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Filologia Germanica II – Linguistica

Come si pronuncia l’inglese antico?


Vocali
Ciascuna vocale può essere sia lunga sia breve: la differenza tra le due è soltanto di natura quantitativa,
mentre possiamo ritenere che la qualità fosse (diversamente da quanto accade in inglese moderno)
identica
˂a˃ → [ɑ] ˂o˃ → [o] (nata da metafonia da a)
˂æ˃ → [æ] ˂u˃ → [u]
˂e˃ → [e] ˂y˃ → [y]
˂i˃ → [i]
˂ie˃ → [ı] Si tratta di una forma che compare nel primo sassone occidentale, di difficile interpretazione. Nel
sassone occidentale più tardo compare raramente e le parole che contenevano questa vocale vengono
generalmente scritte con ˂i˃ o ˂y˃.
In sillaba atona le vocali erano probabilmente pronunciate in modo meno chiaro. A partire
dall’anno 1000 circa si fa più frequente la confusione nella grafia: ci si avvicina alla situazione dell’inglese
medio in cui tutte le vocali atone sono pronunciate [ǝ]. In inglese antico esse sono, comunque, ancora
distinte e la loro qualità è l’unico elemento a distinguere le varie desinenze.
Dittonghi
In inglese antico ci sono due Diagrammi solitamente interpretati come dittonghi. Entrambi possono essere
sia lunghi sia brevi. La loro esatta natura è piuttosto controversa, la pronuncia presentata è quella
genericamente accettata.
˂eo˃ → [eo] o [eʊ]
˂ea˃ → [æɑ]
Consonanti
La maggior parte delle consonanti inglesi antiche vengono pronunciate come nell’inglese moderno. Queste
sono le differenze:
˂þ˃, ˂ð˃ → vengono usati indifferentemente per rappresentare [θ] e [ð].
˂f˃, ˂s˃, ˂þ˃ → - sono pronunciate sonore come [v], [z], [ð] quando si trovano in posizione intervocalica o
comunque in contesto sonoro.
- sono sorde [f], [s], [θ] in inizio o fine di parola o vicino ad un’altra sorda.
˂c˃ → - è pronunciata [ʧ]:
1. Davanti a vocale anteriore ˂i˃ e ˂ie˃ e ai dittonghi ˂ea˃ e ˂eo˃;
2. In tardo sassone davanti a ˂y˃, ma soltanto nelle parole in cui prima era scritto ˂ie˃;
3. In finale di sillaba dopo ˂i˃ tranne quando seguita da una vocale posteriore a, o, u.
- in tutte le altre posizioni [k].
˂g˃ → - è pronunciata [j] ([ʤ] dopo ˂n˃):
1. Davanti a vocale anteriore ˂i˃ e ˂ie˃ e ai dittonghi ˂ea˃ e ˂eo˃;
2. In tardo sassone occidentale davanti a ˂y˃, ma soltanto nelle parole in cui prima era scritto
˂ie˃;
3. In una serie limitata di parole in cui ˂g˃ non deriva da [g], ma da [j], cfr. ad es. geong
“young”, geoc “yoke”….
- è pronunciata [ɣ] (spirante velare sonora, che in inglese medio è passata a [w]) in contesto sonoro
- in tutte le altre posizioni di [g]
˂cg˃ → [ʤ]
˂h˃ → - [h] in posizione iniziale di sillaba
- [χ] (spirante velare sorda) o [ç] (spirante palatale sorda) in tutte le altre posizioni, a seconda della
qualità della vocale successiva: velare dopo vocale posteriore, palatale dopo vocale anteriore.

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˂sc˃ → [ʃ] sempre ad eccezione che all’interno o in finale di parola dopo vocale posteriore, dove è
pronunciata [sk]. In questo caso è spesso è spesso soggetto a metatesi, divenendo [ks] e può essere
scritto ˂x˃
In inglese antico, a differenza di quanto avviene in inglese moderno, non ci sono consonanti mute, cfr.
cniht [kniχt] (knight), hring [hring], gnæt [gnæt], wrīðan [wri:ðan].
Quando doppie, le consonanti vanno pronunciate doppie (come in italiano).
I pronomi personali
Le lingue indoeuropee hanno, oltre la declinazione nominale, la declinazione pronominale. Il pronome è
una categoria del nome che può sostituire o determinare. Esso possiede, quindi, oltre la sua funzione di
sostituto il nome, anche la funzione di aggettivo.
Tutti i pronomi esprimono la categoria del caso: nominativo, accusativo, genitivo, dativo e, a volte,
strumentale. I pronomi personali sono indifferenti al genere ed esprimono il plurale con mezzi semantici,
ovvero con radicali diversi. Oltre ai numeri singolare e plurale, i personali conservano anche il duale.
Si distingue con radicale diverso la prima, la seconda e la terza persona. Per la terza persona si può porre in
fase germanica comune il riflessivo che l’inglese antico ha eliminato e sostituito con un pronome
dimostrativo anaforico.
Interessante notare che nei pronomi personali si incontrano tracce residue di una maggiore ricchezza
flessiva germanica che in anglosassone di solito e già ridotta. Nei pronomi personali esisteva, per quanto
raro, l’antico duale. I personali sono quelli che si sono mostrati più resistenti attraverso tutta la storia della
lingua, tanto conservativi nella flessione, che mantengono ancora una declinazione nell’inglese moderno.
Fenomeno comune anche ad altre lingue (ita: io, me, mi – ing: I, my, me).
Importante da studiare perché la flessione verbale, a causa dell’evoluzione fonetica, cambia: c’è un
decadimento in sillaba finale, pertanto i pronomi diventano mezzi strategici che portano informazioni
morfologiche che nel protoinglese erano espresse da flessioni ben definite.

Personal pronouns 1st and 2nd person


1st person 2nd person
Singular
N. ic þū
G. mīn þin
D. mē
þē
A. mē
þē
Dual
N. wit (we two) git (ye two)
G. uncer (of us two) incer (of you two)
D. unc (to or for us two) inc (to or for you two)
A. unc (us two) inc (you two)

Plur.
N. wē gē
G. ūser (ūre) ēower
D. ūs ēow
A. ūs ēow
Note 1. —The dual number was soon absorbed by the plural. No relic of it now remains. But when two and only two are referred
to, the dual is consistently used in O.E. An example occurs in the case of the two blind men (Matthew ix. 27-31): Gemiltsa unc,
Davīdes sunu! Pity us, (thou) Son of David! Sīe inc after incrum gelēafan, Be it unto you according to your faith.
NOTE 2. — Mn.E. ye (<gē), the nominative proper, is fast being displaced by you (<ēow), the old objective. The distinction is
preserved in the King Jame’s version of the Bible: Ye in me, and I in you (John xiv, 20); but not in Shakespeare and later writers.

