Laura Acampora
1
Ringrazio il prof. Fabrizio Bisconti e il dott. Matteo Braconi per l’invito a presentare il contributo in questa
sede e la prof.ssa Lucrezia Spera per avermi fornito lo spunto di studiare la lastra in oggetto e per i sugge-
rimenti e la disponibilità sempre dimostratami. Per i consigli ringrazio il prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai,
Matteo Braconi, Paola De Santis, Donatella Nuzzo, Cecilia Proverbio e Alessandro Vella.
2
Le ricerche sono state eseguite per la tesi di laurea in Epigrafia Greca presso l’Università di Roma “La
Sapienza” dal titolo Le iscrizioni greche della catacomba di Pretestato, discussa nell’a.a. 2002/2003.
3
Il complesso cimiteriale, situato a Roma nella zona dell’odierna via Appia Pignatelli, è stato oggetto di vari
e importanti studi topografici, tra cui sono da ricordare Tolotti 1977, Tolotti 1978 e da ultima l’indagine
globale e completa edita in Spera 2004.
4
ICUR, V 15091.
5
La galleria B15 è compresa nella regione della catacomba denominata appunto B, regione che si sviluppò
a partire dall’area centrale, la spelunca magna, ricca di sepolture martiriali; le prime occupazioni funerarie
sono probabilmente da assegnare agli immediati inizi del IV secolo, come attestano alcuni dati epigrafici
(in particolare l’iscrizione ICUR, V 13887, datata al 307/308). L’intero settore della catacomba si configurò
come una zona retrosanctos, che ricevette una fruizione più intensiva a partire dalla seconda metà del IV
secolo, testimoniata dalle fasi di reimpiego e riutilizzazione delle sepolture originarie, spesso anche utiliz-
zando inediti e particolari sistemi di inserimento in spazi occupati precedentemente (infra, p. 411; per le
tipologie funerarie presenti in questa regione cfr. Nuzzo 2000, p. 133).
Le indagini in quest’area sono descritte nel resoconto di Josi 1936, part. p. 207; lo studioso enuncia le
numerose difficoltà dello scavo, dovute anche alle “infinite formae che si sono incontrate in tutti i punti
delle gallerie sgombrate dalle terre, molto spesso di grande ampiezza e profondità”. Lo stesso Josi ricorda
che proprio in occasione di questi lavori furono recuperate ingenti quantità di materiali adoperati per la
chiusura delle formae e di molte delle sepolture dell’area, tra cui potrebbe esserci proprio la lastra oggetto
del presente studio. Per un’analisi e una revisione completa della regione, vedi Spera 2004, pp. 132-136,
230-237, 258-261.
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come quelli brevi, risulta tagliato, configurandosi probabilmente come un pezzo di reim-
piego.
La superficie si presenta alterata da numerose scheggiature e scalfitture che non com-
promettono comunque la leggibilità del testo e dell’immagine, e da tracce di intonaco
bianco, particolarmente evidenti sul bordo inferiore6; il retro è sbozzato.
L’iscrizione che campeggia sulla lastra, occupandone una buona parte, è dedicata alla
piccola defunta Neikòs: ajpegevneto / NeikwVç / mhnw=n ia’.
La formula del testo è molto semplice, con il nome della defunta, l’indicazione dell’età
vissuta e il verbo “morire”, ἀpogίgnesqai, non utilizzato frequentemente nelle iscrizioni
di Roma7; anche l’elemento onomastico, pur facendo parte della categoria piuttosto dif-
fusa di derivati dal termine nìke8, non risulta essere altrimenti attestato in questa grafia9.
In alto a destra si trova un foro circolare, passante, del diametro di circa 3 cm, che
presenta tracce e incrostazioni apparentemente relative ad un liquido connesso con il foro
stesso.
Accanto al foro è disegnato, in maniera stilizzata, schematica e imprecisa, ma ricca di
particolari, un oggetto identificabile come un cantharos con anse a voluta, molto pronun-
ciate, ed elementi decorativi lineari sul corpo schiacciato (fig. 3); la base è rappresentata
da un supporto triangolare, solcato da linee oblique10, con una sorta di piede in basso.
