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Lamberto Ippolito

La Cupola di Santa Maria del Fiore.


Sintesi della lezione. Roma2 Tor Vergata, 10 marzo 2009.

1. La Cupola di Santa Maria del Fiore ha rappresentato nel tempo il più immediato ed
esaltante segno di identificazione di Firenze. Il suo forte messaggio simbolico, ancora
oggi intatto, aveva trovato un testimone di eccezione in Leon Battista Alberti (De
Pictura, Edizione 1435), allorché nel celebrare Filippo Brunelleschi, primario artefice
della costruzione, aveva espresso la sua meraviglia per le dimensioni smisurate di una
cupola tanto “ampla da coprire con sua ombra tutti i popoli toscani”.
La realizzazione della cupola rappresenta la conclusione del lungo iter costruttivo
della cattedrale fiorentina, avviato l’8 settembre 1296 su disegno di Arnolfo di
Cambio, in sostituzione dell’antica cattedrale di S. Reparata, non più adeguata al
prestigio politico ed economico della città. Pur in mancanza di testimonianze
documentarie sul primitivo progetto arnolfiano, la critica storica è concorde nel
riconoscere in esso i principali caratteri dell’impianto definitivo, sinteticamente
espresso da un “modello composito”, risultante dalla connessione di un corpo
“basilicale” a tre navate con un ampio settore presbiteriale a “pianta centrale”. La
cupola costituisce il complemento del nucleo spaziale centrale della cattedrale e, allo
stesso tempo, si propone come primario elemento di coronamento dell’intero
organismo architettonico.
L’analisi storica accredita l’idea di un iter costruttivo della cattedrale non sempre
lineare, caratterizzato da momenti di intenso lavoro ma anche da momenti di stasi
principalmente dovuti alle difficoltà di reperimento dei finanziamenti e alla necessità
di revisioni, talvolta sostanziali, del progetto iniziale. Il modello della cattedrale
rappresentato da Andrea Bonaiuto in un affresco del Cappellone degli Spagnoli in
Santa Maria Novella (1366-69) può essere indicativo di una concezione dell’opera
non ancora approdata allo stadio definitivo, poco prima che il comitato degli “otto
maestri e dipintori” deliberasse con un provvedimento coraggioso un ampliamento
delle dimensioni della cattedrale e, di conseguenza, della cupola. Il modello di
riferimento della cupola viene in quest’occasione fissato nella forma di “padiglione
ottagonale estradossato”, con luce mediana interna di 72 braccia (42.05 m) e altezza
tra pavimento e intradosso della chiave di volta di 144 braccia (84.10 m). La
diagonale interna dell’ottagono di base della cupola raggiunge dunque il valore di 77
braccia (44.97 m), dimensione esaltante quanto temibile per il comportamento statico
della struttura e, programmaticamente, superiore alla dimensione del diametro interno
della cupola del Pantheon (43.30).
Nel secondo decennio del ‘400, allorché si approssima il momento del definitivo
completamento della cattedrale, il confronto tra gli operatori si concentra sulle
modalità tecniche di costruzione della cupola; i provvedimenti già adottati o previsti
chiariscono gli aspetti formali e dimensionali dell’opera, non ancora gli aspetti
costruttivi. E’ chiaro il fatto che la cupola, a partire da un livello di imposta di 53.85
m, dovrà svilupparsi nell’elevato con un profilo a “sesto acuto”, depurata dalle non
più attuali decorazioni scultoree della versione trecentesca, e soprattutto libera da
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contrafforti per il contenimento delle spinte laterali. Questa volontà di
semplificazione dell’immagine comporta il fatto che ogni necessità statica sia risolta
nella compagine muraria della cupola, evitando di intaccarne la purezza del disegno
con elementi accessori esterni.
A partire dal 1417 l’Opera del Duomo, l’Ente a cui il Governo fiorentino aveva sin
dall’inizio affidato il compito di promuovere e controllare le fasi della costruzione
della cattedrale, finanzia studi, disegni, modelli inerenti la cupola; un concorso di
idee (1418) ha lo scopo di raccogliere indicazioni sulle tecniche costruttive più
indicate allo scopo, sulle opere provvisionali (ponteggi, armature di sostegno,
centine), sulle macchine di cantiere. Una gara successiva (1420), questa volta
riservata ad una selezionata cerchia di operatori, porta in definitiva alla definizione
del “Programma” costruttivo per l’avvio dei lavori, non prima però di aver verificato
la fondatezza di alcune proposte con la costruzione di modelli sperimentali. In questa
fase si definiscono modalità operative, aspetti procedurali e competenze individuali;
Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, con il contributo per l’assistenza in cantiere
di Battista d’Antonio, sono chiamati, in qualità di “provveditori”, a sovrintendere
all’andamento dei lavori, accertandosi che lo sviluppo dell’opera segua le indicazioni
testuali del “Programma”.
