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Il personaggio della Monaca di Monza, forse il più misterioso e affascinante dei Promessi Sposi, non è frutto della
fantasia di Alessandro Manzoni. Lo scrittore milanese, infatti, si è ispirato a una donna realmente esistita, Marianna
de Leyva, la cui turbolenta storia ha scandalizzato il Seicento lombardo.
Marianna de Leyva (1575–1650) conosciuta come suor Virginia Maria, è passata alla storia per una delle vicende più
cupe e scandalose mai accadute. Vicaria del convento di Santa Margherita di Monza, intreccia una lunga
relazione con un conte, proprietario del palazzo adiacente al convento; per coprire le tracce di questo rapporto
decennale, i due insieme ad altri complici sono coinvolti in una serie di delitti di inaudita ferocia. Le azioni
commesse sono giudicate talmente crudeli, che gli atti del processo sono tenuti segreti per quasi due secoli.
SEQUENZE STORIA: essere precisi non è una perdita di tempo perché trasmettono
chiarezza al lettore (ha più facilità a seguire), ma anche perché tutti questi elementi
sono già prove di quello che devo sostenere (dissidio interiore, lavaggio del cervello, la
crudeltà della società e del padre, la comprensione di Manzoni e poi, invece,
relativamente ai delitti, la non giustificazione).
CAPITOLO 9
Manzoni dice che l’autore del manoscritto non ha descritto il viaggio verso il convento, e non ha voluto inserire il
paese dove si recano le due donne perché, come si capisce dalla storia, le vicende di Lucia coinvolgono una persona di
famiglia molto potente. Per spiegare lo strano comportamento di quella persona, l’autore del manoscritto ne descrive
la famiglia, che conoscerà solo chi vorrà leggere. Nonostante l’autore del manoscritto non abbia inserito il nome del
borgo, Manzoni dice di averlo trovato attraverso altre fonti. Uno storico milanese, infatti, ha parlato di quella persona,
senza dirne il nome della famiglia né il nome del luogo in cui vive; le informazioni che si hanno sulla città è che è un
borgo nobile e ricco, attraversato dal Lambro, che ha un arciprete. Manzoni dice quindi che il paese è sicuramente
Monza. Manzoni dice anche che potrebbe dire il nome della famiglia, ma lo evita per non fare torti a nessuno e per
lasciare agli studiosi qualcosa su cui ricercare.
Arrivo a Monza
I tre arrivano a Monza, il conduttore li accompagna in un’osteria dove prendono una stanza. Come con il barcaiolo,
Renzo offre del denaro al barrocciaio ma quello non accetta. Sono molto contenti di stare seduti lì dopo una sera e una
notte avventurose, fanno una scarsa colazione nonostante la fame e il pensiero del banchetto che avrebbero dovuto
fare due giorni prima.
La partenza di Renzo
Renzo vorrebbe fermarsi lì per vedere le due donne e servirle, ma decide di andarsene secondo gli ordini di Fra
Cristoforo; si accordano per rivedersi, Lucia piange e Renzo trattiene le lacrime.
Incontro col padre guardiano e tragitto verso il monastero
Il barocciaio, come gli ha ordinato Fra Cristoforo, aiuta le due donne, che altrimenti non avrebbero saputo cosa fare.
Le accompagna al convento a pochi passi da Monza, dove sono accolti dal padre guardiano che legge la lettera di Fra
Cristoforo e ne riconosce la calligrafia; è infatti un suo grande amico, anche a giudicare dal tono di voce e
dall’atteggiamento. Fra Cristoforo ha descritto le due donne nella lettera in modo che il padre guardiano che la riceve
provi interesse e pietà. Dopo un colloquio con Agnese, decide di mandarle dalla “signora”, sperando che offra loro
protezione. Il padre guardiano si raccomanda con le donne di non stare troppo vicino a lui durante il tragitto, perché
vedere un frate insieme a una donna giovane come Lucia desterebbe scandalo. Anche il barocciaio le accompagna al
monastero.