Nel lemma delle ICUR non viene riportata l’indicazione della presenza del foro, così
come accade in realtà anche per altre lastre pubblicate nel corpus, nonostante questo
fosse stato segnalato nell’apografo della scheda preparatoria (fig. 4); dalla stessa scheda
si intuisce inoltre come Ferrua non avesse compreso la stretta interrelazione tra foro e
cantharos, che sono disegnati nettamente separati tra loro.
La non pertinenza della lastra al luogo di collocazione, così come la paleografia disor-
dinata e piuttosto estemporanea, non forniscono indicazioni probanti in merito alla cro-
nologia del pezzo, che può essere inquadrata nell’arco temporale di utilizzo della regione
cimiteriale11; non si possono proporre infatti criteri inequivocabili, anche per l’incertezza
relativa alla tipologia di sepolcro cui la lastra fa riferimento12.
6
Per altre lastre con tracce di calce ritrovate nel cimitero di Pretestato, cfr. Josi 1936, p. 215.
7
In greco il verbo ha il significato di “essere lontano”, in questo caso di “morire allontanandosi”, che ben si
adatta all’allontanamento della piccola defunta dai suoi genitori, e si ritrova anche in altre iscrizioni funera-
rie cristiane di Roma, nonostante non sia usato di frequente, come riscontrabile in Felle 1997, p. 14, in cui
sono riportate sette attestazioni.
8
Così come i derivati dal latino victoria, tutti nomi augurali, dati ai bambini nella speranza di una vita pro-
spera e ricca (cfr. Kajanto 1965, pp. 71-73, 272-281).
9
Per la diffusione del nome, cfr. Solin 2003, vol. 2, p. 907. Si nota il consueto fenomeno di ipercorrettismo
dello i reso con il dittongo ei; molto più attestato è il corrispondente maschile Nίkw.
10
Il disegno graffito sul corpo dell’anfora può essere attribuito ad un monogramma cristologico, come attesta-
to anche in altri disegni similari, come ad esempio Mazzoleni 1997, tav. 170 n°19: il cantharos biansato,
con parte inferiore decorata a baccellature, presenta nella parte superiore un monogramma cristologico
stilizzato (ICUR, I 1590= IX 24295).
11
Supra, nota 5.
12
Le dimensioni e la struttura della lastra di Neikòs si adatterebbero bene alla copertura di una forma, tipo-
logia funeraria ampliamente attestata nella regione B; la presenza del foro e di tracce del suo uso devono
Libagioni e riti funerari 407
far ipotizzare tuttavia che, in qualche momento della sua storia, il supporto dovette essere posizionato in
verticale, sistemazione che giustificherebbe e renderebbe plausibili le incrostazioni di liquido connesse con
il foro stesso (infra).
13
ICUR, V 15090.
14
La particolarità della scrittura su linee intersecate si può ascrivere forse ad una non perfetta conoscenza
della lingua greca da parte del lapicida, che copiò il testo non considerando evidentemente il senso di lettura
una volta messa in opera la lastra (per le ipotesi relative alla sistemazione del pezzo, v. infra).
15
Per altri esempi di reduplicazione del nome all’interno della stessa iscrizione, cfr. la lastra di Ἢlij (ICUR,
V 14983), il graffito su malta di chiusura ICUR, V 14504, entrambi da Pretestato, e l’epitaffio di Hilaros,
dal cimitero di Novaziano (ICUR, VIII 20571).
16
L’aggettivo è un derivato del verbo eὐmoirέw, particolarmente usato, soprattutto nella forma dell’im-
perativo eὐmoιreῖ, nei testi epigrafici (cfr. Liddell-Scott, p. 722); è presente anche la forma avverbiale
eὐmoίrως, collegata sempre con verbi che significano “morire, vivere”, come ἀpoθnῄσκein.
