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Etica Nicomachea

Aristotele

LIBRO Α

[Introduzione]

- Cos’è il bene? «…il bene e “ciò cui ogni cosa tende”». «E poiché molte sono le azioni, le arti
e le scienze, molti sono anche i fini» (1094a). Per tanto, c’è un’identità fra bene e fine. Il
bene ha ragione di fine
- Inoltre, ci sono tipi di fini:
o Le attività stesse
o Le opere – i risultati – delle attività. In questo caso, l’attività è inferiore rispetto
all’opera
- Poi, c’è un rapporto tra i fini:
o Ci sono delle attività subordinate ad attività diverse
o «…i fini delle attività architettoniche sono da anteporsi a quelli delle subordinate: i
beni di queste ultime infatti sono perseguitati in vista di quei primi»

- Allora, per evitare l’assurdo all’infinito, è evidente che ci sarà un bene supremo che
vogliamo per se stesso, in vista di cui scegliamo ogni cosa
- Quindi, non c’è l’Idea del Bene, un unico Bene; ma diversi beni e, fra essi, uno supremo,
architettonico.
- Poi, essendo il bene architettonico, appartiene alla scienza – attività – architettonica, e
cioè, la politica. In quanto che essa sistema tutte le altre; si cerve delle altre scienze che le
stanno subordinate. Così, il suo fine abbraccerà i fini delle altre, e sarà questo il bene per
l’uomo
- Perché è più bello e più divino il bene di un popolo. Un bene che contenga tutti gli altri.
Perciò afferma Aristoteles che si tratta di una ricerca politica: la scienza architettonica

- Ci sono tante differenze e fluttuazioni, che è diffusa l’opinione che i beni esistano solo per
convenzione e non per natura
- Quando si fa un discorso politico, bisogna contentarsi «di mostrare la verità in maniera
grossolana e approssimativa, e, quando si parla di cose solo per lo più costanti e si parte da
premesse dello stesso genere, di trarne conclusioni dello stesso tipo». Ecco perché, «è
proprio dell’uomo colto, infatti, richiedere in ciascun campo tanta precisione quanta ne
permette la natura dell’oggetto» (1094b). Cioè nel discorso etico-politico non ci si può
richiedere dimostrazioni di tipo matematico.
- Punto di partenza degli argomenti politici: «le azioni concretamente vissute» (1095a)
- Punto di arrivo del discorso politico: «il fine qui non è la conoscenza ma l’azione»
- Profilo dell’uditore: un uomo con esperienza e non attaccato alle passioni e alle attrazioni

[Il fine della politica è la felicità]

- Se ogni cosa tende verso un bene in quanto fine, qual è il bene della politica? La
maggioranza è pressoché d’accorso nel nome: felicità [ευδαιμονια]. Ma su cosa sia essa,
sono in disaccordo.
- Come iniziare il discorso: «da ciò che è noto» (1095b). Ci sono due sensi:
o Ciò che è noto a noi
o Ciò che è noto in senso assoluto
- Quindi occorre partire da ciò che è noto a noi: il dato di fatto 1. Allora, ci vuole che l’uditore
«sia stato rettamente educato, mediante adeguate abitudini» 2.

- In questo senso, si comprende che «gli uomini ricavino dal loro modo di vivere la loro
concezione del bene e della felicità» 3
- I tre tipi di vita:
o La vita della massa: il bene è il piacere
o La vita politica: il bene è l’onore – ma ciò appartiene a chi onora, mentre il bene «è
qualcosa di intimamente proprio e di inalienabile» 4 –, oppure, in ultime termine, la
virtù – però è ancora troppo imperfetta.
o La vita contemplativa
- I due primi tipi di beni – piacere od onore/virtù – sono rifiutati sulla base del presupposto
che il bene ora ricercato dovrà essere amato per se stesso, cioè dovrà essere fine ultimo

[Critica della concezione platonica del bene]