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Personal pronouns 3rd person
Masculine. Feminine. Neuter.
Sing.
N. hē hēo hit
G. his hiere his
D. him hiere him
A. hine, hiene hīe hit

All Genders.
Plur.
N.A. hīe
G. hiera
D. him

Pronouns
Personal pronouns
You will find the personal pronouns easy to learn because of their resemblance in both form and usage to
those of Modern English.
The first-person pronouns are quite similar to those of Modern English, especially in prose, where you will
generally see accusative singular mē rather than mec.
The second-person pronouns, on the other hand, have changed radically since the Old English period.
Modern English does not distinguish number or any case but the possessive; in fact there are now only two
forms of the pronoun, you and your. By contrast, the second-person pronouns of Old English look a lot like
the first-person pronouns, distinguishing number and at least three of the cases.
Old English does not use the second-person singular as a “familiar” form, the way Middle English, French
and German do: þū is simply singular. Like mec, accusative singular þec is mainly poetic.
The third-person pronouns, unlike the first- and second-person pronouns, are inflected for gender, but
only in the singular.
Notice that several of those forms can represent two cases or genders. As you study the pronouns, nouns
and adjectives, you will find that forms repeat themselves in the same pattern:
neuter nominative and accusative singular forms are the same
neuter and masculine genitive singular forms are the same
neuter and masculine dative singular forms are the same
feminine genitive and dative singular forms are the same
plural nominative and accusative forms are the same
If you learn these patterns you will save yourself some of the labor of memorizing paradigms.

The third-person plural pronouns may cause some difficulty at first, because they don’t start with th- the
way their Modern English counterparts do. Also confusing is that dative plural him is the same as the
masculine/neuter dative singular pronoun. You will need to take extra care in memorizing these plural
pronouns.
Possessive adjectives
Possessive adjectives are the pronoun-like forms we use with nouns to signal possession:
my sword
the sword is mine
your shield
the shield is yours
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her spear
the spear is hers

These are closely related to the genitive personal pronouns, but we call them adjectives because they
modify nouns. In Old English the third-person genitive pronouns are used as possessive adjectives:
his hring
[his ring]
hire healsbēag
[her necklace]
hira fatu
[their cups]

These work like Modern English possessives in that they agree in gender and number with their
antecedents, not with the nouns they modify. To make first- and second-person possessive adjectives,
strong adjective endings are added to the genitive pronoun forms; these agree with the nouns they
modify, not with their antecedents:
mīnum scipe
[my ship (dative)]
þīnne wæġn
[your wagon (accusative)]
ēowru hors
[your horses (nominative plural)]

Il pronome dimostrativo e l’articolo

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There are two demonstrative pronouns, se/þæt/sēo (table 5.4) and þes/þis/þēos (table 5.5). The first
does the job of Modern English that/those and also that of the definite article the. The second does the
same job as Modern English this/these. As with the third-person pronouns, gender is distinguished only in
the singular.

Table 5.4. Demonstrative pronoun ‘the’, ‘that’, ‘those’ - /a:/ diventerà /o:/

Table 5.5. Demonstrative pronoun ‘this’, ‘these’

Livellamento radicale- nell’inglese moderno rimane una sola forma per il singolare ed il plurale.
Modern English that comes from the neuter nominative/accusative form. Notice that the same patterns
occur here as in the third-person pronouns: neuter nominative and accusative forms are the same,
masculine and neuter forms are the same in the genitive and dative cases, and feminine genitive and
dative forms are the same. The instrumental case is distinguished only in the masculine and neuter
singular; elsewhere you will see the dative instead.
Non si può ancora distinguere semanticamente, però, l’accezione di “più vicino”/”più lontano” in inglese
antico.
Þæt e þā pongono le basi per i dimostrativi in inglese moderno e assumono il significato dell’odierno “that”
e “those”.
Da sistema molto articolato si passa ad un sistema semplificato. Le tendenze di livellamento analogico sono
molto più forti rispetto alle altre lingue germaniche.
Perché avviene questo sviluppo da pronome dimostrativo ad articolo “the”?
In un primo momento i sostantivi germanici non avevano bisogno di determinazione, poiché avveniva nel
sistema flessivo (attraverso le declinazioni). Con l’evoluzione fonetica, dove avviene il decadimento della
sillaba finale, serve a livello morfologico un indicatore che aiuta la comprensione: per questa funzione
viene utilizzato il pronome dimostrativo. Ora che il dimostrativo ha questa nuova funzione, avviene
un’ulteriore evoluzione: la creazione di un pronome dimostrativo composto. Già in germanico, in
sostituzione, abbiamo questa possibilità aggiungendo la particella “se” che in inglese antico rimane come
“s”; la flessione segue gli aggettivi forti (Table 5.5). Nell’inglese medio questa declinazione viene
semplificata, più simile all’inglese moderno.
L’articolo indeterminativo
In inglese antico abbiamo due modalità per questo articolo: - con il numerale ai. “ān” che diventerà “one”
come numerale e “a” e “an” come articolo, oppure – con il pronome indefinito ai. “sum” = “some”.
Evoluzione fonetica di ān: se una parola monosillabica ha un accento importante nella frase l’evoluzione
sarà differente rispetto ad una che non ha un accento importante. Già in inglese antico la vocale perde la
sua lunghezza e in inglese medio abbiamo anche “a” come abbiamo in inglese moderno le due varianti “a”
e “an”. Già nell’inglese medio la seconda possibilità (sum) viene esclusa.

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Per quanto riguarda il numerale ān → ōn → one
Quando si tratta di numerale (quindi ha un accento) l’evoluzione è differente.
More about personal and demonstrative pronouns
The dual number
The first- and second-person pronouns have dual as well as singular and plural forms (table 5.6). Dual
pronouns are used to refer to two things: ‘we two’, ‘you two’.

Table 5.6. Dual pronouns


first person second person
nominative wit ‘we two’ ġit ‘you two’
accusative unc ‘us two’ inc ‘you two’
genitive uncer ‘of us two’ incer ‘of you two’
dative unc ‘us two’ inc ‘you two’

Use of the dual is optional: the plural will do just as well. It is used to emphasize that two persons or things
are being discussed, as in Riddle 85:

Ġif wit unc ġedǣlað, mē bið dēað witod


[If the two of us part from each other, death is ordained for me]

There is no dual verb form; dual pronouns agree with plural verbs.
Interrogative pronouns
There are three common interrogative pronouns: hwā (table 5.7), the ancestor of Modern English
who/what; hwelċ/hwilċ/hwylċ, which gives Modern English which; and hwæþer ‘which of two’. Hwā has
only a singular form; there is no distinction between masculine and feminine. The instrumental form is the
ancestor of Modern English why, and is used to mean ‘why’.

Table 5.7. Interrogative pronoun ‘who’, ‘what’.


The other two interrogative pronouns mentioned above are inflected as strong adjectives.
Whom → hwām; why → hwȳ
Indefinite pronouns
The interrogative pronouns can also be used as indefinite pronouns: you must judge which is intended
from the context. The addition of the prefix ġe- to these pronouns alters the meaning somewhat:

hwā ‘anyone’ ġehwā ‘each, everyone, someone’


hwelċ ‘any, anyone’ ġehwelċ ‘each’
hwæþer ‘either, both’ ġehwæþer ‘both’
These pronouns can also be modified by placing them in the phrases swā hwā swā ‘whoever’, swā hwēlċ
swā, swā hwǣþer swā ‘whichever’. Yet another indefinite pronoun may be made by prefixing nāt-, a

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negative form of the verb ‘to know’: nāthwelċ ‘someone or other’, ‘something or other’ (literally ‘I don’t
know who’, ‘I don’t know which’). Here are a few examples:
wite ġehwā þæt þā yfelan ġeþōhtas ne magon ūs derian
[let everyone know that those evil thoughts may not harm us]
Swā hwylċe swā ne woldon hlāfordas habban
[Whoever did not wish to have lords]
þāra banena byre nāthwylċes
[the son of one or another of those killers]
(Beowulf l. 2053)

Other indefinite pronouns are inflected like adjectives.


