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I tre elementi del reato sono il fatto tipico, antigiuridicità obbiettiva e la colpevolezza.

Facciamo l’esempio di una


fattispecie di reato di evento causalmente orientata, a condotta vincolata come art 624 c.p. gli eventi sono lo
spossessamento. Furto nel supermercato, Tizio entra nel supermercato e prende un vino lo nasconde sotto al
cappotto va alla cassa paga una bustina di caramelle e poi supera la cassa e via. Viene fermato da una guardia
giurata e sgamato. Gli fa restituire la bottiglia e lo querela per furto. Il carabiniere che ha studiato legge dice che
non si può. In tal caso non c’è furto perché abbiamo la sottrazione, ma non l’impossessamento. Mancano ancora
degli elementi costituitivi del reato di furto. Manca un pezzo del reato di furto. Tizio non aveva ancora preso
pieno possesso del bene oggetto di furto, tanto è vero che è stato beccato. Non è possibile effettuare in tal caso
l’accertamento del fatto tipico (disciplina del tentativo). Mettiamo invece che tizio riesce invece ad uscire dal
supermercato, dove lo sta attendendo in un vicolo un amico su un’auto che lo aspettava per scappare via e
completare il furto. Arriva lo stesso carabiniere e ferma Tizio. E il complice? L’amico sull’auto ha realizzato i
furto? Se noi ci fermiamo all’analisi del fatto tipico dobbiamo affermare di no in quanto la sottrazione e
l’impossessamento sono stati realizzati interamente da tizio. Sia tizio sia l’amico ovvero il complice in realtà
rispondono entrambi di qualcosa, ma non del fatto tipico di furto. Se ci fermassimo a quello che abbiamo studiato
nel primo modulo dovremmo dire che non c’è reato in nessuno dei due casi precedentemente raccontati. Tizio e il
complice, infatti, pur non potendo rispondere del reato di furto così come descritto dalla norma incriminatrice,
rispondo però comunque di qualcosa, pur sempre di diverso. Esistono però delle clausole nel Codice penale che
combinandosi con le norme incriminatrici lo trasformano in un qualcosa di altro, in un diverso fatto tipico.
Fenomeno delle forme di manifestazione del reato. Una determinata fattispecie di reato combinandosi con una
norma penale di parte generale (norma speciale + norma generale) genera una nuova fattispecie di reato che è
diversa da quella base, ma che in qualche modo si assomigliano. Ad esempio, la disciplina del tentativo ruota
intorno a questa logica. Una norma di diritto penale speciale si combina con l’art 56 c.p. e da vita alla nuova e
diversa fattispecie di reato del tentativo di quel reato base. Viene data una nuova forma ad un reato riuscendo a
ricomprendere anche quegli atti che, non rientrando espressamente nel fatto tipico, erano idonei alla piena
realizzazione del reato. Lo stesso ragionamento vale per la disciplina del concorso di persone. L’art 110 c.p.,
norma di diritto penale generale, si combina con una fattispecie di reato oggetto di una norma di diritto penale
speciale.
Che cosa sono le forme di manifestazione del reato? Si indicano fenomeni in presenza dei quali la vicenda
criminosa viene ad assumere una dimensione penalmente rilevante parzialmente diversa rispetto alle
caratteristiche della fattispecie così come descritta dalla norma incriminatrice. Fattispecie quindi che nascono da
una combinazione sistematica tra la norma incriminatrice base (es il furto) e altre disposizioni che si uniscono.
Disposizioni accessorie perché da sole non descrivono nessun fatto tipico di reato. Disposizioni modificatrice
perché nel momento in cui si combinano con la norma incriminatrice la vanno a modificare realizzando una
manifestazione diversa. Quando si incide sulla struttura parliamo del tentativo e del concorso. La manifestazione
può concretizzarsi nella struttura, oppure incisioni sul trattamento sanzionatorio. Concorso di persone nel furto
“Chiunque partecipa alla sottrazione della cosa mobile altrui a chi la detiene e/o partecipa all’impossessamento
finalizzato a trarne profitto”. Art 110 c.p. norma sul concorso. Il reato di concorso nel furto è un reato diverso dal
reato. Anche se resta un delitto perché la pena è la stessa, si tratta di delitti distinti e diversi. Si può rispondere
per concorso nei delitti a livello colposo grazie all’art 113 c.p., altrimenti non si potrebbe altrimenti perché
sappiamo che di delitto si risponde di norma solo a titolo doloso a meno che non ci sia una norma che
espressamente sancisca responsabilità colposa per delitto. Oppure una modificazione sul piano della sanzione, si
incide sul trattamento sanzionatorio. Si modella diversamente il trattamento sanzionatorio rispetto alla fattispecie
base. In questo caso ci riferiamo alla disciplina delle circostanze e del concorso di reati.
Tra la fattispecie base e quella tentata o con concorso di persone sussiste un’incompatibilità di fondo strutturale.
Es nella disciplina di concorso se io faccio il palo sicuramente risponderò di 110, ma non di reato ad esempio di
furto in quanto materialmente e concretamente non ho posto in essere la condotta descritta dalla norma
incriminatrice. Se invece Tizio e Caio eseguono ripartendosi i compiti e quindi in modo frazionato il reato di
furto, entrambi risponderanno di 110, ma nessuno dei due del reato di furto. Ecco che da questi esempi emerge
proprio l’incompatibilità tra la fattispecie base e quella nuova nascente dal combinato disposto. Laddove la forma
di manifestazione del reato incida sulla struttura, e non sulla risposta sanzionatoria significa che anche se le
due fattispecie saranno diverse e incompatibili manterranno la stessa natura in quanto la tipologia di pena per la
nuova fattispecie viene costruita per relationem rispetto alla fattispecie base. Ad esempio nel reato tentato, la
pena sarà ridotta in termini quantitativi, ma rimarrà della stessa tipologia. Ecco che se la fattispecie base è un
delitto allora la nuova fattispecie costruita per combinato disposto resterà ancora un delitto.
Circostanze del reato: fattispecie di reato di furto art 624 c.p. combinato con l’art 625 c.p. che disciplina una
lista di circostanze aggravanti speciali per il reato di furto. Le circostanze speciali si contraddistinguono
rispetto a quelle comuni in quanto si riferiscono unicamente ad un reato o a pochi reati. Le circostanze comuni si
possono applicare a qualsiasi reato. La lista dell’art 625 è talmente lunga ed ampia che è quasi impossibile
realizzare un furto senza una di queste. Le circostanze del reato sono una forma di manifestazione del reato che
non incide sulla struttura del reato stesso. Le circostanze sono c.d. elementi accidentali. Cioè non vanno a
modificare la struttura del reato di furto, ma vanno a specificare qualcosa di quel reato. Specializzano il fatto
tipico. Possono anche non esserci, e in tal caso avremmo realizzazione di furto nella sua forma base, ma se ci
sono incidono sulla pena del furto, spingendola o verso l’alto o vero il baso rispettivamente in caso di aggravanti
o circostanti. Forme di manifestazioni del reato che non incidono sulla struttura del reato. Tali circostanze
ovviamente sono diverse dagli elementi tipici del reato. Le circostanze sono elementi accidentali e non elementi
del fatto tipico in quanto se le circostanze non ci sono il reato si realizza ugualmente, meramente nella sua forma
base, ma si realizza.
Che differenza intercorre tra un reato con circostanza aggravante (la quale incide sulla pena rendendola più
gravosa) ed una fattispecie autonoma di reato più specifica che anch’essa va ad incidere in modo gravoso sulla
pena rispetto alla fattispecie base? Può capitare infatti che ad esempio il legislatore possa prendere una
circostanza aggravante e la porta all’interno di una fattispecie e rendendola quindi non più circostanza, ma
fattispecie autonoma. Di fatto potremmo dire nessuna differenza in quanto l’obbiettivo raggiunto è sempre lo
stesso: un inasprimento della pena. Ma in realtà c’è differenza. Cosa cambia? Le circostanze aggravanti sono
bilanciabili con le circostanze attenuanti. Si potrebbe dire che si equivalgono o addirittura le attenuanti sono
prevalenti sulle aggravanti. Il bilanciamento chiaramente non si fa con elementi del fatto tipico autonomo. Il
fatto tipico non è bilanciabile. Fondamentale saper distinguere tra le circostanze e i reati autonomi con elementi
specificati che incidono sulla pena. Le circostanze sono bilanciabili, tali addirittura da poter sparire. Un secondo
motivo è che le circostanze aggravanti si possono imputare anche per colpa, anche se il reato può essere
realizzato solo con dolo poiché si tratta di un delitto. Ma chi ce lo dice se siamo di fronte ad un reato
autonomo o ad una circostanza? Se l’elemento che specifica aggiunge degli elementi di tutela in più allora
siamo di fronte ad un reato autonomo. Se l’elemento in più specifica e basta siamo di fronte ad una semplice
circostanza. In realtà il criterio del bene giuridico non funziona. Prima di tutto per le motivazioni di sempre, la
nozione di bene giuridico è troppo ampio, oggetto di mera arbitrarietà da parte dell’interprete. Prendiamo ad
esempio l’art 578 c.p. una particolare ipotesi di omicidio. In qui il bene giuridico è lo stesso della fattispecie base
di omicidio, ovvero il bene vita. Dovremmo dire che l’art 578 è meramente una circostanza attenuante. Quali
sono allora i criteri per effettuare la distinzione?
Alle circostanze del reato il Codice penale dedica un intero capo. Ma la categoria non viene definita. Dobbiamo
quindi ricostruire la definizione attraverso le norme che disciplinano l’istituto. A partire dall’art 60 e ss troviamo
una disciplina riferita ad una specifica categoria che analizzandola si intende definita a criteri di ponderazione
della pena. Si riferisce a figure che incidono a fattispecie di reato all’unico e specifico scopo di incidere sulla
quantificazione della pena. Andando a vedere queste disposizioni ci insegnano come calcolare questi incrementi
o decrementi di pena. Elementi accidentali su fattispecie base. Possono portare ad un’applicazione della pena
oltre il massimo edittale o oltre il minimo edittale. “Aggravano il reato quando non sono elementi costitutivi
del reato”. art 69 ad esempio descrive la natura meramente accidentale, attraverso il bilanciamento le fattispecie
possono addirittura non trovare applicazione. La definizione di circostanze la possiamo ricavare in negativo.
