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Percorsi valutativi e terapeutici in medicina riabilitativa.

Linee guida operative


a cura di N. AMBROSINO, G. BAZZINI, F. COBELLI, F. FRANCHIGNONI, P. GIANNUZZI, C. RAMPULLA,
M. VITACCA
Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, Pavia 1997 - I Documenti • 11

Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

G. BAZZINI, F. FRANCHIGNONI

1. INTRODUZIONE

Concetti riabilitativi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità

Il modello tradizionale della medicina si basa su un concetto di malattia


che può essere rappresentato come segue:
eziologia ➝ patologia ➝ sintomatologia
Le caratteristiche salienti di questo modello sono le concezioni di malattia
come alterazione di una o più organi, della diagnosi come identificazione di
agenti causali, e della cura come aggressione dei fattori patogeni.
Coerenti con questo schema sono la classificazione delle malattie secondo
l’International Code of Diseases e la suddivisione delle competenze mediche in
“specialità” definite soprattutto in base ad organi-bersaglio.
Questo modello mostra dei limiti, tuttavia, ogniqualvolta l’agente causale
non sia aggredibile: ad esempio perché la causa è ormai trascorsa (si pensi al
trauma cranico) o è sconosciuta (si pensi alla sclerosi multipla). Questo tipo di
situazioni è in continuo aumento: basti pensare a quante condizioni patologiche
non “guaribili” sono determinate dal semplice invecchiamento della
popolazione, e dalle accresciute capacità medico-chirurgiche di far sopravvivere
ad eventi acuti pazienti (che spesso divengono portatori di esiti invalidanti), i
quali un tempo sarebbero deceduti.
In tutti questi casi diventano “malattia” a pieno titolo quelle che il modello
bio-medico classico definirebbe conseguenze della malattia stessa, le quali

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rappresentano il punto di partenza della riabilitazione, il cui modello schematico


è il seguente:
eziologia patologia menomazione disabilità handicap

Questo schema è la base dell’International Classification of Impairments,


Disabilities and Handicaps dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
che propone i tre seguenti livelli:
– Menomazione: perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione
psicologica, fisiologica o anatomica.
– Disabilità: riduzione (risultante da una menomazione) parziale o totale della
capacità di compiere un’attività in maniera, o nei limiti, considerati come
normali per un essere umano.
– Handicap: svantaggio sociale o “di situazione” per l’individuo, conseguente
ad una menomazione o ad una disabilità, che in un certo soggetto limita o
impedisce l’adempimento del ruolo normale, in relazione all’età, sesso e
fattori socio-culturali.
Le caratteristiche di questa concezione sono:
– un modello di ragionamento che definisce gli interventi da attuarsi in base alle
problematiche del singolo paziente;
– un trattamento mirante a migliorare la condizione del malato a ciascuno dei
tre livelli;
– un ruolo attivo del paziente nella misura delle sue possibilità (la persona
disabile ha diritto ad un’esistenza che vale la pena condurre nel contesto
sociale al quale appartiene);
– una cultura di tipo interdisciplinare che parta dall’analisi delle capacità residue.

Concetti generali di riabilitazione

Dal “Trattato di Terapia Fisica e Riabilitazione” di Kottke, Stillwell e


Lehmann riportiamo in figura 1 un diagramma illustrativo delle prestazioni
umane indicate con una linea continua, in relazione alla durata della vita, ed in
figura 2, un grafico funzionale relativo al sopraggiungere di una disabilità grave
nell’età adulta.
La malattia improvvisamente diminuisce la capacità funzionale fino
all’invalidità totale. Solo la cura medica può assicurare la sopravvivenza (curva
A) ma può lasciare il paziente totalmente o parzialmente invalido per il resto
della sua vita.
Una cura medica intensa associata ad una riabilitazione limitata può
portare l’individuo ad un livello funzionale più alto, ma se la riabilitazione non è
seguita da un programma di mantenimento adeguato, ci può essere una graduale
perdita funzionale sino al livello di dipendenza (curva B).

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Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

FUNZIONE
Ottimale 5

Auto-sufficiente 4
Parzialmente
indipendente 3
Parzialmente
dipendente 2
Totalmente
dipendente 1

0
Nascita Adulto Pensionato Morte
Infanzia
Figura 1: Prestazione umana come misura di salute durante la vita

FUNZIONE
Ottimale 5
C Mantenimento

Auto-sufficiente 4
Riabilitazione

Parzialmente
indipendente 3
Parzialmente S
dipendente 2 A opravv
iven
za
Totalmente
dipendente 1
Disabilità
0
Nascita Adulto Pensionato Morte
Infanzia
Figura 2: Prestazione umana di adulti disabili come misura della riabilitazione

Il fine di qualsiasi programma di riabilitazione deve essere quello di


rendere il paziente indipendente in tutte le sue attività quotidiane ed in grado,
alla fine del programma di riabilitazione, di sapersi gestire in modo da utilizzare
al meglio le risorse disponibili per mantenere tale livello di indipendenza
funzionale per tutta la vita o comunque il più a lungo possibile. La curva C
indica il risultato ottimale di un tale programma.

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G. Bazzini, F. Franchignoni

L’approccio riabilitativo mira ad approntare un programma terapeutico per


il disabile, avente come finalità l’ottenimento della più ampia indipendenza e di
una partecipazione ottimale alla vita sociale ed economica, compatibilmente con
il danno anatomico e le limitazioni ambientali.
Questo si attua tramite un processo olistico, destinato a conservare,
sviluppare o ripristinare le capacità di una persona a svolgere le normali attività,
mettendo in atto tutte quelle misure per prevenire o minimizzare le conseguenze
funzionali, fisiche, psichiche, sociali ed economiche delle patologie invalidanti,
dalla fase di trattamento medico sino alla reintegrazione sociale.
Gli obiettivi della riabilitazione si basano inoltre su due principi: la
partecipazione attiva della persona interessata alla propria riabilitazione ed il
dovere per la società di adattarsi ai bisogni specifici delle persone disabili.
Sul piano operativo è utile distinguere gli interventi riabilitativi di tipo
medico dagli interventi riabilitativi di tipo sociale, pur considerando la stretta
connessione esistente tra i due aspetti.
Questi ultimi hanno lo scopo di intervenire sull’ambiente per adattarlo alle
esigenze del disabile (lottando quindi contro le barriere fisiche, psicologiche e
sociali e cercando di prevenire la possibile insorgenza di handicap).
La riabilitazione medica persegue invece i seguenti aspetti del problema:
a) l’individuazione, la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione delle
menomazioni, delle disabilità e degli handicap;
b) il recupero dell’autonomia personale mediante l’attuazione della
rieducazione funzionale e la fornitura di ortesi, protesi ed ausili, per la cui
prescrizione è necessario un intervento medico specialistico;
Le ortesi sono apparecchiature che aumentano, migliorano o controllano la funzionalità di
parti del corpo presenti ma compromesse, recuperandole alla normale funzionalità.
Le protesi sono apparecchiature applicate al corpo umano che sostituiscono totalmente o
parzialmente parti del corpo mancanti, recuperando le funzioni che esse normalmente
avrebbero.
Ausilio infine è uno strumento, gestito dalla persona disabile, che serve a migliorarne la
qualità di vita , permettendole di far ciò che altrimenti non potrebbe fare o per farlo in modo
più sicuro, rapido e accettabile, o infine di prevenire l’instaurarsi o l’aggravarsi di una
disabilità.

c) la reintegrazione socio-familiare, scolare, professionale.


Questo processo avviene tramite:
– la valutazione delle menomazioni, disabilità ed handicap del paziente;
– l’individuazione degli obiettivi teoricamente e realisticamente raggiungibili, in
base alle capacità residue del paziente, alla prognosi della malattia o del
trauma, agli obblighi che la società impone al paziente, alla consistenza che il
paziente spera di dare alla sua esistenza ed agli sforzi che è disposto a fare per
arrivarvi;

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Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

– la conseguente progettazione e conduzione di un valido progetto globale di


recupero motorio-funzionale;
– la verifica della validità dei vari approcci terapeutici e dell’utilità delle
tecniche proposte ed utilizzate;
– la formulazione di attendibili indirizzi prognostici.
Questi aspetti dell’intervento terapeutico non possono comunque essere
dissociati dagli atti idonei ad ottenere dalla società alcuni mezzi per la loro
realizzazione.
E’ necessaria infatti una collaborazione tra il settore medico e quello
sociale per la definizione di adeguate modalità di lavoro per il disabile (lavoro
con adattamento del posto di lavoro, lavoro protetto, attività miranti
all’inserimento professionale ecc.) e di aiuti tecnici e sociali, per l’abolizione di
barriere architettoniche, l’accessibilità agli edifici e l’adattamento degli alloggi,
per la fornitura di facilitazioni nei riguardi di mezzi di comunicazione e
trasporto, attività sportive, tempo libero ecc., e per l’attuazione di programmi di
educazione sanitaria e di informazione mirata.
In pratica, la riabilitazione medica ha per interesse principale la
valutazione ed il trattamento delle disabilità (vedi classificazione dell’OMS),
come conseguenza del danno e della menomazione. Anche la valutazione ed il
trattamento del danno e della menomazione possono essere oggetto di suo
intervento, così come la valutazione dell’handicap nel momento di passaggio fra
riabilitazione medica e riabilitazione sociale.
La riabilitazione medica è caratterizzata dunque da un processo di
soluzione di problemi e di educazione, nel corso del quale si porta una persona
disabile a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico,
funzionale, emozionale e sociale, con la minor restrizione possibile delle sue
scelte operative, pur nell’ambito della limitazione della sua menomazione e
della quantità di risorse disponibili. Ciò necessita, oltre che del recupero
funzionale, anche dell’utilizzazione delle capacità funzionali residue e della
compensazione di quelle perdute, tenendo conto di tutti gli aspetti della vita e
della persona e giovandosi dell’apporto di un team interdisciplinare di medici e
tecnici, che lavori in modo coordinato.
Al fisiatra, in quanto specialista in fisiopatologia e clinica delle funzioni
neuromotorie, competono:
A) la diagnosi e la valutazione delle conseguenze funzionali della malattia in
atto, da inserirsi nel contesto delle problematiche mediche pregresse e
concomitanti;
B) la pianificazione e l’attuazione del programma di intervento terapeutico nei
confronti del soggetto disabile;
C) la verifica dei risultati.
Alle altre figure professionali, quali gli operatori tecnici della

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riabilitazione, spetta la realizzazione dell’intervento terapeutico rivolto alle


menomazioni e alle disabilità incluse nello specifico ambito di competenza
(fisioterapisti per il motorio, logoterapisti per il linguaggio e terapisti
occupazionali per la traduzione funzionale del recupero), nel quadro del
progetto di intervento generale, nonché l’intervento di informazione ed
educazione nei confronti del paziente e di coloro che a vario titolo saranno
interessati alla sua situazione di disabilità.
Inoltre, dato il carattere spesso interdisciplinare degli interventi (con il
coinvolgimento di vari medici specialisti e altri operatori quali psicologi,
bioingegneri, ecc.) è particolarmente importante l’adeguato coordinamento tra
le varie fasi del progetto terapeutico e l’individuazione delle priorità più
opportune a favorire il recupero di autonomia del soggetto disabile nel modo più
rapido ed efficace possibile.
Per quanto riguarda la valutazione degli interventi riabilitativi, i risultati
funzionali possono essere misurati a livello di menomazione, disabilità o
handicap.
Le misure di disabilità costituiscono il livello più comune ed appropriato
per valutare i programmi di riabilitazione medica di pazienti degenti. Infatti
questi programmi devolvono la maggior parte dei loro sforzi ad una gamma
relativamente limitata di problemi o obiettivi funzionali e si applicano a pazienti
con gravi disabilità o problematiche complesse. E’ ovvio quindi che un
miglioramento in funzioni fondamentali, quali le capacità di camminare,
muoversi ed eseguire attività elementari della vita quotidiana, rappresenti un
obiettivo di primaria importanza.
Vi è un sostanziale concordanza sulle principali voci relative
all’indipendenza funzionale idonee a misurare gli interventi riabilitativi. Queste
misure (basate prevalentemente su scale semiquantitative) sono di cruciale
importanza perché ci indicano se un intervento ha prodotto un miglioramento
significativo sulla disabilità del paziente.
Altre misure (più specifiche e tecnologiche), quali quelle per esempio
relative all’analisi del cammino, sono essenziali per valutare specifici aspetti
funzionali.
Va inoltre sottolineato come il significato della presenza delle varie
disabilità vari tra pazienti: una determinata abilità, cruciale per una persona, può
essere irrilevante per un’altra. Non è quindi sufficiente migliorare la funzione
ma bisogna conoscere la funzione più importante per quella persona.
Le misure di menomazione (per utilizzare le quali è necessario raggruppare
i pazienti in classi diagnostiche) sono essenziali per capire perché alcuni
pazienti migliorano nella funzione e altri no.
Le misure di handicap si riferiscono più alla vita delle persone disabili in
quanto elementi della società e perciò appaiono più seducenti come misure dei

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Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

risultati. La riduzione dell’handicap è un obiettivo appropriato per i programmi


di riabilitazione globali e in particolare per le ultime fasi della riabilitazione (ad
es. nei pazienti ambulatoriali). L’handicap è la misura del risultato più completa
in quanto include la disabilità, l’ambiente, lo svantaggio della persona e le
norme sociali. Purtroppo questo parametro è influenzato da molti fattori al di
fuori del controllo dei programmi di riabilitazione medica (supporto familiare,
etnia, povertà, storia prelavorativa, barriere architettoniche, attitudini sociali).
Inoltre le misure di handicap non sono così sviluppate come le misure di
disabilità o di menomazione.
E’ inoltre importante in riabilitazione una distinzione tra obiettivi del
trattamento a breve termine ed a lungo termine. Gli obiettivi a breve termine
sono parziali e più specifici, mentre gli obiettivi a lungo termine sono più
generali e significativi.
Esempi di obiettivi del trattamento a breve termine sono: un aumento
dell’articolarità, l’insegnamento di alcune procedure importanti nella gestione
della carrozzina, l’addestramento all’autocateterismo sterile, il cammino tra le
parallele, e così via.
Esempi tipici di obiettivi del trattamento a lungo termine sono:
l’indipendenza nelle attività di vita quotidiana , l’acquisizione di mobilità
sicura, la prevenzione delle infezioni o delle piaghe da decubito, ecc.
Recentemente alcuni Autori hanno distinto anche tra obiettivi del
trattamento e obiettivi dell’intervento riabilitativo. Secondo quest’ottica
moderna è possibile definire come obiettivo del trattamento un
miglioramento nella funzionalità della persona nella comunità dopo le
dimissioni o il termine del trattamento, mentre gli obiettivi dell’intervento
riabilitativo sono definiti ad un livello più ampio, meno specifico ma più
significativo, come miglioramenti della qualità di vita della persona, grazie
all’eliminazione di handicap. Questi ultimi obiettivi possono essere quindi
misurati una volta terminati i servizi, quando la funzionalità del paziente si è
stabilizzata ad un certo grado.
Secondo questo modello si misurano i risultati riabilitativi in termini di
attività produttiva (lavoro pagato, scolarità, lavoro domestico o altri ruoli che
ricadano nelle definizioni di occupazione dell’OMS) o di vita indipendente, che
viene quantificata analizzando ad es. il tipo di sistemazione abitativa (al di fuori
di istituzioni) o il grado di richieste di assistenza.
Nella Tab. 1 sono schematizzati alcuni di questi obiettivi e viene accennato
all’importanza di porsi congiuntamente obiettivi di efficacia ed efficienza.
In sintesi, si dovranno quindi analizzare i seguenti parametri generali
(tramite strumenti spesso ancora da mettere a punto): a) misure di tipo
funzionale; b) tipologia della struttura verso la quale viene dimesso il paziente;
c) attività produttive eseguibili (impieghi retribuiti, attività scolastica, lavori di
casa, attività ricreative, ecc.); d) utilizzo di risorse, sia medico-sanitarie che
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Tabella 1: Obiettivi

1. Obiettivi del trattamento: sono definiti in termini di grado di miglioramento del


quadro clinico del paziente
2. Obiettivi dell’intervento riabilitativo: sono definiti in termini di benefici nella qualità di
vita ricevuti dal paziente o, in seconda istanza, dalla famiglia o da chi lo accudisce
Essi si riferiscono ad esempio:
a) per il terapista della riabilitazione: al miglioramento della disfunzione fisica
identificata o alla riduzione del dolore associato al movimento
b) per il terapista occupazionale: alla crescita nelle abilità in attività della vita
quotidiana ed al grado con cui sono raggiunte abilità lavorative
c) per il logopedista: all’efficacia delle azioni per migliorare le abilità nella
comunicazione
d) per l’assistente sociale: ai risultati nell’aver assicurato al paziente un adeguato
sostentamento, una dimora, possibilità di trasferirsi e comfort di base
e) per il fisiatra: al raggiungimento di tutti gli obiettivi del team, al mantenimento di un
adeguato stato di salute, alla prevenzione delle complicanze
3. Obiettivi di efficacia: sono basati su quantificazioni dei progressi dei pazienti,
tramite misurazioni dell’indipendenza funzionale nel cammino, nei trasferimenti,
nella cura della persona ecc.
4. Obiettivi di efficienza: sono misurati in termini di risorse consumate (tempo
dedicato da parte dello staff, lunghezza della degenza, numero di trattamenti, costi
economici)

sociali; e) soddisfazione da parte del paziente, della sua famiglia e dei vari
fornitori di servizi sanitari.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Classificazione Internazionale delle malattie, 9a Revisione-Modificazione clinica. ICD-9-CM,
Vol.3°: Interventi chirurgici e procedure diagnostiche e terapeutiche.s.a.i.
Council of Europe. Raccomandazione 1185 (1992), adottata dall’Assemblea Parlamentare del
Consiglio d’Europa il 7/5/92, relativa alle politiche di riabilitazione per le persone
handicappate: “Una politica coerente per le persone handicappate”. Documento S.I.M.F.E.R.,
1993.
DeLisa JA ed. Rehabilitation Medicine. Principles and Practice. Philadelphia: JB Lippincott, 1988.
Federazione Europea di Medicina Fisica e Riabilitazione-Accademia Medica Europea di
Riabilitazione-U.E.M.S. Libro Bianco sulla Medicina Fisica e Riabilitazione. Ediz. it. a cura
di SIMFER e SIMFiR, s.a.i.
Fuhrer MJ ed. Rehabilitation Outcomes. Analysis and Measurement. Baltimore: Paul H Brookes
Publishing Co., 1987.
International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps; WHO, Ginevra, 1980.
Johnston MV, Wilkerson DL, Maney M. Evalutation of the Quality and Outcomes of Medical
Rehabilitation Programs. Rehabilitation Medicine. Principles and Practice. Philadelphia: JB
Lippincott, 1988.
Ministero della Sanità: Atto di intesa tra Stato e regioni per la definizione del Piano sanitario
nazionale relativo al triennio 1994-1996. Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” n. 8
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Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

del 12 gennaio 1994 - Serie generale.


Wade DT. Measurement in Neurological Rehabilitation. Oxford: Oxford University Press, 1992.

2. CRITERI GENERALI DI PROGRAMMAZIONE IN


RIABILITAZIONE NEURO-MOTORIA

La conoscenza delle dimensioni del fenomeno delle disabilità è un


requisito fondamentale ai fini della definizione di un progetto organico di
interventi nel settore dell’assistenza riabilitativa.
Purtroppo non esistono ancora in Italia dati sull’entità e sulle cause di
disabilità. Qualche indicazione ci viene da indagini campionarie, quali quella
dell’ISTAT del 1988, che stimò una prevalenza di 14 - 15 casi per 1000 di
invalidità motoria (dato peraltro da ritenersi inferiore al reale in quanto
riferentesi in prevalenza alle disabilità causate da lesioni traumatiche
dell’apparato locomotore e solo in parte a quelle di natura neurologica e
reumatologica).
Per quanto riguarda le patologie neurologiche, nei paesi industrializzati è
stata segnalata per l’ictus “completo” una prevalenza di circa 600 casi ed
un’incidenza di primo ictus di 220 casi all’anno ogni 100.000 abitanti (0,5%
nella IV decade e 10% dopo i 70 anni). La riduzione dei fattori di rischio ha
ridotto la mortalità, ma in una gran parte dei pazienti sopravvissuti residuano
disabilità di grado medio-grave.
Meno frequenti ma ugualmente gravati da un alto tasso di disabilità
associate (per lo più suscettibili di trattamento riabilitativo) sono alcune
patologie neurologiche ad andamento cronico, che hanno prevalenza variabile
da 15-20 casi (sclerosi multipla) a 3-4- casi (distrofie muscolari) ogni 100.00
abitanti. Non vanno inoltre dimenticati il morbo di Parkinson (100 - 200 casi
ogni 100.000), le cui forme più avanzate sono caratterizzate da un’ elevata
disabilità, e le polineuropatie (tra le quali particolare interesse riabilitativo
rivestono le varianti più gravi della sindrome di Guillain-Barré).
Inoltre, relativamente all’incidenza di gravi cerebrolesioni acquisite
dell’adulto (traumatiche, anossiche, vascolari ecc.) sono stati riportati
valori di 20 casi/anno ogni 100.000 abitanti, mentre le mielolesioni
sarebbero 2-3 casi/anno ogni 100.000 abitanti. Il trattamento di queste
ultime patologie richiede l’attivazione di presidi di alta specialità di
Medicina Riabilitativa.
Infine nel settore delle malattie reumatiche la domanda di assistenza
riabilitativa è molto elevata ed i casi con artrosi ed artrite disabilitanti sono
numerosissimi.
In conclusione è ragionevole ipotizzare la presenza in Italia di almeno 4-5

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G. Bazzini, F. Franchignoni

Limitazioni in attività
non essenziali 4.3

Limitazioni in attività
importanti 5.8

Incapacità a svolgere
attività importanti 3.8

0 1 2 3 4 5 6
% popolaz.

