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La guerra del Vietnam (in inglese Vietnam War, in Guerra del Vietnam
vietnamita Chiến tranh Việt Nam), nota nella storiografia parte della guerra fredda
vietnamita come guerra di resistenza contro gli Stati Uniti
(in vietnamita Kháng chiến chống Mỹ)[14][15] o anche
come guerra statunitense (Chiến Tranh Chống Mỹ Cứu
Nước, letteralmente “guerra contro gli statunitensi per
salvare la nazione”)[16] fu un conflitto armato combattuto in
Vietnam fra il 1º novembre 1955 (data di costituzione del
Fronte di Liberazione Nazionale filo-comunista) e il 30
aprile 1975 (con la caduta di Saigon, il crollo del governo
del Vietnam del Sud e la riunificazione politica di tutto il
territorio vietnamita sotto la dirigenza comunista di
Hanoi).[17] Il conflitto si svolse prevalentemente nel
territorio del Vietnam del Sud e vide contrapposte le forze
insurrezionali filocomuniste – sorte in opposizione al
governo autoritario filostatunitense costituitosi nel Vietnam
del Sud – e le forze governative della cosiddetta In alto a sinistra soldati nordvietnamiti si
Repubblica del Vietnam – creata dopo la conferenza di preparano all'attacco, a destra soldati
Ginevra del 1954, successiva alla guerra d'Indocina contro statunitensi si preparano a salire su
l'occupazione francese. elicotteri Bell UH-1 Iroquois; In basso a
sinistra alcune vittime del tragico
Il conflitto, iniziato fin dalla metà degli anni cinquanta con massacro di Mỹ Lai, a destra
il primo manifestarsi di un'attività terroristica e di guerriglia un'operazione di rastrellamento in un
in opposizione al governo sudvietnamita, vide il diretto villaggio.
coinvolgimento degli Stati Uniti d'America, che
incrementarono progressivamente secondo la strategia Data 1º novembre 1955 – 30
dell'escalation le loro forze militari in aiuto al governo del aprile 1975
Vietnam del Sud, fino ad impegnare un'enorme quantità di Luogo Vietnam del Sud, Vietnam
forze terrestri, aeree e navali dal 1965 al 1972, con un
del Nord, Cambogia, Laos,
picco di 550 000 soldati nel 1969.[18] Nonostante questo
Mar Cinese Meridionale e
spiegamento di forze, il governo degli Stati Uniti non riuscì
a conseguire la vittoria politico-militare, ma subì al Golfo del Siam
contrario pesanti perdite, finendo per abbandonare nel Casus Incidente del golfo del
1973 il governo del Vietnam del Sud. In appoggio alle belli Tonchino
forze statunitensi parteciparono al conflitto anche
contingenti inviati dalla Corea del Sud, dalla Thailandia, Esito Vittoria nordvietnamita e
dall'Australia, dalla Nuova Zelanda e dalle Filippine. della coalizione comunista
Sull'altro versante, intervenne direttamente in aiuto delle
Modifiche Caduta del regime
forze filocomuniste dell'FLN (definite Viet Cong dalle
autorità statunitensi e sudvietnamite) l'esercito regolare del territoriali sudvietnamita, provvisoria
Vietnam del Nord, che infiltrò, a partire dal 1964, truppe instaurazione della
sempre più numerose nel territorio del Vietnam del Sud, Repubblica del Sud
impegnandosi in duri combattimenti contro le forze
statunitensi nel corso di offensive culminate nella Vietnam e definitiva
campagna di Ho Chi Minh nel 1975. La Cina e l'Unione riunificazione del Paese
Sovietica, inoltre, appoggiarono il Vietnam del Nord e le
forze Viet Cong con continue e massicce forniture di armi e Schieramenti
con il loro appoggio politico e diplomatico. Vietnam del Vietnam del
Sud Nord
Essa non fu un conflitto formalmente dichiarato tra potenze Stati Uniti Viet Cong e
sovrane: poté essere descritta come un'azione di livello Corea del Sud Governo
minore o di differente natura, continuando la tendenza Australia Rivoluzionario
seguita dalla fine del secondo conflitto mondiale di Nuova Zelanda Provvisorio del
proiettare il termine "guerra" in un nuovo contesto, come Thailandia Vietnam del Sud
per la guerra di Corea, che venne definita come un'"azione Filippine GRUNK
di polizia" sotto la supervisione dell'Organizzazione delle Laos Khmer rossi
Nazioni Unite.[19] La guerra del Vietnam non interessò Cambogia Pathet Lao
soltanto il territorio del Paese asiatico, ma coinvolse (1967-1970) Supporto da:
progressivamente il Laos (ufficialmente neutrale, ma in Repubblica Unione
realtà oggetto di operazioni belliche segrete statunitensi e di Khmer (1970- Sovietica
infiltrazioni continue di truppe nordvietnamite) e la 1975) Cina
Cambogia, interessata massicciamente da attacchi aerei e Supporto da: Cuba[3][4]
terrestri americani (1969-1970) e infine invasa dalle forze Taiwan [1][2]
Germania Est
nordvietnamite in appoggio alla guerriglia degli Khmer Cecoslovacchia
rossi. Anche lo stesso Vietnam del Nord venne Polonia
ripetutamente colpito da pesanti e continui bombardamenti Corea del Nord
degli aerei statunitensi (dal 1964 al 1968 ed ancora nel
1972), sferrati per indebolire le capacità militari Comandanti
nordvietnamite e per frantumare la volontà politica del
Ngô Đình Ho Chi Minh †
governo di Hanoi di continuare la lotta insurrezionale al
Diệm † Lê Duẩn
sud. La guerra ebbe fine il 30 aprile 1975, con la caduta di
Nguyễn Văn Võ Nguyên
Saigon, in cui gli Stati Uniti subirono la prima vera
Thiệu Giáp
sconfitta politico-militare della propria storia, e dovettero
Nguyễn Cao Văn Tiến Dũng
accettare il totale fallimento dei loro obiettivi politici e
Kỳ Nguyễn Chí
diplomatici. Cao Văn Viên Thanh †
John F. Trần Văn Trà
Kennedy Huỳnh Tấn
Indice Lyndon B. Phát
Johnson Norodom
Il contesto storico Richard Nixon Sihanouk
La guerra d'Indocina e la conferenza di Robert Pol Pot
Ginevra McNamara Khieu
Inizio dell'insurrezione nel Vietnam del Sud William Samphan
Westmoreland
L'attività statunitense dal 1962 al 1965
Creighton Souphanouvong
Le presidenze Kennedy, Johnson e il colpo di
Abrams Kaysone
Stato nel Vietnam del Sud
Frederick Phomvihane
L'incidente del golfo del Tonchino Weyand
I bombardamenti sul Vietnam del Nord Souvanna
L'intervento diretto degli USA Phouma
Le attività operative Norodom
L'arrivo dei primi reparti da combattimento Sihanouk
(fino al 1970)
I piani di guerra statunitensi
Lon Nol
Lo studio JASON e l'"escalation"
Le offensive statunitensi Effettivi
L'offensiva del Têt circa 1 200 000 circa 520 000 (nel
Assedio a Khe Sanh (nel 1968) 1968)
L'attacco di sorpresa durante il Têt
Perdite
Opposizione alla guerra
Le proteste universitarie e la renitenza alla Vietnam del Sud: Vietnam del Nord
leva 266 000 morti[5], e Viet Cong:
Il dibattito nell'opinione pubblica 1 170 000 feriti 1 100 000 morti,
Stati Uniti: 58.272 150 aeromobili[10]
L'elezione di Richard Nixon
morti, 2100 +
La "vietnamizzazione" e le fasi finali aeromobili persi,
La "Dottrina Nixon" 303.644 feriti,
L'estensione della guerra in Laos e Cambogia 1.719 dispersi[6][7]
Il ritiro delle forze statunitensi e l'offensiva di Corea del Sud:
Pasqua 5 099 morti,
La tregua del 1972, la caduta di Saigon e la 11 232 feriti[8]
fine della guerra Australia: 520
morti, 7 aeromobili
Gli accordi di Parigi e la fine della guerra
persi, 2.949 feriti[9]
Le conseguenze Nuova Zelanda:
La campagna di Ho Chi Minh e l'unificazione 55 morti, 212
del Vietnam feriti[8]
I riflessi nella società e nella politica negli USA Thailandia: 351
I risarcimenti morti e 1 358
feriti[8]
Le cause della sconfitta statunitense
Vittime Morti civili vietnamiti:
405 000-2 000 000[10][11]
I costi del conflitto
Morti totali:
Note 966 000-3 010 000 vietnamiti[12][13]
Bibliografia 200 000-300 000 cambogiani[13]
Voci correlate 20 000-62 000 laotiani[13]
Il contesto storico
Il tentativo della Francia di riprendere possesso dei vecchi territori coloniali dopo l'occupazione giapponese
dell'Indocina durante la seconda guerra mondiale aveva provocato la dura resistenza del movimento
nazionalista Viet Minh, strettamente legato alle potenze cinese e sovietica e guidato da un capo notevole
come Ho Chi Minh.[20]. La guerra fu combattuta ostinatamente dalla Francia e si concluse con una sconfitta
di quest'ultima, malgrado il notevole impegno militare e il crescente supporto logistico e finanziario
concesso dagli Stati Uniti d'America[21][22] secondo la teoria politica della dottrina Truman, volta al
"contenimento" della «infezione comunista» ovunque nel mondo, anche quando mascherata da movimento
indipendentista e nazionalista[23]; la battaglia di Ðiện Biên Phủ, combattuta fra il 13 marzo e il 7 maggio
1954, sancì la sconfitta definitiva delle forze francesi, facendo guadagnare enorme prestigio al generale Võ
Nguyên Giáp e al movimento Việt Minh.[24]
Gli accordi di Ginevra, nel luglio 1954, specificavano la provvisorietà di questa soluzione, in attesa di libere
elezioni volte ad unificare la nazione, da tenersi entro luglio 1956, ma queste elezioni non si sarebbero mai
svolte; Diem era ancora debole politicamente nel Sud e quindi rifiutò di organizzare le elezioni, affermando
che, a causa del potere comunista a Nord, non avrebbero potuto essere "assolutamente libere" e preferì nel
mese di ottobre del 1956, indire un referendum popolare per stabilire se lo Stato dovesse essere una
monarchia con Bảo Đại come imperatore o una repubblica con Diệm stesso come presidente[27]. Il
referendum, organizzato con modalità discutibili dal punto di vista della regolarità, venne agevolmente
vinto da Diem con una percentuale del 99% di consensi[28]. Nell'ottobre 1955 il primo ministro Ngô Đình
Diệm promosse un referendum per stabilire il futuro assetto istituzionale del paese: la consultazione venne
controllata e manipolata da Diệm che in questo modo riuscì a far abolire la monarchia e a deporre Bảo
Đại, senza spargimenti di sangue. Il 26 ottobre Diệm, grazie al supporto dei servizi segreti statunitensi e
forte del 98% dei voti, si autonominò primo presidente della neo-proclamata Repubblica del Vietnam del
Sud; il referendum fu tuttavia caratterizzato da marcati brogli elettorali: nella capitale Saigon, Diệm risultò
ottenere ben 600.000 voti a fronte dei soli 450.000 iscritti[29][30]. Il governo del Vietnam del Sud del
presidente Diệm, appoggiato dagli Stati Uniti dell'amministrazione Eisenhower[31], inviò Edward Lansdale,
su incarico di Allen Welsh Dulles, come capo della missione militare e poi come direttore della CIA, per gli
affari interni del Vietnam del Sud[32].
