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Anna Chiara Fariselli

Tipologie tombali e rituali funerari a Tharros,


tra Africa e Sardegna

In tempi recenti ha visto la luce l’edizione del rapporto di scavo de-


finitivo della campagna d’indagini condotta nella necropoli fenicio-
punica e romana di Tharros nel 2001 dalle Università di Bologna e
Cagliari, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di
Cagliari e Oristano 1. La riattivazione di scavi ufficiali nel contesto
extraurbano dopo anni di abbandono ha inaugurato una nuova sta-
gione della ricerca tharrense, volta alla conoscenza del paesaggio fu-
nerario di Capo San Marco, martoriato, nei secoli passati, da spre-
giudicati interventi clandestini. Come noto, le violazioni sistematiche
hanno per lungo tempo compromesso la lettura del settore, pur am-
plificandone paradossalmente la fama attraverso lo smercio a lungo
raggio dei molti “ori” sottratti ai sepolcri profanati. Proprio per
questa ragione, il traguardo prefissato al momento della pianificazio-
ne dei lavori, poi superato dai risultati inaspettatamente raggiunti,
era quello di identificare la fisionomia strutturale delle deposizioni,
nella consapevolezza che la sistematica manipolazione moderna dei
contesti avrebbe vanificato ogni più ambizioso progetto. Le investi-
gazioni condotte negli anni successivi a quello della ripresa 2 hanno
per certi versi confermato, per altri reso meno nebulose le dinami-
che del duraturo sfruttamento dello spazio necropolare, talora mi-

* Anna Chiara Fariselli, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione


dei Beni Culturali, Università degli Studi di Bologna (sede di Ravenna).
1. E. ACQUARO, C. DEL VAIS, A. C. FARISELLI, (a cura di), Beni culturali e anti-
chità puniche. La necropoli meridionale di Tharros. Tharrhica - I (Biblioteca di Byrsa,
4), La Spezia 2006.
2. Le successive campagne di scavo, svolte negli anni 2002, 2003 e 2004 sotto la
responsabilità di chi scrive per l’Università di Bologna e della dott.ssa C. Del Vais
per l’Università di Cagliari, con la direzione scientifica del prof. E. Acquaro, sono in
corso di edizione. Ringrazio la collega e il Direttore della Missione per aver favorito
l’anticipazione di alcuni dati nel filone dello studio tipologico avviato da chi scrive.

L’Africa romana XVII, Siviglia 2006, Roma 2008, pp. 1713-1724.


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nando la solidità di concetti assunti in letteratura e costringendoci a


riscrivere alcuni capitoli della storia del sito. Circa l’aspetto mera-
mente tipologico le più recenti indagini offrono una buona campio-
natura di soluzioni tombali, consentendo anche di ribadire interpre-
tazioni che la prudenza richiesta dalla contenuta estensione della su-
perficie di scavo al termine della prima campagna faceva proporre
solo a livello di ipotesi. Parlando di “paesaggio funerario” è possibi-
le affermare che i diversi modi – tombe di adulti e di infanti – e i
diversi stadi di utilizzo del quartiere – fenicio, punico e romano –
coesistano in senso spaziale, senza alcun apparente discrimine nella
distribuzione, differenziando in tal senso la necropoli di Tharros da
altri ambiti sepolcrali della Sardegna fenicia e punica 3. Le tombe
ovali a incinerazione, in alcuni casi verosimilmente busta, intervalla-
no sia le fosse rettangolari coperte da lastre giustapposte destinate
ad inumati, sia le strutture ipogeiche a dromos, come le precedenti
genericamente ascrivibili ad età punica. È un dato di fatto che la
prevalente assenza di contesti intatti, almeno stando al momento at-
tuale, resti un limite non trascurabile anche per lo studio dei pur
ricchi dati strutturali, che è impossibile datare in termini cronologici
assoluti. D’altra parte, la fortunata scoperta di un’incinerazione inte-
gra in fossa protetta da lastre squadrate (T. 62), che il notevole cor-
redo ceramico posiziona nelle fasi iniziali della colonia 4, stabilisce
un importante termine di riferimento, oltre che per quanto concerne
la connotazione delle prime sepolture tharrensi, anche per quel che
riguarda i rapporti relativi fra le diverse escavazioni tombali. In par-
ticolare, la resa del corridoio d’accesso alla tomba a camera (T. 55)
che affianca la cremazione sembra averla intenzionalmente rispar-
miata, poiché la sponda settentrionale del vano di discesa gradinato
è perfettamente allineata con la faccia più esterna delle lastre poste
a tutela dell’incinerazione (FIG. 1). Questo elemento suggerisce che
il sigillo lapideo fosse visibile o quantomeno segnalato in superficie
e, secondariamente, potrebbe far ipotizzare una vicinanza cronologi-
ca fra le due operazioni, visto che il rispetto per le sepolture prece-
denti non può ritenersi una regola. Non è da escludersi che tale
inusitata cura rimandi all’affinità personale del committente dell’ipo-
geo con il cremato, suggestione che ci rinvia ad un’ipotesi già pro-

