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Seconda guerra sino-giapponese

La seconda guerra sino-giapponese (7 luglio 1937 - 2 settembre 1945) fu il maggiore conflitto mai
avvenuto tra la Repubblica di Cina e l'Impero giapponese, e il più grande conflitto asiatico del XX
secolo. Combattuta prima e durante la seconda guerra mondiale terminò con la resa incondizionata
del Giappone il 2 settembre 1945, che mise fine alla seconda guerra mondiale. L'invasione della Cina
costituiva parte del progetto strategico complessivo giapponese per assumere il controllo dell'Asia. Le
prime avvisaglie di questo piano sono comunemente conosciute come "incidenti cinesi", fatti che la
propaganda giapponese attribuì alla Cina in modo da legittimare le successive invasioni. L'Incidente
di Mukden nel 1931 fu il casus belli dell'occupazione della Manciuria da parte del Giappone, mentre
l'Incidente del ponte di Marco Polo segnò l'inizio dello scontro totale tra i due stati. La Cina non
dichiarò ufficialmente guerra al Giappone fino al dicembre 1941, per timore di alienarsi gli aiuti delle
potenze occidentali; una volta che il Giappone fu entrato in guerra contro gli Alleati, la Cina fu sciolta
da questo vincolo e poté dichiarare apertamente guerra alle Potenze dell'Asse. Dal 1937 al 1941 la
Cina combatté da sola, mentre dopo l'attacco di Pearl Harbor a fianco dei cinesi si schierarono anche
le forze alleate, sia statunitensi sia sovietiche, che fornirono materiali, uomini e servizi addestrativi alle
forze comandate da Chiang Kai-shek. Dopo la resa del Giappone, nazionalisti e comunisti cinesi
tornarono a scontrarsi per il controllo del Paese, avviando così l'ultima fase della guerra civile
cinese.In cinese questa guerra è nota principalmente come "Guerra di resistenza contro il Giappone" (抗日戰
爭 o 抗日战争, Kàng Rì Zhànzhēng) ma è anche conosciuta con il nome di "Guerra degli otto anni di
resistenza" (八年抗戰 o 八年抗战) o semplicemente "Guerra di resistenza" (抗戰 o 抗战). In Giappone è
usato il termine "Guerra sino-giapponese" (日中戦争, Nicchū Sensō) in quanto ritenuto maggiormente
neutrale.Quando la guerra ebbe inizio nel luglio 1937 nei pressi di Pechino, il governo del Giappone usò
l'espressione "Incidente della Cina del Nord" (北支事変, Hokushi Jihen) e con il suo estendersi ai dintorni
di Shanghai, nei mesi successivi, mutò la denominazione in "Incidente cinese" (支那事変, Shina Jihen). La
parola "incidente" (事変, jihen) fu scelta dal Giappone in quanto nessuno dei due Stati aveva dichiarato
guerra all'altro. Il Giappone voleva evitare l'intervento di altri Stati come gli USA o la Gran Bretagna
mentre la Cina sperava di evitare l'embargo sulle forniture militari da parte degli USA, che il
presidente Roosevelt avrebbe voluto imporre in base agli atti di neutralità proclamati negli anni trenta.
Quando, nel dicembre 1941, i due contendenti si dichiararono formalmente lo stato di guerra il Giappone
utilizzò il termine "grande guerra asiatica del Pacifico" (大東亜戦争, Daitōa Sensō). Malgrado ciò, il governo
giapponese continuò a usare "incidente cinese" nei documenti ufficiali mentre i media giapponesi parafrasarono
spesso la versione ufficiale in "incidente Giappone-Cina" (日華事変, Nikka Jihen, 日支事変, Nisshi Jihen)
forma già usata nei giornali durante gli anni trenta.La definizione "seconda guerra sino-giapponese"
non è mai stata utilizzata in Giappone in quanto la prima guerra sino-giapponese tra Giappone e
Impero Qing del 1894 è a sua volta nota in giapponese come "Guerra tra Giappone e Qing" (日清戦争,
Nisshin sensō)
Il Generalissimo Chiang Kai-shek, comandante in capo Alleato nel teatro cinese dal 1942-1945