Relative pronouns
L’inglese antico, come le altre lingue germaniche, non ha un vero e proprio pronome relativo. Si usa il
dimostrativo e la particella þe sola o aggiunta al dimostrativo.
There are several ways to make a relative pronoun. One is simply with the indeclinable particle þe:
Þā bēoð ēadiġe þe ġehȳrað Godes word
[They are blessed who obey God’s word]

Another is to use a form of the demonstrative se with þe:


Hē lifode mid þām Gode þām þe hē ǣr þēowode
[He lived with that God whom he earlier had served]

A third way is to use a form of the demonstrative pronoun alone, without þe:
Danai þǣre ēa, sēo is irnende of norþdæle
[the river Don, which flows from the north]

When a demonstrative is used, its case and number will usually be appropriate to the following adjective
clause. That is the case with both of the examples above, since þēowian takes the dative and nominative
sēo is the subject of the clause that it introduces. Sometimes, though, the demonstrative will agree with
the word that the adjective clause modifies:
Uton wē hine ēac biddan þæt hē ūs ġescylde wið grimnysse myssenlicra
yfela and wīta þāra þe hē on middanġeard sendeð for manna synnum.
[Let us also entreat him that he shield us from the severity of various evils
and punishments that he sends to the earth because of men’s sins.]
The relative pronoun þāra þe agrees with the genitive plural noun phrase myssenlicra yfela and wīta,
which lies outside the adjective clause (þāra þe . . . synnum).
Reflexive pronouns
Basta utilizzare solo il pronome personale. A volte si aggiunge self (come in inglese moderno)
The personal pronoun can be used by itself as a reflexive, and self/sylf can be added for emphasis.
Examples:
Iċ ondrēd mē
[I was afraid]
Iċ ðā sōna eft mē selfum andwyrde
[I then immediately afterwards answered myself]

Old English sometimes uses a reflexive pronoun where it would make no sense to use one in Modern
English: when this happens the translator may simply ignore it.
Reciprocal pronouns
There are several ways to express what Modern English usually expresses with the phrase each other. One
may simply use a plural personal pronoun where we say each other, optionally adding self to the pronoun
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for emphasis. Or one can use a construction such as ǣġðer . . . ōðer or ǣġhwylċ . . . ōðer ‘each . . . other’.
An example of each style:

þæt ðā āglǣcan hȳ eft ġemētton


[that the contenders met each other again]
(Beowulf, l. 2592)

ǣġðer hyra ōðrum yfeles hogode


[each of them intended harm to the other]
(The Battle of Maldon, l. 133)

In the first sentence you must rely on context to tell you that the pronoun is reciprocal.

ESSAME: imparare a memoria solo pronomi personali; tutti gli altri bisogna saperli riconoscere e inserire in
un contesto.
Conclusione: L’inglese antico è erede dell’indoeuropeo, tramite il germanico, presenta complessi paradigmi
che tenderanno ad essere semplificati con livellamento analogico (vedi poi sistemi verbale e nominale), il
quale, oltre all’indebolimento in fine parola, spiega la forma odierna dell’inglese sotto vari aspetti.

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Oggi estinto, si usa un prestito
scandinavo: takan (take)

ESSAME: Non chiesto nel


dettaglio. Riconoscerlo e
sapere che è caratteristico del
Sassone Occidentale.

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(Vedi pdf per gli esempi di smoothing in anglico e tardo sassone occidentale, per capire che un fenomeno
caratteristico per la fase antica viene poi quasi eliminato.)

Sia lunghe che brevi.

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Dearrotondamento

In tedesco molti sono i


plurali formati per
metafonia: Mutter - Mütter

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ata: werþan (Ted. Mod. werfen)

Verbo oggi estinto.


Vedere meno approfonditamente.

Simili a frattura.
Fenomeno differente.

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In inglese abbiamo ancora un arcaismo
con “farewell”.
In tedesco l’accezione di fare
esperienza rimane con “Erfahrung”.

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Ted. mod.: Schwert

Ted. mod.: Schwester | In inglese prestito scandinavo.

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Bird è un prestito scandinavo.

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Consonantismo
Consonanti dell’inglese antico:

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È un mutamento combinatorio, non
avviene sempre (vedi casi sotto)

Il nesso sk diventerà [ʃ]


anche in tedesco, ma più
tardi

H: Scomparsa di h postonica intervocalica o fra vocale e liquida:


1. Se è intervocalica si ha contrazione
Es. feoh “bestiame, ricchezza” – Genitivo fēos (˂ *feohes)
Sēon (˂ *seohan) “vedere”
2. Se è fra vocale e liquida si ha, ma non sempre, allungamento della vocale precedente
Es. Wealh “celta, straniero”; plurale: Wēalas (anche Wealas)
h intervocalica si mantiene se è pretonica:
Es. behindan “dietro”
gehīeran “udire”
Morfologia dei verbi germanici
(Stesse pagine già stampate per il primo semestre,
per l’esattezza pagg. 55-61 di “De omnia Philiologia Germanica”)

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Manuscripts
Ci sono tramandati circa 400 manoscritti in inglese antico conservati in tre biblioteche. I monumenti
letterari sono tutti accessibili anche via internet, edizioni in fac-simile (soprattutto quelli poetici)
Construction of the manuscript
Most Anglo-Saxon manuscripts were written on vellum (Old English fell) made of calf skin. This was
stretched, scraped smooth, whitened with chalk, cut into sheets, ruled with a stylus, and folded into quires
of eight leaves (four sheets), or sixteen pages. After the scribes had done their work, the quires were sewn
together and bound. Pergamena: materiale molto prezioso, riflettere bene su cosa scrivere. Non sorprende
che i primi manoscritti siano dedicati ad argomenti religioso, giuridico, storiografico.
The Old English alphabet
Rendere con artifici grafici i suoni non latini. È attestato l’uso di w o u per la semivocale [w] e la fricativa
dentale sorda (non presente nell’alfabeto latino) viene usato il th; per la fricativa dentale sonora viene
usata la d e la ð. Attestati fin dall’VIII sec in: manoscritto di Cambridge, redazione in ai. dell’inno di
Ketmund, che presenta in una pagina (che prima era bianca) la trascrizione di un pezzo della Historia di
Beda con tali grafemi; glossario épinal, glossario alfabetico latino e anglosassone, qui cominciano a
comparire i nuovi simboli, quelli runici che sono thorn e wynn (= gioia, ted. mod. Wonne) per th e w. Le
popolazioni insulari continuano ad usare la scrittura latina. I due segni eth (?) e thorn vengono usati per
indicare i suoni sia sordi sia sonori fino all’XI sec, quando di norma thorn viene scritto solo a inizio di parola
e eth nelle altre posizioni. Dopo il XII sec l’uso di th viene ripristinato in tutte le posizioni, e questo rimane
fino ad oggi. Altra peculiarità è il segno aesc (ottenuto da unione di a con e) per esprimere la a palatale
anglosassone nata da a breve germanica, usata sia per lunga e breve. Nei manoscritti più antichi si usa la
trascrizione Latina per poi passare alla trascrizione grafica.
The Anglo-Saxons adopted the styles of script employed by the Irish missionaries who had been
instrumental in the conversion of the northern kingdoms. These styles included Insular half-uncial, used for
fine books in Latin, and the less formal minuscule, used for both Latin and the vernacular. Beginning in the
tenth century Anglo-Saxon scribes began to use caroline minuscule (developed in Francia during the reign
of Charlemagne) for Latin while continuing to write Old English in Insular minuscule. Thereafter Old English
script was increasingly influenced by caroline minuscule even as it retained certain distinctively Insular
letter-forms. Once you have learned these letter-forms you will be able to read Old English manuscripts of
all periods without difficulty.
Here are the basic letter-forms of Old English script, illustrated in a late Old English style:

Take particular note of these features:


the rounded shape of d;
the f that extends below the baseline instead of sitting on top of it;
the distinctive Insular g;
the dotless i;
the r that extends below the baseline;
the three shapes of s, of which the first two (the Insular long s and the high s,) are most common;
the t that does not extend above the cross-stroke;
the ƿ (“wynn”), usually transliterated as w but sometimes retained in print, derived from the runic letter
ᚹ;
the y, usually dotted, which comes in several different shapes.

Old English has no use for q or z. J and v do not have the status of separate letters but are occasional
variant shapes of i and u (more common in roman numbers than elsewhere). Old English scribes used k
rarely, and only to represent the [k] sound, never the [ʧ] (ċ).
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Abbreviations

Old English scribes used only a few abbreviations, of which the most common is ( = and, ond), a sign
(Latin nota) from the shorthand system developed by Cicero’s assistant M. Tullius Tiro, and hence called

the Tironian nota (ita: nota tironiana). Another common abbreviation is for þæt. A stroke over a letter
often signals that an m or n has been omitted; thus stands for bocum and for guman. The
ġe- (< germ. ga/gi) prefix can also be abbreviated with a stroke ( ), as can þonne ( ).
Punctuation and capitalization
Writers of Modern English follow a rather strict set of rules for punctuation—for example, placing a
semicolon between independent clauses that are not coordinated with and and a comma between
independent clauses that are so coordinated. Such punctuation guides the reader through the syntax of
the sentence. Where the rules give us a choice, say, among comma, semicolon and dash, we use
punctuation as a rhetorical device, marking the intensity of a pause or the formality of a clause boundary.
Old English scribes did not have so strict a set of rules to follow, and usage varies widely even
among books produced at the same time and place. Some scribes used punctuation with fair reliability to
mark clause- and sentence-boundaries, while others punctuated so lightly that their work is, for practical
purposes, unpunctuated. To meet the expectations of readers accustomed to modern rules of punctuation,
it has long been the practice of editors to modernize the punctuation of Old English works. Editors have
debated how heavy this editorial punctuation should be, how much it should be influenced by the
punctuation of the manuscript, and whether modern punctuation is adequate for representing Old English
syntax.
Here is a passage from a manuscript of Ælfric’s homilies, illustrating the punctuation used by one
good scribe.[1]
Cambridge, University Library, MS. Gg. 3. 28, fol. 255r. A facsimile of this page is printed as the
frontispiece to Henel 1942. The passage is printed as in the manuscript, except that word- and line-division
have been normalized. In this and the other quotations in this chapter, the style of script is not intended to
reproduce that of the manuscripts being quoted.

[I thank the almighty Creator with all my heart that he has granted to me, a sinful one, that I have, in praise
and worship of him, revealed these two books to the unlearned English nation; the learned have no need
of these books because their own learning can suffice for them.]

The most common mark of punctuation is the point, which sometimes is placed on the baseline (as in
Modern English) and sometimes, as here, somewhat above the line. The semicolon is used where a heavier
syntactical or rhetorical break is indicated (here at the end of a pair of related sentences, which the
translation coordinates with a semicolon). You may also occasionally see (the punctus elevatus,
marking a lighter pause than the semicolon but a heavier one than the point), and sometimes the (the
punctus interrogativus or question mark—but marking the end of a question is optional). At the ends of
sections you may see some combination of punctuation marks used as an ornament.

The function of acute accents, such as those in the preceding and following quotations, is uncertain. They
are often found over long vowels, but they also appear over short ones. They are especially common on
one-syllable words.

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In some poetic manuscripts, punctuation is used to separate verses and lines—a convenience to modern
readers, since scribes always wrote poetry from margin to margin, as if it were prose. Nel periodo antico i
versi poetici non venivano scritti uno sotto all’altro, poiché la pergamena non doveva essere sprecata. Per
questo motivo alla fine del verso inserivano un punto.
Here are the first lines of The Battle of Brunanburh from the oldest manuscript of that chronicle poem (the
original line-breaks have been retained here):
Cambridge, Corpus Christi College, MS. 173, fol. 26r. This is the Parker manuscript of the Anglo-
Saxon Chronicle, in which the poem is the entry for the year 937 della Cronaca Anglosassone. For a
facsimile of this manuscript see Flower and Smith 1942.

[Anno 937. Here (qui, ma anche: in quest’anno) King Æthelstan, lord of warriors, ring-giver of men, and
also his brother, Prince Edmund, struck life-long glory in battle with the edges of swords near Brunanburh.]

As you can see from these passages, proper names are not capitalized. Some scribes capitalized words for
God and the beginnings of sentences, but most did not do so with any consistency. Those editors who
modernize punctuation usually do the same with capitalization.
Word- and line-division
Word-division is far less consistent in Old English than in Modern English; it is, in fact, less consistent in Old
English manuscripts than in Latin written by Anglo-Saxon scribes. You may expect to see the following
peculiarities:

spaces between the elements of compounds, e.g. ;

spaces between words and their prefixes and suffixes, e.g. ; (dopo, sapienza)

spaces at syllable divisions, e.g. ;


prepositions, adverbs and pronouns attached to the following words, e.g.
; (hehæfde= egli aveva)

many words, especially short ones, run together, e.g. . (colui che doveva affrontare
una battaglia)