Figura 3: Dati relativi alle percentuali di soggetti statunitensi con limitazioni di


vario grado nelle attività

Tipi di limitazione funzionale

Salire e scendere dal letto 0.9


Muoversi in casa 1.1
Capire i discorsi altrui 1.1
Muoversi fuori casa 2.6
Ascoltare una normale
conversazione 3.3
Leggere un quotidiano 5.5
Salire una rampa di scale 7.8
Sollevare o portare una 7.9
borsa di 5 Kg
Camminare per almeno 350 m 8.3

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9
% popolaz.

Figura 4: Tipologie e frequenza delle principali limitazioni funzionali rilevate nella


popolazione statunitense

milioni di disabili, dei quali più del 10% portatore di minorazioni gravi e
suscettibili di intervento riabilitativo. Questi dati sono sovrapponibili a quelli di
Francia e Stati Uniti.
Nelle figure sono appunto riportati alcuni dati-chiave relativi alla

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Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

< 14 5.1
18-24 5.8
25-44 9.6
45-64 23.7
65-69 39.9
70-74 33.4
75-84 40.1
> 85 58.7

0 10 20 30 40 50 60
% popolaz.

Popolazione con limitazioni Popolazione con limitazioni Popolazione incapace di


in attività non essenziali in attività importanti svolgere attività importanti

Figura 5: Livelli di disabilità della popolazione statunitense, stratificata per età

frequenza di limitazioni funzionali e disabilità nella popolazione americana.


A ciò si aggiunga che i recenti progressi del trattamento medico nelle
patologie acute ed il rapido incremento delle malattie invalidanti ad andamento
cronico stanno
p r o g r e s s i v a m e n t e Tabella 2: Valore della percentuale di pazienti
aumentando le richieste di con disabilità motorie, a seconda della loro
patologia principale
interventi di tipo
riabilitativo in generale e Patologia %
rieducativo motorio in
Sclerosi multipla 77.0
particolare.
A scopo puramente Paresi/plegie 65.7
indicativo nella tabella qui Enfisema 48.2
sotto riportata vengono
Disturbi del disco intervertebrale 45.9
forniti dati statunitensi
relativi alle percentuali di Patologie cerebro-vascolari 41.2
pazienti con disabilità Osteomieliti o altre patologie dell’osso 34.3
motorie, a seconda della
Diabete mellito 32.1
patologia di base da cui
sono affetti. Menomazioni di natura ortopedica 31.6
Si assiste inoltre ad Artriti 20.8
una continua crescita della
Amputazioni 18.2
complessità degli interventi,
ascrivibile sia alla necessità

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G. Bazzini, F. Franchignoni

di valutazioni e trattamenti su pazienti affetti da disabilità gravi e molteplici, sia


allo spostarsi dell’intervento verso momenti sempre più vicini alla fase acuta di
insorgenza delle menomazioni (con la conseguente presa in carico di pazienti
con deficit di funzioni vitali di base), sia infine alla diminuzione dell’età media
dei pazienti da riabilitare.
Alla luce di queste considerazioni e della relativa carenza di strutture
riabilitative sul territorio nazionale (in particolare di degenza per pazienti con
disabilità gravi) si rende ancor più necessaria una valutazione delle relazioni tra
efficacia del trattamento ed efficienza con cui è prodotto, ben sapendo che in
qualsiasi allocazione di risorse in campo sanitario sono contenute anche
implicazioni di ordine etico.
In sintesi, per la realizzazione di un adeguato processo riabilitativo è
indispensabile:
– mobilizzare risorse spostandole dalla cronicità alla fase più vicina possibile
all’insorgenza della menomazione con possibili conseguenze disabilitanti;
– perseguire la realizzazione di una rete integrata di servizi e presidi di
riabilitazione sanitaria e di riabilitazione sociale;
– disporre di un’adeguata organizzazione dei servizi sanitari su tre livelli di
intervento (come indicato nell’Atto di intesa tra Stato e regioni per la
definizione del Piano sanitario nazionale relativo al triennio 1994-1996) in
grado di soddisfare, con incisività e sufficiente elasticità, le necessità dei
soggetti disabili del territorio di pertinenza operando in un’ottica
dipartimentale ampia.
Si ritiene inoltre consigliabile l’istituzione (a livello regionale) di
Commissioni di coordinamento, che abbiano tra gli scopi principali i seguenti:
a) coadiuvare l’espletamento di periodiche procedure di accreditamento dei
servizi sanitari che operano nel settore, non solo sotto l’aspetto strutturale e
tecnologico-organizzativo (conformità a standard di requisiti minimi, alle
normative vigenti in materia di sicurezza, di organizzazione generale e di
abolizione delle barriere architettoniche ecc.) ma anche sotto quello clinico-
scientifico (verifica dell’adeguatezza delle procedure di selezione, di avvio al
trattamento, di stesura e controllo di piani di trattamento individualizzato, di
dimissione e controllo a distanza; presenza ed idoneità di un sistema di
valutazione dei programmi terapeutici ecc.);
b) attivare strumenti idonei per pervenire ad una sistematica ed organica
raccolta di dati epidemiologici e di informazioni sulle disabilità fisiche, con
lo scopo sia di delineare la reale entità del fenomeno sia d’individuare
protocolli comuni di intervento sulle varie forme di disabilità;
c) suggerire la tipologia e le sedi regionali presso cui erogare alcune prestazioni
diagnostico-valutative e terapeutiche di Medicina Riabilitativa la cui
diffusione deve essere limitata per motivazioni di ordine scientifico o

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Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

economico;
d) approntare un piano per l’aggiornamento permanente degli operatori nel
settore della riabilitazione medica in collaborazione con le Università, gli
IRCCS con valenze riabilitative presenti in Regione e gli altri Centri
didattico-formativi qualificati.
Nell’ambito degli interventi per il continuo miglioramento di qualità
dell’intervento riabilitativo si sottolinea anche l’importanza dell’esistenza, per
ogni paziente in trattamento riabilitativo (quale che sia il regime di cura), di un
piano di trattamento scritto e periodicamente aggiornato, in base al potenziale
riabilitativo dello stesso. Il piano deve definire necessità e limitazioni del
paziente, così come i fini del programma terapeutico ed anche i provvedimenti
da prendere prima della dimissione. Questo piano va preparato dal team
polidisciplinare, coordinato dal fisiatra, e redatto con l’attiva partecipazione del
paziente e/o della sua famiglia. I progressi sono valutati regolarmente in
funzione del piano di trattamento, tramite incontri tra tutto il personale sanitario
coinvolto nella cura del paziente.
E’ altresì da prevedersi una procedura per assicurare la continuità ed il
coordinamento degli interventi dopo la dimissione (compreso un piano per
periodici controlli a distanza). Il tutto va stabilito in accordo con i medici

* Nella misura della disabilità tramite scale di valutazione la letteratura riabilitativa è concorde nel
rilevare solo le attività essenziali allo svolgimento di una vita domiciliare (le “activities of daily living”, ADL) e
nel dare a ciascuna voce un punteggio ordinato gerarchicamente in base all’autosufficienza con cui l’attività è
svolta, indipendentemente dalla qualità della prestazione. Tra le numerose scale proposte le più note e diffuse
sono l’indice di Barthel (Md State Med J 1965; 14: 61 - 65) e la Functional Independence Measure (FIM). Una
terza scala, di buon livello ma meno usata e studiata, è la PECS (Arch Phys Med Rehab 1981; 62: 456 - 461).
L’indice di Barthel valuta attraverso 10 voci la capacità motoria (trasferimenti letto-sedia e ritorno,
locomozione tra mura domestiche e salita-discesa di una scala), l’igiene personale (rassettarsi e fare il bagno),
il nutrirsi ed il vestirsi, le attività sfinteriche (funzione vescicale ed alvo) e l’igiene perineale.
La FIM (= Functional Independance Measure) è una scala di valutazione della disabilità proposta da
Granger e Coll., consistente in una griglia di 18 items, una parte dei quali costituiscono il sottogruppo
motorio, mentre un’altra quello cognitivo. Il primo gruppo comprende 13 voci attinenti alla cura della
persona, al controllo sfinterico, alla mobilità, alla locomozione; il secondo gruppo ha 5 voci, relative alla
comprensione, all’espressione, al rapporto con gli altri, alla soluzione di problemi e alla memoria.
Le caratteristiche salienti di questa scala possono essere così riassunte: a) il grado di autosufficienza
viene quantificato su 7 livelli: 2 per l’autosufficienza (senza o con uso di ausili) e 5 per la non-autosufficienza;
b) sono censiti anche aspetti di tipo comportamentale e neuropsicologico (per lo più trascurati dalle altre
scale); c) è prevista anche la raccolta di variabili cliniche (dati anamnestici, tempi di degenza) e socio-
economiche (reddito, composizione del nucleo familiare ecc.).
Dalla somma dei punteggi riportati nei singoli item deriva un punteggio finale che corrisponde alla
disabilità del soggetto: il punteggio FIM motorio andrà quindi da 13 a 91, mentre quello cognitivo da 5 a 35.
La FIM ha una notevole diffusione: l’Uniform Data System for Medial Rehabilitation (UDS, agenzia
di supporto che cura rigorose procedure di insegnamento della scala e di accreditamento, per garantire
uniformità di rilevazioni tra osservatori) dispone già di informazioni relative a più di 80 mila pazienti
statunitensi ricoverati presso 256 centri di riabilitazione e in numerosi altri paesi sono iniziate raccolte di dati
con questa scala.
La FIM è uno strumento più elaborato e sensibile rispetto al Barthel Index. Le approfondite analisi a
cui viene sottoposta dalla recente letteratura ed il supporto di un apposita organizzazione (l’UDS, presente
anche in Italia) stanno contribuendo in maniera determinante a renderla la scala di riferimento in campo
internazionale per l’analisi di numerose patologie di interesse della riabilitazione motoria dell’età adulta.

161
G. Bazzini, F. Franchignoni

curanti di base e con i servizi sanitari del territorio di residenza del paziente.
Inoltre si reputa necessaria un’analisi sistematica dei risultati
terapeutici effettivamente conseguiti dai pazienti nella vita reale, al fine di
determinare l’efficacia e l’efficienza degli interventi attuati. Tale procedura
deve basarsi sull’adozione di misurazioni funzionali dotate di comprovate
caratteristiche di validità e ripetibilità (quali ad esempio per le degenze
riabilitative la FIM)*.

Interventi di riabilitazione neuromotoria

Nel programmare un modello generale per interventi di riabilitazione


neuromotoria vanno tenute preventivamente in considerazione, a nostro avviso, i
seguenti princìpi operativi:
1) la necessità di non distinguere interventi sanitari di Riabilitazione Medica
per fasce di età (pur potendosi prevedere soluzioni organizzative locali
particolari, legate a certe condizioni specifiche), bensì per livello di gravità
della perdita di indipendenza funzionale, per intensità, durata e tipologia
degli interventi terapeutico-riabilitativi da attuare, per prognosi funzionale
del singolo paziente;
2) l’importanza di non frammentare la responsabilità degli interventi di
Riabilitazione Medica (sia intra- che extra-ospedalieri) da attuarsi in un
determinato ambito territoriale. Ciò comporta la creazione di Unità
fisiatriche, il cui responsabile possa curare il coordinamento di tutto il
personale (medico, tecnico ed amministrativo) dedicato alla riabilitazione in
un certo territorio, quali che siano la forma di rapporto che esso ha con il
SSN e la struttura (ospedale, ambulatorio, RSA ecc.) presso cui presta la sua
opera.
Inoltre, gli obiettivi da giudicare come prioritari dovrebbero essere:
1) a livello ospedaliero:
a) l’attivazione di una serie di reparti di RRF (o di Ospedali di
Riabilitazione) per il trattamento di pazienti portatori di menomazioni
complesse, che necessitano di un periodo di ricovero in ambito specialistico
riabilitativo per raggiungere i livelli accettabili di miglioramento anatomo-
funzionale;
b) la realizzazione di nuovi modelli assistenziali e terapeutici riabilitativi per
patologie emergenti di notevole severità, quali le lesioni spinali e le lesioni
traumatiche cranio-cerebrali;
c) lo sviluppo o il rafforzamento dell’attività di RRF nei confronti dei
pazienti acuti ricoverati nei reparti di diagnosi e cura, che presentano
patologie ad alto rischio di disabilità di grado medio e grave;
2) a livello extra-ospedaliero:

162
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

a) il potenziamento, a livello di ciascuna USL (o azienda ospedaliera),


dell’attività di RRF nei confronti dei pazienti ambulatoriali e domiciliari,
tramite soluzioni organizzative che assicurino la stretta integrazione con
l’attività svolta a livello ospedaliero;
b) l’attivazione di strutture socio-riabilitative residenziali o semiresidenziali
per adulti con gravi disabilità motorie, finalizzata a tutelare il mantenimento
delle abilità motorio-funzionali acquisite ed a favorire l’integrazione sociale
degli utenti;
c) la creazione di “punti di consulenza” che aiutino i disabili nella scelta di
ausili ortesici e protesici personalizzati.
3) a livello più generale:
a) la raccolta di dati epidemiologici sulla disabilità con individuazione degli
eventi lesivi più produttivi di minorazioni invalidanti;
b) lo svolgimento di un’adeguata attività informativa della popolazione per
la prevenzione primaria degli eventi che possono causare disabilità fisiche;
c) l’aggiornamento e la riqualificazione professionale dei vari operatori,
sanitari e sociali, che intervengono a vario titolo sulla disabilità;
d) l’espletamento di periodiche procedure di accreditamento delle strutture
sanitarie che operano nel settore, non solo sotto l’aspetto strutturale e
tecnologico-organizzativo, ma anche sotto quello clinico-scientifico
(valutazione dei programmi e della qualità dei servizi).
Premesso ciò, gli interventi riabilitativi potranno avere le seguenti
caratteristiche, in base alla tipologia dei pazienti ed alla sede del trattamento.

A) R ICOVERO OSPEDALIERO PRESSO U NITÀ DI R ECUPERO E R IEDUCAZIONE


FUNZIONALE (RRF) DI 2° O 3° LIVELLO (IN SEDE OSPEDALIERA, PRESSO CENTRO DI
RIABILITAZIONE, O ALTRE STRUTTURE IDONEE).
E’ giustificato nel caso le condizioni del paziente richiedano una
disponibilità continuativa di prestazioni diagnostico-terapeutiche-riabilitative
(da parte di personale medico e paramedico) ed il ricovero sia da considerarsi
appropriato, cioè necessario (e quindi senza alternative, quali il trattamento in
regime di day-hospital o ambulatoriale) ed efficiente.
Devono esistere procedure di ammissione tali per cui il paziente sia
giudicato suscettibile di significativi miglioramenti funzionali (nel campo della
mobilità, della sicurezza, della cura della persona e dell’indipendenza nelle
attività di vita quotidiana) in un ragionevole lasso di tempo. I degenti devono
poter tollerare una terapia riabilitativa di discreta intensità, da somministrarsi
con l’approccio multidisciplinare (di tipo motorio, occupazionale, del
linguaggio e cognitiva) più adeguato.
In base a considerazioni epidemiologiche è ragionevole che la maggior parte
dei pazienti ricoverati sia affetto da una delle seguenti condizioni morbose in fase

163
G. Bazzini, F. Franchignoni

post-acuta (ingresso entro il termine massimo di 3-4 mesi dall’episodio acuto):


1) emiparesi (da ictus cerebrale o altro);
2) lesione cerebrale diffusa di origine acquisita (traumatica e non);
3) para- o tetraplegia (da lesione midollare o altro);
4) amputazioni di arto;
5) politraumatismi, postumi di frattura o esiti di endo- o artro-protesizzazione.
Di riscontro frequente possono essere anche i ricoveri di pazienti con:
6) patologie neurologiche (sclerosi multipla, distrofie muscolari, morbo di
Parkinson, polineuropatie, sindromi tipo Guillain-Barré, sclerosi laterale
amiotrofica, ecc.) anche ad esordio non recente o di tipo cronico;
7) patologie artroreumatiche (artrite reumatoide, osteoartrosi diffusa ecc.);
8) sindromi da dolore somatico (cervicobrachialgie, lombosciatalgie ecc.);
ovvero come:
9) rientro a distanza da un episodio acuto, a condizione che vi sia stata una visita
specialistica d’ammissione da parte del Centro di Riabilitazione con
compilazione di una scala di disabilità/indipendenza funzionale (si consiglia la
FIM) e definizione degli obiettivi (funzionali, di qualità di vita o di integrazione
sociale) da realizzarsi. Tali valutazioni andranno ripetute almeno alle dimissioni
dei pazienti, per permettere una comparazione tra risultati attesi ed ottenuti.
Infine, possono essere ricoverati pazienti con indicazione medica al
trattamento in day hospital ma per i quali il ricovero si impone per motivazioni
socio-economiche (ad es. la criticità degli spostamenti domicilio-Ospedale).
Si suggerisce di fornire al paziente in media, non meno di 120 minuti di
trattamento riabilitativo al dì per 5 giorni alla settimana (da parte di terapisti della
riabilitazione, terapisti occupazionali, logopedisti). Per i casi a maggior disabilità
(tra i quali vanno annoverati i ricoverati in strutture riabilitative di 3° livello)
sarebbe meglio attestarsi intorno ai 180 minuti.
E’ auspicabile che al termine di ogni anno le Unità di degenza riabilitativa
compilino un dettagliato schema riassuntivo che specifichi (anche sotto forma di
presentazione grafica), oltre al “case-mix” (che indichi la suddivisione dei pazienti
in base alla diagnosi principale di tipo funzionale), i seguenti parametri relativi a
ciascun gruppo di menomazione trattate:
a) livello di disabilità (ad esempio, punteggio FIM) all’ingresso ed all’uscita;
b) distanza del ricovero dall’episodio acuto (per i ricoveri di pazienti post-acuti);
c) miglioramenti FIM per ciascun item e “efficienza” dell’intervento di
riabilitazione funzionale (variazioni FIM ingresso/uscita diviso per lunghezza di
degenza).
In attesa di indicatori per il controllo dell’efficienza dei servizi e la verifica di
qualità delle prestazioni erogate, e di dati normativi nazionali, la degenza non
dovrebbe superare per almeno il 75 % dei pazienti del gruppo i valori indicati in
Tab.3, definiti in base alla diagnosi ed alla gravità del deficit funzionale all’ingresso

164
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

Tabella 3: Durate indicative massime di degenza, relativamente a diverse


tipologie di pazienti

Tipologia di pazienti e relativo grado di disabilità Lunghezza


indicativa massima
di degenza (in giorni)
Lesioni midollari o cerebrali con non autosufficienza completa
(FIM motoria 13- 26) 180
Ictus con non autosufficienza completa o parziale grave
(FIM motori 39) 90
Lesioni midollari con non autosufficienza parziale medio-grave
(FIM motoria da 27 a 52)
Lesioni cerebrali con non autosufficienza parziale medio-grave
(FIM motoria da 27 a 52)
Lesioni di tipo ortopedico-traumatologico
(FIM motoria 13-26)
Varie (patologie neurologiche croniche, ustioni ecc.)
(FIM motoria 52)
Ictus con necessità di assistenza minimo-moderata in più di un item
(FIM motoria 40-65) 45
Lesioni cerebrali con discreta autosufficienza
(FIM motoria > 53-65)
Lesioni midollari con discreta autosufficienza
(FIM motoria > 53-65)
Lesioni di tipo ortopedico-traumatologici
(FIM motoria 26-52)
Varie (patologie neurologiche croniche, ustioni ecc.)
(FIM motoria > 52)
Ictus con discreta autosufficienza
(FIM motoria > 65) 30
Lesioni di tipo ortopedico-traumatologici
(FIM motoria > 52)
Patologie artroreumatiche
(FIM motoria 13- 65)
Lesioni di tipo artroreumatico e sindromi dolorose di natura somatica
(FIM motoria > 65) 20

(misurata per esempio con la sottoscala motoria della FIM).


