Sei sulla pagina 1di 11

PASSI ODISSEA - ANALISI E COMMENTO

Maestri di verità
Quelli che Detienne chiama “maestri di verità” sono nel mondo omerico gli aedi: depositari
del sapere e della tradizione, incaricati di conservare la conoscenza oralmente, fissarla e
diffonderla; essi sono maestri della parola e della memoria, due concetti inscindibili poiché il
primo è fondato sulla pratica del secondo.
Nella Grecia arcaica ci sono altri due tipi di maestri di parola: l’araldo, che controlla la
dimensione temporale del presente (non serba memoria del passato, ma è maestro di verità
di avvenimenti presenti), e l’indovino, che predice la dimensione temporale del futuro; aedi,
araldi ed indovini sono quindi i tre grandi protagonisti della parola.
L’aedo è un cantore professionista, protagonista della fase orale di composizione dei poemi
omerici, nella quale la materia letteraria prende forma oralmente; gli aedi fondamentali
dell’epica omerica sono due: Femio, aedo che si esibisce ad Itaca anche per i Proci, e
Demodoco, aedo che allieta i banchetti della corte dei Feaci, entrambi cantori attivi
nell’Odissea. L’aedo è però di fatti una figura pressoché assente nell’Iliade: vi si fa
riferimento, ma come personaggio non è presente vista la natura di poema di guerra
dell’Iliade; nell’Odissea, invece, poiché prendono il sopravvento le corti, si affaccia anche la
figura dell’aedo, il cui pubblico consueto è costituito dall’aristocrazia di palazzo, benché egli
possa anche esibirsi all’aperto e rivolgersi ad una comunità più ampia. La figura dell’aedo è
ben definita sin dall’età micenea, in cui ha un ruolo sociale ben riconosciuto e rilevante, che
mantiene anche durante il Medioevo ellenico; egli è un “professionista della parola”, in
greco “demioergos”, “artigiano”, definizione che include anche carpentieri, medici,
falegnami e chiunque altro lavori per il popolo; la parola comprende la nozione
fondamentale del popolo (inteso come gente che abita in un palazzo, originariamente quello
miceneo, beneficiando dell’attività dei “demioergoi”; notevole è che il nome dell’aedo
Demodoco comprenda in sé la radice del termine “demos”, così come il nome del
famosissimo medico di età arcaica (VI secolo a.C.) Democede, originario di Crotone, poi
attivo a Samo e ad Atene e soprattutto in Persia dove guarisce Atossa e Dario e viene
perseguitato dai Persiani (vedi libro III “Storie” di Erodoto al riguardo); questi due nomi sono
solo esemplificativi di una tendenza esistente fin dal XII secolo a.C., limite inferiore estremo
di cui l’epos omerico tiene conto.
Nel XVII canto dell’Odissea sono definiti “demioergoi” il medico, il falegname e l’aedo; nel
XIX “demioergos” è invece epiteto dell’araldo (a proposito di tale figura è certamente utile
ricordare che Solone nell’ “Elegia per Salamina” riportata da Plutarco si autodefinisce
araldo); questo avviene perché le figure dell’araldo e dell’aedo sono molto vicine; una
differenza chiave fra aedo e araldo è la libertà narrativa di cui l’aedo gode parlando del
passato, visto che egli non è tenuto come l’araldo a parlare di fatti, ma è guidato dalla Musa
che lo spinge a parlare dell’argomento e a sviluppare la trama liberamente, ampliando o
riducendo sezioni narrative, dando una sorte variabile ai personaggi pur rimanendo nel
solco narrativo e imprimendo la propria personalità nel racconto che non segue argini
predefiniti; in questo, l’aedo è molto simile all’indovino, e infatti viene considerato una
figura divina in quanto ispirato dalla Musa (aggettivi classici per l’aedo sono “terios”,
“ispirato”, e “thespis”, “divino”), proprio come l’indovino viene ispirato dal dio a cui si
rivolge; non è un caso infatti che Demodoco sia cieco, come solitamente è il “prophetes” che
attraverso tale tratto entra in comunicazione diretta con una dimensione oltre-mondana;
tale è la specificità dell’aedo tanto rispetto all’araldo quanto rispetto all’indovino: laddove
l’araldo è vincolato dai fatti presenti e l’indovino è passivamente “sottomesso” alla guida
della divinità che lo ispira, l’aedo è libero di creare ispirato dalla divinità.
A partire dalla fine del VII secolo a.C. e nel VI secolo a.C. il maestro della parola diventa il
“sophos”, “sapiente”, figura inesistente prima di allora; tale figura conserva la capacità di
creare dell’aedo differenziandosene con la declinazione pratica di essa; nel V secolo a.C. ci
sono solo i primi “sophoi”, uomini d’azione interessati al benessere della polis, cioè i celebri
Sette Saggi (o Sette Sapienti): Platone è il primo a farne un elenco. A seconda delle tradizioni
le figure presenti in esso cambiano, ma quattro personaggi che vi compaiono sempre sono
Biante, Pittaco, Solone e Talete; tutte queste figure sono maestri di parola, ma anche poeti,
che scrivono liberamente e creano opere pur essendo politicamente impegnati: Talete sarà
noto anche come filosofo, ma è un uomo attivo politicamente al pari di Pittaco.