Le circostanze sono proprie e improprie. Quelle improprie sono quelle dell’art 133 c.p. Poi ci sono le
circostanze proprie. La differenza sta nella loro funzione. Gli indicatori del 133 servono per graduare la pena
entro i limiti edittali, mentre le circostanze proprie possono spingere la pena oltre i limiti edittali. I criteri
quindi dell’art 133 sono utili al giudice per proporzionare la pena al caso concreto corrispondente alla
realizzazione del fatto tipico così come descritto nella norma incriminatrice, e rendere quindi corrispondente alla
realtà una pena che viene prevista dal legislatore attraverso i limiti edittali. Le circostanze proprie consentono al
giudice di fuoriuscire dai limiti stessi, andare oltre. Alterazione della pena davvero significativa. Le circostanze
improprie incidono sulla pena in modo bidirezionale, uno stesso elemento può incidere positivamente o
negativamente. Mentre le circostanze proprie o sono attenuanti o aggravanti, monodirezionali.
Qual è la distinzione tra le circostanze e gli elementi del fatto tipico? Le fattispecie circostanziate devono essere
speciali rispetto alla fattispecie base. Deve sussistere un rapporto di specialità. La specialità è un criterio
necessario, ma non sufficiente per stabilire se un determinato elemento è circostanza oppure no. Ad esempio la
rapina rispetto al furto, in questo caso c’è un rapporto di specialità ma furto e rapina sono comunque due reati
distinti e autonomi. Specialità criterio necessario, ma non sufficiente. Ci sono situazioni in cui non può che
trattarsi di fattispecie autonome. Ci sono situazioni in cui non può che trattarsi di circostanze del reato. Al di
fuori di questi casi semplici, 1. se manca il rapporto di specialità le due fattispecie sono autonome 2. se la legge
specifica espressamente che un elemento è circostanza siamo di fronte chiaramente ad una circostanza. Caso in
cui il legislatore espressamente dice che un elemento è una circostanza. Caso delle circostanze privilegiate, la
legge stabilisce che non si applica il bilanciamento. Sono delle aggravanti sono particolarmente importanti e che
quindi non possono essere bilanciate con attenuanti. Se il legislatore fa questa precisazione è evidente che si
tratta di una circostanza. Operare la distinzione per indicatori, indizi. Criterio finale che aiuti a superare i casi non
facili. Il principio di tassatività impone che il legislatore debba essere chiaro nell’introdurre scelte di
incriminazioni. Per cui ogni qual volta che ci troviamo di fronte a un caso dubbio dobbiamo optare per
considerarlo come circostanza aggravante del reato, in quanto se tale elemento fosse stato una fattispecie
autonoma di reato il legislatore avrebbe dovuto puntualizzarlo e specificarlo meglio in modo chiaro e
inequivoco. Si misura prima la pena in concreto entro i limiti edittali e su questo risultato operano le
circostanze.
Si possono differenziare circostanze ad effetto comune, speciale, autonome ed indipendenti. Impatto
notevolissimo anche a livello processuale. Art 63 c.p. norma in tema di concorso omogeneo di circostanze,
correlate o più attenuanti o più aggravanti (n.b. il concorso eterogeneo sussiste quando ineriscono ad una
medesima fattispecie di reato sia circostanze aggravanti sia attenuanti in modo tale che sia necessario compiere
un bilanciamento). Circostanze ad effetto comune sono quelle che comportano un aggravamento o una riduzione
della pena fino ad un terzo. Le circostanze speciali sono quelle che comportano un aumento o diminuzione della
pena che supera un terzo. Ci sono comunque dei massimi di alterazione della pena oltre ai quali non si può
comunque andare. Le circostanze comuni e speciali incidono sulla pena da un punto di vista quantitativo. Invece
le circostanze autonome che mutano la specie della pena, impatto maggiore in termini qualitativo. Se è presente
una circostanza autonoma che comporta un mutamento di tipologia di pena, le eventuali circostanti speciali e
comuni si applicano sulla pena prevista dalla circostanza autonoma. Quando la legge non ci dice niente si
applicano le circostanze comuni. Le circostanze indipendenti non mutano la specie di pena e non operano un
aumento o diminuzione della pena in termini frazionari, ma vanno a modificare proprio i termini edittali. Cosa
succede se questa circostanza è in concorso con altre? Questa categoria non è ignota al Codice penale, ma
conosciuta. La sua definizione è data dall’art 69 c.p. quarto comma, riferimento a circostanze che determinano la
misura della pena in modo indipendente rispetto alla fattispecie base. Che si fa in questi casi? Si applica la
disciplina delle circostanze autonome. Questo istituto impatta moltissimo sul principio di legalità inteso come
prevedibilità della pena. Non è praticamente possibile prevedere a occhio la pena, perché il gioco delle
circostanze incidono moltissimo sul quantificativo della pena in concreto. Le circostanze interrompono
notevolmente la corrispondenza tra la pena in concreto e la pena prevista dal legislatore. Discrezionalità del
giudice, forte problema in tema di principio di legalità. Discrezionalità ai limiti dell’arbitrio. Istituto che crea
parecchi problemi.
Come si imputano le circostanze. Fino agli anni Novanta si prevedeva un’imputazione oggettiva delle
circostanze. Questa impostazione prevedeva forte frizioni con il principio di colpevolezza. Il legislatore modifica
l’art 59 c.p. per cui le circostanze aggravanti sono imputabili solo se conosciute, ignorate per colpa, o ritenute
inesistenti per errore per colpa. Quelle attenuanti invece continuano ad essere imputate oggettivamente, solo il
fatto che ci sia opera (stessa ratio della causa di giustificazione). Conosciute o conoscibili. È sufficiente per le
aggravanti la semplice adesione psicologica della colpa da parte del reo. Casistica quindi di colpa in costanza di
attività illecita. Il problema che si è posto per quanto riguarda la disciplina dell’imputazione di aggravanti.
Requisiti della conoscenza o conoscibilità. Utilizzo del verbo “conoscere” crea un po’ di problemi. Perché alcune
circostanze aggravanti non sono suscettibili di essere conosciute. Il concetto di conoscenza si può applicare solo
a fatti passati o concomitanti, ma non ad eventi futuri. Ma tante circostanze aggravanti attengono ad eventi futuri,
es “il fatto produce un danno di entità rilevante” tale rilevanza la si può accertare solo nel futuro e non in
concomitanza all’azione o fatto. La giurisprudenza dice che laddove c’è scritto conoscenza leggiamo previsione.
Anche se sembra una scorciatoia. Non è quindi una soluzione.
Forse c’è un motivo per cui il legislatore ha previsto proprio la conoscenza. Forse perché desidera evitare che
certe aggravanti si applichino solo in considerazione di impulsi inconsapevoli. Nei casi ad esempio di crudeltà,
circostanza che va a vedere le motivazioni inconsce della persona. Giudizio sul tipo di autore. Ma questo
chiaramente non può andare bene, si compie un giudizio morale sulla persona, sul suo essere buono o cattivo.
Possiamo dire che allora queste aggravanti si applicano solo quando il soggetto, pur essendo mosso da quelle
intenzioni (ad esempio con crudeltà o per futili motivi), le conosce e quindi è consapevole della valutazione
negativa che la società da a quei comportamenti. Aveva motivi per non essere crudele, conosceva il fatto che la
società stigmatizza quei comportamenti. Con questa impostazione vengono convertite quelle aggravanti riferite al
giudizio sull’inconscio delle persone. Orientiamo la disciplina delle circostanze aggravanti al principio di
colpevolezza normativa.
Riprendiamo il tema dei reati aggravati dall’evento, il cui evento non deve essere voluto dal soggetto attivo.
Altrimenti non applicheremo la disciplina del reato aggravato dall’evento, ma la fattispecie autonoma di carattere
dolosa. Se io meno una persona con l’intento di ucciderlo, risponderò in via autonoma di omicidio volontario. È
anche per questo che si prevede l’utilizzo della conoscenza, in quanto l’evento ulteriore non deve essere voluto.
Se il legislatore se avesse detto che l’evento ulteriore doveva essere preveduto non potremmo usare l’art 59 in
caso di reati aggravati dall’evento. Caso di circostanze aggravante. Art 59 c.p. applicabile anche a queste
tipologie di situazioni. Cosa allora deve essere conosciuto? Se non l’evento che cosa deve essere conosciuto? I
fattori di rischio, che sono contestuali alla fattispecie. Se io maltratto una persona che ha delle inclinazioni
suicide e continuo a maltrattarla nonostante sappia che scientificamente è incline a questa cosa. La persona si
uccide, io non avevo previsto l’evento ma conoscevo i fattori di rischio connessi all’evento. Quindi risponderò di
reato aggravato.
Non è possibile considerare le attenuanti meramente immaginate, ritenute esistenti senza esserlo. Le attenuanti
come dicevamo si imputano oggettivamente. È del tutto indifferente il fatto che il soggetto sapesse se ci fossero
oppure no. Però la mancata tenuta in considerazione delle attenuanti putative collide con il principio di
colpevolezza. Perché non consente di rimodulare in ribasso il fatto che ci fosse un errore da parte del reo in
merito alla presenza della circostanza attenuante.
Il reato circostanziato tentato è incompatibile con l’art 59. Mentre un reato tentato circostanziato sì. La
circostanza si è infatti integralmente realizzato, quindi sussiste c’è. Ma il reato non si è concretizzato nella sua
interezza.
Attività di quantificazione della pena in concreto da parte del giudice. Codice del 1930 si caratterizzava con
scelte discutibili, e allora il legislatore repubblicano intervenuto subito dopo il regime fascista ha liberato la
discrezionalità del giudice. Ha tolto dei paletti. L’intento del regime era quello, infatti, di circoscrivere la
discrezionalità del giudice il più possibile. Le circostanze diventano allora uno strumento e un’opportunità per
il giudice di andare a correggere la definizione dei termini edittali a priori, scelte di incriminazioni compiute
dal legislatore degli anni Trenta in modo troppo rigoroso. Possibilità di orchestrare per evitare di applicare pene
con valutazioni aprioristiche in astratto. In funzione di una pena effettivamente e concretamente giusta.