Nella degenza riabilitativa la dimissione dovrebbe seguire il criterio di raggiunti
obiettivi di recupero. Il malato viene quindi dimesso se il quadro funzionale non può
migliorare ulteriormente, non rischia più l’aggravamento, o se è trattabile più
appropriatamente con un altro modello assistenziale (ambulatoriale, day-hospital, o
altro).

165
G. Bazzini, F. Franchignoni

B) RICOVERO PRESSO UNA DEGENZA RIABILITATIVA DI TIPO NON INTENSIVO


E’ giustificato in quei pazienti già precedentemente ricoverati in reparti per
acuti o riabilitativi i quali richiedano l’istituzionalizzazione:
a) le cui condizioni clinico-funzionali non indichino un trattamento riabilitativo
intensivo o
b) un giudizio di recuperabilità certa ovvero,
c) mostrino un recupero letno e non dispongano di un adeguato supporto familiare.
Bisogna del resto ricordare che cronicità non significa stabilità clinica e che
spesso sono essenziali gli interventi a lungo termine e quelli che prevengono o
ritardano il peggioramento delle condizioni funzionali. In questi pazienti gli
indicatori di autosufficienza e di risorse specifiche impiegate sono decisivi per
giustificare l’accesso e per classificare l’impegno assistenziale complessivo della
struttura (ma non possono essere utilizzati come indici di efficacia). Anche le
motivazioni socio-assistenziali devono trovare un ruolo ufficiale nelle procedure di
ammissione e dimissione, nell’ambito di regolamentazioni da un lato trasparenti e
dall’altro non riduttive dell’autonomia decisionale del sanitario.
Le strutture per questo genere di ricoveri dovrebbero essere tipologicamente
vicine alle “long-term care facilities” ed alle “skilled nursing facilities” americane
ed avere costi decisamente più contenuti rispetto a quelli dei classici letti di
riabilitazione. Si potrebbe trattare di quei reparti che il Ministero della Sanità ha
definito “lungodegenza riabilitativa post-acuzie” o di letti ad hoc presso Residenze
Sanitarie Assistenziali (RSA). Si definiscono RSA quelle strutture extraospedaliere
finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero a
soggetti non autosufficienti, non curabili a domicilio, con esiti di patologie
invalidanti o con malattie degenerative. In base alle caratteristiche psicofisiche gli
ospiti delle RSA sono anziani non autosufficienti e disabili fisici, psichici e
sensoriali. La struttura dovrà essere articolata per nuclei e moduli omogenei per
tipologia di utenti e necessità assistenziali con “unità di base” di 20/25 posti per
anziani non autosufficienti e di 10/15 posti per disabili fisici, psichici e sensoriali.
La dotazione complessiva è prevista in 3 nuclei (60 posti) per anziani con un
massimo di 6 nuclei (120 posti) per zone ad alta densità abitativa, con previsione
interna di un modulo di 10/(15 posti riservati alle demenze: mentre per i disabili
motori sono previsti 2 nuclei (20 posti) con un massimo di 3 (45 posti).
E’ possibile quindi individuare due tipologie di RSA: una destinata a soggetti
in età geriatrica ed una finalizzata all’assistenza a gravi disabili anche giovani ed
adulti. Pur avendo caratteristiche peculiari, esse presentano molti aspetti in
comune, ed in particolare condividono la valenza riabilitativa che le deve permeare.
Tale valenza deve essere propria dell’intera residenza, struttura ed organizzazione,
e di tutta l’équipe assistenziale (e quindi non va solo delegata ad alcuni operatori
specializzati). Per questo l’intervento della Medicina Riabilitativa deve integrarsi e

166
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

concretizzarsi nei “piani individuali di intervento”, predisposti per ogni ospite al


fine di facilitare, grazie al contributo di tutti gli operatori sanitari e sociali, lo
sviluppo e il mantenimento delle sue capacità funzioni residue.
Per citare a grandi linee gli obiettivi principali di questo intervento ricorderemo:
1) la cooperazione nel mantenimento di una tensione riabilitativa elevata
dell’ambiente e dell’intera struttura protetta;
2) il consolidamento e miglioramento delle prestazioni motorio-funzionali ed il
loro adattamento-utilizzazione rispetto al nuovo ambiente di vita;
3) la rivalutazione funzionale periodica degli ospiti;
4) l’informazione e l’insegnamento di manualità operative specifiche agli operatori
tecnici dell’assistenza;
5) il trattamento specifico di turbe neuropsicologiche e il loro adattamento;
6) la gestione del trattamento riabilitativo di soggetti a recupero lento che
utilizzano le RSA in alternativa al ricovero ospedaliero;
7) il trattamento di riacutizzazioni e/o recidive non gravi e tali da non richiedere il
ricovero in ambiente ospedaliero;
8) la prescrizione di protesi, ortesi ed ausili tecnici e relativo addestramento all’uso.
In questi compiti assume un ruolo determinante la terapia occupazionale,
intesa come mezzo per sviluppare ed utilizzare le residue potenzialità funzionali
(sia fisiche che psichiche) nell’attività di vita quotidiana.
Le RSA rappresentano uno dei nodi principali della rete dei servizi per
l’anziano e il disabile e la loro necessità è strettamente connessa con diversa qualità
dei problemi posti dalle malattie degenerative e croniche, che costituiscono la
quota principale dei problemi patologici con cui deve fare i conti, oggi, il sistema
sanitario ed assistenziale. Le RSA hanno come caratteristica peculiare la
dimissibilità degli utenti vista come fenomeno ordinario. Questo le connota come
strutture ad ampia valenza riabilitativa per soggetti affetti da pluridisabilità che
richiedono progetti riabilitativi da realizzarsi in tempi lunghi e con interventi
rieducativi non complessi, nè particolarmente intensivi.
La predisposizione di un adeguato progetto riabilitativo e la verifica del suo
andamento impone l’utilizzo (ad integrazione dell’Unità responsabile della RSA
stessa) di specifiche competenze medico-specialistiche fisiatriche. Troppo spesso
non è invece garantita la competenza riabilitativa in queste strutture e la loro
gestione viene affidata a unità valutative geriatirche (UVG), erroneamente
interpretate come unità di valutazione del medico specialista in geriatria e non, più
propriamente, di valutazione pluridimensionale dei bisogni del soggetto in età
geriatrica (aperta quindi a contributi multidisciplinari e multiprofessionali).
Questo aspetto diventa di particolare importanza se si considerano le due ben
distinte tipologie di utenti di RSA, anziani e disabili, e la conseguente necessità di
individuare denominatori comuni per quanto riguarda l’accesso e gli interventi
riabilitativi, se non si vuole creare due diverse équipe e due diverse organizzazioni

167
G. Bazzini, F. Franchignoni

del lavoro: soluzione quest’ultima antieconomica e meno proficua per l’utente.


L’organizzazione funzionale dell’intervento riabilitativo nelle RSA non può
prescindere dall’attività dell’Unità Operativa di Recupero e Rieducazione
Funzionale del distretto di appartenenza. Occorre inserire le necessità riabilitative
degli ospiti delle strutture residenziali in quelle più generali dell’utenza territoriale.
Una soluzione razionale, utile ed economicamente vantaggiosa è lo stabile
inserimento (peraltro già deliberato da alcune Giunte Regionali) nella UVG di un
fisiatra, che faccia parte della locale Unità Operativa di R.R.F.

C) TRATTAMENTO IN DAY-HOSPITAL
È giustificato nel caso un paziente possa tollerare una terapia riabilitativa di
discreta intensità, da somministrarsi con l’approccio multidisciplinare (di tipo
motorio, occupazionale, del linguaggio e cognitiva) più adeguato e presenti
condizioni generali che non necessitino di una disponibilità di personale medico e
paramedico nelle ore notturne. Tale trattamento non è però una degenza “senza
pernottamento”, nè una forma di terapia intensiva ambulatoriale semi-alberghiera,
bensì una forma originale ed autonoma di assistenza, per la quale un ruolo
importante rivestono motivazioni socio-assistenziali (opportunità che venga
mantenuto un contatto quotidiano con l’ambiente domestico nelle ore serali-
notturne, o viceversa utilità che nelle ore diurne si svolga anche un’attività di
socializzazione del paziente). Ferma restando quindi la necessità di definizione di
obiettivi riabilitativi, la formula di day hospital dovrebbe quindi avere anche
precise indicazioni socio-assistenziali, congrue con il consumo di risorse che essa
comporta e giudicate appropriate da parte del curante. Starà poi alle singole
strutture regolamentare ulteriormente l’accesso sulla base di indicatori di struttura e
di procedure disponibili, per rendere del tutto trasparenti le libere decisioni del
sanitario.

D) TRATTAMENTO AMBULATORIALE
È giustificato nel caso in cui il paziente sia stabile sotto il profilo medico
generale e richieda un trattamento riabilitativo con le seguenti caratteristiche: a)
valutazione fisiatrica iniziale per la prescrizione di un piano riabilitativo e periodici
controlli da programmare; b) aspettativa di raggiungimento di obiettivi riabilitativi;
c) nel contesto di un ambiente specificamente attrezzato.

E) TRATTAMENTO DOMICILIARE
È giustificato nel caso di persone clinicamente stabili e che richiedono solo un
intervento periodico di tipo medico, ma non hanno ancora raggiunto tutti gli
obiettivi previsti dal loro piano di intervento riabilitativo. Questi pazienti devono
inoltre avere una menomazione o una condizione medica tale da impedire un
trattamento di tipo ambulatoriale. Possono essere trattati con brevi cicli domiciliari

168
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

anche i pazienti che necessitino di intervento riabilitativo, pur affetti da patologia


cronica ad esito infausto.
Va attuato nell’ambito di programmi di assistenza domiciliare integrata di tipo
sanitario, che potrebbero essere coordinati da un’apposita equipe territoriale
comprendente il fisiatra.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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3. PERCORSI VALUTATIVO-TERAPEUTICI

Dal punto di vista del principale attore del processo riabilitativo, che è la
persona disabile, così come è stato illustrato nel Capitolo 1, è evidente come il suo
percorso valutativo-terapeutico sia identificabile come un processo continuo. Per
motivi organizzativi questo percorso si svilupperà nel tempo nelle seguenti fasi: a)
fase “acuta”, della prevenzione del danno e delle conseguenti menomazioni
secondarie nelle patologie ad alto rischio di sviluppo di disabilità; b) fase
“immediatamente post-acuta”, caratterizzata da interventi riabilitativi intensivi, di

169
G. Bazzini, F. Franchignoni

tipo sia valutativo che terapeutico; c) fase di completamento del processo di


recupero e del progetto riabilitativo; d) fase di mantenimento e/o di prevenzione del
degrado motorio-funzionale.
Gli interventi terapeutici di tipo riabilitativo dovranno essere previsti e messi
in atto in ciascuna di queste fasi, in modo integrato fra loro. La riabilitazione
pertanto deve iniziare già immediatamente dopo l’evento lesivo, come premessa
indispensabile alla piena e completa attuazione di tutti gli interventi nella fase post-
acuta e di reinserimento (più comunemente intese come tipicamente riabilitative).
Alla luce di ciò sarà possibile sintetizzare molto brevemente obiettivi,
valutazioni ed interventi di questo percorso unitario.

OBIETTIVI RIEDUCATIVI PRINCIPALI


– Raggiungimento di livelli di autosufficienza completa (senza o con ausili) o, in
seconda istanza, di non autosufficienza parziale (necessità di supervisione o di
assistenza minimo-moderata) in tutte le voci della scala FIM (cura della persona,
controllo sfinterico, mobilità e locomozione, comunicazione, capacità relazionali/
cognitive);
– sviluppo di un progetto di reintegrazione socio-familiare e dove possibile
lavorativo da consegnare al Servizio Sociale del Comune di residenza del
paziente (che comprenda il ritorno al proprio domicilio con il suggerimento
dettagliato di tutte le possibili modifiche architettoniche consigliabili);
– prescrizione ed il collaudo degli ausili necessari;
– miglioramento della qualità di vita.

VALUTAZIONI
– Analisi della situazione medica generale, dello stato psico-sociale e della storia
professionale del paziente;
– esame clinico generale, con particolare riguardo per gli apparati muscolo-
scheletrico e nervoso e per lo stato mentale di base;
– analisi dei movimenti del corpo, del controllo posturale, del cammino e delle
abilità degli arti superiori;
– prescrizione ed interpretazioni di esami complementari, quali quelli di
laboratorio, radiologici, elettrodiagnostici, e di altri test specifici.

INTERVENTI
– Trattamento medico generale del paziente, compresi il mantenimento di contatti
con il medico di base e la richiesta di eventuali altre consulenze specialistiche
(ove richiesto dalle condizioni del paziente);
– definizione di interventi adeguati allo stato generale del paziente ed alla sua
necessità di cure;
– monitoraggio della qualità e dell’efficacia dei processi messi in atto per il

170
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

raggiungimento degli obiettivi riabilitativi;


– prevenzione di complicanze.

Obiettivi del trattamento rieducativo

Tra i principali obiettivi del trattamento rieducativo vengono indicati:


1) Recupero della mobilità
2) Controllo del dolore
3) Raggiungimento dell’autosufficienza nelle attività quotidiane
4) Autogestione del controllo sfinterico
Tabella 4: 1. Mobilità (riduzione della disabilità nella mobilità)

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principale operatore


tecnico: terapista della riabilitazione)

1.1 V - mobilità 1.1 M - FIM: item L-M (disabilità tutti i successivi


1.2 V - pattern di movimento 1.2 M - analisi specifiche (esempio: scale 1.2.1 T - metodiche e tecniche di rieducazione
qualitative/semiquantitative di Albert, Bobath, neuromotoria per il recupero di corretti pattern
e/o altre) senso-motori
1.2.2 T - esercizi con apparecchiature elettroniche
a scopo terapeutico (biofeedback, FES...)

1.3 V - articolarità 1.3 M - livelli qualitativi (ridotta/assente) o 1.3 T - mantenimento articolarità e prevenzione
quantitativi (in gradi nei 3 piani dello spazio retrazioni muscolo-tendinee e rigidità articolari
(mobilizzazione passiva, autopassiva, attiva
assistita, stiramento lento, vibro-percussione, ecc.)

1.4 V - sensibilità 1.4 M - livelli qualitativi (ipo- anestesia) o 1.4 T - tecniche di rieducazione dell’estero-
quantitativi (mg) di percezione sensitiva e livelli propriocettività e di ricalibrazione sensitiva
qualitativi (ridotta/assente) o quantitativi (mm)
di discriminazione tattile

1.5 V - tono muscolare 1.5 M - scala semiquantitativa (–2/+3) 1.5.1 T - posture al letto, in carrozzina, in statica,
ecc. (corrette e correttive)
1.5.2 T - tecniche di rilasciamento

1.6 V - forza, potenza e 1.6 M - semi-quantitativa (scala 0-5) o 1.6 T - esercizi per incremento di forza,
resistenza muscolare strumentale (dinamometri, ecc.) e resistenza muscolare

1.7 V - coordinazione bi-manuale 1.7 M - test specifici (Minnesota RMT, 1.7 T - esercizi di coordinazione
ed oculo-manuale Pennsylvania BMW, ecc.)

1.8 V - posture ed equilibrio 1.8 M - qualitativa o strumentale (posturografia) 1.8 T - rieducazione del controllo posturale

1.9 V - deambulazione su vari 1.9 M - esame clinico o strumentale del cammino 1.9 T - rieducazione del cammino (anche con
percorsi, salita e discesa di scale eventuali protesi o ortesi)

171
G. Bazzini, F. Franchignoni

Tabella 5: 2. Controllo del dolore (riduzione del dolore)

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principale operatore


tecnico: massofisioterapista)
2.1 V - dolore 2.1 M - test specifici (McGill Pain Questionnaire, 2.1.1 T - applicazioni di elettroanalgesia (TENS,
analogo visivo di Scott-Huskisson, altri) diadinamiche, altre)
2.1.2 T - applicazione terapeutica di mezzi fisici
(termoterapia edogena, esogena, ultrasuoni, ecc.)
2.2 V - sistema nocicettivo 2.2 M - esami neurofisiologici 2.2 T - fisioterapia strumentale (trazioni, ecc.)
2.3 T - tecniche manuali (massoterapia, altre)
2.4 T - tecniche di bio-feedback

Tabella 6: 3. Autosufficienza nelle attività quotidiane (riduzione della disabilità


nell’autosufficienza)

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principale operatore


tecnico: terapista occupazionale)
3.1 V - autosufficienza 3.1.1 M - FIM: item A-F e I-K (disabilità) 3.1 T - addestramento del paziente nelle attività della
cura di sé (vestirsi, mangiare, farsi il bagno, curare l’igie-
ne personale), al fine di massimizzare l’indipendenza
3.2 V - affaticamento 3.2 M - soggettivo (scala di Borg) o strumentale 3.2 T - addestramento all’acquisizione di semplici
metodi finalizzati a ridurre l’affaticamento ed al
risparmio energetico
3.3 V - necessità di ausili/ortesi 3.3 M - check-list per attività della vita quotidiana 3.3 T - studio, confezione e/o applicazione di ortesi,
ausili vari e protesi d’arto superiore, addestrando al
loro uso ed alla loro corretta manutenzione
3.4 V - prescrizione di carrozzine 3.4 M - scheda specifica di prescrizione 3.4 T - selezione di carrozzina (con eventuale
ed eventuale cuscino e collaudo sistema di postura adeguato)
3.5 T - collaborazione al mantenimento ed al
miglioramento dell’articolarità, della forza e resistenza
muscolare, e della coordinazione del paziente
3.6 T - valutazione ed addestramento dei pazienti nel
favorire i compensi dei deficit sensitivi e percettivi

Tabella 7: 4. Controllo sfinterico (riduzione della disabilità nel controllo sfinterico)

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principale operatore


tecnico: infermiere professionale specializzato)
4.1 V - autogestione del controllo 4.1 M - FIM: item G-H 4.1 T - metodiche per l’autocontrollo
sfinterico sfinterico
4.2 V - controllo sfinterico 4.2 M - esame clinico e test specifici (PAD-test, 4.2 T - insegnamento ad un corretto utilizzo di vestiario
PC-test, sensibilità, sinergie) vestiario, dispositivi e sostanze per un miglior
controllo sfinterico
4.3 M - esame strumentale: urodinamico e 4.3 T - tecniche di rieducazione perineale
neurofisiologico (potenziali evocati sacrali)

172
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

Tabella 8: 5. Prevenzione delle complicanze

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principali operatori


tecnici: terapista della riabilitazione,
infermiere professionale specializzato)
5.1 V - apparato cutaneo 5.1 M - ispezione (scheda di rilevamento) (1.1 T - posture corrette e correttive al letto, in
carrozzina, in statica ecc.)
5.1 T - periodici cambiamenti posturali del paziente
e manovre per la prevenzione dei decubiti
5.2 V - apparato cardio-respiratorio 5.2 M - indagini clinico-strumentali (RX, 5.2 T -
esercizi per la funzionalità
ECG, spirometria, ecc.) cardiorespiratoria
5.3 V - apparato vascolare 5.3 M - indagini clinico-strumentali 5.3.1 T - tecniche di ginnastica vascolare
(ecodoppler, ecc.) 5.3.2 T - tecniche strumentali
5.4 V - apparato digerente 5.4 M - indagini clinico-strumentali 5.4 T - supporto di tipo metabolico-nutrizionale
(gastroscopia, fluoroscopia, manometria ecc.)

