spontaneamente , anche in pendenza di giudizio, dall’amministrazione stessa. E’
previsto altresì la possibilità che il Garante del contribuente possa, anche su segnalazione del
contribuente o altri soggetti interessati, attivare le procedure di autotutela. Vi sono infine due elementi
importanti da prendere in considerazione, trattasi della natura e degli effetti dell’autotutela. Con
riferimento alla prima si ritiene prevalentemente che sia un potere discrezionale, ciò si giustifica
attraverso il fatto che si ritiene che l’amministrazione finanziaria sia chiamata, in sede di riesame, a
compiere una ponderazione tra esigenze diverse e per certi aspetti simili a quelle che sono tenute le
P.A. a che l’esercizio del potere di annullamento abbia luogo in modo ragionevole e non arbitrario,
pena il ricorso al giudice amministrativo per far valere il mancato o cattivo esercizio che si traduce
nelle figure sintomatiche dell’eccesso di potere. Altri ritengono invece che l’autotutela scaturisca da
un interesse legittimo del contribuente alla correttezza procedimentale. Infine, con riferimento agli
effetti, si segnala che il ritiro dell’atto, nel caso in cui sia già instaurato un contenzioso, comporta
l’estinzione del giudizio dinnanzi la commissione tributaria per cessazione della materia del
contendere e la conseguente compensazione delle spese in capo alla parte che le ha anticipate.
La riscossione
La fase di riscossione
Il nostro sistema tributario è fondato sul principio della capacità contributiva, di legalità e della
vincolatezza dell’azione amministrativa. Ciò comporta l’assenza di discrezionalità da parte
dell’amministrazione. La fase della riscossione infatti è una fase tipizzata, interamente prevista dalla
legge, che prevede qualcosa di discrezionale solo per ciò che riguarda la rateizzazione. L’ente pubblico
può adottare esclusivamente le forme di riscossione previste dalla legge.
La fase di riscossione è la fase che segue quella di accertamento, bisogna dire che tale fase serve a
determinare quanto dovuto all’amministrazione finanziaria, una volta stabilito quale sia l’ammontare della
pretesa, occorre concretizzarla attraverso la fase di riscossione.
La fase della riscossione ha due giustificazioni:
- È successiva alla fase di accertamento
- Attraverso la notifica dell’atto in cui si intima il pagamento, permette secondo i principi generali
dell’ordinamento, di attuare l’esecuzione forzata in caso di insolvenza.
L’anticipazione della riscossione rispetto al verificarsi del presupposto corrisponde all’esigenza di
allineare il momento in cui si verifica il presupposto del tributo con quello dell’effettivo prelievo.
La combinazione delle fattispecie e degli atti della riscossione può essere ricondotta alla nozione di fase di
attuazione del tributo.
liquidazione, non richiedono di essere motivati perché derivanti da atti quali dichiarazioni o da atti
di accertamento già motivati da parte dei soggetti che li hanno emessi.
c) la dichiarazione
- Nell’imposte sui redditi: la redazione della dichiarazione comporta l’obbligo di auto liquidare
l’imposta e di versarla prima della presentazione della dichiarazione stessa.
- Nell’imposta sul valore aggiunto: la redazione della dichiarazione annuale comporta
l’autoliquidazione dell’imposta e il suo versamento una volta detratti i versamenti mensili o
trimestrali già effettuati.
- Nell’imposta di registro la presentazione dell’atto per la registrazione fa sorgere l’obbligazione per
l’imposta principale.
d) l’accertamento
L’atto d’accertamento determina il sorgere di pagare l’imposta corrispondente all’imponibile accertato.
Per le imposte sui redditi possono essere iscritte a ruolo a titolo definitivo le imposte, le maggiori imposte
e le ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti divenuti definitivi, nonché i relativi interessi e le
sanzioni. Le imposte corrispondenti invece ad imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi
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nonché i relativi interessi sono iscritti a ruolo a titolo provvisorio dopo la notifica dell’atto di accertamento
per la metà dell’imposta corrispondente all’imponibile o al maggior imponibile accertato dall’ufficio.
Per l’IVA, l’imposta o la maggiore imposta deve essere pagata entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di
accertamento. Tale importo è rappresentato dall’imposta relativa ai corrispettivi non dichiarati, dichiarati
solo in parte o da minori detrazioni riconosciute.
In caso di ricorso da parte del contribuente, l’imposta o la maggiore imposta viene riscossa sulla base delle
regole previste in materia di imposte sui redditi.
Nell’imposta di registro il ricorso del contribuente non sospende la riscossione del tributo.
e) le decisioni giurisdizionali
Nell’ipotesi in cui l’avviso di accertamento venga imputato dinanzi alle commissioni tributarie. La
riscossione si frammenta in obbligazioni di importi via via maggiori, man mano che aumenta il grado di
giudizio. Il principio della provvisora esecuzione delle sentenze si basa sul versamento graduale degli
importi in relazione sia all’esito della controversia sia al grado dell’organo giudicante.
a) La ritenuta diretta
È riservata alle ipotesi tassativamente previste dalla legge che riguardano solo le imposte sui redditi. La
caratteristica principale è la coincidenza tra soggetto erogatore di una prestazione pecuniaria e soggetto
destinatario del tributo.
b) I versamenti diretti
Riguardano tutte le ipotesi di versamenti “spontanei” del contribuente, sia per ritenute alla fonte, sia per
acconti d’imposta, sia per autoliquidazione in base alla dichiarazione.
I versamenti diretti si distinguono in versamenti diretti al concessionario e versamenti diretti alle Sezioni
di Tesoreria Provinciale, anche se tale distinzione sarebbe venuta a meno a partire dal 1 gennaio 1990 per
l’entrata in vigore degli artt. 2 e 66 del D.P.R. 43/1988.
Le ipotesi di versamento diretto al concessionario riguardano sostanzialmente il versamento:
1. Delle ritenute alla fotne sui redditi di lavoro dipendente, sui redditi assimilati a quelli di
lavoro dipendente, sui redditi di lavoro autonomo, sulle provvigioni inerenti ai rapporti di
commissione.
2. Dell’IRPEG e dell’imposta sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera.
3. Delle ritenute alla fonte sui dividendi.
Le ipotesi di versamento diretto alle sezioni di Tesoreria Provinciale dello Stato riguardano:
1. Le ritenute operate dalle amministarzioni della Camera dei Deputati, del Senato e della
Corte costituzionale.
2. Le ritenute operate ai sensi del 4° comma dell’art. 27 del DPR 600
3. L’IRPEF dovuta in base alla dichiarazione annuale nonché l’imposta sostitutiva dei redditi
di capitale di fonte estera.
4. Le ritenute alla fonte sui redditi maturati nel periodo d’imposta ancorchè non corrisposti.
5. Le rietnute alla fonte sui premi.
6. Le ritenute alla fonte operate dalle aziende e dagli istituti di credito.
7. Le ritenute operate dagli enti pubblici.
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Quale ulteriore modalità di versamento dei tributi l’ordinamento ha dato ampio riconoscimento alla
delega alle aziende di credito e agli uffici postali. L’azienda di credito o l’ufficio postale rilascia al
momento del pagamento un’attestazione conforme al modello approvato con decreto del ministro delle
finanze attestante anche l’impegno ad effettuare il pagamento agli enti destinatari per conto del delegante.
Il conto fiscale, a partire dal 1 gennaio 1994 è intervenuta tale novità riassumibile:
1. I titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo sono intestatari di un conto fiscale dove
confluiscono i versamenti delle imposte e dei contribuenti.
2. Il conto è tenuto presso il concessaionario competente per territorio che lo aggiorna
periodicamente.
3. Gli intestatari di conto fiscale posso utilizzare quest’ultimo per la richiesta di rimborsi di imposta
loro spettanti.
Ulteriore modalità di versamento inquadrabile tra i versamenti diretti è data dalla compensazione, istituto
di derivazione civilistica che si sostanzia nella facoltà di utilizzare eventuali crediti di imposta per
estinguere debiti della medesima natura o di carattere contributivo e previdenziale, utilizzando le
medesime formalità previste per il versamento mediante delega bancaria.
La facoltà di compensazione è limitata ai crediti risultanti dalle dichiarazioni annuali.
Il versamento unitario previsto con il D.Lgs. 241/1997 con lo scopo di omogeneizzare i termini di
pagamento, comprende le imposte sui redditi, l’IVA, le imposte sostitutive delle imposte sui redditi e
dell’IVA, gli interessi dovuti in ipotesi di pagamenti rateali, i contributi previdenziali ed assistenziali
dovuti all’INPS, i premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le
altre somme dovute allo Stato, alle regioni e agli enti previdenziali risultanti dalle dichiarazioni e dalle
denunce periodiche. Le somme dovute in dipendenza dei versamenti unitari devono essere versate in
un’unica soluzione entro il giorno sedici del mese di scadenza.
Rateizzazione dei versamenti: ad eccezione dei pagamenti a titolo di acconto dell’IVA, attualmente le
somme dovute all’erario previa opzione esercitata dal contribuente in sede di dichiarazione periodica,
possono essere versate in rate mensili di uguale importo, maggiorate degli interessi, decorrenti dal mese di
scadenza e a condizione che il pagamento sia ultimato entro il mese di novembre.
premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio, ma non ancora definitivi, nonché i relativi
interessi.
Nel caso in cui l’iscrizione avvenga nei ruoli straordinari le imposte, gli interessi e le sanzioni sono
computate per l’intero ammontare risultante dall’avviso di accertamento anche se non definitivo.
L’art. 32 del D.Lgs. 46 del 26/02/1999 ha previsto una nuova fattispecie, la riscossione spontanea a mezzo
ruolo, comprende le iscrizioni a ruolo non derivanti da inadempimento ed i casi in cui la somma da
iscrivere è ripartita in più rate su richiesta del debitore.
L’amministrazione finanziaria su richiesta del contribuente, da presentare prima dell’inizio della procedura
esecutiva e previa valutazione di temporanea situazione di obiettiva difficoltà, può concedere la
ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di 60 rate mensili, con
l’applicazione di un interesse annuo pari al 6%. Oppure la sospensione per un anno e la successiva
ripartizione per un massimo di 48 rate mensili.
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In entrambi i casi qualora emergano risultati diversi (art. 36 bis) o nel caso del 36 ter l’esito del controllo
formale, viene comunicato al contribuente il quale può entro i trenta giorni successivi segnalare eventuali
dati o elementi non considerati o eventualmente valutati erroneamente.
Le comunicazioni di cui agli art. 36 bis e 36 ter non costituiscono atti autonomamente impugnabili dinanzi
alle Commissioni Tributarie, trattasi di comunicazioni aventi il ruolo di adempimenti procedurali a carico
delle amministrazioni finanziarie (avvisi bonari) tesi a sollecitare la partecipazione del contribuente alla
fase attuativa del tributo e a favorire la regolarizzazione delle violazioni da parte di quest’ultimo con una
riduzione delle sanzioni ad un terzo nell’ipotesi del 36 bis e ai due terzi nel caso del 36 ter.
In tutte e due le fattispecie la fase di controllo si conclude con l’emissione di una cartella di pagamento, la
quale rappresenta il primo atto impugnabile.
Il ruolo e l’ingiunzione
Gli atti della riscossione sono due: il ruolo e l’ingiunzione fiscale. Ruolo e ingiunzione fiscale sono la
stessa cosa, con la riforma del 99 l’ingiunzione è sparita, fatto salvo per qualche tributo locale e doganale.
Il meccanismo della riscossione ora è fondato sul ruolo.
L’iscrizione a ruolo subentra a seguito di atti di liquidazione o di accertamento nel caso in cui vi sia
mancato o inesatto inadempimento da parte del contribuente. Il ruolo rappresenta quindi il metodo
attraverso il quale si riscuotono le somme che dopo l’atto di liquidazione o di accertamento non possono
essere più versate spontaneamente.
Il ruolo è un atto recettizio che deve contenere le dettagliate indicazioni previste dall’art. 25 del D.P.R. 602
del 1973 e che produce i relativi effetti quando si considera pervenuto nella sfera del contribuente in
conseguenza della notificazione.
In base alla natura giuridica il ruolo ha almeno due significati diversi, ruolo come natura giuridica e ruolo
come documento.