Il governo Diệm, con l'aiuto del consigliere americano Lansdale[33], si rafforzò, nei primi anni dopo la sua
costituzione, grazie al successo propagandistico ottenuto con l'afflusso di quasi un milione di vietnamiti,
principalmente della minoranza cattolica emigrati a sud dopo aver abbandonato il nord comunista
(cosiddetta operazione "Passage to Freedom"[34], orchestrata dagli statunitensi[35]), a un'energica politica di
repressione delle forze vietminh rimaste al sud e a un'efficace lotta contro le società segrete che cercavano
di minare l'autorità governativa[36]. Profondamente ostile a Ho Chi Minh e al governo comunista
nordvietnamita, Diệm (non privo di qualità e personalmente incorruttibile[37]), sostenuto dagli statunitensi
che incrementavano gli aiuti economico-militari e rafforzavano il loro contingente di consiglieri militari,
rifiutò di far tenere le elezioni generali previste per il 1956, che avrebbero potuto favorire l'influenza
comunista sul governo del Sud[27]. Il governo comunista di Ho Chi Minh inizialmente mantenne un
atteggiamento prudente (sollecitato in questo senso anche da Cina e Unione Sovietica) in attesa delle
previste elezioni generali da cui ci si attendevano risultati favorevoli, nonostante il rovinoso fallimento della
sua riforma agricola di stampo collettivistico, che gli aveva alienato molte delle simpatie guadagnate con la
lotta indipendentistica[38].
Parallelamente all'indebolimento del governo di Diệm, nonostante i crescenti sostegni politici, economici e
militari delle autorità statunitensi, il movimento guerrigliero conobbe una costante crescita numerica e
organizzativa. Nel maggio 1959 i politici di Hanoi crearono l'"Unità 559", incaricata di ingrandire e
potenziare l'impervia strada bordeggiante il Laos e la Cambogia, su cui far transitare uomini, rifornimenti e
mezzi per rafforzare le forze insurrezionali (il cosiddetto "sentiero di Ho Chi Minh")[45]. Sempre nel 1959
giunsero le prime precise direttive dal governo di Hanoi per l'organizzazione di una "lotta armata", limitata
al Vietnam del Sud, allo scopo di indebolire politicamente il regime di Diệm. Gli attacchi e gli attentati
terroristici si moltiplicarono: i funzionari uccisi passarono dai 1.200 del 1958 ai 4 000 del 1960[46].
Infine, nel dicembre 1960 venne annunciata la costituzione di un "Fronte di Liberazione Nazionale" (FLN)
raggruppante non solo le forze di resistenza comunista, ma anche altri elementi in opposizione al regime di
Diệm: capo formale del FLN era Nguyễn Hữu Thọ, personaggio indipendente di scarso potere politico,
mentre un ruolo pubblico di rilievo veniva esercitato dalla signora Nguyễn Thị Bình (futuro ministro degli
esteri del "Governo Rivoluzionario Provvisorio del Vietnam del Sud" - GRP - costituito formalmente dalle
forze insurrezionali nel giugno 1969 con presidente Huỳnh Tấn Phát); in realtà il FLN era dominato dalle
forze comuniste, che seguivano le direttive di Hanoi ed erano guidate da abili comandanti come Nguyễn
Chí Thanh, Trần Văn Trà e Trần Độ, la cui identità rimase celata fino a dopo la guerra. Gli elementi
fondamentali del Fronte furono sempre il Partito Popolare Rivoluzionario (comunista) e l'Esercito di
Liberazione (dominato sempre da dirigenti comunisti)[47]. Da quel momento il FLN (definito
spregiativamente Viet Cong - vietnamita rosso - dal governo di Diệm e dagli statunitensi) avrebbe
ulteriormente incrementato l'intensità della lotta, passando alla guerriglia e anche alla guerra aperta contro le
forze militari corrotte e poco efficienti del regime sudvietnamita.
«Abbiamo un problema: rendere credibile la nostra potenza. Il Vietnam è il posto giusto per
dimostrarlo.[56]»
(John Fitzgerald Kennedy al direttore del New York Times, James Reston, nel giugno 1961)
Alla metà del 1962 il numero dei consiglieri militari americani era già salito a 12 000 uomini[57], spesso
impegnati in modo diretto nelle operazioni antiguerriglia, con 31 caduti[58], mentre già nel febbraio 1962
venne costituito un grande comando combinato in Vietnam, il MACV (Military Assistance Command,
Vietnam) comandato inizialmente dal generale Paul Harkins e poi, nel giugno 1964, dal generale William
Westmoreland[59].
Con la presidenza di John Fitzgerald Kennedy la politica, già delineata nella campagna per la presidenza
del 1960, riteneva indispensabile, di fronte all'indebolimento della posizione statunitense a livello mondiale
e dopo lo smacco di Cuba, una dimostrazione di potenza politico-militare nel Sud-est asiatico, ritenuto un
banco di prova della determinazione americana a sostenere la lotta contro la sovversione comunista.[60]
Contemporaneamente all'incremento del numero dei consiglieri, si moltiplicarono durante la presidenza
Kennedy le covert operations, non divulgate ufficialmente per mascherare il coinvolgimento statunitense,
finalizzato a minare la compattezza del Vietnam del Nord e a bloccare il suo sostegno alla lotta
insurrezionale nel Vietnam del Sud.
Nonostante l'attività statunitense, le azioni dei guerriglieri Viet Cong furono pressoché continue,
realizzandosi anche in alcuni attentati di particolare rilevanza, come il bombardamento del Brinks Hotel di
Saigon nel 1964 e l'attentato alla vecchia ambasciata americana di Saigon nel 1965.
I membri del National Security Council, tra cui McNamara, il segretario di Stato Dean Rusk e Maxwell
Taylor, concordarono quindi il 28 novembre 1964 di suggerire al presidente Johnson una campagna di
bombardamenti progressivi sul Vietnam del Nord e anche sul Laos come strumento di pressione sul
governo nordvietnamita[86]; per il momento furono invece rinviate decisioni sull'intervento diretto delle
forze terrestri statunitensi (proposto dal consigliere Walter Rostow[87]).
Una serie di attacchi Viet Cong contro le basi e il personale statunitense in Vietnam avrebbe fatto
precipitare la situazione nei primi mesi del 1965, portando a decisioni cruciali dell'amministrazione
Johnson: prima l'attacco del 24 dicembre 1964 al Brinks Hotel di Saigon (dove erano alloggiati ufficiali
americani) e soprattutto l'attacco Viet Cong contro installazioni statunitensi alla base aerea di Pleiku (6
febbraio 1965) fornirono l'occasione alla dirigenza politica statunitense per iniziare i bombardamenti aerei
sistematici sul Vietnam del Nord; in risposta a questi attacchi il presidente Johnson ordinò quindi l'inizio
immediato dell'operazione Flaming Dart, consistente in attacchi aerei di rappresaglia.[88]
Dopo questa prima fase, il 2 marzo 1965 iniziò il piano di attacchi aerei sistematici sulle strutture logistiche
e militari del Vietnam del Nord, con aerei decollati dalle basi aeree americane in via di organizzazione in
Thailandia e dalle portaerei posizionate al largo delle coste nordvietnamite; tali posizioni furono
soprannominate Yankee Station.[89] I bombardamenti (operazione Rolling Thunder), inizialmente previsti
per la durata di otto settimane, sarebbero continuati, sempre più violenti ed estesi su nuovi bersagli, quasi
ininterrottamente fino alla metà del 1968: fu la campagna di
bombardamento aereo più pesante dai tempi della seconda guerra
mondiale (300 000 missioni), vennero sganciate più bombe sul
Vietnam del Nord che sulla Germania (860 000 tonnellate), ma i
risultati furono nel complesso deludenti.