3. Si veda ad esempio, P. BARTOLONI, La necropoli di Monte Sirai - I (Collezione


di Studi Fenici, 41), Roma 2000, pp. 67-77.
4. La tomba integra è attualmente in fase di studio da parte di chi scrive insie-
me con C. Del Vais.
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Fig. 1: La tomba a incinerazione T. 62 risparmiata dallo scavo dell’ipogeo


T. 55 (foto dell’autrice).

posta in altra sede circa la parcellazione dei settori, occupati a inter-


valli generazionali, per gruppi familiari 5. A ridotta distanza da que-
sta peculiare soluzione di scavo, infatti, si segnala il grossolano riuti-
lizzo di una fossa arcaica (T. 58): la deposizione in bustum, di cui
rimane intatta poca parte della fornitura vascolare preservata da una
sottile lastra litica, appare chiaramente tagliata, livellata sul piano e
allungata per la realizzazione di una fossa rettangolare con angoli
smussati. Dell’intervento è sintomo anche la tipologia di copertura,
a lastre accostate, tipica delle inumazioni in fossa parallelepipeda di
età recenziore e del tutto differente da quella a lastroni plurimi so-
vrapposti documentabile per le incinerazioni ellittiche. Un dato ri-
corrente, in occasione di reimpieghi e modifiche strutturali, è, ap-
punto, l’accantonamento degli arredi del primo occupante.

5. A. C. FARISELLI, Il “paesaggio” funerario: tipologia tombale e rituali in Beni


culturali e antichità puniche, cit., p. 350. Sulla tomba a camera come “spazio ideologi-
co” del gruppo familiare cfr. P. BERNARDINI, I roghi del passaggio, le camere del silen-
zio: aspetti rituali e ideologici del mondo funerario fenicio e punico di Sardegna, in El
mundo funerario, Actas del III Seminario Internacional sobre Temas Fenicios (Guarda-
mar del Segura, 3-5 de mayo de 2002). Homenaje al Prof. D. Manuel Pellicer Catalán,
ed. por A. GONZÁLEZ PRATS, Alicante 2004, pp. 141-2. Vale la pena di richiamare al
proposito la recente analisi spaziale condotta nella necropoli fenicia di Monte Sirai,
ove «l’addensamento [...] intenzionale» di alcune tombe è stato letto come segnale
della «volontà di esprimere una qualche coesione dei gruppi»: S. FINOCCHI, La necro-
poli fenicia di Monte Sirai: alcune osservazioni sulla distribuzione spaziale del sepolcreto
e sulla visibilità “funeraria” dei defunti, «Daidalos», 6, 2004, p. 145.
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Fig. 2: L’accesso gradinato semi- Fig. 3: Il portello incompiuto nel


verticale alla T. 40 (foto dell’autri- dromos cieco della T. 64 (foto del-
ce). l’autrice).