Come documento: il ruolo è un elenco (tabulato) in cui sono iscritti tutti i debitori, l’ammontare del debito,
le sanzioni e gli interessi. Fino alla riforma del 99 questi tabulati dovevano avere l’attestato di esecutività,
tecnicamente l’scrizione a ruolo si ha quando un soggetto è iscritto sull’elenco e il funzionario
dell’intendenza delle finanze mediante timbro e firma lo rendeva esecutibile.
In genere le iscrizioni a ruolo arrivano entro il trimestre successivo. Essendoci due adempimenti diversi, il
primo l’iscrizione a ruolo, secondo la notifica della cartella di pagamento, questi sono soggetti a tempi di
decandeza diversi.
Con la riforma del 99 si è passati dalla formulazione materiale del ruolo a quella meccanografica, è sparita
in sostanza l’attività svolta dall’intendente delle finanze. Resta fermo il doppio termine, decadenza
dell’iscrizione a ruolo e decadenza della notifica. L’iscrizione a ruolo ora non avviene più entro il trimestre
successivo, ma giorno per giorno.
Come natura giuridica: il ruolo è l’atto tipico della riscossione. In genere si tende a valorizzare il ruolo in
funzione della natura esecutiva e si dice che il ruolo è quell’atto che legittima e consente l’avvio
dell’esecuzione forzata. La norma prevede che il ruolo diventi titolo per l’esecuzione forzata se questa
viene eseguita entro un anno, superato tale termine si rende necessario rinotificare la cartella.
Per quanto riguarda gli effetti del ruolo occorre distinguere la sua efficacia soggettiva da quella che esplica
quale atto della riscossione.
Per ciò che riguarda l’efficacia soggettiva il problema è se si possa procedere a riscossione, anche coattiva,
nei confronti di soggetti che siano rimasti estranei alla fase di accertamento, sulla base di una cartella
esattoriale intestata ad un altro soggetto. Affinchè si possa procedere alla riscossione nei confronti del
coobbligato occorre che gli siano notificati gli atti di accertamento e di riscossione del tributo.
Quanto infine agli effetti del ruolo sul meccanismo di attuazione del prelievo, l’iscrizione a ruolo ha
sempre la stessa, unica efficacia giuridica: quella di titolo esecutivo che consente l’esecuzione forzata.
La notifica del ruolo comporta l’onere di impugnarlo a pena di decadenza e l’omessa proposizione del
ricorso ne consolida definitivamente gli effetti. L’iscrizione a ruolo non impugnata esplica effetti
preclusivi sulla possibilità di rimborso.
La cartella di pagamento
Attraverso la cartella di pagamento il ruolo è reso efficace nei confronti dei contribuenti. Questa è un atto
del concessionario da notificare al contribuente (debitore iscritto a ruolo o coobligato), deve essere redatta
in conformità ai modelli approvati con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e deve
contenere la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo nonché l’intimazione ad adempiere entro 60 giorni
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dalla notifica, in mancanza della quale si procederà ad esecuzione forzata. Decorso tale termine sulle
somme iscritte a ruolo si applicano interessi di mora determinati annualmente dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze a partire dalla data di notifica e fino alla data di pagamento. Se l’esecuzione
forzata non inizia entro un anno si rende necessario notificare un altro avviso di intimazione ad adempiere,
tale avviso a sua volta perde efficacia qualora l’esproprazione non sia iniziata entro centottanta giorni
dalla data della notifica.
La riscossione coattiva
La riscossione coattiva si rende necessaria una volta trascorsi i termini per il pagamento del titolo
esecutivo.
Ante riforma del 99 occorre fare delle distinzioni a seconda che si tratti di imposte dirette, le quali
venivano riscosse in base al ruolo e la riscossione era gestita dall’esattore secondo il c.p.c., ed imposte
indirette, riscosse in base al metodo dell’ingiunzione fiscale.
Con la riforma del 99 sono state introdotte delle novità per la razionalizzzione e lo snellimento della
procedura di esecuzione, quali:
1) La notifica di un unico atto con funzioni di avviso di pagamento e di mora;
2) La preclusione dell’esproprazione immobiliare per i debiti inferiori un determinato importo;
3) La revisione e la semplificazione delle procedure di vendita di beni mobili registrati ed immobili;
4) La facoltà per il concessionario di non procedere, per motivate ragioni, all’esecuzione mobiliare
mediante accesso alla casa di abitazione del debitore;
5) L’accesso dei concessionari, con le opportune cautele e garanzie, alle informazioni disponibili
presso l’anagrafe tributaria;
6) L’obbligo per i concessionari di utilizzare sistemi informativi collegati fra loro.
La riscossione coattiva in base a ingiunzione è ormai limitata ad aree residuali, restano infatti soggette ad
essa l’ imposta di bollo e l’imposta sugli spettacoli.
Il rimborso
Il problema del rimborso si pone per l’instaurarsi di situazioni giuridiche che possono essere attive o
passive. Derivanti da errori commessi dal contribuente, dal sostituto d’imposta o dal fisco negli atti sia di
accertamento che della riscossione.
Situazioni giuridiche attive - ho pagato più di quanto dovuto; i motivi per i quali possono sorgere
situazioni creditizie sono:
- In sede di acconto pago di più e quindi potrebbe accadere che al saldo non solo non devo pagare,
ma sono anche a credito;
- Perché ho pagato di più per un errore;
- Perché ho pagato qualcosa che successivamente è stata dichiarata non dovuta, a causa del venire
meno con efficacia retroattiva della norma o dell’interpetazione della stessa su cui si basa il tributo.
I rimborsi sono di due tipi:
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Il credito d’imposta
Si parla comunemente di credito d’imposta per indicare una situazione giuridica attiva del contribuente nei
confronti del fisco, che può essere soddisfatta o attraverso il rimborso o attraverso la compensazione con il
debito d’imposta dello stesso anno o degli anni successivi. La nozione di credito d’imposta include anche
la fattispecie definita in via negativa come crediti non da indebito, questi possono dar luogo sia al
rimborso in senso proprio, sia alla restituzione al contribuente attraverso l’operare di vari meccanismi.
Possono distinguersi in:
- Crediti di rimborso: che derivano da un pagamento indebito;
- Crediti di restituzione: che consento di riequilibrare precedenti attribuzioni patrimoniali non
indebite;
- Crediti d’imposta in senso stretto: che non danno luogo a rimborso o a restituzione, ma bensì
comportano la compensazione con il debito d’imposta, da richiedere in dichiarazione.
Il tema del rimborso è stato sempre al centro dell’attenzione dei tributaristi perché su di esso si combinano
le esigenze di fondo del prelievo: quella di tutela del contribuente espressa dai principi di capacità
contributiva e di vincolatezza alla legge, e quella di tutela dell’amministrazione espressa dai principi di
economia e di certezza.
Da un lato la teoria privatistica che ha accentuato la tutela del contribuente e dunque il suo illimitato
diritto al rimborso di un’imposta che non corrisponde alla capacità contributiva manifestata dal
presupposto.
Dall’altro lato la teoria pubblicistica, cioè la tutela del fisco, e dunque la definitività e certezza del prelievo
a seguito dell’inoppugnibilità degli atti della fase di accertamento e di riscossione.
La concenzione sostanzialistica ritiene che il diritto soggettivo al rimborso è autonomo e intangibile per il
contribuente ed è riconducibile al principio sancito dall’art. 2033 c.c. rubricato “indebito oggettivo”, il
quale dispone che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato.
La concezione processualistica invece ritiene che il rimborso non sia un diritto soggettivo, bensì un
interesse legittimo, e che sia disciplinato dalle norme procedimentali e processuali.
La cassazione con sentenza n. 2786 del 1989 ha fatto chiarezza sulle tematiche del rimborso attribuendo
prevalenza alla teoria pubblicistica, includendo la fase di rimborso nel procedimento di attuazione del
tributo.
Il legislatore pur privilegiando la teoria a tutela del fisco, garantisce ora maggiore tutela al privato, infatti
per un verso si sono ampliati e generalizzati i termini di rettificabilità della dichiarazione, per altro verso si
sono prolungati (48 mesi) i termini per l’istanza di rimborso.
Il rimborso si può ottenere automaticamente con una dichairazione rettificativa entro un anno che evidenzi
il credito e lo compensi o lo riporti a nuovo, ovvero con un’istanza di rimborso.
L’istanza di rimborso rappresenta il rimedio con il quale il contribuente chiede una statuizione sul diritto al
rimborso e sulla debenza dell’imposta indipendentemente dallo stato del procedimento di accertamento o
di riscossione.
Le fattispecie di rimborso
- Carenza di legge: il pagamento risulta essere indebito in quanto manca sin dall’origine o viene
meno successivamente la norma su cui esso si fonda.
a) Inesistenza della norma di legge istitutiva del tributo;
b) Mancata conversione in legge di un D.L.;
c) Abrogazione retroattiva della norma impositiva o introduzione retroattiva di una norma
di favore;
d) Interpretazione autentica contra fiscum;
e) Dichiarazione di incostituzionalità.
- Errore nella dichiarazione: queta fattispecie obbliga il versamento dell’imposta corrispondente al
dichiarato; il contribuente nel caso di errore a proprio danno ha diritto al rimborso da far valere con
istanza nel caso di versamento diretto o con impugnazione del ruolo.
- Atto di accertamento illegittimo: quando l’atto di accertamento viene impugnato e la decisione
giurisdizionale comporti una riduzione dell’imponibile rispetto a quello accertato, ciò determina il
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diritto al rimborso della differenza d’imposta tra quanto accertato da ultimo e quanto in precedenza
versato.
- Errori nella fase di riscossione.
I procedimenti di rimborso
Sono disciplinati dalla legge per i singoli tributi, occorre distinguere tra imposte sui redditi e imposte
indirette.
Per le imposte sui redditi bisogna distinguere tra rimborsi su istanza di parte e rimborsi d’ufficio. A sua
volta occorre distinguere i primi in rimborsi richiesti in dichiarazione, dai rimborsi richiesti con istanza
all’ufficio tributario competente.
I rimborsi richiesti con la dichiarazione dei redditi possono essere richiesti con istanza all’ufficio, se
l’ammontare degli acconti d’imposta, delle ritenute, dei crediti d’imposta e delle detrazioni è superiore
all’imposta netta del contribuente, questo ha diritto di computare l’eccedenza in dimunizone dell’imposta
relativa al periodo successivo di chiederne il rimborso in sede di diciarazione dei redditi.
I rimborsi richiesti con istanza all’ufficio competente riguardano le ritenute dirette e i versamenti diretti,
sono disciplinati dagli art. 37 e 38 DPR 602/1973.
L’art. 37 prevede che il contribuente possa ricorrere all’intendenza di finanza della provincia nella quale
ha il domicilio fiscale, per errore materiale, duplicazione o inesistenza totale o parziale dell’obbligazione
tributaria entro il termine di 48 mesi chiedendo il rimborso. Trascorsi novanta giorni senza che
l’intendente di finanza si sia espressa, il contribuente può ricorrere alle commissioni di primo grado.
L’art. 38 dispone che il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare istanza di rimborso
all’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede l’esattoria presso la quale è stato eseguito il
versamento, nel caso di errore materiale, duplicazione o inesistenza totale o parziale dell’obbligazione
tributaria entro il termine di 48 mesi chiedendo il rimborso.
In caso di diniego da parte dell’intendente ovvero di silenzio da parte di questo per oltre 90 gg dalla
presentazione dell’istanza di rimborso, il contribuente può ricorrere alle commissioni. Queste prevedono
che qualora sia stato notificato provvedimento negativo questo debba essere impugnato entro il termine di
60 gg, mentre nel caso di silenzio da parte dell’intendente il ricorso può essere proposto fino a quanto il
diritto di rimborso non è prescritto.
I rimborsi d’ufficio sono disciplinati dalla legge e possono essere fatti valere nel termine di prescrizione.
Esempio: tutti i casi in cui a seguito decisione delle commissioni tributarie l’imposta iscrivibile a ruolo
risulti inferiore a quella già iscritta e pertanto il rimborso è disposto d’ufficio entro il termine di 60 gg
dalla decisione.
Nei casi in cui la riscossione ha avuto luogo si rende necessario per ottenere il rimborso l’impugnazione
del ruolo. In tali casi il rimborso presuppone l’annullamento del ruolo e una volta annullato il rimborso è
disposto d’ufficio.
Per le imposte indirette, vale il principio generale secondo il quale il rimborso deve essere richiesto entro
tre anni dal giorno di pagamento.