Analisi e commento: XVII, vv.374-395


Antefatto: Odisseo e Telemaco si sono riconosciuti nel XVI canto; il principio del XVII
coincide con l’inizio della giornata; Telemaco rientra a palazzo ed incontra la nutrice Ericlea
e la madre Penelope da cui viene accolto dopo una lunga assenza; verso mezzogiorno
Odisseo e il fido porcaro Eumeo si avviano verso la città, alle porte della quale incontrano il
capraio Melanzio, servitore di Odisseo vendutosi ai Proci insieme al resto della servitù
maschile e alle ancelle, che hanno anche offerto i propri favori sessuali ai Proci; Melanzio
durante il cammino insulta Odisseo e lo picchia, con aggressività e tracotanza, ignaro di chi si
cela sotto quelle mentite spoglie di mendico; giunti nella reggia Odisseo ed Eumeo ascoltano
il canto di Femio, professionista operante ormai al servizio dei Proci che verrà risparmiato
solo in quanto figura divina; Argo sentendo e riconoscendo il padrone Odisseo anche sotto il
suo travestimento, muore, dopo essere stato lasciato dai Proci nel letame per anni; Odisseo
mangia il cibo offertogli dal figlio Telemaco, che fingendo di non riconoscere il mendico gli
lancia gli avanzi; alla richiesta di altro cibo da parte di Odisseo interviene Melanzio che si
chiede chi sia il mendico e da dove venga, suggerendo che Eumeo, essendone
l’accompagnatore, possa sapere chi egli sia e cosa voglia.
(v.374) “os ephat’” è riferito a Melanzio; “neikesse” presenta come particolarità la
mancanza dell’aumento nell’aoristo ed il doppio sigma per l’aoristo sigmatico al posto del
sigma semplice originario, cosa che può avvenire anche per quanto riguarda il futuro
semplice; “syboten” è accusativo di “sybota”; (v.375) “tie” è qui parola parossitona, laddove
in attico è parola ossitona; “polinde” è una forma organica dall’antica desinenza
indoeuropea che esprime il moto a luogo; (v.376) “egages” è una seconda persona singolare
dell’aoristo II del verbo “ago” con la particolarità di non avere solo un raddoppiamento
attico ma anche un allungamento, al pari di “enenkon”, entrambe forme prettamente
attiche che si ritrovano insieme alle forme di raddoppiamento del perfetto attico; “emin” è
forma che si trova in competizione con “ammin”; (v.377) “anieroi” muta l’alpha lungo
originario in eta piuttosto che in alpha; (v.378) “onosai” è seconda persona del presente
medio-passivo di “onomai”, forma epico-ionica che non ha l’esito attico di “onei”
(“onesai”>”oneai”>”onei” con allungamento dell’epsilon per II legge contrazione), poiché
qui viene percepito come verbo atematico (al pari di “philemi”); “toi” è un articolo che
comincia per tau piuttosto che per vocale, cosa che nella lingua omerica è ammessa;
“katedousin” è futuro di “katedomai”, composto di “edomai” che è affine semanticamente a
“esthio” (nato dal processo edthio>esthio per assibilazione) ed era anticamente un
congiuntivo desiderativo con vocale breve, passato poi a indicare esclusivamente il futuro
del verbo “esthio”; “anaktos” era originariamente “DGanaktos”; (v.379) “ageiromenoi” è
participio di “ageiro”, verbo che presenta raddoppiamento attico (presente: ager*o>agerj*o
per formazione presente>agerio>ageiro per metatesi; perfetto mediopassivo:
ag+ag>eg+ermai; futuro: agesero>ageero>agero con contrazione, non è sigmatico poiché il
suo tema termina in liquida/nasale ed è quindi contratto; aoristo: agersa>agera>ageira per
allungamento di compenso>egeira per aumento temporale); “ekalessas” è forma con
aumento ma con doppio sigma di “ekalesas”, usato per ragioni metriche; questi cinque versi
sono molto ricchi e densi di espedienti retorici oltre che metrici, come l’assonanza insistente
sulle dentali nel v.375, l’assonanza insistente sulle eta del v.376, la grande presenza di
liquide, l’iperbole del v.377 e il tono fortemente sarcastico che restituisce l’immagine di un
pretendente particolarmente arrogante che se la prende perfino con un umile porcaro;
(v.380) il vocativo accompagnato alla seconda persona singolare segnala vicinanza emotiva
dell’aedo al porcaro; “prosephes” è forma ignota, a differenza di “ephesta”, seconda
persona dell’imperfetto di “phemi”; è significativa perché in essa non si trova l’uscita tipica
dei verbi atematici ma quella propria dei verbi tematici (con il solo sigma, desinenza della
seconda persona singolare dell’imperfetto dei verbi tematici) utilizzata qui per un verbo
atematico; qui la desinenza sarebbe dovuta essere “sta”, e invece si trova una forma ionico-
epica, che segnala una forte contiguità tra le due coniugazioni e l’ampia libertà con cui
Omero utilizza le desinenze a sua disposizione (la lingua omerica è una lingua molto meno
cristallizzata della lingua attica); (v.381) “eon” è il participio non contratto di “eimi”
(eson>eon, in attico anche >on) usato in questa forma probabilmente per esigenze
metriche; (v.382) interrogativa diretta introdotta da “tis”; “xeinon” è forma ionico-epica per
“xenon”, preferita qui per la prima sillaba lunga; “kalei” è forma contratta che presenta
l’accento circonflesso, dimostra l’esistenza del fenomeno della contrazione in Omero; il
