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CAPITOLO 4 (La mattina del 9 novembre 1928, sulla strada dal convento di Pescarenico alla casa di Lucia,

Padre Cristoforo)
Sul far del mattino, padre Cristoforo esce dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov’era aspettato.
Dopo una breve descrizione del borgo che si trovava “sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliamo dire del lago”. Manzoni
ci dipinge il paesaggio con le foglie del gelso appassite. Il narratore ci introduce il quadro della carestia nel primo
Seicento: “s’incontravano mendichi laceri e macilenti”, alcuni lavoratori nei campi van “gettando le lor semente,
rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia che troppe gli preme; altri” spingono “la vanga come a stento,
e rovesciano svogliatamente la zolla.
Il frate cammina già col tristo presentimento in cuore, d’andar a sentire qualche sciagura. Ma perché si è preso così
tanto a cuore Lucia? Perché corre subito da lei? E chi è padre Cristoforo? Manzoni ci dice che “bisogna soddisfare a
tutte queste domande” ed infatti in questo quarto capitolo troviamo un lungo excursus sulla figura di padre
Cristoforo. Inizia con la narrazione diegetica dell’aspetto fisico di padre Cristoforo: “un uomo più vicino ai sessanta
che ai cinquant’anni”. Il frate “non era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era
Lodovico”, figlio unico di un mercante che negli ultimi anni aveva fatto fortuna, tanto da voler vivere “signore” e
vergognandosi del passato da mercante. Voleva essere come i nobili e così Lodovico è cresciuto imparando abitudini
signorili, vivendo tra agi ed abbondanza, ma doveva star sempre al di sotto dei suoi compagni.
Aveva un’indole onesta insieme e violenta e sentiva un orrore spontaneo e sincero per l’angherie(prepotenze) e per i
soprusi, tanto che venne a costituirsi come un protettor degli oppressi, un vendicatore de’ torti e più d’una volta gli
era saltata la fantasia di farsi frate.
Manzoni ci racconta l’episodio che cambia completamente la vita a Lodovico, portandolo a divenire padre Cristoforo.
“Andava un giorno per una strada della sua città, seguito da due bravi, e accompagnato da un tal Cristoforo”,
quando vide “spuntar da lontano un signor che gli era cordiale nemico”. Lo sguardo ed il comportamento di sfida tra i
due e il reciproco chiedere di fare luogo non trova esiti positivi, tanto che i due mettono mano alla spada e si
avventano l’uno all’altro; i servitori delle due parti si lanciano alla difesa de’ loro padroni. Se Lodovico non è
intenzionato ad uccidere, bensì a scansare i colpi, il suo nemico voleva la morte di lui, a ogni costo.
Quando Cristoforo vede il suo padrone in pericolo, va col pugnale addosso al signore. Vista questa scena Lodovico,
come fuor di sé, infila la sua spada nel ventre del feritore, il quale cade a terra moribondo.
Il fatto è accaduto vicino a una chiesa di cappuccini, dove Lodovico, ferito, viene portato dalla folla.
In convento Lodovico medita e si risveglia col dolore dell’amico, e il rimorso del colpo che gli era uscito di mano e,
nello stesso tempo, un’angosciosa compassione dell’uomo che aveva ucciso. Riflettendo quindi sente nascere più
vivo che mai quel pensiero di farsi frate, gli sembra che sia Dio stesso ad averlo messo su questa strada,
mostrandogli il segno del suo volere ed è così che Lodovico decide di vestire l’abito di cappuccino. Lodovico pensa
che come secondo l’uso, doveva lasciare il suo nome, e prenderne un altro e sceglie uno che gli rammenti sempre la
colpa da espiare e decide di chiamarsi fra Cristoforo.
Il desiderio di giustizia e la lotta ai soprusi caratterizzano padre Cristoforo, con un carattere singolare: “una lunga
guerra, tra un’indole focosa, risentita, e una volontà opposta, abitualmente vittoriosa, sempre all’erta, e diretta da
motivi e da ispirazioni superiori”.
Dopo questo lungo excursus della figura del religioso, padre Cristoforo è arrivato all’uscio di casa di Lucia.