Arrivati al monastero, il barocciaio lascia le due donne e il guardiano, a cui chiede di portargli notizie dopo un paio
d’ore. Il guardiano accompagna le due donne nel primo cortile, dove dialogano con la fattoressa, mentre lui va a
chieder grazia. Dopo un po' di tempo il guardiano torna, le due donne sono contente perché si liberano dalle domande
pressanti della fattoressa, le accompagna nel secondo cortile. Intanto dà dei consigli su come comportarsi con la
signora: dice loro che è ben disposta e può aiutarle, devono essere umili e rispettose, rispondere sinceramente alle
domande, e se non sono interrogate lasciar parlare il guardiano. Le accompagna al parlatoio passando attraverso una
stanza terrena e Lucia, che non ha mai visto un monastero, si stupisce di vedere la monaca dritta dietro la finestra.
Intervento dell’autore con ironia: “forse dieci de’ miei lettori possono ancor rammentarsi d’aver veduto in piedi” si
riferisce a un pezzo di castello fiancheggiata da un torracchione.
La monaca si mostra disposta ad aiutare le due donne, ma dice di voler conoscere meglio la situazione di Lucia.
Agnese inizia a parlare, ma è interrotta dal guardiano, che spiega come Lucia sia fuggita dal suo paese dove era in
pericolo. La monaca vuole conoscere quindi quali siano i problemi di Lucia, e il guardiano risponde spiegando che un
prepotente l’ha perseguitata fino a costringerla a fuggire. La monaca vuole che la stessa Lucia si avvicini e le spieghi
la sua situazione. Lucia cammina verso la grata, ma è in difficoltà nel parlare. Interviene quindi Agnese, dicendo che
la figlia aveva in odio quel cavaliere, paragonato al diavolo, si scusa per il linguaggio definendo lei e la figlia “gente
alla buona”, e racconta alla monaca che Lucia era promessa sposa a un giovane, e il matrimonio non è stato celebrato
per il mancato lavoro del curato; si difende dicendo che, se Fra Cristoforo fosse lì, la sosterrebbe. Agnese è interrotta
dalla monaca che dice che tutti i genitori hanno un argomento a favore dei propri figli. La madre lancia uno sguardo a
Lucia per farle notare cosa ha fatto in sua difesa, e il guardiano le fa segno di farsi avanti e parlare. Lucia quindi
prende coraggio e ribadisce che tutto ciò che h detto la madre è vero, e che preferirebbe morire al posto che stare sotto
quel cavaliere prepotente. La monaca dice che vorrebbe parlare da sola con Lucia, ma ha già pensato di far alloggiare
le due donne nella stanza della figlia della badessa che è stata da poco maritata; rivela poi al guardiano che in realtà
era stato stabilito di non sostituire la figlia della badessa per mancanza di risorse a causa della carestia, ma riuscirà a
trovare un accordo e dà la cosa come fatta. Il guardiano la ringrazia, ma lei lo ferma dicendo che avrebbe chiesto aiuto
ai cappuccini in caso di bisogno.
Dopo il dialogo
La monaca fa chiamare una conversa, per ordinarle di avvisare la badessa, che avrebbe preso provvedimenti opportuni
con la fattoressa e Agnese.
Agnese e il guardiano escono dalla stanza. Il guardiano va a scrivere la lettera a Fra Cristoforo, mentre pensa che la
Signora sia curiosa, ma si può manipolare per farle fare ciò che si vuole. Immagina inoltre Fra Cristoforo soddisfatto
del lavoro che gli ha assegnato.
La signora è rimasta sola con Lucia, e non si contiene nel discorso con la ragazza. L'autore interviene dicendo che,
essendo un discorso così strano, preferisce non riferirli e raccontare la storia della giovane monaca: l'obiettivo è di
spiegare il suo atteggiamento insolito e misterioso, per comprendere i motivi del suo comportamento prima e dopo.
· Giudizio implicito: "infelice" --> riferito a Gertrude
La monaca era l'ultima figlia del principe ***, gentiluomo milanese, tra i più ricchi della città, ma la notorietà del suo
titolo gli faceva sembrare le sue sostanze appena sufficienti, anzi scarse; il suo unico obiettivo era quello di
conservarle per sempre, per quanto dipendeva da lui. Dal manoscritto non possiamo capire quanti figli avesse, ma
sappiamo che erano tutti stati indirizzati al chiostro, tranne il primogenito, che avrebbe ereditato tutte le ricchezze,
consegnate a sua volta al proprio primogenito, destinando gli altri figli a prendere i voti.
Quando ancora non era nata, i genitori avevano già deciso il futuro del neonato: diventare monaco o monaca, cosa che
si sarebbe scoperta al momento della nascita.