verbo ha radice bisillabica, originariamente il tema era kalSCH risultato nei temi “kale” e
“kle”; le due sillabe della radice bisillabica sono interesate rispettivamente da apofonia
qualitativa e apofonia quantitativa (da alpha a eta in vocalizzazione dello schwa nella prima
o seconda vocale); dal tema “kle” deriva il perfetto “kekleka”; “allothen” è composto di
“allos” e “then”, un antico suffisso di caso indoeuropeo esprimente l’idea del moto da luogo;
“epelthon” è un aoristo II derivato dal tema verbale “elth”, semanticamente affine al tema
verbale “erch”, che esprime un’apofonia qualitativa (triplice alternanza apofonica fra i tre
temi)-> futuro è “eleythsomai” (grado forte), perfetto è “elelytha” (grado medio con
raddoppiamento attico); (v.383) “demioergoi” è forma non contratta dell’attico
“demiourgoi”; “easi” è forma omerica di “eisi(n)” (derivato da senti>enti>ensi>esi per
caduta nasale accostata a sibilante>eisi per allungamento di compenso), uscita di terza
persona plurale del tempo presente dei verbi atematici/del tempo perfetto, usata per scopi
metrici; (v.384) “ietera” è una forma alternativa dello “iater” attico, dove l’alpha lungo è
divenuto eta (succede infatti anche in principio di parola); “douron” ha un modello di
flessione diverso da quello attico, dove il “doraton” attico di terza declinazione è qua
sostituito da una desinenza di seconda declinazione; la vocale breve in prima sillaba è
rimpiazzata dal dittongo ou per ragioni metriche; (v.385) “thespin” è aggettivo di II classe in
accusativo per via dell’elenco in cui si inserisce, totalmente in accusativo; “o” qui è usato
come pronome relativo; “ken” è forma epica di “an”; “terpesin” è congiuntivo che rende
idea di possibilità (sfumatura eventuale) con un’uscita alternativa rispetto all’attico “terpe”;
“aeidon” è forma non contratta di “adon” (alpha lungo con iota sottoscritto prevale per
legge contrazione); (v.386) la frase qui è ellittica del verbo principale “eimi”; (v.387) “kaleoi”
è ottativo non contratto di “kaleo”; “tryxonta” è participio futuro con funzione attributiva;
“e” è forma prettamente attica alternativa ad “autos”, è un accusativo del pronome
personale; la forma epica corrispondente è “ee” o “min” (forme alternative del pronome
personale di terza persona singolare); (v.388) “aiei” presenta una sillaba lunga per esigenze
metriche (dovrebbe essere aei); “eis” è una forma poco comune, anche in Omero, che
corrisponde all’attico “ei”; (v.389) “Odysseos” sostantivo di terza declinazione in dittongo o
“eu” a cui manca la metatesi quantitativa che in attico sarebbe risultata nello scambio di
quantità delle ultime due vocali; “peri” qui ha sintatticamente il significato di “con me”,
diverso dal “peri” del verso precedente che ha funzione partitiva; (v.390) “heos” è forma
alternativa della congiunzione temporale attica “eos” (manca quindi la metatesi
quantitativa, come in “Odysseos”; (v.392) “ton” è articolo usato come pronome
determinativo; “pepnymenos” è participio perfetto mediopassivo di “pneo” traducibile
come un avverbio (l’associazione mentale fra il respirare e l’essere saggi passa per il
significato secondario di “essere coscienti, vivi”; “pneo” in realtà deriva da “pneDGo”, dove
DG cade per posizione intervocalica, il che significa che il suo tema è interessato da apofonia
qualitativa, risultante nel futuro “pneusomai”, nell’aoristo I sigmatico “epneusa”, nel
perfetto attivo “pepneuka” e nel perfetto mediopassivo “pepnymai”; inoltre “pneo”
presenta il futuro dorico “pneusoumai” dato da “pneuseomai” poi contratto; “antion” è qui
utilizzato con valore avverbiale in connessione con “heuda”, imperfetto contratto di
“eudao”; un processo simile interessa il perfetto di “lambano” (che parte dal tema verbale
“lab” e aggiunge l’infisso del presente ni che viene poi assimilato a beta e muta in mi),
“eilepha”, derivante da sesleba>eleba>eileba per allungamento di compenso della caduta
delle sibilanti>eilepha per aspirazione comune in perfetto II non cappatico; (v.393) “moi” è
inserito per ragioni metriche, è un dativo etico; “touton” è accusativo retto da “ameibeo” e
indica la persona a cui si rivolge la risposta; “ameibeo” è seconda persona singolare
imperativo di “ameibo” regge accusativo della persona ricompensata e dativo dell’oggetto
con cui la si ricompensa; “epeessin” è un dativo con geminazione del sigma non contratto (in
concorrenza con “epesin” ed “epessin”, altre due possibili uscite del dativo di terza in lingua
omerica; (v.394) “eiothe” è un perfetto forte II riconducibile ad “etho”, verbo di cui sono
attestate solo queste due forme; esso aveva sigma/DG/sigma+DG nel tema verbale, quindi
sesDGotha>eDGotha con aspirazione della vocale>eiotha con allungamento di compenso
per la caduta di DG e, per legge di Grassmann, senza la prima aspirazione (=da spirito aspro
a spirito dolce); “erethizemen” è un infinito tipicamente omerico (finisce in “men”); (v.395)
“chalepoisin” è aggettivo di I classe e usa la terminazione in ni (opzionale del dativo plurale
dei sostantivi di II declinazione) per scopi metrici.