Contraddizione però intrinseca: la fattispecie circostanziata continua a proporsi come semplice manifestazione di
una fattispecie base. Non muta quindi la tipologia di reato, sono figure accessorie che non mutano il titolo di
reato, ma che mutano i termini edittali in modo davvero incisivo in quanto attraverso le circostanze il giudice
sarà in grado di concretizzare la quantificazione della pena fuoriuscendo dai limiti edittali. Ma la pena viene
descritta in termini edittali di massimo e minimo proprio perché è legata strettamente alla descrizione della
fattispecie di reato, al fatto tipico. I termini edittali sono frutto del principio di legalità e di determinatezza della
norma penale, principi costituzionalmente rilevanti. La pena edittale riflette strettamente la concezione che il
legislatore ha della gravità di quel fatto. Anche per ripartire una proporzione tra i vari fatti tipici. Stretta
correlazione tra pena edittale e gravità del fatto tipico anche per dare la garanzia non solo di proporzione, ma
anche di funzione general preventiva. Le circostanze, quindi, sono in grado di incidere sui termini edittali a tal
punto da far perdere quella connessione tra la pena e la gravità del fatto tipico. Rompono la relazione di
senso. Sistema delle pene edittali disarticolate senza mutare il titolo di reato. I termini edittali contribuiscono alla
descrizione del fatto tipico. Se la pena del reato base viene aggravata nettamente attraverso l’applicazione della
circostanza, significa che è necessario che il legislatore debba introdurre un nuovo titolo di reato. Nel progetto
originario del codice Rocco la disciplina delle circostanze era piegata a fini autorevoli. Contraddizione che si
piegava a logiche autoritarie che oggi non sono più tollerabili. Oggi forse la disciplina delle circostanze andrebbe
abolito del tutto, o comunque prevedere delle circostanze che non facciano mai saltare i limiti edittali.
Un’alternativa valida potrebbe essere quella di specificare meglio i criteri dell’art 133 oppure continuare a
prevedere ipotesi di reati circostanziati, che attribuiscano al giudice un criterio per graduare la pena sulla base
della gravità o non gravità della circostanza, ma senza la possibilità di uscire fuori dai termini edittali.
Più che mai sono strumenti in mano alla piena discrezionalità del giudice i c.d. istituti di discrezionalità
autogovernata. Grazie all’opera della Corte di Cassazione. Art 62 e 69 c.p.
Art 62 c.p. circostanti attenuanti generici, circostanze comuni e ad effetto comune del tutto indefinita. O meglio
definita in negativa. Tutti elementi diversi già considerati nel catalogo delle attenuanti comuni definite dall’art
62. In linea di principio sembra che il giudice possa considerare attenuante qualsiasi elemento. Art 69 c.p.
disciplina invece il concorso eterogeneo tra le attenuanti e le aggravanti, il giudice può stabilire in modo
autonoma la prevalenza o equivalenza delle une rispetto alle altre senza fornire quindi un criterio per effettuare
questo bilanciamento. Non conta il numero di attenuanti e aggravanti, con la valutazione del giudice. L’art 69
non precisa in che modo però, sembra basarsi tutto su una valutazione del giudice. La combinazione di queste
due norme comporta una discrezionalità enorme del giudice.
Per quanto riguarda le attenuanti generiche un’Impostazione molto diffusa per le circostanze attenuanti generiche
bisogna fare riferimento all’art 133 c.p. indicatore che aiutano ad orientare la pena in concreto entro i termini
edittali, sono elementi di cui bisogna tenere conto se concedere o non concedere le attenuanti generiche. Questa
impostazione ha avuto una legittimazione indiretta con una legge del 2005, inasprire la disciplina della
responsabilità dei recidivi, ha modificato l’art 62 bis rispetto a certe ipotesi di recidiva qualificata si esclude
espressamente la possibilità di fare ricorso alle circostanze generiche argomentando da quei profili del 133 che
fanno riferimento a profili soggettivi. A contrario quindi si può fare riferimento all’art 133 in tutti gli altri casi. In
realtà il riferimento a questo articolo aiuta ben poco a governare la discrezionalità del giudice. Criteri del 133
infatti sono generici, inoltre gli indici non preordinati in termini aggravanti o attenuanti. In più dal 133 non si
evince in che modo si possa fuoriuscire i termini edittali. Allora forse un’impostazione migliore è quella di dire
che l’art 62 si applica ad ipotesi in realtà di quasi scriminanti o di quasi scusanti, ma che non sono del tutto
pienamente integrate. Ad esempio una legittima difesa sproporzionata. Un’ignoranza del divieto non scusabile. In
questo modo riusciamo a capire meglio a quali situazioni applicare le attenuanti generici. Istituti che non si sono
realizzati del tutto, che se si fossero realizzati completamente avrebbero consentito la punibilità del soggetto
attivo. Ad esempio l’età del minore, a parte la possibilità di essere riconosciuta come circostante attenuante
specifica, potrebbe essere anche generica andando a considerare l’età in rapporto ai parametri del 133, ovvero i
parametri legati alle condizioni familiari del minore.
Impostazione alla fine adottata dalla giurisprudenza. Si dice che non ci sono limiti di contenuto in merito alla
selezione delle circostanze generiche. Ma un limite di ragionevolezza. Cioè la motivazione per cui un giudice
attribuisce il ruolo di circostanza generica ad un elemento deve sussistere e deve essere intrinsecamente
conforme ai principi costituzionali del nostro sistema penalistico. Onere di motivazione in merito al
bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, e tali motivazioni devono essere conformi a principi costituzionali del
nostro sistema penalistico. In modo tale che io possa valutare la ragionevolezza della motivazione stessa. Es
spesso il 62 bis è stato utilizzato per incentivare la collaborazione del reo “se confessi ti do delle attenuanti
generiche”. Non si può utilizzare l’art 62 per estorcere la collaborazione processuale. Nessuno può essere
obbligato ad autodenunciarsi. Diverso invece se il giudice considera il 62 bis in una logica promozionale “se il
soggetto attivo si è mostrato propenso ad accordarsi sul risarcimento danni”. Premiare dei comportamenti di
disipiscenza o comunque collaborativi. Ci sono altri aspetti che possono intaccare la coerenza della motivazione.
Ad esempio, se io un elemento l’ho già considerato come attenuante non lo posso contare due volte.
Il 69 c.p. si sa quando applicarlo, ma non si sa come applicarlo. C’è quindi in questo caso un profilo di
discrezionalità in mento rispetto al 62 bis. Il presupposto dell’applicazione dell’art 69 e l’ipotesi di circostanze
eterogenee, quando sussistono in relazione ad una stessa fattispecie concretamente realizzata circostanze
attenuanti e aggravanti. Non dicendo come applicare questo articolo non sappiamo in base a quali criteri si reputa
che una circostante sia prevalente su un’altra oppure due circostanze siano equiparate e quindi perfettamente
bilanciate tra di loro. Non ci dice come effettuare il bilanciamento in caso di eterogeneità delle circostanze. L’art
133 c.p. nulla dice in merito ad un bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti. Allora cosa si può dire? Qual è la
ratio? L’art 69 non fornisce un giudizio quantitativo (non vengono contate il numero delle aggravanti). Non è
questa la logica. La logica, quindi, è qualitativa e non più quantitativa. Andare a vedere come e in che modo le
circostanze si siano presentate, questo comporta che possano contribuire in modo più o meno intenso alla gravità
del fatto. Il grado di intensità con cui le circostanze si siano presentate nel caso concreto. In modo più o meno
intenso a contribuire al disvalore della fattispecie base. Esempio di un ragazzo che spacca il naso ad un altro
ragazzo perché aveva fatto un apprezzamento sulla fidanzata. Qui sembrerebbe essere aggravante per futili
motivi, ma anche attenuante per provocazione. Dobbiamo operare un bilanciamento. La logica è quella di
vedere quale di questi aspetti contribuisce di più al significato e al disvalore di ciò che è successo. Futile motivo
o provocazione? Cosa pesa di più? Può essere una provocazione più o meno intenso, andiamo quindi a vedere il
contenuto dell’apprezzamento. Motivare i termini di intensità.
Circostanze aggravanti privilegiate. Art 628 c.p. reato di rapina ultimo comma. In certi casi ci sono aggravanti
previste dal legislatore che non possono essere bilanciate con delle attenuanti. Si va in deroga all’art 69. Si parla
anche di circostanze blindate. Non possono soccombere a valutazioni di bilanciamento con altre circostanze
attenuanti. Si dice che le attenuanti non possono essere ritenute prelevanti o equivalenti rispetto alle aggravanti.
La norma però non dice che le aggravanti devono sempre superare le attenuanti. Semplicemente le attenuanti le
vado ad applicare dopo. Faccio una doppia applicazione: prima le aggravanti e poi le attenuanti. Prendo la pena
base concretamente proporzionata, applico l’aggravante, la pena aumenta. Su quell’aumento applico le eventuali
attenuanti. Quindi è come se io non applicassi più il 69. Prima applico l’aggravante e poi sottraggo con le
attenuanti. Non opero semplicemente un bilanciamento. Ma delle attenuanti devo comunque tenerne conto.
Tipologie di circostanze. Conosciamo già le circostanze attenuanti o aggravanti. Le circostanze possono essere
anche intrinseche che specificano elementi che sono già del fatto tipico. Circostanze estrinseche che sono
estranea al fatto tipico di reato, esteriori a quella che è la struttura del reato, si fa riferimento a condotte
successiva alla realizzazione del reato. Le circostanze estrinseche non possono mai essere fattispecie autonome di
reato, in quanto appunto non gondo di autonomia rispetto al reato stesso. Circostanze oggettive e soggettive. La
recidiva è una circostanza aggravante di tipo soggettivo. Circostanze definite e indefinite. Le prima sono quelle
rispetto alle quali il legislatore ha compiuto uno sforzo di tipizzazione. Le seconde sono circostanze i cui
contenuti e presupposti sono indefiniti. Ad esempio, circostanze generiche sono attenuanti indefinite. Il giudice
può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare la diminuzione
della pena. Delega in bianco per il legislatore. Perché non ci viene detto quali circostanze. Ci sono alcune
circostanze che sono una via di mezzo tra definite e indefinite. Esempio art 61 n. 7, si applica quando il fatto è di
particolare gravità nei delitti contro il patrimonio. Quando la gravità è rilevante? La norma non ce lo dice. I
problemi di costituzionalità possono sussistere in caso di circostanze aggravanti indefinite. Lezione 28feb

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Recidiva è una circostanza assai particolare, al confine con altre categorie. Terreno peculiare di grandissimo
rilievo pratico. Categoria criminologica e non tanto giuridica. Fa riferimento a soggetti che delinquono più volte
nel corso del tempo. Fenomeno inquadrato in vario modo. Aggravante del nuovo reato commesso. Motivo di
aggravamento dell’ultimo reato commesso. Istituto che impatta sulla pena. Circostante aggravante soggettiva
(quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del
colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole). Particolare
tipo di recidivismo cesura tra precedenti reati e nuovi. Nuovi reati commessi dopo una precedente condanna.