- Per onorare la verità come sacro dovere, oltre i sentimenti personali, bisogna indagare sul
bene universale, ossia sulla dottrina delle Idee.
- Il bene è analogo: «ha tanti significati quanti ne ha “essere”». Perciò «non può essere un
che di comune, universale ed uno: non sarebbe, infatti, predicabile in tutte le categorie, ma
solo in una.
- Poi, perché se ci fosse un sola Idea di Bene, allora si dovrebbe essere una sola scienza del
bene, ma i dati di fatto ci dicono il contrario, ossia che ci sono diverse scienze che
riguardano diversi tipi di beni.
- Inoltre, i platonici parlano esclusivamente dei «beni di una sola specie, quelli che sono
perseguitati e amati per se stessi, mentre quelli che li producono o in qualche modo li
custodiscono ovvero li preservano dai contrari, sono chiamati beni a causa di questi, e in
un senso secondario. È dunque chiaro che si può parlare di beni in due sensi diversi: da una
parte i beni per se stessi, dall’altra quelli che sono beni sul fondamento dei precedenti»
- Ora, dopo aver distinto «dai beni strumentali i beni per sé, cerchiamo di scoprire se questi
ultimi vengono chiamati beni perché sono conformi ad una sola Idea» (1096b)
- Contradizioni:
o Se solo l’Idea di bene è un bene per sé, allora la Forma sarà vuota: un bene vuoto
o Se la sapienza, l’onore e il piacere, solo detti bene in sé perché conformati con
l’Idea di bene, allora tutti e tre dovrebbero avere l’identica definizione – ad es.,
come il “bianco” della neve e il “bianco” biacca
- Torna ad accennare l’analogia dell’ente: «Ma for i beni hanno lo stesso nome in quanto
derivano da una sola realtà o perché tendono ad un unico bene, o piuttosto per analogia?
Come infatti la vista è bene nel corpo, così l’intelletto è bene nell’anima, e un’altra cosa è
bene in un’altra realtà». Però Aristotele rinvia questo esame alla metafisica
- Nocciolo della critica: il bene deve essere realizzabile mediante l’azione. «…se pure infatti il
bene predicato in comune fosse una realtà unica o qualcosa che esiste separatamente di
per sé, è chiaro che l’uomo non potrebbe né realizzarlo nell’azione né acquisirlo: ma ora
1
Cosa significa?
2
Si veda l’accordo con Platone sull’importanza dell’educazione rispetto colui che vuole imparare sul
moralmente bello e sul giusto, cioè sull’oggetto della politica. Altro tanto si può dire sull’oggetto della
politica. Anche in Platone si cercava di conoscere cosa sia il giusto. Infine, solleviamo il fatto che la
conoscenza e il profitto che ne comporta, prevedono un certo grado di vita moralmente buona, sì che
permetta all’uditore o interlocutore di giovarne
3
Cfr. la nota precedente.
4
Assomiglia alla quella domanda della “Repubblica”: cosa produce la giustizia nell’anima di chi
l’esercita?
sia sta cercando proprio questo tipo di bene» (1097a). Altresì, si potrebbe pensare che,
perlomeno, la conoscenza dell’Idea di bene serva come modello per raggiungere i beni.
Ma, in cosa può mai giovare? «È manifesto, infatti, che il medico non ha di mira la salute in
sé, bensì quella dell’uomo, anzi, meglio, la salute di un uomo determinato» 5

[La felicità sta nell’esercizio della funzione specifica dell’uomo: la razionalità]

- Per Aristotele, il bene ha ragione di fine. Possiamo dire: causa finale. Mentre in Platone il
bene non ha ragione di fine, ma piuttosto è un modello. Non è ciò per cui si fa un’azione,
ma ciò d’accordo cui si fa un’azione. Possiamo dire: causa esemplare.
- Non parla di Bene in sé, ma di Bene supremo. Siccome la sostanza, secondo Aristoteles, è il
modo supremo dell’essere. Supremo vuol dire ciò che è più perfetto. E quindi: «diciamo
perfetto in senso assoluto ciò che è scelto sempre per sé e mai per altro». Di tale natura è
la felicità – un bene supremo realizzabile, non solo un modello o guida 6 –.

- Contenuto antropologico: «l’uomo per natura è un essere che vive in comunità [επειδη
φυσει πολιτικον ο ανθρωπος]» (1097b)
- Ma anche la felicità è qualcosa di «autosufficiente, in quanto è il fine delle azioni da noi
compiute»

[Cos’è la felicità: via della funzione dell’uomo]