«Ho chiesto al generale Westmoreland che cosa gli servisse per far fronte a questa crescente
aggressione. Me lo ha detto. E noi soddisferemo le sue richieste. Non possiamo essere sconfitti con
la forza delle armi. Rimarremo in Vietnam.[91]»
Le attività operative
Il 5 maggio entrarono in campo anche i primi reparti combattenti dell'esercito statunitense; la 173ª brigata
aviotrasportata (facente parte delle forze di intervento rapido del Pacifico) venne rischierata d'urgenza per
via aerea da Okinawa alla base di Bien Hoa per rafforzare le difese dell'area di Saigon pericolosamente
minacciate dalle truppe Viet Cong. L'unità aviotrasportata avrebbe dovuto essere impiegata solo
temporaneamente per tamponare la situazione d'emergenza, ma dovette subito entrare in azione e in pratica
sarebbe poi rimasta in Vietnam fino al 1970[97].
Infine il 28 luglio 1965 Johnson, di fronte alla crescente disgregazione delle forze sudvietnamite e
all'aggressività dei Viet Cong ora rinforzati dall'afflusso di reparti regolari nordvietnamiti[98], decise
definitivamente di accettare le richieste di uomini e mezzi e il piano di guerra del comandante supremo in
Vietnam, il responsabile del Military Assistance Command, Vietnam ("Comando Assistenza Militare,
Vietnam" o MACV), generale William Westmoreland, che prevedeva un impegno quasi illimitato delle
truppe da combattimento statunitensi direttamente nella guerra, e diede annuncio pubblicamente delle sue
decisioni (anche se continuò in parte a mascherare con artifizi propagandistici la gravità del suo passo)[99].
Prese quindi avvio la vera escalation americana del conflitto in Indocina.
Il giorno dopo, 29 luglio, 4 000 paracadutisti appartenenti alla 1ª brigata della 101st Airborne Division
arrivarono in Vietnam, atterrando nella baia di Cam Ranh per rinforzare ancora l'ordine di battaglia
americano in Vietnam e proteggere la regione montuosa e impervia degli altopiani centrali[97].
Il piano delineato dal generale Westmoreland, sostanzialmente condiviso dal segretario della difesa Robert
McNamara e approvato "in linea di principio" dal presidente Johnson, prevedeva un complesso programma
di potenziamento graduale, scaglionato su vari anni, delle forze combattenti statunitensi; grazie al continuo
afflusso di nuove truppe potentemente armate e dotate di un formidabile sostegno logistico, il generale
intendeva in primo luogo costituire una solida struttura di basi e supporti per le sue truppe. Quindi
sarebbero stati bloccati (nella seconda metà del 1965), grazie all'intervento diretto dei reparti combattenti
statunitensi, i tentativi offensivi delle forze comuniste, respingendo e schiacciando i loro tentativi di far
crollare l'esercito sudvietnamita e tagliare in due parti il Vietnam del Sud con un'avanzata dagli altopiani
centrali in direzione della costa.
Ottenuto questo primo risultato, nel 1966 sarebbero iniziate le
grandi operazioni offensive di "ricerca e distruzione" (Search and
destroy nella terminologia dell'esercito statunitense) dei principali
raggruppamenti nemici e delle loro roccaforti geografiche. Le forze
da combattimento statunitensi sarebbero penetrate in queste regioni
dominate dal nemico e, contando su una formidabile potenza di
fuoco terrestre e aerea e sulla mobilità fornita dagli elicotteri,
avrebbero affrontato e distrutto i reparti Viet Cong o nordvietnamiti
che avessero opposto resistenza, infliggendo perdite debilitanti.
Ufficiali statunitensi della 101ª In una terza fase, prevista per il 1967-1968, le forze statunitensi,
divisione aviotrasportata dopo aver rastrellato le roccaforti nemiche e aver assicurato le aree
conferiscono durante un'operazione più popolate, avrebbero respinto le residue truppe nemiche nelle
Search and Destroy nel 1966 regioni più spopolate e impervie del Vietnam del Sud e avrebbero
conseguito la vittoria finale, costringendo il nemico alla resa politica
o alla capitolazione militare, dopo avergli inflitto, per mezzo di
questa guerra di attrito, perdite sempre più gravi e insostenibili (causandone anche un crollo della
determinazione politico-militare)[100].
I punti deboli di questa strategia si sarebbero rivelati, anzitutto, la difficoltà di agganciare e distruggere
concretamente le forze nemiche, combattive, molto mobili anche in terreni impervi, resistenti alla
demoralizzazione e in grado di sfuggire al nemico, nonché di sferrare improvvisi attacchi di piccole unità,
infliggendo in questo modo continue perdite alle forze statunitensi. Inoltre, a causa dell'impossibilità per
ragioni politiche da parte delle forze militari statunitensi di penetrare direttamente in Laos e Cambogia, il
Vietnam del Nord fu in grado di infiltrare, a partire dal 1964, reparti del suo esercito regolare sempre più
numerosi (79 000 soldati nel 1966 e 150 000 nel 1967[101]) nel Vietnam del Sud, attraverso il cosiddetto
sentiero di Ho Chi Minh che attraversava questi territori formalmente neutrali, con cui sostenere e rafforzare
la lotta delle truppe guerrigliere Viet Cong.
In secondo luogo, si sarebbe ben presto evidenziata l'impossibilità di mantenere permanentemente occupate
e sicure le roccaforti del nemico apparentemente rastrellate più volte, ma sempre infiltrate nuovamente dalle
forze comuniste, con la conseguenza, per le truppe statunitensi, di dover organizzare e condurre nuove
snervanti e pericolose operazioni offensive per bonificare temporaneamente sempre gli stessi territori.
In terzo luogo, in una guerra di attrito le perdite statunitensi, notevoli anche se molto inferiori a quelle
nemiche, avrebbero finito per provocare un crollo della volontà politico-militare proprio dell'opinione
pubblica e della stessa dirigenza americana, insoddisfatta dei risultati, turbata dalle perdite, moralmente
scossa dalla violenza degli scontri e dall'imprevedibile durata della guerra[102].
Nella fase iniziale dell'intervento statunitense vennero studiati anche altri progetti operativi, che poi non
vennero applicati: il piano del capo di stato maggiore, il generale dell'esercito sudvietnamita Cao Van Vien,
prevedeva per esempio la fortificazione di una zona lungo il 17º parallelo da Dong Ha, in Vietnam, a
Savannakhet, al confine tra Laos e Thailandia. Sembra che un piano simile fosse stato proposto anche dal
comando riunito degli stati maggiori americani nell'agosto 1965 e che lo stesso generale Westmoreland non
fosse contrario[103].
Nel 1966, l'escalation sarebbe continuata con l'arrivo della 1ª divisione Marines, delle altre due brigate della
25ª divisione fanteria, della 196ª e della 199ª brigata fanteria leggera, dell'11º reggimento cavalleria
corazzata e, infine, della 9ª divisione fanteria (schierata nel delta del Mekong, IV regione militare). Inoltre il
15 marzo 1966 vennero costituiti due grandi comandi tattici dell'esercito (equivalenti a comandi di corpo
d'armata): la I Field Force, Vietnam, incaricata delle operazioni nella II regione militare, e la II Field Force,
Vietnam, assegnata alla III e alla IV regione militare. Alla fine del 1966 erano presenti in Vietnam 385 000
soldati americani, costantemente impegnati nelle missioni di "ricerca e distruzione" delle forze nemiche[105].
Infine nel 1967, terzo anno di escalation e, secondo i progetti di Westmoreland, anno in cui sarebbe stata
impressa una svolta decisiva alle operazioni, le forze statunitensi raggiunsero il numero di 472 000 uomini.
Gli arrivi di nuovi reparti organici furono continui durante tutto l'anno, anche se in misura minore e in
ritardo rispetto ai piani del generale a causa delle continue incertezze del presidente Johnson (e in questa
fase anche del ministro della difesa McNamara), preda sempre più spesso di dubbi e preoccupazioni
sull'esito reale della guerra.
Arrivarono quindi successivamente in Vietnam: due reggimenti della nuova 5ª divisione Marines, che
rafforzarono la III MAF nell'instabile I regione militare; due nuove brigate di fanteria (l'11ª e la 198ª), che
furono aggregate alla 196ª brigata fanteria leggera già presente sul posto, per costituire la 23ª divisione
fanteria (la cosiddetta Americal Division), subito inviata in aiuto dei marines al nord inquadrata nella "Task
Force Oregon"; infine la 4ª divisione fanteria e le altre due brigate (2ª e 3ª) della 101ª divisione
aviotrasporta, che vennero schierate nell'area di confine con il Laos e la Cambogia per impegnare e
distruggere le sempre crescenti forze nordvietnamite che si infiltravano lungo il sentiero di Ho Chi
Minh[106].
Le offensive statunitensi
Nel febbraio 1966, durante una riunione tra il comandante supremo statunitense e Johnson a Honolulu,
l'ufficiale americano sostenne che l'intervento delle forze statunitensi aveva evitato la sconfitta e il crollo
politico del Vietnam del Sud, ma che sarebbero state necessarie molte più truppe per poter passare
all'offensiva[112]; un aumento immediato poteva portare a raggiungere il "punto di svolta" nelle perdite di
Viet Cong e nordvietnamiti per gli inizi del 1967[113]. Johnson, preoccupato dell'evolversi della situazione
sul campo[114], finì per autorizzare un incremento delle truppe fino a 429 000 unità per l'agosto 1966.
Nel 1966 Westmoreland diede inizio, quindi, alle grandi operazioni di "ricerca e distruzione", con lo scopo
di strappare l'iniziativa al nemico, attaccarlo direttamente nelle sue roccaforti e infliggergli perdite devastanti
grazie alle sue potenti forze aeromobili e al sostegno massiccio dell'aviazione. In tutte e quattro le regioni
militari si succedettero durante l'anno continue e ambiziose operazioni offensive statunitensi; i successi
tattici furono rilevanti e la cosiddetta "conta dei corpi" (i conteggi empirici del servizio informazioni
americano sulle perdite presunte del nemico) diede ufficialmente la misura delle vittorie statunitensi sul
campo[115].
