Sei sulla pagina 1di 6

I Promessi Sposi

Scene di convivialità accompagnate da menù dell’epoca

1^ SCENA/PORTATA

Cap. 5 - Padre Cristoforo fa visita a Don Rodrigo con l’intenzione di convincerlo a lasciare in pace Lucia.

“…….Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola e pervenne sur una piccola
spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando e non voleva
essere frastornato. All’esterno del portone del palazzo, decorato con due grand’avvoltoi con ali spalancate
e coi teschi a penzoloni, due bravi facevan la guardia aspettando d’esser chiamati a goder degli avanzi della
tavola del signore. Uno di loro s’alzò, gli venne incontro e, dando due picchi col martello alla porta chiusa,
lo annunciò al padrone di casa. Il servitore, aperto il portone e acquietati i cani, introdusse l’ospite in un
angusto cortile e, richiusa la porta, lo accompagno da Don Rodrigo. Arrivati all’uscio della sala del convito, si
udì un gran frastuono di forchette, coltelli, bicchieri, piatti misto a voci discordi che cercavano, a vicenda, di
soverchiarsi. Il frate fu quasi dell’idea di ritirarsi in qualche angolo della casa ed aspettare che il pranzo
fosse terminato quando, un certo conte Attilio (cugino del padrone di casa), accortosi di lui, lo invitò ad
entrare. Il padre s’avanzò, inchinandosi al padrone e rispondendo a due mani al saluto dei commensali. Don
Rodrigo, seduto in capo di tavola, era circondato d’amici potenti: alla sua dx sedeva il conte Attilio, suo
cugino; alla sua sx il Signor Podestà e, di fronte, il dottor Azzecca-garbugli. In faccia ai due cugini sedevano
due convitati oscuri che non facevano altro che mangiare chinando il capo, sorridendo e approvando ogni
cosa che dicesse un commensale e a cui un altro non contraddicesse. Fatto accomodare a tavola, Don
Rodrigo ordinò gli fosse portato da bere ed insistendo gridò: “no, per bacco, non sia mai che un cappuccino
vada via da questa casa senza aver gustato del mio vino né un creditore insolente la legna dei miei boschi”
parole che eccitarono un riso universale interrompendo per un momento la questione che s’agitava
caldamente tra i commensali. Un servitore, portando sur una sottocoppa un’ampolla di vino e un lungo
bicchiere in forma di calice, lo presentò al padre il quale non esitò a mescere e a sorbir lentamente il vino.
Fra Cristoforo, più volte invitato a pronunciar sentenze e pareri sulle concitate questioni degli ospiti, riuscì a
mantenersi neutrale da quelle faccende e, finalmente ottenne la sperata attenzione di Don Rodrigo che,
chiesta licenza agli ospiti, condusse il frate in un’altra sala per ascoltare le sue richieste…….”

Per il menù, dovendo immaginare il menù offerto da Don Rodrigo ai suoi ospiti, sono state ricercate ricette
del Sei/Settecento sia lombarde che spagnole.

P.s. Per Claudio: i dialoghi tra Fra Cristoforo e Don Rodrigo devono riassumere l’incontro tra Don
Rodrigo e Lucia, Don Abbondio e i Bravi, l’arrabbiatura di Renzo. Riportare i contenuti salienti del
cap. 5 e l’inizio del 6 che conclude il banchetto di Don Rodrigo.
Inserire un narratore che legga le parti più poetiche come ad esempio l’introduzione?
2^ SCENA/PORTATA
Cap. 6 – Renzo si reca a casa di Tonio per convincerlo a fargli da testimone con il fratello Gervaso
al matrimonio “trappola” che coinvolgerà Don Abbondio.
Per potersi sposare, Agnese consiglia a Renzo e Lucia di tendere una trappola a Don Abbondio:
Renzo e Lucia si presenteranno da Don Abbondio e, in presenza dei due testimoni (Tonio e
Gervaso) pronunceranno le frasi “questa è mia moglie”; “questo è mio marito”. Così facendo,
verranno uniti in matrimonio. Renzo si reca a casa di Tonio per convincerlo a fargli da testimone…
“Mi recai alla casetta di un certo Tonio ch’era lì poco distante e lo trovai in cucina che, con un
ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano l’orlo d’un paiolo, messo sulle ceneri
calde, dimenava col mattarello ricurvo, una piccola polenta bigia di grano saraceno. La madre, il
fratello, la moglie di Tonio erano a tavola e, tre o quattro ragazzetti, ritti accanto a babbo, stavano
aspettando con gli occhi fissi al paiolo che venisse il momento di scodellare……… La mole della
polenta era in ragion dell’annata e non del numero e della buona voglia dei commensali e ognun
d’essi fissando con uno sguardo bieco d’amor rabbioso la vivanda comune, pareva pensar alla
porzione d’appetito che le doveva sopravvivere. Tuttavia, non appena Tonio scodellò la polenta sul
tagliere, le donne cortesemente dissero a Renzo: “volete restar servito? …….”
Cap. 7 – Renzo Tonio e Gervaso si ritrovano in osteria prima di recarsi da Don Abbondio e
mettere in atto il loro piano.
“Quando Renzo e i due compagni giunsero all’osteria vi trovaron il bravo già piantato di sentinella
che ingombrava mezzo il vano della porta, appoggiato con la schiena a uno stipite, con le braccia
incrociate sul petto: e guardava e riguardava a dx e a sx facendo lampeggiare or il bianco ora il
nero di 2 occhi grifagni (gli altri due bravi giocavano alla mora)……… L’oste accompagnò Renzo ed i
compagni in una stanza vicina e gli servì la cena………Gli scodellò delle polpette nel piatto ….delle
polpette da far resuscitare i morti…….”
P.s. per Claudio: Attenzione: I due capitoli (6 e 7) verranno uniti. L’incontro a casa di Tonio verrà
saltato e Renzo sarà all’osteria con Tonio e Gervaso la notte degli imbrogli circondato dai bravi.
Raccontare come Renzo vuole aggirare il problema del matrimonio sospeso e cosa ha pianificato
don Rodrigo.
Qui aiuterebbe un narratore che dice due parole sulla mal riuscita dei piani e Lucia recita l’Addio
Monti.
3^ SCENA/PORTATA