Analisi e commento: XIX, vv.123-163


Antefatto: Odisseo e Telemaco hanno rimosso dalla grande sala del Palazzo le armi e le
hanno portate nella grande sala da letto per poi cogliere di sorpresa i pretendenti; Penelope
scende dal piano superiore della casa al piano terra e vede l’ancella Melanto (come
Melanzio, il cui nome non a caso è simile, prima di lei) insultare nuovamente Odisseo,
travestito ancora da mendico; Penelope la rimprovera aspramente, poi ordina alla
dispensiera Eurilome di portare uno sgabello comodo per far sedere il mendico; avviene
dunque il primo colloquio in vent’anni tra moglie e marito, in cui Penelope chiede ad
Odisseo quale sia la sua origine (domanda affine a quella posta da Melanzio in precedenza),
ma questi si rifiuta di risponderle nascondendosi dietro l’alibi di un’antica ferita nel passato
della sua stirpe che lo fa soffrire; Penelope si riaggancia quindi al primo dei due argomenti
sollevati da Odisseo, che si era soffermato sulla bellezza e sulla grazia di lei, rifiutandosi di
entrare nel merito della domanda nella seconda parte.
Dal momento in cui Odisseo ritorna ad Itaca, grande importanza viene data alle figure servili
come Euriclea, la balia da latte di Odisseo e di Telemaco che alla fine del poema divide la
servitù fra servi fedeli e servi infedeli, ed Eumeo, il fido porcaro; fra i servi, le donne
vendutesi al nemico subiscono la punizione peggiore, e i loro cadaveri vengono poi esibiti
come monito poiché per loro vendersi ha significato “concedere i propri favori sessuali”,
vendendo quindi il proprio corpo.
Quelli definiti da Eumeo girovaghi nel XVII libro sono professionisti (carpentieri, medici,
indovini, aedi) che transitano fra le città e sono ben accolti; queste categorie (con l’aggiunta
dell’araldo, appaiato all’aedo e definito “demioergos” nel XIX libro dell’ “Odissea”) hanno in
comune fra loro delle caratteristiche: poeti e carpentieri, per quanto distanti
concretamente, a livello metaforico sono sovente equiparati nella letteratura greca (vedi III
Nemea e III Pitica di Pindaro, che insiste sulla metafora dei poeti come “costruttori di canti”
e dei versi come “costruzioni di carpentieri” - “tekton”, termine presente anche nel XVII
libro dell’ “Odissea”); poeti e medici sono accomunati dalla loro arte terapeutica, gli uni per
l’anima e gli altri per il corpo, altra metafora ampliamente attestata nella letteratura greca;
poeti, aedi ed indovini hanno in comune il contatto con la divinità, con la trance mistica (o
mantica=predittiva) dell’indovino che presenta forti somiglianze con l’ispirazione poetica (e
non è del resto un caso che la parola latina “vates” indichi sia l’indovino sia il poeta; le varie
professioni, sebbene siano autonome, compongono un complesso solidale e in qualche
modo armonico; la menzione dell’aedo per ultimo nel XVII libro è una maniera implicita di
affermare che l’aedo riassume in sé le caratteristiche e le peculiarità di tutte le altre figure
professionali.