CAPITOLO 5 (9 novembre 1628 dalla mattina all’ora di pranzo, a casa di Lucia e al palazzotto di don Rodrigo,
Padre Cristoforo, Lucia, Agnese, Renzo, don Rodrigo, il conte Attilio, il podestà e il dottor Azzecca-garbugli)
Riprendiamo con Padre Cristoforo all’uscio della porta della casa di Lucia che mentre dà un’occhiata alle donne
capisce che i suoi presentimenti non erano falsi e chiede ad Agnese di raccontargli quanto successo e rassicura le due
donne dicendo loro che Dio non le abbandonerà. Padre Cristoforo quindi pensa a come mettere un po’ di vergogna a
don Abbondio, e fargli sentire quanto manchi al suo dovere ma poi decide che la soluzione migliore sia quella
d’affrontar don Rodrigo stesso, tentar di smoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere. Mentre il frate sta
“meditando” compare sull’uscio Renzo. Renzo è sempre mosso da propositi di vendetta, ma Padre Cristoforo gli fa
promettere che si lascerà guidare da lui e non andrà a provare alcuno. Saluta i tre e si mette in cammino verso il
“palazzotto di don Rodrigo”, che sorge “isolato” in un logo poco “più in su del paesello degli sposi”.
La descrizione di Manzoni del luogo e delle persone che vi abitano non è felice, dicendo che si incontrano “omacci
tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in reticella”, i famosi Bravi.
Padre Cristoforo attraversa il villaggio e salendo per “una viuzza” si trova di fronte al palazzotto dove regna un gran
silenzio e dove due bravi, sdraiati, a destra e sinistra fanno la guardia al portone. Il padre si ferma ed aspetta, ma uno
dei bravi lo invita ad avvicinarsi ed entrare. Una volta entrato si reca all’uscio della sala del convito dal quale
proviene un gran frastuono confuso e voci discordi che cercano a vicenda di soverchiarsi. Nella sala del banchetto si
trovavano don Rodrigo, suo cugino, il conte Attilio, il signor podestà e il dottor Azzecca-garbugli.
Padre Cristoforo desidera parlare a don Rodrigo da solo, ma il padrone di casa invita al frate a sedersi e a bere. Suo
malgrado il frate si ritrova nel mezzo di una discussione cavalleresca, per la quale gli viene chiesto un parere, e a
seguire i discorsi virano sulla successione al ducato di Mantova, sulla carestia e sui fornai.
Infine don Rodrigo guarda padre Cristoforo, che “sta zitto”, in aria di non voler andarsene, prima d’essere stato
ascoltato e si alza dalla tavola deciso a parlargli e lo conduce in un’altra sala.

CAPITOLO 6 (9 novembre 1928 dalla tarda mattinata a sera, nel palazzotto di don Rodrigo, a casa di Lucia, a
casa di Tonio e all’osteria del paese, Don Rodrigo, padre Cristoforo, Lucia, Agnese, Renzo e Tonio)
Il capitolo inizia col dialogo tra don Rodrigo e padre Cristoforo, che poi diventa discussione accesa tra i due.
Padre Cristoforo dice di essere venuto a proporre un atto di giustizia, e aggiunge che “cert’uomini di mal affare”
hanno fatto il nome di sua signoria “per far paura a un povero curato, e impedirgli di compiere il suo dovere”.
Don Rodrigo si irrita e aggiunge che non ha bisogno di avere un predicatore in casa o qualcuno che viene per fare la
spia, per poi alla fine insinuare che padre Cristoforo sia interessato a qualche fanciulla. Inoltre don Rodrigo
suggerisce a padre Cristoforo di consigliare la fanciulla di mettersi sotto la sua protezione. Inseguito insulta il frate
rinfacciandogli le sue origini non nobili e svilendo il suo ruolo attuale. Padre Cristoforo davvero non ci vede più ed
alza l’indice sinistro verso don Rodrigo, e gli dice che ormai non lo teme più e che ha compassione di questa casa,
aggiungendo “sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno…”. Don Rodrigo, che “era fin allora rimasto tra la
rabbia e la meraviglia”, quando sente questa “predizione” aggiunge alla sua rabbia anche un misterioso spavento,
quindi afferra rapidamente per aria quella mano minacciosa e alzando la voce, per troncar quella dell’infausto
profeta grida a padre Cristoforo di andarsene. Mentre padre Cristoforo si allontana per andarsene vede il vecchio
servitore ch’era venuto a riceverlo alla porta, che gli si accosta, lo porta in un andito buio e gli dice che lui ha sentito
tutto e sa molte cose, e dice che all’indomani sarebbe andato al convento.
Mentre padre Cristoforo era da don Rodrigo a casa di Lucia, Agnese suggerisce loro di organizzare un matrimonio a
sorpresa, per il quale alla fine serve la presenza del curato e di due testimoni, ma non bisogna parlarne al padre
Cristoforo. Lucia non è per nulla convinta dice che son imbrogli e vuole sentire il parere del frate, ma la madre la
rassicura dicendole di lasciarsi guidare da chi ha più esperienza. Renzo invece si attiva per trovare i due testimoni.
È così che Renzo va alla casetta d’un certo Tonio, lui è debitore per venticinque lire di don Abbondio. Renzo si
propone di saldare il suo debito se lui si offre come testimone per il suo matrimonio. Tonio accetta. Ma serve un
altro testimone e Tonio propone suo fratello Gervaso.
Risolta la situazione, Renzo torna dalle donne. Ma una volta trovati i testimoni, il curato va colto di sorpresa, ma con
lui c’è Perpetua che va distratta: ci penserà Agnese. Mentre Agnese e Renzo si accordano, Lucia rimane nella sua
perplessità ed aggiunge che far questa cosa, bisogna andar avanti a furia di sotterfugi, di bugie, di finzioni, ma lei
vuole andare per la strada diritta, all’altare e poi perché far misteri al padre Cristoforo?.
Mentre i tre continuano con la “disputa”, arriva padre Cristoforo. Tutti si zittiscono ed Agnese sussurra a Lucia:
“bada bene, ve’, di non dirgli nulla”.

