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DIRITTO ROMANO: i delitti e i quasi delitti


I delitti, atti illeciti privati che danno quindi luogo ad un’obbligazione che genera una penalità,
sono 4:
1) il furtum, che è unito sino dalle origini di Roma ed è unito già nella legge delle XII Tavole con
una disciplina che è chiara sin dall’età antica, e cioè il furtum è la sottrazione di una cosa
mobile altrui contro la volontà del proprietario. Gaio dice che si compie furto anche quando si
sottrae un filio familiae, una moglie con la manus, un autoratus e anche un addictus, quindi
persone libere sottoposte ad altre, alieni iuris. In quest’epoca si punisce anche se è
accompagnato dalla violenza, e cioè non esiste un esercizio autonomo di furto che non si
accompagni con la violenza. Il furto si distingue in due grandi categorie: il furtum manifestum,
cioè il furto in flagranza, e il furtum nec manifestum, cioè il furto non flagrante, quindi quando
la refurtiva è stata trovata dopo che è avvenuto il furto. Quella del furtum manifestum è una
pena gravissima perché se il ladro è un uomo libero viene fustigato e poi addictus, come se
avesse subito la manus iniectio, al derubato, che potrà decidere se venderlo trans Tiberim o
metterlo a morte; nel caso in cui sia uno schiavo, non essendoci la pratica dell’abbandono a
nossa, viene ucciso. Viceversa nel caso di furtum nec manifestum la pena è infinitamente meno
grave ed è la condanna in duplum, cioè il derubato sarà costretto a dare il doppio al derubato.
Viene equiparato al ladro in flagrante quando il derubato ha dei fortissimi sospetti, immagina
chi è l’autore del furto e pone in essere una particolare procedura detta quaestio lance et licio,
spiegata da Gaio dicendo che non esiste più e che si trattava di una procedura alquanto ridicola:
chi immagina chi sia il ladro si reca nella casa di quello che immagina ladro tenendo in mano un
piattino con dell’acqua e seminudo; se trova la refurtiva il ladro viene equiparato al ladro colto
in flagrante. Questo perché se uno ha soltanto ciò che copre i genitali e tiene le mani in vista,
non può nascondere nulla per portarla nella casa dell’ipotetico ladro facendolo risultare tale.
Vi sono due furti aggravati: fur (ladro) nocturnus e fur qui se telo defendit (che si difende col
telo). Nei due casi, il derubato può uccidere il ladro e in questo caso il ladro è stato iure caesus,
quindi il derubato che uccide il fur non compie omicidio. Il derubato in entrambi i casi ha un
unico obbligo: prima di uccidere deve chiamare a gran voce i vicini, ammesso che li abbia, e
comunque deve compiere la endoploratio. Dopo la legge delle XII Tavole, la nozione di furtum
si evolve e il furto rimane manifestum e nec manifestum, ma cambia la configurazione delle
pene: per il furto manifesto la pena diventa al quadruplo del valore della cosa rubata, mentre
quella del non manifesto rimane al duplum. Nel primo caso siamo certi che lui sia il ladro,
mentre nel caso del secondo c’è sempre un margine di incertezza, per cui la differenza di pena
sta proprio in questo fatto. Con l’andare del tempo poi si aggiungono due categorie di furtum:
concertum, quando si trova la refurtiva a casa di uno che si ritiene ladro e in questo caso la
pena è al triplum; oblatum, quando il ladro ha nascosto la refurtiva non a casa propria ma a
casa di un altro ignaro (perché se lo sa è complice del furtum e risponde come se fosse un
ladro), che se viene condannato, riuscendo ad individuare il ladro gli intenterà un’azione per
furtum oblatum e anche in questo caso la pena è al triplum: chiaramente prerequisito è che
non sia connivente, perché altrimenti è punito come ladro. Gli elementi necessari perché vi sia
furto nel diritto classico sono: contrectatio rei, ossia la cosa sia presa, maneggiamento della
cosa da parte del ladro; l’invito domino, ossia che il proprietario della cosa che venga rubato
deve essere contrario; animus furandi, ossia la consapevolezza del ladro di compiere furto;
animus lucrifaciendi, cioè il compimento del furto per un arricchimento. Se la rei è una cosa
sacra, si ha un crimine punito con la pena di morte. Se un individuo nasconde uno schiavo
fuggito con lo scopo di aiutarlo, compie furto.