Sul piano tipologico si rimarcano alcune novità. Accanto ai consueti


cavi a pianta rettangolare e a camera ipogeica munita di corridoio
con scalini laterali o continui, già ampiamente repertoriati, merita
una certa attenzione il rinvenimento di una tomba a camera (T. 40)
in cui la discesa è assicurata da una sorta di rozzo pilastro a cinque
alti gradini, posto quasi al centro del lato breve frontale all’ingresso
della cella (FIG. 2). Il rapporto proporzionale fra la lunghezza del
corridoio e la profondità del vano d’entrata esclude che si possa
parlare di tomba “a pozzo”, volendo attenerci ai criteri di determi-
nazione dei due tipi codificati nel più recente tentativo di seriazione
delle tombe tharrensi note 6. Non si può negare il fatto, però, che la
calata nella tomba comporti un moto a forte pendenza, verticalità
che ne differenzia sostanzialmente la morfologia rispetto alle altre
poste in luce. Sebbene si ritenga in linea di massima preponderante
l’esistenza di una motivazione pratica all’origine dell’impostazione
strutturale 7 – la ripida gradinata, fra l’altro molto dissestata, potreb-

6. FARISELLI, Il “paesaggio” funerario, cit., pp. 325-8.


7. Ivi, passim.
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be essere il risultato di un adattamento posteriore a episodi di ria-


pertura dannosi per la conservazione della scala originaria – in que-
sto caso si ha l’impressione di trovarsi dinanzi ad una scelta tipolo-
gica precisa e non certo obbligata dalla mancanza di spazio suffi-
ciente a realizzare un corridoio agevole. Il tipo di discesa “misto”,
caratterizzato cioè da scalini simili a larghe e approssimate pedarole,
per il quale non si è ancora reperito un confronto del tutto puntua-
le, potrebbe infatti accostarsi, nella concezione, a sistemi di entrata
documentati in ipogei nordafricani 8. La già mostrata connessione
geografica fra alcune architetture funerarie tharrensi e certi modelli
tunisini è in fondo abbastanza ovvia e risulterebbe semplicemente
ravvivata da tale ulteriore richiamo. Rappresenta un caso singolare
la T. 39, a fossa molto ampia in rapporto alle misure standard rico-
nosciute nel settore e munita di pesanti lastre litiche di chiusura 9.
Due sono ancora in situ alle opposte estremità della fossa, saldate al
bordo da abbondante argilla verde. Peculiari della struttura sono la
notevole larghezza (più di 1 m) e soprattutto la lunghezza (2,40 m)
con la significativa profondità (1,80/2,00 m), elementi che, non
avendo il cavo alcun carattere, per così dire, “monumentale”, indice
di un condizionamento culturale di qualche tipo, rimandano con fa-
cilità ad una ragione contingente: si tratta forse di una fossa desti-
nata ad ospitare più di un cadavere allo stesso tempo? 10.
I nuovi saggi, concentrati nel settore più meridionale della vasta
porzione dell’area cimiteriale attualmente recintata, a breve distanza
dalla torre di avvistamento spagnola detta Torre Vecchia, hanno
messo in luce una situazione analoga a quella già evidenziata nella
campagna inaugurale per quanto concerne la densità degli interventi
dei fossori sulla superficie rocciosa che, tuttavia, in questo punto
sembra assai friabile e più facilmente soggetta a degrado rispetto al