Tabella 9: 6. Comunicazione (riduzione della disabilità nella comunicazione)

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principale operatore


tecnico: logopedista)
6.1.1 V - identificazione di 6.1 M - test specifici (Basso, Miceli, 6.1.1 T - trattamento delle alterazioni della
disturbi della comunicazione Aachener, BDAE) comunicazione secondarie a patologie
(comprensione ed espressione neurologiche
del linguaggio orale e scritto 6.1.2 T - rieducazione logopedica
e comunicazione non verbale (per recupero comprensione, espressione,
6.1.2 V - disturbi delle funzioni lettura, scrittura e calcolo
di calcolo

6.2 V - analisi della funzione 6.2 M - test specifici 6.2.1 T - rieducazione alla produzione vocale
fonatoria 6.2.2 T - supporto pre-operatorio ad interventi
ORL (tipo laringectomie)
6.2.3 T - rieducazione linguistica nei pazienti
laringectomizzati e con deficit intraorali

6.3 V - analisi della funzione 6.3 M - test specifici clinico-strumentali 6.3 T - gestione delle disfagie
deglutitoria

6.4 T - guida all’utilizzo di dispositivi


per la comunicazione non verbale

6.5 T - collaborazione al trattamento


di turbe cognitive

173
G. Bazzini, F. Franchignoni

Tabella 10: 7. Capacità relazioni e cognitive (riduzione della disabilità nelle capacità
relazionali e cognitive)

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principali operatori


tecnici: psicologa, terapista occupazionale,
logopedista)
7.1 V - funzioni mnesiche, 7.1 M - batterie di test specifici per 7.1 T - rieducazione cognitiva (potenziamento
prassiche, funzioni gnosiche, ciascuna funzione delle capacità residue circa le attività
funzioni attentivo-percettive, intellettive, la memoria, la capacità di
funzioni intellettive giudizio, ecc.)
7.2.1 V - profilo psicologico di base 7.2.1 M - batterie di questionari di base 7.2.1 T - psicoterapia individuale e di gruppo (accet-
7.2.2 V - percezione di malattia e specifici tazione della propria malattia, recupero della stima di
7.2.2 M - colloquio clinico sé e del proprio corpo, riduzione di ansia, paura della
morte, senso di mutilazione, ostilità, dipendenza)
con coinvolgimento dei familiari
7.2.2 T - programmi di intervento psicologico
specializzato (modificazioni comportamentali,
tecniche di rilassamento e biofeedback ecc.)
7.3 V - variabili occupazionali 7.3 M - test specifici 7.3 T - collaborazione ai processi di
di tipo psicologico reinserimento sociale e lavorativo
7.4 V - qualità della vita 7.4 M - questionari generali o specifici 7.4 T - tutti i precedenti
per patologia

Tabella 11: 8. Reinserimento familiare e sociale

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principali operatori


tecnici: terapista occupazionale, assistente
sociale)
8.1 V - analisi della storia psico-sociale del paziente 8.1 M-test specifici 8.1.1 T - fornitura di supporti per lo sviluppo e la
(tipo di vita, interessi, doti sociali, adattamenti realizzazione degli interessi, delle doti sociali,
alla disabilità, insorgenza di handicap, capacità di adattamenti alla disabilità, della capacità di
di svolgere una vita indipendente a domicilio, svolgere una vita indipendente, ecc.
mezzi di sussistenza ecc.) 8.1.2 T - fornitura di supporti per lo sviluppo
e la realizzazione di interessi sportivi e per il
tempo libero
8.2 V - analisi delle caratteristiche salienti della 8.2 M - test specifici 8.2.1 T - fornitura di assistenza per l’ottenimento
famiglia dell’entourage del paziente di adeguate risposte sociali in tema di
previdenza, di condizione abitativa, di trasporti
e di soddisfazione di bisogni elementari
8.2.2 T - favorire contatti del paziente con i
servizi sociali del territorio di appartenenza
8.3 V - analisi delle condizioni abitative del paziente 8.3 M - sopralluogo 8.3.1 T - addestramento all’utilizzo di sistemi
al domicilio di controllo ambientale
8.3.2 T - suggerimento delle modificazioni ambientali
(domiciliari, lavorative, scolastiche ecc.) più idonee a
migliorare l’autonomia funzionale
8.4 V - analisi delle capacità di guida di autoveicoli 8.4 M - testi di avvio 8.4 T - realizzazione, se necessario, di un
e di uso di mezzi di trasporto alla guida di autoveicoli addestramento specifico alla guida, anche
con l’eventuale utilizzo di appropriati ausili,
ed all’utilizzo di mezzi di trasporto

174
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

Tabella 12: Reinserimento occupazionale-lavorativo

Valutazioni Misure Interventi terapeutici (Principali operatori


tecnici: terapista occupazionale, assistente
sociale)
9.1 V - valutazione delle capacità della persona disabile: 9.1 M - test prelavorativi 9.1 T - rieducazione e potenziamento delle
specifici: capacità inerenti il lavoro:
Ertomis
9.1.1 V - capacità fisiche inerenti il lavoro Valpar 9.1.1 T - rieducazione e potenziamento delle
JEWS capacità fisiche inerenti il lavoro
9.1.2 V - capacità sensoriali inerenti il lavoro Singer 9.1.2 T - rieducazione e potenziamento delle
COATS capacità sensoriali inerenti il lavoro
9.1.3. V - capacità psichiche inerenti il lavoro WREST 9.1.3 T - rieducazione e potenziamento delle
TAP capacità psichiche inerenti il lavoro
9.1.4 V - capacità cognitive inerenti il lavoro Tower System 9.1.4 T - rieducazione e potenziamento delle
WorkSET capacità cognitive inerenti il lavoro
9.1.5 V - capacità sociali inerenti il lavoro BTE 9.1.5 T - rieducazione e potenziamento delle
capacità sociali inerenti il lavoro
9.2 V - valutare le attitudini verso nuove occupazioni 9.2 M - analisi 9.2.1 T - piano di integrazione lavorativa:
di lavoro, scolastiche o ludico-sportive prelavorative sviluppare adeguate modalità per raggiungere
e lavorative l’obiettivo occupazionale prefissato
di vario livello
9.2.2 T - assistenza all’inserimento professionale
adeguato per il disabile (adattamento del posto
di lavoro, lavoro protetto, ecc.)

Tabella 13: 10. Educazione sanitaria ed informazione al paziente ed alla sua


famiglia

Valutazioni Misure Interventi terapeutici


(da parte di tutti gli operatori coinvolti nel processo riabilitativo)
10.1 T - svolgimento di attività educativo-informativa nei confronti della famiglia del paziente

10.2 M - test di 10.2 T - svolgimento di educazione sanitaria e informazione al paziente relativi a: proprio
autoapprendimento corpo, patologia in causa (dlele conseguenze fisiche e fisiologiche), farmaci e presidi utilizzati

10.3 M - test di 10.3 T - fornitura di nozioni elementari di ergonomia relative a: risparmio articolare,
autoapprendimento mantenimento di posture corrette, esecuzione di gesti elementari o ripetitivi

10.4 M - test di 10.4 T - impostazione e controllo dell’apprendimento corretto di programmi terapeutici da


autoapprendimento svolgere a domicilio sotto eventuale supervisione dei familiari e con periodici controlli del
personale sanitario

175
G. Bazzini, F. Franchignoni

Tabella 14: Quadro sintetico delle patologie trattate in degenza riabilitativa e dei
relativi obiettivi, con durate indicative di ricovero. Tali durate sono variabili in
funzione del livello iniziale di disabilità, della presenza di complicanze, di fattori
socio-demografici, della progressione del miglioramento, degli obiettivi da
raggiungersi
Patologia Obiettivi del trattamento rieducativo Durata degenza (gg.)
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
Emiparesi / Emiplegia X X X X X X X X X X 30-90
Cerebropatie X X X X X X X X X X 30-120
Paraplegia / Tetraplegia X X X X X X X X X X 45-180
Amputazioni di arto X X X X X X X 30-60
Patologie ortopedico-traumatologiche X X X X X X 30-90
Patologie artro-reumatiche X X X X X X 20-45
Sdr. parkinsoniane X X X X X X X X X X 30-60
Sclerosi multipla X X X X X X X X X X 20-60
Neuropatie periferiche X X X X X X 20-45

5) Prevenzione delle complicanze


6) Ripresa della comunicazione
7) Recupero delle capacità relazionali e cognitive
8) Reinserimento familiare e sociale
9) Reinserimento occupazionale-lavorativo
10) Educazione sanitaria ed informazione al paziente ed alla sua famiglia
Per raggiungere tali obiettivi sono necessari diversi interventi terapeutici,
integrati tra loro. Tutti gli interventi terapeutici si intendono prescritti e coordinati
tassativamente dallo specialista fisiatra, che si avvale per la loro applicazione di
figure tecniche specifiche, di volta in volta indicate.
Nelle dieci tabelle seguenti sono raggruppati per obiettivo in modo sintetico e
schematico i principali interventi effettuabili.

Basi anatomo-fisiologiche degli interventi riabilitativi

Anche la trattazione di questo argomento richiederebbe la completezza e


l’autorevolezza di un trattato più che lo spazio di queste note, tuttavia ci sembra
utile riportare alcuni cenni sulle più recenti conoscenze ed interpretazioni circa
il recupero neuromotorio, specialmente nel paziente neuroleso.
L’osservazione clinica del recupero funzionale del paziente neurologico
trova la sua base anatomo-fisiologica nel rilievo sperimentale dei processi

176
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

neuroplestici che intercorrono dopo un danno del sistema nervoso centrale e/o
periferico. Questa plasticità è legata alle capacità di adattamento dei sistemi di
controllo dei vari parametri fondamentali della funzione cerebrale (neuronali,
metabolici, vascolari, ecc.) che possono essere distinte in processi a breve
termine (quoad vitam) e processi più tardivi responsabili del recupero
funzionale (quoad valetudinem).
Il nostro interesse verte in questa sede sul secondo tipo di plasticità, a
lungo termine, legata alla formazione di adattamenti tendenti a ripristinare una
funzione compromessa dalla noxa patogena.
I meccanismi di recupero possono essere in rapporto a:
– il ripristino di una funzione solo temporaneamente sospesa (per disinibizione
dopo fenomeni di diaschisi);
– l’utilizzazione di sistemi vicarianti rimasti intatti (per le caratteristiche di
ridondanza del tessuto nervoso o a causa del controllo multiplo di funzioni);
– la sostituzione funzionale, in cui altri circuiti assumono il ruolo vacante, ex-
novo o per fenomeni di “unmasking”;
– la riorganizzazione radicale, in cui si assiste alla costituzione di
neoconnessioni, per lo più tramite meccanismi di “sprouting”;
– la compensazione, che utilizza mezzi diversi per la stessa funzione, operando
un cambiamento di strategie.
Questi processi riparativi possono portare ad utili modificazioni, ma anche
a squilibri svantaggiosi; da qui la necessità di indirizzare correttamente i
meccanismi plastici con opportune stimolazioni.
L’approccio riabilitativo al paziente disabile, neuroleso in particolare,
dovrà mirare ad approntare un programma terapeutico e quindi un “percorso
riabilitativo” che dovrà avere come fine ultimo la riduzione o l’eliminazione
dell’handicap e l’inserimento familiare e sociale del paziente, come ampiamente
illustrato in altre parti di questa bozza.

Descrizione sintetica dei principali interventi terapeutici in relazione


agli obiettivi rieducativi

1. MOBILITÀ
Il recupero delle possibilità motorie è sicuramente l’obiettivo più
tradizionale e conosciuto della fisiatria ed è quindi logico che in questo ambito i
contributi scientifici siano innumerevoli e non facilmente riassumibili in modo
esaustivo, tuttavia è possibile cercare brevemente di accennare ai principali
interventi terapeutici, elencati nella tabella relativa.
Le metodiche e le tecniche classiche per la rieducazione motoria dell’adulto
comprendono tutte quelle manovre o posture la cui applicazione in terapia cerca
di indurre una positiva modificazione nel substrato neurale patologico
responsabile dell’alterazione del controllo del movimento. Un’approfondita
177
G. Bazzini, F. Franchignoni

conoscenza dei presupposti teorici e delle modalità pratiche di queste metodiche,


oltre che una corretta e globale valutazione del malato e degli obiettivi
raggiungibili, sono comunque indispensabili per operare la scelta più adeguata al
singolo paziente.

TECNICA DI BRUNNSTROM
L’autrice elaborò questo metodo negli anni 1940-50 per le cerebropatie
infantili e dell’adulto, propugnando un trattamento precoce diviso in quattro
stadi. Il primo è diretto all’evocazione di movimenti riflessi e sinergici. Il
secondo è finalizzato a facilitare il raggiungimento del controllo volontario delle
sinergie. La terza fase mira alla modificazione delle sinergie, ponendo l’accento
sull’ampiezza e sulla flessibilità delle risposte (ma spesso impiegando stimoli
non specifici per un’evocazione corretta del movimento da addestrare). L’ultima
parte del trattamento è diretta a ristabilire il controllo volontario della motricità
fine.

FACILITAZIONI NEUROMUSCOLARI PROPRIOCETTIVE


Questa tecnica sviluppata da Kabat e poi perfezionata da Knott e Voss
vent’anni dopo, si basa sulla teoria secondo cui il miglior modo di facilitare una
risposta volontaria di muscoli deficitari risiede nell’evocazione, tramite
“schemi” di movimento diagonali e spirali, di movimenti globali. Questi schemi
pongono , nella fase iniziale, tutti i gruppi muscolari che vi agiscono in uno
stato di massimo allungamento e quindi li fanno contrarre secondo la direzione
migliore per esprimere la massima potenza. Tutte le stimolazioni da fornire al
paziente durante l’atto terapeutico, al fine di facilitare tramite l’irradiazione il
recupero della funzione, sono state classificate come tecniche di base. La
resistenza da opporre al paziente e la posizione delle mani devono essere tali da
servire da guida all’esecuzione dello schema motorio, per cercare di facilitarlo,
senza che il movimento ne soffra in armonia e scioltezza. Durante il trattamento
è pure importante la stimolazione verbale del terapista verso il paziente (in
quanto serve a reclutare l’attenzione e incitare la collaborazione) e quella visiva
(per poter coordinare il movimento sotto controllo della vista). Altra tecnica di
facilitazione basilare è l’uso della stimolazione in trazione o approssimazione a
seconda del tipo di risposta desiderato. Lo stimolo da stiramento infine
rappresenta il mezzo per eccellenza per evocare l’inizio della risposta motoria.
Tra le facilitazioni neuromuscolari propriocettive ricordiamo poi quelle tecniche
(che sfruttano vari tipi di contrazione muscolare e si basano su classici principi
di fisiologia) tese a ottenere il rinforzo o il rilasciamento muscolari, quali
rispettivamente l’inversione lenta degli antagonisti, l’inversione lenta-tenuta, la
stabilizzazione ritmica e le contrazioni ripetute da una parte e dall’altra la
contrazione-rilasciamento e la tenuta-rilasciamento. Ognuna di queste tecniche

178
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

ha precise modalità operative che richiedono notevole esperienza.

METODICA BOBATH
I coniugi Bobath sottolinearono che una parte della motilità fa capo a
quello che definirono normale meccanismo posturale riflesso, inteso come
l’insieme di reazioni di raddrizzamento, equilibrio e protettive, che precedono e
accompagnano i movimenti volontari, aiutando a controllare le posture rispetto
all’ambiente circostante. Esso è di natura automatica (quindi fuori del controllo
cosciente) e a regolazione prevalentemente sottocorticale. Secondo questi
Autori il deficit motorio del paziente con paralisi cerebrale infantile o emiplegia
è dovuto alla prevalenza di pattern anormali e stereotipati di attività riflessa,
liberati dal controllo normalmente esercitato dai centri superiori del sistema
nervoso centrale. Su tali premesse nasce l’impostazione del loro programma
riabilitativo, volto al recupero di valide e armoniche sequenze motorie, anche
tramite un’azione di inibizione sugli atteggiamenti posturali patologici
instauratisi con la lesione. Le manovre ideate per l’emiplegico tendono a
migliorare la qualità del movimento del lato colpito, in modo che alla fine i due
lati lavorino insieme più armoniosamente possibile. Questo viene ottenuto
riducendo la spasticità e facilitando invece l’esecuzione di movimenti sempre
più selettivi, sia automatici che volontari, in preparazione di attività funzionali.
Si passa da suggerimenti per “posturare” e spostare il paziente correttamente in
fase acuta, fino a esercizi per girarsi nel letto, quindi per il passaggio da supino
a seduto e per il mantenimento della posizione assisa e successivamente per il
raggiungimento della stazione eretta. Il programma prosegue con esercizi per la
deambulazione, sempre curando una corretta distribuzione dei carichi sugli arti
inferiori. Durante queste fasi il paziente impara ad autoinibire l’ipertono
dell’arto superiore paretico, mantenendo le mani incrociate anteriormente e
lungo l’asse corporeo sagittale. Parallelamente viene impostato un lavoro per
l’arto superiore che prevede esercizi di mobilizzazione e controllo attivo a
difficoltà crescente di spalla, gomito e mano.

ESERCIZIO TERAPEUTICO CONOSCITIVO


E’ l’approccio proposto da Perfetti (con la denominazione iniziale di
controllo sequenziale progressivo) e poi successivamente riveduto e integrato, in
base a recenti teorie d’interpretazione fisiopatologica della lesione e a concetti
originali di definizione dell’attività motoria patologica e del ruolo dell’esercizio
terapeutico. Si basa sull’affermazione che la riabilitazione deve svilupparsi
come un processo di apprendimento di regole utili all’organizzazione di nuovi
comportamenti motori. L’Autore ritiene che, per la riacquisizione di un corretto
controllo sulle componenti alterate del movimento vada data particolare
importanza a quelle afferenze (quali le tattili) che raggiungono la coscienza, ai

179
G. Bazzini, F. Franchignoni

processi di attenzione e di memorizzazione e all’attivazione di un apparato di


previsione con il quale devono confrontarsi i risultati dell’azione. Nella pratica
quest’ultimo apparato deve essere determinato da un’ipotesi percettiva, la cui
verifica sia adeguata a quell’insieme di alterazioni significative che
caratterizzano la patologia motoria del paziente che viene chiamato lo
“specifico motorio”. Per quanto riguarda l’emiplegico esso sarebbe costituito
da: a) abnorme reazione allo stiramento; b) irradiazione anomala; c) deficit di
reclutamento; d) schemi motori elementari. Scopo del trattamento è di
permettere l’apprendimento di adeguate modalità di controllo su componenti
progressivamente più complesse dello specifico motorio, acquisendo la capacità
di regolare il movimento rispetto a parametri quali l’intensità, la spazialità e la
temporalità. Gli esercizi di primo grado hanno lo scopo di permettere al
paziente il raggiungimento di un soddisfacente controllo sulla reazione allo
stiramento e il miglioramento di eventuali deficit della sensibilità tattile e
cinestesica. Accanto a esercizi che mirano al recupero di movimenti
singolarizzati, vengono svolti esercizi che prevedono sin dall’inizio l’esecuzione
di compiti più complessi (di solito suddivisi in sottocompiti). Quelli di secondo
grado hanno lo scopo di guidare il paziente all’acquisizione del controllo sulle
contrazioni irradiate determinate dal movimento svolto volontariamente. Gli
esercizi di terzo grado infine comprendono quelle condotte terapeutiche
attraverso le quali il paziente apprende ad adeguare in maniera più perfezionata i
vari reclutamenti alla verifica delle diverse ipotesi percettive senza che

Tabella 15: Classificazione delle tecniche di facilitazione neuromuscolare per “scopi”

Reclutamento di un maggior numero di unità motorie: Diminuzione del numero di unità motorie attive:

• stiramento veloce • tutte le tecniche che facilitano gli antagonisti


• esercizio contro resistenza • stiramento lento
• posizioni (di partenza ed arrivo del movimento) • massimo allungamento
• stimolazione cutanea: sfioramento, contatto, • posizionamento in uno schema antagonista
spazzolamento • schemi sbloccanti
• massaggio • crioterapia
• strofinamento del tendine • bio-feedback
• percussione del ventre muscolare • utilizzo del linguaggio
• vibrazione strumentale • esercizi di rilasciamento
• tecnica di induzione successiva • training autogeno
• tecnica di irradiazione • esercizio terapeutico conoscitivo
• bio-feedback
• movimento volontario: dei sinergici contro resistenza,
in schemi di massa, dei muscoli dell’arto indenne

180
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

assumano valori di segnali quelle componenti abnormi della motricità, il cui


controllo è stato automatizzato. Il tutto viene eseguito in situazioni terapeutiche
caratterizzate da un’alta indeterminatezza dell’ambiente, ottenibile ad esempio
mediante sussidi mobili, e curando che il movimento richiesto abbia
caratteristiche di spazialità globale e di interazioni con l’ambiente identiche al
movimento che si vuole recuperare.
Come ben sintetizza Boccardi, è possibile classificare anche le tecniche di
facilitazione neuromuscolare per scopi (vedi Tab. 15).
Per quanto riguarda gli interventi terapeutici rivolti specificatamente al
solo potenziamento muscolare ed alle tecniche di allenamento sarà utile una
breve premessa di fisiologia muscolare. Le contrazioni muscolari possono
essere suddivise, in base al tipo di movimento prodotto dal muscolo, in
contrazioni statiche (o isometriche)in cui non viene prodotto movimento e in
contrazioni dinamiche, caratterizzate dal movimento delle leve ossee. Nelle
prime il muscolo sviluppa tensione senza spostamento del punto di applicazione
della forza e quindi senza lavoro meccanico. Nelle contrazioni dinamiche invece
il muscolo produce tensione variando la sua lunghezza e quindi compiendo un
lavoro meccanico. In quest’ultimo tipo di contrazioni la tensione prodotta non è
mai uguale alla resistenza esterna: quando la tensione muscolare è maggiore
della resistenza, il muscolo si accorcia e si parla di contrazione concentrica;
quando invece la tensione è minore della resistenza, il muscolo viene allungato
e si parla di contrazione eccentrica (e di lavoro negativo). Un particolare tipo di
contrazione dinamica è quella isocinetica, durante la quale il muscolo si contrae
a velocità costante per tutto l’arco di movimento. Per aumentare la forza di un
muscolo occorre farlo lavorare in condizioni nelle quali in ciascuna ripetizione
debba sviluppare una forza non inferiore al 60 - 70% di quella massima
erogabile per una sola contrazione. Ripetizioni numerose ma con carichi bassi
producono invece maggiormente l’effetto di aumentare la resistenza alla fatica
(forse influiscono sulla sua massima forza solo se ripetute sino al
raggiungimento dell’affaticamento, a spese di un lavoro meccanico e di un
tempo molto maggiori). Qualunque tipo di esercizio ha un effetto potenziante
maggiore per prestazioni di tipo corrispondente. Gli esercizi isometrici
massimali (più facili da impostarsi) hanno lo svantaggio di comportare la
produzione di elevate tensioni tendinee e prolungata ischemia muscolare , con
lavoro in anaerobiosi, nonchè di non corrispondere alla maggior parte dei
movimenti compiuti nelle attività di vita quotidiana. Per questo motivo si
preferiscono allenamenti con esercizi dinamici. In essi i benefici di training
impostati a una velocità di contrazione muscolare più alta si trasferiscono in
buona misura anche a movimenti eseguiti a velocità più basse, non viceversa.
L’aumento della forza a seguito di esercizi di allenamento progressivo (sia
isometrici che dinamici) si ottiene nelle prime 3-5 settimane per un

181
G. Bazzini, F. Franchignoni

miglioramento del “drive neurale” e solo in seguito iniziano le modificazioni


morfologiche con incremento della massa muscolare. L’incremento massimo
ottenibile dipende dal grado d’utilizzazione del muscolo prima dell’allenamento
(è più elevato esercitando muscoli relativamente ipotrofici) e sta sullo 0,5 - 2%
al giorno (mentre la perdita di forza per inattività muscolare è di circa il 5 - 8%
al giorno).Le sedute non devono essere distanziate di più di pochi giorni, per
non perdere l’effetto di sommazione dei guadagni. Da tempo è stato dimostrato
che anche la stimolazione elettrica del muscolo può portare a effetti benefici
sulla forza, tuttavia i risultati nei muscoli sani sono - per lo meno dopo training
inferiori alle cinque settimane - inferiori a quelli ottenibili con esercizi volontari
(miglioramenti dell’ordine di 0,2-0,5 contro 1% circa al dì). Nel muscolo
ipotrofico invece i risultati sono migliori: in questi soggetti è possibile che esista
un output motorio volontario insufficiente (ad es. per inibizione riflessa), che
l’elettrostimolazione tende a compensare.