CAPITOLO 7 (dalla sera del 9 alla sera del 10 novembre 1928, a casa di Lucia, nel palazzotto di don Rodrigo e
all’osteria del paese, Padre Cristoforo, Lucia, Agnese, Renzo, don Rodrigo, il Griso e il conte Attilio)
Renzo, Lucia ed Agnese erano a casa mentre stava per arrivare padre Cristoforo, dopo aver incontrato don Rodrigo.
Padre Cristoforo dice ai tre che “non c’è nulla da sperare dall’uomo: tanto più bisogna confidare in Dio”. Le due
donne abbassano il capo, mentre, nell’animo di Renzo prevale l’ira all’abbattimento.
Padre Cristoforo cerca di calmarlo e poi facendosi buio e dovendosi recare al convento dice a Renzo di andare da lui
l’indomani o di mandare “un uomo fidato” cosicché gli potesse far sapere cosa occorrerà.
Soli, dopo aver ascoltato quanto riferito dal frate, Lucia dice che “convien fidarsi a lui”, ma Renzo è furibondo e
continua a dire che la farà lui la giustizia così Lucia dovette acconsentire al matrimonio a sorpresa.
Passata la notte, Renzo arriva a casa di Lucia per concertare con le donne, la grand’operazione della sera. Si doveva
mandare qualcuno da padre Cristoforo, come concordato, ma Renzo non ne vuole sapere, così Agnese decide di
mandarci Menico. In questo giorno appena iniziato, che ci porta alla notte degli imbrogli, la mattina risulta essere
alquanto movimentata. Infatti a casa di Lucia si presenta “un mendico con un non so che d’oscuro e di sinistro” che
entra a chiedere la carità facendo molte domande e dopo continuano a farsi vedere, altre strane figure.
Con la tecnica del flash back, ci ripresenta don Rodrigo che era rimasto da solo nel suo palazzotto e sentendosi
fischiare ancora agli orecchi quell’esordio di profezia, esce per andare a fare una passeggiata a Lecco.
Passa la notte e don Rodrigo fa chiamare il Griso, al quale dice in maniera molto chiara che deve rapire Lucia, ma
rassicurandosi che “non le sia fatto del male” e che “le si porti rispetto in ogni maniera”.
La mattina viene spesa in giro, per conoscere il paese. Al rientro, il Griso assegna le parti e dà le istruzioni.
Il servitore esce e s’incammina in fretta al convento, per dare al padre Cristoforo l’avviso promesso. Dopo lui esce
anche il Griso ed i Bravi. Ormai “il sole cadeva” ed in questo momento anche altri personaggi si muovono: Renzo va
all’osteria con Tonio e Gervaso per definire i dettagli della sera, ma all’osteria non solo soli, infatti ci sono anche i
Bravi appostati, che ascoltano i discorsi dei tre. Una volta mangiate le polpette escono, i Bravi tentano di seguirli, ma
Renzo si accorge di loro, li guarda e questi si ritirano.
Siamo sul far della sera, la famosa notte degli imbrogli. Agnese cerca di rincuorare Lucia, finché Renzo bussa all’uscio.
Zitti, zitti, nelle tenebre presero la strada fuori del paese, quella più lunga e arrivano alla casa di don Abbondio e si
dividono: “i due promessi” si nascondono dietro l’angolo, mentre Agnese un poco più avanti per fare in tempo a
fermare Perpetua. Tonio e Gervaso bussano alla porta del curato, Perpetua si affaccia alla finestra chiedendo se
fosse l’ora di arrivare. Tonio dice che ha con sé le venticinque berlinghe per saldare il suo debito. Perpetua va a
chiedere a Don Abbondio, mentre Agnese raggiunge i due fratelli all’uscio.