The width of the spaces between words and word-elements is quite variable in most Old English
manuscripts, and it is often difficult to decide whether a scribe intended a space. “Diplomatic” editions,
which sometimes attempt to reproduce the word-division of manuscripts, cannot represent in print the
variability of the spacing on a hand-written page.
Most scribes broke words freely at the ends of lines. Usually the break takes place at a syllable boundary,
e.g. (= ofslægen), (= sumne), . Occasionally, however, a scribe broke a

word elsewhere, e.g. . Some scribes marked word-breaks with a lineetta, but many did
not mark them in any way.
Errors and corrections
Everyone who writes makes mistakes, and it is probably safe to say that every Old English text of any
length at all contains errors. Most manuscripts also contain corrections, either by the scribe himself or by a
later corrector. But the correction of texts was often inconsistently carried out and may not have taken
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into account errors already present in the copy from which corrections were being entered. In general you
should not assume that a corrected text retains no uncorrected errors.
When a corrector added words to a text, he usually placed a comma below the line at the insertion
point and wrote the addition above the line; longer additions might be written in the margin, very long
ones on an added leaf (molto raro). To delete a letter, the scribe would place a point under it; to delete a
word or phrase he would underline it. Some correctors erased text, but erasure roughened the vellum,
making it difficult to write on; so erasure was most suitable when no substitute text was to be supplied.
Runes
L’alfabeto runico arrivò in Britannia nel V secolo dell’era comune, portato dagli Angli e dai Sassoni e fu
usato fino all’ XI secolo, è facile trovarlo in gioielli, tombe o armi, mentre gli scritti runici utilizzando questo
alfabeto sono rarissimi.
L’alfabeto runico anglossassone si chiama Futhorc e non Futhark, semplicemente per una questione
di fonetica delle prime rune, che cambia rispetto a quello germanico sebbene i significati rimangano tali e
quali alle rune germaniche corrispondenti.
Per il resto, come si vede dall’immagine, le differenze delle Le Rune Anglosassoni sono poche e
solamente grafiche fino ad arrivare a Dagaz o Daeg (secondo la pronuncia anglosassone).
Dopo Daeg ci sono delle rune aggiuntive fino ad arrivare a 33 (perché Kalc conta come una sola
Runa con due varienti grafiche diverse a seconda se si vuole usare una sola “K” o usarla come doppia “KK”).
Runes are letters in an alphabet used by speakers of Germanic languages before the adoption of
the Roman alphabet; afterwards they continued to be used for various purposes. Runic inscriptions are
often older than the earliest manuscript records of Old English and the other Germanic languages, and so
of great linguistic interest; and as they turn up frequently in archaeological excavations, they are
responsible for regular additions to the corpus of early Germanic texts. However, runic inscriptions are
nearly always short and frequently cryptic or even nonsensical (since runes were used for decoration as
well as for writing).
The runic alphabet (called the fuþorc after its first six symbols) was highly variable: Anglo-Saxon
runes differ from those of Scandinavia and Germany, and everywhere the fuþorc evolved over time. Here is
the Anglo-Saxon fuþorc as usually given, with transliterations as in Page 1999:

Servivano più segni per trascrivere l’antico inglese (cfr con altri alfabeti runici).
Each rune had a name, usually an Old English word containing the sound it represented; however,
the meanings of some names are unknown (they may be nonsensical) or doubtful.
ᚠ feoh ‘bestiame, proprietà’ ᛁ īs ‘ghiaccio’ ᛚ lagu ‘acqua’
ᚢ ūr ‘uro’ (un bovino) ᛄ ġēar ‘anno’ ᛝ ing nome o parte di un nome?
ᚦ þorn ‘spina’ (connotazione religiosa) ᛇ eoh ‘tasso’ ᛞ dæġ ‘giorno’
ᚩ ōs ‘aso’ (esito da a: a o:) ᛈ peorð non chiaro (esito frattura) ᛟ œþel (ēþel) ‘patria’
ᚱ rād ‘percorso, carro= road’ ᛉ eolhx ‘alce’ (esito frattura) ᚪ āc ‘quercia’
ᚳ cēn ‘torcia’ ᛋ siġel ‘sole’, seġel ‘vela’ ᚫ æsc ‘frassino’
ᚷ ġifu ‘dono ᛏ tīr ‘vittoria’ (cfr Brunanburh) ᚣ ȳr ‘arco’
ᚹ wynn ‘gioia’ (usato per semivocale w) ᛒ beorc ‘betulla’ ᛠ ear ‘terra’ (ea nato da e1->frattura)
ᚻ hæġl ‘grandine’ ᛖ eoh ‘cavallo’ ᚸ gār ‘spada’
ᚾ nȳd ‘disgrazia, miseria’ ᛗ man ‘uomo’ ᛦ calc ‘gesso’

27
The most important Old English runic text is surely the inscription on the Franks Casket, an eighth-century
box made of whalebone—which unfortunately exists only as detached panels, the silver fittings that once
held it together having been lost. Iscrizione più lunga del solito: un testo che sembra quasi un testo
poetico. Each of the five decorated panels has a runic inscription ranging in length from a single name
(ᚫᚷᛁᛚᛁ, Ægili) to two texts that go all the way around the outside border of the panel. The one illustrated in
Plate 3 is a poem on the making of the box:
Top (left to right): ᚠᛁᛋᚳᚠᛚᚩᛞᚢ᛫ᚪᚻᚩᚠᚩᚾᚠᛖᚱᚷ
Right (running downward): ᛖᚾᛒᛖᚱᛁᚷ
Bottom (right to left): ᚹᚪᚱᚦᚷᚪ᛬ᛋᚱᛁᚳᚷᚱᚩᚱᚾᚦᚫᚱᚻᛖᚩᚾᚷᚱᛖᚢᛏᚷᛁᛋᚹᚩᛗ
Left (running upward): ᚻᚱᚩᚾᚫᛋᛒᚪᚾ

Transliteration (arranged as verse):


Fisc flodu āhōf on ferġenberiġ;
warþ gāsrīċ grorn þǣr hē on grēut ġiswom.
Hronæs bān.
[The sea cast the fish onto the mountain stronghold;
the creature (?) became sad where it swam onto the sand.
Whale’s bone.]

The inscription illustrates some of the interesting (and infuriating) characteristics of runic texts. They may run
not only left-to-right, but also in the other direction: not only does this text run right-to-left along the bottom of
the panel (so that the whole inscription may be read clockwise), but all the runes in that line are mirror images
of their usual shapes. Word division is often absent (as here): what appears to be punctuation may actually be
decorative (notice how the runes come together to make an awkward space which the runemaster has filled in
with a colon-like device). The spellings of runic texts often seem eccentric, governed less by convention than in
manuscript text. This text is more intelligible than many, but the word transliterated here as gāsrīċ is otherwise
unknown: is it a variant of gārsecg ‘sea’, or, as the Bosworth-Toller dictionary suggests, an otherwise
unattested word meaning ‘furious creature’? The grammatical characteristics of runic texts can also be puzzling:
the -u ending of flōdu has occasioned much comment, since the u-stem noun flōd is thought to have lost its
nominative singular ending before the eighth century.
Another important inscription is carved on the Ruthwell Cross, an eighth-century standing stone cross
(lapide) in Ruthwell, Dumfriesshire: it is an extended excerpt from The Dream of the Rood in the
Northumbrian dialect, probably added some unknown time after the cross was made, but in any case before
the end of the tenth century. Even if late, this inscription is of great importance since our records of the
Northumbrian dialect are scanty. Several rune stones are memorials, and these often have some rough-
and-ready verse carved on them. For example, an eighth- or ninth-century stone at Great Urswick,
Cumbria, has this:

Tunwini settæ æfter Torohtrēdæ


bēcun æfter his bæurnæ: gebiddæs þēr sāulæ.
[Tunwine set up this monument in memory of
Torhtred his son: pray for his soul.]