2. CONTROLLO DEL DOLORE


Il dolore è definibile come un’esperienza sensoriale, caratterizzata da
componenti discriminative, emozionali, vegetative e motorie riflesse. Pertanto
nell’approccio al paziente con algie, specialmente se croniche, deve essere
tenuto presente il fatto che il dolore va considerato come uno spazio
pluridimensionale comprendente esperienze soggettive che hanno componenti
somato-sensoriali, affettive e socio-culturali. Ne deriva la necessità di un
approccio multimodale, al quale la terapia fisica può validamente contribuire,
per quanto le compete.
In questo campo pertanto trovano precisa collocazione numerose tecniche
e tecnologie, che si è cercato di riunire in categorie con i loro relativi
presupposti biologici.
Le categorie più diffuse e studiate di agenti fisici sono:
1) il calore superficiale e il freddo; 2) la diatermia (microonde, onde corte
e ultrasuoni); 3) le correnti elettriche.
Il calore (sia superficiale che profondo) produce effetti biologici
riassumibili in un aumento del metabolismo tissutale e del flusso ematico, una
stimolazione dei sistemi istio-umorali organici, un’azione algosedativa e
miorilassante e un aumento dell’estensibilità del tessuto collageno. Il numero e
l’intensità delle reazioni fisiologiche sono legati alla velocità, al livello e alla
durata dell’aumento di temperatura tissutale ottenuto, nonchè all’estensione e
alla profondità dell’area trattata. Le principali controindicazioni generali per il
caldo sono i traumi, le infiammazioni acute e le neoplasie, l’ischemia e i
disturbi emorragici.
1) La termoterapia esogena (calore portato dall’esterno, per conduzione o
convezione) produce soprattutto modificazioni superficiali, ma può evocare

182
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

anche, per lo più per via riflessa, blande reazioni vasomotorie, sensitive e
metaboliche negli strati profondi dell’organismo. Si vale di mezzi solidi
(mattone, borse d’acqua calda, termoforo, sabbia, fanghi), liquidi (bagni,
paraffina) e gassosi (aria calda secca, sauna, forni Bier). Un riscaldamento
superficiale può essere ottenuto anche con l’applicazione di energia radiante,
quale ad es. i raggi infrarossi.
Con il termine di crioterapia si definisce invece l’impiego del freddo
superficiale (ad es. ghiaccio) a scopo terapeutico. Essa esplica un effetto
analgesico, antiflogistico, decontratturante muscolare e antispastico,
vasocostrittore; le sue controindicazioni sono l’ischemia, l’intolleranza al freddo
e i disturbi vasospastici.
2) La termoterapia endogena (produzione di calore direttamente all’interno
dell’organismo, per assorbimento di onde elettromagnetiche o di vibrazioni
meccaniche a partenza da un emettitore) induce (pur con differenti meccanismi)
intense modificazioni superficiali e profonde.
Comprende principalmente:
– La radarterapia (microonde). L’effetto biologico è di un riscaldamento
profondo (per effetto Joule), massimo a livello muscolare, senza eccessivo
riscaldamento del grasso superficiale. La penetrazione non supera i 4 - 5 cm.
– La marconiterapia (onde corte). La produzione di calore è profonda,
influenzata dalla disposizione degli elettrodi, direttamente proporzionale alla
resistenza dei tessuti ed è più netta a livello del tessuto adiposo.
– Gli ultrasuoni. La radiazione si attenua progressivamente, in modo differente
nei vari tessuti. Gli effetti prodotti sono dovuti principalmente al
riscaldamento e in minor misura alla cavitazione e ad altri fenomeni
meccanici.
3) La stimolazione elettrica può essere utilizzata a scopo antalgico. Fanno
parte dell’elettroterapia analgesica principalmente le seguenti correnti:
– corrente continua: è una corrente costante (cioè di cui non si modifica nè la
direzione nè l’intensità) che viene utilizzata nelle metodiche di
galvanizzazione e ionoforesi. Nella prima si ottiene un effetto analgesico,
nella seconda invece la corrente continua è utilizzata nell’intento di introdurre
attraverso la barriera cutanea ioni medicamentosi.
– correnti diadinamiche: sono correnti variabili a bassa frequenza. Hanno effetti
analgesici, vasodilatatori, iposensibilizzanti, di riassorbimento degli edemi ed
eccitomotori, variabili in base al tipo di corrente utilizzata.
– correnti interferenziali: posseggono effetti eccitomotori, simpaticolitici o
analgesici.
– la stimolazione elettrica transcutanea (TENS): viene somministrata a scopo
analgesico tramite apparecchiatura miniaturizzata, ad alimentazione a pile,
con impulsi mono- o bifasici, di varia forma (per lo più rettangolare o a

183
G. Bazzini, F. Franchignoni

spike), la cui durata, intensità, e frequenza sono regolabili entro range


prefissati.

3. AUTOSUFFICIENZA NELLE ATTIVITÀ QUOTIDIANE


Questo obiettivo è competenza classica e culturalmente consolidata
dell’ergoterapia, anche denominata terapia occupazionale (T.O.), che ne ha
indicato da tempo tecniche terapeutiche e relative modalità.
L’ergoterapia (letteralmente = terapia attraverso il lavoro) è un settore della
medicina rieducativa molto sviluppato all’estero ma conosciuto ed applicato
solo recentemente in Italia. Essa viene definita dalla scuola francese come “un
metodo di trattamento di certe affezioni fisiche e mentali prescritto dal fisiatra
ed applicato dai terapisti, utilizzante il lavoro e tutte le altre occupazioni in
modo da correggere i disturbi funzionali che le caratterizzano”. Questa
definizione può essere ampliata con quella più ampia delle scuole anglosassoni,
secondo cui “la terapia occupazionale è l’arte e la scienza di dirigere la risposta
dell’individuo verso attività selezionate per promuovere e mantenere la salute,
per prevenire la minorazione, per valutare il comportamento e per trattare o
allenare i pazienti con disfunzioni fisiche o psico-sociali”.
L’ergoterapia è quindi una terapia dei disturbi funzionali, il cui scopo è di
curare una funzione esercitando quella funzione; in Italia praticamente il suo
campo d’intervento è soprattutto quello dei disturbi di tipo motorio ed in taluni
casi anche mentali. Nei disturbi motori si tratterà di effettuare una rieducazione
del gesto, in quelli mentali una rieducazione espressiva, ed infine nelle gravi
disabilità obiettivo dell’ergoterapia sarà la rieducazione all’autonomia.
L’ergoterapia è una terapia: quindi dovrà avere un’indicazione precisa, motivata,
limitata nel tempo e soprattutto specifica.
La TO utilizza approcci medici e sociali per esaminare unitariamente
l’individuo e le sue relazioni con l’ambiente. Il suo compito è di aiutare a
sviluppare e mantenere il più alto livello possibile di funzionalità biologica,
sociale e psicologica, intervenendo nel ridurre i deficit funzionali in tutti gli
aspetti della vita, compatibilmente con l’entità della menomazione.
La TO è quindi una disciplina tecnica autonoma nell’ambito della
Medicina Riabilitativa, che ha competenza nei seguenti principali settori:
a) valutare ed addestrare il soggetto disabile nelle attività della cura di sè
(vestirsi, mangiare, farsi il bagno, curare l’igiene personale) al fine di
massimizzare l’indipendenza;
b) addestrare all’acquisizione di semplici metodi finalizzati a ridurre
l’affaticamento ed al risparmio del dispendio energetico;
c) studiare, confezionare e/o applicare ortesi, ausili vari e protesi d’arto
superiore, addestrando al loro uso ed alla loro corretta manutenzione, nonchè
eventualmente valutare ed addestrare all’utilizzo di sistemi di controllo

184
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

ambientale;
d) suggerire le modificazioni ambientali (domiciliari, lavorative, scolastiche
ecc.) più idonee a migliorare l’autonomia funzionale;
e) valutare le attitudini verso nuove occupazioni (lavoro, scuola, attività ludico-
sportive) e sviluppare adeguate modalità per raggiungere l’obiettivo;
f) valutare le capacità di guida di autoveicoli e realizzare, se necessario, un
addestramento specifico, anche con l’eventuale utilizzo di appropriati ausili;
g) collaborare al mantenimento ed al miglioramento dell’articolarità, della forza
e resistenza muscolare, e della coordinazione del paziente;
h) valutare ed addestrare i soggetti disabili nel favorire i compensi dei deficit
sensitivi e percettivi;
i) svolgere attività educativo-informativa nei confronti della famiglia del
disabile e di coloro che gli sono vicini, mediante la dimostrazione di tecniche
per mantenere la massima indipendenza possibile del soggetto disabile.

4. CONTROLLO SFINTERICO
Le disfunzioni disabilitanti causate da patologie neurologiche, neuro-
urologiche, uro-ginecologiche, ano-rettali e genito-sessuali, per la loro
complessità si giovano particolarmente di interventi multidisciplinari. La
competenza specifica del fisiatra riguarda, oltre ad alcune indagini
diagnostiche funzionali, diversi interventi terapeutici, che possiamo molto
schematicamente classificare come:
• tecniche per la rieducazione del controllo sfinterico;
• tecniche di rieducazione perineale:
– tecniche comportamentali: training vescicale (minzione programmata
regolare);
– rieducazione neuromotoria: Bio-feedback e cinesiterapia pelvi-perineale;
– stimolazione elettrica funzionale (FES);
– tecniche di rilassamento.

5. PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE


Molti degli interventi descritti in questi paragrafi hanno già di per sè fra i
loro scopi anche quello di prevenire complicanze della malattia in atto e
soprattutto della sindrome da allettamento. Altri interventi specifici possono
comprendere tutte le tecniche di intervento cinesiterapico sull’apparato bronco-
polmonare e cardio-circolatorio, già illustrate nelle relative sezioni della
presente bozza.
A ciò si aggiungano gli interventi di tipo metabolico-nutrizionale che
possono riguardare sia le necessità di nutrizione artificiale, sia i bilanci
energetici dei pazienti in fase rieducativa.

6. COMUNICAZIONE
185
G. Bazzini, F. Franchignoni

La rieducazione logopedica si avvale di numerose tecniche, molto


specifiche, a seconda del deficit riscontrato, e non facilmente riassumibili.
Tuttavia per brevità didattica è possibile elencare quelle maggiormente utilizzate
nel lavoro quotidiano di routine.
• Rieducazione della comprensione: riconoscimento dell’esistenza di parole
(decisione lessicale); indicazione di oggetti, di figure, per categorie
semantiche, su definizione, di scene.
• Rieducazione dell’espressione: denominazione di oggetti, di figure, di azioni,
su definizione (orale o scritta); descrizione di scene, semplici o complesse;
riassunti di brani o testi; esercizi di fluenza; ripetizione di sillabe, parole, più o
meno complesse.
• Rieducazione della lettura: lettura di sillabe, di parole , di frasi (più o meno
complesse).
• Rieducazione della scrittura: dettato di sillabe, di parole, di frasi (più o meno
complesse).
• Rieducazione delle capacità di calcolo: giudizi di numerosità; riconoscimento
dei segni aritmetici; lettura e dettato di numeri; trasposizioni della cifra araba
in parola; calcolo automatico (tabelline); esercizi di richiamo delle procedure
di calcolo; esecuzione di operazioni e problemi (semplici e complessi).

7. CAPACITÀ RELAZIONALI E COGNITIVE


Le modalità più adatte per un trattamento di deficit cognitivi e in
particolare di disturbi settoriali delle funzioni simboliche (afasie, agnosie,
aprassie) sono state studiate essenzialmente nell’età evolutiva e nell’età
involutiva specie dopo lesioni vascolari o nel corso di alcune forme meno gravi
di demenza. Si è sottolineata in particolare l’importanza dei disturbi
dell’attenzione e si sono applicati adatti procedimenti per dirigerla e focalizzarla
in adatti ambienti, poveri di stimoli estranei e/o di avvenimenti nuovi distraenti.
Altrettanto importanti risultano le tattiche e le strategie ‘per sopperire a deficit
di memoria, mediante l’ausilio di “magazzini computerizzati” dei nomi più
importanti per le richieste del soggetto, tenendo presente ogni elemento che possa
contribuire a potenziare le motivazioni del soggetto. Le tecniche molto
particolareggiate sviluppate secondo questi concetti si sono rivelate di sicuro
vantaggio per i pazienti, mentre i risultati ottenuti con tecniche a più stretto
riferimento neuropsicologico classico sono ancora oggetto di discussione in merito
a una loro specifica utilità.
Alcuni casi possono avvantaggiarsi dall’inserimento nel programma
riabilitativo di feedback con istruzioni supplementari di tipo visivo verbale. Si
potrebbe così compensare il bisogno, altrimenti deluso del soggetto, di
conoscere il risultato delle sue azioni. Si favorisce così al tempo stesso la
facilitazione o il riapprendimento di schemi rappresentativi motori.
Per di più in queste condizioni il paziente è spontaneamente indotto a
186
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

utilizzare prevalentemente i canali informativi più diretti ed elementari,


trascurando (effetto d’inattenzione secondaria) altre informazioni con una
progressiva inattivazione delle corrispondenti reti neurali. Donde, in una specie
di circolo vizioso, una conseguente estinzione o soppressione di sistemi neurali
di importanti operazioni mentali. I provvedimenti per ovviare a queste
compromissioni e alle loro conseguenze sono molteplici e molto impegnativi
per il riabilitatore. I tempi operativi devono essere mantenuti in valori
sufficientemente bassi attraverso automatizzazioni sempre maggiori con compiti
i più semplici possibili, ma variandone in prove successive il compito-bersaglio,
in maniera da ridurre i “canali evitati”dal soggetto nel suo comportamento
spontaneo.

8. REINSERIMENTO FAMILIARE E SOCIALE


Gli interventi per il reinserimento familiare e sociale consistono in tutta
una serie di misure specifiche, oltre a tutte quelle già illustrate ai punti
precedenti, messe in atto per raggiungere l’obiettivo fondamentale della
riabilitazione. Si tratterà quindi di facilitare: la ripresa di interessi, di doti
sociali, di adattamenti alla situazione di disabilità; l’assistenza all’ottenimento
di indennità previdenziali e di modifiche alla situazione abitativa (ove
necessario); l’addestramento all’eventuale uso di sistemi di controllo ambientale
e all’uso di sistemi specifici per la guida di autoveicoli, e così via.

9. REINSERIMENTO OCCUPAZIONALE-LAVORATIVO
Se il paziente è in età lavorativa la valutazione delle capacità potenziali e
conseguenti interventi terapeutici per il reinserimento occupazionale devono
rappresentare una componente essenziale del processo di riabilitazione medica. Il
più presto possibile, dopo la quantificazione delle abilità residue si dovrà
esprimere un giudizio sulla possibilità del soggetto di riprendere un’attività
lavorativa remunerata, ed eventualmente fornire indicazioni sulle mansioni più
compatibili. Tali valutazioni determinano significative implicazioni rispetto alle
tecniche di allenamento e riallenamento compensativo, all’uso di eventuali
equipaggiamenti sostitutivi, ad eventuali indicazioni chirurgiche ed alle altre
procedure di trattamento.
La rieducazione ed il potenziamento delle capacità fisiche, sensoriali,
psichiche, cognitive e sociali inerenti il lavoro prevederà analisi ed interventi
sulle capacità della persona, sui suoi interessi e sull’ambiente. Esistono diverse
batterie di test attitudinali che guidano le valutazioni e quindi gli interventi in
questo ambito. Molto succintamente gli interventi terapeutici si rivolgono al
potenziamento delle abilità (intelligenza, attitudine verbale, numerica e spaziale,
percezione delle forme e d’ufficio, coordinazione motoria, destrezza delle dita e
manuale), delle esperienze, degli interessi, delle capacità fisiche (movimento,
deambulazione, funzione degli arti superiori e delle mani, coordinazione,
187
G. Bazzini, F. Franchignoni

chinarsi, sollevarsi, maneggiare e sentire) e di altri fattori significativi


(motivazione al lavoro, incentivi finanziari e psicologici ecc.).

10. EDUCAZIONE SANITARIA


Gli interventi terapeutici di educazione sanitaria comprendono tutte le
attività di tipo educativo informativo che si attuano nei confronti del paziente
stesso e dei suoi familiari.
Sotto questa voce possono quindi essere racchiusi tutti quei momenti
quotidiani di colloquio del personale sanitario ed eventualmente specifiche
sedute di incontro atte a fornire informazioni circa la patologia, i farmaci
utilizzati, le prospettive, i programmi domiciliari, nozioni di ergonomia, e così
via.

Percorsi valutativo-terapeutici specifici per patologia

1. EMIPARESI-EMIPLEGIA

DEFINIZIONE
L’emiparesi/emiplegia rappresenta prevalentemente l’espressione clinica di
un ictus cerebrale; quest’ultimo si caratterizza per l’estremo polimorfismo dei
quadri clinici e l’eterogeneità dei fattori eziologici. Sul piano morfologico,
tuttavia, le varie condizioni patologiche sono riconducibili a due elementari
varietà di danno parenchimale: ischemia ed emorragia.

FATTORI DI RISCHIO DI MALATTIA


Età, ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia, obesità,
iperuricemia, ematocrito/fibrinogeno, fumo, contraccettivi, alcool, cardiopatie.

QUADRO CLINICO
– emiplegia/emiparesi
– disturbi sensitivi e sensoriali (ipoestesia, emianopsia...)
– alterazioni delle funzioni corticali superiori e del tono dell’umore
– disturbi della comunicazione
– possibile incontinenza sfinterica.

FATTORI DI RISCHIO DI DISABILITÀ


– età avanzata
– iniziale coma
– gravi deficit funzioni cognitive
– deficit percettivo-spaziali
– deficit propriocettivi e tattili

188
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

– grave deficit motorio iniziale


– periodo prolungato di flaccidità
– assenza di evidente recupero motorio dopo 1 mese dall’esordio
– insorgenza di grave spasticità.
– assenza di movimento volontario della mano dopo 6 settimane dall’esordio
– persistenza di incontinenza (urinaria e/o fecale) dopo 2 settimane dall’esordio
– demotivazione al trattamento ed al recupero funzionale.

