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Laura Acampora

Libagioni e riti funerari: a proposito di un’inedita


lastra della catacomba di Pretestato1

Durante una ricognizione complessiva e sistematica delle iscrizioni greche2 conser-


vate nel complesso cimiteriale di Pretestato3, è risultata degna di attenzione una lastra
iscritta con una raffigurazione apparentemente non ben compresa dal suo primo editore,
Antonio Ferrua4, che ne curò la pubblicazione nel quinto volume delle ICUR; la partico-
larità di questa raffigurazione, come si vedrà, si può inserire a pieno titolo nel dibattito
relativo ai riti funerari nel mondo antico.
Il manufatto è attualmente conservato nell’ambulacro B15 (fig. 1, A), collocato all’in-
terno dell’arcosolio meridionale all’imbocco della galleria, subito dopo il lucernario O35.
Si tratta di una lastra rettangolare di marmo bianco (fig. 2), che misura cm 65x100x3,5;
uno dei lati lunghi presenta una modanatura a gola dritta semplice mentre l’altro, così

1
Ringrazio il prof. Fabrizio Bisconti e il dott. Matteo Braconi per l’invito a presentare il contributo in questa
sede e la prof.ssa Lucrezia Spera per avermi fornito lo spunto di studiare la lastra in oggetto e per i sugge-
rimenti e la disponibilità sempre dimostratami. Per i consigli ringrazio il prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai,
Matteo Braconi, Paola De Santis, Donatella Nuzzo, Cecilia Proverbio e Alessandro Vella.
2
Le ricerche sono state eseguite per la tesi di laurea in Epigrafia Greca presso l’Università di Roma “La
Sapienza” dal titolo Le iscrizioni greche della catacomba di Pretestato, discussa nell’a.a. 2002/2003.
3
Il complesso cimiteriale, situato a Roma nella zona dell’odierna via Appia Pignatelli, è stato oggetto di vari
e importanti studi topografici, tra cui sono da ricordare Tolotti 1977, Tolotti 1978 e da ultima l’indagine
globale e completa edita in Spera 2004.
4
ICUR, V 15091.
5
La galleria B15 è compresa nella regione della catacomba denominata appunto B, regione che si sviluppò
a partire dall’area centrale, la spelunca magna, ricca di sepolture martiriali; le prime occupazioni funerarie
sono probabilmente da assegnare agli immediati inizi del IV secolo, come attestano alcuni dati epigrafici
(in particolare l’iscrizione ICUR, V 13887, datata al 307/308). L’intero settore della catacomba si configurò
come una zona retrosanctos, che ricevette una fruizione più intensiva a partire dalla seconda metà del IV
secolo, testimoniata dalle fasi di reimpiego e riutilizzazione delle sepolture originarie, spesso anche utiliz-
zando inediti e particolari sistemi di inserimento in spazi occupati precedentemente (infra, p. 411; per le
tipologie funerarie presenti in questa regione cfr. Nuzzo 2000, p. 133).