Le maggiori operazioni si svolsero nella zona smilitarizzata, dove i marines furono duramente impegnati
dall'esercito regolare nordvietnamita (operazione Prairie e battaglia di Mutter's Ridge)[116]; nella provincia
costiera di Binh Dinh, dove la cavalleria aerea inflisse notevoli perdite alle forze nemiche (operazione
Masher)[117]; nell'area degli altopiani centrali contro le nuove infiltrazioni nordvietnamite (operazione
Thayer e operazione Hawthorne condotte dagli aviotrasportati della 101ª[118]); infine nelle aree intorno alla
capitale Saigon, dove le forze Viet Cong furono spesso in grado di sfuggire ai colpi nemici e contrattaccare
(operazione El Paso e, soprattutto, la deludente operazione Attleboro)[119].
Alla fine del 1966, le perdite americane erano già salite a oltre 7 000 morti[120], un numero molto inferiore
alle perdite presunte del nemico, ma tuttavia sufficiente a cominciare a scuotere il morale delle truppe,
dell'opinione pubblica americana in patria e della stessa dirigenza americana. Nonostante le ottimistiche
dichiarazioni di Westmoreland e di altri ufficiali americani, cominciavano già a sorgere i primi dubbi sulla
razionalità ed efficacia dei piani e dei metodi adottati dalle truppe e dai comandi americani[121], secondo
alcuni esperti troppo concentrati sulle grandi operazioni convenzionali e poco interessate a sviluppare
adeguati piani di pacificazione, riforma economica e miglioramento delle condizioni delle popolazioni dei
villaggi contadini[122].
Nella zona smilitarizzata i marines si impegnarono in continue offensive (operazioni Belt Tight, Hickory e
Buffalo) per impedire le infiltrazioni nordvietnamite, ma subirono un forte logorio senza riuscire a impedire
il concentramento nemico contro le basi di fuoco statunitensi organizzate sul confine. Infine, nella provincia
di Binh Dinh, l'interminabile operazione Pershing (durata quasi un anno) di nuovo non riuscì a sradicare
definitivamente la presenza nemica nella regione[126]. Le perdite inflitte alle forze nordvietnamite e Viet
Cong furono senza dubbio molto elevate, ma non impedirono, nella seconda metà del 1967, al comando
nordvietnamita e alla dirigenza di Hanoi di organizzare una serie di manovre offensive nella zona
smilitarizzata e nella regione del confine con Laos e Cambogia (pianificate per incrementare le perdite
americane e scuoterne il morale), che avrebbero provocato alcune delle più dure battaglie della guerra[127].
Durante queste "battaglie dei confini", le forze nordvietnamite tentarono audacemente di attaccare e
conquistare alcune importanti postazioni isolate statunitensi; a Con Thien per mesi la guarnigione dei
marines subì attacchi e bombardamenti[128]; a Loc Ninh e a "Rockpile" (un caposaldo e un'importante
postazione di artiglieria dei marines[129]) gli attacchi vennero respinti; nella provincia di Kon Tum la
manovra nordvietnamita diede origine all'aspra battaglia di Dak To (novembre 1967), che terminò, dopo
scontri sanguinosi, con la ritirata nordvietnamita e dure perdite per entrambe le parti[130]. Infine a Khe Sanh
iniziò il concentramento nemico contro la sperduta base dei marines, che si sarebbe trasformato in un vero
assedio nel gennaio 1968[131].
Johnson, sempre più preda di dubbi e foschi presentimenti[135], tenne durante questi anni di escalation
continue riunioni e consultazioni con esperti, consiglieri e militari alla ricerca di supporti alla sua politica e
anche di nuove vie di uscita dalla complessa situazione[136]. Il 2 novembre, in una riunione segreta, con un
gruppo dei più prestigiosi uomini della nazione ("i saggi"), il presidente chiese suggerimenti per riunire il
popolo statunitense attorno allo sforzo bellico. I "saggi" consigliarono in primo luogo di fornire rapporti più
ottimistici sul progredire della guerra[137].
Quindi, basandosi sui rapporti che gli vennero consegnati il 13 novembre, Johnson disse alla nazione, il 17
novembre, che mentre molto rimaneva da fare, «stiamo infliggendo perdite più pesanti di quelle che
subiamo [...] Stiamo facendo progressi». Pochi giorni dopo, il generale Westmoreland, di ritorno negli Stati
Uniti per consultazioni con il presidente, alla fine di novembre disse ai cronisti: «Abbiamo raggiunto un
punto importante, dal quale si incomincia a intravedere la fine»[138]. Due mesi dopo, l'offensiva del Têt
avrebbe clamorosamente smentito queste affermazioni.
La fede dell'opinione pubblica nella "luce alla fine del tunnel" [143], ripetutamente sostenuta dai roboanti
proclami dei comandi e delle autorità americane, venne frantumata, il 30 gennaio 1968, dall'inaspettata
offensiva generale sferrata dal nemico, dipinto come prossimo al collasso[144], alla vigilia della festività del
Têt (il Tết Nguyên Ðán, l'anno nuovo lunare, la più importante festività vietnamita).
L'offensiva del Têt, sferrata da quasi 70 000 combattenti Viet Cong e nordvietnamiti[145], si estese
fulmineamente sulla maggior parte dei centri abitati e delle regioni più popolate del Vietnam del Sud,
ottenendo un grosso effetto sorpresa e sconvolgendo, in un primo momento, la catena di comando alleata e
i suoi apprestamenti difensivi. Vennero attaccati i grandi centri costieri, come Đà Nẵng, Quy Nhơn e Hội
An e le città collinari, come Pleiku, Kon Tum, Ban Mê Thuôt, Da Lat; i comunisti occuparono gran parte
delle capitali provinciali e delle sedi distrettuali nel delta del Mekong. Venne bombardata la grande base
americana di Cam Ranh; le forze regolari nordvietnamite irruppero dentro l'antica capitale Huế, riuscendo a
conquistare la cittadella fortificata e asserragliandosi sulle posizioni conquistate (dove successivamente
vennero trovate le fosse comuni con i corpi degli oppositori al regime nordvietnamita[146]); soprattutto, i
Viet Cong scatenarono uno spettacolare attacco a sorpresa contro la stessa Saigon[147].
Quasi 40 000 combattenti Viet Cong attaccarono la capitale e i centri di comando periferici di Biên Hòa,
Tan Son Nhut (sede del MACV del generale Westmoreland), Loc Binh (sede del comando della II Field
Force, Vietnam del generale Weyand)[148]; la stessa ambasciata statunitense venne colpita e fu salvata solo
dopo scontri sanguinosi contro alcune squadre suicide nemiche. La battaglia dentro Saigon fu
particolarmente violenta: le forze Viet Cong agirono di sorpresa, divise in squadre supportate da elementi
già infiltrati in precedenza; la reazione statunitense si scatenò violenta con l'impiego di una grande potenza
di fuoco[149]. Dopo molte ore di battaglia l'attacco finì per essere respinto e la maggior parte degli assalitori
venne eliminata (a volte con metodi sommari[150]). Nonostante il fallimento finale a Saigon, la violenza e la
temerarietà dell'attacco sconcertarono i comandi e le truppe alleate e sconvolsero l'opinione pubblica
statunitense in patria[151].
Sul campo, dopo il primo momento di sorpresa e confusione, le forze statunitensi e anche i reparti
sudvietnamiti (che non crollarono come auspicato dai dirigenti comunisti, ma riuscirono invece a sostenere
gli scontri) contrattaccarono con efficacia; invece di ritirarsi, i reparti Viet Cong spesso cercarono di
resistere e nella maggior parte dei casi vennero sconfitti o distrutti. Tutti i grandi centri vennero rapidamente
riconquistati dalle truppe alleate[152]; le forze vietnamite subirono gravi perdite e la situazione venne
ristabilita entro pochi giorni, tranne nel caso dalla battaglia di Huế, che durò alcuni mesi.
Nella cittadella dell'antica città rimasero abbarbicati per molti giorni numerosi e combattivi reparti
nordvietnamiti, che resistettero strenuamente alla controffensiva delle forze alleate; alcuni battaglioni di
marines dovettero impegnarsi in sanguinosi ed estenuanti scontri urbani casa per casa in quella che forse fu
la battaglia più dura e cruenta di tutta la guerra[153]. Gli statunitensi, dopo alcune settimane di aspri
combattimenti ravvicinati, finirono per aver ragione delle truppe nemiche e riconquistarono la cittadella di
Huế, che venne completamente devastata a causa della violenza degli scontri[154] e dell'impiego da parte
statunitense dell'aviazione e del fuoco delle navi da guerra ancorate al largo. Quando la città venne ripresa
dai sudvietnamiti, vennero scoperte fosse comuni con numerosi cadaveri di oppositori ai nord vietnamiti[41].
Nei mesi seguenti, mentre peraltro in Vietnam continuavano duri scontri, nuove offensive americane e
pericolosi attacchi delle forze comuniste (in maggio – il mese con il più alto numero di caduti americani di
tutta la guerra con 2.412 soldati morti[161] - il FLN sferrò una nuova offensiva generale che venne subito
denominata Mini-Têt). Ebbero quindi inizio a Parigi i colloqui di pace (13 maggio 1968); infine, il 31
ottobre, il presidente Johnson, ormai alla fine del suo mandato, annunciò alla nazione che aveva ordinato
una completa cessazione di "tutti i bombardamenti aerei, navali e di artiglieria sul Vietnam del Nord",
effettiva dal 1º novembre[162], in cambio del tacito assenso nordvietnamita alla cessazione degli attacchi
attraverso la zona smilitarizzata e contro le grandi città del Vietnam del Sud[163].