Cap. 9/10 – Agnese e Lucia incontrano Gertrude, la Monaca di Monza ….. da qui il racconto della
sua triste storia ….. costretta da un padre troppo autoritario a chiudersi in convento contro la
sua volontà e la sua indole appassionata e mondana.
“Il suo aspetto, che poteva dimostrar 25 anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma
d’una bellezza sbattuta, sfiorita e direi quasi scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato
orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una
bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa ma non d’inferiore
bianchezza; un’altra benda a pieghe circondava il viso e terminava sotto il mento in un soggolo,
che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d’un nero saio. Ma quella fronte si
raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si
ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi neri neri anch’essi, si fissavano talora in viso
alle persone con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un
nascondiglio; in certi momenti un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero
affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un
odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili
e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto
sospettarci il travaglio di un pensiero nascosto, d’una preoccupazione familiare all’animo, e più
forte su quello che gli oggetti circostanti. Le gote pallidissime scendevano con un contorno
delicato e grazioso, ma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione. Le labbra quantunque
appena tinte d’un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli
degli occhi, subitanei, vivi, pieni d’espressione e di mistero. La grandezza ben formata della
persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse
repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una monaca. Nel vestire stesso
c’era qua e là qualcosa di studiato o di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era
attillata con una certa cura scolaresca e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri
capelli, cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli
sempre corti, da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento”.
Ultima figlia del principe, la nostra infelice era ancora nascosta nel ventre materno che la sua
condizione era già irrevocabilmente stabilita: rimaneva solo da decidere se sarebbe stata una
monaca o un monaco, decisione per la quale faceva bisogno non il suo consenso ma la sua
presenza. Quando venne alla luce il principe suo padre volendo darle un nome che risvegliasse
immediatamente l’idea del chiostro e che fosse portato da una santa d’alti natali la chiamò
Gertrude. Bambole vestite da monaca furono i suoi primi balocchi, poi santini che
rappresentavano monache, “che madre badessa” era la sola lode che i genitori solevano
esprimere per sottolineare suo aspetto prosperoso; nessuno però le disse mai apertamente “tu
devi farti monaca”. Era un’idea sottintesa e toccata incidentemente in ogni discorso che
riguardasse i suoi destini futuri. A sei anni Gertrude fu collocata per educazione, e ancor più per
istradamento alla vocazione impostale, nel monastero di Monza dove venne trattata dai parenti e
cresciuta dalle educatrici con quella distinzione e quelle finezze che potessero più allettarla a
scegliere quel monastero come sua perpetua dimora. Era legge che una giovane non potesse
venire accettata monaca prima di esser stata esaminata da un ecclesiastico (il vicario delle
monache) affinché fosse certo che ci andava per sua libera scelta: e questo esame non poteva aver
luogo se non un anno dopo ch’ella avesse esposto a quel vicario il suo desiderio con una supplica
in iscritto. C’era un’altra legge, che una giovane potesse essere ammessa a quell’esame della
vocazione solo dopo aver dimorato almeno un mese fuori dal monastero dove era stata educata.
Era già trascorso l’anno che la supplica era stata sottoscritta con l’inganno e mandata; e Gertrude
fu avvertita che tra poco sarebbe uscita dal monastero per rimanere quel mese nella casa paterna.
E venne finalmente il giorno tanto atteso…….l’uscir dal monastero, il lasciar quelle mura dove era
stata ott’anni reclusa, lo scorrere della carrozza per l’aperta campagna, il riveder la città, la casa
furono sensazioni piene d’una gioia tumultuosa nonostante Gertrude sapesse che, per i suoi
ripensamenti e ritrattazioni alla supplica iscritta e sempre più convinta di non “sacrificarsi” alla vita
monacale, il principe padre non l’avrebbe perdonata. Ma ciò che accadde fu, in realtà, ancora più
sorprendente e subdolamente meschino: nessun accenno alla supplica, i parenti eran seri, tristi,
burberi con lei, la guardavano come una rea, un’indegna, nessuno le rivolgeva il
discorso…insomma la compagnia era più triste, più scarsa, meno variata che nel monastero.
Persino i servitori si rivolgevano a lei con noncuranza tranne un paggio che le portava rispetto e
provava per lei compassione. Queste semplici attenzioni, scoperte da quel padre autoritario,
furono ahimè l’ennesimo pretesto per farla sentire inadeguata e colpevole. Rinchiusa in camera,
dopo 4 o 5 lunghi giorni di prigionia Gertrude si sottomise al volere del principe padre e,
implorando il suo perdono, si dichiarò pronta a fare tutto ciò che potesse fargli piacere: così
facendo, firmò ufficialmente la lettera della sua condanna a morte. Da quel momento tutto
cambiò: la sposina (così si chiamavano le giovani monacande) venne travolta da complimenti,
onori e felicitazioni da amici, genitori e parenti che erano stati invitati per l’appunto per “fare il
loro dovere” e per rendere omaggio ad una Gertrude a tratti inavvicinabile e a tal punto assediata.
Ognuno di loro la voleva per sé: chi si faceva prometter dolci, chi prometteva visite, chi parlava
della madre tale sua parente, chi lodava il cielo di Monza e la gran figura ch’essa avrebbe fatto là.
Quando la compagnia s’andò dileguando, e tutti se ne andarono senza rimorso Gertrude rimase un
po' sola con i genitori ed il fratello prima di andarsi a coricare. L’indomani, pettinata e vestita,
venne accompagnata nella sala dove era attesa prima di recarsi al convento dove era destinata per
la “comparsa solenne”, ovvero per l’incontro con la madre badessa per la richiesta ufficiale di
prendere il velo ….“Fatta sedere su una sedia a braccioli le fu portata una chicchera di cioccolata
(*): il che , a quei tempi, era quel che già presso i Romani il dare la veste virile”……. ma per lei
anche il “boccone amaro” da inghiottire ………
(*)Chicchera di cioccolata: sembra di essere entrati nel mondo di Parini. Nel Seicento la cioccolata era una
prelibata bevanda e non la si dava certo ai bambini. Getrude ha 14 anni. La toga virile a Roma si indossava a
17. Anche la cioccolata concorre all’adescamento di una povera anima e sta a significare che Gertrude è,
con la sua scelta diventata donna...