Le indagini in quest’area sono descritte nel resoconto di Josi 1936, part. p. 207; lo studioso enuncia le
numerose difficoltà dello scavo, dovute anche alle “infinite formae che si sono incontrate in tutti i punti
delle gallerie sgombrate dalle terre, molto spesso di grande ampiezza e profondità”. Lo stesso Josi ricorda
che proprio in occasione di questi lavori furono recuperate ingenti quantità di materiali adoperati per la
chiusura delle formae e di molte delle sepolture dell’area, tra cui potrebbe esserci proprio la lastra oggetto
del presente studio. Per un’analisi e una revisione completa della regione, vedi Spera 2004, pp. 132-136,
230-237, 258-261.
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come quelli brevi, risulta tagliato, configurandosi probabilmente come un pezzo di reim-
piego.
La superficie si presenta alterata da numerose scheggiature e scalfitture che non com-
promettono comunque la leggibilità del testo e dell’immagine, e da tracce di intonaco
bianco, particolarmente evidenti sul bordo inferiore6; il retro è sbozzato.
L’iscrizione che campeggia sulla lastra, occupandone una buona parte, è dedicata alla
piccola defunta Neikòs: ajpegevneto / NeikwVç / mhnw=n ia’.
La formula del testo è molto semplice, con il nome della defunta, l’indicazione dell’età
vissuta e il verbo “morire”, ἀpogίgnesqai, non utilizzato frequentemente nelle iscrizioni
di Roma7; anche l’elemento onomastico, pur facendo parte della categoria piuttosto dif-
fusa di derivati dal termine nìke8, non risulta essere altrimenti attestato in questa grafia9.
In alto a destra si trova un foro circolare, passante, del diametro di circa 3 cm, che
presenta tracce e incrostazioni apparentemente relative ad un liquido connesso con il foro
stesso.
Accanto al foro è disegnato, in maniera stilizzata, schematica e imprecisa, ma ricca di
particolari, un oggetto identificabile come un cantharos con anse a voluta, molto pronun-
ciate, ed elementi decorativi lineari sul corpo schiacciato (fig. 3); la base è rappresentata
da un supporto triangolare, solcato da linee oblique10, con una sorta di piede in basso.
Nel lemma delle ICUR non viene riportata l’indicazione della presenza del foro, così
come accade in realtà anche per altre lastre pubblicate nel corpus, nonostante questo
fosse stato segnalato nell’apografo della scheda preparatoria (fig. 4); dalla stessa scheda
si intuisce inoltre come Ferrua non avesse compreso la stretta interrelazione tra foro e
cantharos, che sono disegnati nettamente separati tra loro.
La non pertinenza della lastra al luogo di collocazione, così come la paleografia disor-
dinata e piuttosto estemporanea, non forniscono indicazioni probanti in merito alla cro-
nologia del pezzo, che può essere inquadrata nell’arco temporale di utilizzo della regione
cimiteriale11; non si possono proporre infatti criteri inequivocabili, anche per l’incertezza
relativa alla tipologia di sepolcro cui la lastra fa riferimento12.

6
Per altre lastre con tracce di calce ritrovate nel cimitero di Pretestato, cfr. Josi 1936, p. 215.
7
In greco il verbo ha il significato di “essere lontano”, in questo caso di “morire allontanandosi”, che ben si
adatta all’allontanamento della piccola defunta dai suoi genitori, e si ritrova anche in altre iscrizioni funera-
rie cristiane di Roma, nonostante non sia usato di frequente, come riscontrabile in Felle 1997, p. 14, in cui
sono riportate sette attestazioni.
8
Così come i derivati dal latino victoria, tutti nomi augurali, dati ai bambini nella speranza di una vita pro-
spera e ricca (cfr. Kajanto 1965, pp. 71-73, 272-281).
9
Per la diffusione del nome, cfr. Solin 2003, vol. 2, p. 907. Si nota il consueto fenomeno di ipercorrettismo
dello i reso con il dittongo ei; molto più attestato è il corrispondente maschile Nίkw.
10
Il disegno graffito sul corpo dell’anfora può essere attribuito ad un monogramma cristologico, come attesta-
to anche in altri disegni similari, come ad esempio Mazzoleni 1997, tav. 170 n°19: il cantharos biansato,
con parte inferiore decorata a baccellature, presenta nella parte superiore un monogramma cristologico
stilizzato (ICUR, I 1590= IX 24295).
11
Supra, nota 5.
12
Le dimensioni e la struttura della lastra di Neikòs si adatterebbero bene alla copertura di una forma, tipo-
logia funeraria ampliamente attestata nella regione B; la presenza del foro e di tracce del suo uso devono
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Al manufatto preso in esame si associa inoltre anche un’altra particolarità: nell’ambu-