Il 1968, quindi, si concluse con un sostanziale cambiamento della situazione: le forze statunitensi avevano
subito dure perdite (oltre 14 000 uomini nell'arco dell'anno[164]), i bombardamenti sul Vietnam del Nord
erano cessati, la dirigenza americana aveva rinunciato alla vittoria militare e avevano avuto inizio complessi
e difficili colloqui di pace tra le parti in causa.
(Dichiarazione del portavoce ufficiale del presidente Richard Nixon, Ron Ziegler, per giustificare le violenze
delle autorità durante gli incidenti alla Kent State University il 4 maggio 1970)
L'opposizione alla guerra iniziò fin dal 1964 nei campus delle università. Si trattava di un periodo storico
caratterizzato da attivismo politico studentesco di sinistra senza precedenti e dall'arrivo all'età dell'università
della numerosa generazione dei cosiddetti "baby boomers"[166]. La crescente opposizione alla guerra è
certamente attribuibile in parte anche al più ampio accesso alle informazioni sul conflitto, soprattutto grazie
all'estesa copertura televisiva.
L'opinione pubblica statunitense si divise nettamente sul problema della guerra. Molti sostenitori della
guerra ritenevano corretta quella che era conosciuta come la "teoria del domino", enunciata per la prima
volta dal presidente Eisenhower in una conferenza stampa il 7 aprile 1954[169]. Essa sosteneva che, se il
Vietnam del Sud avesse ceduto alla guerriglia comunista, altre nazioni, principalmente nel sud-est asiatico,
sarebbero cadute in rapida successione, come pezzi del domino. Alcuni militari critici verso la guerra
puntualizzarono che il conflitto era politico e che la missione militare mancava di obiettivi chiari. I critici
civili argomentarono che il governo del Vietnam del Sud mancava di legittimazione politica e morale[170].
George Ball, sottosegretario di stato del presidente Johnson, fu una delle voci solitarie dell'amministrazione
a manifestare dubbi e timori sul coinvolgimento in Vietnam.
Alcune clamorose manifestazioni autodistruttive di dissenso da parte di pacifisti (il 2 novembre 1965 il
trentaduenne quacchero Norman Morrison si diede fuoco davanti al Pentagono e il 9 novembre il
ventiduenne cattolico Roger Allen LaPorte fece lo stesso davanti al palazzo delle Nazioni Unite, ad
imitazione dei gesti dei monaci buddisti in Vietnam) portarono alla luce il disagio morale presente in alcuni
strati dell'opinione pubblica statunitense[171]. Il crescente movimento pacifista allarmò molti all'interno del
governo statunitense e ci furono tentativi, peraltro falliti, di istituire una legislazione punitiva di queste
presunte "attività antiamericane".
Le elezioni presidenziali statunitensi del 1968 furono tra le più turbolente della storia degli Stati Uniti,
costellate di manifestazioni di protesta, di scontri e gravi sommosse (come durante la convenzione
democratica di Chicago),[174] di attentati e omicidi (il 6 giugno 1968 il palestinese Sirhan B. Sirhan
assassinò Robert Kennedy, possibile candidato pacifista del Partito Democratico, in protesta al sostegno per
Israele del giovane Kennedy). Dopo la clamorosa rinuncia di Johnson del 31 marzo il Partito Democratico,
profondamente diviso sul problema della guerra del Vietnam, finì per candidare il vicepresidente Hubert
Humphrey, fedele continuatore della politica di Johnson[175], mentre i repubblicani ripresentarono Richard
Nixon, tornato alla ribalta dopo una serie di sconfitte elettorali[176]. Le elezioni furono vinte di stretta misura
proprio da Nixon, che durante la campagna elettorale aveva misteriosamente fatto trapelare la notizia di un
suo "piano segreto" sul Vietnam studiato per evitare la sconfitta e raggiungere una pace favorevole[177]; in
realtà in quel momento non esisteva alcun piano segreto e solo dopo la sua elezione Nixon avrebbe
cominciato ad affrontare concretamente l'esasperante e intricato problema vietnamita.
«Non sarò il primo presidente degli Stati Uniti che perde una guerra.[178]»
«Non posso credere che una potenza di quarto ordine come il Vietnam del Nord non abbia un
punto debole.[179]»
La "Dottrina Nixon"
Lo stesso argomento in dettaglio: Dottrina Nixon.
Coadiuvato da abili collaboratori, come Henry Kissinger[181], consigliere per la sicurezza nazionale, e
Melvin Laird, nuovo segretario alla difesa, Nixon accettò in primo luogo l'ormai acquisita impossibilità, per
ragioni tattico-operative e di politica interna, di ottenere una vittoria militare[177] e, quindi, ripiegò su una
politica pur sempre basata principalmente sulla forza, ma più accorta e segreta, i cui cardini furono:
l'impiego massiccio e continuato delle forze aeree in bombardamenti segreti[182], quindi non
divulgati all'opinione pubblica per non rischiare ulteriori divisioni e proteste, su Laos e
Cambogia per intralciare e interdire il rafforzamento nemico nel Vietnam del Sud;
risparmiare vite dei soldati, rinunciando alle inutili e costose offensive di "ricerca e
distruzione" e impegnare, invece, le forze in attacchi mirati su aree particolarmente
strategiche e in compiti protettivi per rallentare l'aggressività nemica e dare tempo alle forze
sudvietnamite di rafforzarsi[183];
adottare tattiche di "guerra segreta" e terrorismo interno per individuare e distruggere
capillarmente gli elementi Viet Cong e filocomunisti infiltrati al sud (cosiddetto "programma
Phoenix"[184]);
ampliare e potenziare i programmi di pacificazione e di riforma economica nelle campagne
sudvietnamite per suscitare il sostegno della popolazione al governo del Vietnam del Sud
(incremento e miglioramento delle attività del cosiddetto CORDS (Civil Operations e Rural
Development Support), la complessa struttura civile affiancata ai militari fin dal 1967, per
sviluppare i piani di riforma politico-economica, guidata da abili funzionari come Robert
Komer e William Colby)[185];
intraprendere un'audace "diplomazia segreta" con la Cina e l'Unione Sovietica, offrendo un
miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti in cambio di una sospensione, o almeno una
riduzione, dell'appoggio politico militare fornito da questi paesi al Vietnam del Nord
(concetto del "vincolo"[186]);
organizzare sedute segrete di trattative con la controparte nordvietnamita, al di fuori delle
infruttuose riunioni plenarie di Ginevra, che si trascinavano da mesi senza risultati[187], in cui
le capacità di Henry Kissinger sarebbero state impiegate per costringere finalmente i
diplomatici del Vietnam del Nord ad accettare un compromesso[188] (eventualmente con la
minaccia di "apocalittiche" ritorsioni militari incluse nella cosiddetta "teoria del pazzo"[177]);
programmare il lento e graduale ritiro delle forze combattenti dal Vietnam, distribuito su vari
anni e accuratamente studiato per dar tempo al Vietnam del Sud di consolidarsi;
rafforzare con massicce forniture di armi l'esercito del Vietnam del Sud fino a renderlo in
grado progressivamente di assumere da solo la condotta delle operazioni e di sostenere
saldamente l'"aggressione" (politica della vietnamizzazione del conflitto[189]).
Questo complesso e articolato programma politico-militare venne quindi messo in atto gradualmente a
partire dal gennaio 1969, ma venne presto intralciato, e in parte compromesso, da nuove difficoltà
impreviste, da improvvise contingenze sul campo, da nuovi ostacoli interni e internazionali, da
comportamenti contraddittori dello stesso presidente Nixon e anche da un ulteriore incremento delle
proteste pubbliche negli Stati Uniti, che condussero a una crisi interna senza precedenti nella storia della
democrazia statunitense nel XX secolo[190].
Sul campo di battaglia, inizialmente il capace generale Creighton Abrams, nuovo responsabile del MACV
al posto di Westmoreland (sostituito nella primavera del 1968), continuò con risultati sconfortanti (battaglia
di Hamburger Hill) le grandi operazioni offensive degli anni precedenti[191]; di fronte alle dure perdite
subite (in febbraio-marzo 1969) dopo che le forze comuniste intrapresero una nuova offensiva durante il
Têt, che inflisse nuove perdite agli statunitensi[192] e diede pretesto all'amministrazione Nixon di dare il via
ai bombardamenti segreti sulla Cambogia (operazione Menu)[193]. In ottemperanza alle esigenze politico-
propagandistiche di Nixon, il generale Abrams, dopo gli incontri di Guam del luglio 1969, dovette quindi
adottare la nuova strategia della riduzione degli impegni operativi dei soldati statunitensi e di passaggio a
posizioni difensive[194].
Abrams dovette inoltre programmare un ritiro totale delle forze combattenti, scaglionato in 14 fasi su
quattro anni (programma One War). Il primo ritiro di 25 000 uomini ebbe inizio nella seconda metà del
1969 e le forze americane si ridussero, quindi, da 543 000 (numero massimo della primavera 1969) a meno
di 500 000 alla fine dell'anno[195].
Nel frattempo, dall'agosto 1969 Kissinger aveva intrapreso i primi colloqui segreti con la controparte
nordvietnamita (prima Xuan Thuy e quindi dal febbraio 1970 Lê Đức Thọ); durante gli snervanti e
interminabili colloqui Kissinger ebbe modo di apprezzare l'abilità e la tenacia del suo interlocutore, ma
anche queste sedute segrete finirono per trascinarsi per anni senza
risultati soddisfacenti per gli statunitensi, messi di fronte
all'intransigenza nordvietnamita[196].
