Sei sulla pagina 1di 5

BLOG - VOCI FUORI DAL CORO

IL DIBATTITO SUL 41 BIS. IN BREVE. (8.2.2023)

R. RAPACCINI – LÌLÌ MARLENE (2017 - NIZZA, COLLEZIONE PRIVATA - TECNICA MISTA)

***
1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
L’opinione pubblica, condizionata dalle consuete strumentalizzazioni
politiche, è attualmente divisa sulla necessità di mantenere in vigore
l’art. 41 bis della legge 354/1975, relativa all’ordinamento
penitenziario, o di riformarne (o abrogarne) il contenuto.
Il caso è stato sollevato con riferimento al rigoroso regime carcerario a
cui è sottoposto il militante anarchico Alfredo Cospito, condannato per
gravi delitti di matrice eversiva, attualmente molto malato.

1
Premesso che personalmente sono a favore del mantenimento dell’art.
41 bis nella corrente formulazione istitutiva del cosiddetto carcere duro,
cercherò di esporre con intento neutrale le motivazioni a sostegno delle
due tesi.
L’art. 41 bis è stato introdotto dall’art. 10 della legge n. 663/1986
(Modifiche alla legge sull'Ordinamento Penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà) che ha prescritto che
dopo l'art. 41 venisse inserito un articolo (l’art. 41 bis) che prevedesse
che in casi eccezionali di rivolta o in altre gravi situazioni di emergenza
non risolvibili con i mezzi ordinari messi a disposizione
dall’ordinamento, il Ministro di Grazia e Giustizia (oggi Ministro della
Giustizia) avesse la facoltà di sospendere nell'istituto carcerario
interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di
trattamento dei detenuti.
Trattandosi di provvedimenti eccezionali, la sospensione - motivata
dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza – può durare solo
il tempo strettamente necessario al conseguimento del fine.
Come specificato dalla norma, il potere di decidere l’applicazione del
dispositivo restrittivo non compete all’ordine giudiziario ma al potere
esecutivo (ovvero al Ministro della Giustizia che ne valuta la congruità
e provvede con discrezionalità motivata).
La disposizione in origine era limitata alla necessità di fronteggiare casi
di rivolta o gravi situazioni di emergenza.
Gli interventi legislativi successivi hanno ampliato l’applicazione
dell’istituto giuridico modificandone il contenuto, e rendendo così
possibile la sua stensione agli autori di gravi reati di criminalità
organizzata, mafiosa, terroristica o eversiva, come strumento
preventivo e quindi di sicurezza.
In particolare il contrasto della criminalità organizzata in questo caso
si realizza prevedendo un rigoroso regime carcerario - conforme a
quanto autorizzato dalla norma - articolato in maniera tale da

2
neutralizzare la pericolosità dei detenuti che siano in grado di
continuare a delinquere, in virtù della possibilità di mantenere in
carcere in qualche modo legami con le associazioni criminali di
appartenenza, esercitando, ad esempio, un ruolo di comando
impartendo ordini agli associati in libertà.
In concreto quindi il regime carcerario legittimato dall’art.41 bis ha il
fine di isolare il detenuto evitando le occasioni di contatto tra i detenuti
e l’esterno e tra gli stessi detenuti, reprimendo così le potenzialità
criminali che permangono malgrado la detenzione.
Per i boss mafiosi solo l’isolamento ha un effetto realmente afflittivo:
rientra infatti in una prevista e tollerata normalità trascorrere periodi
in carcere se le condizioni della detenzione consentono di mantenere i
legami criminali, mentre hanno carattere realmente ‘restrittivo’ le
misure che assicurano concretamente l’isolamento e impediscano di
dare effettività ai vincoli associativi, ovvero non consentano al detenuto
di gestire l’organizzazione criminale.
Fatta questa premessa possono essere analizzate criticamente in sintesi
per linee generali le opposte posizioni che animano il dibattito.

2. LA TESI ‘CONTRARIA’ ALL’ART. 41 BIS.


Chi si oppone all’articolo 41 bis censura l’estrema severità della misura,
affermando che l’istituto del carcere duro è integrato da restrizioni
particolarmente incidenti su incomprimibili diritti fondamentali della
persona, la cui tutela costituisce un obbligo inderogabile dello Stato
anche quando i destinatari sono pericolosi criminali.
In proposito la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è intervenuta più
volte in singoli casi per contestare la violazione della Convenzione.
La Corte Costituzionale invece in alcune sentenze ha censurato la
sostanziale assenza di attività rieducative, impossibili in un contesto di
protratto e rigoroso isolamento.
Inoltre la nozione di carcere duro, ormai recepita comunemente come

3
sinonimo del regime detentivo previsto dall’applicazione dell’articolo
41-bis, alimenta il rischio che si adottino misure attuative che vadano
oltre quanto sia indispensabile per garantire la sicurezza, o siano
sproporzionate rispetto al fine da perseguire (ad esempio possono
essere ricompresi in questo ambito divieti che riguardano la lettura o la
consultazione di libri, o che limitano l’accesso a fonti mediatiche di
informazione).
Gli oppositori della normativa ricordano infatti che solo i
provvedimenti adeguati e direttamente correlati alla necessità di
impedire i contatti e i collegamenti del detenuto con l’organizzazione
criminale esterna possono essere giustificati e in ogni caso solo fino a
quando questo pericolo sussiste.
Diversamente l’art. 41 bis prevederebbe misure il cui rigore è eccessivo
e non proporzionato al fine da perseguire.

3. LA TESI ‘FAVOREVOLE’ ALL’ART. 41 BIS.


Chi sostiene la piena legittimità della norma e l’opportunità del suo
mantenimento nell’attuale formulazione precisa che i presunti caratteri
illiberali della misura sono stati ripetutamente oggetto di attenzione
della Corte Costituzionale che, più volte chiamata a pronunciarsi sulla
legittimità della disciplina sotto diversi profili giuridici, ha già rimosso
le disposizioni di dubbia costituzionalità, convenendo sull’utilità
dell’art. 41 bis nel contrasto al fenomeno mafioso (fissando tuttavia dei
paletti di costituzionalità, entro i quali l’Amministrazione penitenziaria
si è poi mossa nel dare applicazione all’istituto).
Le indicazioni della Corte costituzionale sono state poi completamente
recepite dalle leggi di riforma n. 279/2002 e n. 94/2009.
Per quanto riguardale le misure applicative dell’art. 41 bis reputate in
alcuni casi eccessivamente rigorose e apparentemente non correlate alla
finalità dell’istituto (ovvero quella di spezzare i legami fra il detenuto e
l’associazione criminale di appartenenza), si tratta di strumenti volti a

4
rafforzare nel detenuto la consapevolezza afflittiva del suo isolamento e
quindi necessarie integrazioni del complessivo dispositivo.

Naturalmente da un punto di vista tecnico-giuridico il dibattito fra gli


esperti della materia è più complesso.
Roberto Rapaccini

http://rassegnainternet.blogspot.com/

***

Potrebbero piacerti anche