P.s. per Claudio: Attraverso un monologo la monaca potrebbe raccontare la sua forzata monacazione.
Sottolineare il ruolo della cioccolata come rituale di riconosciuta maturità presso la famiglia natia: verrà
distribuito ai commensali un pezzetto di cioccolato amaro a testimonianza di come pesi tale scelta nella vita
di Gertrude. Proseguire con i misfatti della monaca dopo l’inserimento definitivo in convento, quindi farle
dire della protezione concessa a Lucia (perché è lì e dove è Renzo) e della possibilità di riscatto che le si
presenta e che poi rifiuterà.
4^ SCENA/PORTATA

Cap. 14 – Giunto a Milano Renzo assiste al tumulto per il pane e, dopo essersi messo a “predicare in
piazza” attira l'attenzione di un poliziotto, il che sarà poi causa del suo arresto e della sua fuga
nel Bergamasco. Il giovane pagherà lo scotto della sua condotta imprudente e della sua
ingenuità, specie quando rivelerà allo sbirro il proprio nome.

Renzo raggiunge un’osteria a Milano, L’osteria della Luna Piena, dopo esser scampato ai tafferugli della
folla in tumulto a causa del rincaro del pane (11 e 12 novembre 1628) “scortato” da un poliziotto travestito
che, in realtà avrebbe voluto condurlo al Palazzo di Giustizia. Una volta entrati, l’oste chiede ai due cosa
vogliono. Renzo ordina un fiasco di vino e, seduto su una panca di fronte al poliziotto, appena servito a
tavola si appresta a berne subito un sorso. Ordina poi dello stufato e del pane e, all’affermazione dell’oste
che non può servirgli pane, tira fuori l’ultima delle pagnotte che aveva trovato vicino alla croce di S. Dionigi,
al suo arrivo a Milano, la alza per aria e, mostrandola agli avventori, dice a voce alta: “Ecco il pane della
provvidenza!”. Il giovane dichiara immediatamente di non averlo rubato ma di averlo trovato, avuto gratis e
dicendosi pronto a pagarlo al proprietario qualora lo incontrasse, le sue parole suscitano subito l’ilarità dei
presenti. Renzo, ubriaco finirà per dormire nella locanda. L’indomani, al suo risveglio, Renzo capirà di
essere stato vittima dei raggiri del poliziotto travestito e dell’astuto oste suo complice: degli uomini in
cappa nera sono venuti infatti ad arrestarlo.