Dato giuridico di essere già stati condannati. Diverso quindi dal concetto di concorso di reati che prevede una
pluralità di reati commessi anche contestualmente e a prescindere dal momento in cui interviene la condanna.
Nella recidiva invece la condanna di un precedente reato e la realizzazione di nuovo reato devono stare su un
piano cronologico che preveda il primo precedente all’altro necessariamente. A volte addirittura può essere
proprio la costruzione legislativa ad indurre un soggetto alla recidiva. C.d. fenomeno delle porte girevoli. Dietro
il fenomeno dei soggetti recidivi possono esserci tante e varie storie diverse. Complessità del fenomeno
importante.
Lessico e forme giuridiche della recidiva  perché il recidivo deve vedere la pena aggravata? Qual è il profilo di
disvalore accresciuto che giustifica l’innalzamento della pena?
Deve esserci una precedente condanna. Il giudice scopre che il soggetto è già stato condannato. Ma la precedente
condanna come deve essere? Conosciuta, conoscibile o indifferente? La recidiva può essere quindi finta ovvero
per il solo fatto di essere stato condannato. Recidiva vera presuppone anche l’esecuzione della pena. Quanto
tempo deve intercorrere tra la condanna e il momento di esecuzione del nuovo reato? Ad esempio recidiva
perpetua che tiene in conto di un lasso di tempo indefinito e quindi anche molto ampio. Altra ipotesi recidiva
temporanea invece c’è un limite temporale, se quindi è passato troppo tempo non si può essere considerato
recidivo. È venuto meno il legame tra il precedente e il nuovo reato. Si tiene in considerazione che le persone nel
tempo cambiano. Recidiva specifica o generica. Nel primo caso si tiene in considerazione l’indole dei due reati,
nel secondo caso l’indole dei due reati è indifferente non ci porta è sufficiente che le due condotte integrino
fattispecie di reato e non simili fattispecie di reato. Ricordiamo che l’indole può essere sia oggettiva sia
soggettiva. Recidiva può essere obbligatoria, facoltativa o discrezionale. Primo caso di fronte a certi presupposti
deve dichiarare la recidiva. Secondo caso il giudice obbligato, ma decide gli effetti della recidiva. Discrezionale
invece attribuiamo carta bianca al giudice (si tiene conto in questa ipotesi di casi in cui il soggetto dimostri
fattualmente di essere recidivo, ma ci si domanda se sia opportuno prevedere un incremento di pena). Recidiva
può essere reiterata o plurima.
Le più significative alternativa che abbiamo per costruire la figura giuridica della recidiva. Possiamo quindi
individuare possibili modelli di recidiva. Arrivando al modello costituzionalmente orientato della nostra recidiva.
Primo modello quello di recidiva pericolosità. Giudizio circa la maggiore pericolosità di un soggetto. Terreno
scivoloso. Inclinazione a delinquere potrebbe dipendere da altri fattori diversi dalla sua pericolosità intrinseca.
Dovrebbe quindi essere una recidiva discrezionale. Come effetti dovrebbe condurre a misure di sicurezza. quindi
non dovrebbe essere un aggravante. È sufficiente anche che sia finta, è già abbastanza sapere che quella persona
ha commesso più reati nel tempo. E nel caso in cui addirittura ha pure scontato la pena, quindi condanne
eseguite, porteranno a dare un giudizio di pericolosità ancora maggiore. Non è importante la conoscenza o
conoscibilità. La recidiva dovrebbe essere perpetua e generica.
Secondo modello quello della recidiva colpevolezza. Il giudizio di colpevolezza consiste in un giudizio di
rimproverabilità. Quanto si poteva pretendere dal soggetto. Conoscenza del precetto particolarmente profondo.
Maggiore rimproverabilità che giustifica l’incremento della pena. Questo tipo di recidiva incide sull’entità della
pena in concreto. Giudizio rivolto verso il passato. Risulta in questo caso fondamentale la conoscenza o
conoscibilità della condanna. E deve essere una recidiva specifica (necessaria medesima indole del reato).
Recidiva temporanea. Questa recidiva può essere finta. È nella consapevolezza della condanna che sta la
particolare conoscenza di quel divieto, a prescindere quindi dalla sua esecuzione Deve questa recidiva essere
intesa in termini discrezionale?
Modello della recidiva capacità a delinquere. La minaccia edittale deve essere più elevata. Casi in cui il
soggetto ha dimostrato di avere una certa resistenza nei confronti del monito penale. Provare a dissuadere il
soggetto maggiormente. È come se le pene edittali fossero più alte per il soggetto recidivo. Incide sull’entità della
pena in astratto. Supponiamo che per il soggetto i limiti di pena sono più elevati in astratto. È sufficiente una
recidiva finta perché il fatto che il soggetto sia stato condannato dimostra la resistenza del condannato. Recidiva
specifica e perpetua. È obbligatoria perché è come se il precedente reato comportasse una modifica in astratto per
il soggetto dei termini edittali del successivo reato realizzato.
Modello recidiva non risocializzazione. Incide sull’esecuzione della pena. Ed è vera. Generica la si ritiene
sufficiente. Temporanea e discrezionale. Logica del fallimento del trattamento rieducativo. Problema legato al
fatto che il nostro sistema carcerario non prevede un adeguato trattamento rieducativo, o peggio manca proprio il
trattamento. Ecco perché è discrezionale, perché non è possibile riversare sul reo incrementando la pena in caso
di fallimento di rieducazione da imputare all’organizzazione del sistema carcerario.
Modello costituzionalmente orientato? Quali di questi modelli che abbiamo analizzato è conforme alla
Costituzione? La Costituzione quale modello predilige? La responsabilità penale si basa su cosa il soggetto ha
scelto di fare, principio di materialità. Si punisce un fatto che sia offensivo. Principio di offensività. Non si
punisce la malvagità del soggetto. Il perno rimane il fatto offensivo. E la colpevolezza è il criterio di imputazione
di un fatto offensivo. Proporzionata alla offensività. Inoltre, la Costituzione ci dice che di fronte a profili di
pericolosità del soggetto il sistema penalistico non eroga pene, ma predispone misure di sicurezza. Per cui per
coerenza se costruissimo nel nostro ordinamento un modello di recidiva pericolosità dovremmo prevedere misure
di sicurezza nei confronti del reo e non di innalzamento dei termini edittali. Dobbiamo essere coerenti. Inoltre la
Costituzione ci indica qualcosa anche in tema di principio di uguaglianza sostanziale, criterio di solidarietà.
Quindi le presunzioni se sei recidivo hai dimostrato di essere punito non va bene. Questo principio ci impone di
andare ad indagare le motivazioni per cui si è verificata la recidiva. Situazioni di marginalità sociale, esperienza
carceraria fallimentare. È necessaria una valutazione casistica. È contraddittorio che la recidiva incida
direttamente sugli istituti funzionali alla risocializzazione. Da tempo la Corte costituzionale in più occasioni si è
espressa in merito al modello da adottare. La corte dichiara incostituzionale l’art 69 in cui prevede il divieto di
bilanciamento tra la recidiva e la attenuante. La pena deve essere proporzionata, ma rispetto a quanto nel
concreto il fatto era grave. Pena commisurata alla gravità del fatto. (lezione 8 marzo)
Il modello quindi costituzionalmente orientato è quello del modello di recidiva colpevolezza. Recidiva che
incide sulla pena, ma in concreto e quindi rispettando i limiti imposti dalla proporzione. Deve esserci una
precedente condanna conosciuta o almeno conoscibile. Basata su valutazioni discrezionali e in concreto dal
giudice. Affiancato da un modello di recidiva pericolosità che però andrà ad incidere sulle misure di sicurezza.
Qual è il modello offerto dal legislatore? Disciplina contenuta nell’art 99 c. Forma base di recidiva, la c.d.
recidiva semplici. Compimento tout court di un nuovo delitto. Può comportare l’aumento di un terzo della pena.
Può, ma anche no. Nel secondo comma troviamo le ipotesi di recidiva aggravata. L’aumento è previsto in questi
casi fino alla metà. È un caso di recidiva specifica, la recidiva specifica è considerata più grave dal nostro
legislatore. Stessa ratio nei confronti della recidiva temporanea che risulta essere più grave. Anche l’ipotesi di
recidiva vera. Terzo comma prevede la recidiva pluriaggravata, ipotesi di più recidive tutte insieme. L’aumento
dovrà essere della metà, il giudice perde la possibilità di graduare fino alla metà. Quarto comma recidiva
reiterata, soggetto già recidivo commette un altro delitto. Ulteriore incremento di pena rispetto al caso rispetto
alla recidiva semplice o aggravata. Legge n. 251 del 2005 è l’ultima legge che ha modificato la disciplina della
recidiva. Ci sono degli ostacoli che rendono difficoltoso adeguare l’art 90 al modello di recidiva costituzionale,
ad esempio, alcuni ostacoli: previsioni di ipotesi in cui si comprime la discrezionalità del giudice, previsione di
recidiva perpetua al primo comma.
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Disciplina del concorso di reati. Accadimento storico, vicenda concreta. Quali e quante responsabilità penali si
possono trarre da una sola storia? Da un solo evento? Da un solo presupposto? Es due carabinieri in
perlustrazione accostano laddove ci sono delle prostitute, guardano i documenti, ci sono dei clienti che scappano.
I carabinieri costringono la prostituta ad avere rapporti sessuali, in cambio del loro silenzio. Questa è la storia, la
scatola piena di pezzi. Tutti i personaggi, quanti momenti, quanti eventi. Un sacco di pezzi, un sacco di elementi.
Quanti e quali fatti tipici astratti possiamo riscontrare in un’unica vicenda o storia? Quali pezzi della storia
devono essere presi e scelti per costruire un determinato fatto tipico. La norma incriminatrice è il libretto di
istruzioni per costruire il fatto tipico. Se dei pezzi li usiamo per costruire un fatto tipico di reato, i pezzi avanzati
di una vicenda sono sufficienti per costruire un ulteriore fattispecie di reato? Possiamo utilizzare un elemento più
di una volta? Introduciamo quindi il tema del concorso di norme e di reati. Come si manifesta una fattispecie di
reato? Unitamente ad altre fattispecie realizzate dallo stesso soggetto attivo. Problema prima di tutto di tipicità.