Le origini della seconda guerra sino-giapponese possono essere fatte risalire alla prima guerra sino-
giapponese del 1894-1895 in cui la Cina, governata dalla dinastia Qing, fu sconfitta dal Giappone e
costretta a cedere l'isola di Taiwan e a riconoscere l'indipendenza della Corea nel Trattato di
Shimonoseki. Il governo imperiale cinese era alla vigilia del suo collasso, che sarebbe stato favorito,
di lì a poco, dalle rivolte interne e dalla pressione esercitata dalle potenze straniere; nello stesso
periodo, il Giappone stava invece assurgendo a livello di grande potenza grazie alla politica di forzata
modernizzazione intrapresa nell'epoca Meiji. In questo quadro, e in seguito alla Rivoluzione Xinhai del
1911, che rovesciò la dinastia Qing, fu fondata la Repubblica di Cina (1912). La giovane repubblica
nacque debole a causa della presenza di forti poteri locali, ai cui vertici stavano i cosiddetti "signori
della guerra", che spartirono il territorio in tanti microgoverni; per tale ragione, la possibilità di
riunificare effettivamente la Nazione e resistere alla pressione dell'imperialismo straniero sembrò per
lunghi anni una semplice chimera.Alcuni signori della guerra erano loro stessi alleati e sostenuti da
potenze straniere interessate ad avere influenza in Cina. Ad esempio Zhang Zuolin, "signore" della
Manciuria, aprì il suo territorio al Giappone sia in termini economici sia militari.Fu proprio in virtù di tali
accordi con i regoli locali, durante i primi anni della repubblica cinese, che il governo giapponese
cominciò a esercitare ed estendere la sua influenza in Cina. Nel 1915 il governo giapponese pubblicò
le "ventuno domande" per definire i suoi interessi politici e commerciali in Cina e al termine della prima
guerra mondiale subentrò alla sconfitta della Germania nel controllo politico e militare dello
Shandong.Il governo cinese Beiyang rimase incapace di resistere alle pressioni esterne] fino alla
Spedizione del Nord lanciata nel 1926 dal governo rivale del Kuomintang (KMT o governo
nazionalista) con base a Canton.] La "spedizione" attraversò la Cina fino a giungere nello Shandong
dove il "signore della guerra" di Beiyang, Zhang Zongchang, appoggiato dai giapponesi, cercò di
bloccare il tentativo nazionalista di unificare la Cina. I fatti culminarono con l'Incidente di Jinan del
1928, quando l'esercito del Kuomintang ebbe un breve conflitto con truppe giapponesi.Nello stesso
anno il signore della guerra della Manciuria Zhang Zuolin fu assassinato a causa della sua diminuita
disponibilità alla collaborazione con il Giappone. Nel 1928 il governo del Kuomintang, diretto da
Chiang Kai-shek, dopo aver rotto l'alleanza con il Partito Comunista Cinese, riuscì infine a riunificare
tutta la Cina. La persistenza di numerosi conflitti tra Cina e Giappone fu evidenziata dal nazionalismo
cinese in uno degli obbiettivi del documento Tre principi del popolo che incitava al rifiuto delle
influenze straniere. In realtà la Spedizione del Nord unificò solo in modo formale la Cina e i conflitti tra
signori della guerra e diverse fazioni rivali del Kuomintang continuarono a rendere instabile la
situazione interna. A ciò si aggiunse lo scontro con il Partito Comunista Cinese, che aveva
inizialmente appoggiato e partecipato alla Spedizione del Nord ma che nel 1927 era stato fatto segno
di un tentativo di annientamento da parte del Kuomintang. In effetti questo scontro divenne una vera e
propria guerra civile (che finirà solo nel 1949) con il lancio delle Campagne di accerchiamento da
parte del Kuomintang, che culmineranno con la famosa Lunga Marcia, che avrebbe permesso alle truppe
controllate dal Partito Comunista di ritirarsi nel nord della Cina. In questa situazione il governo nazionalista
concentrò la massima attenzione alla situazione interna definendo la politica della "Pacificazione interna prima
della resistenza esterna" (攘外必先安内). L'estrema instabilità della situazione cinese permise al Giappone di
perseguire i suoi piani di aggressione con l'Invasione della Manciuria nel 1931 a seguito dell'Incidente di
Mukden. Nel 1932 lo Stato-fantoccio del Manchukuò venne insediato in Manciuria sotto la guida
dell'ultimo imperatore della dinastia Qing Puyi. Il nuovo Stato mancese, nell'ambito della politica
estera giapponese, rappresentava una riserva di preziose materie prime e uno Stato-cuscinetto ai
confini dell'Unione Sovietica. Incapace di reagire militarmente la Cina si rivolse alla Società delle
Nazioni per ottenere aiuto. L'indagine che ne seguì fu pubblicata nel rapporto Lytton che condannava
il Giappone, con l'unico effetto di provocare il ritiro del Giappone stesso dalla Società delle Nazioni.
D'altronde questo era lo spirito degli interventi della comunità internazionale, che negli anni del primo
dopoguerra preferiva, in generale, la politica dell'"accomodamento" nei confronti dei conflitti bellici,
limitandosi a dichiarazioni di censura ma senza nessun intervento diretto nei confronti degli stati
aggressori. All'incidente di Mukden seguì una lunga serie di altri conflitti tra i due Stati. Nel 1932, in
seguito all'incidente del 28 gennaio, vi fu un breve scontro bellico, che portò alla smilitarizzazione
della città di Shanghai, con il divieto per la Cina di detenere truppe nella regione. Nel 1933 il
Giappone condusse un attacco nella regione della Grande Muraglia che portò al controllo della
provincia di Rehe e alla smilitarizzazione della regione di Pechino-Tiensin. Il tentativo giapponese fu
quello di creare una serie di regioni cuscinetto tra il Manchukuo e il governo nazionalista di Nanchino.
Le possibilità di manovra del Giappone furono ulteriormente incrementate dai conflitti interni tra le
varie fazioni cinesi. Pochi anni dopo la Spedizione del Nord il governo nazionalista controllava
solamente la regione intorno al delta del Fiume Giallo mentre il resto della Cina era sotto il controllo di
signori regionali. Il Giappone sfruttò appieno queste possibilità stringendo patti locali con i poteri regionali e
favorendo una politica definita di "specializzazione" della Cina del Nord (華北特殊化, húaběitèshūhùa)
ossia un movimento fortemente autonomista nelle province di Chahar, Suiyuan, Hebei, Shanxi e
Shandong. Nel 1935, sotto la pressione del Giappone, la Cina firmò l'accordo He-Umezu, che
proibiva al governo nazionalista di eseguire operazioni militari nella provincia di Hebei perdendone
così di fatto il controllo. Nello stesso anno fu anche sottoscritto l'Accordo Chin-Doihara, che alienava
al governo cinese il controllo della provincia del Chahar. Di fatto, al termine del 1935, il governo
cinese aveva rinunciato a qualsiasi influenza nel nord della Cina dove furono insediati il "Concilio
autonomo dell'Est-Hebei" e il "Concilio politico dell'Hebei-Chahar", di emanazione giapponese.