17
Un esempio relativo a due lastre differenti per gli stessi defunti proviene dalla catacomba di Commodilla,
dalla cosiddetta “regione di Leone”: si tratta di due epitaffi per una coppia di coniugi, datati al 398 e al
402 (rispettivamente ICUR, II 8647 e 8649), relativi a due fasi di sistemazione funeraria, in questo caso
ben precisabili anche dal punto di vista della consequenzialità cronologica (cfr. Ferrua 1957, pp. 29-31).
18
Per un’ipotesi simile, cfr. anche la già citata epigrafe ICUR, VIII 20571, di “Ilaroj; l’iscrizione è incisa
con lettere rubricate, mentre in basso a destra è ripetuto il nome del defunto: è possibile ipotizzare che il
nome venne graffito per diventare quasi una sorta di esempio, una minuta per colui che avrebbe dovuto
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ctos, vicino ai luoghi venerati della spelunca magna42, presentando fasi di occupazione
intensiva degli spazi funerari, di cui sono testimonianza ad esempio le numerose sepol-
ture scavate nei piani pavimentali, il cui ritrovamento è attestato dagli scavi dello Josi
negli anni Trenta43, o anche le diverse forme di reimpiego dei sepolcri, articolate con varie
modalità; in alcuni casi infatti nuove murature con spazi per deposizioni si addossano alle
più antiche pilae di loculi44 (fig. 8), mentre per gli arcosoli sono documentate inumazioni
ulteriori che si dispongono sui piani di copertura delle casse, sigillate da muretti anche
intonacati45 (fig. 9).
La grande varietà di tipologie sepolcrali attestate consente infatti di proporre diverse
possibili soluzioni alternative. Le tracce di intonaco visibili sulla lastra potrebbero effetti-
vamente essere messe in correlazione con una eventuale nuova sistemazione, che proba-
bilmente nascose il testo dell’iscrizione, non pertinente a questa ulteriore fase.
Al di là delle considerazioni relative ai dispositivi per libagioni correlati alle sepol-
ture, di cui è nota una casistica molto ampia e diversificata, in questo caso è da rimarca-
re piuttosto la singolarità della connessione tra immagine e dispositivo strutturale della
tomba, quasi una sorta di “libretto di istruzioni” per chi si apprestava a celebrare i rituali
funerari in onore dei defunti46.
La raffigurazione del cantharos in connessione con il foro risponde evidentemente ad
un duplice intento: da un lato quello in un certo senso didascalico, esplicativo dell’atto
della libagione, dall’altro una forse suggestiva idea di un refrigerium perenne, quasi come
se il disegno si sostituisse e completasse in qualche modo l’atto dell’offerta al defunto,
per assicurargli un sollievo ininterrotto nella sua vita eterna.
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42
Sull’utilizzazione più tarda della regione cfr. Spera 2004, pp. 258-261. Il fenomeno si riscontra comune-
mente ed è ampiamente attestato in altri contesti cimiteriali: per ampliare lo spazio destinato alle deposizio-
ni, soprattutto in concomitanza con la presenza di sepolture venerate, che “attraevano” le altre, non si esita
a proporre inedite e articolate soluzioni che implementano lo spazio funerario.
43
Resoconti in Josi 1936; cfr. anche i dati dei Giornali di scavo riportati in Spera 2004, pp. 132-136.
44
Spera 2004, p. 258.
45
Lo stesso sistema è attestato ad esempio anche per alcuni arcosoli della catacomba di Domitilla, sempre nei
settori caratterizzati come aree retrosanctos, che giustificano l’intensificazione delle sepolture con forme
particolari di rioccupazione; le chiusure delle arche venivano eseguite con murature più o meno regolari,
impiegando come materiali anche lastre marmoree e laterizi (cfr. Nuzzo 2000, p. 61, figg. 85, 86).
46
Per il valore didascalico di alcune immagini, cfr. ad esempio un pettine in avorio, proveniente dal corredo
di una tomba della catacomba di S. Ippolito: nello spazio tra le due file di denti presenta la raffigurazione,
unica nell’ambito delle decorazioni di questi oggetti, di un piccolo elefante, simbolo del materiale in cui lo
strumento era realizzato (Felle, Del Moro, Nuzzo 1994, p. 119).
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