Ci saranno sicuramente degli elementi che non sono costitutivi di fattispecie di reato. elementi che non hanno
nessun significato penale. Prima cosa da fare quindi depurare l’evento di tutti quegli elementi che non servono
per la ricostruzione del fatto tipico che vogliamo ricostruire. Se riusciamo a costruire più fattispecie di reato
avremo fenomeno di concorso di reato. Fenomeno del concorso apparente di norme invece è l’ipotesi in cui
abbiamo costruito un fatto tipico, che i pezzi rimanenti sembravano sufficienti per costruire un’ulteriore
fattispecie, ma non lo erano.
Varie ipotesi di concorso di reato. La prima domanda da porci è quanti fatti tipici riusciamo a scorgere nella
medesima vicenda storica.
Concorso materiale di reati, ovvero più reati separatamente con diverse azioni ed omissioni. L’effetto è il
cumolo materiale delle pene.
Concorso formale di reati, più reati con una sola azione od omissione, conseguenza è il cumulo giuridico. Il
cumolo giuridico viene disciplinato dall’art 81 c.p. Si prende la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più
grave realizzato, e questa la posso aumentare sino al triplo, ma senza superare il limite dato dalla somma
materiale delle varie pene corrispondenti a tutti i reati, quello principale e quelli satelliti. Perché è previsto in
questo caso il cumolo giuridico come nel concorso formale e non il concorso materiale? Infatti, da un punto di
vista dell’offesa che cosa cambia? Perché dobbiamo prevedere un trattamento quasi potremmo dire di favore nei
confronti del soggetto attivo? Ha a che fare con il disvalore soggettivo. Quando c‘è una sola azione, il soggetto
ha scelto una sola volta di porsi in contrasto con l’ordinamento penale. quindi è meno rimproverabile rispetto a
chi ha scelto con più azioni od omissioni di porsi in contrasto ad esso. Il cumolo giuridico, questo tipo di calcolo
complessivo della pena riferibile ad una pluralità di reati è riferita in realtà anche ad un’altra ipotesi ovvero il
reato continuato. Disciplinato dall’art 81 c.p. Reato continuato è una forma di concorso materiale con unicità
del disegno criminoso, conseguenza abbiamo nuovamente un cumolo giuridico. Con più azioni od omissioni, ma
in relazione ad un medesimo disegno criminoso. Non è un reato, non è un reato abituale o permanente. Più reati
dello stesso o diverso tipo commessi con più distinte azioni od omissioni. Come nel caso di concorso materiale.
Ma hanno un ulteriore caratteristica, il legame intercorrente tra questi reati è quello della scelta criminosa unica.
Quindi meno rimproverabile. Non può dirsi che c’è reiterazione perché l’obiettivo del reo era unico ed univoco.
La colpevolezza è tendenzialmente minore.
E poi abbiamo l’ultima casistica di concorso apparente, in questo caso si applica la pena relativa al solo reato
realizzato. Definizione di reato principale e di reati satelliti.
Ordine logico da seguire: mi sembra che nella vicenda concreta possano esserci gli estremi per una molteplicità
di fattispecie criminose. A prima vista mi sembra di vedere che i pezzi della vicenda mi servano per costruire più
di un reato. Oppure il concorso è solo apparente. E se così quale di quelle sembra che ci siano sussiste davvero
nella sua interessa. Laddove invece si riscontrino effettivamente più fattispecie e quindi il concorso è reale ed
effettivo. I reati sono realizzati con più azioni od omissioni? O un’unica condotta? E ancora, laddove i reati siano
realizzati con più condotte diverse, è riscontrabile un medesimo disegno criminoso? Ricordiamo che nel caso in
cui ci sia concorso materiale di reati o reato continuato, potremmo esserci sbagliati nei casi in cui le condotte
plurime che integrano più reati oppure più reati che fanno parte del medesimo disegno criminoso in realtà si
riferiscano ad un reato abituale, di durata, come reato di maltrattamenti o stalking. In questi casi il reato lo si
considera unico per cui la pena da applicare sarà quella prescritta dalla fattispecie base, senza quindi dover
ricorrere a cumoli giuridici o materiali di pene.
La logica del robottino è il principio del ne bis in idem sostanziale. Cioè con un solo pezzo non puoi farci più
robottini. Non puoi valutare e considerare due volte per costruire più reati uno stesso elemento che nella realtà
concreta si è realizzato un'unica volta. Il ne bis in idem procedurale è un principio collegato a questo, ma fa parte
del diritto processuale. Il ne bis in idem sostanziale è stato elaborato a livello giurisprudenziale. Anche se in
realtà alla base di questo principio ci stanno alla base i principi costituzionali. Quali principi costituzionali
sostengono questo principio? Impossibilità di utilizzare i medesimi profili criminosi per costruire più reati
diversi. Non si possono contare due volte. Principio di proporzionalità: posso punire come se fossero due reati
distinti una situazione in cui invece non si riscontrano distintamente profili dell’uno o dell’altro?
Caso di concorso di reati omogenei. Nel caso concreto c’è da capire se la stessa norma è stata violata più volte o
una volta sola? Es tizio con più coltellate procura a caio una pluralità di ferite. Altro esempio tizio entra in
un’abitazione e ruba una vetrinetta contenente tre beni preziosi uguali uno di caio uno di sempronio e uno di
mevio. Il tema è sicuramente complesso. La prima e fondamentale cosa da fare è andare a vedere la norma
incriminatrice in questione e andarla ad interpretare. Leggere bene le istruzioni. E questo è un problema di
tipicità. Giudizio di tipicità, primo profilo del reato. Il soggetto attivo e la condotta sono gli elementi costitutivi
del fatto tipico che possono essere conteggiati più volte, andando incontro alla deroga del ne bis in idem. Sono
gli altri elementi che invece non possono essere conteggiati più volte. Ogni elemento del fatto tipico è necessario
per raggiungere ed integrare il disvalore di quel determinato reato. Per cui affinché si abbiano più reati della
medesima specie in realtà dovremmo avere elementi del fatto tipico in numero corrispondente al numero di reati
eventualmente realizzati. Per esserci due reati devono esserci tutti gli elementi costitutivi dell’uno e dell’altro, ma
distintamente e separatamente. Se usassimo un elemento costitutivo per due reati non avremmo più quella somma
di disvalore. Riprendiamo l’esempio dei carabinieri e della prostituta. Questo è un caso di concorso apparente
perché non abbiamo elementi sufficienti per numero e qualità per ritenere distintamente integrati la concussione e
la violazione sessuale. Ci sono delle sovrapposizioni nel caso concreto. Ma se veramente si fossero realizzati due
reati concussione e violenza sessuale? Due situazioni in cui abbiamo due reati distinti. Dal punto di vista
dell’offensività questa seconda ipotesi è uguale alla prima? Evidentemente no. La seconda è molto più grave.
Offensività maggiore ogni volta che i reati siano distinti. Ogni situazione ha integralmente realizzato il disvalore
raccontato nelle due norme incriminatrici. Ma come faccio allora con un’unica condotta posso costruire più reati?
Perché l’offensività non sta nella condotta, nell’azione od omissione che sia. L’offensività risiede nella
conseguenza o conseguenze dell’azione od omissione da me realizzata.
Il criterio del bene giuridico protetto e tutelato dalla norma ci serve nella disciplina del concorso di reati per
effettuare l’interpretazione delle norme. Per comprendere la funzione sociale del fatto tipico. Interpretazione
teleologica.
Risolviamo allora il caso delle coltellate plurime con unica infezione. Reato o più reati di lesione? Definizione
medico legale diversa dalla definizione di malattia giuridica. Un’unica infezione, non abbiamo i pezzi necessari
per costruire più reati di lesione. Un unico danno alla salute. Risolviamo adesso quello del furto di tre oggetti
dentro un’unica bacheca appartenente a tre soggetti diversi. Concorso di reati formale, un’unica condotta una
pluralità di soggetti passivi. Ma c’è una diversa interpretazione possibile. La pluralità di persone offese non
determina pluralità di reati, il concetto di reato di furto sia indifferenti il numero di oggetti. Il fatto che ci siano
più persone offese è indifferente. Profilo non rilevante ai fini della costruzione del fatto tipico.
Il profilo si complica quando nella vicenda si intravedono più reati di natura diversi. Concorso di reati
eterogeno vero od apparente? E se ne posso costruire uno solo, quale devo applicare? Se non c’è materiale per
costruire due fatti tipici o più fatti tipici quale dei due devo costruire. Ipotesi di eterogeneità rende complicato il
problema. Se il concorso eterogeneo è apparente quale reato si è realmente concretizzato. Ci aiuta in questo
caso l’art 15 c.p. norma fondamentale del concorso apparente di reati. Ci dice quando il concorso è meramente
apparente: quando più disposizioni regolano la stessa materia. Se ne applica una sola di disposizioni di leggi
penale. A questo punto ci dice quale disposizione applicare, stabilendo il criterio di prevalenza. Il criterio di
prevalenza è la specialità. Si applicherà la norma speciale. Art 15 c.p. è la norma fondamentale della disciplina
del concorso apparente di reati. Presupposto di questa tipologia di concorso è la medesimezza della materia. In
questo caso il concorso è meramente apparente. Si applica una sola disposizione di legge penale. a questo punto
si pone il problema di quale applicare. Si stabilisce allora il criterio di prevalenza. Il criterio è la specialità. Si
applicherà la norma speciale. La materia è la medesima quando bisognerebbe qualificare più volte alle stregue di
diversi tipi criminosi i medesimi profili fattuali nei quali si incentra il disvalore fondante la meritevolezza di
pena. Il principio del ne bis in idem trova quindi un riscontro anche all’interno del codice. Dato astratto e dato
concreto: 1. Due fatti tipici potranno convergere su una stessa materia se in astratto hanno profili che tendono a
sovrapporsi 2. Però conta anche la vicenda concreta, perché abbiamo visto che il fatto che due fattispecie che in
astratto si sovrappongono non è necessario ma non sufficiente per dire che in concreto realmente si siano
sovrapposte. Il principio del ne bis in idem sostanziale non è semplicemente un criterio rilevabile dalla
Costituzione. Ma la sua disciplina è contenuta nell’art 15 c.p.
Se l’art 15 sia estendibile anche ai casi di specialità reciproca. Ipotesi di concorso apparente si riferisce a
disposizioni che insistono sul medesimo fatto che si pongano tra di loro in un rapporto di specialità unilaterale.