- Così come in ogni arte e «tutte le cose che hanno una determinata funzione ed un
determinato tipo di attività, si ritiene che il bene e la perfezione consistano appunto in
questa funzione, così si potrebbe ritenere che sia anche per l’uomo, se pur c’è una sua
funzione propria» (1098a)
- Primo passo: il vivere è comune alle piante. Si esclude quindi la vita ridotta a nutrizione e
crescita
- Secondo passo: la vita dei sensi è comune agli animali. Si esclude
- Terzo passo: «rimane la vita intesa come un certo tipo di attività della parte razionale
dell’anima», sia quella parte razionale in quanto obbediente alla ragione, sia quell’altra in
quanto possiede la ragione, cioè pensa.
- Poi, poiché c’è la funzione di un individuo ed anche la funzione di un individuo di valore –
rimanendo aggiunta alla funzione l’eccellenza dovuta alla virtù – allora, «il bene dell’uomo
consiste in un’attività dell’anima [quella razionale] secondo la sua virtù, e se le virtù sono
più d’una, secondo la migliore e la più perfetta». Bisogna aggiungere: «in una vita
compiuta… un sol giorno o poco tempo non fanno nessuno beato o felice»

- Un’altra divisione dei beni:


o Esteriori
o Dell’anima
o Del corpo
- C’è l’opinione comune che s’accordo con quella di Aristotele: «l’uomo felice è quello che
vive bene ed ha successo». In Platone, l’uomo giusto era felice, ma non necessariamente
aveva successo. Anzi, secondo Platone, l’uomo che vive bene ha il rischio si essere
condotto alla morte dagli ingiusti

5
Sembra che l’Idea di Bene sia ridotta al campo morale. Infatti, come ha fatto notare Aristotele, la
conoscenza del Bene in sé non giova veramente ad un tessitore o ad un carpentiere. Ma, a mio avviso, la
conoscenza del Bene in sé – dell’universale, dell’essenza – al di là di ogni circostanza concreta, mi aiuta a
non cadere in un certo relativismo. Seppure, occorra poi scegliere quel bene determinato qui ed ora.
6
Come afferma pure la teoria della legge naturale di Grisez, Boyle e Finnis.
- La vita dell’uomo felice è piacevole, per quanto «ciascuno è piacevole ciò di cui si dice che
è amante». Così, «le azioni conformi alla virtù per l’amante della virtù» (1099a). Ma
dipende del caso: unicamente «per gli amanti del bello sono piacevoli le cose che per
natura sono piacevoli: tali sono le azioni secondo virtù, cosicché esse sono piacevoli sia per
questi uomini sia per se stesse». In questo senso si deve capire l’affermazione della vita
felice come piacevole, cioè insieme ai chiarimenti suddetti. Inoltre, l’uomo buono è colui
che compie con piacere le azioni buone.
- «Dunque, la felicità è insieme la cosa più buona, la più bella e la più piacevole».

- «È manifesto tuttavia che essa ha bisogno, in più, dei beni esteriori, come abbiamo detto: è
impossibile, infatti, o non è facile, compiere le azioni belle se si è privi di risorse materiali»
- «E coloro che sono privi di alcuni di questi beni si trovano guastata la felicità». «Come
dunque abbiamo detto, la felicità sembra aver bisogno anche di una simile prosperità
esteriore». Ritorna la stessa idea: la vita buona connessa al successo. Certamente, i beni
esteriori possono essere di gran utilità, un “plus”, per non una condizione assolutamente
necessaria, sì che chi è privi di questi beni sia impedito. Non si capisce tale proposta,
avendo affermato la felicità, innanzitutto, come un bene dell’anima

[Come si acquista la felicità?]

- Si riprende la definizione di felicità: «attività dell’anima secondo virtù». Allora, se il sommo


bene è il fine della scienza politica, quindi la felicità si acquista mediante attività politiche,
«con un po’ di studio e applicazione»
- Inoltre, la felicitò richiede virtù perfetta e vita compiuta. Cosa vuol dire “vita compiuta”?
Ecco la perplessità: se significa che nessuno può essere felice senza vedere la fine ovvero la
morte – «per il fatto che si pensa la felicità come qualcosa di stabile e per niente facile di
mutare, mentre le vicende della vita spesso girano come una ruota intorno agli uomini» –,
allora come diciamo che essa è un’attività?
- Ora, bisogna sapere che per la felicità sono essenziali le attività conformi virtù, mentre il
bene e il male stanno nelle vicende solo in modo accessorio. Infatti, «a nessuna delle
funzioni umane appartiene la stabilità tanto quanto alle attività conformi virtù»
- Dunque, risposta alla perplessità: «La qualità cercata apparterrà dunque all’uomo felice, e
questi sarà tale per tutta la vita, giacché sempre, o la maggior parte delle volte, egli farà o
contemplerà ciò che è conforme a virtù, sopporterà le vicende della sorte nel modo
migliore, ed in ogni caso con la massima dignità, almeno chi è veramente buono» (1101b)
- Perciò possiamo chiamare beato «chi è attivo secondo perfetta virtù ed è sufficientemente
provvisto di beni esteriori, e ciò non occasionalmente e temporaneamente, ma per tutta
una vita»