lacro E (fig. 1, B) si conserva un’iscrizione13, dedicata ad una persona con lo stesso nome
(fig. 5); la lastra, di marmo bianco, misura cm 68x20x2, dimensioni che sembrano effetti-
vamente suggerire la predisposizione per un loculo infantile. Il lato visibile non presenta
tracce di malta di chiusura, mentre il retro, indagato solo parzialmente per l’impossibilità
di staccare il supporto, sembra essere levigato.
Ancora più peculiare risulta essere l’apparato epigrafico, composto da due iscrizioni,
incise intersecate l’una all’altra.
L’epitaffio più lungo, scolpito evidentemente per primo, e posizionato nel senso di
lettura visibile oggi, riporta questo testo: ejntau=qa kei=tai / NeikwVVç mhnw=n / ia’.
Accanto all’indicazione dell’età vissuta, si trova un elemento decorativo che sembre-
rebbe, stando all’interpretazione di Ferrua, il viso di una fanciulla, una sorta di ritratto,
pur se molto incerto e disegnato sommariamente, della bambina ricordata nella dedica.
Dall’altro lato14 (fig. 6) venne incisa un’acclamazione15, posta dai genitori dedicanti
alla figlia, NeikwVVç eu[moiroç qugavthr16.
L’identità del nome, peraltro in una variante, come si è detto, non altrimenti attesta-
ta, la coincidenza dell’indicazione biometrica nonché la somiglianza di alcuni elementi
paleografici concorrono a far ritenere che le due lastre facciano riferimento alla stessa
defunta, testimoniando l’esistenza di una preparazione complessa della sua sepoltura.
Dal momento che nessuno dei due supporti risulta essere in situ, si possono proporre
alcune soluzioni per questa situazione, non molto comune nel panorama epigrafico dei
cimiteri romani17.
Le lastre potrebbero infatti essere relative a due momenti diversi dell’elaborazione del
testo definitivo; la prima potrebbe essere quindi una sorta di bozza preparatoria, di minu-
ta, modificata a favore del formulario, più ricco, predisposto per il loculo18.

far ipotizzare tuttavia che, in qualche momento della sua storia, il supporto dovette essere posizionato in
verticale, sistemazione che giustificherebbe e renderebbe plausibili le incrostazioni di liquido connesse con
il foro stesso (infra).
13
ICUR, V 15090.
14
La particolarità della scrittura su linee intersecate si può ascrivere forse ad una non perfetta conoscenza
della lingua greca da parte del lapicida, che copiò il testo non considerando evidentemente il senso di lettura
una volta messa in opera la lastra (per le ipotesi relative alla sistemazione del pezzo, v. infra).
15
Per altri esempi di reduplicazione del nome all’interno della stessa iscrizione, cfr. la lastra di Ἢlij (ICUR,
V 14983), il graffito su malta di chiusura ICUR, V 14504, entrambi da Pretestato, e l’epitaffio di Hilaros,
dal cimitero di Novaziano (ICUR, VIII 20571).
16
L’aggettivo è un derivato del verbo eὐmoirέw, particolarmente usato, soprattutto nella forma dell’im-
perativo eὐmoιreῖ, nei testi epigrafici (cfr. Liddell-Scott, p. 722); è presente anche la forma avverbiale
eὐmoίrως, collegata sempre con verbi che significano “morire, vivere”, come ἀpoθnῄσκein.
17
Un esempio relativo a due lastre differenti per gli stessi defunti proviene dalla catacomba di Commodilla,
dalla cosiddetta “regione di Leone”: si tratta di due epitaffi per una coppia di coniugi, datati al 398 e al
402 (rispettivamente ICUR, II 8647 e 8649), relativi a due fasi di sistemazione funeraria, in questo caso
ben precisabili anche dal punto di vista della consequenzialità cronologica (cfr. Ferrua 1957, pp. 29-31).
18
Per un’ipotesi simile, cfr. anche la già citata epigrafe ICUR, VIII 20571, di “Ilaroj; l’iscrizione è incisa
con lettere rubricate, mentre in basso a destra è ripetuto il nome del defunto: è possibile ipotizzare che il
nome venne graffito per diventare quasi una sorta di esempio, una minuta per colui che avrebbe dovuto
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In alternativa si può pensare a due tipologie di sepolture differenti, successive nel