Per quanto riguarda l’IVA occorre distinguere tra il rimborso dell’imposta indebitamente versata e il
ricalcolo del credito d’imposta derivante dagli acquisti o dalle importazioni.
Nella prima ipotesi si applicano le norme generali in materia di ripetizione dell’indebito.
Nella seconda ipotesi è previsto che il soggetto possa registrare le variazioni in diminuzione nelle scritture
IVA salvo il suo diritto alla restituzione dell’imposta pagata in eccesso a titolo di rivalsa. Le rettifiche
possono essere effettuate solo entro l’anno dall’effettuazione delle operazini imponibili.
Rimborso in conto fiscale – i soggetti che svolgono un’attività di lavoro autonomo e gli imprenditori sono
titolari presso il concessionario di un conto fiscale sul quale vengono registrati i versamenti e rimborsi
relativi alle imposte sui redditi, a quelle sostitutive delle imposte sui redditi e all’IVA. Questi soggetti
possono chiedere il rimborso agli sportelli del concessionario, i rimborsi possono essere effettuati entro
limiti massimali fissati annualmente dalla legge.
Le diverse fattispecie previste dalle norme tributarie producono in capo ai soggetti situazioni giuridiche
soggettive di diverso tipo e contenuto.
Il rapporto d’imposta esprime da un lato l’obbligo del soggetto passivo di corrispondere l’imposta e
dall’altro il diritto dell’ente impositore di conseguire tale imposta.
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Le situazioni giuridiche soggettive si distinguono in situazioni attive e passive (inattive) e tra situazioni
favorevoli e sfavorevoli. Si considerano situazioni soggettive attive quelle positive che comportino una
situazione di vantaggio (patrimoniale e non) e situazioni soggettive quelle a contenuto sia positivo che
negativo che comportino una situazione di svantaggio.
Le situazioni soggettive attive possono fare a capo all’ente impositore, il quale ha un potere-dovere
all’attuazione del prelievo, ovvero ai soggetti ausiliari, quali ad es. il concessionario.
Nasce in capo all’ente impositore il diritto al credito al verificarsi delle singole fattispecie della
riscossione.
Situazioni soggettive attive possono sorgere anche in capo di soggetti che normalmente si pongono nella
posizione passiva del rapporto. Il contribuente può essere titolare di credito d’imposta oltre che per le
ipotesi di indebito, anche per l’operare di meccanismi che presiedono a diverse esigenze nell’attuazione
del tributo.
La dottrina designa con il termine credito di imposta tutte le fattispecie diverse dall’indebito, in cui il
contribuente sia a credito per l’operare di meccanismi tipici del tributo.
È fisiologico che il contribuente in un determinato periodo d’imposta si trovi a credito, questo a seguito
dell’accentuarsi del fenomeno dell’anticipazione nella riscossione.
Le principali ipotesi in cui la legge riconosce un credito d’imposta sono:
- Prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 344/2003 istitutivo dell’IRES, il credito d’imposta per gli
utili distribuiti da società di capitali ed enti;
- Il credito d’imposta sui redditi prodotti all’estero;
- Il caso più importante risulta dalla detrazione dell’IVA a monte, si determina un credito d’imposta
allorquando l’iva sugli acquisti risulti essere maggiore di quella dovuta sulle operazioni imponibili
poste in essere.
Altre ipotesi derivano da concessioni normative effettuate in determinati periodi d’imposta, al fine di
ottenere una riduzione dell’ammontare del tributo, esempio:
- Il credito d’imposta concesso ai datori di lavoro, che nel periodo compreso tra il 1° ottobre 2003 e
il 31 dicembre 2003, incrementino il numero dei dipendenti con contratto di lavoro a tempo
indeterminato.
- Altri esempi…
Il credito d’imposta in questi casi è riconosciuto agli ausili finanziari attraverso strumenti di diritto
tributario.
Il termine di pagamento, le modalità ed il luogo sono stabilite dalla legge, per ciò che riguarda il termine
questo è stabilito non solo nell’interesse del debitore, ma anche del creditore per la sua organizzazione
amministrativa.
La legge consente poi all’ufficio la discrezionalità di concedere o meno dilazioni di pagamento.
È regola generale che le singole leggi d’imposta prevedano dettagliatamente quali siano i requisiti richiesti
del documento attraverso il quale è consentito al contribuente provare l’esatto adempimento.
L’estinzione può avvenire anche per compensazione, al meccanismo estintivo della compensazione è
attribuito ambito di operatività di quello assegnato dall’art. 1241 del c.c., infatti prescinde dalla
coincidenza tra creditori e debitori delle reciproche obbligazioni richiesta dalla disciplina civilistica,
rendendo invece possibile estinguere obbligazioni d’imposta nei confronti di un determinato soggetto
attivo per mezzo dell’utilizzo di crediti insorti nei confronti di un altro soggetto attivo.
È teoricamente ammissibile l’estinzione per confusione, ente impositore diviene successore del
contribuente debitore. È escluso che l’obbligazione possa estinguersi per remissione, per novazione, e per
indisponibilità della prestazione.
Prescrizione e decadenza
Si parla di decadenza per gli atti della fase di accertamento e di riscossione, per i quali la legge prevede
determinati ritmi e cadenze temporali; si riconducono i termini di prescrizione invece al diritto di credito e
all’obbligazione tributaria che sorge dalle fattispecie della riscossione.
I termini di decadenza sono di quattro o cinque anni quelli che attengono all’esercizio dei poteri di
accertamento, in tema di imposte dirette. Il legislatore ha stabilito un termine quadriennale o quinquennale
per le rettifiche e gli accertamenti d’ufficio in materia di IVA. Dalle fattispecie della riscossione nasce un
diritto al credito in capo al fisco suscettibile di prescrizione.
Sono inoltre fissati termini di decandenza anche per l’imposta di registro, anche se l’intervenuta
decadenza non estingue integralmente il diritto di credito, per l’imposta di bollo. Rispetto ai diritti
doganali stabilisce un termine di prescrizione di cinque anni.
Trovano poi applicazioni nella mancanza di disposizioni specifiche su decandeza e prescrizione quanto
previsto dal c.c..
Amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del
provvedimento definitivo.
Le sanzioni
Il sistema sanzionatorio
La sanzione costituisce lo strumento attraverso il quale si assicura l’osservanza del precetto contenuto
nella norma. La sanzione tributaria riveste un’accentuata importanza in quanto la sua funzione non è
limitata ad assicurare l’osservanza del precetto, ma anche a garantire un rilevante gettito all’erario.
Nel diritto le sanzioni hanno due finalità:
- Una punitiva (afflittiva) che risulta essere personale e quindi non trasmittibile, cade cioè in capo di
chi ha commesso la violazione;
- Una seconda risarcitoria, avente natura civile ed è trasmissibile, tale sanzione grava su chi ha
beneficiato della violazione, perde importanza quindi l’elemento personale.
Il nostro sistema sanzionatorio si caraterizza dalla continua mutevolezza e dalla sempre maggiore
imprecisione della norma tributaria. La prima fase ha origine con la L. 4 del 1992 contenente “Norme
generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie”. Si parlava non di sanzioni tributarie
autonome, ma di sanzioni pubbliche. Si trattava di un testo legislativo che offriva una summa divisio
(divisione tra macrocategorie) tra le violazioni delle leggi finanziarie relative ai tributi dello Stato. In base
a questa legge costituivano delitto o contravvenzione le violazioni di norme contenute in leggi finanziarie
per le quali era stabilita una delle pene previste dal codice penale. Distinte dalle sanzioni penali erano le
sanzioni amministrative definite come “obbligazione di carattere civile”, e ricorrevano “quando dalla
violazione delle leggi finanziarie che non costituisce reato sorge per il trasgressore l’obbligazione al
pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria”. Le pene pecuniarie e le sanzioni erano in rapporto
di alternatività. Le sanzioni penali erano irrogate dal giudice penale, salvo l’ammenda che poteva essere
irrogata con decreto penale dall’intendente di finanza.
La L. 4/1929 prevedeva poi il principio di fissità attraverso il quale le disposizione di tale legge non
potevano essere modificate o abrogate da leggi posteriori se non per espressa dichiarazione del legislatore
e con i specifici riferimenti.
La L. 4/1929 ha palesato la sua inadeguatezza sin da subito per l’imprecisione delle sue formulazioni e per
la loro tendenziale limitatezza.
Con la riforma degli anni ‘70 si è provveduto al riordino delle competenze sanzionatorie rispetto ai singoli
tributi. Si è proceduto alla depenalizzazione delle sanzioni penali di minore ammontare riconducendole a
sanzioni amministrative. Sempre negli anni ’70 si è sviluppato un movimento volto ad eliminare la
cosiddetta pregiudiziale tributaria che si era tradotta in un inacettabile beneficio per il reo che poteva
attendere, prima dell’inizio del processo penale, i tempi lunghi della definizione contenziosa
dell’accertamento.
La L. 516/1982 ha disciplinato integralmente la materia delle sanzioni penali tributarie in materia di
imposte sui redditi e di IVA. Ha eliminato il principio di fissità e la pregiudiziale tributaria.
Fino al 1997 il sistema sanzionatorio risultava essere disciplinato dalla combinazione di leggi di portata
generale come la L. 4 del 29 e la 516 del 82 … con una miriade di leggi di imposta e di disposizioni
speciale che rendevano necessario un continuo e difficile lavoro di coordinamento. Vi era perciò la
necessità di una riforma generale dell’intero settore che sostituisse una normativa estremamente
disordinata, di difficile interpretazione, con una disciplina organica redatta per principi.
Sulla base della delega data al governo per l’emanazione di una disciplina organica basata sull’adozione di
un’unica sanzione amministrativa, intrasmissibile agli eredi, assoggetta ai principi di legalità, imputabilità
e colpevolezza, con il il D. Lgs. 18 dicembre 97 si è ottenuta una completa e organica riforma
caratterizzata dalla codificazione dei principi generali della materia. La riforma ha accolto un sistema
sanzionatorio di tipo personalistico.
Il sistema in seguito alle riforme appare organico e unitario, ciò è riconducibile al fatto che le riforme
hanno conferito alle sanzioni tributarie un modello di riferimento comune.
Le sanzioni civili
Gli interessi di mora sono previsti dalla legge per i casi di ritardato adempimento del contribuente
all’obbligazione tributaria. La legge prevede interessi di mora che decorrono dalla notifica della cartella
esattoriale e si applicano fino alla data dell’effettivo pagamento. Hanno natura risarcitoria e restitutoria. Il
sistema prevede interessi a carico dell’erario nel caso di rimborso di imposte non dovute, in tal caso
denominati interessi compensativi.
Esistono inoltre interessi corrispettivi che il contribuente deve corrispondere per prolungata rateazione.
Le sanzioni amministrative
La nuova disciplina si concentra sulla persona del trasgessore, colui che è colpevole della violazione e
destinatario della sanzione. In base a tale principio, anche nel caso di illeciti compiuti da enti o società
deve rispondere la persona fisica che materialmente ha realizzato le violazioni.
La riforma ha anche introdotto l’istituto del ravvedimento operoso, attraverso il quale è previsto un
trattamento sanzionatorio premiale per tutti i trasgressori che dopo aver commesso la violazione,
volontariamente si adoperino per porvi rimedio entro termini stabiliti. Tale istituto non è più possibile
allorquando la violazione sia già stata contestata o nel caso in cui il trasgressore abbia avuto formale
conoscenza dell’imminente inizio delle operazioni di verifica a suo riguardo.
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Esiste poi la figura dell’autoree mediato, quando un soggetto sotto la violenza o la minaccia di un terzo
compie delle violazioni. In tali casi l’autore materiale è privo di ambedue i requisiti richiesti per
l’esistenza dell’illecito, cioè dell’imputablità e della colpevolezza. La responsabilità è addossata a colui
che ha determinato lo stato di incapacità o se ne è servito.
Una disciplina particolare è dettata in relazione agli illeciti compiuti da alcuni soggetti titolari di un
rapporto qualificato con una persona fisica o giuridica o un’organizzazione.
Nel caso in cui il soggetto abbia agito nell’interesse di un determinato soggetto al quale è legato da un
rapporto qualificato, quest’ultimo è obbligato in solido al pagamento della sanzione irrogata. È prevista
l’ipotesi che nel caso in cui il soggetto non abbia agito con colpa grave o dolo, che la società o l’ente o la
persona fisica possano assumere per intero il debito per la violazione, effettuando un accollo esterno con
efficacia liberatoria, anche dinanzi al fisco.