- La felicità è un principio: «è in vista di essa, infatti, che tutti noi facciamo tutto il resto, e il
principio e la causa dei beni noi riteniamo che sia una cosa degna d’onore e divina»
(1102a)

[L’anima umana e la distinzione tra virtù etiche e virtù dianoetiche]

- Definizione: La felicità è una attività dell’anima secondo perfetta virtù [εστιν η ευδαιμονια
ψυχης ενεργεια τις κατ’ αρετην τελειαν]
- Contenuto metodologico: se la virtù rientra nella definizione della felicità, allora occorre
esaminarla. Poi, poiché la virtù umana non è quella del corpo, bensì quella dell’anima,
allora bisogna conoscere ciò che riguarda l’anima – quindi il discorso etico presuppone una
certa antropologia
- Prima idea: l’anima ha una parte irrazionale, e un’altra fornita di ragione
- Secondo: l’elemento irrazionale è duplice
o La facoltà vegetativa: in quanto comune ai vegetali. Causa della nutrizione e
dell’accrescimento. Essendo comune, la virtù di questa facoltà è una virtù comune,
e non propria dell’uomo. Infine, non partecipa per niente della ragione
o La facoltà appetitiva: degli appetiti o del desiderio. Ancora irrazionale ma, in
qualche modo, partecipe di ragione in quanto le dà ascolto e le ubbidisce –
nell’uomo continente, temperante o coraggio. Però, anche combatte e contrasta la
ragione – le inclinazioni degli incontinenti –.
- Terzo: la parte razionale è duplice
o Una parte possederà la ragione in senso proprio e in se stessa – la ragion
speculativa
o L’altra nel senso che le dà ascolto – la ragion pratica
- Conclusione: le virtù dell’anima, di quella parte razionale si dividono in due tipi
o Virtù dianoetiche: sapienza, giudizio, ecc. – della ragion speculativa
o Virtù etiche: liberalità, temperanza, ecc. – della ragion pratica

LIBRO X

- Contenuto metodologico: nella trattazione del piacere – come di altre temi dell’etica – «le
teorie sono meno persuasive dei fatti; le teorie, quindi quando sono in disaccordo con i
fatti constatati, vengono considerate con disprezzo e coinvolgono nel discredito anche la
verità […]. Sembra, dunque, che, quando le teorie sono veritiere, sono utilissime non solo
per il sapere, ma anche per la vita: infatti, poiché si armonizzano con i fatti, vengono
accolte con convinzione, ed è per questo che riescono a stimolare coloro che hanno
giudizio a vivere in conformità con esse.» (1172a35-1172b7)

- Il piacere non è il bene per eccellenza, come diceva Eudosso, perché la vita di piacere è più
desiderabile unita alla saggezza. E quindi, se fosse il bene per eccellenza, non è possibile
che diventi più desiderabile se si aggiunge qualcos’altro. Dovrebbe essere di per sé il bene
più desiderabile
- Comunque, continua ad essere evidente che gli uomini fuggono il dolore come un male e
desiderano il piacere come un bene. Piacere e dolore si contrappongono come bene e
male

- Tutti i piaceri [αι ηδοναι] sono desiderabili. Però, essi sono di specie differenti. Così, «non è
possibile che si giunga a godere il piacere del giusto se non si è giusti, né quello del musico
se non si è musici, e lo stesso in tutti gli altri casi» (1173b25-31)
- Altro argomento per dire che il piacere non è bene: l’amico e l’adulatore. Il primo stringe
rapporti mirando al bene, il secondo, invece, mirando al piacere. Il primo è lodato, il
secondo, invece, è biasimato. Quindi, ci sono due scopi differenti
- Per tanto, ci sono molte cose che si cercano anche se non ci diano un piacere – sapere,
possedere la virtù –. Se, poi ne conseguono dei piaceri, è secondario. Infatti, sono scelte
anche se non ne derivasse piacere
- Dunque, il piacere non è il bene, e non ogni piacere è degno di essere scelto.