tempo, presumibilmente prima il loculo e successivamente una tomba più grande, forse
realizzata per un nucleo familiare o comunque per deposizioni multiple.
Non è da escludere inoltre la possibilità che le due epigrafi fossero pertinenti ad un
allestimento di un sepolcro più articolato, che ne prevedeva l’installazione contestuale e
contemporanea.
I luoghi di collocazione attuali, verosimilmente corrispondenti a quelli di ritrovamen-
to, se si tiene conto dei criteri espositivi generalmente adottati in catacomba, pur se lonta-
ni tra loro, potrebbero non essere del tutto incongruenti; infatti le due regioni del cimitero
sono posizionate a quote differenti e il lucernario O3 funge da collegamento tra la regione
denominata B, dove è conservata la lastra più grande, e quella denominata E, posta ad un
livello inferiore, dove è attualmente musealizzata l’epigrafe con il doppio epitaffio, che
potrebbe essere quindi precipitata dal piano superiore19.
Ritornando all’oggetto del presente contributo, si ritiene opportuno soffermarsi su
alcune riflessioni.
Se da un lato sembra impossibile contemplare un’unitarietà esecutiva del disegno e
dell’iscrizione per la piccola Neikòs, dal momento che questi risultano ben leggibili e
fruibili solo se considerati in sensi opposti, è evidentemente imprescindibile stabilire una
strettissima connessione tra l’immagine del cantharos e il foro ricavato nel supporto epi-
grafico; pur essendo infatti noti numerosi esempi sia di lastre con fori che con incisioni di
contenitori di diverse tipologie, la stringente correlazione tra questi due elementi appare
essere qui attestata in maniera inedita e singolare.
In particolare, il cantharos raffigurato accanto al foro nell’esplicito atto di introdurre
qualcosa all’interno della tomba sembra alludere in modo piuttosto evidente al rituale
delle libagioni funerarie.
L’insieme foro/cantharos richiama infatti tutta una serie di dispositivi connessi con
sepolture, da cui risulta evidente il risvolto materiale di queste istallazioni, cioè la com-
partecipazione del defunto ai riti funerari svolti presso i sepolcri, con riferimento parti-
colare ai refrigeria.
La celebrazione di rituali particolari in onore dei defunti era una prassi molto diffusa
e radicata nel mondo romano20; durante i primi secoli del Cristianesimo, questa tradizione
continua ad essere praticata, nonostante l’opposizione di alcuni esponenti della gerarchia
ecclesiastica, come attestato da diverse fonti letterarie21, e anzi, vengono mutuati con il
tramite della nuova fede, arricchendosi di ulteriori significati e modalità22.

incidere il testo definitivo.


19
Spera 2004, part. pp. 138, 146.
20
Per una bibliografia generale sui riti funerari nell’antichità, cfr. Toynbee 1971 e l’ampia panoramica, so-
prattutto per la completa raccolta di fonti letterarie, in Volp 2002, part. pp. 11-95.

Per un quadro generale relativo alla concezione della morte presso i cristiani e ai cimiteri paleocristiani,
cfr. Ferrua 1941; Février 1978; Giuntella, Borghetti, Stiaffini 1985; Février 1987; Giuntella 1998;
Giuntella 1999; Marinone 2000; De Santis 2000; Spera 2005.
21
Per una panoramica delle fonti, cfr. Spera 2005, part. pp. 7-10; De Santis 2008, coll. 4544-4546.
22
Cfr. bibliografia alla nota 20; sui riti funerari in ambito cristiano, cfr. la recenti sintesi in De Santis 2008,
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I banchetti funebri in particolare, considerata anche la loro valenza come elementi