La responsabilità delle persone giuridiche, in tal caso le sanzioni amministrative relative al rapporto
fiscale proprio di società ed enti aventi personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona
giuridica.
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Decadenza: è stabilito un termine entro il quale l’amministrazione può contestare le violazioni e decorso il
quale, in assenza di contestazioni, l’illecito si estingue. La notifica dell’atto di contestazione o dell’avviso
di irrogazione deve avvenire entro cinque anni.
Prescrizione: si riferisce a illeciti già contestati e a sanzioni già irrogate. La sanzione deve essere eseguita
entro cinque anni, trascorsi i quali il credito si prescrive e non può essere più richiesto.
Il condono rappresenta un’altra causa di estinzione delle sanzioni tributarie, tale istituto completamente
disciplinato dalla legge consente a chi ha commesso violazioni di ravvedersi per il passato, con l’effetto
premiale della non applicazione di sanzioni, che sono appunto condonate.
In ossequio al principio di intrasmettibilità il decesso della persona fisica estingue la sanzione se questa è
già stata irrogata, mentre nel caso ancora non sia stata irrogata estingue l’illecito.
Le sanzioni penali
Le sanzioni penali in campo tributario possono distinguersi in due parti:
- Le sanzioni previste in materie di imposte sui redditi e IVA.
- Le sanzioni previste per tutte le altre fattispecie la cui categoria più importante è costituita dai reati
che vanno sotto il nome di contrabbando che riguardano sia i tributi doganali sia le accise.
Le singole fattispecie delittuose sono: la dichirazione fraudolenta, la dichiarazione infedele e l’omessa
dichiarazione. Caratterizzate dal dolo specifico di evasione.
La condanna per ciascuno di questi reati comporta l’applicazione di una serie di pene accessorie.
Sono previste nel D.Lgs 74/2000 due circostanze attenuanti agli art 13 e 14.
L’art. 13 prevede che nel caso in cui il reo provveda al pagamento del debito tributario prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado la pena comminata viene diminuita fino alla
metà e non si applicano le pene accessorie.
L’art. 14 dispone che se i debiti tributari risultano estinti per prescrizione o per decadenza il reo prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado può chiedere di essere ammesso a pagare
una somma da lui indicata a titolo di equa riparazione dell’offesa recata all’interesse pubblico.
Per ciò che riguarda la competenza per territorio la regola da seguire è quella generale del locus commissi
delicti. Per i delitti in materia di dichiarazione il reato si considera consumato nel luogo in cui il
contribuente ha il domicilio fiscale, se il domicilio fiscale è all’estero, è competente il giudice del luogo
ove è stato accertato il reato.
Contrabbando: questo termine è riferito a una serie assai ampia e differenziata di fattispecie criminose il
cui denominatore comune può dirsi costituito dalla condotta di chi sottrae o tenta di sottrarre le merci al
pagamento dei diritti di confine cui sono soggette.
La confisca è sempre applicata nei casi di contrabbando.
Le norme applicabili al processo penale sono quelle dettate dal codice di procedura penale.
Per ciò che riguarda alla competenza, la nuova disciplina si è allineata ai principi comuni dettati dal
Codice di Procedura Penale.
La competenza a giudicare sui reati previsti dal D.Lgs. 74/2000 essendo tutti puniti con pena detentiva
inferiore ai dieci anni rientra nelle competenza del tribunale in composizione monocratica.
Il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la
pendenza del processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti o atti dal cui accertamento comunque
dipende la relativa definizione.
Il contenzioso tributario
Tradizionalmente il processo tributario è definito contenzioso tributario. Nel detto processo la legge si
preoccupa di garantire prevalentemente la tutela del interesse pubblico al prelievo, limitando, in modo
altrimenti inspiegabile, la tutela del contribuente e la stessa ricostruzione probatoria del fatto controverso.
Da ciò discende che l’interesse pubblico alla regolare esazione dei tributi finisce per avere rilevanza tale
da fondare limitazione dei diritti dei privati ingiustificabili in altri ambiti.
A fronte di tale problematiche si presentavano le seguenti alternative:
1. giudice ordinario; sembrava la soluzione più logica la devoluzione della lite tributaria al giudice
ordinario al fine di garantire indipendenza ed imparzialità nonché il concreto componimento della
controversia e il correlato apprezzamento degli interessi coinvolti. Tuttavia a tale soluzione si è da
sempre contrapposta l’inattuabilità dovuto all’ingolfamento degli organi giurisdizionali a causa
dell’elevato numero di liti d’imposta. E’altresì riconducibile al suddetto inconveniente la difficoltà
del giudice civile di risolvere controversie estimative secondo le regole probatorie proprie del rito
civile .
2. sezione specializzate : attraverso queste era possibile risolvere il problema della cognizione
estimativa ma restava irrisolto il problema connesso alla diffusione del processo tributario.
3. giudice amministrativo: alla stregua delle problematiche di qui sopra veniva ostacolata
l’affermazione di una competenza del giudice amministrativo sulla base del modello francese.
4. Il filtro amministrativo: una soluzione adatta consisteva nella creazione di un filtro amministrativo
alla devoluzione al giudice ordinario della lite d’imposta.
5. giudice speciale tributario: trattasi di una proposta alla cui base vi è la creazione di un organo
giurisdizionale istituzionalmente competente a conoscere delle liti tributarie e soltanto di esse
alfine di organizzare la propria disciplina tenendo conto della specificità proprie della lite
tributarie.
Esaminando l’evoluzione del sistema del contenzioso tributario si evince una netta distinzione tra
controversie in materie di imposte dirette e controversie in materie di imposte indirette. Per le prime le liti
erano caratterizzate da una stretta connessione tra presupposto e base imponibile mentre nel caso delle
indirette la questione erano perlopiù di carattere giuridico poiché era agevole scindere la questione di
stima da quella di diritto. Prima della riforma del contenzioso tributario la questione in materia di tributi
erariali, nel caso delle indirette l’autorità giudiziaria ordinaria aveva piena conoscenza sulla lite dopo una
fase contenziosa in sede amministrativa, nel caso delle dirette era prevista una disciplina processuale mista
ovvero la competenza del giudice ordinario era subordinata al esaurimento di una fase avanti a un giudice
speciale e limitata alle questioni non sussumibili nel ambito della cosiddette estimazione semplice. Con
tale formula si definivano le controversie non suscettibili di essere conosciute dal giudice ordinario.
Questa implica che il giudice ordinario di tutte quelle questioni di cui si trattava di risolvere problema di
mera quantificazione o misurazione della base imponibile attraverso l’utilizzo di regole di esperienze o
tecniche, senza la necessita di applicare alcuna norma giuridica. L’estimazione complessa riguarda la
giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alle questioni che pur avendo prevalentemente
contenuto estimativo richiedevano tuttavia l’applicazione di norme di legge.
Con riferimento ai rapporti tra disciplina del contenzioso e le norme costituzionale sulla giurisdizione va
presa in considerazione l’articolo 102 della costituzione. Da tale articolo si evince il principio dell’unita
della giurisdizione e del divieto di istituzione di nuovi giudici speciali, con l’integrazione della previsione
dell’ articolo 103 circa la conservazione di alcuni giudici speciali espressamente individuati,rendeva
direttamente applicabile alla disciplina del contenzioso tributario la norma contenuta nella sesta
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disposizione transitoria. Tale disposizione prevedeva l’obbligo per il legislatore di provvedere entro 5 anni
alla revisione degli organi di giurisdizione speciale. Il decorso di tale termine senza alcuno intervento del
legislatore condusse la corte costituzionale a considerare il termine di carattere non perentorio e non
invocabile dal privato ai fini della contestazione della legittimità delle commissioni. L’inerzia del
legislatore sul punto motivarono il radicale cambiamento di rotta da parte della corte costituzionale questa
dichiaro inammissibili alcune eccezioni di incostituzionalità di norme tributarie, sollevate avanti le
commissioni tributarie, rilevando come le stesse fossero state sollevate avanti organi amministrativi e non
giurisdizionali. Questo era una sorta di ultimatum lanciato dalla corte al legislatore ordinario. La corte di
cassazione invece continuo a considerare le commissioni tributarie organi giurisdizionali. Si perviene cosi
alla riforme dell 71. Tramite questa riforma viene sancita la natura giurisdizionale
delle commissioni tributarie prevedendo per esse le garanzie di autonomia e indipendenze proprie dei
organi giurisdizionali. Da ciò discende che il sistema del contenzioso tributario appariva un sistema misto
caratterizzato da un terzo grado di giudizio in sede di legittimità e un azione giudiziaria avanti la corte
d’appello diretta all’accertamento negativo del rapporto d’imposta. L’intervento del riformatore, attuava
così la sesta disposizione transitoria e realizzava un assetto del processo tributario ritenuto dalla Corte
Costituzionale adeguato al precetto della carta costituzionale.
tra gli inconvenienti della riforma, vi è il venir meno della veloce ed efficiente giustizia tributaria, dovuta
al fatto che la partecipazione ai collegi giudicanti costituiva, sia per i giudici togati che per i giudici laici,
un occupazione secondaria rispetto a quella principale. Oltre a ciò si aveva anche un irrigidirsi della
disciplina amministrativa di attuazione delle norme tributarie conseguente alla affermazione
dell’esclusività della giurisdizione speciale tributaria.
Nel 91’ viene avviato un processo di radicale trasformazione del sistema del contenzioso tributario, esso
riguarda gli organi speciali della giurisdizione tributaria e il processo tributario avanti a tali organi.
Dopo un opportuno excursus storico, si rende ora necessario delineare il sistema ora vigente.
Il vigente sistema delle commissioni tributarie, entrato in vigore nel 96’ prevede innanzitutto
l’eliminazione del terzo grado di merito davanti la commissione tributaria centrale, che quindi è stata
soppressa quale organo di giustizia tributaria. Le commissioni sono articolate in commissioni provinciali,
con sede nel capoluogo provinciale, in commissioni regionali con sede nel capoluogo di regione.
Il giudizio di primo grado si svolge davanti a un giudice singolo per alcune controversie di minore
importanza, per le quali il ricorrente può difendersi senza l’assistenza di un professionista. Negli altri casi
la composizione è collegiale. Varia il sistema di reclutamento dei giudici, in relazione al quale si avverte in
modo sensibile la innovatività della disciplina, essendosi prevista, a regime la competenza di un apposito
organo, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, tra i suoi poteri vi è quello di deliberare sulle
domande e su ogni altro provvedimento riguardante le commissioni tributarie. Per ciò che concerne il
trattamento economico dei giudici, va tenuto conto del fatto che nel sistema previgente si retribuiva a
cottimo, mentre ora vi è un compenso mensile fisso e un compenso aggiuntivo per ogni caso deciso.
Nella fattispecie inerente la responsabilità dei giudici, è stabilito che chi ha subito un danno ingiusto per
effetto di un comportamento, di un atto o fatto posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave
nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato per ottenere il
risarcimento dei danni patrimoniali e anche quelli non patrimoniali che derivino dalla privazione della
libertà personale.
La garanzia dell’autonomia e indipendenza di giudizio nel caso concreto è assicurato attraverso le regole
sull’astensione e ricusazione del giudice.
Con riferimento al sistema delle commissioni tributarie, resta da definire la loro giurisdizione. Più
precisamente, la riforma del processo tributario, non ha chiarito ben preciso quale sia l’oggetto e quali i
limiti della giurisdizione delle commissioni. La dottrina a tal proposito è intervenuta, stabilendo dei limiti
interni e dei limiti interni. Nella fattispecie, i primi riguardano la delimitazione della materia tributaria
devoluta alla competenza giurisdizionale delle commissioni, mentre i secondi riguardano il tipo di azioni
concretamente esperibili nell’ambito di tale materia.
In riferimento ai limiti interni, occorre rilevare come gli stessi attengano alla riferibilità soggettiva della
controversia all’amministrazione nel senso che la lite deve vedere come parte necessaria l’ente impositore
del tributo o l’organo della riscossione, restando esclusa dalla conoscibilità delle commissioni tributarie
l’eventuale lite tra privati insorta per l’applicazione di un imposta di cui all’art 2 . inoltre la controversia
deve instaurarsi contro un atto inquadrabile tra gli atti impugnabili. Precisamente l’atto contro cui è
possibile ricorrere alle commissioni provinciali è costituito dall’avviso di accertamento, dall’avviso di
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liquidazione del tributo, dal provvedimento che irroga le sanzioni, dal ruolo e dalla cartella di pagamento
ecc.