8. Cfr. p. es. H. BEN YOUNÈS, La nécropole punique d’El-Hkayma. Mai 1984,


«Reppal», 2, 1986, pl. XIII, T. 8.
9. I lastroni hanno uno spessore massimo di 40 cm, del tutto atipico rispetto a
quello costante per le coperture della maggior parte delle tombe a fossa rettangolare
emerse dallo scavo. Si può anzi dire che le dimensioni generali della struttura equi-
valgono quasi al doppio delle misure “classiche” delle fosse parallelepipede a inuma-
zione messe a giorno.
10. La sepoltura simultanea di un gruppo di persone, se pure in strutture distin-
te, è già stata prudentemente adombrata nella decifrazione dell’iscrizione “civica” rin-
venuta su una parete di fossa del settore A: G. GARBINI, L’iscrizione della tomba 20,
in ACQUARO, DEL VAIS, FARISELLI (a cura di), Beni culturali e antichità puniche, cit.,
pp. 371-5.
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banco naturale evidenziato nei primi spazi indagati. Non a caso, in-
fatti, oltre a presentare diverse aree libere fra uno scavo tombale e
l’altro – interpretabili alla luce della constatazione che segue come
zone non sfruttate perché caratterizzate da problematiche geofisiche,
piuttosto che come luoghi di rispetto o riservati ad atti rituali –
sono molto numerose le opere “incompiute” e le sviste degli scava-
tori leggibili nella calcarenite, foriere, altresì, di importanti informa-
zioni sulla fisionomia della necropoli e sulla sequenza delle fasi di
lavorazione. Un esempio interessante è quello della T. 49, a fossa
ma provvista di tre gradini tagliati sul lato lungo settentrionale, che
rappresentano evidentemente lo stadio iniziale del lavoro, essendo
del tutto inusuali e non indispensabili nei tipi a fossa. La prossimità
di un’escavazione simile e di due tombe a camera parrebbe aver ge-
nerato la scelta di delimitare l’opera strutturale e modificarne il pro-
getto esecutivo, da camera ipogeica a cavo parallelepipedo. Ancora
più appariscente in tal senso appare la T. 64, dromos gradinato ma
privo di camera, di cui resta solo il primo intaglio del portello nella
roccia, a causa della presenza di un’altra struttura al di là di esso.
L’accesso alla cella non realizzata è solo parzialmente scavato e con
il contorno rettangolare marcato da una traccia di ocra rossa, che
l’evidente sospensione dello scavo da parte del fossore allontana da
qualsiasi interpretazione in senso decorativo (FIG. 3) 11. Il corridoio
taglia l’ingresso, forse in origine gradinato 12, di un’altra tomba a ca-
mera disposta perpendicolarmente (T. 63) e provvista di riseghe per
l’allettamento di lastroni sui bordi del vano di discesa, secondo una
tipologia già nota a Tharros 13. Il dissesto del corridoio di T. 63
provocato dall’intercettazione è stato risolto in antico mediante la
costruzione di un muretto di scheggioni lapidei appena squadrati,
provvisto di rade colmature di argilla verde negli interstizi (FIG. 4) –
secondo una tecnica consolidata in ambito punico 14 – che costitui-

11. Differente situazione si documenta a Tuvixeddu, dove il portello è rifinito


da una cornice a rilievo dipinta: P. MATTAZZI, V. PARETTA, Le tombe puniche decora-
te nella necropoli di Tuvixeddu a Cagliari, «Byrsa», 3-4, 2004-05, pp. 40-1.
12. Residui dei gradini più bassi smantellati sono ben percepibili a circa 60 cm
dal piano.
13. FARISELLI, Il “paesaggio” funerario, cit., p. 337.
14. Apprestamenti affini fiancheggiano alcuni corridoi d’accesso a ipogei del
Capo Bon: talora letti come sostegni per sovrastrutture, in diversi casi sono manife-
stamente “rattoppi” di pareti abbattute dalla volontaria intersezione fra tombe a ca-
mera e fosse più antiche: cfr. M. FANTAR, Recherches sur l’architecture funéraire puni-
que du Cap Bon, (Collezione di Studi Fenici, 42), Roma 2002, pls. I, c; XXIV, b-c.
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Fig. 4: L’integrazione muraria fra T. 63 e T. 64 (foto dell’autrice).

sce contemporaneamente la chiusura orientale del pozzo della tom-


ba ipogeica più antica, accorciato rispetto alla dimensione iniziale, e
parte della parete occidentale del dromos cieco. La messa in luce di
una porzione risparmiata del primitivo riempimento di scaglie del
modulo di accesso di T. 63 ne documenta, inoltre, la prosecuzione
dell’uso anche dopo la ristrutturazione generata dall’imperizia dello
scavatore e probabilmente dal fatto che la presenza dell’ipogeo non
fosse segnalata. Il complesso strutturale consente alcune riflessioni in
merito ai tempi d’intervento: i gradini del corridoio venivano termi-
nati e rifiniti nel dettaglio prima dello scavo della cella ipogeica; il
taglio del portello, inoltre, era anticipato da un tracciato preparato-
rio sulla superficie rocciosa di linee guida in color rosso, funzionali
ad evitare, alla manodopera incaricata, errori nel calcolo delle pro-
porzioni 15. L’individuazione dell’area utile per nuovi scavi dipende-
va certo dallo spazio di volta in volta disponibile e dalla qualità del-
la roccia settore per settore, ma forse era anche subordinata alla lot-
tizzazione del quartiere da parte di insiemi parentelari omogenei,
dato, questo, che giustificherebbe l’apparentemente irrazionale con-