Questa decisione non prevedeva il consenso della figlia, ma la sua presenza. Alla nascita il padre aveva scelto il nome
Gertrude per richiamare l'idea del chiostro. I primi regali furono bambole vestite da monaca, santini di monache, che i
famigliari trattavano come cose preziose, con espressioni del tipo "bello, eh?". Quando i genitori o i fratelli volevano
farle un complimento, esclamavano "che madre badessa!".
Nonostante fosse predestinata a diventare monaca, nessuno aveva mai detto a Gertrude che era obbligata a farlo.
Secondo i famigliari, era un'idea sottintesa, che accennavano in ogni discorso sul suo futuro. Quando la bambina
compieva atti arroganti e imperiosi, secondo il suo istinto, il padre la rimproverava dicendole che, diventata madre
badessa, avrebbe potuto comandare. Quando invece la ragazza si lasciava a atti famigliari e liberi, il padre le ricordava
che sarebbe stata la prima del monastero, raccomandandole quindi di controllarsi per ottenere il rispetto degli altri.
Le parole dei famigliari le stampavano nel cervello l'idea di diventare monaca, e quelle del padre facevano ancora più
effetto; il padre era autoritario soprattutto quando si occupava del futuro dei suoi figli.
Gertrude in convento
A sei anni Gertrude era stata collocata in convento per educazione e per scelta libera e sentita. È lo stesso convento
dove arrivano le due donne; l'autore del manoscritto non inserisce il nome del convento, ma Manzoni dice di aver
capito che è il convento di Monza, perché il padre guardiano ha detto alle due donne che il padre di Gertrude era il
primo di quella città, inoltre nel manoscritto si trova qualche informazione. Nel monastero di Monza, Gertrude
sarebbe stata trattata con distinzione e finezza tale da convincerla a vivere lì per sempre. La badessa e le altre monache
del monastero erano contente di ospitare la ragazza, perché figlia di un uomo di prestigio, la cui posizione avrebbe
offerto vantaggi nel futuro, lo aiutano quindi a realizzare la sua intenzione.
Appena entrata in monastero, viene chiamata per antonomasia "la signorina", ha un posto distinto nel dormitorio e a
tavola, il suo comportamento è proposto alle altre giovani come esempio, viene trattata con famigliarità e rispetto, cioè
l'atteggiamento che fa sentire bene i bambini quando vedono che gli altri sono trattati solo con superiorità.
Non tutte le monache la considerano superiore alle altre: alcune considerano sbagliato che una ragazza venga destinata
ai voti solo per interessi economici; alcune non si accorgono di come viene trattata la ragazza, altre non vi trovano
nulla di cattivo, altre non esaminano la situazione, altre stanno in silenzio per non destare scandalo. Altre provano
tenerezza per la ragazza perché proprio come lei erano state indirizzate alla vita in convento per volere dei genitori,
ma lei non percepisce lo strano comportamento.
Una ragazza poteva diventare suora solo dopo un esame da parte del vicario delle monache o di un altro incaricato, per
assicurarsi che la ragazza lo facesse per sua libera scelta; l'esame doveva essere preceduto da una lettera in cui la
ragazza mettesse per iscritto la propria supplica. Gertrude invia la supplica al vicario, convinta da altre monache, ma
ne se ne pente presto. Decide, però, di non riferire il proprio pentimento alle compagne. Un anno dopo aver
sottoscritto la supplica, Gertrude deve trascorrere un periodo a casa per proseguire il percorso necessario a prendere i
voti; non vorrebbe, però, fare passi avanti, ma cancellare il primo e unico che ha fatto, cioè quello di sottoscrivere la
supplica. Si confida quindi con una delle compagne, che le consiglia di scrivere una lettera al padre, prima di partire
per il soggiorno a casa. La ragazza, però, non riceve una risposta, fino a quando la badessa le accenna alla collera del
padre richiamandola nella sua cella e le lascia intendere che, comportandosi bene, avrebbe potuto risolvere il
problema. Gertrude capisce che non può fare ulteriori richieste.
Il periodo a casa
Gertrude prova terrore quando sente i passi del padre irritato che si avvicina, e si sente colpevole; nonostante ciò,
avrebbe preferito trovarsi sotto terra piuttosto che in un chiostro. La prima punizione è di stare rinchiusa sotto il
controllo della serva che aveva scoperto la lettera, ma si prevede un ulteriore castigo. Il paggio è allontanato, il padre
si raccomanda di non raccontare a nessuno l'accaduto e gli dà due schiaffi perché il ricordo gli tolga la tentazione di
vantarsi dell'esperienza.