aggreganti dal punto di vista sociale, presentano numerosi riflessi archeologici, rintrac-
ciabili nei diversi contesti cimiteriali. A questo aspetto possono essere ricollegate infatti
alcune tipologie di impianti e strutture, quali bancali23, mensae24, cattedre25, così come
vani appositi in cui si era evidentemente soliti celebrare questi rituali26. La presenza di tali
strutture si legava alla convinzione, ben radicata, che il defunto dovesse in qualche modo
condividere il momento del banchetto funebre, partecipandovi anche materialmente; que-
sta convinzione aveva come effetto materiale l’allestimento, negli spazi funerari, di una
serie di dispositivi adatti effettivamente a creare una sorta di comunicazione tra il mondo
dei morti e quello dei vivi.
Questi dispositivi potevano assumere differenti tipologie, anche in relazione alle di-
verse modalità di sepoltura; i sistemi più semplici prevedevano appunto la creazione di
fori, perlopiù circolari, nelle lastre di chiusura delle tombe27, spesso praticati in corrispon-
denza della testa o della bocca dell’inumato28, ma anche colatoi29 e condotti, in alcuni
casi piuttosto complessi, con tubuli, a volte metallici30 ma più frequentemente fittili, in
connessione anche con sarcofagi monumentali, come nel ben noto esempio del sarcofago
di Lot a S. Sebastiano31.

part. coll. 4543-4551.


23
Come documentato ad esempio in un cubicolo proprio della catacomba di Pretestato (Spera 2004, pp. 70,
183-186).
24
Per un ampio repertorio di attestazioni, cfr. Chalkia 1992.
25
Ben note sono le numerose cattedre presenti nel coemeterium Maius sulla via Nomentana (Fasola
1961).
26
Un caso esplicativo è l’ambiente appartenente al cosiddetto ipogeo degli Acilii nella catacomba di Priscilla,
un’originaria cisterna che ricevette agli inizi del III secolo una trasformazione funzionale con la sistema-
zione di bancali alle pareti (Tolotti 1970, pp. 154-161).
27
Sulle lastre forate cfr. anche l’articolo di Ferrua 1940, part. pp. 13 ss., con la descrizione della nota lastra
di Beratius Nikatoras, per la quale si rimanda al contributo di Matteo Braconi in questi stessi Atti.

Lastre con fori per libagioni sono attestate in vari contesti funerari, come ad esempio in una copertura di una
forma trovata in uno dei mausolei connessi alla basilica costantiniana del cimitero di Marcellino e Pietro ad
duas lauros (per cui cfr. Fevrier 1984, p. 167; specificamente sul mausoleo, Guyon 1984, pp. 27-68, part.
pp. 44-45; Guyon 1987, pp. 274-278); dalla catacomba di Novaziano proviene invece l’epigrafe funeraria
di Aurelia Exuperantia in cui “nel marmo, a 1,46 m, venne tagliato un disco di 55 mm di diametro, che
permetteva di immettere aromi nel sepolcro” (Josi 1934, p. 29).
28
Cfr. ad esempio le osservazioni in Parmeggiani 1985, p. 211. La consuetudine di sistemare particolari
dispositivi e oggetti in posizione simbolica rispetto al corpo dei defunti era una pratica molto diffusa (De
Santis 2000, p. 238).
29
Ampiamente attestati nelle aree funerarie del mondo romano; per un esempio proveniente da contesti ci-
miteriali cristiani, cfr. la lastra appartenente al secondo piano della catacomba di Priscilla citata in Fevrier
1984, p. 167 (per la localizzazione della lastra l’autore esclude la provenienza dall’area subdiale).
30
Ben noto è l’esempio relativo al sarcofago ritrovato durante gli scavi della basilica Apostolorum, presso cui
furono scoperti dei sottili tubi in bronzo, originariamente inseriti l’uno nell’altro, che molto probabilmente
erano connessi ai fori praticati nella lastra che chiudeva il sepolcro; nella sepoltura furono trovati “due
cumuletti di sostanze aromatiche di un color verde chiaro, l’uno sul petto e l’altro sui piedi … in corrispon-
denza con i fori del coperchio del sarcofago” (notizie sul ritrovamento in Profumo 1914, pp. 457-458; vd.
anche Styger 1918, pp. 18-20; Nieddu 2009, pp. 127-128).
31
Ferrua 1951, pp. 21-31, Nieddu 2009, p. 289: i tubuli fittili erano inseriti nel conglomerato che sigillava la
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Probabilmente funzionali all’introduzione di cibi, bevande e aromi all’interno della