15. Il medesimo accorgimento, mai rilevato in precedenza a Tharros, dove sem-


brava prediletto l’impiego allo scopo di incisioni lineari, si documenta a Tuvixeddu:
V. PARETTA, Le tracce di lavorazione, in ACQUARO, DEL VAIS, FARISELLI (a cura di),
Beni culturali e antichità puniche, cit., p. 378.
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centrazione di nuove strutture in punti già saturi 16. Dalla stessa pro-
spettiva vanno analizzati gli indicatori dei reimpieghi tombali. Pur in
assenza di contesti chiusi, l’utilizzo reiterato di alcune strutture, in
special modo quelle a camera ipogeica, forse occupate da generazioni
successive di un medesimo nucleo familiare, come dimostra l’arco cro-
nologico del registro ceramico definibile dall’esame dei lacerti integri
delle colmature di scaglie 17, è esplicitato anche dalle tracce di restau-
ro antico. Paradigmatico è il caso della T. 56 che, probabilmente a
seguito del danno provocato da una riapertura, subisce la ricostruzio-
ne dello stipite settentrionale della porta d’accesso al sepolcro con l’in-
serimento di un blocco ben squadrato e assicurato alla parete residua
mediante l’utilizzo di un “collante” di argilla e intonaco. Ancora, l’oc-
cupazione romana che insiste sui contesti precedenti è in molti casi
evidenziata da rimaneggiamenti macroscopici, che proprio per questo
ne consentono un inquadramento abbastanza preciso. L’attività di ri-
pristino connessa alla sovrapposizione repubblicana e imperiale, che
investe sia strutture a fossa sia ipogei, è infatti caratterizzata da un co-
pioso impiego di intonaco e di conglomerato di malta misto a detriti
ceramici e vitrei che ad un primo esame autoptico sembrerebbero dia-
gnostici sul piano cronologico. Allo stesso modo, alcuni settori, la cui
entità non è ricostruibile a causa degli scassi moderni, paiono essere
stati interamente obliterati da colate “pseudo-cementizie”, forse per
creare un ulteriore livello fruibile come piano di deposizione negli ul-
timi momenti di utilizzo dell’area, o semplicemente a sintomo di un
abbandono definitivo di alcune parti di necropoli.
Circa il trattamento dei defunti gli ultimi interventi di scavo
hanno apportato qualche nuovo dettaglio al nostro ridottissimo ba-
gaglio di conoscenze. La documentazione antiquaria 18 e l’assenza
di elementi perspicui alla determinazione di specifiche ritualità

16. Per tutto ciò si valutino le già ricordate e condivisibili riflessioni di: FINOC-
CHI, La necropoli fenicia, cit. Dromoi interrotti, ossia privi di sbocco ad una cella sepol-
crale, sono documentati anche a Monte Sirai e in Nord Africa: cfr. P. BARTOLONI, Sca-
vi nelle necropoli di Monte Sirai, in Da Pyrgi a Mozia. Studi sull’archeologia del Mediter-
raneo in memoria di Antonia Ciasca (Vicino Oriente - Quaderno, 3/1), a cura di M.
G. AMADASI GUZZO, M. LIVERANI, P. MATTHIAE, Roma 2002, p. 74; per il Nord Afri-
ca cfr. ad es.: FANTAR, Recherches, cit., pp. 62, 82; M. ASTRUC, Nouvelles fouilles à
Djidjelli (Algérie) (Novembre-Décembre 1935), «RAfr», 1937, p. 221, fig. 2, VII.
17. FARISELLI, Il “paesaggio” funerario, cit., pp. 344-6.
18. Si prenda ad esempio la deposizione nella famosa Tomba I, scavata da G.
Spano nel 1850: Emporikòs kólpos. Il golfo degli empori dai Fenici agli Arabi, Orista-
no 2005, fig. 59.
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hanno sino ad ora suggerito che la giacitura dell’inumato sulla