2) la rapina la nozione di furto per una specifica fattispecie, ossia il furto con la violenza, ha una
variazione nel I sec. a.C.: Roma è segnata dalle guerre civili e in generale da violenza urbana,
compiuta da bande; a questo punto interviene il pretore Lucullo, che nel proprio editto
introduce il concetto di rapina e crea un’azione specifica, che non è più l’actio furti, ma
l’actio vi bonorum raptorum (azione dei beni sottratti con la violenza), un’azione privata e
penale che deve essere intentata entro un anno e mira al quadruplum; se trascorre un anno,
diventando difficile trovare il rapinatore, mira solo a richiedere la restituzione dei beni.
Ancora oggi, la differenza tra furto e rapina sta nell’utilizzo della violenza. Questa azione può
essere esercitata anche dagli eredi del rapinato, ma non vale il contrario: il rapinato non può
intentare l’azione contro gli eredi del rapinatore.
3) l’iniuria, che significa letteralmente contro il diritto, è qualunque offesa alla persona,
inizialmente solo fisica, poi anche morale (odierne diffamazioni). Nella legge delle XII Tavole
sono previste tre figure di lesioni alla persona: membrum ruptum, ossia l’amputazione di un
arto, la lesione più grave perché permanente, che è il classico caso di composizione volontaria
“Talio esto ni cu meo pacit”-“Vi sarà il taglione se i due non si mettono d’accordo” e cioè non
fanno un pactum; os fractum, ossia la frattura di un osso, che prevede una pena pecuniaria fissa
e si tratta di composizione legale, quindi è la legge che stabilisce la pena, di 300 assi se è stato
fratturato l’osso di un uomo libero, di 100 assi, se è stato fratturato l’osso di uno schiavo
(giuridicamente sembrerebbe il danneggiamento di una cosa altrui; al tempo delle 12 tavole non
esiste il reato di danneggiamento, ma esistono singole figure di danneggiamento alle cose altrui,
ma non c’è ancora il delitto che è il danneggiamento alle cose altrui; perciò vengono singoli
delitti riguardanti persone e cose); iniuria, ossia una lesione che porta ad un lido, punita con una
somma di 25 assi, che con il passare del tempo e il diminuire dell’inflazione diventa una somma
irrisoria, infatti già nel II sec. a. C. era quasi come i nostri 20 cent. L’evoluzione del tempo di
quest’ultima viene spiegata da Labeone, che riporta un aneddoto celeberrimo: a Roma vi era un
cavaliere, piuttosto bizzarro, Lucio Verazio, che camminava tra le strade di Roma facendosi
accompagnare dal suo schiavo con un sacco pieno di monete, di assi; quando incontrava un
cittadino gli dava uno schiaffo, prendeva 25 monete e gliele dava per estinguere l’obbligazione.
A quel punto interviene il pretore che cambia tutto: supera tutte le ipotesi precedenti creando
un’actio iniuriarum aestimatoria, in quanto per l’iniuria non vi sono precise cifre di denaro e
dunque di volta in volta si dovranno verificare in base alle circostanze di tempo, luogo e
persona. Es. se inavvertitamente o volontariamente si ha tagliata la mano a chi fa il sarto, il
danno è infinitamente più grande di quello che si arrecherebbe a un filosofo; quindi la pena è
commisurata al danno che si arreca ad un altro. Inoltre se lo si fa in pubblico è di gran lunga
peggiore che in privato. In altre parole non c’è più una pena fissa, poiché è determinata dalle
circostanze che configurano l’offesa subita.