Note that the -æs ending of gebiddæs is imperative plural, while þēr is for West Saxon þǣre. Other
inscriptions occur on a variety of objects, including rings, amulets, coins and weapons: these usually record
the name of the maker or owner.
Runes sometimes appear in Old English poems: for example, the first Beowulf scribe uses the rune
as an abbreviation for ēþel ‘homeland’. More interestingly, the poet Cynewulf wove his runic signature into
the final lines of several works: Christ II, Elene, Fates of the Apostles and Juliana. Several of the Exeter Book
riddles encode answers or hints as runes, which are also used in riddling fashion in The Husband’s
Message.
28
Finally, one of the most fascinating runic texts is The Rune Poem—not an inscription, but rather a
wisdom poem structured around the fuþorc. For each runic character the poet has supplied two to five
lines of commentary, for example:
ᚻ (hæġl) byþ hwītust corna: hwyrft hit of heofones lyfte;
wealcaþ hit windes scūras; weorþeþ hit to wætre syððan.
[ᚻ (hail) is the whitest of grains: it whirls from the heaven’s air;
the wind’s showers toss it; and afterwards it turns to water.]
Verbi forti
(pdf “Verbi forti I” su onedrive anch’esso)
Il sistema verbale ai è ereditato dal Germanico, il quale a sua volta nell’uso dei verbi forti ha origine
dall’apofonia per esprimere i tempi diversi.
Indebolimento in sillaba atona; da germ a germ occ o germ occ a ai possono verificarsi modifiche a causa di
varianti posizionali (create per es da metafonia) ; non tutti i verbi forti ai arrivano all’inglese moderno. Già
nel periodo antico nascono delle alternative per influsso straniero (prendere nimen affiancato da tacan –
take; nehmen è rimasto in tedesco). Alcuni spariscono perché sostituiti da altri oppure perché indicano
azioni non più attuali (NB: verbi forti sono quelli primari, formati per primi).
In genere, sul piano del livellamento analogico, coincide nel passaggio dall’inglese medio al
moderno il vocalismo del preterito sing e plur, quindi nelle fasi medievali si ha un vocalismo distinto così
come lo conosciamo nel germanico. Avremo poi ulteriori livellamenti analogici tra preterito e part
preterito. In periodo antico ci sono ancora tanti esempi che dimostrano alternanza vocalica, dovuta agli
esiti diversi in passaggio dal germ per leggi di Grimm e Verner.
Prima serie apofonica
Wrītan: La desinenza dell’infinito rimane an. Il prefisso ge è facoltativo perché il tempo viene già espresso
dal suffisso. (Nella fase media si prende o uno o l’altro)
Ing mod: great vowel shift i=ai, o=ou; non si ha più prefisso, solo suffisso nasale. La doppia t indica la
brevità della i.
Drīfan [drivan, poiché intervocalica] = spingere
Snīþan (tagliare) oggi estinto; rimane in ted. mod. con alternanza grammaticale schneiden – schnitt –
geschnitten
Seconda serie apofonica
Ceosan – eu passa a eo così come au passa ad ao
Suffisso nasale in germanico era an, così in germ occ si era già formata una variante posizionale, allofono di
u la o.
Nell’inglese medio abbiamo due forme per l’ind. pres.; Curen= indebolimento della finale; icoren=
allungamento delle vocali brevi in sillaba aperta: fenomeno che avviene in altre lingue germanice (ted
medio a ted mod)
Inglese moderno: great vowel shift, livellamento analogico sia per consonantismo (di c che diventa affricata
sorda) sia per vocalismo.
Terza serie apofonica
Tre sottogruppi:
1) Nasale + cons.
Findan – fand – fundun – (ge)funden
Già in tardo inglese antico: allungamento vocale (i,a,u) per gruppo omomorfo n + cons. sonora
La a: in ingl medio passa a o:, si ha la doppia opzione per il participio preterito
Ing mod.: great vowel shift, o lunga passa ad au, la vocale del pret sing si estende alle altre forme
del preterito e part preterito.
2) L + cons.

29
Provoca in ai una frattura nella forma del indicativo pret sing: la a germ, innalzata a ae, davanti a l o
p abbiamo ea o a. la u di gehulpan diventa o
Nel passaggio all’ing mod si passa a coniugazione debole, così come per swellan.
3) R + cons. o /x/ + cons
Varianti dovuti a mutamenti combinatorie come frattura. La e ha esito di frattura; la a passa prima
a e aperta e dopo palatalizzazione a frattura; la u rimane; e la o la abbiamo per metafonia velare.
Già nell’ing medio si estende la forma con l’occlusiva (k) alle altre forme.
Nell’ing mod la a si estende al presente, si ha un passaggio alla coniugazione debole.
Quarta serie apofonica
Stelan= steal
Differenze sass. occ e angl / kentico: preterito, che in anglico/kentico subisce un ulteriore alzamento
La u del germ diventa o, una variante posizionale. Il suffisso en in germ era con vocalismo pieno an.
Il prefisso ge deriva da gi (non da ga)
Ingl medio: allungamento della e; abbassamento della ae in a; due varianti per il preterito entrambi con
finale indebolita, vocalismo indistinto. Si hanno ancora le due opzioni per il part pret
Ing mod: la e lunga diventa i lunga con great vowel shift; il dittongo ǝu risale al part pret: la o lunga aperta
che diventa tale e si estende per livellamento analogico a pret sing e plur
Esempi con m (un po’ irregolari)
Niman: nel tardo inglese antico è stato rimpiazzato da tacan (take ing mod) prestito dallo scandinavo.
Quinta serie apofonica
La r è una variante dialettale (speak / sprechen) la forma senza r si diffonde pienamente nella fase media
dell’ inglese. Spe:ken diventa speak per great vowel shift. A spoken si arriva da spa(:)k e si estende anche
alle altre forme. Non si esclude che a questo livellamento analogico abbiano contribuito le affinità con la IV
serie apofonica.
Cweþan rimane in ing mod solo come relitto in quote e bequeath.
Wesan è l’unico che mostra alternanza grammaticale anche in inglese moderno.
Sesta serie apofonica
La a diventa a: e poi ei con great vowel shift
Settima serie apofonica
Più facile delle altre

ESSAME: dobbiamo riconoscere le forme giuste nel testo che analizzeremo ed essere in grado di indicare
un esempio “mi indichi un esempio di verbo forte della terza classe”: saper dire il paradigma: l’infinito che
indica anche l’indicativo presente, la forma per il pret sing il pret plur e la forma per il part pret.
Tenere presente che nell’evoluzione verso l’inglese moderno certi verbi si estinguono, vengono sostituiti o
da altri verbi o spariscono, altri passano alla coniugazione debole e altri ancora rimangono forti, ma la loro
regolarità in periodo antico non si vede più così facilmente a causa delle varie evoluzioni fonetiche ecc.

Verbi deboli
I verbi deboli sono derivati: deverbativi [es. fedan (nutrire) da fod (cibo) feed e food oppure halgian
(santificare) da halig (santo)] o denominativi [es. lecan (porre) da lican (giacere) lie e lay].
Essi mantengono invariata per tutta la coniugazione la vocale radicale, formano il tema verbale con
l’aggiunta di un suffisso vocalico, formano il preterito con l’aggiunta di un suffisso dentale, formano il
participio preterito con un suffisso dentale -d che risale all’ie -to, il part pret dei verbi deboli ha sempre il
prefisso ge- [cfr opzioni dei verbi forti]. Per il tema verbale i verbi deboli possono essere distinti in tre
classi.

