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1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
L’opinione pubblica, condizionata dalle consuete strumentalizzazioni
politiche, è attualmente divisa sulla necessità di mantenere in vigore
l’art. 41 bis della legge 354/1975, relativa all’ordinamento
penitenziario, o di riformarne (o abrogarne) il contenuto.
Il caso è stato sollevato con riferimento al rigoroso regime carcerario a
cui è sottoposto il militante anarchico Alfredo Cospito, condannato per
gravi delitti di matrice eversiva, attualmente molto malato.
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Premesso che personalmente sono a favore del mantenimento dell’art.
41 bis nella corrente formulazione istitutiva del cosiddetto carcere duro,
cercherò di esporre con intento neutrale le motivazioni a sostegno delle
due tesi.
L’art. 41 bis è stato introdotto dall’art. 10 della legge n. 663/1986
(Modifiche alla legge sull'Ordinamento Penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà) che ha prescritto che
dopo l'art. 41 venisse inserito un articolo (l’art. 41 bis) che prevedesse
che in casi eccezionali di rivolta o in altre gravi situazioni di emergenza
non risolvibili con i mezzi ordinari messi a disposizione
dall’ordinamento, il Ministro di Grazia e Giustizia (oggi Ministro della
Giustizia) avesse la facoltà di sospendere nell'istituto carcerario
interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di
trattamento dei detenuti.
Trattandosi di provvedimenti eccezionali, la sospensione - motivata
dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza – può durare solo
il tempo strettamente necessario al conseguimento del fine.
Come specificato dalla norma, il potere di decidere l’applicazione del
dispositivo restrittivo non compete all’ordine giudiziario ma al potere
esecutivo (ovvero al Ministro della Giustizia che ne valuta la congruità
e provvede con discrezionalità motivata).
La disposizione in origine era limitata alla necessità di fronteggiare casi
di rivolta o gravi situazioni di emergenza.
Gli interventi legislativi successivi hanno ampliato l’applicazione
dell’istituto giuridico modificandone il contenuto, e rendendo così
possibile la sua stensione agli autori di gravi reati di criminalità
organizzata, mafiosa, terroristica o eversiva, come strumento
preventivo e quindi di sicurezza.
In particolare il contrasto della criminalità organizzata in questo caso
si realizza prevedendo un rigoroso regime carcerario - conforme a
quanto autorizzato dalla norma - articolato in maniera tale da
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neutralizzare la pericolosità dei detenuti che siano in grado di
continuare a delinquere, in virtù della possibilità di mantenere in
carcere in qualche modo legami con le associazioni criminali di
appartenenza, esercitando, ad esempio, un ruolo di comando
impartendo ordini agli associati in libertà.
In concreto quindi il regime carcerario legittimato dall’art.41 bis ha il
fine di isolare il detenuto evitando le occasioni di contatto tra i detenuti
e l’esterno e tra gli stessi detenuti, reprimendo così le potenzialità
criminali che permangono malgrado la detenzione.
Per i boss mafiosi solo l’isolamento ha un effetto realmente afflittivo:
rientra infatti in una prevista e tollerata normalità trascorrere periodi
in carcere se le condizioni della detenzione consentono di mantenere i
legami criminali, mentre hanno carattere realmente ‘restrittivo’ le
misure che assicurano concretamente l’isolamento e impediscano di
dare effettività ai vincoli associativi, ovvero non consentano al detenuto
di gestire l’organizzazione criminale.
Fatta questa premessa possono essere analizzate criticamente in sintesi
per linee generali le opposte posizioni che animano il dibattito.
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sinonimo del regime detentivo previsto dall’applicazione dell’articolo
41-bis, alimenta il rischio che si adottino misure attuative che vadano
oltre quanto sia indispensabile per garantire la sicurezza, o siano
sproporzionate rispetto al fine da perseguire (ad esempio possono
essere ricompresi in questo ambito divieti che riguardano la lettura o la
consultazione di libri, o che limitano l’accesso a fonti mediatiche di
informazione).
Gli oppositori della normativa ricordano infatti che solo i
provvedimenti adeguati e direttamente correlati alla necessità di
impedire i contatti e i collegamenti del detenuto con l’organizzazione
criminale esterna possono essere giustificati e in ogni caso solo fino a
quando questo pericolo sussiste.
Diversamente l’art. 41 bis prevederebbe misure il cui rigore è eccessivo
e non proporzionato al fine da perseguire.
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rafforzare nel detenuto la consapevolezza afflittiva del suo isolamento e
quindi necessarie integrazioni del complessivo dispositivo.
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