Un ulteriore delimitazione della materia conoscibile dalle commissioni tributarie è costituita dalla
preclusione dei motivi devolvibili in sede di ricorso contro atti astrattamente conseguenziali di altri atti
autonomamente impugnabili. In tal caso il ricorso può riguardare solo i vizi propri dell’atto e non quindi il
merito del rapporto d’imposta.
Veniamo ora ai giudizi dinnanzi alle commissioni tributarie provinciali. Posto che l’atto impugnabile
rappresenta la concretizzazione giuridica dell’interesse ad agire. Pertanto l’atto introduttivo del processo
tributario, ovvero il ricorso, viene formalmente indirizzato verso l’atto impugnabile, ma in realtà è diretto
a consentire al giudice tributario, nei limiti dei motivi devoluti, l’accertamento del regime giuridico del
rapporto d’imposta sancito da tale atto. Ciò equivale a dire che attraverso il ricorso non si introduce un
giudizio di impugnazione- annullamento ( eliminazione giuridica dell’atto), bensì si tratta di un processo
definibile di impugnazione – merito, poiché caratterizzato da un profilo formale impugnatorio, attinente
all’introduzione del giudizio di previsione di termini di decadenza. In altri termini, tutto ciò si sostanzia
nel venir a conoscenza del giudice di quelli elementi attinenti il rapporto d’imposta che altrimenti
sarebbero demandati, in termini di definizione, all’amministrazione e il contribuente in un rapporto inter
partes.
Nella fattispecie di annullamento per vizi formali, la dottrina si è orientata a favore di una tendenza
secondo la quale, il giudice chiamato ad un accertamento del rapporto d’imposta caratterizzato da un
iniziativa amministrativa non rientrante nei parametri giuridici, pertanto ad esso non si devolve la
fattispecie inerente la pronuncia di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo.
Con riferimento all’atto impugnabile, si determina la competenza territoriale, infatti la legge lo considera
il parametro di riferimento. Infatti è stabilito che la competenza della commissione tributaria provinciale, è
determinata dal luogo dove ha sede l’ufficio contro cui è proposto il ricorso dal contribuente. Sulla base
dell’atto impugnato si individuano altresì le parti del giudizio, ovvero il privato e l’amministrazione
finanziaria. La parte privata, generalmente contribuenti o altri soggetti individuati dalla legge, nel nuovo
sistema del contenzioso tributario deve avvalersi di una difesa tecnica obbligatoria, salvo per talune
controversie di minore rilevanza. Tale obbligatorietà, che nel sistema previdente non era prevista, ora è
prevista, e la legge stabilisce che l’assistenza tecnica possa essere fornita da avvocati, dottori
commercialisti, ragionieri e periti commerciali iscritti ai relativi albi professionali.
Come già menzionato in precedenza, l’atto introduttivo è rappresentato dal ricorso. Dunque per ciò che
concerne quest’ultimo, devono essere rispettate una serie di prerogative o disposizioni, tra cui avremo :
Ricorso e il suo contenuto : il ricorso deve essere proposto entro 60 giorni dalla notificazione
dell’atto, deve contenere l’indicazione della commissione tributaria alla quale è diretto, dati del
ricorrente e del suo legale rappresentante, dati dell’ufficio contro cui è proposto il ricorso,
riferimento all’atto impugnato, motivi del ricorso e sottoscrizione del difensore del ricorrente
Formazione del contraddittorio: nell’attuale sistema il ricorso prevede la notifica alla controparte,
mentre la commissione viene investita solo dopo il deposito degli atti in segreteria del ricorso in
sede di costituzione del ricorrente. Tale costituzione è soggetta ad un termine perentorio di 30
giorni.
I motivi, di notevole importanza, poiché la materia del contendere, in primo grado di giudizio, si
basa sui motivi e gli argomenti posti alla base della propria pretesa e dunque esposti attraverso la
motivazione del ricorso.
Principio dispositivo: questo opera sotto un duplice profilo, preclude al giudice di porre a
fondamento della propria decisione fatti che non siano stati allegati, inoltre si ricollega al carattere
dispositivo dell’istruzione probatoria in ragione della previsione di poteri istruttori spettanti alle
commissioni e da queste esercitate in via officiosa.
L’onere della prova : vengono applicate le regole probatorie previste dal codice civile , come può
ricavarsi a contrario dall’espressa esclusione del giuramento e della prova testimoniale.
Prova documentale: essa è di particolare importanza, essa rappresenta l’unico mezzo di prova
rilevante ai fini della dimostrazione del fatto. Nell’ambito della prova documentale riveste
peculiare rilievo la prova contabile.
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Presunzioni : di peculiare importanza, poiché sulla base di queste si risolvono la maggior parte
delle liti tributarie. Le disposizioni applicabili sono le stesse di cui all’accertamento.
Poteri istruttori: l’impulso probatorio spetta alle parti, tuttavia la commissione ha tutte le facoltà di
accesso, su eventuali richieste, chiarimenti ecc.
Fase decisoria:i termini del processo tributario sono estremamente brevi, che ove rispettati portano
alla conclusione nel termine di 90 giorni. La logica vuole che il presidente della commissione
assegni il ricorso a una sezione, il presidente della sezione, scaduti i termini della costituzione per
le parti, esamina il ricorso, ne dichiara l’inammissibilità con decreto nei casi previsti dalla legge ,
contro questo è ammesso reclamo alla commissione che decide in camera di consiglio con
ordinanza. Laddove il ricorso sia ammissibile, il presidente fissa la data per l’udienza di
trattazione. L’avviso di trattazione è comunicato alle parti costituite almeno 30 giorni prima.
Sospensione , interruzione ed estinzione del processo : Il processo è sospeso quando è presentata
querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità
delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio. Il processo è interrotto al
verificarsi del venir meno, per morte o altre cause, della capacità di stare in giudizio, morte o
sospensione dall’albo dei uno dei difensori indicati. Mentre la sospensione è disposta,
l’interruzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto. L’estinzione si ha per rinuncia
al ricorso, per inattività delle parti e per cessata materia del contendere.
La sentenza: è emessa in nome del popolo italiano, sottoscritta dal presidente e dal relatore e deve
contenere, composizione del collegio, delle parti e dei difensori, svolgimento del processo, le
richieste delle parti, motivi di fatto e di diritto, il dispositivo. La sentenza è resa pubblica nel testo
integrale originale mediante deposito in segreteria entro 30 giorni dalla data della delibera. Si
distingue altresì tra :
1. sentenza a carattere processuale, possono riguardare il difetto di giurisdizione della
commissione o l’incompetenza territoriale.
2. sentenza di merito, possono essere di accoglimento o di rigetto del ricorso oppure di
parziale accoglimento. Nel caso di accoglimento, la commissione accerta il merito del
rapporto tributario controverso e sarà poi sostitutiva dell’atto impugnato. Nel caso di
rigetto, si giunge ad una cognizione di fondatezza della pretesa erariale espressa nell’atto
impugnato.
I procedimenti speciali che sono stati introdotti di recente sono il procedimento cautelare ed il
procedimento preventivo. L’importanza di attribuire al giudice tributario dei poteri cautelari era
estremamente avvertito, la legge dispone che il potere di sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato
spetta esclusivamente alla commissione provinciale. I presupposti, alla base della sospensione, sono
rappresentati da un danno grave e irreparabile ( periculum in mora e fumus boni juris). L’istanza di
sospensione può essere contenuta nel ricorso stesso oppure essere formulata con apposita istanza separata
dal ricorso. La sospensione è disposta con ordinanza motivata non impugnabile, i suoi effetti sono
temporanei, è altresì previsto l’obbligo di fissazione della successiva udienza. Dalla sua temporaneità
discende il potere di revocabilità e modificabilità da parte della commissione tributaria nella garanzia del
contraddittorio.
Vi è poi la conciliazione giudiziale (procedimento preventivo), essa ha l’obiettivo di prevenire il
contenzioso mediante uno strumento processuale finalizzato alla selezione delle liti risolvibili
stragiudizialmente. Si distingue tra :
Conciliazione in udienza, su istanza delle parti o su proposta della commissione
Conciliazione fuori udienza, qualora l’ufficio depositi la proposta di conciliazione prima della
fissazione dell’udienza di trattazione.
Con la riforma del 92’ si è pervenuto innanzitutto alla soppressione del terzo grado di giudizio.
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Un primo principio che trova applicazione nel sistema delle impugnazioni delle sentenze nel processo
tributario è quello relativo alla legittimazione all’impugnazione. L’impugnazione deve essere proposta
soltanto da colui che è stato parte nel processo che ha originato la sentenza oggetto di impugnazione,
pertanto, anche se portatore di interesse, un soggetto che non era parte del processo non ha la
legittimazione all’impugnazione. A tal proposito la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile
l’appello presentato da un ufficio diverso da quello che aveva preso parte nel processo.
Altro principio fondamentale è rappresentato dall’interesse a impugnare, questo nasce dal contrasto tra
la sentenza e le richieste avanzate dalla parte nel processo. Qualora la sentenza sia articolata in più capi
autonomi è da rilevare come la proposizione dell’impugnazione soltanto su alcuni dei capi comporti il
passaggio in giudicato della sentenza stessa sui capi non investiti dal gravame, trovando applicazione
anche nel processo tributario il cosiddetto giudicato implicito o endoprocessuale.
Inoltre è richiesta la pluralità delle parti nella fase di impugnazione, infatti la disciplina stabilisce che il
ricorso in appello è proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo
grado.
Un principio che riveste una particolare importanza è quello relativo all’effetto espansivo interno ed
esterno della riforma della sentenza. Ci si riferisce alla norma con la quale viene disciplinato il cosiddetto
effetto espansivo interno della sentenza, stabilendosi un effetto della riforma anche sulle parti della
controversia, evidentemente non coperte da giudicato endoprocessuale. Con riferimento all’effetto
espansivo esterno si trae in ballo l’esistenza di atti o provvedimenti estranei alla controversia oggetto della
riforma, che risultino peraltro dipendenti dalla sentenza stessa per via di un rapporto logico intercorrente
tra essi.
L’appello alla commissione tributaria regionale, occorre rilevare che si abbia il pieno effetto devolutivo,
nel senso che per effetto dell’atto d’appello la causa decisa dal giudice in primo grado passa alla piena
cognizione del giudice d’appello, nei limiti del ricorso. L’atto di appello deve proporsi nel termine di 60
giorni dalla notifica della sentenza. Il contenuto è il medesimo previsto per il ricorso in primo grado, esso
deve essere depositato nel termine di 30 giorni alla segreteria della commissione regionale.
Contro la sentenza della commissione regionale è proponibile il ricorso in cassazione. Si tratta di un
giudizio di legittimità con riguardo alle norme sostanziali e processuali applicate nella fattispecie.
All’art 111 della Cost. è disciplinato il giusto processo, esso si fonda sui seguenti punti fondamentali:
1. terzietà del giudice, nel diritto tributario il giudice non accede per concorso e inoltre è nominato
dal Ministero delle Finanze. I giudici sono retribuiti a cottimo, ovvero sulla base quantitativa di
sentenze emesse.
2. contraddittorio delle parti, ciò equivale a dire che tutte le azioni, eccezioni, prove e via discorrendo
devono essere esperite dinanzi al giudice.
3. pienezza delle prove, con ciò s’intende che nessuna delle parti deve subire preclusioni o limitazioni
dal punto di vista delle prove, le parti devono avere le medesime possibilità per difendersi.
Una caratteristica di peculiare rilievo è insita al fatto che vige il divieto di utilizzo delle testimonianze , ciò
per l’amministrazione non è un problema poiché in fase istruttoria essa può ricorrere a interrogazioni e
pertanto la sua attività non risulta essere preclusa, ciò invece si configura quale disparità di trattamento per
il contribuente il quale subisce questa limitazione.
Infatti, circa le tendenze in atto per l’evoluzione futura del sistema tributario, si prevedono diversi
correttivi, tra cui :
passaggio a giudici togati
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Entrando nello specifico, e per meglio comprendere le dinamiche del sistema processuale in materia
tributaria si presta, indubbiamente, utile partire dal sistema previdente.
