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I PROMESSI SPOSI

1)
Alessandro Manzoni apre il suo romanzo presentando i luoghi che faranno da sfondo alle
vicende principali dei Promessi Sposi: il lago e la città di Lecco, i monti che lo circondano, i campi
e le stradine, il fiume Adda. La città di Lecco dà subito all’autore lo spunto per accennare la
dominazione spagnola. Lungo una di quelle stradine, Don Abbondio, al termine della sua
passeggiata quotidiana, sta tornando verso casa leggendo il breviario. Arrivato verso la fine della
strada il curato vede da lontano 2 figure losche. L’aspetto dei due uomini indica chiaramente
che si tratta dei ‘bravi’: hanno capelli lunghi raccolti in una reticella, dalla quale esce solo un
grande ciuffo che ricade loro sulla fronte, e sono equipaggiati con spade, coltelli e pistole. A quel
tempo personaggi simili erano molto comuni. I due malviventi si incamminano verso Don
Abbondio, che prima valuta possibili vie di fuga, poi cerca di ricordare eventuali torti fatti a
uomini potenti, infine accellera il passo correndo verso di loro. Non potendo evitare il pericolo
cerca almeno di ridurre l’angosciante attesa. I bravi non nascondono la loro missione: obbligare
con minacce Don Abbondio a non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella. Celebre la frase questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai. Il curato è
terrorizzato dai due uomini, ad incutere in lui una paura ancora maggiore è il nome del loro
mandante: Don Rodrigo. Don Abbondio per sua natura non può quindi che dichiararsi disposto
all’obbedienza. Cerca però almeno di farsi dare suggerimenti su come agire, ma i due bravi
hanno però ormai svolto la loro missione, salutano il curato e lo lasciano solo con la sua
disperazione. Vivendo in una società spietata ed essendosi reso subito conto d’essere, in quella
società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro,
non essendo nato nobile, né ricco e né tantomeno coraggioso, Don Abbondio aveva da giovane
ubbidito di buon grado ai parenti, che lo volevano prete. La sua non era stata pertanto una
vocazione, ma solo la necessità di entrare a far parte di una classe forte e riverita. Durante tutta
la sua vita aveva quindi cercato di tenersi fuori da ogni contesa, di cedere in quelle che doveva
inevitabilmente affrontare, di non prendere mai posizione, se non al limite, quella del più forte,
senza però esporsi troppo. Si può quindi ben capire quale fosse la disperazione e lo sconforto di
Don Abbondio in quel momento, inveisce prima contro Renzo e poi contro Don Rodrigo. Giunto
infine a casa, il curato non riesce a nascondere il proprio stato d’animo alla sua serva, Perpetua,
che subito cerca in ogni modo di conoscere il suo segreto (i bravi l’hanno minacciato anche di
non dir niente a nessuno). La volontà di trovare conforto in una persona fidata è troppo grande
nel curato ed anche la volontà di Perpetua di conoscere gli avvenimenti lo è altrettanto, dopo
aver più volte fatto giurare la donna di non dire niente a nessuno, Don Abbondio finisce quindi
per confessarle tutto. Perpetua suggerisce al suo padrone di chiedere l’intervento
dell’arcivescovo. Don Abbondio non accetta il consiglio, temendo sempre più che il suo segreto
diventi di dominio pubblico. Lascia la sua donna e si rifugia nella sua camera da letto, non prima
di aver chiesto ancora una volta alla serva di mantenere il silenzio.

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