tomba erano anche alcune aperture ricavate appositamente nelle sepolture, come accade
ad esempio in un loculo della catacomba di Pretestato, in cui era stata realizzata “una
stretta apertura obliqua, di fianco ad una testata, esattamente ed appena sufficiente al
passaggio di una mano”32.
Nel caso della lastra di Neikòs, il rapporto inequivocabile tra foro e cantharos, e so-
prattutto la loro effettiva funzionalità, sono confermati dalle consistenti tracce di scolatu-
ra di sostanze liquide visibili attorno al foro direzionate, come è evidente, dall’alto verso
il basso (fig. 7).
È stato possibile, grazie alla generosa disponibilità del Dott. Ernesto Borrelli dell’isti-
tuto Superiore per la Conservazione e il Restauro, eseguire alcune analisi sulla concrezio-
ne visibile sulla lastra, che hanno rivelato la presenza di elementi proteici che potrebbero
essere correlate, naturalmente in via ipotetica ma senza dubbio suggestiva, con sostanze
quali latte o miele, configurandosi così come una possibile conferma tangibile di quanto
riportato dalle fonti letterarie che, come è noto, attestano offerte ai defunti di cibo33 e be-
vande, tra cui appunto latte34, miele35, vino36, olio37 o anche semplicemente acqua38, così
come l’aspersione del sepolcro con olii, aromi, profumi39 e incensi, o la loro introduzione
all’interno delle tombe, come ricordano i ben conosciuti passi di Prudenzio40 e Paolino
di Nola41.
Da questo punto di vista, la raffigurazione incisa sulla lastra di Neikòs, in connessione
con il foro per libagioni, sembra rappresentare effettivamente un unicum nel panorama
degli apparati grafici presenti sulle lastre funerarie.
L’uso concreto del foro per l’immissione di liquidi nel sepolcro induce a presuppor-
re per la lastra con cantharos un posizionamento sicuramente in verticale, almeno nel
momento in cui l’apertura risulta essere attivamente utilizzata; pur essendo infatti un
supporto che, per dimensioni e tipologia, ben si adatterebbe ad una forma, è sicuramente
più opportuno ipotizzare, un reimpiego come chiusura di una tomba di un arcosolio, even-
tualmente in una situazione di riutilizzo.
La regione B, dove è conservata la lastra, si configura infatti come un’area retrosan-

cassa, e arrivavano direttamente in corrispondenza della bocca dell’inumato.


32
Cfr. Profumo 1914, p. 459; il loculo non è più rintracciabile nelle gallerie del cimitero (cfr. Spera 2005, p.
30).
33
Tra cui ceci, lenticchie, fagioli, fave (Toynbee 1971, pp. 37-38).
34
Serv., ad Aen. III, 67.
35
CIL, XI 1420.
36
Verg., Aen. V, 77; 98.
37
Arnob., = nat. VII, 20.
38
Fest., ep. XI.
39
Parmeggiani 1985, p. 215.
40
Prud., cath. X, 169-172 (CCh, SL, CXXVI, p. 59): et frigida saxa liquido spargemus odore.
41
Paul., carm XXI, vv. 590-615 (PL LXI, cc. 594-595: Paolino ricorda la visita al sepolcro venerato di S.
Felice, descrivendo l’infusione nella tomba di liquidi odorosi (Ista superficies tabulae gemino patet / ore
praebens infuso subiecta foramina nardi / […] haec subito infusos solito sibi more liquores vascula de
tumulo terra subeunte biberunt, / quique loco dederant nardum, exhaurire parentes, / ut sibi iam ferrent).
Libagioni e riti funerari 411