(v.123) “emeibeto” regge accusativo della persona cui è rivolto; (v.124) “xein” è forma
omerica per “xen”; “demas” condensa in un termine l’idea per cui, senza virtù, bellezza e
figura vengono meno, ed è una forma difettiva che presenta solo casi diretti (accusativo e
nominativo); (v.125) “olesan” è aoristo I sigmatico di “ollymi”, dalla radice bisillabica (con
schwa) che dà esito ai temi “ol” (“olomen” - aoristo II, “olola” - perfetto II non cappatico) e
“ole” (“oleso” - futuro, “olesa” - aoristo I sigmatico, “ololeka” - perfetto I); “eisanebainon” è
imperfetto (reso col passato remoto) da “baino”, che parte da tema “ba” o “be” con
l’aggiunta dello j al presente, risultato in una vocalizzazione in iota e una metatesi con il ni
(banjo>banio>baino); (v.126) “toisi” viene usato comunemente in lingua omerica al posto di
“tois”; “heen” è ottativo da “eimi” alternativo a “hen” al pari di “een” e “ehen”; (v.127)
inizia qui un periodo ipotetico con l’ottativo “amphipoleuoi”; “keinos” è una forma
alternativa di “ekeinos”, usata per ragioni metriche; (v.128) “meizon” è comparativo di
“megas” formato da megjon>mezon>meizon per analogia con altri comparativi diffusi
terminanti in “eizon”; “kleos” è neutro; “kallion” presenta due lambda perché la radice di
“kalos” è “kall” anche se il tema di “kalos” è “kal”; (v.129) “epesseuen” deriva da “episeuo”
con un sigma geminato per causare l’allungamento di posizione nella vocale precedente
(ragioni metriche); i versi fin qui sono formulari e ripresi per intero da un dialogo di
Penelope con Eurimaco nel canto XVIII, ma qui risultano molto più drammatici perché rivolti
direttamente ad Odisseo; (v.130) “ossoi” è forma alternativa (geminata) di “osoi” per ragioni
metriche, serve l’allungamento di posizione dell’omega iniziale; (v.133) “aekazomen” forma
tipicamente omerica per l’ “akon” ionico-attico; “mnontai” è forma contratta, meno
frequente delle forme non contratte in Omero; man mano che Penelope rinvia le nozzei
Proci dissipano le risorse del palazzo, cosa che causa un conflitto fra Penelope e Telemaco
perché quest’ultimo l’eredità che gli spetta dissiparsi lentamente, ma non manda via la
madre per affetto; (v.134) “to” qui non ha uno iota sottoscritto pur essendo forma
avverbiale derivante dal dativo dell’articolo perché è varia lectio; dicendo che non dà retta
agli “xeinon” Penelope dà un chiaro segnale al proprio interlocutore; (v.136) “Odyse” è
forma contratta scelta per ragioni metriche; “potheousa” è participio ma viene tradotto
come un sostantivo per una resa migliore e per evitare di tradurre il pleonastico “philon”;
“katatekomai” presenta un tema caratterizzato da apofonia quantitativa “tak” (“etaken” -
aoristo passivo)/“tek” (“teteka” - perfetto forte non cappatico, “etexa” - aoristo); (v.137)
“de” è una forte avversativa; “tolypeuo” è metafora densa di significato, per la valenza
concreta incredibilmente calzante con la valenza metaforica; il plurale “dolous” (al posto di
“dolon” trovato altrove, che mantiene comunque la medesima lunghezza metrica per la
vicinanza con il tau di “tolypeuo”) indica anche la presenza di ulteriori inganni (vedi canto
XVIII); questa quindicina di versi si ritrova identica nel II canto, in cui viene descritto per la
prima volta l’inganno della tela, e la ripetizione crea empatia fra aedo e spettatore; (v.138)
“phresi” è retto dal preverbo “en” in “enepneuse”; (v.139) “stesamene” deriva da “istemi”,
verbo atematico con raddoppiamento nel presente interessato da apofonia quantitativa
“sta”/”ste”; “megaroisin” ha uscita tipicamente omerica (in luogo di “megarois” attico);
“yphainein” presenta il tema verbale “yphan” che al presente diventa “yphaino” (da
yphanjo>yphanio con vocalizzazione in iota>yphaino per metatesi), al futuro diventa
“yphano” (contratto), all’aoristo asigmatico diventa “yphena” (da yphansa>yphana>yphena
per allungamento di compenso dell’alpha), al perfetto diventa “yphanka” (con il ni davanti al
kappa che diventa gamma nasale); (v.140) “meteeipon” è aoristo II raddoppiato (derivato da
eDGeDGpon>eepon>eipon per contrazione fra le due epsilon) politematico (“leg”, “agoreu”,
“DGep”, “DGop”, “DGp” - apofonia qualitativa); la forma qui presente in particolare è
distratta (cioè ha una vocale lunga esito di contrazione preceduta da vocale breve dello
stesso colore); (v.141) qui c’è una causale che indica l’inizio dell’inganno di Penelope, che
cerca di risultare più convincente; (v.143) “ekteleso” è un congiuntivo aoristo con vocale
breve retto da “ke” (se non ci fosse, si potrebbe ipotizzare che sia un futuro),
sintatticamente simmetrico al successivo “kathelesi” nella sua sfumatura eventuale;
“metamonia” è un predicativo del soggetto traducibile con un’espressione avverbiale;
probabilmente in realtà in origine era “metanemonia” (come sostengono anche grammatici
antichi); “oletai” è congiuntivo aoristo II di “ollymi”; (v.144, 145) “min kathelesi” è struttura
sintattica perfettamente simmetrica ad “eis o ke” (v.142); (v.145) “kathelesi” è congiuntivo
aoristo II da “kathaireo”, con la desinenza propria della coniugazione atematica “si” insieme
alla vocale tematica eta+iota sottoscritto->forma eccentrica; “aireo” presenta i temi verbali
“aire” e “DGel”, risultanti nei futuri concorrenti “aireso” e “elo”; il secondo tema risulta