L'invasione della Cina

Molti storici collocano l'inizio della seconda guerra sino-giapponese al 7 luglio 1937, giorno
dell'incidente del ponte di Marco Polo (ponte Lugou) mentre alcuni storici cinesi retrodatano l'inizio
della guerra al 18 settembre 1931 data dell'incidente di Mukden, in seguito al quale incominciarono i
primi scontri a bassa intensità. Dopo l'incidente del 7 luglio 1937 e il successivo scontro tra soldati
cinesi e giapponesi a Langfang il 25 luglio 1937, i giapponesi inviarono ingenti rinforzi all'Armata di
guarnigione in Cina e il primo ministro Fumimaro Konoe il 27 luglio annunciò pubblicamente davanti
alla Dieta di Tokyo che il suo governo era ormai deciso a raggiungere un "Nuovo ordine" in Asia
orientale[19]. I militari giapponesi rassicurarono le autorità politiche civili affermando che la guerra
sarebbe stata vinta in "tre mesi" e che era necessario "punire gli spudorati cinesi" [19]. Il 28 luglio 1937 il
nuovo comandante dell'Armata di guarnigione in Cina, generale Kiyoshi Katsuki, dopo aver dichiarato
che avrebbe sferrato un'"azione punitiva contro le truppe cinesi", incominciò concretamente le
operazioni militari su larga scala che nella prima fase culminarono all'inizio di agosto con la battaglia
di Pechino-Tientsin che si concluse con la vittoria nipponica e la conquista delle due città . L'incidente
del ponte di Marco Polo non solo segnò l'inizio di una guerra non dichiarata, fino al dicembre 1941, tra
Cina e Giappone, ma rinsaldò anche la debole tregua che nel 1936 era stata attuata tra Kuomintang e
Partito Comunista in funzione anti-giapponese; nata appunto dalla forzatura dell'incidente di Xi'an,
dove Chiang Kai-shek era stato rapito da un "Signore della guerra" e rilasciato solamente dopo la
stipula di un accordo con i comunisti, l'alleanza dette vita a un fronte unito antigiapponese che portò
alcune unità comuniste a essere integrate nell'Esercito Rivoluzionario Nazionale (Ottava Armata della
Strada, Nuova Quarta Armata) pur mantenendo i propri comandanti. Il Giappone non aveva le forze, e
neppure l'intenzione, di occupare e gestire tutta la Cina e in effetti, nella fase della loro massima
espansione, i territori occupati consistettero nel nord (Manciuria e regione di Pechino), nelle regioni e
città costiere e nella valle dello Yangtze, per il resto il proposito era la creazione di una serie di stati
fantoccio filogiapponesi. A causa dell'atteggiamento di superiorità tenuto dai nipponici e delle atrocità
(massacri di civili, campi di concentramento, utilizzo della popolazione come "cavia" per esperimenti
medici, lavoro forzato) commesse dall'esercito, l'amministrazione giapponese fu estremamente
impopolare. La Cina, dal canto suo, era completamente impreparata a una guerra totale, essendo
priva di un'industria pesante in grado di supportare lo sforzo bellico e con pochi mezzi corazzati e
veicoli per lo spostamento delle truppe. Fino alla metà degli anni trenta la Cina aveva sperato che la
Società delle Nazioni fosse in grado, e avesse l'intenzione, di proteggerla dall'espansionismo del
Giappone. In aggiunta a tutto ciò il governo nazionalista di Nanchino era maggiormente interessato al
confronto interno con il Partito comunista che alla difesa dell'integrità territoriale della Cina, in
proposito Chiang Kai-shek soleva affermare:

«I giapponesi sono un problema di pelle, i comunisti un problema di


cuore.»