CAPITOLO 8 (notte del 10 novembre 1628, la canonica, la casa di Lucia, il convento di Pescarenico e il lago di
Como, Don Abbondio, Perpetua, Renzo, Lucia, Agnese, Tonio, Gervaso, i bravi, Menico, padre Cristoforo)
Tonio si è recato da don Abbondio, con la scusa di saldare il suo debito, per mettere in atto il matrimonio a sorpresa
insieme a Gervaso ed ai due “sposi promessi”. Perpetua annuncia l’arrivo di Tonio, suggerendo al curato che è
meglio pigliarlo al volo. Ovviamente don Abbondio accorda prontamente, così Perpetua apre l’uscio ed insieme a
Tonio trova Agnese, che la distrae con dei falsi pettegolezzi per allontanarla dalla casa. Agnese e Perpetua si
allontanano dalla casa per parlare più liberamente e quando si trovano un poco distanti, a sufficienza affinché non si
veda più ciò che accade davanti alla casa di don Abbondio, Agnese tossisce forte. Questo è il segnale: Renzo lo sente
e fa coraggio a Lucia. Arrivati sul pianerottolo i fratelli si affacciano alla porta della stanza dove si trova don Abbondio
e Tonio dà le 25 monete al curato, chiedendo in cambio che gli restituisca la collana data in pegno. Non contento poi
Tonio chiede a don Abbondio di scrivere due righe che accertino l’avvenuto pagamento. Il curato scrive e quando
porge il foglio a Tonio, i fratelli si aprono e compaiono Renzo e Lucia. Don Abbondio quando li vede si spaventa e si
infuria poi Renzo proferisce le parole “signor curato, in presenza di questi testimoni, quest’è mia moglie”, ma sul
finire il curato alza il tappeto del tavolino e lo tira addosso a Lucia, che ha appena iniziato a dire “e questo…” che si
trova in testa il tappeto. Ed inizia a urlare “Perpetua! Perpetua! tradimento!” quindi si rifugia nella stanza vicina, apre
una finestra che guarda sulla piazza della chiesa ed inizia a gridare “aiuto! aiuto!”. Lì vicino abita il sagrestano,
Ambrogio, che si allerta subito e corre al campanile, afferra la corda delle due campane, e suona a martello,
svegliando tutto il paese.
Nel mentre Menico, di ritorno dal convento di padre Cristoforo, si reca a casa di Lucia, dove trova i Bravi di don
Rodrigo, che erano entrati in casa per rapire Lucia, ma la trovano vuota. I bravi sentono lo scampanio e corrono alla
casa, dov’era il grosso della compagnia. Perpetua torna verso casa, seguita da Agnese, e quando apre l’uscio si trova
innanzi Tonio, Gervaso, Renzo, Lucia che erano venuti giù e correvano in furia, a mettersi in salvo. Tutto il paese,
destato dalle campane, è in agitazione. Menico, sfuggito ai Bravi, informa Agnese, Renzo e Lucia del messaggio di
padre Cristoforo, confermando che in casa c’erano i Bravi, e di andare subito al convento.
I tre si guardano in viso l’un con l’altro, spaventati, poi prendono la loro strada, le donne innanzi, e Renzo dietro,
come per guardia e sbucano finalmente sulla piazzetta davanti alla chiesa del convento.
Entrano nel convento dove padre Cristoforo dà loro precise istruzioni sul da farsi. Le due donne andranno in un
posto fuori d’ogni pericolo, e, nello stesso tempo, non troppo lontane da casa, mentre Renzo deve consegnare una
lettera ad un confratello a Milano. Prima di congedarsi però, tutti insieme pregano il Signore, che sia con loro in
questo viaggio. In seguito Renzo, Lucia ed Agnese si recano, dove gli aveva indicato il padre, ovvero alla riva del lago,
vicino allo sbocco del Bione. È un torrente a pochi passi da Pescarenico. Qui trovano una barca, dicono la parola
d’ordine e vi salgono, lasciando così Lecco.
Da qui inizia “l'Addio, monti sorgenti dall’acque” nel quale il narratore ci racconta questo saluto intimo ed intimistico
in maniera indiretta.

APPROFONDIMENTI
Narrazione mimetica, prevalenza di scene dialogate
Narrazione diegetica, con prevalenza di descrizioni, riassunti di eventi o interventi del narratore
Mimesi, è l’imitazione o riproduzione della realtà
Diegesi, è il racconto narrativo indiretto
Analessi o flashback, è un procedimento narrativo tramite il quale si raccontano avvenimenti passati
Prolessi o flashforward, è un procedimento narrativo tramite il quale si raccontano avvenimenti futuri

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