La lettura di questo documento, riassuntivo in ogni dettaglio dei caratteri formali,
tipologici, dimensionali dell’opera, è ancora oggi utile per comprendere e identificare
le parti costitutive della cupola. Altre informazioni in merito possono essere ricavate
dalla documentazione di cantiere conservata presso l’archivio dell’Opera di Santa
Maria del Fiore, necessaria soprattutto per identificare le parti costruite in deroga al
“Programma” iniziale, ma anche ricca di notizie sulla tempistica degli interventi,
sulle forniture dei materiali, sulle competenze delle maestranze.
2. La cupola trova il suo diretto supporto nel tamburo (alto di 13.0 m), il cui sviluppo
ottagonale della muraglia (con spessore di 5.0 m) risulta interrotto nella mezzeria di
ogni faccia da aperture (occhi), funzionali all’illuminazione del vano presbiteriale. La
cupola segue lo sviluppo verticale del tamburo articolandosi in otto vele cilindriche,
saldate esternamente da costoloni marmorei. Questi convergono con profilo arcuato
in corrispondenza del piano della lanterna, proponendo nel loro sviluppo un netto
contrasto cromatico con il colore rosso del rivestimento laterizio delle vele.
Internamente l’imposta della cupola corrisponde all’incirca con il livello del ballatoio
di coronamento del tamburo, posto all’altezza di 53.85 m dal piano terra. Nello
sviluppo del settore iniziale la cupola è a parete piena, per poi suddividersi in due
calotte all’altezza di 3.50 m dal piano di imposta; tra la calotta interna, con spessore
di 2.20 m, e l’esterna, di 0.90 m, è ricavata un’intercapedine, larga 1.20 m, ove
trovano posto il percorso di risalita e, a quattro diversi livelli, percorsi orizzontali
anulari.
L’insieme delle due calotte risulta irrigidito da otto sproni angolari e da sedici sproni
mediani, questi ultimi in numero di due per ogni vela. Ogni sprone angolare, inoltre,
risulta collegato agli adiacenti sproni mediani con un sistema di archi orizzontali.
Questa strutturazione, nascosta sia all’interno che all’esterno del vano cupolato, si
presenta solo per tratti limitati alla vista di un osservatore attento situato
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nell’intercapedine tra le due calotte. E’ interessante rilevare che il disegno
dell’insieme è sottoposto ad un controllo geometrico assoluto: le direzioni di
orientamento degli sproni convergono nel centro teorico del grande vano ottagonale;
la loro sezione diminuisce con lo sviluppo in altezza con il conseguente vantaggio di
un progressivo alleggerimento della struttura.
La chiave di volta della cupola, il cosiddetto serraglio, costituisce l’elemento di
connessione tra cupola e lanterna; ingloba il pozzo di quest’ultima, via privilegiata
per l’ingresso della luce nello spazio interno cupolato. Alla vista dal basso il cono di
luce che si proietta dall’oculo centrale acquista una forte connotazione simbolica.
La costruzione della lanterna, terminata nel 1472, è conseguente a un nuovo progetto
approntato da Brunelleschi nel 1436, a seguito di uno specifico concorso. Questo
settore conclusivo, a partire dal piano d’imposta a quota 89.50 m, si sviluppa in forma
di tempietto ottagonale, coronato da una cuspide dal profilo esterno mistilineo, su cui
è infissa la palla di rame dorato con la soprastante croce.
3. La descrizione delle parti costitutive della cupola, così come può essere
interpretata dalla lettura del “Programma”, lascia irrisolti alcuni punti fondamentali
per la realizzazione dell’opera, soprattutto in relazione alle modalità di costruzione
“senza alcuna armatura”, cioè senza il temporaneo ausilio di una struttura lignea di
appoggio, su cui fare affidamento per la statica della struttura prima della chiusura
finale con la chiave di volta (serraglio). La decisione di procedere secondo questa
modalità viene presa a seguito di un aperto confronto che, in definitiva, vede
prevalere l’innovativa tesi brunelleschiana di una cupola autoportante. L’assenza di
precedenti e l’eccezionalità dell’opera consigliano, tuttavia, di avviare l’opera anche
senza comprovate rassicurazioni, rimandando ogni decisione ai responsabili del
cantiere nel momento in cui i problemi verranno a porsi in tutta la loro evidenza. Si
ha fiducia che l’esperienza maturata nella fase iniziale possa fornire elementi di
giudizio utili a concludere l’opera.