Prima funzionava nel seguente modo, arrivava l’avviso di accertamento, si procedeva con il ricorso,
l’unico vincolo era il termine di 60 giorni entro il quale procedere, peraltro non vi era alcuna menzione da
quando partiva il termine, mancavano delle indicazioni in merito ai requisiti e alla forma. Dunque
mancavano i requisiti di un processo giurisdizionale, non si avevano udienze e quindi aveva la forma del
ricorso straordinario al capo dello Stato nel riscorso amministrativo. Le commissioni dunque erano
considerati organi di revisione interni degli uffici dell Amm. Finanz. E non come organi giurisdizionali.
Prima c’erano 3 gradi, il terzo grado, peraltro di merito, si faceva alternativamente o alla Commissione
tributaria centrale oppure dinanzi alla Corte d’appello. Successivamente si arrivava alla cassazione, questo
mediamente in 25 anni.
Con la riforma del processo tributario si è pervenuto ad una serie di cambiamenti, tanto che ora il rito si
svolge secondo le regole del processo civile, ciò equivale a dire che i motivi del ricorso sono tassativi, la
difesa è posta in essere per mezzo di avvocati e le spese di lite sono a carico del perdente della causa.
Giova peraltro dare delle indicazioni extra inerenti la materia oggetto di trattazione.
La copia va notificata all’ufficio, l’originale va consegnato al giudice, anche le copie vanno autenticate e
devono essere in carta bollata. La notifica può essere fatta personalmente, attraverso posta raccomandata o
per mezzo di un ufficiale giudiziario.
Il deposito in giudizio avvia la causa e non la notifica che in taluni casi ha la funzione di prevenire la lite.
Una volta depositati gli atti, il presidente della commissione tributaria fa una verifica di ammissibilità, in
caso di inammissibilità si chiude la causa per mezzo di un ordinanza.
Nel caso in cui risultasse essere ammissibile, il presidente trasferisce gli atti ad un presidente di sezione
che nomina il collegio (3 – 7 persone). Dopo si fissa il calendario delle udienze.
In casi particolari, può essere attivata l’istanza di sospensione dei termini e dell’avviso di accertamento,
purchè si sia in presenza dei seguenti requisiti:
Fumus boni juris
Periculum in mora
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Il giudizio di merito circa la condizione sospensiva deve essere discusso nel termine di 60 giorni (unico
termine ordinatorio) ma il presidente della commissione deve dare una motivazione. Nei 2 giorni prima il
giudizio di merito, si devono depositare le memorie, 10 giorni prima si depositano i documenti . Tutti i
depositi vanno fatti in tre copie, una al Presidente del Collegio, una al presidente della sezione e una alla
controparte. Se i documenti non sono sufficienti per decidere, l’istruttoria può essere fatta d’ufficio dal
giudice.
Tra le figure importanti vi è il CTU, consulente tecnico d’ufficio. Esso fa la perizia, deve ascoltare i pareri
del CTP.
Il CTP è il consulente tecnico di parte, esso non fa alcuna perizia e non ha poteri decisori ma può
influenzare il CTU.
La sentenza finale viene notificata alla parte dispositivo, ovvero accoglimento o rigetto del ricorso, con
indicazione della spesa. Chi vuole leggere la sentenza per esteso deve recarsi in cancelleria per richiedere
la sentenza per esteso, ciò va fatto nel termine di 30 giorni.
Nel grado di appello si impugna con riferimento al doppio termine, ovvero se la sentenza non è notificata
alla parte è possibile impugnare nel termine di 45 giorni dal deposito.
Se invece è notificata il termine è di 60 giorni.
In concreto si opera nel seguente modo, se si perde una causa in primo grado, si va a prendere la sentenza
e la si notifica alla controparte per beneficiare del termine più breve.
Infine il processo si può risolvere in un solo modo, quando le parti si mettono d’accordo. In tal caso si
parla di conciliazione, che può essere :
extra udienza, le parti si presentano alla prima udienza utile in giudizio per un controllo di legalità.
Successivamente le parti si mettono d’accordo e il giudice ne valuta l’equità.
In udienza, il giudice in primo luogo deve sempre esperire un tentativo di conciliazione.
Con l’ultima finanziaria si ha la completa attribuzione dei poteri al giudice tributario e non esiste più la
suddivisione tra giudice ordinario e tributario. Anche l’esecuzione forzata è di competenza del giudice
tributario.
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Parte speciale
Con il secondo conflitto mondiale vengono introdotte numerose imposte eccezionali, che però
successivamente, a guerra ultimata, vengono eliminate a causa del carattere della straordinarietà.
Si perviene così alla più ampia e importante riforma sin ad allora conosciuta. Si tratta della riforma
Vanoni, posta in essere dai Ministri Vanoni e Tremelloni. Detta riforma prende il nome di perequazione del
reddito e si poneva l’obiettivo di ammodernare il sistema tributario. Primo aspetto importante da annotare
è l’estensione dell’obbligo della dichiarazione dei redditi e l’estensione dell’obbligo della tenuta delle
scritture contabili finalizzato alla determinazione del redito effettivo.
Nel 54’ viene introdotta l’imposta sulle società, imposta complementare e personale che completa
l’imposizione delle persone giuridiche. Essa nasce da un vivace dibattito che vede le diverse posizioni
affermare ora un entità distinta dai soci che produce ricchezza, ora quale ente soggetto ad una particolare
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disciplina sottesa al riconoscimento della personalità, ora quale possibilità in capo al socio di eludere
l’imposta.
La struttura delle imposte dirette così articolato confluisce nel T.U delle imposte dirette, esso resta in
vigore fino alla riforma del 73.
La struttura delle indirette invece si articola, oltre a quanto già visto, nel seguente modo:
L’imposta di successione, imposta sui trasferimenti mortis causa
L’imposta sulle assicurazioni,
Imposte ipotecarie e catastali
Imposte doganali
Imposte di fabbricazione
Imposte sui consumi
L’IGE, imposta omnifase, cumulativa a cascata che colpiva tutte le cessioni di beni e prestazioni di
servizi effettuate da imprenditori e professionisti. Si trasferiva attraverso un meccanismo traslativo
che caricava il prezzo finale dell’intero carico fiscale dovuto. L’incidenza dell’imposta dunque
dipendeva dal numero di passaggi e pertanto dalla strutturazione economica del settore.
Tributi locali
Imposta di famiglia
Dazi comunali
Tributi speciali
Il sistema tributario sin qui delineato è quello ante riforma del 73’. Ad esso si accostano notevoli
inconvenienti e irrazionalità.
Con riferimento all’imposizione diretta, il sistema di imposte reali dava luogo a discriminazioni tra i
diversi contribuenti e tra i diversi tipi di reddito ora tassati con reddito stimato (catasto) ora con
riferimento al reddito effettivo. La discriminazione era poi accentuata dalle sovrimposte e addizionali
locali, mentre le imposte complementari personali non riuscivano ad assicurare una tendenziale
progressività dell’imposizione.
Con riguardo al sistema di imposizione indiretta sui trasferimenti, l’imposta di registro apparivano sempre
più inadeguati alla luce del mutato quadro economico.
Più adeguate al nuovo assetto economico apparivano le imposte di fabbricazione e sugli scambi. A tal
proposito, l’ IGE aveva assunto il ruolo di maggior imposta indiretta. Il suo principale nodo sta nel
coordinamento con le altre imposte indirette. L’IGE altresì presentava dei problemi di applicazione nei
sempre più crescenti traffici internazionali, poiché essa è una imposta plurifase cumulativa, che
incorporata nel prezzo finale dei beni e servizi creava delle distorsioni, che venivano neutralizzate
attraverso rimborsi per le esportazioni e l’applicazione di un’imposta compensativa alle importazioni.
Ben presto gli organismi della CEE raccomandarono una revisione in merito a tali problematiche.
Successivamente si perviene all’introduzione dell’IVA, quale imposta indiretta sugli scambi raccomandata
dalla Comunità europea.
L’IVA si ispira alla Taxe sur le valeur ajouteè (TVA) di origine francese, essa colpisce il valore aggiunto
apportato da ogni scambio del ciclo distributivo, produttivo di beni e servizi fino al commercio al
dettaglio. Il valore aggiunto era calcolato con il metodo della detrazione imposta da imposta anziché base
da base (ciò rende possibile la coesistenza di più aliquote). La suddetta imposta permetteva, senza
necessità di ricorso a rimborsi, il raggiungimento della neutralità dell’imposizione negli scambi
internazionali.
Si perviene in tal modo alla grande riforma tributaria del 73’. I tratti caratteristici rispecchiano
un’ideologia non più frammentata del sistema tributario, bensì un sistema unitario, coordinato con le realtà
tributarie degli altri paesi industrializzati.
La struttura della riforma si basava, dall’lato delle imposte dirette, su due imposte generali e personali
sul reddito delle persone fisiche e giuridiche. L’imposta personale sul reddito complessivo delle persone
fisiche colpiva con aliquota progressiva a scaglioni tutti i redditi del soggetto distinti in categorie. Essa
realizzava il principio di globalità e progressività dell’imposizione ma non realizzava la discriminazione
qualitativa tra redditi fondati e redditi di lavoro che invece si realizzava con il sistema delle imposte reali
cedolari.
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Dal lato delle indirette, si prospettava l’introduzione di un imposta plurifase sul valore aggiunto secondo
lo schema comunitario e l’adeguamento delle altre imposte a questa di nuova introduzione.
Tuttavia, il grande dibattito si incentrava sulla riorganizzazione dell’A.F. In merito ai lavori, vi fu in
primo luogo la sostituzione dell’imposta ordinaria sul patrimonio con un’imposta sui redditi patrimoniali.
Venne proposto un tributo locale sui redditi fondati, a cui si aggiunse, per ragioni antielusive, i redditi di
lavoro autonomo e nacque così l’ILOR.
In secondo luogo non venne accolta la proposta di trasformare l’imposta di registro in una tassa fissa.
Vennero mantenute, altresì, le imposte di fabbricazione e l’imposta locale sull’incremento di valore degli
immobili (INVIM).
Ultimo nodo da sciogliere era inerente lo strumento normativo tramite il quale attuare la riforma. Si
decise per lo strumento della delega legislativa del resto già scelta in occasione delle riforme del 51- 56.
In seguito agli anni 80’, segnati da profonde crisi della finanza pubblica, si perviene ad un ampia revisione
del sistema tributario, realizzato tra il 97’ e il 2000. Si assiste pertanto ai seguenti cambiamenti :
a) Introduzione dell’IRAP, eliminazione di ILOR, ICIAP, tassa sulle concessioni governative per la
partita IVA, imposta sul patrimonio netto delle imprese e contributo al SSN. Si introduce altresì
l’addizionale IRPEF e possibilità per i comuni e province di gestire integralmente le fonti del loro
finanziamento tramite tributi e tariffe.
b) Applicazione di un regime unitario basato su un aliquota uguale per tutti i tipi di redditi di capitale
ovvero il 12,5%, compresi i risparmi amministrati e gestiti.
c) Al fine di contrastare l’elusione, interna ed internazionale, si introducono il regime della
partecipazione del privato all’accertamento. Si ha inoltre una revisione del sistema sanzionatorio e
la disciplina degli enti senza scopo di lucro.
Per agevolare la comprensione del funzionamento di un sistema tributario nel suo complessivo si
forniscono in seguito talune nozioni di carattere generale.
Come già delineato in precedenza, nel sistema tributario post- bellico vi era un'unica imposta diretta
denominata imposta di ricchezza mobile, ad essa si affiancava l’imposta di registro che colpiva i
trasferimenti. Con l’imposta di ricchezza mobile, tassando i redditi, tale sia per le persone giuridiche che
fisiche si dava un agevolazione alle società per la ricostruzione post – bellica. Il problema principale
dell’imposta menzionata è che era di tipo reale con aliquota proporzionale, ciò era evidentemente in
contrasto con quanto sancito dall’art 53 della Costituzione.
Si arriva così alla riforma del 71-73, basata sulle seguenti esigenze:
Passaggio da un sistema di imposte reali a un sistema di imposte progressive
Distinzione tra persone fisiche e giuridiche (credito d’imposta)
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Prima di tutto la riforma effettua la scissione della vecchia imposta sulla ricchezza mobile in IRPEF e
IRPEG, successivamente IRES.
In merito all’IRPEF va sottolineato che essa risulta essere tanto più progressiva quanto più aliquote sono
previste, inizialmente erano 3 attualmente sono 5.