Al di la di questa ipotesi standard si cerca di estendere la disciplina dell’art 15 ad altri casi, altre ipotesi in cui le
disposizioni penali stanno in un determinato rapporto tra di loro. Se due disposizioni sono l’una speciale rispetto
all’altra significa che non c’è una vera e propria disposizione speciale. Forme di specialità intese in senso più
ampio come la specialità reciproca. La struttura dell’art 15 invece induce a pensare che tale disciplina non tenga
in considerazione soltanto i casi di specialità unilaterale, casi standard quindi. Clausola finale dell’art 15,
sostenitori della teoria valoriale. “Salvo che sia altrimenti stabilito”. Quando ci sono due disposizioni una
generale e una speciale prevale quella speciale, salvo che sia stabilito che prevalga quella generale. Se noi
ritenessimo che il concetto di specialità sia applicabile ai soli casi di specialità unilaterale questa clausola sarebbe
senza senso. c’è concorso apparente in caso di specialità unilaterale es rapina e furto. Inteso così l’art 15
immagina un caso in cui sia previsto per legge che la disposizione generale si applica in prevalenza a quella
speciale. Così facendo non si applicherebbero mai le norme speciali. Quindi la clausola finale si riferisce a casi di
specialità reciproca. Ma la parte stessa iniziale dell’art 15 ce lo suggerisce. Si fa riferimento a rapporti tra più
leggi intesi in senso lato. Interi complessi normativi. In linea di principio le leggi speciali visto che sono state
pensate per tematiche o ambiti particolari prevalgono sulla legge generale. Ma è chiaro che quando si parla di
legge generale e speciale non è solo un rapporto di specialità unilaterale. Concetto di specialità inteso in senso
lato.
Nelle relazioni di specialità reciproca si può individuare, pur essendo una speciale rispetto all’altra, si possono
trovare dei criteri che ci consente di dire che una è più speciale rispetto all’altra. Quale sarà allora quella più
speciale, ovvero quella prevalente? Come si individua la prevalenza dell’una rispetto all’altra? De francesco
propone questi criteri, desunti dal concetto di specialità tra leggi. La legge speciale, ad esempio, si riconosce
perché magari si riferisce ad un ambito più ristretto di persone o attività, come ad esempio i medici. Primo
criterio: qualifica del soggetto attivo. Prevale quindi il reato proprio. Un altro criterio è un criterio meramente
quantitativo, si può considerare più speciale quella che ha il maggior numero di elementi costitutivi
specializzanti. Altro criterio è più speciale la disposizione che è capace di esprimere il disvalore anche
dell’altra. In definitiva significa quella che è punita di più. Applichiamo quella che è in grado di restituirci quella
che è in grado di contenere il disvalore anche di quella che è rimasta esclusa. C’erano comunque profili di due
reati, anche se poi ne applichiamo uno solo. Il problema viene spesso risolto dal legislatore stesso, attraverso la
sua redazione delle clausole di riserva. Clausole che sancisco la soccombenza o prevalenza di una disposizione
rispetto all’altra laddove convergano su un medesimo caso concreto. Clausola di riserva individuate. Molto
spesso però troviamo clausole di riserva parzialmente individuate. Qual è la critica forte che possiamo fare a De
Francesco? Teoria geniale tutto torna, però c’è un piccolo problema. Tutta la teoria si fonda su la distinzione
della specialità per aggiunta e per specificazione. C’è chi sostiene che la distinzione non esiste perché convivono
entrambe nel rapporto di specialità. Possiamo arrivare a risultati corrispondenti senza bisogno di insistere su
questa distinzione. Risolvendo così il problema. Riprendendo il ne bis in idem sostanziale. Ho bisogno che in
concreto siano riscontrabili elementi sufficienti a costruire distintamente l’una e l’altra fattispecie.
Disciplina del reato complesso art 84 c.p. Si parla di reato complesso quando la legge considera come elementi
costitutivi di un reato o come circostanze aggravanti condotte o fatti che di per se rappresentano la realizzazione
di un altro reato autonomo. Se il reato è complesso assorbe gli altri. Il reato deve essere il mezzo con cui ho
realizzato l’altro reato. Nesso di strumentalità. Se c’è invece un rapporto di mera occasionalità, non possiamo
parlare di reato complesso. Allora si risponderà di entrambi i reati in concorso materiale, dato che le condotte
sono distinte. È vero che nel reato complesso un reato assorbe l’altro, ma da un certo punto di vista risulta di
maggiore garanzia in quanto il reato c.d. funzionale cioè quello che viene assorbito invece che rappresentare una
circostanza è elemento costitutivo e quindi non potrà essere bilanciato con eventuali attenuanti. Ci si domanda se
l’art 84 si possa applicare anche al reato eventualmente complesso. quando una certa fattispecie criminosa in
astratto non ne comprende altre, ma in concreto potrebbe. Ad esempio reato di truffa. La descrizione del fatto
tipico di truffa non ripete il reato di falso, ad esempio falsificare le monete. Solo eventualmente ed in concreto la
truffa può contenere il reato di falso. C’è chi dice che la disciplina dell’art 84 si applica anche a queste casistiche.
Quindi in tal caso il reo risponderebbe solo di truffa che assorbirebbe in se il reato di falso. Questa impostazione
viene rigettata perché in realtà l’art 84 fa espresso riferimento ai casi in cui sia la legge stessa a mettere come
presupposto un altro reato. E poi non ci sarebbe più limite al concorso apparente di reati. Ci si domanda se il
reato complesso possa essere considerato tale anche quando non ci sono due fattispecie di reato che si uniscono,
ma ce n’è una sola e qualche altro elemento. Caso del reato complesso in senso. Es reato di peculato che è un
reato di appropriazione indebita con qualche elemento aggiuntivo che di per se non è reato.
Altre disposizioni di cui dobbiamo tenere conto in tema di concorso apparente. Art 68 c.p. che crea un nesso tra
varie forme di manifestazione del reato. Quando una circostanza ricomprende in se un'altra circostanza. concorso
omogeneo di circostanze caratterizzato dal fatto che le circostanze in gioco hanno delle sovrapposizioni
strutturali. Situazione di possibile ne bis in idem. In concreto applicandole entrambi si potrebbero contare due
volte profili che nel concreto sono singolari. Concorso formale tra circostanze. Si applica la circostanza che
comporta il maggior incremento o il maggiore decremento di pena.
Art 9 della legge n. 689/1981, caso in cui ad uno stesso fatto risultino applicabili sia una sanzione penale sia una
sanzione amministrativa. Concorso tra pena e sanzione amministrativa. Codice delle sanzioni amministrative.
Concetto di stesso fatto appare pacifico che corrisponda al concetto di stessa materia dell’art 15 c.p. Lessico
diverso, ma c’è una ragione. Art 9 non può avere a che fare se non con fatti. Qualcosa di più specifico rispetto
all’ambito generico dell’art 15. In caso di concorso quindi si applica la disposizione speciale. In tema può crearsi
il seguente problema: la disciplina amministrativa non è soggetta a riserva di legge assoluta, diversamente dalla
disciplina penale. questo significa che una normativa amministrativa che colpisce un medesimo fatto della
normativa penale può essere contenuta anche all’interno di legge regionale. E se tra legge penale nazionale e
legge amministrativa regionale la disciplina speciale fosse proprio quella regionale, vedremmo la regione
sottrarre una casistica dalla potestà dello stato in via assoluta.

Ma se il concorso non è apparente, ma effettivo la domanda che ci dobbiamo fare è: ma il concorso è materiale
o formale? Se l’azione o l’omissione non è unica il concorso è materiale. Però potrebbe essere un reato
continuato ed applicheremmo il cumolo giuridico. Limite massimo insuperabile del cumolo materiale delle pene.
Cumolo materiale temperato. Come lo calcoliamo questo limite massimo? Immaginiamo che tizio abbia
commesso tutta una serie di reati in concorso effettivo materiale. Una quantità di delitti che sommando tutte le
pene si arriva al limite massimo del cumolo materiale. Caio propone a tizio di commettere un reato. tizio accetta
dato che tanto si è già arrivati al massimo. Licenza di delinquere Allora la giurisprudenza ha cercato di superare
il problema.
Reato continuato importanza pratica di questa figura. Nell’assetto originale del codice si prevedeva il cumolo
giuridico solo nel caso di reato continuato e non anche nel caso di reato formale. Veniva riconosciuto solo
quando omogeneo. Solo la commissione di più reati omogenei permetteva di individuare la continuazione nel
reato. successivamente si è riformata la disciplina ed è stata estesa la disciplina anche a casi di eterogeneità. Fino
alla riforma non ci sono stati grandi studi in merito al concetto di medesimo disegno, in quanto il fatto che si
prendessero in considerazione solo casistiche di pluralità di reati tra loro omogenei rendeva in re ipsa già il
concetto di medesimo disegno. Oggi invece la disciplina si basa tutto sul medesimo disegno criminoso. Quando
c’è uno scopo finale che funge da motivazione di tutti i reati. Scopo finalistico. Scopo unico. Perché mai il
soggetto che realizza il disegno criminoso che comporta la realizzazione di una pluralità di reati perché dovrebbe
accedere a un trattamento di favore? Riscontrato nella persona stessa un’insistenza e una costanza. Computo di
pena complessivo a lui favorevole. In questi casi non si prevede infatti cumolo materiale ma cumolo giuridico.
Difficile spiegare la ratio. Infatti, la ratio non sta nello scopo unitario. Ma l’unitarietà del momento in cui il
soggetto coinvolto si è rappresentato la realizzazione di tutti i reati. Unico momento in cui il soggetto ha deciso
di commettere più reato. Questa impostazione permette di distinguere la casistica di reato continuato rispetto al
caso in cui un soggetto in un lasso di tempo ben preciso abbia deciso in più momenti diversi di compiere scelte
contrarie all’ordinamento penale. in questi casi si considereranno tali condotte integrazione di reati a se stanti e
quindi cumulo materiale. Questo significa che più reati per entrare nel medesimo disegno criminoso è necessario
che ci sia un nesso di prevedibilità. I reati continuati possono immaginarsi solo in relazione a reati dolosi oppure
anche a reati colposi? Deve esserci un dolo, se pur anche approssimativo, rispetto a tutti i reati che mi
rappresento. Appunto perché questi reati sono previsti, altrimenti non potrebbe esserci lo stesso disegno
criminoso.