Tra gli accorgimenti strutturali già previsti in partenza si segnalano elementi in legno,
altri in ferro ed altri in pietra macigno, disposti in forma di cerchiature a più livelli,
soprattutto lungo lo sviluppo perimetrale della calotta interna. Questi dispositivi,
denominati comunemente “catene”, hanno lo scopo di contrastare le tensioni di
trazione attive longitudinalmente nei paralleli murari, realizzando quel grado di
sicurezza che nella prassi costruttiva del momento era svolto da strutture di rinfianco
e da contrafforti.
Se per le catene di legno verrà in corso d’opera valutata l’inefficacia, tanto da
realizzarne soltanto una, molte energie saranno profuse per la messa a punto delle tre
catene di macigno, costituite da elementi lapidei (lunghi fino a 2.20 m) disposti in
sequenza longitudinale e collegati tra loro con staffe metalliche. La presenza nella
struttura muraria delle catene in ferro non è oggi rilevabile direttamente ma risulta
sufficientemente documentata dai registri dei pagamenti dei materiali consegnati al
cantiere.
Di rilevanza per accreditare il carattere innovativo della conduzione dell’opera, oltre
che per assegnare a Filippo Brunelleschi un ruolo primario, sono le modalità
costruttive messe in atto a partire dal 1426, cioè dal momento in cui gli strati di
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mattoni assumono un’inclinazione pericolosa per l’equilibrio, in assenza di armature
di supporto in legno. I questo momento si pone anche il problema del raccordo tra i
filari di mattoni in corrispondenza degli angoli, là dove si incontrano vele adiacenti.
La soluzione adottata denota una capacità notevole di controllo geometrico dell’opera
basata su uno sviluppo dei piani di posa secondo superfici coniche con vertice nel
riferimento centrale dell’asse verticale teorico della cupola. Qualora la giacitura dei
mattoni fosse stata per superfici piane, come del resto avvenuto nella prima fase della
costruzione, si sarebbero prodotte pericolose discontinuità della struttura in
corrispondenza degli angoli, per il mancato ammorsamento dei mattoni stessi. La
vista dei filari, resa possibile in occasione della rimozione del manto di copertura per
motivi di restauro, ha confermato la loro insolita disposizione non orizzontale ma
arcuata in forma di festone, disposizione già dal ‘700 definita “a corda blanda”.
Di grande rilievo e, per opinione condivisa da storici e biografi brunelleschiani, di
assoluta novità risulta l’accorgimento costruttivo della “spinapesce”, utile a condurre
l’opera in regime di autoportanza. Si fa riferimento dunque a una particolare forma di
apparecchiatura muraria, strutturata di per sé in modo da rendere stabili piccoli settori
longitudinali grazie all’azione di contrasto esercitata da mattoni emergenti, posti alle
estremità di ogni settore stesso. L’espediente, che non ha valore strutturale ma solo
costruttivo, consente al maestro muratore di evitare lo slittamento verso il basso della
muratura in corso di realizzazione, prima ancora che si raggiunga l’equilibrio
complessivo di ogni strato di posa dei mattoni con la chiusura sull’intero perimetro
dell’ottagono. La fortuna di questa invenzione brunelleschiana è documentata già alla
fine del ‘400, allorchè Antonio da Sangallo il Giovane, in un noto disegno, attesta il
fatto che il metodo della “spinapesce” è già ampiamente diffuso nella pratica
costruttiva delle cupole.
Come in ogni opera che rappresenta una sfida per l’intelligenza e le abilità degli
operatori, la realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore offre spunti per
valutare la qualità della ricerca messa in atto. Un cantiere fuori misura come questo
ha richiesto una forza lavoro qualificata, ma anche una organizzazione del lavoro
attenta e programmata; considerazioni di rilievo possono essere proposte sulle varie
attività sviluppate in un più ampio raggio di azione, come nelle cave, nelle fornaci,
nelle botteghe degli scalpellini, così come nella messa a punto di macchine di
sollevamento, di ponteggi, di accessori di cantiere. Anche se ci è pervenuto molto
poco di questo materiale, si può far ricorso a testimonianze documentarie per
comprendere il grado di sicurezza e le potenzialità operative messe in atto per la
realizzazione dell’opera. Una trattazione sintetica dei numerosi e affascinanti temi
che scaturiscono dall’indagine storica e dall’osservazione del risultato finale viene
necessariamente a trascurare alcuni caratteri e a limitare l’area di interesse agli aspetti
più divulgativi. Pur rimandando, per ogni eventuale esigenza di approfondimento, ai
numerosi saggi fino ad oggi pubblicati sul tema, si può facilmente comprendere i
valori di unicità e di innovazione che l’opera ha avuto per la Firenze del
Rinascimento, valori, tra i tanti, ancora oggi validi e universalmente riconosciuti.

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