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novella delle papere

A Firenze vive un uomo di nome Federico Balducci, di umili origini, ma con


un’attività ben avviata. Ha una moglie che ama molto e che purtroppo muore
lasciandolo nello sconforto e con un figlioletto di due anni. Non riuscendo più a
rassegnarsi per la sua sventura, lascia tutti i suoi averi ai poveri e poi si ritira come
eremita insieme al figlioletto in una grotta del monte Asinaio, dove conduce una vita
di elemosine, preghiere e digiuni.
Al figlio gli parla solo di Dio e dei Santi, gli insegna a pregare e non gli fa mai vedere
niente del mondo esterno. Quando il figlio compie diciotto anni va insieme al padre a
Firenze per conoscere e vedere la città. L’uomo pensa che il figlio ormai è grande, è
abituato da sempre a servire Dio, e niente potrebbe mai distrarlo da tutto ciò che gli
ha insegnato.
Arrivati a Firenze il figlio mostra un grande stupore nel vedere tante cose nuove per
lui, come le case, i palazzi, le chiese. Mentre camminano incontrano un gruppo di
donne giovani e belle che ritornano da una festa di nozze. Il figlio chiede cosa sono e
il padre risponde che sono una cosa cattiva. Il figlio chiede ancora come si chiamino
quelle cose cattive, e il padre risponde che si chiamano «papere». Il figlio dice che le
papere sono bellissime, come gli angeli dei dipinti che aveva appena visto in una
chiesa, e chiede al padre di portarne una con loro, promettendo di prendersene cura
e di imbeccarla tutti i giorni Il padre risponde che non vuole prenderne una perché il
figlio non sa come si imbeccano e si pente amaramente di averlo portato con sé a
Firenze.
Dopo il racconto Boccaccio continua con la sua difesa. Se un giovane che non ha mai
visto una donna, rimane talmente affascinato dal suo dolce viso e dalla sua grazia, lo
stesso vale per qualunque uomo, anche per lo stesso Boccaccio e perfino per uomini
ancora più anziani che, anche se hanno i capelli bianchi, sentono ancora gli impulsi
amorosi. Ne sono testimoni Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Cino da Pistoia.

lisabetta di messina

A Messina vivono tre giovani fratelli, ricchi mercanti originari di San Gimignano. I
tre hanno una sorella, Lisabetta, una ragazza bella, onesta e gentile, in età da marito
e non ancora promessa sposa ad alcuno. A servizio dei fratelli c’è il garzone Lorenzo,
un giovinetto di Pisa, una sorta di braccio destro dei fratelli, un factotum. È un bel
ragazzo e Lisabetta, vedendolo ogni giorno, e trovandolo attraente, se ne innamora.
Lorenzo se ne accorge, ricambia l’interesse e i due prendono a frequentarsi
assiduamente.La tresca però viene scoperta da uno dei fratelli mentre una sera
Lisabetta si reca al consueto incontro con l’amante. Il fratello di Lisabetta non
reagisce d’istinto e non rivela niente a nessuno e attende il mattino. Fattosi giorno,
racconta agli altri due fratelli ciò che ha visto la notte prima. Insieme decidono di
non denunciare l’accaduto e di attendere l’occasione buona per porre rimedio al
misfatto. L’occasione si presenta quando i tre fratelli dicono di dover andare in città,
portando con sé Lorenzo, ignaro dell’agguato che i tre gli avrebbero teso. In un
bosco, i tre uccidono e seppelliscono il povero garzone, in modo che non potesse
essere ritrovato. Tornati a casa, dicono a tutti che lo hanno inviato lontano per affari.
Furono creduti, giacché erano soliti inviarlo lontano per mercatura.Lisabetta
comincia a chiedere spesso di Lorenzo ai fratelli e un giorno è anche rimproverata
duramente. La giovane si strugge per l’assenza dell’amato, lo chiama continuamente
ogni notte; e Lorenzo una notte le appare in sogno, pallido e scarmigliato, coi panni
tutti strappati e fradici. Il giovane, addolorato per il patimento della sua amata, le
racconta che i fratelli lo hanno ucciso e le indica anche il luogo in cui è stato sepolto.
Le impedisce di chiamarlo ancora. Poi scompare.Lisabetta, credendo al sogno, con la
scusa di una passeggiata, si reca con la sua fantesca nel luogo indicato e, arrivata,
tolte le foglie secche che ricoprivano la terra rivoltata, comincia a scavare: non le
serve molto tempo e trova il corpo dell’amato. Il sogno era veritiero. Avrebbe voluto
portarselo dietro tutto e seppellirlo degnamente, ma era impossibile: così, preso un
coltello, ne taglia la testa e seppellisce il resto. Affida alla domestica la preziosa (e
macabra) reliquia e torna a casa. Comincia quindi a piangere con la testa di Lorenzo
nella propria camera. Dopo averla lavata con lacrime e baci, la seppellisce avvolta con
un bel drappo in un grande vaso di terracotta usato per piantare gli odori. Ricoperta
la testa con la terra, vi pianta il basilico. Così comincia a passare le sue giornate a
piangere e a piangere su quel vaso di terracotta pieno di basilico, che cresce verde e
rigoglioso. Lisabetta smagrisce, diventa pallida, deperisce. I fratelli si
insospettiscono – e temono anche per le voci del vicinato – e portano via il vaso.
Questo furto, la fa ammalare definitivamente e tuttavia lei continua a chiedere il
vaso. I fratelli si stupiscono di tanta insistenza e vanno a vedere che cosa contenga.
Tolta la terra, scoprono nel drappo la testa non ancora decomposta coi capelli crespi:
è quella di Lorenzo, non hanno dubbi. Sgomenti, temono che la cosa si possa sapere
in giro.
La sotterrano senza dire nulla e, partiti con circospezione da Messina,si trasferiscono
a Napoli, dopo aver sistemato ogni loro affare. Lisabetta muore di dolore.