Il Fronte Unito

La realizzazione di un fronte comune in funzione anti-giapponese, costituitosi già nel 1936, fu il


risultato delle pressioni sia dei comunisti guidati da Mao Zedong dietro la spinta dell'Unione Sovietica,
sia da una parte dei signori della guerra che vedevano nell'espansionismo nipponico un grave
pericolo per la loro stessa sopravvivenza. Sebbene i comunisti avessero costituito la Nuova Quarta
Armata e l'Ottava Armata di Marcia che erano nominalmente sotto il comando dell'esercito
nazionalista, il "fronte unito" non fu mai veramente unificato e ciascuna parte era pronta a cercare
vantaggi nel caso di una sconfitta giapponese. Tutti questi fatti costrinsero la Cina ad adottare una
strategia difensiva che aveva come primo obiettivo il preservare la propria forza militare evitando
quindi un confronto totale con l'invasore, confronto che avrebbe potuto essere considerato un
suicidio. Le tensioni tra nazionalisti e comunisti non cessarono mai del tutto ed ebbero momenti di
recrudescenza soprattutto nei territori dell'entroterra, meno esposti all'invasione nipponica. Partendo
dalle loro basi nel nord della Cina, i comunisti estesero il più possibile le zone sotto la loro influenza,
comportandosi come un vero e proprio Stato e applicando riforme amministrative e fiscali
principalmente a favore della classe contadina proletaria attuando vere e proprie confische delle
proprietà terriere. Con l'avvento del pieno potere a queste confische si aggiunse il massacro
sistematico dei "padroni", cui dovevano assistere inorridite e spaventate le popolazioni dei villaggi .
Alcune unità cinesi continuarono a resistere anche in condizioni di completo accerchiamento,
rendendo l'effettivo controllo del territorio molto difficoltoso per i giapponesi, che si ritrovarono
controllare effettivamente solo le città e le ferrovie, mentre le campagne erano spesso interessate alle
azioni di gruppi di partigiani diretti soprattutto dal partito comunista.
La prima fase della guerra
Dopo la caduta di Pechino l'8 agosto 1937, le truppe giapponesi furono costantemente rinforzate e
passarono dal 21 agosto alla guida del generale Hisaichi Terauchi, comandante della nuova Armata
regionale della Cina settentrionale; a settembre queste forze occuparono la città di Datong, nello
Shanxi e, dopo aver superato lo Huang Ho, avanzarono per 120 chilometri nello Hebei, tra Baoding e
il Mar Giallo. Subito dopo l'inizio dell'attacco giapponese Chiang Kai-shek comprese che per ottenere
lo sperato aiuto degli Stati Uniti e delle altre nazioni la Cina avrebbe dovuto mostrare di possedere
almeno una certa capacità di resistenza. Dato che una ritirata troppo rapida dalle zone costiere
avrebbe allontanato la possibilità di appoggio estero, Chang decise di tentare la difesa di Shanghai e
schierò le sue truppe migliori, le divisioni addestrate, organizzate e armate dagli istruttori tedeschi a
difesa dei principali centri industriali. La battaglia di Shanghai causò notevoli perdite su entrambi i
fronti e finì con la ritirata cinese verso Nanchino, che cadde in mano giapponese pochi mesi dopo. Fu
una battaglia durissima; i giapponesi dovettero mobilitare oltre 200 000 truppe dell'Armata di
spedizione di Shanghai, insieme a numerosi mezzi navali e aerei per conquistare la città dopo oltre
tre mesi di intensi combattimenti, le cui vittime superarono di gran lunga le previsioni iniziali.Per
quanto riguarda i difensori cinesi, se da un punto di vista militare fu una sconfitta, essa raggiunse i
suoi obiettivi politici mostrando al mondo la volontà della Cina di resistere. La battaglia, nonostante la
sua conclusione, ebbe quindi un effetto positivo sul morale dei cinesi, la cui capacità di resistenza era
stata di molto sottovalutata dai giapponesi che avevano affermato per scherno di essere in grado di
"...conquistare Shanghai in tre giorni e la Cina in tre mesi..".
Durante la fase di scontro frontale tra gli eserciti, fase che caratterizzò il primo periodo della guerra, i
cinesi ebbero in effetti solo un limitato numero di successi a fronte di numerose sconfitte, vittorie quasi
sempre ottenute grazie a una strategia di attesa. Il Giappone conquistò, durante le prime fasi dello
scontro, vaste porzioni di territorio: all'inizio del 1938, pertanto, il quartier generale a Tokyo sperava
ancora di consolidare quelle posizioni limitando l'ampiezza del conflitto nelle aree occupate intorno a
Shanghai, Nanchino e la maggior parte della Cina settentrionale, al fine di preservare le forze per una
resa dei conti anticipata con l'Unione Sovietica. Ma i generali nipponici che combattevano in Cina,
galvanizzati dai successi, intensificarono la guerra e vennero infine sconfitti a Taierzhuang. L'esercito
giapponese dovette allora cambiare strategia e concentrò quasi tutte le sue truppe, organizzate
nell'Armata di spedizione della Cina centrale, per attaccare la città di Wuhan, divenuta nel frattempo il
cuore politico, economico e militare della Cina, nella speranza di distruggere la capacità combattiva
dell'Esercito rivoluzionario nazionale (ERN) e di costringere il governo del Kuomintang a negoziare la
pace. Ma dopo la conquista della città di Wuhan il 20 ottobre 1938, il Kuomintamg si ritirò a
Chongqing per fondare una capitale provvisoria e rifiutò ancora di negoziare, a meno che i giapponesi
non accettassero un ritiro completo alle posizioni prima del 1937. I giapponesi reagirono con massicci
bombardamenti aerei su obiettivi civili in tutta la Cina non occupata (a cominciare dalla capitale
provvisoria di Chongqing), che causarono milioni di morti, feriti e senza tetto. All'inizio del 1939 i
cinesi ottennero importanti vittorie a Changsha e Guangxi, ma il tentativo di lanciare una
controffensiva su vasta scala l'anno successivo fallì a causa delle limitate capacità dell'industria
militare e della scarsa esperienza delle truppe. L'azione dell'esercito giapponese, d'altra parte,
rallentò notevolmente, anche a causa dell'allungamento delle linee di rifornimento che divennero
sempre più vulnerabili. La strategia cinese divenne allora quella di prolungare la guerra nell'attesa del
momento in cui le forze sarebbero state sufficienti per sconfiggere l'avversario in campo aperto. Le
truppe cinesi incominciarono ad applicare la tecnica della "terra bruciata" allo scopo di ritardare
l'avanzata nemica, distruggendo raccolti, dighe e argini in modo da provocare l'allagamento di vaste
porzioni di territorio. Anche le installazioni industriali vennero trasportate dalle zone costiere a città
dell'interno. L'Incidente di Tientsin dell'estate del 1939, con cui nazionalisti cinesi assassinarono
un'importante personalità giapponese, mise a rischio i rapporti tra Gran Bretagna e Giappone, ma fu
risolto in via diplomatica con la consegna alle forze di occupazione dei responsabili.
Lo stallo nella guerra e l'atteggiamento straniero