30
Strong and weak verbs
Fremman (fare, compie, essere utile), 1° classe, infinito con raddoppiamento risalente a antico suffisso -ian
weak strong
fremman ‘do’ helpan ‘help’
infinitives
tō fremmanne tō helpanne
1 fremme helpe
2 sg. fremest hilpst Verbi forti: alternanza vocalica!!!
present indicative
3 fremeþ hilpþ
pl. fremmaþ helpaþ
1 fremede healp
2 sg. fremedest hulpe
past indicative
3 fremede healp
pl. fremedon hulpon
sg. fremme helpe
present subjunctive
pl. fremmen helpen
sg. fremede hulpe
past subjunctive
pl. fremeden hulpen
sg. freme help
imperative
pl. fremmaþ helpaþ
fremmende helpende
participles
fremed holpen

Fremman[1] ‘do’ belongs to the so-called “weak” class of Old English verbs, those that make the past tense
by adding a dental consonant (-d- or -t-) as a suffix. The Old English weak verbs correspond roughly to the
Modern English “regular” verbs. Helpan ‘help’ is a “strong” verb, one that does not add a dental suffix to
make its past tense, but rather changes the vowel of its root syllable. The Old English strong verbs
correspond to Modern English “irregular” verbs such as sing (past sang, past participle sung).
By convention, glossaries and dictionaries use the infinitive as the headword for verb entries, and
when citing verbs we cite the infinitive.
Take note of these points about the paradigms for fremman and helpan:
1. While the Modern English verb has only one personal ending (-s for the third-person singular),
most Old English verb forms have such endings. These are mostly the same for both weak
fremman and strong helpan, but notice that in the singular past indicative the endings are
different. The personal endings are shown separately in table 7.2.
2.
3.
present indicative singular plural
first person -e
second person -st -aþ
third person -þ
past indicative weak strong
first person -e —
second person -st -e -on
third person -e —
all subjunctives
all persons -e -en

31
2. Person is distinguished only in the indicative singular, never in the plural or subjunctive. For example,
table 7.1 gives the present first-person plural indicative form wē fremmaþ, but the second person is ġē
fremmaþ and the third person hīe fremmaþ, with the same verb forms. Further, only the second
person is distinguished in the singular past indicative: the first- and third-person forms are the same.
3. The root vowels of strong verbs undergo i-mutation in the present second- and third-person singular
indicative: thus the second-person singular of helpan is hilpst, that of faran ‘travel’ is færst, and that of
ċēosan ‘choose’ is ċīest. The same does not occur in the weak paradigms or in those of strong verbs
whose vowels are not subject to i-mutation (e.g. wrītan ‘write’, second-person singular wrītst).
Prima e seconda classe (verbi deboli)
La prima classe è quella che aveva suffisso in -an/-ian e sono in genere denominativi e causativi. Nel
passaggio all’inglese la semivocale /j/ scompare non prima di aver geminato la consonante che precede e,
laddove possibile metfonizzato la vocale radicale. [Geminazione non si ha quando la radice a vocale
radicale breve termina nella consonante semplice r, e in questo caso anche la semivocale /j/ non scompare
(es. germ. nassian -> ai. nerian = salvare). Non si ha nemmeno quando la vocale radicale è lunga (es. got.
do:mian –> ai. de:man = giudicare passa prima a ö e poi a e)].
Nel preterito il suffisso appare in tutto il germanico con la forma di i che in inglese diventa e breve (no
geminazione nel preterito). Questa e può essere sincopata quado la vocale radicale è lunga (nerede, ma
deemde?). Il part preterito si forma con il suffisso nella forma ridotta (i) indebolito in e (es. ieneret o
iedemet)
La seconda classe aveva suffisso in -o:n e poi negli altri temi una o lunga che può essere già abbreviata a o
breve. In genere verbi denominativi, eccetto qualche verbo primario. In tutto il gruppo del presente
(tranne 2 e 3 sing ind e 2 sing ind) il suffisso -o ha subito un ampliamento tematico in -ia (-o:ia, -eia). Questi
verbi possono presentare una forma (cfr nuvian = amare)che potrebbe indurci a pensare che sia di prima
classe. Ance guardare (locian) rialre a locoian -> to look.

Class 1 Class 2
‘injure’ ‘praise’ ‘heal’ ‘love’
sceþþan herian hǣlan lufian In amare la pronuncia è
infinitives
tō sceþþanne tō herianne tō hǣlanne tō lufianne [luvian], poiché f in
1 sceþþe herie hǣle lufie contesto sonoro
present 2 sg. sceþest herest hǣlst lufast
indicative 3 sceþeþ hereþ hǣlþ lufað
pl. sceþþaþ heriaþ hǣlaþ lufiað
1 sceþede herede hǣlde lufode
past 2 sg. sceþedest heredest hǣldest lufodest
indicative 3 sceþede herede hǣlde lufode
pl. sceþedon heredon hǣldon lufodon
present sg. sceþþe herie hǣle hēo lufie
subjunctive pl. sceþþen herien hǣlen lufien
past sg. sceþede herede hǣlde lufode
subjunctive pl. sceþeden hereden hǣlden lufoden
sg. sceþe here hǣl lufa
imperative
pl. sceþþaþ heriaþ hǣlaþ lufiað
sceþende heriende hǣlende lufiende
participles
sceþed hered hǣled lufod

32
ESSAME: non elencare e catalogare tutto. Nel contesto di un testo capire che funzione morfologica ha la
forma verbale in questione (riconoscere modo,tempo, ecc).
Prima e seconda classe sono insieme perché sono quelle che contano. La terza ha pochissimi verbi, sta per
estinguersi già nell’inglese antico.
Class 1 is marked by i-mutation in the root syllable of the present tense, and usually of the past
tense as well (see §7.3.2 for the exceptions). If the root syllable is short, gemination (the doubling of the
consonant at the end of the root syllable) occurs in certain forms, including the infinitive; but if the
consonant is r, you will find -ri- or -rġ- instead of -rr-. The -i- or -ġ- represents a consonant [j], so herian is a
two-syllable word: [her-jɑn].

Class 2 lacks i-mutation. Wherever you find gemination in class 1 verbs with short root syllables, you will
find an element spelled -i- or -iġ- after the root syllable of the class 2 verb.[3] This -i- is a syllable all by
itself—weighty enough, in fact, to be capable of bearing metrical stress, as we see in this line:
This element did not cause i-mutation because it did not begin with i at the time that i-mutation
took place. Rather, it was a long syllable [oːj], which later became the syllable spelled -i-.
Terza classe (verbi deboli)
In origine comprendeva moli verbi primari e comprende i verbi in ai. i resti molto trasformati dei verbi in -
en. Nel tema del presente al vecchio -e si è sostituito a volte il suffisso -ia tranne nella 2 e 3 pers sing ind e
2 pers sing imp che rimangono di tipo atematico [molto simile a 2° classe]. Da ricordare (ESSAME) che al
part preterito il suffisso scompare molto presto, quindi l’ampliamento tematioc l’elemento tematico del
verbo scompare: secgan = dire al pret non più segede ma segde. La maggior parte dei verbi della terza sono
passati alla seconda, acuni alla prima. Rimangono 4 verbi sicuri con le caratteristiche della terza
Obeying the rule that the most common words are the last to leave a dying class, class 3 contains only
habban ‘have’, libban ‘live’, secgan ‘say’ and hycgan ‘think, consider’. Quest’ultimo lo possiamo trascurare
poiché estinto. Tenere presenti gli altri tre. Le forme di habban ci servono per comprendere le forme
composte del perfetto e del piuccheperfetto. Studiare senza memorizzare.