[La natura del piacere]

- Premessa: il movimento si svolge nel tempo ed ha un fine, ed è perfetto quando ha


compiuto ciò a cui tende. Poi ci sono differenze di specie nei movimenti in base al punto di
partenza e di arrivo. E poi, la maggior parte dei movimenti sono imperfetti
- Invece la forma specifica del piacere è perfetta in qualsiasi momento [της ηδονης δ’εν
οτωουν χρονω τελειον το ειδος]. Appunto, l’atto di provar piacere è un qualcosa che sta
tutto nell’istante presente. Perciò esso non è né movimento né generazione – ciò si può
dire solo delle cose suddivisibili in parti –.
- Altro principio (premessa): «per ciascun senso, l’attività migliore [η ενεργεια του αριστα] è
quella del soggetto che si trova nella disposizione migliore in relazione al più elevato degli
oggetti che cadono sotto quel senso. E questa attività sarà la più perfetta e la più piacevole.
Infatti, per ogni senso c’è un piacere, come pure anche per il pensiero e per la
contemplazione, ma il più piacevole è il più perfetto, ed il più perfetto è quello di chi è ben
disposto in relazione all’oggetto di maggiore valore che cade sotto quell’attività: il piacere,
poi, perfezione l’attività.ma il piacere non perfeziona l’attività nello stesso modo in cui lo
fanno l’oggetto sensibile […]. D’altra parte il piacere perfeziona l’attività non come fa, con
la sua immanenza, la disposizione che la genera, bensì come un completamento che vi si
aggiunge, come, per esempio, la bellezza che si aggiunge a coloro che sono nel fiore
dell’età. Finché, dunque, l’oggetto pensabile o sensibile sono quali devono essere, e
benché tali sono anche il soggetto che giudica o quello che contempla, nell’attività del
pensare e del sentire ci sarà il piacere: infatti, se restano uguali in sé e nel medesimo
rapporto reciproco l’elemento passivo e quello attivo, si produce naturalmente il
medesimo risultato» (1174b18-1175a3)
- Si potrebbe dire che ogni uomo desidera il piacere in quanto tutti tendono a vivere. Allora,
il piacere perfeziona le attività, e quindi anche quell’attività che tutti intensamente
desiderano: la vita. «È naturale, dunque, che tutti tendano anche al piacere: esso, infatti dà
a ciascuno la perfezione del suo vivere, che è ciò che si desidera. […] Infatti, la vita e il
piacere si presentano strettamente congiunti e non ammettono separazione: senza
attività, infatti, non si produce piacere, e il piacere perfeziona ogni attività»

[Le specie del piacere e il loro valore]

- Premessa: le attività che differiscono per la specie sono perfezionate da cose differenti per
specie
- Conclusione: sono specificamente differenti anche i piaceri che perfezionano le attività del
pensiero e le attività dei sensi – diversi per specie –.
- Infatti, il piacere è connaturale all’attività che perfeziona. Ciascuno progredisce nella
propria attività e ne penetra meglio ciascun aspetto, perché ci prova piacere. Lo stesso
capita per i dolori connaturali alle attività. Poi, i piaceri estranei hanno un effetto
distruttivo simile a quello del doloro connaturale
- Connaturale vuol dire che accompagna all’attività per la sua stessa natura. Il piacere
connaturale è quello che deriva dall’esercizio di una funzione

- «Ma poiché le attività differiscono per la loro convenienza o sconvenienza morale, e poiché
le une sono da scegliere e le altre da evitare, altre né l’una né l’altra cosa, lo stesso è anche
dei piaceri, giacché per ciascuna attività c’è un piacere che le è connaturale. Dunque, il
piacere connaturale all’attività virtuosa è conveniente, il piacere connaturale all’attività
cattiva è perverso: infatti, anche i desideri delle cose belle sono degni di lode, quelli delle
cose brutte sono meritevoli di biasimo» (1177b25)
- «Ma i piaceri che risiedono nelle attività stesse sono ad esse più strettamente connaturali
che non i desideri: infatti, i desideri sono distinti dalle attività, sia nel tempo sia per la
natura, mentre i piaceri sono strettamente connessi con le attività, e ne sono inseparabili»
(1177b30)

[Sulla convenienza dei piaceri]


