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Insegnamento: Diritto Amministrativo

Docente: Prof. Franco Sciarretta

I privati esercenti attività amministrative


L’esercizio di funzioni amministrative da parte dei privati.

Nell’ambito del processo di sistemazione del diritto amministrativo, l’impossibilità di


configurare atti amministrativi emanati da soggetti privati era un punto fermo della
scienza giuridica (Ranelletti, Amorth, voce Atti amministrativi, in Nuovo dig. it., 1937,
ora in Scritti, Napoli, 1992, 714). Parimenti, sul fronte processuale era pacifica la
convinzione che per aversi un rapporto di diritto amministrativo – che, in caso di
controversia, consentiva l’esperimento dei rimedi di giustizia amministrativa e radicava
la giurisdizione del giudice amministrativo – occorreva che almeno una delle parti
fosse la pubblica amministrazione (Forti, Diritto amministrativo. Parte generale, vol. III,
Napoli, 1945, 58). Le teorie dell’organo indiretto (Zanobini), della sostituzione (Miele) e
del munus publicum (Giannini) furono gli strumenti attraverso i quali si cercò di
giustificare il fenomeno in un sistema fondato sulla posizione di supremazia dello Stato
e degli altri enti pubblici. Sistema che attribuiva agli atti e provvedimenti amministrativi
i caratteri dell’autoritatività e imperatività in quanto promananti da un’autorità
amministrativa (c.d. concezione soggettiva del potere). In tale contesto, ai privati si
negava la titolarità di potestà pubbliche a carattere autoritativo (Giannini), giungendosi
anche ad escludere che il fenomeno potesse configurare un istituto giuridico unitario
(Satta).

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La caduta del monopolio dell’esercizio del potere
amministrativo in capo alle persone giuridiche pubbliche.

Le trasformazioni intervenute nel diritto amministrativo hanno fatto si che


l’esercizio privato di pubbliche funzioni non costituisca più un fenomeno
eccezionale, ma sia divenuto uno strumento ordinario per la cura di
interessi pubblici (Franchini, L’organizzazione, in Trattato di diritto
amministrativo, a cura di Cassese, Milano, 2003, I, 251). Parte della
dottrina è pervenuta a riconoscere una sostanziale fungibilità tra soggetti
privati e pubblici, mettendosi in crisi la concezione soggettiva del potere
amministrativo, secondo la quale la provenienza degli atti amministrativi
ne determinava la qualificazione autoritativa . Anche nella giurisprudenza
era principio acquisito che “l’ordine di un’autorità amministrativa
costituisce sempre, in via di massima, l’espressione di una potestà di
diritto pubblico dell’amministrazione, ed anzi rappresenta l’espressione
tipica dello imperi amministrativo, da cui il privato resisti non potest”
(Cons. Stato, IV, 27 luglio 1937, in Giur. it., 1938, III, 1).

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L’art. 1, comma 1 ter, l. n. 241 del 1990.

L’art. 1, comma 1 ter, l. n. 241/1990 – introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n.


2005 – dispone che i privati preposti all’esercizio di attività amministrative
debbono osservare i principi e i criteri fissati dal comma 1 sempre della l.
241/1990, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le
pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni previste dalla medesima
legge (l’ultimo inciso è stato introdotto dall’art. 1, comma 37, l. 6 novembre 2012,
n. 190). In base a questa disposizione, l’esercizio di funzioni amministrative da
parte di soggetti privati è divenuto un istituto di diritto positivo ascritto ai principi
generali dell’azione amministrativa. Soggetti privati, pertanto, possono essere
titolari di funzioni amministrative proprie e non più solo esercitare funzioni di cui
altri soggetti pubblici siano titolari. Parte della dottrina dubita della possibilità di
attribuire a privati l’esercizio di poteri discrezionali (Casetta, Provvedimento e atto
amministrativo, in Dig. disc. pubbl., 247), mentre altra parte ammette la
possibilità di conferire ai privati sia poteri autoritativi, sia poteri discrezionali
(Marzuoli, Note in punto di vizi dell’atto amministrativo del soggetto privato, in
Studi in onore di Alberto Romano, Napoli, 2011, vol. I, 542).

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L’art. 7, comma 2, C.p.a.

La titolarità in capo a privati di funzioni amministrative in luogo di pubbliche


amministrazioni trova conferma nell’art. 7, comma 2, del Codice del processo
amministrativo (d.lgs. 104/2010). Secondo questa disposizione, per “pubbliche
amministrazioni” devono intendersi anche i soggetti ad esse equiparati o
comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. In tale
nozione, sono ricompresi tutti I soggetti privati titolari, a vario titolo, di funzioni
amministrative, in considerazione della loro soggezione ai principi del
procedimento amministrativo. Ciò comporta l’impugnabilità dinanzi al giudice
amministrativo di atti (oggettivamente) “amministrativi” emessi da soggetti privati,
il cui sindacato è devoluto alla giurisdizione di legittimità (e non già a quella
esclusiva di cui all’art. 133 c.p.a.) del giudice amministrativo.
Nell’ambito delle attività amministrative svolte dai privati, si fanno rientrare sia
quelle esercitate dai privati tenuti al rispetto delle regole di evidenza pubblica, sia
quelle destinate a concludersi con l’adozione di un provvedimento finale. Discussa
è l’attribuzione ai privati delle potestà pubbliche di certazione nell’ambito di
applicazione dell’art. 1, comma 1 ter, l. 241/1990.

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I soggetti privati rintranti nell’ambito di applicazione dell’art.
1, comma 1 ter, l. 241/1990.

I soggetti privati cui può essere conferita la titolarità di funzioni amministrative sono quelli
“veramente” privati, cioè estranei all’organizzazione pubblica complessivamente intesa (Cerulli
Irelli, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 35 ss.). In questa formula non
rientrano soltanto le amministrazioni pubbliche (“i pubblici uffici”) di cui all’art. 97 Cost. e
all’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ma anche le organizzazioni pubbliche in
forma privatistica (associazioni, fondazioni e società per azioni o altre società commerciali)
deputate all’esercizio di compiti di amministrazione. Sono enti che hanno forma giuridica
privatistica, ma sostanza pubblicistica e, come tali, sono considerati parte integrante
dell’organizzazione pubblica (Cons. Stato, sez. VI, sent. 6014/2012). Nel novero delle società
commerciali rientrano sia quelle deputate all’esercizio dell’attività di impresa (imprese
pubbliche), sia quelle che - pure avendo la forma organizzativa di società commerciali –
svolgono compiti di amministrazione pubblica, di carattere non imprenditoriale. La definizione
dell’ambito soggettivo di applicazione delle misure volte al contenimento della spesa pubbica è
affidata dall’art. 1, comma 5, l. 30 dicembre 2004, n. 311 alla ricognizione effettuata
annualmente dall’ISTAT sulla base di parametri fissati dal Sistema europeo dei conti
(regolamento Sec. 95, n. 2223/96). In tal modo sono individuati gli enti da ascrivere al settore
pubblico, che assume valenza non soltanto statistica e contabile.

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