nell’indicativo aoristo “eilon”; (v.146) “Achaiiadon” è forma geminata (doppio iota) omerica;
“nemesese” è congiuntivo aoristo I sigmatico da “nemesesao”, retto dal “me” che introduce
la finale negativa e regge anche il precedente “oletai”, e infatti i due congiuntivi sono
sintatticamente sullo stesso piano; (v.147) “ai” è forma epico-eolica per lo “ei” attico;
“kteatissas” è participio aoristo I da “kteatizo” con sigma geminato per ragioni metriche (lo
iota viene allungato per posizione); “(v.148) “epepeitheto” è indicativo imperfetto da
“empeitho”, verbo con triplice alternanza apofonica qualitativa “pith” (“epithon” - aoristo
II), “peith” (“epeisa” - aoristo I, “pepeika” - perfetto debole), “poith” (“pepoitha - perfetto
forte); (v.149) “ematie” è un aggettivo che va reso con un’espressione avverbiale;
“yphaineskon” presenta ampliamento iterativo all’imperfetto in “sk” invece della forma base
“yphainon”; (v.150) “allyeskon” presenta un analogo ampliamento iterativo in “sk” e
un’assimilazione determinata dall’assenza dell’aumento (anlyon>allyon>allyeskon); (v.153)
“menon phthinonton” è genitivo assoluto; “epen” è una contrazione di “epei an”;
“paratheimen” è ottativo aoristo medio da “paratithemi” retto da “epen”, rende l’idea
dell’iterazione con una sfumatura eventuale; (v.151) “trietes” è un aggettivo, ma al neutro in
“es” ha valore avverbiale; “elethon” è imperfetto da “letho”, una forma alternativa di
“lanthano” senza gli infissi propri del presente “ni” e “an” (il tema base è quindi
“lath”/”leth” con apofonia quantitativa); (v.152) “tetraton” è così per metatesi da
“tertaton”; la presenza in questi due versi di due forme diverse dello stesso verbo e dello
stesso tempo (“elthen” dal grado 0 “elth” ed “epelython” dal grado medio “elyth”) dimostra
non solo la concorrenza di forme in Omero per ragioni puramente metriche, ma anche la
stratificazione della lingua omerica; (v.153) “peri” ha valore avverbiale proprio e non è un
preverbo di “etelesthe” (caratteristica tipica della lingua omerica, la tmesi è rara);
“etelesthe” è aoristo passivo da “teleo”; (v.154) “alegousas” è participio di “alego”; (v.155)
“omoklesan” è aoristo I sigmatico da “omoklao” in cui è assente l’aumento; “epeessin” è
dativo che presenta geminazione del sigma; (v.157) “ekphugeein” è aoristo II di “ekpheugo”
in forma distratta (dovrebbe essere “ekphugein”, dal grado zero del tema “phug”/”pheug”)
con la particolarità della vocale di colore diverso (ekphugeein>ekphugein è il processo
normale, qui la iota breve premessa a vocale lunga frutto di contrazione con l’aggiunta di
altra epsilon prima di dittongo risulta in distrazione); (v.158) “metin” indica l’ingegno come
anche la mente ingegnosa; “eurisko” ha tema verbale “eur(e)”, che risulta in forme come
“euron” (aoristo II senza ampliamento) ed “eureka” (perfetto con allungamento in eta);
“tokees” è una forma epica alternativa alla forma attica “tokeis”, dovuta a un mancato
abbreviamento in iato e alla conseguente mancata contrazione di due epsilon consecutive
(tokeDGes è la forma originaria da cui cadeva il DG); (v.159) “gemasth’ ” è infinito aoristo
mediopassivo asigmatico di “gameo”, forma elisa di “gemasthai” impossibile in attico; il
verbo presenta aoristo asigmatico solo perché il sigma è caduto e ha determinato
allungamento di compenso dell’epsilon (egamsa>egama>egema); il tema è come quello di
“eurisko”, cioè ha una epsilon opzionale (“gam(e)”) che risulta nel futuro “gameso”;
“aschalaa” regge “katedonton” ed è forma distratta di “aschala” (aschalaei>aschalai>aschala
con iota sottoscritto)->esempio della frequente distrazione dei verbi in “ao”; “pais” non
presenta dittongo perché originariamente c’era un DG; (v.160) “gignoskon” è participio
congiunto riferito a “pais”; (v.161) “oikou kedesthai” con infinito è costruzione peculiare,
non troppo diffusa; il verbo ha in sé sfumatura consecutiva, l’infinito regge il genitivo;
“opazei” deriva da “opazo”, che ha tema verbale “pad”, che diventa “paz” grazie all’aggiunta
dello j dopo il delta (motivo per cui il futuro è “opaso”, non “opaxo”; (v.162) “teon” è usato
al posto dell’attico “son”; “oppothen” è variante omerica dell’ “opothen” attico; “essi” è
forma originaria di “ei” che presenta la desinenza “si” unita al tema verbale “es” di “eimi;
(v.163) Penelope qui si riferisce all’antica credenza per cui la razza umana sia nata da pietre,
alberi o piante, di cui si trovano tracce nella letteratura greca; l’ironia garbata di Penelope
intende sollecitare una risposta alla propria domanda da Odisseo.

Analisi e commento: I, vv.150-155


La scena presentata è il principio dell’Odissea ad Itaca, presso la corte ormai priva del suo
re, dove i pretendenti desiderano bere e mangiare; in questo passo si trova l’abbinamento
con l’araldo che però qui è solo colui che passa la cetra all’aedo.
(v.154) il dativo qui è avverbiale; (v.155) “phormizon” è participio congiunto, non
sostantivato; “aneballeto” è imperfetto di “anaballo”, in cui “ballo” ha radice bisillabica
“balSCHWA”, risultante in “bal(e)” (“ebalon” - aoristo) o “ble” (“bebleka” - perfetto) con
apofonia qualitativa in prima sillaba e apofonia quantitativa epsilon>eta in seconda sillaba; il
lambda sonante vicino al beta può risultare in “al” o “la”.