L’IRPEG invece è reale e la sua aliquota era del 37%, ora è del 33% e si chiama IRES.
Sentenza del 65’: discriminazione qualitativa del reddito, bisogna stabilire aliquote proprie per reddito di
capitale e per redito da lavoro. Era un metodo per invitare il legislatore a tassare di più i redditi da capitale
e meno i redditi da lavoro.
Nella nostra esperienza fu introdotta l’ILOR, quale secondo tributo che gravava sui redditi di capitale
( 16,7%). Si aveva dunque :
IRPEF
IRPEG
ILOR, che realizzava la discriminazione qualitativa del reddito
L’ILOR successivamente è stata abolita, oggi c’è l’IRAP che però tassa ben altro. In pratica dal 73’ a oggi
la terza esigenza si è rovesciata, inoltre anche per le società vi sono notevoli problemi legati ala doppia
imposizione in seguito all’abolizione del credito d’imposta ( 2003).
L’IGE è stata sostituita dall’IVA.
Con la riforma del 73’ l’imposta di registro è stata modificata, ora si distingue tra :
Trasferimenti a titolo oneroso
Trasferimenti a titolo gratuito, inter vivos – mortis causa
IRPEF
Il motivo per cui si ricorre ad un imposta personale sul reddito è dovuto al soddisfacimento del precetto
costituzionale in virtù del quale il nostro sistema tributario deve riflettere le caratteristiche della
personalità e della progressività. Nel sistema previgente l’imposizione della persone fisiche era fondata
sull’imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, che discriminava i redditi già colpiti
dalle imposte reali con un tributo di secondo grado volto a tassare progressivamente le ricchezze
imponibili in ragione del loro ammontare complessivo. Con il decreto del presidente della Repubblica
597/73 si perviene all’istituzione dell’IRPEF.
Presupposto
Analizzando l’aspetto strutturale della fattispecie imponibile occorre distinguere tra un profilo oggettivo e
un profilo soggettivo
In virtù del profilo oggettivo occorre tener conto che si parla di redditi e non di reddito, perciò non c’è una
definizione unica. Infatti il reddito è individuato per via casistica con riferimento all’articolo 6. Il
problema di definire il reddito, anche se si riuscisse a risolverlo sarebbe comunque ambiguo, pertanto la
scelta del legislatore si rispecchia nel metodo casistico, attuato per prevenire incertezze derivanti dalla
definizione di reddito. Il limite che si associa all’impostazione casistica è relativo al fatto che qualora
talune ricchezze rimangano escluse, si è in presenza di lacune legislative. Ad esempio, in Germania per
reddito si intende ogni attività che incrementa il patrimonio. Un altro problema desumibile dal
presupposto è legato al fatto che non si abbia menzione in merito a redditi leciti o illeciti. In Germania, si
sarebbero tassati direttamente redditi illeciti, in Italia si ha avuto un lungo dibattito ma dopo la
dichiarazione della cassazione il legislatore è intervenuto stabilendo espressamente la tassazione di redditi
provenienti da fonte illecita. Ritornando all’impostazione casistica l’articolo 1 del TUIR sancisce il
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seguente presupposto “Possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate
nell’articolo 6”. Pertanto solo le fattispecie riconducibili a una delle categorie di reddito indicate
nell’articolo 6 costituiscono materie imponibile. Sotto il profilo applicativo le categorie di reddito di cui
all’articolo 6 sono:
1. Redditi fondiari;
2. Redditi di capitale;
3. Redditi di lavoro dipendente;
4. Redditi di lavoro autonomo;
5. Redditi di impresa;
6. Redditi diversi;
I tre principi generali espressamente disciplinati nel TUIR, hanno un ruolo trasversale, infatti:
1. I proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite costituiscono redditi della
stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Si tratta di una norma diretta a contrastare il tentativo
di qualificare quale risarcimento di danni vere e proprie erogazioni di reddito.
2. Afferma il carattere accessorio degli interessi moratori e per dilazione di pagamento rispetto ai
redditi della categoria da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati differenziandoli
dagli interessi compensativi e corrispettivi.
3. Tassabilità dei redditi provenienti da fonte illecita.
In quanto al Profilo soggettivo L’IRPEF non sembra personale perché il presupposto si riferisce
maggiormente ai redititi invece che alle persone. L’elemento soggettivo va ricercato nel possesso che
scaturisce dalla disponibilità materiale del reddito che pero è un concetto astratto. In merito alla nozione di
possesso se ne individuano tre differenti teorie:
1. articolo 1140 codice civile, fa riferimento al possesso inteso in senso civilistico, quindi
disponibilità concreta con riferimento ai beni mobili che pero nel diritto tributario e di difficile
applicazione perché le fonti di reddito sono immateriali.
2. disponibilità effettiva secondo cui il possessore del reddito è colui che gode del reddito e ne ha la
disponibilità materiale. La problematica sorge qualora si ha la scissione tra soggetto titolare e
colui che ne gode e ne dispone effettivamente. Nel settantatre, in occasione della scissone la
norma tassava il beneficiario ovvero colui che ne disponeva.
3. Nozione di reddito e possesso inteso in senso sistematico il reddito essendo una grandezza
effettiva che deriva da una fonte produttiva si considera il possesso quale presupposto mentre il
reddito quale effetto. Pertanto si parla di possesso della fonte che ad esempio nel impresa è
l’esercizio di un attività, nel lavoro dipendente è il rapporto di lavoro e non lo stipendio. La fonte
può essere un atto, fatto o attività dal cui svolgimento scaturisce un reddito fiscalmente rilevante.
Società di armamento
Società di fatto
Associazioni professionali senza personalità giuridica.
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L’ammontare massimo di partecipazione agli utili da parte dei familiari non superi il 49% del
reddito di impresa dichiarato dall’imprenditore;
La partecipazione agli utili sia limitata ai soli soggetti che operano in via prevalente e continua
nell’impresa;
La dichiarazione dei redditi dell’imprenditore specifichi l’indicazione delle quote di
partecipazione agli utili dei familiari e l’attestazione di queste ultime sono proporzionate alla
quantità e alla qualità di lavoro effettivamente prestato nell’impresa;
Ciascun collaborato attesta nella propria dichiarazione dei redditi lo svolgimento continuativo o
prevalente della propria attività nell’impresa;
In quanto ai redditi prodotti in vita dal de cuius è stabilito che sono tassabili in capo agli eredi e\o legatari
nel periodo d’imposta in cui sono percepiti applicando il regime della tassazione separata.
Infine, per la fattispecie dell’eredità giacente si è in presenza di un reddito temporaneamente privo di un
soggetto di riferimento.
In virtù dell’ ultimo profilo da analizzare in merito alla territorialità l’IRPEF adotta il criterio della
residenza, a scapito di quello della cittadinanza. Da ciò si discerne che i soggetti residenti nel territorio
dello stato sono tassati per tutti i redditi posseduti, indipendentemente dal loro luogo di produzione
(principio della worldwide incombe taxation ), mentre per i soggetti non residente l’imposta grava sui
redditi prodotti nel territorio dello stato (principio della territorialità). La logica di fondo di tale
impostazione si basa sulla rilevanza che rivestono le sole fattispecie impositive dotate di un collegamento
apprezzabile con il territorio dello stato.
Limitatamente ai soggetti non residenti, l’imposizione dei soli redditi prodotti nel territorio è
accompagnata da un regime basato sull’applicazione delle ritenute alla fonte a titolo d’imposta,
configurando un sistema impositivo di tipo proporzionale piuttosto che progressivo e un modello
semplificato che frequentemente prevede anche l’esonero della presentazione della dichiarazione dei
redditi.
In merito al profilo oggetto di esame si necessita di soddisfare due esigenze:
1. Stabilire a quali condizioni un soggetto possa essere considerato residente
2. Quando un reddito possa essere considerato prodotto nel territorio dello stato
Ai sensi del 2 comma dell’ articolo 2 un soggetto è considerato residente qualora ricorra alternativamente
uno dei seguenti criteri per la maggior parte del periodo di imposta:
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Con finalità antielusive vi è un ulteriore disposizione che reca una presunzione iuris tantum di
mantenimento della residenza nel territorio dello stato per i cittadini cancellati dalle anagrafi della
popolazione residente ed emigrati in stati a regime fiscale privilegiato, ponendo a loro carico l’onere di
dover provare che detto trasferimento non sia realizzato con l’unico fine di sottrarsi al maggior carico
fiscale del territorio italiano.
In merito alla seconda esigenza operano delle vere e proprie presunzioni secondo le quali sono sempre
considerati prodotti nel territorio dello stato i seguenti redditi
1. I redditi fondiari degli immobili siti nel territorio dello stato
2. i redditi di capitale quando sono corrisposti da soggetti residenti o da soggetti non residenti per
rapporti relativi a una stabile organizzazione
3. redditi derivanti da lavoro dipendente prestato nello stato
4. redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello stato
5. redditi di impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello stato mediante stabili
organizzazioni
6. redditi diversi derivante da attività svolte o beni esistenti nonché gran parte di cessioni a titolo
oneroso di partecipazioni in società residenti
7. redditi prodotti in forma associata di persone ed enti assimilati residenti.
Occorre tuttavia fornire alcune considerazioni in merito al concetto di stabile organizzazione. Attraverso
essa si individua la sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in
parte la sua attività nel territorio dello stato, talché e ragionevole concludere che la stabile organizzazione
sussiste nelle ipotesi di installazioni fisse attraverso le quali viene stabilmente svolta la attività produttiva
dell’ente non residente. L’importanza dell’individuazione della stabile organizzazione deriva
essenzialmente dal fatto che le convenzioni contro le doppie imposizioni generalmente dispongano che i
redditi prodotti da una stabile organizzazione situato in un altro stato siano tassati nello stato della fonte.
In relazione a quanto detto precedentemente sono soggetti all’ IRPEF i proventi tassativamente previsti per
legge, tuttavia sono escluse dalla determinazione dalla base imponibile le seguenti fattispecie reddituali:
redditi esenti e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva
gli assegni periodici destinati ai mantenimenti dei figli
gli assegni familiari
maggiorazione sociale dei trattamenti pensionistici
La determinazione del reddito complessivo avviene attraverso la somma algebrica dei redditi di ogni
categoria, tenendo conto di eventuali perdite, e successivamente si sottraggono gli oneri deducibili.
Le fattispecie reddituali sono imputate al periodo d’imposta in cui si verificano i relativi presupposti
secondo i seguenti criteri:
criterio della cassa, che si basa sulla percezione del reddito, per redditi di capitale di lavoro e
diversi.
Criterio della competenza, che si basa sull’ ultimazione dell’ operazione, per i redditi di impresa
Periodo di possesso della fonte reddituale per immobili e terreni e indipendentemente dalla
percezione della ricchezza per i redditi fondiari
L’insieme delle operazioni descritte permette la determinazione del reddito complessivo netto nell’unita
temporale presa in considerazione dalla legge definita periodo d’imposta. Quest’ ultimo individua la
dimensione temporale della fattispecie imponibile
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applicabili nell’anno della percezione. I redditi soggetti a tassazione separata si raggruppano in due
categorie
1. redditi conseguiti a fronte della cessazione di una attività lavorativa, ad esempio TFR
2. altri redditi percepiti in un'unica soluzione a verificarsi in eventi eccezionali, ad esempio gli
emolumenti arretrati per le prestazioni di lavoro dipendente.
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L’imposta sulle società (IRPEG) colpiva sia il possesso di reddito sia il possesso di un patrimonio.
Tale sistema consentiva di limitare le manovre elusive delle società. Il nuovo tributo introdotto con la
riforma del 1971-73 si riferiva ad un soggetto diverso rispetto all’imposta sulle società,ma ad associazioni
non riconosciute sfornite di personalità giuridica, cioè società di persone escluse dall’applicazione del
tributo. A distanza di oltre 30 anni l’IRPEG è stata modificata con decreto legislativo del 12/12/2003.
Va notato che tale modifica del tributo attualmente definito come imposta sul reddito della società (IRES)
non comporta una sostituzione del tributo originario (IRPEG) con un nuovo tributo e nonostante le
innovazioni avvenute sul piano regolamentare la struttura del tributo resta la stessa dell’IRPEG. Con
l’IRES viene adottato un criterio impositivo basato sul modulo della imputazione/ organizzazione con cui
l’obbligo tributario viene riferito al soggetto collettivo e non ai singoli individui.