Quali problemi si pongono per il cumolo giuridico? Cosa significa che si deve prendere la pena della violazione
più grave e aumentarla fino al triplo? Ci può essere maggiore gravità in astratto e in concreto. Quindi si crea un
problema in tema di selezione del reato più grave. Altro problema: come si fa questo calcolo fino al triplo.
Come si cumulano pene di tipo diverso. Una prima soluzione è che in questi casi non si possa effettuare un
cumolo giuridico. Seconda soluzione è che si possa fare e che comunque sia un aumento della pena del reato più
grave. La soluzione è che si aumenta fino al triplo del reato di detenzione e questi anni in più li convertiamo alla
pena del reato satellite.
Che succede se interviene il giudicato nel frattempo.
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Disciplina del tentativo. Parliamo invece adesso di altre forme di manifestazioni del reato che hanno la
caratteristica di cambiare la struttura del reato stesso. Fenomeno del delitto tentato, disciplinato dell’art 56 c.p.
Situazioni in cui una norma di parte generale combinandosi con la singola norma di parte speciale da luogo a una
nuova fattispecie incriminatrice. Mantiene le corrispondenze generiche da quella da cui è originata. Ma
incompatibilità strutturale da quella da cui discende. La norma appunto che deve essere combinata con le singole
fattispecie incriminatrici è l’art 56. La pena per il delitto tentato è ovviamente e logicamente una pena ridotta
rispetto al delitto realizzato e consumato. Non è solo però una questione di computo favorevole al reo. La pena è
minore perché prima di tutto è cambiata la fattispecie, la fattispecie del tentativo ha un disvalore diverso ed
inferiore rispetto alla fattispecie consumata. Casistica che si trova spesso sulle cronache. Art 56 porta con se un
intrinseca contraddizione perché il requisito essenziale è che non si sia realizzato un reato in tutti i suoi estremi.
L’unica cosa sicura che sappiamo è che mancano dei requisiti che servono per la realizzazione del reato.
Abbiamo quindi un difetto di tipicità. Fattispecie basata su una mancanza, difetto, incompletezza. Che tipo allora
di difetto e mancanza? Cosa deve mancare perché si possa parlare di delitto? Ci sono degli elementi ulteriori che
integrano il tentativo? Prima domanda: può il delitto tentato considerarsi una circostanza attenuante? No, perché
manca il rapporto di specialità. Infatti perché si possa parlare di circostanze è necessario a monte che siano
presenti tutti gli elementi del fatto tipico del reato base. Proprio perché le circostanze sono elementi che si vanno
ad aggiungere alla fattispecie base e che la rendono speciale rispetto ad essa. Invece nel delitto tentato abbiamo
una mancanza, un difetto di almeno un elemento del fatto tipico. E questa mancanza la rende una fattispecie di
autonoma di reato.
Perché il tentativo viene punito? Primo argomento è un argomento che risale fino, a quei tempi, di concezione
medievale del diritto penale, in cui il diritto penale era molto intriso di connotazioni religiose cattoliche. Quello
che rende il fatto meritevole di incriminazione non è il risultato offensivo, ma la cattiveria della persona.
Implicazione quindi di questa impostazione è che il delitto tentato dovrebbe essere punito tanto quanto la sua
consumazione. Proprio perché la cattiveria del reo emerge in egual misura sia in caso di consumazione, sia in
caso di tentativo posto che la volontà del soggetto è la medesima. Un altro tipo di ragionamento conduce a
ritenere penalmente perseguibile il tentativo in quanto emerge da quest’ultimo una pericolosità del soggetto.
Realizzazione di un pericolo per quell’interesse, per quel bene giuridico. Un pericolo ovviamente concreto. C’è
un aspetto di queste due prospettive: perché la pericolosità del tentativo dipende molto dalle caratteristiche del
soggetto che ha tentato di compiere un delitto. Il profilo soggettivo nel tentativo è importante, perché è
l’orientamento che la volontà da a quel comportamento che rendono le azioni pericolose.
In quale momento in cui il tentativo può dirsi realizzato? Il momento massimo è fino al momento in cui il
tentativo non si consuma. Impone di tracciare e individuare dei momenti nel c.d. iter criminis. Percorso di azioni
e scelte che parte con l’ideazione del delitto e che termina con la realizzazione del delitto. In quali momento del
percorso si realizza il tentativo. Ma andiamo ad analizzare adesso il confine massimo tra tentativo e
consumazione. Due momenti: 1. Perfezione: realizzati i requisiti minimi per ritenere integrato il fatto tipico 2.
Consumazione: si realizzano ulteriori elementi che se non ci fossero comunque il delitto sarebbe perfezionato,
ma se ci sono integrano fatto tipico. Il tentativo sta in un momento cronologico precedente al perfezionamento. E
prima del tentativo ci sono gli atti preparatori. Quanto indietro possiamo andare nell’iter criminis per identificare
il tentativo? Da quale momento inizia il tentativo? Problema della tipicità del tentativo che si risolve in un
problema di definizione del tentativo. Codice Zanardelli del 1889 che si ispirava al code napoleon. Ne comincia
con mezzi idonei l’esecuzione. Ancorava il tentativo all’inizio di realizzazione del fatto tipico. Quindi deve
esserci almeno un elemento del fatto tipico affinché si possa parlare di tentativo. Quindi si escludono con questa
impostazione tutti gli atti definiti come preparatori. Impostazione quindi che consente il maggior rispetto del
principio di determinatezza, tipicità e offensività. Ma questa formula risulta essere troppo selettiva rispetto alle
logiche del tentativo. Soprattutto nei confronti dei reati a condotta vincolata. Esclude la possibilità di tenere in
considerazione il pericolo di consumazione del reato. rispetto invece ai reati a forma libera l’impostazione
Zanardelli rischia di essere troppo estensiva. Es l’acquisto di un’arma è cominciamento di esecuzione. Condicio
sine qua non per la realizzazione, ad esempio, di reato di omicidio. O si va quindi troppo avanti o troppo indietro
nell’iter criminis per l’individuazione del momento del tentativo.
L’impostazione del codice Rocco cambia. Le fasi di accertamento del tentativo sono quattro e hanno un ordine
preciso: 1. Accertamento del dolo (il tentativo quindi si pone in essere solo in relazione ai delitti e non per le
contravvenzioni) 2. Mancata perfezione di un fatto tipico 3. Accertamento univocità 4. Accertamento idoneità.
Nel tentativo dobbiamo invertire, prima di tutto dobbiamo capire l’adesione psicologica del reo.
1. Nel tentativo il dolo è un dolo di consumazione. Non può esserci tentativo se la persona voleva solo
tentare. Deve esserci l’intento di portare in fondo la realizzazione del reato. Io volevo realizzare un reato,
ma non ci sono riuscito. Il tentativo essendo un reato autonomo è un delitto, quindi non è prevista la
forma colposa. È doloso anche per ragioni legate all’essenza stessa del tentativo. Dolo elemento centrale
della disciplina del tentativo. Si risponde alla domanda: che cosa voleva fare il soggetto? La risposta è
necessaria per capire se c’è tentativo o no. Non può essere ricordiamo dolo eventuale, quest’ultimo infatti
incompatibile con l’univocità. Diverso è il caso del dolo diretto. Chi compie l’azione ha la certezza che se
organizza le sue azioni lo porterà con certezza alla consumazione di un certo reato. magari non è mosso
dalla volontà di realizzare quel reato, però il soggetto è sicuro che realizzerà il reato.
2. Tentativo compiuto e incompiuto. Perché si accerta successivamente la non perfezione del reato? perché
se constatassimo prima la mancata consumazione potremmo escludere il tentativo anche laddove il
tentativo ci sia. Es tizio ha provocato una malattia, reato consumato di lesioni. Ma magari il tentativo c’è
perché magari tizio voleva uccidere caio. Quindi invece che essere un reato di lesione consumato, magari
è un tentativo di omicidio. Rischieremmo di fermarci troppo tempo se affrontassimo questo punto per
primo.
3. Non ci possiamo fermare al mero pensiero. Devono esserci degli atti, fatti, comportamenti. Che devono
avere la caratteristica dell’univocità. Ma cosa significa? Prima interpretazione univocità significa che è
necessario provare il dolo. Gli atti si considerano univoci solo a patto di provare il dolo di consumazione
verso quegli atti. Seconda interpretazione gli atti devono dimostrare il dolo. Atti univoci sono quegli atti
che senza alcun dubbio ti fanno capire il dolo del soggetto. È evidente che quel soggetto realizzando
quegli atti voleva realizzare il reato. Intendo così l’univocità sarebbe praticamente impossibile dimostrare
il tentativo. Terza ricostruzione (quella che noi adottiamo): univocità intesa come univoca direzione
finalistica rispetto alla commissione di reato voluto. Concetto relazionale. Ma anche qui ci sono dei
problemi. Dal momento in cui il dolo comincia ad esserci tutti gli atti volendo possono essere letti come
univocamente rivolti alla soddisfazione. Tutti gli atti possono essere assunti ad atti preparatori. Il
tentativo quindi potrebbe esserci sempre.
Ultima e quarta interpretazione. Riportiamo tutto alla ratio del tentativo. L’univocità può essere intesa
come contributo al pericolo concreto. Avanzamento tale per cui il soggetto non può avere più
ripensamenti, non si torna indietro. La determinazione dell’agente a commettere il reato era arrivata ad un
livello tale che le condizioni obiettive erano ad un livello tale da ritenere ormai altamente probabile in
base a massime di esperienza, che l’agente, se non si fosse verificata una condizione impeditiva avrebbe
portato a termine il proprio proposito. Pericolosità dato dal controllo che il soggetto ha sulla situazione. E
dall’orientamento che il soggetto da alla situazione sulla base della sua volontà. Bisogna tenere in
considerazione le c.d. contro motivazioni. La paura di essere scoperti, se ne valga davvero la pena ecc.
Soggetto che tendenzialmente si deve confrontare con tutta una serie di inibizioni e motivi di
ripensamento. Quindi intendere l’univocità in rapporto ad una massimo di esperienza secondo la quale la
probabilità che il soggetto abbia dei ripensamenti diminuisce tanto più ci si avvicina alla realizzazione del
reato sulla base di criteri spaziali, temporali, logico e cronologici.