Analisi e commento: I, vv.325-359


(v.326) “eiat’ “ sta per “eiato”, che deriva da “eiamen”, il cui tema è “(s)eDGa”; è un verbo
con aumento in “ei”; si tratta di una terza persona plurale di “eimi” con spirito aspro invece
del consueto spirito dolce perché tale forma deriva da ”hemai”, che ha spirito aspro;
dovrebbe essere in realtà ”hento”; è forma epico-omerica dell’imperfetto di “eimi” e di
“hemai”, ma lo spirito aspro lo identifica come terza persona dell’imperfetto di “hemai”
(forma epica di “hento” o “heato”); “akouontes” ha tema “akoDG”-> vocalizzazione del DG
in “ou” dà esito ad “akou”, tranne che nel perfetto forte con raddoppiamento attico
“akekoa” dove il DG intervocalico (akekoDGa) cade; (v.330) “katebeseto” deriva da
“katabaino” con alternanza apofonica quantitativa e, nel presente, ni e j (banj>bani con
vocalizzazione j in iota>bain con metatesi); qui “domoio” è “casa”, considerato che
“camera” non avrebbe senso; (v.331) “eponto” è forma omerica senza aumento, che qui
dovrebbe essere stato in “ei” a causa del tema “sep”/”sp” (apofonia qualitativa); il processo
è di norma sep>ep>eip; (v.332) “aphiketo” deriva da “aphikneomai” di cui rimane il tema
“ik”; (v.333) “pyka” è un avverbio; (v.334) “kredemna” è un plurale poetico da tradursi al
singolare che indica un mantello che le donne utilizzano su capo e guance; veniva usato
perché le donne all’epoca non potevano mostrarsi alle proprie famiglie senza indossare il
velo; due ancelle le fanno da scorta e garanti della sua pudicizia, e quasi la proteggono come
lo scialle; lo stesso tipo di entrata fa Elena nell’Iliade, mostrandosi completamente velata e
accompagnata da due ancelle; (v.335) “oi” è forma anche attica alternativa ad “aute”;
“pareste” deriva da “paristemi”, con tema verbale “sta”/”ste”, senza aoristo cappatico in
quanto esso sarebbe indistinguibile dal perfetto; (v.336) Penelope si presenta piangendo
(”dakrysasa”); (v.339) “en” ha concordanza con “ergon”; (v.340) “pinonton” deriva da “pino”
il cui tema verbale è “pi” (“piomai” - futuro, “epion” - aoristo)/”po” (“pepoka” - perfetto)
(non è né apofonia qualitativa né apofonia quantitativa); (v.341) si insiste sulla natura
luttuosa del canto; “philon” non va tradotto; (v.343) “memnemene”, derivante da
“mimnesko”, ha un complemento oggetto sottinteso; presenta infisso “sk” e
raddoppiamento nel tema del presente (ovvero ripetizione della prima consonante del tema
verbale con l’aggiunta di iota), mentre qui nel perfetto presenta raddoppiamento della
prima consonante del tema verbale con l’aggiunta di epsilon; (v.344) “eyru” è concordato al
neutro con “kleos”; “meson” è neutro perché “Argos” è neutro; (v.346) “phthoneeis” è
forma distratta di “phthoneo”, costruito tipicamente con accusativo e infinito; (v.347)
“oppe” è forma alternativa e geminata per “ope”; (v.348) “didosin” sottintende “sorte” o
“destino; (v.349) “ethelesin” è forma omerica con desinenza tipica “si”; (v.352) “tis” è forma
alternativa di “etis”, forma femminile di “ostis”; “akouontessi” è participio presente
sostantivato da “akouo”, che presenta la particolarità linguistica del dettato omerico
risultando in questa forma (akouont+essi) invece che nell’ “akouousi” attico (che giunge a
tale forma da akouontsi>akouonsi>akouousi per allungamento di compenso sulla caduta del
ni); “amphipeletai” è congiuntivo da “amphipelomai”; (v.354) “apolese” è aoristo I sigmatico
da “ollymi” con aumento; (v.355) “olonto” è aoristo II da “ollymi” senza aumento; fra gli altri
che non tornano mai da Troia nome importante è Aiace Oileo, che annega nel mare in
tempesta per la propria tracotanza; (v.356) “iousa” è participio di “iemi”; l’affermazione di
Telemaco, che è oramai approdato all’età adulta e prende il controllo della casa
rivendicando il proprio spazio, è molto severa e maschilista; il concetto qui presente è
mutuato dal canto VI dell’ “Iliade” in cui Ettore ribatte ad Andromaca che della guerra si
occuperanno gli uomini, dopo che ella chiede al marito di non combattere in prima fila e di
tenere una strategia difensiva (l’unico cambiamento nella frase è “polemos” invece di
“mythos”; di questo passo e del corrispondente passo dell’ “Iliade” si trova una parodia
nella “Lisistrata” di Aristofane, dove la protagonista afferma che “la guerra è roba da
donne”, con un chiaro rimando; (v.358) “andressi” è forma alternativa per “andrasi”.