nuda terra o in casse lignee assemblate con ganci in bronzo e ferro
fosse quella prevalente. Va rilevato, tuttavia, uno scavo rettangolare
non molto profondo sul pavimento calcarenitico del sepolcro n. 76,
addossato alla parete settentrionale della camera, che, con le op-
portune distinzioni dimensionali, rammenta le «auges sarcophages»
presenti in alcune strutture ipogeiche africane 19, lasciando ipotizza-
re, nonostante la scarsa rifinitura della fossetta, un tentativo di
mettere in opera apprestamenti funzionali ad accogliere deposizio-
ne e corredo. La scoperta sul pavimento interno della citata T. 63
di tre impronte rettangolari di colore rosso-bruno, adeguatamente
distanziate e parallele a una parete lunga della cella 20, indurrebbe
a pensare all’originaria presenza di un sarcofago o di una lettiga li-
gnei deteriorati dalle ingiurie del tempo 21, forse muniti di basi per
l’assemblaggio e piedi metallici 22. Riguardo al culto funerario, per
l’età punica il repertorio dei dati relativi alle modalità di gestione
della pietas verso gli estinti è stato arricchito da una serie di ritro-
vamenti che, in qualche caso, rappresentano a tutt’oggi degli unica
nel panorama delle acquisizioni tharrensi. Cippi, altarini e monu-
menti di varia foggia 23, asportati dai contesti originari e ritrovati

19. Cfr. H. BEN YOUNÈS, L’architecture funéraire punique au Sahel. État et per-
spectives, in L’Afrique du Nord antique et médiévale. Monuments funéraires. Institu-
tions autochtones, Actes du VIe Colloque International sur l’histoire et l’archéologie de
l’Afrique du Nord (Pau, octobre 1993 - 118e Congrès), éd. par P. TROUSSET, Nancy
1995, p. 81; A. BEN YOUNÈS KRANDEL, Typologie des tombeaux des nécropoles puni-
ques en pays numide, «Reppal», 4, 1988, p. 6.
20. Le impronte misurano circa 20 per 10 cm. Due di esse sono disposte sim-
metricamente in senso longitudinale a una distanza reciproca di circa 30 cm; la terza,
allineata lungo un lato breve con l’impronta più interna rispetto alla parete, dista dal-
la corrispondente 1,50 m circa. Un campione del friabile piano roccioso prelevato nel
cuore delle sagome rettangolari è attualmente in fase di analisi fisico-chimica, al fine
di verificare se il colore rossastro sia risultato dal disfacimento del legno o dal contat-
to della roccia con componenti metalliche.
21. Cfr. per simili apparati a Sulci: P. BERNARDINI, Sistemazione dei feretri e dei
corredi nelle tombe puniche: tre esempi da Sulcis, «RStudFen», 27, 2, 1999, p. 142;
ID., I roghi del passaggio, le camere del silenzio: aspetti del rituale funerario nella Sar-
degna fenicia e punica, «Quaderni del Museo», 1, 2003, p. 262.
22. L’utilizzo di larghe placche metalliche, in quel caso di bronzo, è ad esempio
ipotizzato per il cassone ligneo di Ksour-es-Saaf: H. BEN YOUNÈS, Decouvertes de
deux nouveaux elements dans le mobilier de la tombe à la cuirasse de Ksour-Essaf au
Sahel tunisien, «Reppal», 10, 1997, pp. 35-7.
23. Esposti nelle sale del Museo Civico di Cabras (OR), i manufatti sono in stu-
dio da parte di C. Del Vais.
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sia in strati superficiali di terreno di risulta, sia nel riempimento di


qualche camera ipogeica o reimpiegati per occludere i corridoi
d’accesso, integrano il profilo documentale della classe per la fase
punica e permettono di ipotizzare che, almeno in alcuni periodi, la
scenografia necropolare prevedesse apparati esterni alle tombe con
funzioni signacolari o più genericamente rituali. Ancora, due croci/
astro a 5 o 6 bracci in ocra rossa ornano rispettivamente la fronte
di un dromos al di sopra dell’ingresso alla cella (T. 55) e la parete
di fondo di una camera (T. 69). Il dato rilevante al proposito è
rappresentato dalla relativa vicinanza delle due strutture nel settore
messo a giorno, tramite di suggestioni circa la voga di certi simboli
in alcune fasi di utilizzo dell’area 24. Una sporgenza triangolare ad
alto rilievo con lato superiore appiattito decora una parete breve di
una profonda fossa con riseghe (T. 66) (FIG. 5). Fatta salva l’incer-
tezza di lettura del risparmio di roccia – derivante soprattutto dalla
sensazione di non-finito o di consunto che l’elemento trasmette –
la vaga forma geometrica munita di due incisioni oblique conver-
genti verso il basso riecheggia, come testa silenica, i volti demonia-
ci sulle pareti di alcune camere di Monte Sirai 25, trovando anche,
in tal senso, una significativa evocazione nella piccola maschera
triangolare scolpita fra segni di Tanit al di sopra del portello di
una tomba ipogeica da Ksar es-Sâad (Korba) 26. Per converso, sup-
ponendo che l’opera non sia stata terminata o che dovesse essere
rifinita a pittura nei connotati supplementari, il forte aggetto del ri-
salto permetterebbe di vedervi un’allusione ad un muso taurino,
qui appena abbozzato 27. Resta anomala la collocazione del rilievo