Nixon, estremamente irritato da questi eventi interni, fece appello in un famoso discorso televisivo alla
cosiddetta "maggioranza silenziosa"[200] e riuscì momentaneamente a radunare un certo consenso alla sua
politica di lenta ricerca di soluzioni politico-militari soddisfacenti per la potenza statunitense, ma ulteriori
complicazioni in Cambogia e Laos produssero un'inaspettata nuova escalation sul campo di battaglia e di
conseguenza nuove tragiche esplosioni di proteste pubbliche negli Stati Uniti. Di fronte all'instabilità
politica in Cambogia dopo la destituzione del sovrano Norodom Sihanouk e l'assunzione del potere del
generale Lon Nol, Nixon, in accordo con Kissinger[201] e sollecitato anche da Abrams e altri consiglieri
militari a dare una dimostrazione di potenza militare per confortare il debole e corrotto governo
sudvietnamita di Van Thieu, decise di mostrare la determinazione americana nell'ottenere risultati militari
decisivi con la distruzione delle strutture di comando e logistiche nemiche al riparo nel vicino paese
confinante, venendo allo scoperto e, a partire dal 30 aprile 1970[202], cominciò a rendere pubblici alcuni
interventi fatti in Cambogia, in relazione alla guerra civile che stava iniziando in quello Stato asiatico, e
nell'altro paese confinante attraversato dal Sentiero di Ho Chi Minh, il Laos, dove la guerra civile si stava
combattendo già da tempo e coinvolgeva dal 1965 l'aviazione statunitense.
In realtà la politica della vietnamizzazione, nel corso dei vari anni, non era stata del tutto priva di risultati
positivi: grazie al successo del programma Phoenix e all'indebolimento delle strutture Viet Cong nelle
campagne, la sicurezza nei villaggi e il consenso nei confronti del governo di Saigon erano aumentati in
modo significativo; i programmi di sviluppo economico ottennero un certo successo (nonostante la
persistente corruzione del governo sudvietnamita) e le forze statunitensi poterono essere ridotte senza
provocare un crollo immediato del Vietnam del Sud. Anche le forze comuniste avevano subito grosse
perdite e rallentarono i loro attacchi in attesa dei necessari rafforzamenti[212].
Infine, l'audace diplomazia segreta di Nixon e Kissinger con Mosca e Pechino del
1971 e 1972 ottenne alcuni eccellenti risultati propagandistici ed effettivamente
allentò il sostegno di questi due paesi[213], desiderosi di un riavvicinamento con gli
Stati Uniti, al Vietnam del Nord: quest'ultimo, tuttavia, guidato dopo la morte di Ho
Chi Minh il 3 settembre 1969 da capi intransigenti come Lê Duẩn e Phạm Văn
Đồng, mantenne la sua indipendenza strategica e persistette nei suoi obiettivi politici
generali, indipendentemente dalle sollecitazioni alla moderazione cinesi o
sovietiche[214].
Lê Đức Thọ,
Nonostante questi successi della politica di Nixon, la fallimentare offensiva in Laos responsabile
sferrata nel febbraio 1971 dall'esercito sudvietnamita (senza appoggio diretto politico della
statunitense, in conseguenza delle limitazioni stabilite dal Congresso dopo gli eventi guerra in Vietnam
cambogiani dell'anno prima[215]), considerata una prova dello sbandierato successo del Sud e
della vietnamizzazione e conclusasi con una disastrosa ritirata[216], dimostrò ancora principale
una volta la fragilità della situazione e il ruolo sempre determinante del sostegno negoziatore a
militare americano (in questa fase in costante decremento: alla fine del 1971 le truppe Parigi
statunitensi in Vietnam scesero a 140 000 uomini[207]).
Il sostegno dell'aviazione statunitense fu ancora decisivo nella primavera 1972, quando l'esercito
nordvietnamita sferrò una grande offensiva generale sperando di provocare il crollo definitivo del regime di
Saigon e di costringere i loro alleati a cedere; l'offensiva di Pasqua terminò, dopo alcuni duri combattimenti,
con un fallimento complessivo nordvietnamita[217]. Il governo sudvietnamita non crollò e l'esercito si batté
coraggiosamente, supportato da un impiego senza precedenti dell'USAF[218]. Nixon, timoroso di un
cedimento generale, decise di riprendere i bombardamenti sul Vietnam del Nord, interrotti da Johnson fin
dal novembre 1968:[219] le incursioni Linebacker di USAF e US Navy, lanciate a partire dall'8 maggio
1972, furono molto pesanti e indebolirono certamente le forze nemiche; anche il porto di Haiphong venne
minato[220]. L'offensiva di Pasqua si concluse quindi con un insuccesso nordvietnamita e Nixon e Kissinger
poterono riprendere i loro sforzi, nei colloqui con i diplomatici nordvietnamiti, alla ricerca di un accordo
onorevole per raggiungere la "pace con onore"[221].
In realtà la situazione si
complicò nuovamente alla
fine dell'anno: i colloqui
furono interrotti di nuovo a
causa dell'intransigenza di
Guerrigliero Viet Cong armato di AK- Le Duc Tho e anche
47 nel 1973, durante i lavori della dell'ostruzionismo di Van
Four Power Joint Military Thieu[225]; nel tentativo di
Commission sbloccare drammaticamente Un bombardiere pesante B-52
la situazione, di dare impegnato nei bombardamenti sul
un'ultima dimostrazione di Vietnam del Nord durante
forza militare e di rafforzare psicologicamente il regime di Saigon, l'Operazione Linebacker II
Nixon decise il 18 dicembre 1972 di sferrare nuovi duri
bombardamenti sul Vietnam del Nord con l'impiego in massa dei B-
52[226]. I "bombardamenti di Natale" durarono undici giorni, soprattutto su Hanoi e Haiphong, e
apparentemente indussero il Vietnam del Nord a ritornare al tavolo dei negoziati e accettare il
compromesso[227]. A gennaio 1973 l'accordo era ormai in vista, i bombardamenti erano stati interrotti il 30
dicembre 1972; i soldati statunitensi ancora presenti in Vietnam erano scesi a meno di 50 000 uomini. La
guerra terminò infine nel 1975 con la conquista di Saigon da parte dell'esercito del Vietnam del Nord,
immediatamente preceduta dall'evacuazione dei civili statunitensi ancora presenti nella capitale del Vietnam
del Sud.
(Dichiarazione di Richard Nixon, presidente degli Stati Uniti, dopo la firma degli accordi di pace di Parigi nel
gennaio 1973)
(Frase pronunciata dal primo ministro del Vietnam del Nord Phạm Văn Đồng a una riunione del governo di
Hanoi nel gennaio 1975)
L'amministrazione governativa americana aveva cercato di ritrarre
le ostilità come una guerra di difesa democratica, inquadrata
nell'ambito della guerra fredda, contro le forze dell'esercito
nordvietnamita e le loro "creature" rivoltose, mentre i dirigenti
nordvietnamiti propagandavano il conflitto come uno scontro
patriottico di insorti sudvietnamiti del Fronte Nazionale di
Liberazione, considerato una guerra d'indipendenza, contro gli
alleati "fantoccio" dell'amministrazione statunitense. Queste
contrapposte dichiarazioni propagandistiche vennero sfruttate nei La firma degli accordi di pace di
primi colloqui di pace, nei quali il dibattito ruotò per oltre tre mesi - Parigi
fino al 16 gennaio 1969 - attorno alla "forma del tavolo delle
trattative",[230] nel quale ognuna delle parti cercava di rappresentare
se stessa come entità distinta pienamente legittima opposta a una singola potenza contornata da governi
"fantoccio". Gli accordi di pace di Parigi vennero infine firmati il 27 gennaio 1973, ponendo quindi
ufficialmente termine all'intervento statunitense nel conflitto del Vietnam[231]. Il primo prigioniero di guerra
statunitense venne rilasciato l'11 febbraio e il ritiro totale americano venne completato entro il 29 marzo[232];
il MACV (comandato dal 1972 dal generale Frederick Weyand) venne sciolto e sostituto con un modesto
ufficio dipendente dall'ambasciata americana a Saigon. Al contrario, secondo gli accordi, le forze
dell'esercito nordvietnamita già presenti in Vietnam del Sud poterono rimanere sul campo, inserendo in
questo modo un elemento di debolezza e di fragilità strutturale nelle possibilità concrete di sopravvivenza
del regime filoamericano di Van Thieu[233].
In realtà Nixon aveva assicurato ripetutamente il massiccio sostegno militare a Saigon in caso di una rottura
degli accordi e di una nuova aggressione delle forze comuniste, ma poi concretamente le circostanze della
politica statunitense vanificarono qualsiasi promessa ed influirono sugli sviluppi finali della guerra del
Vietnam[234]: in primo luogo il Congresso votò contro ogni ulteriore sovvenzionamento dell'azione militare
nella regione e a favore di una limitazione dei poteri del presidente di intraprendere avventure militari
all'estero; in secondo luogo, soprattutto, Nixon stava ormai lottando disperatamente per la sua
sopravvivenza politica e morale, di fronte al continuo aggravarsi dello scandalo Watergate[235]. Di
conseguenza il sostegno statunitense e i promessi aiuti non si materializzarono mai se non in piccola parte,
cosicché il governo di Saigon, sempre più fragile e instabile, venne progressivamente abbandonato al suo
destino[236].
Le conseguenze
Anche se limitati aiuti economici continuarono ad arrivare, la maggior parte venne dissipata da elementi
corrotti del governo della Repubblica del Vietnam, e poco venne effettivamente impiegato per rafforzare il
dispositivo militare del Vietnam del Sud[237]. Il Congresso statunitense, alla fine, votò un taglio totale di tutti
gli aiuti, a partire dall'inizio dell'anno fiscale 1975-76 (1º luglio 1975). Allo stesso tempo gli aiuti militari al
Vietnam del Nord da parte di Unione Sovietica e Cina furono invece incrementati, di fronte
all'indebolimento politico di Nixon e agli sviluppi della situazione complessiva ormai chiaramente
favorevoli alle forze comuniste[238].