Gertrude rimane con il batticuore, rimorso, vergogna e terrore per la punizione del padre. Lei e la carceriera, costretta
a custodire il segreto, si odiano a vicenda.
I sentimenti di Gertrude sembrano inizialmente scomparire, per poi tornare uno alla volta alla mente e ingrandirsi. Si
chiede quale possa essere la punizione del padre: la più probabile è di essere mandata nel monastero di Monza, dove si
immagina di essere trattata non più come la signorina ma come la colpevole, provando molta vergogna.
Le tornano in mente le immagini della lettera e del paggio, che si distingue tra coloro che la circondano, freddi, seri e
minacciosi.
Col passare del tempo abbandona questi pensieri, sostituiti dalle fantasie che faceva anche in monastero, consapevole,
però, che non si sarebbero mai realizzate.
Immagina il monastero come l'unico luogo tranquillo e onorevole, se avesse deciso di starci per sempre. Diventare una
monaca festeggiata, ubbidita e ossequiata è ora un suo desiderio.
I due sentimenti che prova sono: il rimorso insieme al bisogno di pratica religiosa e l'orgoglio. La carceriera le ricorda
il castigo del padre e lo sbaglio che ha fatto, oppure si mostra benigna adottando un tono di protezione che Gertrude
trova peggiore di un insulto. Alla ragazza pare amabile ogni cosa che la allontani da quella donna.
Dopo 4 o 5 giorni di prigionia e i dispetti della carceriera, Gertrude sfoga la sua rabbia con la faccia tra le mani, in un
angolo della stanza. Vorrebbe vedere nuovi visi, sentire altre parole, essere trattata diversamente. Il pensiero che sia
proprio compito vedere i famigliari come amici, si rallegra. Prova però, anche rimorso per il fallo e desiderio di
espiarlo. Decide quindi di scrivere una lettera al padre; in essa esprime il suo entusiasmo e abbattimento, afflizione e
speranza, chiedendo il perdono ad ogni costo per il piacere di coloro che lo accordano.
• Antitesi "d'entusiasmo e d'abbattimento, d'afflizione e di speranza" per esprimere i sentimenti contradditori della
giovane
CAPITOLO 10
Il resto della giornata Geltrude è impegnata in molte occupazioni: viene pettinata e acconciata, riceve molti
complimenti e da alcuni parenti, passeggia in carrozza con la madre e due zii lungo una strada principale di Milano,
Gertrude viene chiamata “sposina”, che è l’appellativo che viene dato alle giovani monacande inoltre ai complimenti
deve rispondere facendo buon viso cattiva sorte. A fine serata riceve anche i complimenti del padre, e dopo cena
Gertrude pensa di approfittare della benevolenza del padre per allontanare la cameriera con cui era stata rinchiusa
nella stanza, lamentandosi dei suoi comportamenti e promette alla figlia rimproveri alla domestica e le viene assegnata
un’altra cameriera anziana.
Gertrude trascorre così alcuni anni non avendo altri diversivi nella sua vita laica fino ad un momento. La monaca ha il
privilegio di alloggiare in un quartiere a parte del convento, che fa parte della casa laica dove vive Egidio, un giovane
irriverente che si circonda di brutte persone e non segue né le leggi né la giustizia grazie alle sue amicizie potenti.
Gertrude iniziò con Egidio una relazione clandestina, per questa relazione Gertrude è molto felice e molte consorelle
trovano Gertrude più tranquilla. Un giorno però Gertrude ha una discussione violenta con una conversa e la maltratta
eccessivamente, la donna si lascia sfuggire che lei è a conoscenza di un segreto della monaca. Gertrude è preoccupata
ma non dopo molto tempo la conversa sparì e quando venne scoperta una buca nel muro dell’orto che lasciò pensare a
tutti che fu scappata in Olanda e dopo poco tempo non si parlò più di lei, anche se Gertrude preferisce trovarsela viva
davanti e non sentirne la voce nella sua mente che la rimprovera e la minaccia per il delitto commesso, senza lasciarle
mai un solo attimo di pace.