Nel 1940 la guerra entrò in una fase di stallo. Mentre il Giappone controllava la maggior parte delle
zone costiere, la guerriglia continuava nelle zone conquistate impedendo anche la loro espansione. Il
governo nazionalista, che nel frattempo, come già indicato, aveva spostato la sua capitale nella città
di Chongqing, ben all'interno del territorio ancora sotto il suo controllo, benché fosse formalmente
alleato nel "Fronte unito" con il Partito Comunista Cinese, che aveva le sue basi nello Shaansi,
preferiva conservare ciò che rimaneva del suo esercito, evitando quindi d'impegnarlo in battaglie
campali, nella previsione di un futuro confronto proprio con i comunisti. Gli eventi avevano dimostrato
che la Cina, con la sua scarsa capacità industriale e la limitata esperienza nella guerra moderna, non
era in grado di lanciare una controffensiva in grande stile nei confronti del Giappone. Chiang Kai-shek
non aveva certo intenzione di giocarsi il "tutto per tutto" rischiando il suo esercito male armato e
scarsamente addestrato, in un'azione che avrebbe potuto culminare in un'ulteriore sconfitta che lo
avrebbe lasciato indifeso sia verso i giapponesi, sia verso l'opposizione interna allo stesso
Kuomintang. Le truppe migliori erano state perse nella battaglia di Shanghai e ciò che ne restava
costituiva il perno su cui si reggeva il resto dell'esercito. D'altra parte il Giappone aveva sofferto di
perdite inaspettate a causa della resistenza interna nei territori conquistati e aveva grossi problemi di
amministrazione degli stessi, in quanto costretto a destinare una grossa parte delle sue truppe, e tutte
quelle collaborazioniste, all'attività di guarnigione, principalmente per proteggere le linee di
rifornimento. L'inizio della guerra in Europa e la caduta della Francia nel 1940, non ebbero alcun
riflesso sullo scenario cinese. Molti analisti militari avevano predetto che il Kuomintang non avrebbe
potuto resistere a lungo con la maggior parte delle industrie collocate nelle aree più popolose
conquistate o pericolosamente vicine alla linea del fronte e in assenza di sostanziali aiuti
internazionali, che nessuno sembrava voler fornire vista l'alta probabilità di tracollo della Cina e anche
per evitare uno scontro diretto con il Giappone. Negli anni trenta l'Unione Sovietica, la Germania e
l'Italia avevano fornito alla Cina un certo aiuto militare. L'Unione Sovietica, nel timore che il Giappone
potesse tentare l'invasione della Siberia, e quindi, in caso di guerra in Europa, di dover combattere su
due fronti, aiutò il governo nazionalista benché sperasse che il conflitto tra Cina e Giappone
permettesse al Partito Comunista Cinese di avere un maggior peso nello scacchiere cinese. Nel
settembre 1937 venne predisposta un'operazione segreta (Operazione Zet) avente lo scopo di fornire
al governo nazionalista sia esperti tecnici e militari, tra cui il generale Georgy Zhukov, sia materiale
bellico costituito da velivoli da caccia e bombardamento. L'Unione Sovietica inviò anche aiuti alle
unità comuniste almeno fino a quando il suo ingresso in guerra, nel 1941, non assorbì del tutto le
risorse disponibili. Per ottenere una guerra tra Cina e Giappone, Stalin attivò come agente comunista
il generale Zhang Zhi Zong, comandante della guarnigione Shanghai-Nanchino. Questi fece quanto in
suo potere per scatenare la guerra tra Cina e Giappone, che avrebbe tenuto lontano quest'ultimo dal
tentativo di entrare in Siberia, come Stalin temeva. Il generale Zhang Zhi Zong cercò inizialmente di
convincere Kiang a sferrare il primo colpo contro il Giappone, ma Kiang esitava conoscendo lo
strapotere militare giapponese. Il generale, su pressione dai russi, prese dunque l'iniziativa e
costrinse con fatti di guerra e con menzogne ad attivare Chiang Kai-shek che il 16 agosto 1937 diede
l'ordine di assalto generale contro le truppe giapponesi. Immediatamente Stalin si dette da fare per
fornire armi alla Cina e il 21 agosto firmò un patto di non aggressione con il governo di
Nanchino.Essendo Chiang Kai-shek apertamente anticomunista e confidando in una sconfitta finale
del Partito Comunista Cinese, la Germania fornì alla Cina nazionalista una grande quantità di armi e
di istruttori. Ufficiali appartenenti al Kuomintang, tra cui Chiang Wei-kuo, secondogenito di Chiang
Kai-shek, furono addestrati in Germania. Prima del 1939 la metà delle esportazioni tedesche di armi
riguardò la Cina. Comunque il progetto di 30 nuove divisioni addestrate e armate come quelle
tedesche non giunse mai a piena realizzazione, a causa dell'entrata del Giappone nell'Asse.
Ufficialmente Stati Uniti, Regno Unito e Francia rimasero neutrali riguardo al conflitto sino-giapponese
fino al 1941 (l'Attacco di Pearl Harbor). Dopo tale data fornirono materiale e personale per aumentare
le possibilità di resistenza della Cina Nazionalista. Dal 1933 anche l'Italia aveva sviluppato una
politica di sostegno al regime del Kuomintang, vendendo alcuni dei più moderni apparecchi da caccia
(Fiat C.R.42, Breda Ba.27, Savoia-Marchetti S.M.81) e altre forniture militari (quali i tankette CV33).
Da notare che lo stesso capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica cinese era un ufficiale italiano, ossia
il generale Roberto Lordi. L'Italia aveva offerto essenzialmente del supporto aereo sotto forma di
mezzi, istruttori e tecnici e, grazie a una società mista italo-cinese, incominciò a installare una
fabbrica aeronautica. Ma dopo l'adesione al Patto Anticomintern l'Italia si avvicinò al Giappone e fu
una delle poche nazioni a fornire armi, apparecchi (in particolare i bombardieri Fiat B.R.20 con relativi
istruttori) ed equipaggiamento all'esercito giapponese, ma in numero limitato, poiché l'Impero
nipponico era ampiamente autosufficiente nella produzione di armi. Seppur in maniera non ufficiale
l'opinione pubblica statunitense, che all'inizio degli anni trenta era stata favorevole al Giappone,
cominciò a orientarsi verso il Kuomintang, anche a causa delle notizie sul comportamento
dell'esercito giapponese nei confronti dei civili. Nell'estate del 1941 gli Stati Uniti permisero la
costituzione di un corpo di piloti volontari, detti poi le Tigri Volanti, dotati di velivoli di fabbricazione
statunitense, per potenziare la difesa aerea cinese. In effetti i volontari non entrarono in azione fino a
dopo lo scoppio delle ostilità tra Stati Uniti e Giappone. Un'altra azione anti-giapponese fu
l'inasprimento dell'embargo sull'acciaio e sul petrolio nei confronti del Giappone, azione questa che
convinse l'Impero del sol levante che gli Stati Uniti non avrebbero permesso ulteriori azioni militari nel
sud-est asiatico alla ricerca soprattutto di petrolio e che condusse all'Attacco di Pearl Harbor.
Effetti dell'occupazione giapponese