INDICATORI DI GRAVITÀ (DELLA DISABILITÀ)


1° livello
– menomazione: assenza di evidente recupero motorio (stadio 1 o 2 di
Brunnstrom), deficit cognitivo medio-grave, deficit sensitivo-sensoriali gravi,
assenza di controllo del tronco in posizione seduta, incontinenza sfinterica
(vescicale e/o fecale), comorbidità gravi
– disabilità: completa o parziale grave non autosufficienza nella maggior parte
delle attività funzionali elementari
– FIM motoria (item A-M) inferiore a 52; FIM cognitivo-relazionale (item N-R)
inferiore a 20
2° livello
– menomazione: minimo-medio recupero neurologico (stadio 2 o 3 di
Brunnstrom), deficit cognitivi moderati, deficit sensitivo-sensoriali medio-
lievi, deficit nella stazione eretta, incontinenza vescicale, comorbidità di
media gravità
– disabilità: necessità di assistenza minimo-moderata nella maggior parte delle
attività funzionali elementari
– FIM motoria inferiore a 65; FIM cognitivo-relazionale inferiore a 24
3° livello
– menomazione: recupero neurologico discreto (stadio 4 o 5 di Brunnstrom), ma
persistenza di alcuni deficit motori residui, deficit cognitivi lievi o assenti,
deficit sensitivo-sensoriali lievi o assenti, buon equilibrio nella stazione eretta,
comorbidità minori
– disabilità: discreta autosufficienza
– FIM motoria superiore a 65; FIM cognitivo-relazionale superiore a 24
4° livello
– menomazione: recupero motorio buono o completo (stadio 5 o 6 di
Brunnstrom), non deficit cognitivi né sensitivo-sensoriali, buon controllo
globale dell’equilibrio, eventuale presenza di comorbidità minori
– disabilità: autosufficienza pressoché totale
– FIM motoria superiore a 78; FIM cognitivo-relazionale superiore a 30.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO* INTERVENTI TERAPEUTICI*


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
189
G. Bazzini, F. Franchignoni

2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T


3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
4. Controllo sfinterico 4.1 T ® 4.3 T
5. Prevenzione delle complicanze 5.1 T ® 5.4 T
6. Comunicazione 6.1 T ® 6.5 T
7. Capacità relazionali e cognitive 7.1 T ® 7.4 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T
* Vedasi da Tab. 4 a Tab. 13

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: in genere, 1° e 2° livello di disabilità.
• In regime ambulatoriale: la maggior parte dei pazienti con 3° e 4° livello di
disabilità.

2. LESIONI CEREBRALI GRAVI ACQUISITE (TRAUMATICHE E NON)

DEFINIZIONE
Quadro tipico di queste forme è il trauma cranico, che si realizza tutte
le volte che un trauma determina un dislocamento della massa encefalica
che superi il limite di elasticità del paranchima cerebrale e del sistema di
protezione meningoliquorale, con sofferenza di vario grado delle strutture
nervose.

DEFICIT ASSOCIATI
A seconda della sede di impatto e della distribuzione delle lesioni possono
realizzarsi quadri clinici polimorfi, transitori o permanenti.

QUADRO CLINICO
Estremamente variabile. Il danno può essere lieve (con perdita di coscienza
assente o inferiore a 6 ore, e con nessun disturbo residuo o sindrome post-
traumatica con cefalea, vertigini, affaticabilità, disturbi della memoria ed
irritabilità) o grave (perdita di coscienza superiore alle 6 ore). In sintesi si
possono avere:
– disfunzioni dei nervi cranici
– deficit sensitivi
– ossificazioni eterotopiche
– ipertonia muscolare e contratture
– disturbi del controllo motorio
– alterazioni nell’alimentazione

190
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

– disfunzioni sfinteriche
– alterazioni dell’attenzione e della risposta a stimoli ambientali
– alterazioni della memoria e dell’apprendimento
– alterazioni del linguaggio
– alterazioni della percezione visuo-spaziale
– prevenzione della patologia da allettamento e facilitazione della
superficializzazione della coscienza del paziente comatoso.
– comportamento combattivo o disinibito
– ridotta iniziativa motoria
– depressione
– deficit dello schema corporeo
– alterazioni funzioni sessuali
– disturbi nel comportamento sociale
Dai danni gravi residuano di solito menomazioni fisiche e cognitive, che
possono portare a tutte le principali categorie di disabilità ed handicap.

EVOLUZIONE
Tre fasi evolutive:
1) acuta (o di salvaguardia della vita)
2) di riabilitazione medica intensiva
3) di integrazione sociale

INDICATORI PROGNOSTICI DI GRAVITÀ


– durata del coma (con punteggio alla Glasgow Coma Scale < 8)
– grado di amnesia post-traumatica (misurata mediante il Galveston Orientation
and Amnesia Test)

INDICATORI DI GRAVITÀ DELLA DISABILITÀ


– Glasgow Outcome Scale
– Disability Rating Scale di Rappaport
– Rancho Los Amigos Levels of Cognitive Function
– FIM

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO* INTERVENTI TERAPEUTICI*


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
4. Controllo sfinterico 4.1 T® 4.3 T
5. Prevenzione delle complicanze 5.1 T ® 5.4 T
6. Comunicazione 6.1 T ® 6.5 T
7. Capacità relazionali e cognitive 7.1 T ® 7.4 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
191
G. Bazzini, F. Franchignoni

9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T


10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T
* Vedasi da Tab. 4 a Tab. 13

ALTRI INTERVENTI (SPECIFICI DELLA MALATTIA)


– promuovere e facilitare il miglior recupero possibile delle abilità
compromesse, tramite interventi di varie figure riabilitative (fisiatra, terapisti
della riabilitazione e occupazionali, logopedisti ecc.) e di diversi specialisti di
area medica e chirurgica, nonché psicologi.
– continuazione degli interventi sanitari miranti a migliorare ulteriormente e
consolidare il recupero ottenuto
– manovre atte ad ottenere e mantenere la miglior integrazione possibile
dell’individuo nel proprio ambiente di vita.
Il trattamento specifico verterà quindi su: lotta al deficit della motilità
volontaria (plegie e paresi) e della coordinazione motoria (atassie),
normalizzazione della postura e del tono, terapia dei deficit da lesione dei nervi
cranici (disfagia, disartria, diplopia ecc.), dell’attenzione e della
concentrazione dei disturbi della memoria e del linguaggio, del rallentamento
motorio e ideativo, dell’affaticabilità, labilità emotiva e depressione, terapia
delle modificazioni della personalità e del comportamento, prevenzione dei
danni da immobilizzazione (viziature articolari, retrazioni muscolari,
calcificazioni periarticolari, decubiti ecc.).

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: fase di risveglio, fase rieducativa propriamente detta.
• In regime ambulatoriale: fase rieducativa, in presenza di disabilità modeste.

3. PARA- E TETRAPLEGIA

DEFINIZIONE
Si intende per tetraplegia la paralisi dei quattro arti e del tronco. Si intende
per paraplegia la paralisi dei due arti inferiori: a seconda del livello di lesione il
tronco sarà indenne, totalmente o parzialmente leso. Queste paralisi sono in
genere dovute ad una lesione midollare, il più spesso di origine traumatica, ma
anche vascolari, infettive, compressive e post-operatorie.

DEFICIT ASSOCIATI
Queste lesioni midollari determinano molto spesso anche deficit sensitivi e
sfinterici. Nelle lesioni di livello alto se ne aggiungono altre, quali: turbe
respiratorie, ipotensive, iperreflessia autonoma.

192
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

QUADRO CLINICO
Il quadro clinico varia a seconda del livello della lesione midollare. Una
lesione da C3 a C8 determina una grave paralisi flaccida di vario grado agli arti
superiori ed una paralisi spastica agli inferiori; una lesione da D2 a D12
determina una paraplegia spastica; una lesione da L1 a L4 determina una
paralisi flaccida di vario grado agli arti inferiori.
All’interessamento motorio si associano segni più o meno gravi di tipo
generale, quali turbe vescicali ed intestinali (incontinenza sfinterica),
respiratorie (a seconda del grado di interessamento dei muscoli respiratori),
della funzione sessuale, neurovegetative, osteo-articolari (para-osteo-artropatie).

EVOLUZIONE
Nel decorso della para- e tetraplegia post-traumatiche si deve distinguere
la fase acuta
da quella successiva. La prima fase giunge fino a poche settimane dal
trauma ed è caratterizzata da paralisi della motilità volontaria e della sensibilità
con abolizione delle funzioni spinali riflesse sottolesionali. Da questa fase si
passa a poco a poco a quella in cui si assiste al ripristino delle funzioni midollari
riflesse e dell’attività automatica dei principali centri spinali sottolesionali,
nonché nelle lesioni incomplete a parziali regressioni dei disturbi motori e
sensitivi.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO* INTERVENTI TERAPEUTICI*


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
4. Controllo sfinterico 4.1 T® 4.3 T
5. Prevenzione delle complicanze 5.1 T ® 5.4 T
6. Comunicazione 6.1 T ® 6.5 T
7. Capacità relazionali e cognitive 7.1 T ® 7.4 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T
* Vedasi da Tab. 4 a Tab. 13

ALTRI INTERVENTI (SPECIFICI DELLA MALATTIA)


Il trattamento rieducativo prevede soprattutto:
– profilassi delle complicanze e la cura delle lesioni associate (ulcere da
decubito, vescica neurogena, disturbi intestinali e respiratori ecc.),
– conservazione della mobilità passiva degli arti paralizzati (evitando anche
deformità e contratture muscolo-scheletriche),
– potenziamento della motilità residua,

193
G. Bazzini, F. Franchignoni

– carico terapeutico (statica) ed eventuale avvio alla deambulazione con tutori,


– ginnastica respiratoria,
– rieducazione sfinterica,
– recupero della massima autosufficienza possibile, ai fini di un reinserimento
familiare, sociale e professionale ottimale (rieducazione al letto, addestramento
all’indipendenza nei cambiamenti di postura ed in carrozzina, rieducazione alla
stazione eretta ed alla deambulazione con tutore). La terapia occupazionale e la
riqualificazione professionale (insieme all’avviamento ad un’attività sportiva
dei più giovani) sono tappe importanti del processo rieducativo, così come il
trattamento delle problematiche sessuali e psicologiche. Per un soddisfacente
reinserimento socio-familiare si dovranno infine fornire al paziente tutti gli
ausili e le forniture ortopediche di cui necessita (in particolare la prescrizione
di una carrozzina deve essere personalizzata con cura ed è indispensabile nelle
lesioni mieliche complete dal livello lombare in su) e sarà indispensabile curare
l’abbattimento delle barriere di tipo architettonico fuori e dentro casa.

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: fase rieducativa post-acuta, fase rieducativa
propriamente detta.
• In regime ambulatoriale: fase rieducativa, in via di stabilizzazione, fase
stabilizzata, con necessità di ausili/ortesi.

4. AMPUTAZIONI DI ARTO

DEFINIZIONE
L’amputato di arto presenta un deficit per il quale le conseguenze sulla sua
mobilità dipendono sia dalla protesi che egli riceverà, sia dalla “presa in carico”
medica, fisica e psicologica dell’équipe riabilitativa.

DEFICIT ASSOCIATI
Sono importanti i disturbi dovuti alla concomitante presenza sistemica di
deficit vascolari, che sono numericamente la principale causa di amputazione.

EVOLUZIONE
Dipenderà naturalmente dalla causa e dalle circostanze di amputazione.
Più severa sarà la prognosi in caso di patologia tumorale o vascolare; più
favorevole in caso di amputazione da trauma.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO INTERVENTI TERAPEUTICI


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T

194
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

5. Prevenzione delle complicanze 5.1 T ® 5.4 T


8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T

ALTRI INTERVENTI (SPECIFICI DELLA MALATTIA)


Il trattamento rieducativo risulta ovviamente relativo al tipo, sede e scelta
della protesi di arto. In genere si prevede un periodo pre-protesizzazione, una
protesizzazione di allenamento ed una definitiva.
Le prescrizioni tecniche rieducative possono comprendere:
– drenaggio del moncone e lotta all’edema (mediante bendaggio elastico e
sopraelevamento dell’arto)
– prevenzione delle posture viziate
– mobilizzazione attiva dell’articolazione integra, mediante contrazioni statiche
dei muscoli del moncone
– mobilizzazione passiva prudente e posture preventive;
– in seguito: mobilizzazione attiva ed analitica, rieducazione attiva dell’arto
controlaterale, ginnastica respiratoria, statica progressiva, rieducazione al
cammino con appoggi; al termine: gestione autonoma della protesi, cammino
autonomo, esercizi unipodali, spinte, ostacoli, scale, piani inclinati ed
allenamento al rialzarsi eventualmente da terra.

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: fase rieducativa post-intervento, fase rieducativa
propriamente detta.
• In regime ambulatoriale: fase rieducativa, in via di stabilizzazione, fase
stabilizzata, con necessità di ausili.

5. ESITI DI PATOLOGIE ORTOPEDICO-TRAUMATOLOGICHE

DEFINIZIONE
Vengono comprese in questo gruppo numerose patologie, di diverso tipo e
gravità, che possono determinare disabilità di natura ortopedico-traumatologica:
– fratture, artroprotesi
– periartriti, osteoartrosi
– artrite reumatoide, spondiloartrite anchilopoietica

QUADRO CLINICO
Si comporrà di diversi elementi, relativamente alla patologia di base:
– sdr. dolorose
– deficit articolari

195
G. Bazzini, F. Franchignoni

– deficit motori
– deficit di coordinazione e destrezza

DEFICIT ASSOCIATI
Le suddette patologie possono complicarsi a causa di lesioni concomitanti
o ad esse correlate con sindromi irritative o deficitarie dei nervi periferici.

EVOLUZIONE
Sarà la più varia e dipenderà ovviamente dal tipo e dalle caratteristiche
della patologia principale causa di disabilità.

INDICATORI DI GRAVITÀ DELLA DISABILITÀ


• FIM “motoria” item A-M, 13 voci:
– 1° livello - non autosufficienza completa o parziale grave (valori < 42)
– 2° livello - necessità di assistenza minimo-moderata in più di un item
(valori 43-65)
– 3° livello - discreta autosufficienza (valori > 66).

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO INTERVENTI TERAPEUTICI


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T

ALTRI INTERVENTI (SPECIFICI DELLA MALATTIA)


Trattasi di un ampio capitolo che comprende diverse patologie, causa di
menomazioni e disabilità anche molto diverse fra loro per tipologia ed entità:
postumi di fratture, esiti di artro-protesizzazioni, ecc.
Ogni paziente traumatizzato deve essere considerato sotto tre aspetti
generali che ricalcano tre diverse fasi del trattamento riabilitativo: a) la
profilassi degli esiti; b) il trattamento iniziale; c) il trattamento definitivo.
Il trattamento comprenderà quindi: cinesi attiva libera e contro resistenza,
ginnastica respiratoria, ginnastica vascolare.
Nel trattamento definitivo sono compresi tutti i provvedimenti di lotta alle
complicanze (disturbi di circolo, edema, dolore, deficit del tono-trofismo
muscolare) messi in atto mediante: posizioni declivi, massoterapia, tecniche di
Kabat, ginnastica vascolare, elettroanalgesia, terapie fisiche, cinesiterapia attiva
nelle sue diverse tecniche specifiche, idrocinesiterapia, elettrostimolazione,
ergoterapia.

196
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: fratture multiple recenti, fratture recenti complesse o
con complicanze, fratture recenti con disabilità grave.
• In regime ambulatoriale: esiti di frattura con disabilità motoria o funzionale
modesta.

6. MALATTIE REUMATICHE

EVOLUZIONE CLINICO-FUNZIONALE
Caratteristiche comuni a tutte le affezioni reumatiche sono il dolore e
l’impotenza funzionale a carico delle articolazioni. La disabilità di cui il
paziente si lamenta è collegata alla compromissione della funzione motoria, che
assume vari aspetti e gravità in rapporto alla tipologia, alla localizzazione ed
allo stadio evolutivo del processo morboso, nonchè alla reattività locale e
generalizzata del singolo paziente.
Sono distinguibili quattro livelli di intervento:
1) in individui in grado di compiere da soli e senza difficoltà le attività della
vita quotidiana, è importante la prevenzione della disabilità tramite interventi
fisiocinesiterapici ed occupazionali.
2) in individui che eseguono con impaccio le attività della vita quotidiana è
utile il potenziamento di particolari funzioni. In questo stadio sono indicati,
oltre agli interventi del primo livello, anche trattamenti fisioterapici
strumentali locali.
3) nei soggetti senza un’autosufficienza completa l’integrazione di funzioni
deficitarie può essere ottenuta tramite il ricorso ad ausili.
4) in certi casi selezionati è utile il ricorso ad interventi di chirurgia ortopedica
di varia natura, sia “preventivi” (trattamento di lesione capsulo-legamentose,
asportazione di corpi liberi intrarticolari ecc.) sia “curativi”, per lo più di tipo
riparativo (ad es. osteotomie correttive), sostitutivo (protesizzazioni) o
demolitivo (artrodesi e resezioni).
Ogni fase del decorso clinico può giovarsi di un’appropriata terapia
farmacologica, a cui vanno eventualmente associati provvedimenti di tipo
dietetico-nutrizionale (per la correzione di dismetabolismi, eccessi ponderali
ecc.).
Il fisiatra deve indagare lo stato funzionale dei segmenti colpiti e la
maniera in cui questi danni interferiscono con l’indipendenza funzionale del
paziente, tramite una valutazione sia analitica che globale

a) Artropatie degenerative

197
G. Bazzini, F. Franchignoni

PRINCIPALI PECULIARITÀ DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO


La premessa per un successo dell’intervento riabilitativo in queste
patologie è l’uso appropriato di precise tecniche, la cui utilizzazione va
suggerita in modo dettagliato.
I principali scopi del trattamento sono:
– riduzione della sintomatologia algica;
– prevenzione o riduzione delle contratture muscolari;
– conservazione o miglioramento delle escursioni articolari;
– miglioramento del trofismo muscolare e delle prestazioni funzionali.
In molti casi il ridimensionamento della durata di determinate attività fisiche,
l’adozione di idonee posture ed una maggiore tutela delle parti esposte a
microtraumatismi ripetuti possono di per sé essere idonei a produrre apprezzabile
miglioramento clinico. Quando queste precauzioni non si rilevano sufficienti è
d’obbligo il ricorso alla fisioterapia strumentale, alla cinesiterapia, al massaggio e
ad ortesi (del tronco, podaliche, tutori ecc.) e ausili (ad es. per la deambulazione).

b) Artropatie infiammatorie

PRINCIPALI PECULIARITÀ DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO


Si tratta di affezioni spesso progressivamente invalidanti, per le quali il
programma riabilitativo deve essere precoce, attuato in tempi lunghi, adattato al
singolo paziente, con obiettivi finali essenzialmente funzionali.
I principali scopi del trattamento sono:
– riduzione della sintomatologia algica;
– conservazione o miglioramento delle escursioni articolari e del trofismo
muscolare;
– prevenzione delle deformità articolari;
– rieducazione dei gesti quotidiani per il risparmio articolare e la riabilitazione
funzionale.
Nelle fasi di poussé infiammatoria vi è controindicazione alla
mobilizzazione ed il trattamento si basa su riposo articolare, terapia antalgica-
antiflogistica (anche di tipo fisico strumentale), adozione di posture corrette e di
ortesi di riposo, mantenimento del tonotrofismo muscolare.
Nelle fasi di remissione di può invece aggiungere un programma
cinesiterapico (passivo ed attivo assistito) rivolto, oltre che alla prevenzione
delle deformità articolari e delle anchilosi, al mantenimento dell’escursione
articolare ed al potenziamento muscolare. Le ortesi utilizzate in questa fase sono
spesso quelle “da lavoro” (di stabilizzazione e di correzione).
L’educazione gestuale richiede la sostituzione di gesti scorretti con quelli
che non favoriscono l’insorgenza di deformità articolari, e la loro progressiva
integrazione nelle attività quotidiane. Tra gli ausili tecnici più adatti ricordiamo

198
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

quelli per la cucina e l’alimentazione, per il vestirsi, per l’igiene personale.

7. SINDROMI PARKINSONIANE

DEFINIZIONE
Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa definita clinicamente
dall’associazione di rigidità, tremore ed acinesia, e anatomopatologicamente da
gravi alterazioni della sostanza nera e dei nuclei pigmentati del tronco cerebrale
e da alterazioni discrete ed incostanti del pallido.
Altri parkinsonismi sono: la sdr. parkinsoniana post-encefalitica, vascolare,
luetica, tossica, tumorale, post-traumatica.

QUADRO CLINICO
– tremore
– rigidità “plastica”
– acinesia
– disturbi del controllo posturale e del cammino
– deficit nell’emissione del linguaggio
– alterazioni della scrittura
– acatisia (impossibilità a mantenere una posizione anche per un tempo breve)

FORME CLINICHE
– Ipercinetica
– Bradicinetica con rigidità
– Bradicinetica con tremore
– Completa

POSSIBILI DEFICIT ASSOCIATI


– sensibilità (soggettive)
– esauribilità della resistenza allo sforzo
– deficit della motilità oculare
– sindrome vegetativa
– deterioramento mentale
– urbe dell’affettività e del tono dell’umore

EVOLUZIONE
Esiste una graduale variabilità dei quadri clinici, che vanno da una forma
“benigna”, caratterizzata in modo predominante dal tremore, ad una forma
“progressiva”, caratterizzata da instabilità posturale, deficit del cammino,
evidente deterioramento mentale e disartria.