L’adozione del modulo imputazione / organizzazione non risolve il problema della doppia imposizione dei
soci e a tal proposito esistono 2 modelli utili per evitare una doppia imposizione economica: l’esenzione
dei dividendi del singolo socio; il credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta pagata dalla
Società. Con la riforma tributaria del 1971 venne stabilita una doppia imposizione nei confronti delle
società e dei soci: l’IRPEG e l’IRPEF.
Il sistema attuale adottato con l’IRES è diverso rispetto al sistema che veniva applicato con l’IRPEF, cioè
l’istituto di credito dell’imposta che è stato eliminato definitivamente. E’ stato sostituito con l’IRES con il
criterio dell’esenzione dei dividendi ai soggetti passivi dell’IRES (società ed enti collettivi), invece per le
persone fisiche stata prevista una imposizione IRPEF.
I soggetti passivi dell’IRES sono quattro categorie:
1. società di capitali, cooperative;
2. enti pubblici o privati residenti nel territorio dello Stato che hanno l’esercizio di attività
commerciali;
3. enti pubblici o privati residenti nel territorio dello Stato che non svolgono attività commerciali;
4. società di ogni tipo (con pers.g.esenz.p.g) non residenti nel territorio dello Stato.
Questa quadripartizione è importante per la base imponibile che è differenziata a seconda della categoria
di appartenenza dei soggetti passivi. In base alla distinzione tra enti commerciali ed enti non commerciali,
l’identificazione dell’oggetto principale di un ente viene effettuato in base all’atto costitutivo, allo Statuto
(l’atto pubblico o scrittura privata autenticata. Soltanto in via sussidiaria (provvisoria) se non sono stati
stipulati né l’atto costitutivo, né lo Statuto, l’oggetto dell’ente può essere individuato in base all’attività
che di fatto viene esercitata.
Comunque il legislatore riconosce indipendentemente dalla presenza di statuti l’ente perde la qualifica di
ente non commerciale nel momento in cui eserciti prevalentemente una attività commerciale per un intero
periodo di imposta.
Per quanto riguarda la 4ª categoria di soggetti passivi (formata da enti e società non residenti nel territorio
dello Stato) viene identificata in base al criterio di ubicazione (residenza) dell’ente o società. Infatti
vengono considerati residenti tutti gli enti o società che per la maggior parte del periodo di imposta hanno
la sede legale, amministrativa e l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Accanto alla 4ª categoria di soggetti passivi è stata aggiunta un’altra categoria rilevante ai fini della base
imponibile, costituita dalle ONLUS (org. non lucrative di utilità sociale). Rientrano in questa categoria
altre figure soggettive come associazioni, fondazioni, comitati ed enti con o senza personalità giuridica.
E’ importante che gli atti costitutivi o statuti di questi soggetti devono contenere regole che mirano a
salvaguardare lo spirito di solidarietà con l’obbligo di distribuire gli utili ad altri enti istituzionali, nonché
di devolvere il patrimonio a favore di altre ONLUS quando avviene l’atto di scioglimento dell’ente.
La base imponibile dell’IRES, quindi, si articola in una serie di sub-sistemi a seconda della categoria
soggettiva o di appartenenza.
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Per le società e gli enti commerciali ai fini della base imponibile, il reddito della Società e degli enti
commerciali viene determinato dall’utile o dalla perdita risultanti dal bilancio.
Inoltre sono state fissate alcune regole a questa categoria di soggetti: l’esenzione parziale dei dividendi
distribuiti a società controllate o collegate. Coerentemente con tale criterio dell’esenzione parziale dei
dividendi distribuiti a società, nella disciplina introdotta con l’IRES è prevista anche l’esenzione delle
plusvalenze realizzate da società o enti commerciali cioè utili societari accantonati come riserva o previsti
per il futuro.
Con l’IRES è stato introdotto nella disciplina del reddito d’impresa il meccanismo del consolidato fiscale
nazionale valevole solo per i gruppi di società residenti. Si tratta di un istituto applicabile a società
assoggettate a controllo di diritto da parte della società controllante in base al quale viene stabilito un
unico reddito imponibile per l’intero gruppo di società procedendo ad una compensazione al gruppo di
società di utili e di perdite delle varie società. L’opzione o la scelta di aderire al consolidato fiscale ha una
durata triennale ed è irrevocabile.
La regola generale per la determinazione del reddito degli enti non commerciali sono previste dalle norme
in materia di IRPEF. Per gli enti non commerciali sono rilevanti solo i redditi rientranti nelle categorie dei
redditi fondiari, di capitale d’impresa.
Gli enti non commerciali sono obbligati a tenere una contabilità semplice in ordine al reddito d’impresa e
all’attività commerciale esercitata. Una volta stabiliti i redditi, devono essere sommati allo scopo di
calcolare il reddito complessivo da cui verranno dedotti alcuni oneri deducibili. Viene determinata
l’imposta da applicare al reddito complessivo netto; dall’imposta lorda vengono detratti gli oneri
detraibili.
80/2003). Si tratta di un provvedimento molto ampio e complesso, che muta radicalmente oltre al nome
(da Irpeg a Ires), anche il disegno della tassazione societaria nel nostro paese. Il decreto è entrato in vigore
il 1° gennaio 2004.
I soggetti passivi dell’Ires sono:
- le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società
cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;
- gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, sia che abbiano o
che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;
- le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello
Stato.
L’imposta è proporzionale e colpisce il reddito complessivo realizzato nel periodo d’imposta dalla persona
giuridica, rappresentato dall’utile. L’aliquota ordinaria è pari al 33% (2004). I criteri di determinazione
della base imponibile per l’Ires sono simili a quelli relativi al reddito d’impresa delle persone fisiche.
Fino al 2003 era prevista un’agevolazione che consentiva alle società di capitali e alle società di persone di
ridurre l’onere d’imposta sugli utili in funzione della politica di finanziamento seguita. Questa
agevolazione, chiamata Dual Income Tax (Dit), prevedeva una tassazione agevolata secondo una aliquota
del 19% a quella parte degli utili che rappresentavano la remunerazione ordinaria del capitale investito. La
Dit è stata abolita, superando il modello duale e ritornando ad un modello di tassazione sui profitti ad una
sola aliquota.
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Parte della dottrina ha teorizzato che l’iva è un’imposta che colpisce la singola operazione imponibile o,
ancora, che colpisce l’esercizio dell’attività d’impresa, applicandosi sulla somma algebrica della massa di
operazioni attive e passive effettuate dal soggetto iva nel periodo d’imposta.
In realtà, la prima tesi non risolve il problema dell’individuazione del soggetto passivo dell’imposta e del
contribuente effettivo. Mentre la seconda tesi trascura la circostanza che l’onere economico dell’imposta
viene pressocchè integralmente caricato sul consumatore finale.
Perciò, la ricostruzione originaria è la migliore, e cioè che l’iva è un’imposta sul consumo.
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Per esercizio d’impresa ai fini Iva deve intendersi l’esercizio per professione abituale, ancorché non
esclusiva, anche se non organizzate in forma d’impresa.
Come per le imposte sui redditi la titolarità di reddito d’impresa dipende, per le società e gli enti
commerciali, dalla forma giuridica degli stessi, prescindendo dalla natura dell’attività esercitata in
concreto. Solo per gli imprenditori individuali e gli enti non commerciali diventa necessario verificare le
caratteristiche dell’attività svolta dal soggetto.
Per esercizio di arti e professioni ai fini Iva si intende l’esercizio, per professione abituale ancorché non
esclusiva, di qualsiasi attività non configurante attività d’impresa, svolta senza vincolo di subordinazione.
L’unico requisito positivo che l’attività deve avere, per configurare esercizio di arte o professione ai fini
Iva, è l’abitualità dell’attività stessa, con la conseguente irrilevanza di eventuali prestazioni occasionali.
Ricordiamo che la collaborazione coordinata e continuativa non costituisce attività di lavoro autonomo
rilevante ai fini Iva.
Le importazioni.
Costituiscono operazioni imponibili anche le importazioni di beni da chiunque effettuate. Per importazioni
si intende solo l’introduzione nel territorio dello Stato di beni provenienti da paesi extra UE.
Nel caso delle importazioni, l’Iva si applica sul valore dei beni importati determinato ai sensi delle
disposizioni doganali e dunque con riferimento al corrispettivo contrattuale, aumentato dell’ammontare
degli eventuali diritti doganali e delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio
dell’unione, indicate nel documento di trasporto.
Si ricorda che l’importatore che agisce nell’esercizio d’impresa ha il diritto di detrarre l’Iva assolta in
dogana come detrae l’Iva addebitatagli dai fornitori residenti.
Le operazioni verso l’estero: la distinzioni tra operazioni poste in essere nei confronti di paesi extra
comunitari e operazioni poste in essere nei confronti di paesi appartenenti all’UE.
L’applicazione dell’Iva nelle operazioni con l’estero segue regimi diversi a seconda che si tratti di paesi
extra comunitari o non. Le operazioni poste in essere nei confronti dei primi si considerano esportazioni e
sono ricondotte nelle operazioni non imponibili.
In considerazione del particolare regime Iva dell’esportazioni il soggetto che le pone in essere e’ destinato
a trovarsi in una posizione di credito istituzionale nei confronti dell’erario, destinato ad aumentare man
mano che aumentano le operazioni non imponibili rispetto al totale dell’operazioni poste in essere: infatti,
l Iva sugli acquisti non sara’ controbilanciata da un corrispondente aumentare di Iva sulle vendite.
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L’eliminazione delle frontiere doganali interne all’UE e regime transitorio dell’ Iva
intracomunitaria.
In relazione all’abbattimento delle frontiere doganali interne all’UE il consiglio ha emanato un’apposita
direttiva finalizzata ad adeguare la disciplina dell’Iva, la quale ha visto venir meno nella circolazione dei
beni tra gli stati membri dell’UE, i controlli fiscali precedentemente effettuati per il tramite delle frontiere.
Tali controlli sono stati sostituiti dalla rilevazione dei dati attraverso reti informatiche e dall’obbligo posto
agli operatori economici, di presentare dichiarazioni riepilogative con funzioni statistiche e di controllo
incrociate e, per le operazioni effettuate tra soggetti Iva residenti in diversi paesi dell’Unione, e’ stato
previsto, con direttiva, un particolare regime a carattere transitorio la cui valenza temporale e’ stata via via
prorogata in attesa dell’introduzione della disciplina definitiva dell’Iva. Sono considerati scambi
intracomunitari quelli che soddisfano congiuntamente tre requisiti:
a) avvengono tra operatori entrambi soggetti passivi di imposta in due diversi paesi dell’Unione
b) comportano l’acquisizione, a titolo oneroso, della proprietà o di altro diritto reale sul bene
c) implicano la spedizione o il trasporto dei beni da uno stato all’ altro, cioè la movimentazione fisica
di tali beni.
All’interno degli scambi intracomunitari si distinguono gli acquisti intracomunitari e le cessioni
intracomunitarie non imponibili. I primi seguono lo stesso regime dell’operazioni Iva interna, cioè
possono essere imponibili, non imponibili ed esenti. La cessione intracomunitaria si sostanzia nella
cessione a titolo oneroso di beni eseguita mediante trasporto o spedizione nel territorio di altro stato
membro, effettuato dal cedente o dall’acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari
soggetti di imposta.
Le operazioni esenti.
Queste rientrano nel campo di applicazione dell’Iva, ma non danno luogo all’addebito dell’imposta e non
consentano la detrazione dell’Iva sugli acquisti.
Il regime dell’esenzione favorisce senza dubbio il destinatario dell’operazione esente, ma non sempre il
soggetto che pone in essere l’operazione esente. Comportando, infatti, l’impossibilita’ di detrarre l’Iva
assolta sugli acquisti, il regime dell’esenzione si rileva favorevole anche per il soggetto che pone in essere
le operazione esente solo quando tale soggetto abbia un ammontare un’Iva sugli acquisti molto contenuti
diventa, invece, tanto piu’ sfavorevole quanto piu’ aumenta l’imposta assolta sugli acquisti.
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Per quanto riguarda la riscossione dell’Iva, anch’essa si basa sull’adempimento spontaneo da parte dei
soggetti passivi. Anche la riscossione coattiva dell’Iva avviene in base alla procedura espropriativa
fondata sul ruolo emesso dal concessionario della riscossione.
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