4. Giudizio di idoneità. Pericolosità intesa in senso oggettivo. Sono atti idonei tutti quelli che rendono
possibile l’evento dannoso e pericoloso. Lo rendono dannoso e pericoloso in via oggettiva. Art 49 c.p.
secondo comma (norma da leggere sempre insieme con l’art 56) ci dice che l’atto è idoneo quando è
possibile l’evento dannoso o pericoloso. Gli atti sono idonei quando favoriscono e rendono possibile la
realizzazione del reato che si aveva in mente. Funzionali da un punto di vista eziologico. Casi di massima
idoneità è quando è già stata avviata la catena causale, ma l’evento non si verifica. L’idoneità deve
sussistere anche in relazione a reati di mera condotta. In questi casi si ha idoneità quando si ha
adeguatezza dell’atto rispetto alla prosecuzione dell’iter criminis. Il giudizio di idoneità deve essere ex
ante. Il giudizio di idoneità deve essere un giudizio in concreto. Ma la base del giudizio qual è? A base
totale o parziale? Devo tenere conto di tutti i fattori esistenti al momento del fatto anche quelli ignoti
oppure solo di quelli verosimilmente esistenti al momento del fatto? L’idoneità deve avere una base
parziale come giudizio. Però il tentativo dobbiamo interpretarlo in modo tale da riscontrare un pericolo
concreto, l’importante è che ci fosse la possibilità di consumazione del reato. parliamo quindi di
possibilità e non di probabilità. Nonostante il giudizio in base totale. Quindi dobbiamo tenere in
considerazione tutti gli elementi, tutto quanto, ma adottare la visuale della possibilità e non probabilità di
consumazione del reato. l’idoneità è possibilità. Perché valutiamo l’idoneità dopo l’univocità? Perché il
giudizio di univocità ci consente di selezionare quegli atti che poi dovranno essere sottoposti ad un
giudizio di idoneità.
Ambito di rilevanza del tentativo. Tentativo è configurabile laddove c’è pericolo concreto di consumazione del
reato. pericolo che è al tempo stesso sia oggettivo sia soggettivo. Non può esistere un tentativo (di delitto)
colposo. Non si ritiene ammissibile il tentativo anche in relazione ai reati di contravvenzione. Questo perché
come ci siamo più volte detti le contravvenzioni sono storicamente reati di pericolo astratto, reati a tutela di
funzione e quindi anticipare ulteriormente l’intervento del diritto penale è apparso sempre qualcosa di eccessivo.
Dato che già queste figure sono pensate per colpire situazioni che hanno un’offensività lontana. Casi di cui
nessuno dubita.
Rispetto ai reati di pericolo invece è immaginabile il tentativo? Reati di pericolo astratto o presunto. Accertato
che il tentativo di reato, come reato autonomo, è configurabile come reato di pericolo, ci domandiamo se
quest’ultimo a sua volta possa combinarsi con una fattispecie autonoma di reato di pericolo e non sull’offesa
intesa in termini di lesioni o danno. Possiamo dire che non sussistono ostacoli logici per il giudice di ricostruire
un tentativo per reati di pericolo. Il problema si pone però nelle ipotesi in cui affinchè si abbia consumazione sia
necessario da parte del giudice un accertamento di tipo concreto del pericolo. Per accertare la fattispecie
consumata il giudice deve accertare il pericolo concreto. Il giudice dovrebbe accertare il pericolo concreto che si
stesse per realizzare un pericolo concreto.
Rispetto invece ai reati omissivi impropri? Si. Invece per i reati omissivi propri no. In quanto nei reati omissivi
propri è previsto un termine entro il quale il soggetto deve attivarsi e fino a quel momento non si può parlare di
tentativo. Superato quel termine il reato è consumato. Non c’è spazio quindi perché si possa parlare di tentativo.
Desistenza e recesso del tentativo. È la disciplina prevista dal secondo e terzo comma dell’art 56 che si basa su
un principio fondamentale della disciplina del tentativo. L’ipotesi che il reato non si sia realizzato deve essere un
qualcosa che non abbia niente a che vedere con la volontà del potenziale autore del reato. Per questo motivo,
proprio perché, la mancata realizzazione non dipende da scelte del reo, l’art 56 vede anche la disciplina della
desistenza e del recesso che attengono a casi di tentativo in cui però il difetto di tipicità sia dipeso da una sorta di
ripensamento del reo. La desistenza ed il recesso attivo.
Come visto, il tentativo – dal punto di vista dell’agente – prevede che lo stesso abbia l’intenzione di consumare
perfettamente il reato e che ciò non avvenga (perchè l’evento non si verifica o l’azione non si compie) per motivi
che non dipendono dalla volontà di chi agisce (che, come detto, al contrario, desidererebbe affinché le
conseguenze del reato fossero perfette).Il codice prevede però – rispettivamente al terzo ed al quarto comma
dell’art. 56 – due figure particolari di tentativo nelle quali, in generale, non si verificano le conseguenze del reato
per un “ripensamento” dell’agente che interrompe o pone nel nulla la condotta delittuosa fino a qual momento
agita. Si tratta delle ipotesi così dette della desistenza e del recesso attivo.
La desistenza prevede che l’agente interrompa volontariamente la condotta delittuosa prima che la stessa sfoci
nella consumazione del reato ovvero che si siano verificate le conseguenze del crimine.
Nel recesso attivo l’offender mette in pratica una “controcondotta” in modo da evitare che si produca l’evento
criminale finale (la differenza con la desistenza è, quindi, che l’agente non si limita ad sospendere la sua attività
ma ne pone in essere una successiva atta a porre nel nulla quella fino a quel momento agita che avrebbe portato
alla consumazione del reato).
Nel tentativo “normale” gli effetti nefasti ed illeciti del reato non si perfezionano e non giungono a compimento
per cause esterne ed estranee alla volontà dell’agente (che ha in animo la consumazione del reato); mentre nelle
due figure appena viste (con maggiore forza logica e pratica nel recesso attivo) il reato non si verifica poiché così
desidera il soggetto. Desistenza e recesso attivo sono due istituti assolutamente premiale poiché il Legislatore in
entrambi i casi prevede una risposta sanzionatoria oltremodo vantaggiosa:
– nel caso di desistenza il soggetto agente risponderà solo se e per gli atti compiuti qualora gli stessi siano da soli
considerati reato;
– nel caso di recesso attivo il reo risponderà per la pena prevista per il delitto consumato diminuita in misura
maggiore rispetto alla figura “base” di tentativo (ovvero da due terzi alla metà rispetto alla pena per il reato
consumato).
Non deve stupire che la condotta attiva di colui che si industria per impedire l’evento sia punita più aspramente
di quella del soggetto che si limita ad interrompere la propria condotta potenzialmente criminale. Invero, nel
rispetto del principio dell’offensività (vedi sopra) e della necessaria concreta (ed oggettivamente rilevabile)
pericolosità delle azioni inquadrabili quali tentativo, il Legislatore ha inteso punire più duramente quelle condotte
che sono ad uno stadio tale da richiedere un interevento attivo (anche se effettuato dallo stesso responsabile)
affinché non si traducano nella realizzazione perfetta del reato (e che, quindi, hanno realizzato un pericolo
concreto per il bene protetto). Evidentemente, nel caso della desistenza, il reo (potenziale) arresta la propria
condotta prima ancora che sia necessaria una azione “uguale e contraria” per porre nel nulla gli effetti della sua
azione ovvero in un momento in cui la modificazione della realtà è stata innocua e priva di conseguenze non
essendosi realizzato alcun iter causale diretto alla consumazione del crimine. Da qui il diverso trattamento
sanzionatorio.
In riferimento ai due istituti di cui sopra, occorre segnalare che è del tutto irrilevante dal punto di vista giuridico
qualsiasi considerazione sui motivi che inducono il soggetto a desistere o a recedere: non ha alcuna importanza
né il pentimento né ogni altra forma di resipiscenza. Occorre solo che la condotta sia volontaria ovvero che non
sia coartata da fatti ed evenienze (ad esempio l’arrivo della polizia o la reazione della vittima) che avrebbero in
ogni caso implicato l’interruzione del processo criminoso.
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Passiamo ora al tema e disciplina del concorso di persone nel reato. Iter criminis dalle caratteristiche
particolari. Intervento di più persone, magari anche in più fasi della realizzazione del reato. In casi come questi
come può essere tipico il contributo atipico ma funzionale al fatto tipico commesso insieme o da altri? Possiamo
considerarlo addirittura come contributo tipico? A volte addirittura sono i partecipi a cui si possono attribuire le
principali responsabilità. Posto che nella partecipazioni di più soggetti alla realizzazione di un unico reato, ogni
singolo soggetto ne ha realizzato soltanto una parte e quindi non ha posto in essere tutti gli elementi del fatto
tipico, se noi non considerassimo la partecipazione di ogni singolo soggetto come tipica, dovremmo ammettere
che reato non c’è stato poiché quella fattispecie di reato non è stata interamente realizzata da un unico soggetto.
Ratio perché si ritiene opportuno punire anche i partecipanti alla realizzazione della fattispecie di reato.
Concezione estensiva dell’autore è un’idea che ritiene equivalenti tutte le condotte che hanno variamente
contribuito al crimine. Ci si basa sulla causalità. Ma la questione è diversa. Nel concorso di persone ciò che ci
interessa è l’interazione tra le persone che hanno partecipato alla realizzazione del reato. Volontà umana.
Teoria dell’accessorietà dice che non è vero che c’è equivalenza tra i contributi. Ci sono delle condotte accessorie
a quelle principali. Comportamenti di chi ha realizzato il fatto tipico (condotte tipiche così come descritte dalla
norma) e comportamenti accessori che accedono a quelli tipici (condotte atipiche). Negli ordinamenti che
accolgono questa impostazione ci si pone il problema di quando un comportamento accede a quello principale.
Specifiche ipotesi di condotte accessorie che vengono tipizzate. Figure tipiche di condotte che diventano
penalmente rilevanti nella misura in cui accedano a comportamenti tipici altrui. Questa teoria però non potrebbe
disciplinare l’ipotesi di reato frazionato. Impostazione dell’autore mediato. Ipotesi in cui il contributo di un
soggetto è talmente intenso che è come se lui avesse realizzato il reato stesso utilizzando altri soggetti come
strumenti ai fini della realizzazione del reato stesso.
Impostazione della fattispecie autonoma plurisoggettiva eventuale. Chiunque concorre alla realizzazione della
fattispecie x è punito con la stessa pena in linea principio della pena del reato x, ma per un reato diverso. In
questo reato diverso anche le condotte non sono più quelle del reato monosoggettivo.

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