INDICATORI DI GRAVITÀ DELLA DISABILITÀ


199
G. Bazzini, F. Franchignoni

• Stadi di Hoehn e Yahr:


1° - forma monolaterale con deficit funzionali
2° - forma bilaterale od assiale senza deficit dell’equilibrio
3° - iniziali segni di deficit dei riflessi posturali (il paz. mantiene
l’indipendenza ed una certa potenzialità lavorativa)
4° - deambulazione e statica conservate, pur in presenza di severa disabilità
5° - posizione obbligata in poltrona od al letto

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO INTERVENTI TERAPEUTICI


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
4. Controllo sfinterico 4.1 T® 4.3 T
5. Prevenzione delle complicanze 5.1 T ® 5.4 T
6. Comunicazione 6.1 T ® 6.5 T
7. Capacità relazionali e cognitive 7.1 T ® 7.4 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T

ALTRI INTERVENTI (SPECIFICI DELLA MALATTIA)


– mobilizzazione attiva e passiva degli arti e del rachide, tonificazione della
muscolatura antigravitaria e stiramento della muscolatura flessoria. (per
la correzione delle cause che sottendono le anomalie postur ali e
funzionali)
– rieducazione neuromotoria per il recupero e l’armonizzazione dei riflessi
posturali (raddrizzamento, rotolamento, alzarsi da una sedia, cammino ecc.).
– esercizi contro l’acinesia

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza (per un ciclo di trattamento, seguito da controlli e
trattamenti ambulatoriali): 3° e 4° stadio recente peggioramento dello stadio
clinico, forme rapidamente evolutive.
• In regime ambulatoriale (fornendo poi al paziente programmi domiciliari e
suggerimenti di educazione sanitaria): 1° e 2° stadio (scarso deterioramento
funzionale in patologia a lenta evoluzione).

8. SCLEROSI MULTIPLA

DEFINIZIONE
La sclerosi multipla è una malattia di eziologia non conosciuta,

200
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

caratterizzata anatomicamente dalla presenza di placche di demielinizzazione


nel sistema nervoso centrale, che presenta manifestazioni cliniche polimorfe di
danno neurologico.

EVOLUZIONE
Il decorso può essere remittente o progressivo. Nella forma remittente
cronica, la più comune, il decorso è capriccioso, polifasico, poichè la
sintomatologia iniziale si ripresenta dopo un intervallo di tempo di durata
variabile, accompagnata da altri sintomi e sostanzialmente aggravata, per poi
attenuarsi, talvolta fino a scomparire, quindi ripresentarsi e così via.

FATTORI DI RISCHIO DI MALATTIA


– familiarità
– sesso (femminile)
– età (3a, 4a e 5a decade)
– fattori ambientali (oltre i 40° lat. Nord, o Sud)

QUADRO CLINICO
Estremamente mutevole e discontinuo:
– disturbi motori
– debolezza muscolare ed affaticabilità
– alterazioni del tono muscolare (spasticità)
– disturbi di coordinazione (atassia, tremore, dismetria)
– disturbi cognitivi e del tono dell’umore
– alterazioni delle sensibilità
– sindromi dolorose
– disturbi sfinterici
– disturbi visivi
– disartria
– disfagia
– disturbi sessuali

INDICATORI DI GRAVITÀ DELLA PROGNOSI


Gli episodi paucisintomatici (in particolare se con scarsissimi deficit
motori) regrediscono più rapidamente e con esito migliore di quelli con maggior
disseminazione. Un indice prognostico favorevole è rappresentata da un lungo
intervallo tra gli episodi di riacutizzazione o dalla presenza di una scarsa entità
di segni piramidali e cerebellari a 5 anni dall’esordio.
Dopo le prime ricadute il decorso può modificarsi da remittente in
progressivo; ciò avviene quando la sintomatologia si mantiene invariata o si
aggrava senza remissioni.
Un fattore prognostico sfavorevole è dato dalla presenza di una
201
G. Bazzini, F. Franchignoni

molteplicità di sintomi e deficit funzionali, soprattutto se insorti nei primi anni


dopo l’esordio. La comparsa dei segni di progressione è più probabile dopo
l’insorgenza di frequenti poussé e comporta un aumento del rischio di inabilità.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO INTERVENTI TERAPEUTICI


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
4. Controllo sfinterico 4.1 T® 4.3 T
5. Prevenzione delle complicanze 5.1 T ® 5.4 T
6. Comunicazione 6.1 T ® 6.5 T
7. Capacità relazionali e cognitive 7.1 T ® 7.4 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T® 10.4 T

PRINCIPALI PECULIARITÀ DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO


Trattasi di patologia multiforme, per il trattamento della quale non è
possibile fornire uno schema standard, bensì occorrerà di volta in volta, a
seconda dei sintomi maggiormente disabilitanti, mettere in atto provvedimenti
terapeutici adeguati a quella fase specifica di malattia.
Le tecniche più spesso utilizzate sono le seguenti:
– contro l’atassia (esercizi per il potenziamento dei meccanismi posturali
riflessi, esercizi di coordinazione ed equilibrio nelle diverse posizioni)
– contro la spasticità (postur e inibitorie, esercizi di rilassamento,
mobilizzazione)
– contro l’ipostenia (cinesiterapia attiva, tecniche di facilitazione
neuromuscolare, esercizi funzionali).

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: fase di remissione dopo recente poussè o di lenta
progressione con peggioramento funzionale per trattamenti intensivi che di
prefiggano obiettivi a breve termine di contenimento della disabilità.
• In regime ambulatoriale: fase di relativa stabilizzazione per trattamenti “di
mantenimento”, prescrizioni di ausili, modifiche ambientali ecc.

9. NEUROPATIE PERIFERICHE

Si possono distinguere in base a criteri topografici in mononeuropatie


(alterazioni di un solo tronco nervoso), multineuropatie (alterazioni di
numerosi tronchi nervosi lesi individualmente, simultaneamente o in tempi

202
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

successivi), polineuropatie (alterazioni più o meno simmetriche e


generalizzate di tronchi nervosi). L’azione patogena sulla fibra nervosa può
essere determinata da numerosi fattori eziologici: tossici e carenziali,
infettivi, metabolici, vascolari (ischemia), traumatici, immunologici,
degenerativi ed ereditari.
Da un punto di vista clinico si dividono in motorie, sensitive, sensitivo-
motorie ed autonomiche; in base al decorso in acute, subacute, croniche e
ricorrenti; sotto l’aspetto neuropatologico vengono classificate come
interstiziali, vascolari, parenchimatose-assonali o demielizzanti.

QUADRO CLINICO
– parestesie
– iperestesie
– dolore
– causalgia
– fascicolazioni e fibrillazioni
– turbe motorie (paralisi flaccida)
– abolizione dei riflessi
– turbe sensitive (ipo-anestesie)
– turbe del trofismo e vegetative

EVOLUZIONE
E’ relativa alla diagnosi etio-patogenetica di base.
In genere, il primo sintomo di evoluzione favorevole è la possibilità di
provocare sensazioni nel territorio di distribuzione del nervo leso, comprimendo
il nervo a valle della lesione. La regressione dei sintomi segue poi uno schema
definito: sensibilità della pressione e le altre sensibilità profonde, sensibilità
dolorifica, poi la termica ed infine la tattile.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO INTERVENTI TERAPEUTICI


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3 Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T

PRINCIPALI PECULIARITÀ DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO


– correzione e prevenzione delle deformità mio-articolari, ottenibile tramite un
adeguato allineamento posturale ed una mobilizzazione passiva, utile per la
conservazione dell’articolarità,
– mantenimento del tono-trofismo muscolare e progressiva rieducazione
203
G. Bazzini, F. Franchignoni

muscolare analitica e globale, quest’ultima mirata ad attività funzionali,


tramite esercizi attivi, prima assistiti poi contro graduale resistenza ed infine
con esercizi eseguiti con facilitazioni neuromuscolari propriocettive, secondo
la tecnica Kabat,
– prescrizione e confezionamento di ortesi su misura

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: fase post-acuta o cronica nei pazienti con perdita
recuperabile di autosufficienza in una o più categorie di abilità motorio-
funzionale.
• In regime ambulatoriale: fase post-acuta o cronica nei pazienti con buona
indipendenza funzionale.

10. SINDROME DI GUILLAIN-BARRÉ

E’ una poliradicoloneurite ad esordio ed eziologia ignota, che colpisce


tutte le fasce di età, la sintomatologia clinica esordisce nel 50% dei casi con
disturbi di sensibilità (parestesie a calza e a guanto tipo formicolio ed
intorpidimento, che possono peggiorare nelle prime settimane) ed ipostenia
ingravescente, generalmente a partenza dagli arti inferiori, con successiva
estensione a quelli superiori, più raramente alla muscolatura respiratoria, del
collo, del volto ed oculare.
Al culmine della malattia si può arrivare ad una tetraparesi flaccida
areflessica, con coinvolgimento talora degli ultimi nervi cranici. Nei casi più
gravi (10% circa) si ha anche una compromissione respiratoria con insufficienza
meccanica che rende necessarie misure rianimatorie. Sono relativamente
frequenti in queste fasi alterazioni del sistema nervoso autonomo (con
tachicardia ed ipotensione), più rare le disfunzioni sfinteriche.

EVOLUZIONE CLINICO-FUNZIONALE
Dopo un periodo di stato di 15-30 giorni si ha generalmente una lenta
ripresa della funzione muscolare, che nella maggior parte dei casi porta ad una
guarigione, in un tempo variabile ma mediamente superiore ai sei mesi. Sono
stati descritti pazienti in cui residuano a lungo una debolezza delle estremità ed
un deficit della sensibilità profonda con atassia sensitiva ed altri in cui
permangono sequele motorie, in prevalenza distalmente agli arti inferiori. Il 3%
dei pazienti presenta una o più recidive, per lo più entro sei mesi dall’esordio.

PRINCIPALI PECULIARITÀ DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO


– le stesse valide per le polineuropatie, ma somministrate con una notevole
intensità terapeutica nel periodo post-acuto, sino ad un soddisfacente recupero

204
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

funzionale globale (o comunque entro il primo anno dall’episodio acuto)


– riabilitazione respiratoria per le forme con alterazioni della funzionalità
respiratoria (vedi programmi ad hoc)

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: i pazienti in fase post-acuta in cui sussista una netta
compromissione funzionale.
• In regime non degenziale: i pazienti in fase post-acuta e cronica in cui sia
conservata una discreta indipendenza funzionale.

11. NEUROPATIE EREDITARIE SENSITIVO MOTORIE

Nell’ambito delle polineuropatie ad evoluzione sub-acuta o cronica ed a


distribuzione simmetrica, prevalentemente distale ed agli arti inferiori, le
neuropatie sensitivo-motorie ereditarie (HMSN) rappresentano un capitolo
importante, la cui reale diffusione è ancora sottostimata per l’oligosintomaticità
di numerosi casi
Tra i cinque tipi di HMSN i più diffusi sono il tipo I (denominato anche
neuropatia ipertrofica tipo Charcot Marie Tooth) ed il tipo II (che rappresenta la
varietà neuronale della forma precedente).

QUADRO CLINICO
– atrofia muscolare che interessa all’inizio la loggia antero-laterale delle gambe
e la muscolatura intrinseca del piede (producendo un’andatura difficoltosa, di
tipo steppante, con piede equino-varo-cavo e dita a martello) e quindi si
estende alla muscolatura del polpaccio (realizzando l’aspetto a gambe di
cicogna) e tardivamente alla muscolatura intrinseca delle mani
– deficit di sensibilità (per lo più sfumato e prevalente agli arti inferiori) in circa
due terzi dei pazienti
– scoliosi (di grado lieve o moderato) nel 15% circa dei casi
– tremore ed atassia in qualche paziente

EVOLUZIONE CLINICO-FUNZIONALE
La gravità della malattia è piuttosto varia, ma di solito la progressione è
lenta (a volte il decorso tende a stabilizzarsi dopo l’accrescimento) e pochi
pazienti perdono la capacità di camminare, comunque raramente prima dei 50
anni.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO INTERVENTI TERAPEUTICI


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
2. Controllo del dolore 2.1 T ® 2.4 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T

205
G. Bazzini, F. Franchignoni

8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T


9. Reinserimento occupazionale-lavorativo 9.1 T - 9.2 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T

PRINCIPALI PECULIARITÀ DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO


– suggerimenti per la scelta di ortesi e scarpe adeguate
– fornitura di ausili per la deambulazione
– prescrizione di programmi di esercizi attivi per il mantenimento del
tonotrofismo della muscolatura indenne e di esercizi passivi per evitare
retrazioni tendinee e rigidità articolari a livello dei segmenti colpiti
– esecuzione di sedute di recupero neuromotorio per quei pazienti con disturbi
dell’equilibrio e del cammino
– counseling al paziente ed alla famiglia (prevenzione ulcere plantari) e
suggerimenti di consulenze del genetista e del chirurgo ortopedico (ove
opportuni interventi chirurgici per il piede o il rachide).

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime non degenziale: la maggior parte di pazienti, in quanto queste
patologie di solito non limitano significativamente l’indipendenza funzionale.
• In regime di degenza: questi pazienti in cui vi sia indicazione per brevi periodi
ed approfondite valutazioni funzionali strumentali (al fine del
confezionamento di ortesi su misura) o per cicli intensivi di rieducazione
neuromotoria (in quanto sussiste una netta compromissione funzionale).

12. SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA

DEFINIZIONE
E’ una malattia degenerativa ad eziopatogenesi ignota, che può interessare
contemporaneamente il I ed il II motoneurone, ad andamento progressivo, che
porta all’exitus mediamente a tre anni dall’esordio.

QUADRO CLINICO
Varie forme (classica, pseudopolinevritica, piramidale e bulbare) con vario
grado di:
– ipostenia
– amiotrofia neurogena
– segni piramidali
– interessamento bulbare (disfagia, disartria)
– crampi

EVOLUZIONE CLINICO-FUNZIONALE
Il decorso è in generale suddivisibile in quattro stadi:

206
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

1) iniziali deficit stenici di alcuni gruppi muscolari e maggior affaticabilità


2) gravi deficit stenici agli arti, con autonomia parzialmente conservata
3) marcata ipostenia diffusa, uso di carrozzina per i trasferimenti
4) allettamento forzato e completa dipendenza

PRINCIPALI PECULIARITÀ DELL’INTERVENTO RIABILITATIVO


Il trattamento deve essere personalizzato, mirare a mantenere il più a lungo
possibile l’autonomia (anche facendo ricorso ad ausili), coinvolgere attivamente
pazienti e familiari. Nelle prime fasi saranno indicate cinesiterapia attiva e passiva
(per il potenziamento della muscolatura ausiliaria o vicariante), eventuali tecniche di
inibizione della spasticità, ortesi ed ausili (per migliorare la funzionalità degli arti
lesi).
Nelle fasi più avanzate la cinesiterapia ha lo scopo di prevenire o limitare
le rigidità articolari e l’atrofia da non uso. Sono indispensabili posture corrette,
ausili (per il trasferimento ed il posizionamento al letto) e la rieducazione
respiratoria, nonchè provvedimenti dietetico-nutrizionali.

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DI INTERVENTO


• In regime non degenziale: la maggior parte degli interventi di base di tipo
cinesiterapico ed ortesico.
• In regime degenziale: programmi di trattamento per pazienti con grave
disabilità e problematiche respiratorie e/o nutrizionali.

13. DISTROFIE MUSCOLARI

DEFINIZIONE
Le distrofie muscolari sono affezioni degenerative della fibra muscolare, ad
evoluzione più o meno rapida ma fatale, ed eziologia indeterminata, di cui
occorre però sottolineare il carattere ereditario, facilmente rinvenibile. Con tale
termine in genere vengono indicate un gruppo di malattie croniche, la cui
caratteristica principale è la degenerazione primitiva, grave e progressiva della
sola muscolatura scheletrica, senza lesioni del sistema nervoso centrale e/ o del
sistema nervoso periferico.

FATTORI DI RISCHIO DI MALATTIA


Le distrofie muscolari sono malattie geneticamente determinate che
possono presentarsi sotto forma ereditaria, oppure sporadicamente quale
manifestazione di una neomutazione genetica.
La trasmissione ereditaria avviene secondo meccanismi differenti nelle
diverse forme di distrofia muscolare.

207
G. Bazzini, F. Franchignoni

CLASSIFICAZIONE (DELLE DISTROFIE MUSCOLARI)


• Distrofia muscolare di Duchenne
• Distrofia muscolare di Becker
• Distrofia muscolare dei cingoli
• Distrofia muscolare facio-scapolo-omerale
• Distrofia muscolare distale
• Distrofia muscolare oculare
• Distrofia muscolare oculo-faringea

QUADRO CLINICO ED EVOLUZIONE


Ogni forma clinica interessa elettivamente determinati gruppi muscolari.
Ogni muscolo scheletrico può essere colpito dal processo morboso, tuttavia la
muscolatura dell’asse e quella dei cingoli sono comunque le più frequentemente
e profondamente coinvolte.
La distrofia muscolare progressiva tipo Duchenne si manifesta tra il 2° ed
il 4° anno di vita: in genere inizia con difficoltà nel cammino e talvolta
determina anche dolorabilità alle gambe, specie al polpaccio. La malattia può
mostrare un miglioramento solo apparente tra il 3°-4° ed il 5°-8° anno di vita, a
causa della crescita muscolare fisiologica che maschera i deficit dovuti alla
degenerazione delle fibre muscolari colpite.
Verso gli 8 anni si perde la capacità di salire le scale e fra i 9 ed i 12 anni
quella di camminare. La morte sopraggiunge tra i 20 -30 anni, in genere per
complicanze cardio-respiratorie.

INDICATORI DI GRAVITÀ DELLA PROGNOSI


In genere quanto più precocemente la malattia si manifesta, tanto più
rapidamente decorre poi in seguito.

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO INTERVENTI TERAPEUTICI


1. Mobilità 1.2 T ® 1.9 T
3. Autosufficienza 3.1 T ® 3.6 T
5. Prevenzione delle complicanze 5.1 T ® 5.4 T
8. Reinserimento familiare e sociale 8.1 T ® 8.4 T
10. Informazione al paziente ed ai familiari 10.1 T ® 10.4 T

ALTRI INTERVENTI (SPECIFICI DELLA MALATTIA)


Le sedute fisiocinesiterapiche si giovano di applicazioni preventive di
termoterapia (esogena ed endogena) e di sedute di idroterapia e di massoterapia
(specie nelle tecniche dello sfioramento e della leggere frizione). La
cinesiterapia avrà soprattutto lo scopo di limitare la perdita di forza e di trofismo
del muscolo, di sviluppare i compensi utili a contenere gli squilibri muscolari e

208
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

di prevenire e contrastare le retrazioni muscolari e le conseguenti deformità


articolari.
Altri interventi specifici sono rappresentati dalla prescrizione di ortesi:
statiche (docce per la notte, apparecchi di verticalizzazione) e dinamiche (per il
piede, per il cammino, busti).
Un cenno particolare merita l’intervento combinato chirurgico-
fisiocinesiterapico-ortopedico (interventi chirurgici per il piede, il ginocchio e
l’anca) che può presentare indicazioni in casi selezionati, allo scopo di
prolungare di un certo periodo di tempo la capacità di cammino.
Specifici sono anche gli interventi per:
– trattamento farmacologico dell’insufficienza respiratoria (esercizio fisico
generale, esercizi di respirazione profonda, respirazione a pressione positiva
intermittente, utilizzo di insufflatori-exsufflatori meccanici, respirazione
glosso-faringea, spirometria incentivata, assistenza alla tosse).
– trattamento dell’insufficienza cardio-circolatoria (farmacologica)
– trattamento dei problemi psicologici e sessuali.

CRITERI DI SCELTA DELLE MODALITÀ DELL’INTERVENTO


• In regime di degenza: fase rieducativa successiva ad un periodo di “crisi”
evolutiva; rieducazione pre- e post-intervento chirurgico (eventuale)
• In regime ambulatoriale: fase rieducativa, in periodo cronico di “temporaneo
compenso”; per necessità di prescrizione ed addestramento all’utilizzo di
ausili e/o ortesi.