All'inizio del 1975 il Vietnam del Nord, dopo alcune discussioni tra i vari dirigenti politico-militari sui tempi
e la modalità dell'attacco e su sollecitazione soprattutto del comandante Tran Van Tra[239], scatenò
l'offensiva finale venendo meno agli accordi di Parigi e invase il sud (campagna di Ho Chi Minh); l'esercito
sudvietnamita si disgregò e, nonostante un'ultima coraggiosa resistenza a Xuan Loc, crollò di fronte alle
superiori forze nordvietnamite, comandate dal generale Văn Tiến
Dũng[240]. Dopo un'avanzata trionfale, scarsamente contrastata e la
fuga in massa della popolazione[41], l'esercito nordvietnamita
circondò la capitale con un imponente schieramento di forze ed
entrò a Saigon il 30 aprile 1975 (caduta di Saigon); i soldati di
Hanoi issarono la bandiera Viet Cong sul famoso palazzo
presidenziale nel centro cittadino (definito dalla propaganda
comunista per tanti anni "palazzo del presidente fantoccio",
attualmente denominato "palazzo della riunificazione")[241].
Il Vietnam del Sud fu annesso al Vietnam del Nord il 2 luglio 1976, per formare la Repubblica Socialista
del Vietnam; Saigon venne ribattezzata Ho Chi Minh, in onore dell'ex presidente nordvietnamita. Centinaia
di sostenitori del governo sudvietnamita vennero arrestati e giustiziati: si stima che almeno un milione di
vietnamiti vennero spediti in campi di "rieducazione", dove trovarono la morte circa 165 000 persone[244], e
altre migliaia furono violentate, torturate e brutalmente uccise[244]; negli anni seguenti più di due milioni di
vietnamiti cercarono di abbandonare il paese via mare su imbarcazioni di fortuna e durante la fuga
trovarono la morte un gran numero di persone con stime che vanno dalle 30 000 alle 250 000.[245][246]
Naturalmente l'esito del conflitto intaccò la reputazione degli Stati Uniti come prima superpotenza
mondiale. Le massicce perdite americane, la mancanza di una vittoria decisiva e un'efficace propaganda
disfattista da parte di contestatori politicizzati crearono un grande disgusto dell'opinione pubblica nei
confronti dell'interventismo armato per contenere l'espansionismo sovietico-comunista. Politicamente,
l'insufficiente pianificazione della guerra, la confusione delle direttive e della catena di comando e,
soprattutto, la discrezione del potere esecutivo presidenziale, portarono il congresso degli Stati Uniti
d'America a rivedere il modo in cui gli Stati Uniti possono dichiarare guerra. A causa degli sviluppi della
guerra del Vietnam, il Congresso promulgò la risoluzione sui poteri di guerra (7 novembre 1973)[247], che
ridusse la capacità del presidente di impegnare truppe in azione senza aver prima ottenuto l'approvazione
del Congresso stesso. Dal punto di vista sociale, la guerra mutò sensibilmente il pensiero di molti giovani
statunitensi, dimostranti e soldati bilateralmente, mutando le loro opinioni riguardo alla politica estera
adottata dal governo e la moralità del conflitto. Infine la guerra del Vietnam dimostrò come l'opinione
pubblica potesse influenzare la politica del governo, attraverso la mobilitazione e la protesta; un esempio di
ciò fu l'abolizione della leva obbligatoria a partire dal 1973.[248] Il 21 gennaio 1977 il nuovo presidente
statunitense Jimmy Carter, continuando la sua politica di riconciliazione nazionale, graziò praticamente tutti
quelli che si erano sottratti alla coscrizione per la guerra.[249]
La guerra e le sue conseguenze portarono a una massiccia emigrazione dal Vietnam verso gli Stati Uniti.
Questa comprendeva sia i figli di soldati americani e giovani donne sudvietnamite sia i rifugiati vietnamiti,
che scapparono subito dopo la presa del potere da parte dei comunisti. Durante l'anno successivo, più di un
milione di queste persone arrivò negli Stati Uniti[250]. Nel 1982 iniziò la costruzione del memoriale dei
Veterani del Vietnam (conosciuto anche come "il muro"), situato al Mall di Washington DC adiacente al
Lincoln Memorial. Si tratta di una lastra di pietra nera lucida parzialmente interrata su un pendio su cui sono
incisi i nomi di tutti i caduti della guerra; semplice e austera, simboleggia la tragedia del Vietnam[251].
Aver prestato servizio nella guerra, anche se inizialmente impopolare, divenne presto fonte di rispetto,
anche se il conflitto in sé rimane oggetto di un'ampia variabilità di opinioni; durante e dopo il conflitto il
cinema statunitense produsse un gran numero di film sulla guerra del Vietnam, e molti politici statunitensi
sfruttarono gli anni di servizio nelle loro campagne elettorali, come fece John McCain, ex prigioniero di
guerra del Vietnam, nella sua corsa al Senato, mentre il fatto che i presidenti Bill Clinton e George W. Bush
avessero evitato il servizio militare in Vietnam giocò a sfavore degli stessi durante le rispettive campagne
elettorali. Dopo essere entrato in carica, Bill Clinton annunciò il desiderio di normalizzare le relazioni con il
Vietnam. La sua amministrazione tolse le sanzioni economiche alla nazione nel 1994 e nel maggio del 1995
i due stati riallacciarono le relazioni diplomatiche, con gli Stati Uniti che aprirono un'ambasciata sul suolo
vietnamita per la prima volta dal 1975.
I risarcimenti
Sono stati erogati anche aiuti economici per i rifugiati vietnamiti, i figli dei soldati statunitensi nati in
Vietnam e i colpiti dall'agente Orange[252]. I reduci che parteciparono alla guerra in Vietnam ricettevero un
risarcimento di 180 milioni di dollari nel 1984. La Croce Rossa vietnamita ha registrato circa un milione di
persone disabili a seguito della esposizione all'agente Orange e, secondo alcune stime, si calcolano circa 2
milioni di persone affette da problemi di salute derivanti dalle tossine irrorate sul territorio. Al 2015 non era
ancora stato stanziato un risarcimento per i danni di guerra ai contadini cambogiani, laotiani e
vietnamiti[253].
Vittime
Stimare il numero di vittime del conflitto è risultato difficile, poiché
le registrazioni ufficiali sono inesistenti per mancanza di anagrafe
civile; inoltre ancora oggi si verificano tragici incidenti a causa degli
innumerevoli ordigni inesplosi, in particolare dalle bombe a
grappolo. Gli effetti sull'ambiente prodotti dagli agenti chimici
(come l'agente arancio) e i grandi problemi sociali causati da una
nazione devastata hanno sicuramente prodotto la perdita di ulteriori
vite.
Anche gli alleati degli Stati Uniti subirono perdite. La Corea del Sud perse oltre 5 000 uomini con 10 000
feriti. L'Australia perse oltre 500 uomini ed ebbe 2.400 feriti su un totale di 47 000 soldati dispiegati in
Vietnam. La Nuova Zelanda ebbe 38 morti e 187 feriti. La Thailandia ebbe 351 vittime e le Filippine 9.
Anche se il Canada non fu coinvolto nella guerra, decine di migliaia di canadesi si arruolarono nell'esercito
statunitense e prestarono servizio in Vietnam: tra i morti statunitensi ci sono almeno 56 cittadini canadesi.
Sia durante sia dopo la guerra si ebbero significative violazioni dei
diritti umani. Sia i nordvietnamiti sia i sudvietnamiti detenevano
molti prigionieri politici, molti dei quali vennero uccisi o torturati.
Dopo la guerra le azioni intraprese dai vincitori in Vietnam,
compresi plotoni d'esecuzione, campi di concentramento e
"rieducazione" portarono all'esodo di centinaia di migliaia di
vietnamiti[265]: molti di questi rifugiati scapparono con barche,
facendo nascere la locuzione boat people[266]. Queste persone
emigrarono verso Hong Kong, Francia, Stati Uniti, Canada e altre
nazioni creando comunità di espatriati di dimensioni considerevoli,
soprattutto negli USA.
1965 -1972: 132,7 miliardi di dollari statunitensi, già preventivati nel costo per la guerra in
Vietnam;
1953 -1975: 28,5 miliardi di dollari di aiuti militari ed economici al governo di Saigon, 2,4
miliardi di dollari di aiuti militari ed economici al governo laotiano e 2,2 miliardi di dollari di
aiuti militari ed economici al governo cambogiano;
1949 -1952: 0,3 miliardi di dollari di aiuti per lo sforzo della guerra al governo francese.
Globalmente il costo diretto della guerra, secondo un calcolo ufficiale, ammontò a 165 miliardi di
dollari.[269]
Note
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31. ^ Il presidente statunitense Eisenhower inviò il 23 ottobre 1954 una lettera indirizzata a
Diệm che impegnava gli Stati Uniti d'America a dare «un maggior contributo al benessere a
alla stabilità del governo del Vietnam». Il testo completo della lettera è disponibile al sito
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60. ^ The Pentagon Papers, Capitolo I, Impegni e programmi di Kennedy, 1961; vedere anche:
Karnow, pp. 136-137.
61. ^ Karnow, pp. 144-145.
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64. ^ Luca Lauriola, Scacco matto all'America e a Israele - Fine dell'ultimo Impero, Palomar
Edizioni, 2007, pp. 207-215.
65. ^ Sembra che fin dal 24 agosto 1963 un gruppo dirigente del Dipartimento di Stato (Hilsman,
Harryman e Forrestal) avesse inviato un telegramma segreto all'ambasciatore Cabot Lodge
in cui gli si dava istruzione di contattare eventuali generali ribelli in vista di un colpo di Stato;
in Karnow, pp. 165.
66. ^ Karnow, pp. 176-189.
67. ^ Karnow, pp. 177-179.
68. ^ Karnow, pp. 205-211, 239-246.