A partire dal 1940 il fronte rimase praticamente stabile: i cinesi erano riusciti a impedire la totale
occupazione del loro territorio e le azioni di resistenza nelle parti occupate tenevano le truppe
giapponesi in costante tensione logorandole lentamente e impedendo quindi l'organizzazione di
nuove e vaste offensive, sebbene fossero a loro volta incapaci di lanciare una vera e propria
controffensiva. La creazione della Repubblica di Nanchino, uno stato fantoccio nei territori cinesi
occupati, non sortì praticamente alcun effetto né sul piano politico né su quello militare; tale stato,
governato da una figura di spicco uscita dal Kuomintang, Wang Jingwei, non ottenne alcun
riconoscimento internazionale, al di fuori delle Potenze dell'Asse.Nel 1940 l'esercito comunista cinese
lanciò un'offensiva nel nord della Cina (Offensiva dei 100 reggimenti, agosto-dicembre 1940),
distruggendo un nodo ferroviario e facendo saltare un'importante miniera di carbone. Ciò frustrò
particolarmente l'esercito giapponese, che rispose con la politica dell'"uccidi tutti, depreda tutto, brucia tutto"
(三光政策, Sānguāng Zhèngcè, in giapponese Sankō Seisaku, cioè "politica dei tre tutto"). A partire da
questo momento le rappresaglie nei territori occupati s'intensificarono.
La seconda guerra mondiale