Quando Agnese e Lucia arrivarono al convento e incontrarono Gertrude era già passato un anno, Gertrude mentre
parlava con Lucia le rivolgeva molte domande riguardo la persecuzione di Don Rodrigo. Appena arrivò dalla madre le
confidò il suo imbarazzo per quelle domande e Agnese rispose che i signori sono tutti strani e che non deve prestarci
molta attenzione.
CAPITOLO 11
Il Griso e i bravi fanno ritorno al palazzotto di don Rodrigo, la notte in cui hanno tentato vanamente di rapire Lucia,
simili a un branco di segugi con i musi bassi e la coda tra le zampe. Il signorotto cammina nervosamente in una sala
all'ultimo piano, buia, mentre attende con impazienza l'esito della spedizione: rassicura se stesso circa le possibili
conseguenze dell'atto scellerato, dicendosi certo che né Renzo, né tanto meno padre Cristoforo o Agnese verranno a
cercare Lucia nel suo palazzo e, quanto alla giustizia, egli può contare sull'appoggio del podestà di Lecco. Don
Rodrigo già pregusta la soddisfazione di vincere la scommessa sul conte Attilio e pensa alle infami lusinghe che
rivolgerà a Lucia prigioniera, quando sente dei passi in strada e, affacciatosi dalla finestra, vede con sorpresa che i
bravi sono tutti rientrati senza la bussola. Il Griso va subito a fargli rapporto e il nobile, che lo attende in cima alle
scale, lo apostrofa con parole dure e di scherno per il fallimento dell'impresa, al che il Griso riferisce fedelmente al
padrone tutto quanto è avvenuto nelle ore precedenti, incluso ovviamente il fatto che Lucia e Agnese non si trovavano
in casa. Don Rodrigo sospetta che ci possa essere una spia a palazzo, come del resto pensa anche il bravo, il quale
rassicura tuttavia il padrone sul fatto che, come spera, lui e i suoi uomini non sono stati riconosciuti. Il signorotto
ordina al Griso di provvedere il mattino dopo a mandare due sgherri a minacciare il console del paese (cosa che
l'autore ha già narrato nelle pagine precedenti), di provvedere a portar via la bussola dal casolare vicino alla casa delle
due donne, e infine di sguinzagliare altri uomini nel villaggio per scoprire cosa sia accaduto la notte prima. A questo
punto sia don Rodrigo sia il Griso vanno a dormire, quest'ultimo (osserva con ironia l'autore) stanco per i rischi corsi e
avendo ricevuto ingiusti rimproveri.
Disgressione dell’autore
Manzoni interrompe la narrazione e afferma, non senza una certa ironia, di aver visto più volte un "caro fanciullo"
tentare senza successo di radunare i suoi porcellini d'India che ha lasciato correre liberi per il giardino, poiché gli
animali gli sfuggivano da ogni parte e non si lasciavano ricondurre al coperto: alla fine il ragazzo finiva per spingere
dentro il recinto quelli più vicini all'uscio, andando poi a recuperare gli altri a seconda di dove si trovassero. L'autore
dovrà fare qualcosa di simile con i personaggi del romanzo, poiché, dopo aver lasciato Agnese e Lucia per parlare
di don Rodrigo, dovrà ora tornare a Renzo che è in cammino verso Milano.
Renzo percorre la strada che da Monza conduce a Milano, pieno di pensieri cupi e di rabbia verso don Rodrigo che lo
ha costretto a lasciare il paese e Lucia, anche se il ricordo della preghiera recitata con padre Cristoforo lo raddolcisce e
lo induce a inginocchiarsi in preghiera ogni volta che trova un'immagine votiva (l'autore osserva ironicamente che,
durante il viaggio, uccide e resuscita col pensiero il signorotto varie volte). Il giovane percorre una strada infossata tra
due rive nel terreno, per poi salire in posizione più elevata grazie a un sentiero a scalini più ripido: da lì scorge a un
tratto la sagoma del duomo di Milano, restando meravigliato di fronte a quel monumento di cui ha tanto sentito parlare
fin da bambino. In seguito Renzo si volta e vede le sue montagne, tra cui il Resegone che ha dovuto lasciare, quindi
prosegue e giunge in prossimità della città, di cui vede ormai case ed edifici. Si avvicina a un distinto viandante e gli
chiede con cortesia quale strada conduca al convento di padre Bonaventura: l'uomo, che si allontana di fretta da
Milano a causa del tumulto che è in atto, dice con altrettanta cortesia a Renzo che per indirizzarlo dovrebbe sapere di
che convento si tratta, al che il giovane gli mostra la lettera avuta da fra Cristoforo. L'uomo legge "Porta Orientale" e
mostra a Renzo la via per arrivarci, dicendogli di costeggiare il fossato che circonda il lazzaretto fino ad arrivare alla
porta, superata la quale troverà il convento molto facilmente. L'uomo si congeda con grande gentilezza e Renzo
rimane stupito dei modi garbati dei Milanesi, non sapendo che in quella giornata tutti i signori si mostrano gentili con i
popolani a causa della rivolta.