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210
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

4. LE STRUTTURE DI RECUPERO E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE (RRF)

La disponibilità di una rete integrata di Unità di RRF che assicuri il


trattamento delle disabilità dalla fase dell’insorgenza acuta a quella degli esiti
stabilizzati, è un presupposto indispensabile sia per quell’attività di prevenzione
delle disabilità che, insieme all’attività di recupero e di contenimento,
costituisce una componente essenziale del concetto stesso di riabilitazione, sia
per un adeguato miglioramento dell’azione della riabilitazione sociale.
Il Censimento Nazionale delle strutture sanitarie di riabilitazione,
realizzato a cura della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione
(SIMFER) ha rilevato la presenza in Italia di soli 4.000-5.000 letti di
riabilitazione motoria (con un numero per abitante decisamente inferiore a
quello di altri Paesi europei) ed una distribuzione degli stessi disomogenea sul
territorio (prevalentemente al nord).
Si sottolinea quindi l’importanza di uno spostamento delle risorse sulla
prima fase degli insulti ad elevato rischio di disabilità, nonché di una
strutturazione degli interventi per il paziente disabile (o potenzialmente tale)
adeguata a trattarlo tempestivamente e con modalità e dosaggio corretti, in
quanto nella maggior parte dei casi il recupero della funzione lesa può essere
raggiunto al meglio soltanto se l’intervento viene effettuato nella fase più vicina
possibile all’insorgenza della menomazione potenzialmente disabilitante.
Gli interventi auspicati pertanto risultano i seguenti:
1) lo sviluppo o il rafforzamento, a livello di ciascun ospedale, dell’attività di
RRF nei confronti dei pazienti acuti ricoverati nei reparti di diagnosi e cura,
che presentano patologie ad alto rischio di disabilità di grado medio e grave;
2) l’attivazione di una serie di reparti di RRF per il trattamento di pazienti
portatori di menomazioni complesse, che necessitano di un periodo di
ricovero in ambito specialistico riabilitativo per raggiungere livelli accettabili
di miglioramento anatomo-funzionale;
3) la realizzazione di nuovi modelli assistenziali e terapeutici riabilitativi per
patologie emergenti di notevole severità, quali le lesioni spinali e le lesioni
traumatiche cranio-cerebrali,
4) il potenziamento, a livello di ciascuna USL (o azienda ospedaliera),
dell’attività di RRF nei confronti dei pazienti ambulatoriali e domiciliari,
tramite soluzioni organizzative che assicurino l’integrazione con l’attività
svolta a livello ospedaliero.
5) l’attivazione di strutture socio-riabilitative residenziali o semiresidenziali per
adulti con gravi disabilità motorie, finalizzata a tutelare il mantenimento
delle abilità motorio-funzionali acquisite ed a favorire l’integrazione sociale

211
G. Bazzini, F. Franchignoni

degli utenti;
6) la creazioni di “punti di consulenza” che aiutino i disabili nella scelta di
ausili ortesici e protesici personalizzati;
7) la raccolta di dati epidemiologici sulla disabilità con individuazione degli
eventi lesivi più produttivi di minorazioni invalidanti;
8) lo svolgimento di un’adeguata attività informativa della popolazione per la
prevenzione primaria degli eventi che possono causare disabilità fisiche;
9) l’aggiornamento e la riqualificazione professionale dei vari operatori, sanitari
e sociali, che intervengono a vario titolo sulla disabilità.
Per creare un contesto in grado di fornire valide risposte alle esigenze
esistenti in materia di prevenzione, recupero e contenimento di disabilità fisiche
dell’età adulta, si ritiene necessario organizzare una rete integrata di servizi di
RRF articolata in tre livelli operativi.
In armonia con la necessità di assicurare livelli omogenei di assistenza, la
possibilità di disporre di un numero maggiore o minore di locali ed attrezzature,
e quindi anche di erogare un numero maggiore o minore di prestazioni,
dipenderà dal livello della struttura, dalla presenza o meno di posti letto, dalla
tipologia e dalle dimensioni del bacino di utenza, dalle risorse disponibili e dalle
linee di condotta della programmazione sanitaria.
All’interno delle funzioni relative ai tre livelli devono trovare spazio i
Centri di Riabilitazione convenzionati, gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere
Scientifico (IRCCS) a valenza riabilitativa e gli istituti universitari relativi alla
disciplina, nell’ambito di una programmazione regionale di tutte le prestazioni
rieducative fornite, ottimizzando così l’utilizzo delle potenzialità scientifiche,
assistenziali e di ricerca presenti sul territorio e perfezionando l’efficacia e
l’efficienza della spesa sanitaria.
Premesso questo, l’elenco delle prestazioni (di tipo diagnostico-valutativo
e terapeutico fisiatrico, terapeutico di rieducazione e terapeutico di terapia fisica
strumentale e massoterapia) che un’Unità di RRF può di volta in volta erogare
(e di conseguenza l’indicazione generale delle principali attrezzature per lo
svolgimento di dette prestazioni) è ricavabile da due recenti pubblicazioni, a cui
si rimanda per la descrizione dettagliata: un articolo apparso su ISIS news
dell’aprile 1992 sui prezzi di trasferimento dei servizi ospedalieri ed una
proposta, anche di tipo economico, di nomenclatore tariffario delle prestazioni
specialistiche, pubblicata sul Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa nel
1993 (vol.7, n.2, pgg.93-103).
Si ritiene opportuno che alcune di queste prestazioni che richiedono
particolari supporti di competenza specifica e di strumentazione
tecnologicamente avanzata vengano erogate solo in alcuni Servizi di 3°
livello, da definirsi, ed eventualmente, in base alla programmazione
regionale, anche di 2° livello.

212
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

Si suggeriscono qui di seguito alcune caratteristiche che si ritengono


ottimali per SRRF di 1°, 2° e 3° livello, fatte salve le differenti scelte suggerite
dalle peculiarità clinico-funzionali di determinate tipologie di pazienti.
La responsabilità di questi SRRF è assunta da uno specialista fisiatra con
qualifica di dirigente di II livello (ex qualifica di Primario).
Per quanto riguarda il personale, oltre ai Medici Fisiatri, il team
riabilitativo dovrebbe includere (ma non necessariamente essere limitato a) i
seguenti membri:
– Terapista della Riabilitazione (alcuni dei quali addestrati in Terapia
Occupazionale e ad essa dedicati) ed eventuale Massofisioterapista;
– Logopedista;
unitamente a personale infermieristico specializzato, Operatori Tecnici
Ausiliari di palestra e personale amministrativo.
A ciò si aggiunga la disponibilità di Psicologo, Assistente Sociale e
Tecnico ortopedico, e per quanto riguarda gli interventi di 3° livello, ove
necessario, anche di un bioingegnere.
Per ogni tipologia di struttura devono essere individuati da parte degli
organismi competenti standard assistenziali di personale del ruolo sanitario,
tecnico ed amministrativo, in numero e ore di presenza adeguato alla tipologia
della struttura stessa e degli assistiti.

Interventi di 1° livello

Devono assicurare attività diagnostiche e terapeutiche di RRF in ogni USL,


sia in ambito ospedaliero che territoriale (in poliambulatori, distretti sanitari di
base, con interventi domiciliari ecc.).
E’ utile inoltre che: a) gli interventi in ambito territoriale si svolgano in
collaborazione con il medico di famiglia e gli altri specialisti che hanno in cura
il paziente, al fine di garantire una razionalizzazione ed omogeneizzazione delle
prestazioni ed un più corretto e proficuo utilizzo delle risorse disponibili; b)
l’Unità partecipi pariteticamente con i servizi sociali all’individuazione degli
obiettivi ed alla progettazione del percorso da seguire per il completo
reinserimento del soggetto disabile e per la verifica di qualità degli interventi
richiesti e delle modalità di erogazione.
L’Unità di 1° livello deve assolvere alle seguenti funzioni:
– erogazione dell’assistenza sanitaria riabilitativa di base nei confronti dei
pazienti affetti da disabilità ricoverati nei reparti ospedalieri, nei day-hospital,
presso strutture protette, RSA, centri per gravi handicappati ecc., nonché di
quelli che necessitano di trattamenti ambulatoriali o domiciliari;
– ambulatorio specialistico, articolato e programmato, a livello ospedaliero e
territoriale;

213
G. Bazzini, F. Franchignoni

– ambulatorio relativo alla prescrizione, collaudo, verifica di ortesi, ausili,


protesi per il paziente disabile;
– assistenza tecnica al Servizio sociale per il reinserimento socio-professionale
e le problematiche correlate (individuazione di barriere architettoniche,
patente di guida, attestazioni varie di idoneità ecc.) e per la gestione di
un’anagrafe completa dei disabili del relativo bacino d’utenza;
– partecipazione all’elaborazione ed all’esecuzione di protocolli regionali,
destinati all’acquisizione di dati epidemiologici sulle patologie invalidanti e
alla relativa statistica degli interventi correlati, o attinenti a linee guida
diagnostico-terapeutiche per patologie di pertinenza clinico-riabilitativa;
– partecipazione alle attività di raccordo e di controllo delle strutture private
convenzionate per prestazioni di riabilitazione medica, operanti nella USL;
– attività di educazione sanitaria rivolte alla popolazione, in riferimento alle
competenze proprie;
– promozione e svolgimento di attività didattico-formative nei confronti degli
operatori sanitari e sociali impegnati con varia competenza nell’iter riabilitativo.
Per lo svolgimento di queste funzioni l’Unità di 1° livello deve poter
disporre di ambienti adeguati da individuarsi all’interno della struttura
ospedaliera, nei poliambulatori, nelle strutture protette per anziani e nelle
residenza sanitarie assistenziali.
All’interno del presidio ospedaliero è importante la disponibilità di:
– ambulatori, per l’attività medico specialistica, per la diagnostica strumentale e
neurofisiologica, per la diagnostica e la rieducazione neuropsicologica;
– palestre attrezzate per la conduzione dell’esercizio terapeutico nelle sue
molteplici espressioni, per trattamenti individuali e/o in gruppo con finalità
rieducative e preventive;
– locali per terapie individuali e strumentali (rieducazione neurovisiva e
ortottica, rieducazione urologica, rieducazione cardiorespiratoria,
psicomotricità ecc.) per terapia occupazionale ed ergoterapia, per logoterapia,
per psicoterapia e/o per orientamento psico-pedagogico, per interventi di tipo
sociale;
– laboratorio per l’allestimento e/o il collaudo di ortesi e tutori, in funzione di una
fornitura tempestiva ed individualizzata al paziente in trattamento rieducativo.
Può essere utile anche una piscina progettata ed attrezzata per attività
rieducativa in acqua, corredata di attrezzature per idroterapia ed ambienti
specifici di supporto.
Vanno naturalmente previsti anche ambienti ausiliari comuni (sale d’attesa,
accettazione, segreteria amministrativa ed archivio, ripostigli per ricovero
utensili di maggior ingombro, sala didattica e per riunioni del personale,
biblioteca, ecc..), una sala mensa per degenti, aree attrezzate di socializzazione
di pazienti ricoverati (a tempo pieno o in day hospital) ed ambienti dedicati al
personale (spogliatoi, servizi igienici, area cucinetta-relax, etc.)
214
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

Nelle sedi extraospedaliere è importante poter disporre di ambulatori e aree


di diagnostica e terapia riabilitativa (realizzati nel rispetto dei criteri ipotizzati
per gli ambienti analoghi delle strutture ospedaliere), in particolare presso le
strutture socio sanitarie (quali R.S.A. e strutture protette) e di Distretto.
A livello delle strutture protette è auspicabile l’unificazione delle sedi degli
interventi di distretto, per rendere più economico l’intervento e per facilitare
maggiormente il contatto fra soggetti ricoverati in tali strutture e la popolazione
esterna, ma anche per creare équipe numericamente sufficienti da garantire uno
standard qualitativo delle prestazioni soddisfacente e ridurre il “burn out” degli
operatori.
Si suggerisce che la maggior parte dell’attività sia svolto a livello
ospedaliero, di day-hospital, di poliambulatorio o di strutture protette (RSA),
utilizzando le strutture distrettuali per attività occasionali, di riabilitazione
sociale o di consulenza, e che l’intervento domiciliare sia ben delimitato nel
tempo ed abbia tra gli scopi prevalenti il riadattamento dell’ambiente
domestico del disabile.
E’ indispensabile altresì che la degenza presso i reparti ospedalieri, ai cui
pazienti l’Unità di 1° livello eroga assistenza sanitaria riabilitativa di base, sia
limitata strettamente alla fase acuta e che l’Unità stessa, ove ne sussistano le
indicazioni, si faccia carico tempestivamente di concordare il trasferimento
presso Unità di 2° o 3° livello più adeguato alla cura riabilitativa di ciascun
paziente.
E’ inoltre utile prevedere un Day-hospital polifunzionale interdivisionale,
dotato di posti letto, rivolto a:
– prevenire l’istituzionalizzazione dei soggetti a rischio (consentendone il
mantenimento nel contesto familiare);
– predisporre provvedimenti valutativi e terapeutici per pazienti che hanno
necessità di interventi medico-riabilitativi, ma non di sorveglianza continua;
– operare un filtro per i ricoveri ospedalieri in pazienti che necessitano di
periodici interventi intensivi per la prevenzione dell’aggravamento dello stato
motorio-funzionale;
– facilitare l’utilizzo di protesi, ortesi e ausili tramite l’effettuazione di prove e
periodi di addestramento specifici.

Interventi di 2° livello

Sono caratterizzate dalla dotazione di un reparto autonomo di degenza


riabilitativa e assolve, oltre a tutte quelle dell’Unità di 1° livello, le seguenti
funzioni:
– erogazione di interventi di riabilitazione neuromotoria nei confronti di
pazienti post-acuti che richiedono il ricovero in ambiente specialistico

215
G. Bazzini, F. Franchignoni

riabilitativo;
– realizzazione e gestione di un laboratorio ortesico-protesico, in una dinamica
interazione con i fornitori di ausili, protesi e ortesi e con i servizi socio-
sanitari preposti all’erogazione della specifica assistenza;
– collaborazione a ricerche cliniche di tipo riabilitativo ed alla predisposizione
di protocolli di intervento per l’omogeneizzazione ed il miglioramento degli
standard di trattamento di patologie di interesse fisiatrico;
– collaborazione all’attività didattico-formativa e all’aggiornamento degli
operatori della riabilitazione;
– assistenza tecnica al servizio materno-infantile, per quanto di competenza in
relazione a programmi rieducativi, approfondimento diagnostico-terapeutico
di casi individuali e aggiornamento professionale.
Per lo svolgimento delle proprie funzioni l’Unità di 2° livello deve
disporre, oltre che degli strumenti previsti per il 1° livello, di una dotazione più
completa di attrezzature di interesse riabilitativo, per l’attività di diagnosi,
valutazione funzionale ed intervento terapeutico, e di ulteriori spazi di supporto
e locali per le attività di aggiornamento e di didattica.
Il reparto autonomo di degenza deve essere progettato e realizzato in
funzione della tipologia di un’utenza con diversi gradi di disabilità,
rispettando criteri di ottimale e dinamica funzionalità, attraverso lo studio
preventivo delle barriere architettoniche e di facilitazione della fruizione
ambientale, dell’ergonomia dei singoli locali in funzione di favorire
l’autonomia degli utenti da un lato, e dei percorsi utili a consentire la
migliore interazione tra il personale medico-tecnico e l’utenza ospedaliera e
ambulatoriale dall’altro.
Il personale dell’Unità di 2° livello va costituito dalle unità previste per il
1° livello, incrementate dalle unità necessarie per il funzionamento del Reparto.

Interventi di 3° livello

Sono quelle con aree di degenza propria rivolti al trattamento di più gravi o
complesse disabilità o di menomazioni rare, per il cui trattamento rieducativo è
indispensabile l’acquisizione di un’adeguata esperienza, l’erogazione di un’alta
intensità di interventi o la necessità di utilizzare attrezzature complesse ad
elevata tecnologia, nonché quelli istituzionalmente rivolti alla ricerca clinica di
tipo riabilitativo (studi controllati su nuove strategie riabilitative,
predisposizione di protocolli di intervento per l’omogeneizzazione ed il
miglioramento degli standard di trattamento di patologie di interesse fisiatrico,
ecc.). e/o alla didattica di tipo universitario nei confronti del personale medico e
degli operatori sanitari non medici del settore riabilitativo.
Gli spazi e le attrezzature necessari per i Servizi di 3° livello saranno
diversi da caso a caso in funzione dello specifico ambito di intervento. Le stesse
216
Percorsi riabilitativi nelle malattie neuromotorie

considerazioni valgono per il personale, tenendo conto tuttavia che alcuni di


questi servizi (i Presidi di Alta Specialità di Medicina Riabilitativa definiti come
Unità Spinali e Unità per gravi cerebrolesioni) sono da considerarsi specialità ad
elevata assistenza.
All’interno delle funzioni di 3° livello potranno trovare spazio anche
strutture specialistiche dotate di posti letto, quali gli IRCCS a valenza
riabilitativa e gli istituti universitari relativi alla disciplina di Medicina Fisica e
Riabilitazione.
Nell’ambito regionale deve essere realizzata una rete di strutture di RRF di
3° livello comprendente tra l’altro:

A) UNITÀ SPINALE
L’Unità Spinale è intesa secondo l’art. 3/B6 del DM 13/9/1988 quale
“Unità Operativa espressamente destinata all’assistenza continuativa di
tetraplegici e paraplegici di origine traumatica e non...”.
Al fine di garantire ai medullolesi acuti (20-30 casi/anno per milione di
ab.) un’assistenza finalizzata alla prevenzione di quelle gravi complicanze che,
se presenti, compromettono il recupero, prolungano la degenza e causano
un’inferiore qualità della vita, sarebbe utile attivare le seguenti strutture per la
riabilitazione di questi pazienti:
– polo d’emergenza (Unità Spinale Acuta) per il trattamento della fase acuta
delle lesioni mieliche, radicolari e vertebrali, situato in un ospedale regionale
fornito di tutti i servizi diagnostici e di tutte le specialità mediche necessarie a
tale scopo. L’unità spinale è dotata di 4-5 posti letto e va collocata in un’area
tale da garantire la possibilità di un’effettuazione ottimale di tutte le misure
terapeutiche interdisciplinari necessarie a questi pazienti;
– polo di riabilitazione post-acuzie (Unità Spinale post-acuzie) per il recupero
neuromotorio, che può essere situato anche in sede distaccata rispetto
all’Ospedale generale polispecialistico, purché possa valersi di consulenze
degli specialisti da coinvolgere di volta in volta nell’iter riabilitativo. L’Unità
Spinale post-acuzie è un momento di superiore specializzazione di una
Divisione/Servizio di RRF di 2° livello ed è coordinata dalla figura apicale
specifica di questo Servizio (cioè dal fisiatra dirigente di II livello, ex-
Primario). Essa è dotata di un numero di posti letto adeguato alle necessità
regionali o del bacino di utenza definito.

B)UNITÀ POST-INTENSIVE PER IL RECUPERO DELLE GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE


Per la cura di pazienti con traumi cranio-encefalici seguiti da coma
protratto e degli esiti di gravi danni cerebrali emorragici ed ischemici (200
casi/anno circa per milione di ab.) è indispensabile garantire un ‘risveglio’ con il
massimo recupero delle potenzialità residue. A tale scopo occorre organizzare

217
G. Bazzini, F. Franchignoni

gli interventi in modo che, contestualmente al monitoraggio strumentale, venga


garantito un intervento ad alta intensità riabilitativa, indirizzato ad evitare la
deprivazione sensoriale in fase precoce.
Per questa necessità e per evitare un rischioso “intasamento” dei reparti di
rianimazione deputati a rispondere ad una pluralità di urgenze, è opportuno
attivare, in via sperimentale, un numero minimo di specifiche unità post-
intensive (Unità Operativa post-intensiva di tipo riabilitativo), dotate di alcuni
posti letto, collegate ai reparti di rianimazione (per consentire la contestualità e
la continuità dell’intervento), ma dipendenti funzionalmente da una
Divisione/Servizio di RRF di 3° livello.
Non appena il paziente ha raggiunto un’autonomia nelle funzioni vitali
senza più bisogno di supporti meccanici ed un buon equilibrio calorico e
metabolico, va previsto il trasferimento da questa Unità ad un’Unità per il
recupero degli esiti di gravi traumi cranici, da prevedersi all’interno di una
struttura di RRF di 3° livello.
Per il trattamento riabilitativo delle fasi più avanzate di questi pazienti, ai
fini del conseguimento della massima autonomia possibile e del reinserimento
socio-lavorativo degli stessi, è inoltre utile il coinvolgimento delle
Divisioni/Servizi di RRF di 2° livello e, al momento opportuno, anche di quelli
di 1° livello relativi al territorio di residenza del paziente.
Si ribadisce che all’interno delle funzioni di 1°, 2° e 3° livello devono
trovare spazio i centri di riabilitazione convenzionati, gli IRCCS a valenza
riabilitativa e gli istituti universitari relativi alla disciplina. Ciò allo scopo di
integrare in una programmazione dei servizi a livello regionale tutte le
prestazioni rieducative fornite, ottimizzando l’utilizzo delle potenzialità
scientifiche, assistenziali e di ricerca presenti sul territorio e perfezionando
l’efficacia e l’efficienza della spesa sanitaria.

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218
FINITO DI STAMPARE
NEL MESE DI GENNAIO
MILLENOVECENTONOVANTASETTE
PRESSO LA TIPOGRAFIA PI-ME EDITRICE S.R.L.
DI PAVIA

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