L’aedo sceglie di parlare dei ritorni degli eroi da Troia perché tale parte dell’ampio
repertorio di cui Femio dispone incontra i gusti del suo pubblico, cioè dei pretendenti che
sperano che Odisseo non faccia ritorno (i ritorni di cui parla Femio sono dopotutto luttuosi,
come quello di Agamennone a cui l’aedo fa riferimento con ogni probabilità); questi versi
sono una testimonianza dell’ampia scelta all’interno del repertorio degli aedi; cantori ed
aedi possono anche scegliere di parlare del mondo divino e non umano (vedi II canto
“Odissea”, Demodoco), ma Femio decide di parlare di un argomento di guerra e di stretta
attualità, perché come dice Telemaco, agli uomini piace il canto più nuovo, che qui può
significare l’ultimo ascoltato, come quello che concerne avvenimenti recenti e più vicini
cronologicamente a chi ascolta, o forse quello più originale (anche se quest’ultima ipotesi è
difficile vista la caratteristica formularità del canto epico); l’aedo è del resto “autodidaktos”
(“hapax legomenon” dei poemi omerici, introvabile nel resto di “Iliade” ed “Odissea”), come
dice Femio stesso nella propria autodifesa di fronte ad Odisseo nel canto XXII, vale a dire
“autodidatta”, “avente la libertà di scegliere temi diversi nel vasto patrimonio che conosce”,
per adattare il canto alle esigenze del pubblico->i canti sono sempre nuovi nel senso che
sono appropriati al momento contingente.

Analisi e commento: XXII, vv.330-360


(v.330); “alyskane” è imperfetto da “alyskano”; “melainan” è aggettivo di II classe in nasale
con tema “melan” (al nominativo maschile è melans>melas con allungamento di compenso
dell’alpha, al neutro è melanja>melania per vocalizzazione in iota dello j>melaina per
metatesi); (v.332) “este” è aoristo III da “istemi”; ”cheiressin” presenta geminazione del
sigma; (v.333) “orsothyren” fa riferimento a una porta con uno stipite particolarmente
importante e che si trovava solitamente vicino alle scale; “mermerizen” è imperfetto da
“mermerizo” senza aumento; (v.334) “ekdys” è participio aoristo III da “ekdyo”, regge il
genitivo tramite il preverbo “ek”; “megaroio megalou” mostra la giustapposizione di due
forme alternative di uscite del genitivo; “poti” è forma omerica di “pros”; (v.335) “izoito” è
ottativo presente da “izo”; “tetygmenon” deriva da “teycho” con tema “teych”/”tych”
(quest’ultimo è usato per la costruzione di questo participio); (v.336) “meri’ ” sta per
“meria”, ovvero la coscia, una delle parti più nobili e ambite del sacrificio; “ekean” è aoristo
da “kaio” con tema “kau” (“ekausa” - aoristo)/”kaDG” (da cui deriva invece questo aoristo
documentato anche in attico: ekaDGsa>ekasa>ekaa>ekea); (v.337) “gounon” è forma
tipicamente omerica, controparte dell’attico “gonaton” (vedi anche “douroon”/”doraton”);
“lissoito” è ottativo da tradursi con infinito, regge accusativo o genitivo della parte del corpo
toccata nella supplica; (v.338) ”doassato” è aoristo isolato privo di aumento solitamente
associato a “deatai” (non è noto se fra le due forme esista una precisa continuità); “kerdion”
è un comparativo derivante dal sostantivo “kerdos” invece che da un aggettivo, e questo
tipo di comparativo non è affatto isolato ma ben attestato; (v.339) “apsasthai” deriva da
“apto” e regge il genitivo; (v.341) “messegys” regge il genitivo; (v.342) “prosaixas” presenta
un doppio sigma per via dell’incontro di kappa/gamme/chi e j (in particolare gamma e j
risultano in zeta); “labe” non presenta aumento; “gounon” deriva da “gounoumai”; (v.344)
“m’aideo kai m’eleeson” è espressione rivolta nell’ “Iliade” da Ecuba al figlio Ettore
contenente due diverse sfumature di significato, quella del rispetto per la vita che la madre
aveva dato ad Ettore e quella della pietà per una figura in una posizione inferiore e
subordinata; in questo caso Femio chiede rispetto in quanto figura divina e pietà in quanto
uomo; (v.345) “essetai” presentava originariamente un sigma, non è una semplice
geminazione questa; (v.346) “pephnes” è una forma isolata presente solo in questo punto;
viene sottinteso un complemento oggetto per via della successiva prima persona singolare
in “aeido”; (v.347, 348, 349) captatio benevolentiae di Femio nei confronti di Odisseo;
(v.347) “autodidaktos” è un hapax legomenon che indica capacità e libertà di pescare temi
che si legano alle esigenze più varie dell’uditorio; (v.348) “eoika” è un perfetto isolato
derivante dall forma DGeDGoika (che presenta solo il perfetto, senza presente); (v.352)
“poleumen” è forma ionica senza aumento derivante da “poleumai”, in attico “poleomai”;
(v.355) “eonta” è forma omerica per l’attico “onta”; (v.357) “saosomen” è congiuntivo
aoristo senza allungamento e senza caratteristica modale omega/eta (da non confondere
con il futuro).

Potrebbero piacerti anche