69. ^ Karnow, p. 194. Johnson incaricò l'ambasciatore Cabot Lodge di riferire ai politici
sudvietnamiti che: "Lyndon Johnson intende rispettare la parola data".
70. ^ Karnow, p. 191.
71. ^ Karnow, p. 107.
72. ^ Karnow, pp. 190-194.
73. ^ (EN) Brian VanDeMark, Into the Quagmire, Lyndon Johnson and the escalation, Oxford
University Press, 1995, ISBN 9780195096507.
74. ^ Karnow, pp. 220-224.
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76. ^ National Security Agency, Gulf of Tonkin Related Command and Technical Messages.
77. ^ Karnow, p. 221.
78. ^ Karnow, p. 235. L'ampiezza del mandato conferito al presidente dal documento del
Congresso spinse Johnson ad affermare scherzosamente che la risoluzione era «come la
camicia da notte della nonna [...] copre ogni cosa»; sempre in Karnow, p. 235.
79. ^ Karnow, p. 35.
80. ^ Karnow, pp. 252-254.
81. ^ Karnow, p. 252.
82. ^ La prima unità regolare nordvietnamita a partire per il Vietnam del Sud fu, nell'autunno
1964, un reggimento della 325ª Divisione, in Karnow, p. 253.
83. ^ Karnow, p. 204.
84. ^ Karnow, p. 259.
85. ^ Karnow, pp. 255-257.
86. ^ Karnow, pp. 257-258.
87. ^ Karnow, p. 257.
88. ^ Karnow, pp. 262-263.
89. ^ Karnow, pp. 265-266.
90. ^ Fin dal 24 luglio 1965, quattro F-4C Phantom di scorta a un'incursione di bombardamento
a Kang Chi vennero fatti bersaglio di missili antiaerei forniti dall'URSS. Fu il primo attacco di
questo tipo contro aeroplani statunitensi nel corso della guerra. Un aereo venne abbattuto e
gli altri tre furono danneggiati; in Montanelli, Cervi, p. 207.
91. ^ Karnow, p. 276.
92. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 494.
93. ^ Karnow, p. 235.
94. ^ Karnow, p. 237.
95. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 8.
96. ^ Secondo la frase di un ufficiale americano, ora i marines avrebbero «cominciato a
uccidere i Viet Cong invece di starsene semplicemente seduti nei sacchi», in Karnow, pp.
266-268.
97. Cronaca della guerra in Vietnam, p. 7.
98. ^ Karnow, p. 272.
99. ^ Karnow, pp. 275-276.
100. ^ Karnow, pp. 278-279.
101. ^ Guerre in tempo di pace, p. 207.
102. Karnow, pp. 14-15.
103. ^ Summers, pp.73-74.
104. ^ Karnow, p. 331.
105. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 83.
106. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 227, 293.
107. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 9-13.
108. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 37. Durante un furioso scontro a distanza ravvicinata
con la fanteria nordvietnamita, alcuni reparti americani rischiarono di essere travolti,
riuscendo a resistere anche grazie al supporto di fuoco aereo; dettagli in Galloway,
Moore, passim.
109. ^ Galloway, Moore, p. 245.
110. ^ Galloway, Moore, passim.
111. ^ Galloway, Moore, pp. 354-355.
112. ^ Karnow, pp. 315-316.
113. ^ Nella terminologia del generale Westmoreland e degli ufficiali del MACV, il "punto di
svolta" era il momento in cui le perdite inflitte al nemico avrebbero superato le sue capacità
di rimpiazzarle con nuovi soldati; da quel momento, quindi, le forze comuniste avrebbero
cominciato a declinare di numero. Il generale parlò più volte, nel 1966 e nel 1967, di
raggiungimento del "punto di svolta", il che però non accadde mai; dettagli in Sheehan, pp.
538-539.
114. ^ Karnow, p. 316.
115. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 67.
116. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 112-117.
117. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 67-69.
118. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 66.
119. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 156-160.
120. Sheehan, p. 483.
121. ^ Karnow, pp. 330-334.
122. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 194-197. In realtà, era presente all'interno del MACV
un apposito dipartimento per gli Affari Civili, incaricato di portare avanti i piani di
pacificazione, secondo il concetto di "conquistare i cuori e le menti" delle popolazioni; in
pratica questi programmi di sviluppo economico e sociale si scontrarono con la realtà
concreta della guerra e anche con lo scetticismo dei militari americani; tipica la frase di un
ufficiale statunitense: "prendiamoli per le palle, i cuori e le menti verranno dopo", in
Karnow, p. 278.
123. ^ Karnow, p. 344.
124. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 161-167.
125. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 188-192.
126. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 195.
127. ^ Karnow, pp. 357-360.
128. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 225-230.
129. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, p. 114.
130. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 289-295.
131. ^ Karnow, p. 360.
132. ^ Karnow, pp. 360-365.
133. ^ Karnow, pp. 330-343.
134. ^ Karnow, pp. 315-329.
135. ^ Karnow, pp. 190-194, 248-249.
136. ^ Karnow, pp. 334-345.
137. ^ Sheehan, pp. 536-539.
138. ^ Karnow, pp. 344-346.
139. ^ Karnow, pp. 361-363.
140. ^ Karnow, p. 363.
141. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 349-352.
142. ^ Karnow, pp. 363-364.
143. ^ Anche nel 1953 il generale francese Henri Navarre aveva ottimisticamente usato la stessa
metafora: "vediamo chiaramente la vittoria come la luce alla fine del tunnel", in Karnow, p.
91.
144. ^ Alla fine del 1967 era esplosa una furiosa polemica tra il generale Westmoreland e la CIA
riguardo alla stima ufficiale delle forze nemiche ancora attive; la CIA, le cui valutazioni
realistiche evidenziavano un incremento numerico della forza nemica - stimata a 430 000
uomini invece dei 300 000 calcolati dal MACV - dovette adeguarsi alle esigenze politiche e
di propaganda e confermare i dati edulcorati e incompleti sulla consistenza del nemico
provenienti dal servizio informazioni del MACV; in Weiner, pp. 262-265.
145. ^ Karnow, p. 347.
146. ^ S. Karnow, Storia della guerra nel Vietnam, Rizzoli, 1985.
147. ^ Karnow, p. 348; Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 353-357.
148. ^ Karnow, pp. 348-349.
149. ^ Karnow, pp. 349-352.
150. ^ Noto fu il caso dell'esecuzione pubblica di un guerrigliero da parte del generale
sudvietnamita Nguyễn Ngọc Loan; in Karnow, p. 352.
151. ^ Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 358-361.
152. ^ Karnow, pp. 355-356.
153. ^ Karnow, p. 355; Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 368-372.
154. ^ Subito dopo aver conquistato il centro cittadino le forze comuniste si erano del resto
abbandonate a rappresaglie ed esecuzioni di massa su presunti collaborazionisti del
governo; in Karnow, pp. 353-354.
155. Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 376-379.
156. ^ Karnow, pp. 368-369.
157. ^ Karnow, pp. 372-373.
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185. ^ Sheehan, pp. 503-516.
186. ^ Karnow, p. 395.
187. ^ La delegazione statunitense venne guidata inizialmente da Averell Harriman e Cyrus
Vance, quindi da Henry Cabot Lodge, Jr., e infine (dal 1970) da due diplomatici di secondo
piano come David K.E. Bruce e William J. Porter; dettagli in Kissinger, passim.
188. ^ Karnow, p. 405.
189. ^ Karnow, p. 408; da notare che già i francesi nel 1952 avevano praticato una politica simile
di rafforzamento dei reparti vietnamiti collaborazionisti per impiegarli contro il Vietminh,
definita colloquialmente jaunissement, "ingiallimento", in Karnow, p. 89.
190. ^ Montanelli, Cervi, pp. 221-224.
191. ^ Karnow, p. 413; Cronaca della guerra in Vietnam, pp. 385-390.
192. ^ Karnow, p. 413.
193. ^ Kissinger, pp. 207-217. Nelle sue memorie Kissinger tende a minimizzare l'importanza
della scelta di attuare i bombardamenti segreti e riduce l'evento a semplice espediente
tattico per rispondere agli attacchi del nemico.
194. ^ Karnow, pp. 405-407; Cronaca della guerra in Vietnam, p. 443.
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219. ^ Kissinger, pp. 859-877, 909-934. Kissinger enfatizza nelle sue memorie l'importanza di
questa fase della guerra, sottolineando la saldezza delle sue posizioni politico-diplomatiche
e la conclusione vittoriosa delle operazioni che, a suo parere, imposero al Vietnam del Nord
di ricercare un compromesso con gli Stati Uniti.
220. ^ Karnow, p. 445.
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sottolinea come ottenere il ritiro nordvietnamita era praticamente impossibile.
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Voci correlate
Accordi di pace di Parigi (1973)
Agente arancio
Conferenza di Ginevra (1954)
Cronologia della guerra del Vietnam
Dottrina Nixon
Escalation (guerra del Vietnam)
Esercito popolare vietnamita
Governo Rivoluzionario Provvisorio del Vietnam del Sud
Guerra d'Indocina
Indocina francese
Incidente del golfo del Tonchino
Linea McNamara
Lục quân Việt Nam Cộng hòa
Military Assistance Command, Vietnam
MACV-SOG
Operazione 34A
Operazione Linebacker
Operazione Linebacker II
Operazione Pierce Arrow
Operazione Ranch Hand
Opposizione alla guerra del Vietnam
Pentagon Papers
Repubblica Democratica del Vietnam
Repubblica del Vietnam
Sentiero di Ho Chi Minh
Search and destroy (tattica militare)
Sparatoria della Kent State
Storia del Vietnam
Quân Đội Nhân Dân Việt Nam
Viet Cong
United States Army Special Forces
TM 31-210 Improvised Munitions Handbook
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