4) damnum iniuria datum, cioè il danno causato senza avere diritto; al tempo delle XII Tavole
non esisteva questo delitto, ma singole fattispecie di danneggiamento di cosa altrui senza averne
diritto e vi è in particolare un’actio per una fattispecie chiamata de arboribus succisis, ossia per
taglio clandestino di alberi altrui ed erano stabiliti 25 assi per ogni albero tagliato. lA
Giurisprudenza romnana si appassiono all’interpretazione di questa legge, soffermandosi
proprio sulla nozione di alberi, che escluderebbe alcuni tipi di piante e ne includerebbe
sicuramente alberi: le conifere sono sicuramente alberi, mentre altri vegetali, come un cavolo;
con certezza la vite è sicuramente un albero. Alla fine proprio Gaio spiega i criteri per stabilire
quale pianta sia da definire come albero: la presenza di radici forti nel terreno e la tenerezza o
meno della pianta. Questa è una fattispsecie già determinata nelle XII Tavole a cui viene
aggiunta la frattura di un osso di uno schiavo altrui. Nel 486 a.C. viene promulgata la lex
Aquilia (colpa extracontrattuale detta aquiliana), composta da 3 capitoli: il primo è l’ipotesi di
chi ha ucciso uno schiavo o un animale res mancipi altrui (in questo caso è prevista addirittura
la manus iniectio), caso in cui il danneggiante si libererà dall’obbligsazione parlando il maggior
valorre della cosa entro l’anno, in quanto il valore di questi oscillano durante l’anno; il terzo
include un danneggiamento di cosa altrui, come bruciare, tagliare, rompere comunque
deteriorare, di cui chi se ne macchia dovrà pagare il massimo valore della cosa danneggiata
negli ultimi 30 giorni. La lex Aquilia è interpretata sin dal principio dalla giurisprudenza
romana con una particolare attenzione. Es. se con un calcio si provica l’aborto di una schiava
altrui, rientra nella nozione di rompere (quasi rupto). In particolare i giuristi stabiliscono due
criteri perché ci sia damnum iniuria datum: corpore corpori, cioè con il corpo ad un altro corpo
ed è la fisicità del fatto, il contatto materiale; nesso di causalità, ossia rapporto tra chi lo compie
e il danno, dolo e culpa, cioè una semplice negligenza, imprudenza o imperizia; questa colpa è
la colpa extracontrattuale, fuori dall’ambito contrattuale. Per quanto riguarda il primo requisito
anche questa nozione tende ad evolversi, perché ci sono dei danneggiamenti che non avvengono
con il contatto materiale: es. quello di chi con un grido fa scappare il gregge, che casca in un
burrone; in questo caso non cè contatto materiale, ma il danneggiamento si, dunque anche se
non c’è corpore corpori si ha comunque un sanneggiamento. Alla fine il pretore crea una legge
unica detta actio legis Aquiliae, che stabilirà il risarcimento del singolo danneggiamento in base
a ciò che è equo.
Es. se sono custode di un edificio, mi addormento e si diffondono le fiamme, vi è
danneggiamento poiché c’è un evidente danneggiamento causato dalla mia condotta.
A roma esistevano esattamente come oggi i barbieri: intorno al circo massimo vi erano
numerose botteghe di Barbieri. L’ipotesi è la seguente: un barbiere taglia la barba ad uno
schiavo e arriva una pallonata che colpisce la mano del barbiere che sta sulla gola dello schiavo
e inavvertitamente taglia la gola allo schiavo. In questo caso lasoluzione è da trovare nel
principio dell’uso normale: in altre parole se il barbiere era nella sua bottega e stava svolgendo
normalemente la sua professione, la palla arriva dall’esterno e dunque il responsabile è chi tira
la palla, perché è stato imprudente. Dunque il padrone intenterà l’azione contro chi ha tirato la
palla. Il barbiere non ha nessuna colpa perché stava svolgendo il suo mestiere. Se viceversa il
barbiere si mette a tagliare la barba negli spalti del circo, quindi fuori dall’ambiente naturale e
non rispettando le regole del suo mestiere, a quel punto qualunque oggetto che lo colpisca è
colpa sua, poiché si è messo lui nelle condizioni di essere ucciso. Quindi a questo punto il
padrone eserciterà l’actio ex legis aquiliae contro il barbiere.