L'Attacco a Pearl Harbor del dicembre 1941, che coinvolse gli USA nel conflitto mondiale, modificò
anche la situazione del conflitto cinese, facendolo diventare parte del conflitto generale. Il governo
della Cina Nazionalista, che fino a quel momento aveva evitato di dichiarare apertamente guerra al
Giappone per non vedersi chiusi del tutto gli aiuti dagli USA (in base alla politica di neutralità),
formalizzò lo stato di guerra a partire dall'8 dicembre, il giorno dopo l'attacco. La prospettiva cambiava
completamente e da una strategia di sopravvivenza si passò a una strategia per una vittoria definitiva.
L'esercito nazionalista ricevette consistenti aiuti sotto forma di materiale e personale per
l'addestramento delle truppe e poté, in alcuni casi, passare all'offensiva. Forze cinesi presero parte
alla campagna della Birmania. Nel 1942 Chiang Kai-shek venne riconosciuto come comandante in
capo delle forze alleate in Cina, affiancato, per un certo tempo, dal comandante delle forze
statunitensi nel teatro di guerra Cina, Birmania, India, Joseph Stilwell nel ruolo di capo dello stato
maggiore. Le relazioni tra Stilwell e Chiang si deteriorarono velocemente a causa dell'inefficienza e
della corruzione che affliggevano il governo cinese. Stilwell criticò aspramente la condotta cinese
della guerra sia sui media sia presso il presidente USA Franklin Delano Roosevelt, ma la sua
speranza di ottenere il comando supremo delle truppe cinesi trovò la ferma opposizione di Chiang
Kai-shek. Il generale cinese era esitante, anche a causa delle gravissime perdite già subite dalla
Cina, a impegnare maggiormente le proprie forze in un conflitto che, al momento, non sembrava
indicare chiaramente chi sarebbe stato il vincitore. Gli alleati persero rapidamente quindi la fiducia
nella capacità cinese di condurre operazioni offensive in Asia e preferirono opporsi al Giappone
impiegando una strategia di confronto "isola per isola" nell'Oceano Pacifico. Lo scontro di interessi tra
Cina, USA e Regno Unito emerse chiaramente durante la guerra nel Pacifico. Il premier inglese
Winston Churchill si dimostrò riluttante a inviare nuove truppe in Indocina nel tentativo di riaprire la
strada della Birmania, ossia un corridoio attraverso l'Indocina appunto per far affluire rifornimenti alla
Cina i cui porti principali erano tutti in mano giapponese. Oltre alla prevedibile ostilità cinese verso la
politica del premier britannico, Europe first, anche le richieste di ulteriore impegno militare cinese nella
zona della Birmania vennero viste come un tentativo di usare la potenza cinese per difendere l'impero
coloniale inglese nel sud est asiatico e proteggere l'India da un possibile attacco giapponese. Chiang
Kai-shek era invece convinto che la Cina avrebbe dovuto usare le sue truppe per proteggere le basi
dei bombardieri statunitensi situate nel nordest del suo territorio, una strategia questa supportata
anche da Claire Chennault. Un ulteriore motivo di attrito tra Cina e Regno Unito fu l'appoggio cinese
all'indipendenza dell'India, posizione rimarcata in un incontro tra Chiang Kai-shek e il Mahatma
Gandhi nel 1942. L'interesse statunitense per il teatro cinese era principalmente nella
consapevolezza dell'alto numero di truppe giapponesi che questo impegnava e dalla possibilità di
posizionare in territorio cinese basi aeree. Nel 1944, quando già la situazione del Giappone aveva
cominciato a deteriorarsi, il Giappone lanciò una vasta operazione, operazione Ichigo, per attaccare
appunto le basi aeree che avevano cominciato a essere operative. Questa operazione portò
all'occupazione del Hunan, del Henan e dello Guangxi. Nell'ultima fase della guerra il Giappone prese
in considerazione di ritirare parte delle truppe schierate in Cina per affrontare gli USA, ma l'unico
effetto di questo intendimento fu lo spostamento dell'armata del Guandong, operazione che finì per
facilitare l'avanzata delle truppe dell'Unione Sovietica dopo la sua entrata in guerra contro il Giappone
l'8 agosto 1945. Nel 1945 venne messo a punto un piano congiunto tra Cina e USA per liberare del
tutto il territorio occupato dal Giappone, ma l'intervento dell'Unione Sovietica (Operazione tempesta
d'Agosto) e la resa del Giappone con la conseguente fine della guerra non permisero di renderlo
operativo.
La fine della guerra