24. Di grande interesse, il confronto con Tuvixeddu per quanto riguarda la loca-
lizzazione dell’astro, come pure della cosiddetta “croce di S. Andrea”, per lo più nel
pozzo, e il rapporto con il Nord Africa per ciò che concerne, invece, l’ambientazione
dei medesimi motivi all’interno della camera: G. TORE, Le necropoli fenicio-puniche
della Sardegna: studi, ricerche, acquisizioni, in Tuvixeddu la necropoli occidentale di Ka-
rales, Atti della Tavola rotonda internazionale: La necropoli antica di Karales nell’ambi-
to mediterraneo (Cagliari, 30 novembre-1 dicembre 1996), a cura di Associazione cul-
turale Filippo Nissardi, Cagliari 2000, p. 227. Per la ricorrenza del soggetto iconogra-
fico a Tuvixeddu cfr. anche, da ultimo: MATTAZZI, PARETTA, Le tombe puniche deco-
rate, cit., figg. 10, b; 13, b; 15, a.
25. Con bibliografia precedente: BARTOLONI, Scavi nelle necropoli, cit., p. 75.
26. M. FANTAR, Tombe aux Tanits porteurs d’un mausolée, «Reppal», 12, 2002,
p. 49, fig. 2.
27. Il tema del bucranio, non molto diffuso nel rilievo funerario di Sardegna
(TORE, Le necropoli fenicio-puniche, cit., p. 227), pure registrato a Tuvixeddu, è ripor-
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Fig. 5: La tomba “a sarcofago” T. 66 con elemento a rilievo sulla parete


meridionale (foto dell’autrice).

sulla testata di una “fossa a sarcofago naturale” 28, a fronte della


più frequente collocazione degli ornamenti nei diversi settori dei
tipi a camera. Il contatto iconografico con quanto, anche di recen-
te, rilevato nella necropoli di Tuvixeddu circa l’apparato decorativo
delle strutture sembra un fattore degno di futuri approfondimenti
per la definizione di peculiarità regionali nel catalogo ornamentale
di uso funerario e votivo. Non irrilevante è, al proposito, il paralle-
lismo già instaurato e rimarcato tra alcune strategie decorative mes-
se in atto nelle necropoli tharrense e caralitana e la simbologia se-
lezionata per le stele dei tofet.
Questa nota preliminare conferma, quindi, la molteplicità di so-
luzioni strutturali e rituali percepibili nel sepolcreto meridionale di

tato decisamente ad un’ambientazione libico-punica grazie all’emergenza del soggetto


sulle stele tarde di Cartagine e negli haouanet tunisini: MATTAZZI, PARETTA, Le tombe
puniche decorate, cit., p. 47, nota 52, fig. 12, g.
28. Per l’impiego della definizione in rapporto ai tipi tombali tharrensi cfr.: FA-
RISELLI, Il “paesaggio” funerario, cit., p. 315.
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Tharros, che difficilmente può ricondursi ad un modello standar-


dizzato di pianificazione necropolare o ad un orientamento cultura-
le univoco. Al contrario, le nuove ricerche fanno affiorare in tutta
evidenza la variegata fisionomia del contesto – determinata anche
dalla lunga frequentazione del quartiere funerario – l’incisività del
condizionamento spaziale e geomorfologico nella scelta di tipi tom-
bali differenti, nonché l’attenta gestione della comunità cittadina,
che si traduce nella capacità di adattamento e innovazione dei mo-
delli architettonici più usuali da parte di committenti e fossori.

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