- Premessa: a ciascun essere vivente è connaturale un piacere, nonché una funzione
- Poi, non soltanto i piaceri degli esseri che sono specificamente diversi differiscono
specificamente, bensì che nella stessa specie umana i piaceri differiscono non di poco.
Infatti, le stesse cose dilettano alcuni e affliggono altri
- Seconda premessa: siccome la stessa cosa non sembra essere calda a chi è malato e a chi
sta bene, quindi, in tutti casi si ritiene sia reale ciò che appare all’uomo in buone condizioni
– ad es., colui che sta bene –.
- Dunque, «di ciascuna cosa sono misura la virtù e l’uomo buono in quante tale» – il che non
è lo stesso della tesi protagorea dell’uomo misura –.
- Conclusione: «i piaceri saranno quelli che a quest’uomo [l’uomo di valore: ο σπουδαιος]
appaiono tali, e piacevoli saranno le cose che a lui procurano piacere» (cfr. 1176a)
- Infine, se poi ci sono oggetti sgradevoli all’uomo buono che piacciono a qualcuno, ciò «non
desta meraviglia, perché sono molte le corruzioni e le degenerazioni cui gli uomini sono
oggetti»
- Un altro principio: «non ci sono cose piacevoli in sé, ma cosa piacevoli per uomini
determinati e con determinate disposizioni»

- La domanda: ma, quali sono questi piaceri ritenute convenienti? Bisogna ripartire dalle
attività proprie dell’uomo. Dunque, «sono i piaceri che perfezionano queste attività che
potranno esser chiamati in senso proprio piaceri dell’uomo; tutti gli altri, invece, potranno
essere chiamati piaceri umani in senso secondario e molto meno appropriato, come le
attività cui corrispondono»

[Passaggio alla questione della felicità: fine delle azioni umane]


- Primo: «bisogna porre la felicità tra le attività che meritano di essere scelte per se stesse e
non per altro»
- Secondo: le attività scelte per se stesse «non richiedono nulla oltre il proprio esercizio»
- Terzo: tali sono «le azioni conformi a virtù [ταις κατ’ αρετην ενεργειαις]»
- Quarto: la felicità è attività «conformemente alla virtù più alta: è questa sarà la virtù della
nostra parte migliore»
- Quinto: «questa attività e attività contemplativa [η θεωρητικη ενεργεια]», «giacché
l’intelletto [ο νους] è la più alta di tutte le realtà che sono in noi, e gli oggetti dell’intelletto
sono i più elevati». Infatti, «la più piacevole delle attività conformi a virtù è, siamo tutti
d’accordo, quella conforme alla sapienza» (cfr. 1177a). «Quello che si chiama
“autosufficienza” si realizzerà al massimo nell’attività contemplativa». «E questa sola
attività si riconoscerà che è amata per se stessa, giacché da essa non deriva nulla oltre il
contemplare»
- Sesto: conclusione. Dunque, «se, d’altra parte, si riconosce che l’attività dell’intelletto si
distingue per dignità in quanto è un’attività teoretica, se non mira ad alcun altro fine al di
là di se stessa, se ha il piacere che le è proprio (e questo concorre ad intensificare
l’attività), se, infine, il fatto di essere autosufficiente, di essere come un ozio, di non
produrre stanchezza, per quanto è possibile ad un uomo e quant’altro viene attribuito
all’uomo beato, si manifestano in connessione con questa attività: allora, per conseguenza,
questa sarà la perfetta felicità dell’uomo, quando coprirà l’intera durata di una vita»
- Settimo: quindi, se l’intelletto è la parte migliore e principale, allora la vita secondo
l’intelletto sarà anche la più felice. Un’attività e una vita pressoché divine

- Dopo, viene la vita conforme all’altro tipo di virtù – attività esclusivamente umane –. Ossia,
le virtù del carattere [η του ηθους αρετη]. Allora, la saggezza [η φρονησις] è collegata alla
virtù del carattere: i principi della saggezza discendono dalle virtù etiche [κατά τας ηθικας
αρετας], e la rettitudine delle virtù etiche discende dalla saggezza [κατά την φρονησις]
- Ma poi, anche queste virtù etiche sono legate alle passioni [τοις παθεσι]. Quindi saranno
virtù relative al composto: le virtù del composto sono esclusivamente umane [αι του
συνθετου αρεται ανθρωπικαι]; nonché la vita e la felicità ad esse conforme

- Prova religiosa circa la superiorità della vita contemplativa: «l’attività di Dio, che eccelle
per beatitudine, sarà contemplativa: e, per conseguenza, l’attività umana che le è più
affine sarà quella che produce la più grande felicità»
- Ecco perché gli animali non possono essere felici: perché sono completamente privi
dell’attività contemplativa.