ctos, vicino ai luoghi venerati della spelunca magna42, presentando fasi di occupazione
intensiva degli spazi funerari, di cui sono testimonianza ad esempio le numerose sepol-
ture scavate nei piani pavimentali, il cui ritrovamento è attestato dagli scavi dello Josi
negli anni Trenta43, o anche le diverse forme di reimpiego dei sepolcri, articolate con varie
modalità; in alcuni casi infatti nuove murature con spazi per deposizioni si addossano alle
più antiche pilae di loculi44 (fig. 8), mentre per gli arcosoli sono documentate inumazioni
ulteriori che si dispongono sui piani di copertura delle casse, sigillate da muretti anche
intonacati45 (fig. 9).
La grande varietà di tipologie sepolcrali attestate consente infatti di proporre diverse
possibili soluzioni alternative. Le tracce di intonaco visibili sulla lastra potrebbero effetti-
vamente essere messe in correlazione con una eventuale nuova sistemazione, che proba-
bilmente nascose il testo dell’iscrizione, non pertinente a questa ulteriore fase.
Al di là delle considerazioni relative ai dispositivi per libagioni correlati alle sepol-
ture, di cui è nota una casistica molto ampia e diversificata, in questo caso è da rimarca-
re piuttosto la singolarità della connessione tra immagine e dispositivo strutturale della
tomba, quasi una sorta di “libretto di istruzioni” per chi si apprestava a celebrare i rituali
funerari in onore dei defunti46.
La raffigurazione del cantharos in connessione con il foro risponde evidentemente ad
un duplice intento: da un lato quello in un certo senso didascalico, esplicativo dell’atto
della libagione, dall’altro una forse suggestiva idea di un refrigerium perenne, quasi come
se il disegno si sostituisse e completasse in qualche modo l’atto dell’offerta al defunto,
per assicurargli un sollievo ininterrotto nella sua vita eterna.

Laura Acampora

42
Sull’utilizzazione più tarda della regione cfr. Spera 2004, pp. 258-261. Il fenomeno si riscontra comune-
mente ed è ampiamente attestato in altri contesti cimiteriali: per ampliare lo spazio destinato alle deposizio-
ni, soprattutto in concomitanza con la presenza di sepolture venerate, che “attraevano” le altre, non si esita
a proporre inedite e articolate soluzioni che implementano lo spazio funerario.
43
Resoconti in Josi 1936; cfr. anche i dati dei Giornali di scavo riportati in Spera 2004, pp. 132-136.
44
Spera 2004, p. 258.
45
Lo stesso sistema è attestato ad esempio anche per alcuni arcosoli della catacomba di Domitilla, sempre nei
settori caratterizzati come aree retrosanctos, che giustificano l’intensificazione delle sepolture con forme
particolari di rioccupazione; le chiusure delle arche venivano eseguite con murature più o meno regolari,
impiegando come materiali anche lastre marmoree e laterizi (cfr. Nuzzo 2000, p. 61, figg. 85, 86).
46
Per il valore didascalico di alcune immagini, cfr. ad esempio un pettine in avorio, proveniente dal corredo
di una tomba della catacomba di S. Ippolito: nello spazio tra le due file di denti presenta la raffigurazione,
unica nell’ambito delle decorazioni di questi oggetti, di un piccolo elefante, simbolo del materiale in cui lo
strumento era realizzato (Felle, Del Moro, Nuzzo 1994, p. 119).
412 Laura Acampora

Bibliografia

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Fig. 1 - Planimetria del complesso cimiteriale di Pretestato (da Tolotti 1978).

Fig. 2 - Lastra ICUR, V 15091.


416 Laura Acampora

Fig. 3 - Particolare del cantharos.


Libagioni e riti funerari 417

Fig. 4 - Apografo di ICUR, V 15091 eseguito da A. Ferrua


(Archivio Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana).

Fig. 5 - Lastra ICUR, V 15090 (a).


418 Laura Acampora

Fig. 6 - Lastra ICUR, V 15090 (b).

Fig. 7 - Particolare delle incrostazioni connesse


con il foro nella lastra ICUR, V 15091.
Libagioni e riti funerari 419

Fig. 8 - Sepolture aggiunte in una delle gallerie della catacomba di Pretestato.

Fig. 9 - Arcosolio reimpiegato e chiuso con muratura nella catacomba di Pretestato.

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