I quasi delitti sono sempre 4:
a) iudex qui litem suam fecerit, il giudice che ha fatto propria la lite; non si tratta del giudice
corrotto, poiché è un crimen e viene punito con la morte. In questo casi è quando il giudice
non rispetta nella sentenza le istruzioni date dal pretore e subirà chiaramente un processo
civile, in cui se sarà ritenuto colpevole pagherà una somma di denaro pari al pregiudizio
economico arrecato alla parte che ha ritenuto da condannare. Il giudice che non ha rispettato
le istruzioni del pretore ha compiuto direttamente e personalmente un illecito. Quindi la
responsabilità è propria dunque soggettiva.
b) actio de effusis et deiectis, actio delle cose gettate da un’abitazione sulla pubblica via.
L’ipotesi è un appartamento e un oggetto che vola via su una pubblica via. Il motivo per cui
viene lanciata la cosa è del tutto irrilevante. Se questa cosa lanciata da una finestra causa la
morte di un uomo libero, c’è un’azione popolare che porta alla condanna a 50 mila sesterzi.
Se viene ferito un uomo libero, ci sarà il pagamento di una somma determinata in base a ciò
che è equo, e cioè in base all’entità della ferita e della persona. Se invece il lancio di una cosa
determina il danneggiamento di una cosa sottostante, in questo caso si pagherà il doppio del
danno arrecato. Chiaramente se non si sa chi ha buttato la cosa, chi è stato danneggiato
intenta l’azione contro l’abitante di quella casa, l’abitator, non il proprietario; naturalmente
se l’abitator che è stato condannato sa chi ha davvero lanciato la cosa, intenta l’actio
risarcitoria per avere ciò che è stato costretto a pagare. Si tratta di responsabilità oggettiva.
c) actio de positis et suspensis, per le cose sospese e pericolanti, ossia quando vi è una cosa
posata o sospesa può cadere sulla pubblica via e creare un danno. In questo caso è di nuovo
un’azione popolare e qualunque cittadino può esercitare l’azione contro l’abitator, che se non
è colpevole potrà intentare un’actio risarcitoria contro chi ha davvero posto quell’oggetto.
Anche in questo caso si tratta di responsabilità pggettiva.
d) actio contra nautas caupones stabularios, per i battellieri, albergatori e stallieri (chi
ricovera a pagamento gli animali, normalmente i cavalli); si tratta dunque di attività per il
pubblico con lo scopo di lucro. Quest’azione viene intentata contro queste tre categorie di
soggetti, ove le cose che sono conservate sulla nave, in albergo o nella stalla siano state
danneggiate o rubate. Se ci si trova in una stanza di albergo e si vede il cameriere che esce
con la valigia, si sa chi è il ladro ed è furtum in flagrante. QUestìazione viene intentata non
contro l’autore materiale ma contro il titolare dell’attività, poiché quando si ha a che fare con
il personale dipendente stabilire chi è il colpevole. Ancora una volta è una responsabilità
soggettiva. Il titolare dell’attività economica ha due colpe: culpa in eligendo, cioè la scelta
del personale, e culpa in vigilando, cioè la colpa nel non aver controllato adeguatamente i
dipendenti.
Quello che ha spinto i giustinanei. È il rispetto della classificazione tetrapartite, dunque era
necessario che anche quest’ultima categoria delle fonti delle obbligazioni avesse 4 fattispecie. È
un criterio di sistemazione più che di sostanza. I quasi delitti dunque sono degli atti illeciti che
difficilmente possono avere una definizione unitaria.

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