- Un altro principio: «Per conseguenza, quanto si estende la contemplazione, tanto si


estende anche la felicità, e a coloro cui appartiene in misura maggiore il contemplare
appartiene in misura maggiore anche l’essere felici, non per accidente, ma proprio in virtù
della contemplazione, perché essa ha valore per se stessa. Per conseguenza, la felicità sarà
una forma di contemplazione» (cfr. 1178b)

- Contenuto metodologico: secondo Aristotele, nonostante le sue argomentazioni possano


avere una certa credibilità, «la verità nelle questioni di comportamento si giudica dai fatti e
dalla vita vissuta: in questi, infatti, sta l’essenziale. È quindi necessario esaminare le cose
precedentemente dette mettendole a confronto con i fatti e con al vita, e se sono in
armonia con i fatto dobbiamo accettarle, se, invece, ne sono discordanti dobbiamo
considerarle semplici teorie» (cfr. 1179a)

[Etica e politica]
- La grande domanda – con un riferimento implicito a Platone – è la seguente: «non si deve
piuttosto riconoscere, come si dice, che nelle questioni di comportamento il fine non è
quello di contemplare, cioè di riconoscere i singoli valori, ma piuttosto quello di metterli in
pratica?7 Quindi, anche per quanto riguarda la virtù non è sufficiente il sapere, ma
dobbiamo sforzarci di possederla e metterla in pratica, o cercare qualche altro modo, se
c’è, per diventare uomini buoni»
- Primo chiarimento: questi ragionamenti hanno la forza di stimolare i giovani di spirito
libero, ma non sono capaci di stimolare la massa alla perfezione morale. Infatti, «non è
facile, far mutare col ragionamento ciò che da molto tempo si è impresso nel carattere»

- Come si diventa buono?


o Per natura: ciò che deriva dalla natura non dipende da noi. Quindi non è per
natura
o Per abitudine: per accogliere l’insegnamento «occorre preparare prima, con le
abitudini, l’anima di chi li ascolta a provar piacere ed odio come è bello che si
faccia»
o Per insegnamento: non ha sempre efficacia su tutti. Quindi non è per
insegnamento
- «Bisogna, dunque, che ci sia già in precedenza, in qualche modo, il carattere che è proprio
della virtù, cioè un carattere che ama il bello e mal sopporta il brutto [στεργον το καλον και
δυσχεραινον το αισχρον]»

- In questo senso, ci vuole essere «allevati sotto buone leggi», affinché siamo ben abituati
alle virtù. Perciò il legislatore ha due compiti:

7
Si potrebbe pensare pure a quella considerazione accennata da Aristotele all’inizio dell’Etica: che,
appunto, questa non mira principalmente a conoscere cosa sia il bene, ma a farci diventare uomini di
bene.
o Stimolare alla virtù per amore del bello – nei confronti dell’uomo per bene che
vive orientato al bello
o Stabilire castighi – nei confronti dell’uomo di indole troppo cattiva, che desidera
solo il piacere
- La legge – se ordina ciò che è moralmente conveniente – ha potenza coercitiva e serve
all’educazione pubblica. Servono sia leggi scritte – leggi in senso stretto, cioè scritte – sia i
costumi – leggi non scritte –. Se, poi, questa è trascurata, «si riconoscerà che è a ciascun
individuo che conviene aiutare i propri figli ed i propri amici a raggiungere la virtù, e che
ciascuno può farlo»

[Universale e caso singolo]


- «Inoltre, l’educazione diretta all’individuo è superiore a quella di un’intera comunità», in
quanto ci sono delle differenze tra i particolari. «Si ammetterà, quindi, che il singolo caso è
trattato con maggiore accuratezza se l’educazione è privata: infatti, ciascuno vi trova in
misura maggiore ciò che gli giova» (cfr. 1180b)
- Tuttavia, potrà curare nel modo migliore il singolo caso chiunque conosca l’universale:
oggetto delle scienze. Seppure, niente impedisce di prendersi cura di un caso singolo
avendo solo l’esperienza di casi singoli, se si vuole diventare competente ci vuole la
conoscenza universale. Lo stesso si dica per il legislatore. Dunque la competenza del
legislatore si acquista mediante la conoscenza dell’universale – la parte teorica – e
l’esperienza – la parte pratica –.

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