Il 9 agosto del 1945, dopo lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l'Unione
Sovietica denunciò il suo patto di non aggressione con il Giappone e attaccò i nipponici in Manciuria
conseguentemente agli accordi presi a Jalta che prevedevano tale azione entro tre mesi dalla fine
della guerra in Europa. Gli accordi di Jalta prevedevano anche di firmare un trattato con Chiang Kai-
shek, ma esso non fu mai stipulato, poiché era intenzione di Stalin occupare quanto più territorio
possibile per sostenere la causa di Mao Zedong. L'attacco sovietico fu portato da tre gruppi di armate,
che in meno di due settimane distrussero l'esercito giapponese del Kwantung, forte di un milione di
uomini, ma carente di adeguato equipaggiamento. Queste truppe si fermarono in Manciuria per dei
mesi, creando nella popolazione cinese lo stesso risentimento verso i giapponesi per le nefandezze
eseguite.Questa rotta, unita al lancio delle bombe atomiche sulle cittadine giapponesi di Hiroshima e
Nagasaki, portò il Giappone alla capitolazione nell'agosto 1945. Le truppe giapponesi in Cina si
arresero ufficialmente il 9 settembre 1945 e concordemente agli accordi del Cairo del 1943 la
Manciuria, Taiwan e le isole Pescatores, oltre ovviamente a tutto il territorio cinese occupato dopo il
1936, ritornarono sotto la sovranità cinese. Solamente le isole Ryūkyū rimasero assegnate al
Giappone.
Le tre fasi del conflitto

Nel complesso la seconda guerra sino-giapponese può essere suddivisa, dal punto di vista strategico,
in tre periodi.
● Prima fase: 7 luglio 1937 (battaglia del Ponte di Marco Polo) - 25 ottobre 1938 (caduta di
Hankou). In questo periodo il concetto chiave della difesa cinese è "spazio in cambio di tempo"
(以空間換取時間). In pratica l'esercito cinese cercò di rallentare l'avanzata giapponese verso le
città industriali del nord-est in modo da permettere di smontare le industrie per ritirarle verso il
Chongqing, ove ricostruire una base produttiva.
● Seconda fase: 25 ottobre 1939 - luglio 1944. In questa lunga fase della guerra la strategia
cinese fu quella di colpire l'avversario attraverso azioni improvvise miranti a tagliare le
linee di rifornimento giapponesi, bloccando così anche eventuali manovre offensive. Un
esempio di questa tattica può essere esemplificata nella difesa di Changsha, attaccata
numerose volte senza successo.
● Terza fase: luglio 1944 - 15 agosto 1945. Questo periodo corrisponde a quello del
contrattacco generale mirante alla completa liberazione del territorio cinese.

Conseguenze

Nel 1945 la Cina uscì dalla seconda guerra mondiale facendo parte, almeno nominalmente, del
gruppo delle grandi potenze che l'avevano vinta benché la nazione fosse prostrata da una grave crisi
economica e travagliata di fatto dalla guerra civile. L'economia, messa in crisi dalla guerra, entrò in
una grave spirale inflazionistica anche a causa delle attività speculative di molti membri del governo
nazionalista, e subì ulteriori colpi a causa di fenomeni naturali aggravati dalla mancata manutenzione
del sistema idrico della valle del Fiume Giallo, il cui straripamento provocò ulteriori milioni di profughi
e condizioni di vita precarie in molte regioni. Gli accordi di Jalta del febbraio 1945, che prevedevano
l'ingresso delle truppe sovietiche in Manciuria, furono presi con l'assenso del governo nazionalista
che sperava così di diventare l'unico interlocutore cinese del governo di Mosca. Al termine della
guerra l'Unione Sovietica, sempre secondo gli accordi di Jalta, stabilì una sua sfera d'influenza sulla
Manciuria, smantellando e trasportando sul proprio territorio più della metà delle industrie lasciate dai
giapponesi. La presenza sovietica nel nordest della Cina permise al Partito Comunista Cinese una
grande libertà di movimento e anche di armamento, utilizzando ciò che i giapponesi avevano
abbandonato dopo la resa. La guerra lasciò il governo nazionalista indebolito e scarsamente
popolare, mentre rafforzò il Partito Comunista sia dal punto di vista militare sia come popolarità. Nelle
"zone liberate" Mao Zedong fu abile nell'applicare i principi del marxismo-leninismo alla particolare
situazione cinese. Egli e i quadri dirigenti del partito si proposero alla guida delle masse contadine
vivendo in mezzo a loro, mangiando lo stesso cibo e cercando di pensare alla stessa maniera. A
queste tattiche si unirono anche campagne di indottrinamento politico, di alfabetizzazione e di
coercizione nei confronti delle classi "agiate". L'Esercito di Liberazione Popolare si costruì
un'immagine di fiero combattente della "guerriglia" in difesa del popolo cinese. Per tutto il periodo
della guerra il Partito Comunista Cinese continuò a rafforzarsi soprattutto nelle "aree liberate"
passando dai 100 000 membri del 1937 a 1 200 000 del 1945. Queste furono le condizioni che
permisero a Mao Zedong, ormai capo indiscusso del partito, di portarlo nel 1949, alla vittoria nella
guerra civile costringendo il governo nazionalista a rifugiarsi nell'isola di Taiwan. Le vicende della
guerra rimangono il maggior problema nelle relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone. Da una parte
la Cina accusa il Giappone, e spesso il suo governo, di cercare di "cancellare" la memoria
dell'aggressione e delle azioni contrarie alle convenzioni belliche commesse da alcune unità
giapponesi in Cina (Unità 731), dall'altra si accusa il governo cinese di enfatizzare il ruolo avuto dal
Partito Comunista nella guerra. Il secondo conflitto sino-giapponese durò 97 mesi e 3 giorni (calcolati
dal 1937 al 1945.

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