CONSIDERAZIONI PSICOLOGICHE
Un primo cambiamento nel carattere della donna si può notare in seguito alla sua “entrata” nella fase
dell'adolescenza: la ragazza, che fino a quel punto aveva preso per certo il suo futuro in convento, comincia
improvvisamente a mettere in discussione tutte le volontà e tutti i piani futuri che i suoi genitori avevano in mente
per lei, e a considerare anche una possibile vita fuori dal convento, tant'è che si pente di aver scritto la supplica al
vicario.
Un ulteriore cambiamento nel comportamento di Gertrude si ha quando inizia, segretamente, a prendere
confidenza con un paggio: isolata e maltrattata dal resto della famiglia al fine di farle desiderare il convento,
quella del paggio è l'unica attenzione che Gertrude riceve. Questo causa una tranquillità diversa dal solito, ma allo
stesso tempo un'inquietudine per la paura che qualcuno potesse scoprila.
Un mutamento nel comportamento di Gertrude si ha dopo che essa ha trascorso del tempo imprigionata per la
relazione con il paggio: uscita da questo isolamento, è subito disposta ad accettare la vita in convento, pur di
ricevere il perdono dalla famiglia, cosa che prima rifiutava.
Un notevole cambiamento di personalità in Gertrude si ha inoltre durante un dialogo con una suora del convento:
dopo una sua seconda relazione di Gertrude con un ragazzo chiamato Egidio, una suora aveva scoperto l'accaduto,
e minacciato di rivelare tutto. Un forte turbamento e una forte angoscia prenderanno il sopravvento in Gertrude.
Tuttavia, queste sensazioni non saranno nulla in confronto con la forte ansia, l'angoscia, la paura, il
pentimento che sentirà in seguito all'omicidio della suddetta suora.
La Monaca di Monza, è comunemente chiamata la Signora per le sue nobili origini. Questo ci fa rifletter sul
fatto che la prima cosa per cui viene ricordata la monaca di Monza non è il fatto di essere una monaca (che di
solito è una delle prime cose che si notano e si dicono), bensì per il fatto di avere origini nobili. Manzoni
infatti prima di dire che è una monaca la cita ben 6/7 volte come la Signora.
Nel capitolo 10 compare il personaggio di Egidio, il giovinastro che diventa amante di Gertrude e commette
insieme a lei il delitto della conversa che, venuta a sapere del loro segreto, minaccia di rivelarlo: il tutto viene
sinteticamente riassunto dall'autore, (e la sventurata rispose…) che non scende nei dettagli della relazione
clandestina né del delitto (ben diverso il modo in cui, nel Fermo e Lucia, questa vicenda era stata raccontata
con ampiezza di particolari morbosi e truci: cfr. i brani Geltrude ed Egidio, L'uccisione della suora).
La convessa: compare nel cap. X ed è una delle laiche che vivono nel convento di Monza in cui Gertrude è
monaca: viene a sapere della relazione clandestina tra la "Signora" ed Egidio, per cui un giorno, dopo che
Gertrude l'ha trattata con molta durezza in seguito a una discussione, si lascia sfuggire che è a conoscenza del
suo segreto e che è decisa a rivelarlo. In seguito la donna scompare e tutti credono che sia fuggita, specie dopo
che si trova una breccia nel muro dell'orto (viene cercata a Meda, donde è originaria, e in altri luoghi, senza
che se abbia più traccia); alla fine si pensa che si sia rifugiata in Olanda, mentre essa è stata uccisa da Egidio
con la complicità della monaca (l'autore osserva che, anziché cercare lontano, si sarebbe dovuto scavare
vicino, dunque è probabile che sia stata sepolta all'interno dello stesso monastero).