federigo degli alberighi

Questa novella narra di un certo Federico degli Alberighi, il quale si invaghì di una
giovane donna, monna Giovanna, che però non ricambiava il suo amore..e Federigo
spese tutti i suoi risparmi per cercare di renderla almeno un tantino felice, ma
invano. Decise di tenersi solamente il suo adorato falcone. Quando un giorno però il
figlio di monna Giovanna si ammalò, egli disse alla madre che per poter guarire,
aveva bisogno del falcone di Federigo. Ella fu quindi costretta ad andare nella casa di
quest ultimo, ed egli, appena la vide, decise di organizzarle un bel banchetto,
cucinando ciò che aveva di più caro: il suo falcone. La giovane lo mangiò con gusto,
non sapendo cosa fosse, e appena finito il pranzo, chiese a Federigo se poteva darle il
suo falcone. Egli scoppiò in un pianto disperato, rivelandogli che glielo aveva già
dato, ma sotto forma di arrosto. Pochi giorni dopo, il bambino morì, e la donna, sotto
pressione dei fratelli, fu costretta a risposarsi, questa volta però con Federigo, che
tanto l'amava e aveva sofferto per lei.

la badessa e le brache

In un famosissimo monastero in Lombardia, tra le varie monache c’è Isabetta,


giovane nobile e bellissima. Un giorno, oltre ad un parente, va a farle visita alla grata
un giovane, di cui Isabetta si innamora e della quale a sua volta si innamora il
giovane, vedendola così bella. Essendo entrambi così desiderosi di incontrarsi, il
giovane trova lo stratagemma per vederla di nascosto molte volte, fino a quando una
notte, senza accorgersene, viene visto da una delle monache del monastero, che
avverte anche le altre del misfatto.
Allora le monache decidono di cogliere direttamente sul fatto Isabetta e il giovane, in
modo che non sia possibile per i due amanti negare l’accaduto. Così una notte,
sapendo che Isabetta è con il giovane amante nella sua cella[2], le monache si
affrettano ad avvisare dell’accaduto la badessa, madonna Usimbalda, considerata da
tutti una santa donna. Durante quella notte la badessa sta nella sua camera in
compagnia di un prete che poteva andare da lei nascondendosi in una cassa.
Temendo che le monache aprano la porta della camera e la sorprendano con il prete,
la badessa cerca velocemente il salterio[3] da indossare sul capo, ma nella fretta
prende le braghe del prete e se le mette in testa.
Intanto Isabetta e l’amante vengono sorpresi dalle monache abbracciati nel letto e la
giovane monaca viene portata senza indugio nel capitolo[4] del convento, al cospetto
della badessa[5], la quale comincia ad insultare Isabetta come mai prima e ad
accusarla di aver contaminato la buona fama di santità e onestà del monastero.
Durante la predica Isabetta si accorge che la badessa porta in capo le braghe del prete
con i lacci che pendono e così le dice: “Madonna, io vi invito ad annodare la vostra
cuffia”. Al che la badessa le risponde: “Che cuffia, donna colpevole? Ti sembra il
momento di scherzare?” Isabetta insiste nella sua richiesta e così anche lo sguardo
delle monache cade sulle braghe in testa alla badessa, che a sua volta, aggiustandosi
la cuffia, capisce il suo errore.
Sapendo essere vista da tutte e di non poter rimediare all’errore, la badessa cambia
sermone[6] ammettendo che non si può resistere agli stimoli del corpo e
discretamente esorta ciascuna monaca a sfruttare il tempo come meglio è possibile.
Così Isabetta e la monaca tornano dai rispettivi amanti, a dispetto[7] delle monache
invidiose, le quali, senza amante si procurano segretamente qualche piacere.

chicchibio e la gru
durante una battuta di caccia, Currado Gianfigliazzi, nobile e cavaliere, proveniente
da una famiglia di banchieri, trova e uccide una gru, che invia al suo cuoco,
Chichibio. Il cuoco cucina a perfezione il volatile. Giunge Brunetta, la ragazza di cui è
innamorato Chichibio, che gli domanda una coscia della gru. Il cuoco inizialmente
rifiuta, ma, stuzzicato e provocato dalla donna, alla fine cede e le dona una
coscia.Chichibio serve poi la gru a Currado e ai suoi ospiti. Non appena vede la
zampa mancante, il nobile chiede spiegazioni al cuoco, che risponde che le gru hanno
una sola zampa. Il nobile, irritato dalla menzogna di Chichibio, lo sfida: il giorno
successivo sarebbero andati a vedere al lago per verificare l'esattezza di questa
affermazione. Una volta giunti lì, i due uomini scorgono diverse gru su una zampa
sola, cioè nella posizione in cui questi uccelli sono soliti dormire. Currado quindi,
gridando “oh, oh”, corre verso gli uccelli, che spaventati volano via, tirando fuori
anche la seconda zampa. Currado allora chiede a Chichibio: “Che ti par, ghiottone?
Parti ch’elle n’abbian due?”. Il cuoco risponde con notevole prontezza usando una
battuta di spirito: se la sera prima il padrone avesse egualmente gridato anche in
quel caso sarebbe comparsa la seconda gamba alla gru. L'intelligente risposta di
Chichibio fa ridere il nobile Currado, che quindi perdona il cuoco per la sottrazione
della coscia di gru.

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