P.s. per Claudio: vicende di Renzo a Milano (breve riferimento all’assalto ai forni e alla difesa del
vicario). Sottolineare la scena del pane, perché Renzo restituirà i 3 panini trovati all’ingresso di
Milano, quando ci tornerà per cercare Lucia.
5^ SCENA/PORTATA
Cap. 16-17 – Renzo, con l’aiuto della folla, riesce a fuggire da Milano per rifugiarsi nel
Bergamasco.
Renzo riesce a fuggire da Milano aiutato dalla folla e si dirige verso l’Adda nell’intento di passare il
confine e mettersi in salvo nei territori della Serenissima: nel Bergamasco vive infatti suo cugino
Bortolo. Verso sera è a cena in un’osteria a Gorgonzola e lì ha occasione di ascoltare i racconti sui
tumulti di Milano (un mercante, che aveva assistito ai disordini della giornata, racconta quanto
accaduto; Renzo è seduto da solo, in fondo, al “posto dei vergognosi”). Temendo di cadere
nuovamente nelle mani degli sbirri, Renzo non esita a riprendere subito il viaggio approfittando
delle tenebre per raggiungere l’Adda. Attraversa strade solitarie e paesi addormentati scartando
l’ipotesi di chiedere ospitalità. In preda all’angoscia sta per tornare sui suoi passi, quando sente il
rumore dell’acqua: è la salvezza! Arrivato nel Bergamasco, Renzo si rifocilla e dona gli ultimi soldi
rimasti a una famiglia bisognosa e poi racconta tutto al cugino Bortolo.
P.s per Claudio: Riassumere tutte le vicende elencate in un dialogo con Bortolo, sottolineando
l’attraversamento del confine (“l’Adda ha buona voce”). Campanile salvezza (come Innominato).

6^ SCENA/PORTATA

Cap. 21 Lucia al castello dell’Innominato – incontro nella stanzetta – l’Innominato ordina alla servitù di
preparare un grosso paniere pieno di buona roba da mangiare che Marta porterà a Lucia rinchiusa nella
stanzetta con la serva.

P.s. per Claudio: primo incontro tra Innominato e Lucia. Avvio alla Conversione. Vecchia non in scena ma
presente nel testo. La conversione vera e propria e l’incontro con il cardinale verrà raccontato dal
narratore.
7^ SCENA/PORTATA

Cap. 34 Renzo a Milano a cercar Lucia al lazzaretto

Renzo rientra dal bergamasco e va nel villaggio natio a cercare Lucia. Apprende che è a Milano e ha
contratto la peste (incontra nel tragitto anche un amico di infanzia). Arriva a Milano (ha con sé del pane e
frutta), appestata, e assiste ad alcuni episodi di povertà e sofferenza. “Restituisce” i pani a una famiglia in
difficoltà, viene scambiato per un untore, assiste all’episodio della consegna del corpo di Cecilia al monatto.
Quindi arriva al lazzaretto.

P.s. per Claudio: l’idea sarebbe di presentare Renzo già a Milano, mentre racconta cosa ci fa lì e chiede del
lazzaretto dove sa che potrebbe trovare Lucia. Consegna i pani a delle persone del pubblico, come simbolo
della sua crescita durante il romanzo (l’atto restituisce quel pane trovato durante la sommossa). Poi si siede
e assiste alla scena della madre di Cecilia con il monatto.

8^ SCENA/PORTATA

Cap. 38: Pranzo di nozze a casa del nuovo signorotto locale che ha sostituito don Rodrigo

P.s per Claudio: i due sposi raccontano il loro ricongiungimento e la fine di don Rodrigo, traendo la morale
della storia (“il sugo”). Tutti gli attori potrebbero uscire riportando le parole conclusive del romanzo

“Questa storia, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta e anche un pochino a noi che
l’abbiamo raccontata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi credete che non s’è fatto apposta”.

Per illustrazioni “fedeli” dell’abbigliamento:

https://books.google.it/books?id=_6JkAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=promessi+sposi+1840&hl=it&sa
=X&ved=0ahUKEwjs3N6ZjqrYAhWS2aQKHbAHCj4Q6AEIJzAA#v=onepage&q&f=false

Potrebbero piacerti anche