infinitive habban libban, lifġan secgan


1 hæbbe libbe, lifġe secge
2 sg. hæfst, hafast lifast, leofast seġst, sagast,
present indicative
3hæfð, hafað lifað, leofað seġð, sagað
pl habbaþ libbað secgaþ
past indicative hæfde lifde, leofode sæġde
present subjunctive hæbbe libbe, lifġe secge
past subjunctive hæfde lifde, leofode sæġde
sg. hafa leofa sæġe, saga
imperative
pl. habbaþ libbaþ, lifġaþ secgaþ
hæbbende libbende, lifġende secgende
participles
ġehæfd ġelifd ġesæġd

Verbi preterito presenti


Storicamente sono verbi forti, le forme del preterito storiche vengono utilizzate per esprimere il presente e
poi per colmare la lacuna del preterito viene formato un nuovo preterito che segue la declinazione dei
verbi deboli. Scullan: usato per il future, con un senso forte di obbligazione. Con cunnan si ha allungamento
di compenso (can – could)

33
Many forms of the preterite-present verbs look anomalous, but fortunately their resemblance to some of
the most common Modern English auxiliary verbs makes them easy to understand. (However, not all Old
English preterite-presents are auxiliaries.)
1. The second-person singular of these verbs differs from that of the strong verbs in two respects: a.)
it has the first past vowel in its root syllable rather than the second past vowel; and b.) it has an ending -st
or -t rather than -e.
2. The past tense is usually built on the second past root, with -d- or -t- added. In fact, it often looks
like the past tense of the class 1 weak verbs described in §7.3.2, though sometimes the forms have been
subjected to phonological changes that make them look anomalous.
3. When the root syllable ends in g (as in āgan, dugan and magan), past -d- becomes -t-; g becomes h
before this past ending and before the second-person singular present -t (compare §7.3, items 1 and 3).

‘know how to’ ‘be able to’ ‘be obliged to’ ‘know’
infinitive cunnan *magan sculan witan
1 cann mæġ sceal wāt
2 sg. canst meaht scealt wāst
present indicative
3 cann mæġ sceal wāt
pl. cunnon magon sculon witon
1 cūðe meahte, mihte sceolde wisse, wiste
sg.
past indicative cūðest
2 meahtest, mihtest sceoldest wistest
pl. cūðon meahton, mihton sceoldon wisson, wiston
present subjunctive sg. cunne mæġe scyle, scule wite
past subjunctive sg. cūðe meahte, mihte sceolde wisse, wiste
― ― ― witende
participles
-cunnen, cūð ― ― witen

Here is a list of the preterite-present verbs with their principal present and past forms. Infinitives preceded
by asterisks are not attested, though speakers and writers presumably used them.

āgan. possess. iċ āh, þū āhst, hīe āgon; past āhte. Ted mod eigen
cunnan. know (how to). iċ can, hīe cunnon; past cūðe.
magan. may. iċ mæġ, þū meaht, hīe magon; past meahte, mihte.
sculan. must. iċ sceal, þū scealt, hīe sculon; subjunctive scyle, scule; past sceolde.
þurfan. need. iċ þearf, þū þearft, hīe þurfon; subjunctive þurfe, þyrfe; past þorfte. ted.
Mod. durfen
witan. know. iċ wāt, þū wāst, hīe witon; past wisse, wiste. Ted. mod.Wissen

34
I verbi irregolari
Bēon ‘to be’
Da studiare. The verb bēon ‘to be’ in Old English is a mess, but so is ‘to be’ in Modern English. To the extent
that the Old and Modern English verbs look alike, bēon will be easy to learn for students who are native
speakers of English.

infinitives bēon, wesan


1 eom bēo 1 wæs
present 2 sg. eart bist past 2 sg. wǣre
indicative 3 is bið indicative 3 wæs
pl. sind, sindon bēoð pl. wǣron
present sg. sīe bēo past sg. wǣre
subjunctive pl. sīen bēon subjunctive pl. wǣren
sg. bēo, wes
imperative
pl. bēoð, wesað
bēonde, wesende
participles
ġebēon
The forms are an amalgam of three different verbs: one that accounts for the present forms in the first
column, one that accounts for all the b- forms, and one that accounts for all the w- forms. Paradigms
derived from these three verbs overlap, so that there are two complete sets of present forms,[2] two sets
of imperatives, two infinitives and two present participles.
Present forms of the verb wesan (weseð, wesað) are also attested, but they are rare.
The b- forms are often used with reference to future time, as in this sentence on the Day of Judgment.
But the b- forms sometimes are simple presents, as here.
You’ll have to look to the context to tell you whether to translate a b- form of bēon as a future.
Dōn, gān, willan
Sono semplicemente da studiare, perché ESSAME: analisi di forme verbali di quest tipo. The verbs do, go
and will are still anomalous in Modern English, and in much the same way as in Old English: dōn ‘do’ has a
past form that is paralleled in no other verb; gān ‘go’ lacks a past form of its own and has apparently
borrowed the past of another verb, now disappeared; and willan ‘desire’ has distinctive inflections in the
present tense.

‘do’ ‘go’ ‘will’


infinitive dōn gān willan
1 dō gā wille
2 sg. dēst gǣst wilt
present indicative
3dēð gǣð wile
pl. dōð gāð willað
1 dyde ēode wolde
past indicative 2 dydest ēodest woldest
pl. dydon ēodon woldon
present subjunctive sg. dō gā wille
past subjunctive sg. dyde ēode wolde
dōnde ― willende
participles
ġedōn ġegān ―
35
The present forms of dōn and gān look like those of normal strong verbs. But the past tense of dōn is built
on a syllable that looks somewhat like a weak past (though its origin is a mystery), and gān has a past tense
that also looks weak and in any case does not belong to the same root that gives us the present forms.
Willan looks a bit like a preterite-present verb, but it is not; and its first- and third-person singular present
and plural present are quite different from the preterite-present forms.
Willan viene utilizzato come ausiliare per formare il futuro e un caso un po’ analogo dei preterito presenti:
vengono usate forme del congiuntivo.
Sostantivi e aggettivi
Il tipo di flessione del sostantivo è eredità dell’indoeuropeo e del germanico e le varie categorie di temi
sono organizzate con la suddivisione dei temi in vocale e in consonante. In vocale: a breve, o lunga, i e u
(declinazione forte). In consonante: temi in nasale, resti di temi in germanico -er -or -et -ont -es e -os e poi i
temi radice, cioè forme che non hanno un ampliamento tematico (i cosiddetti sostantivi radicali). In questo
caso le desinenze si aggiungono alla radice.
Per rendersi conto dell’evoluzione subita dalle sillabe desinenziali bisogna ricordare che l’accento
delle lingue germaniche è di intensità, fisso sulla sillaba radicale e questo porta come conseguenza la molto
minore stabilità delle sillabe atone e in particolare delle sillabe finali (le desinenze). Le sillabe finali tendono
a perdere la vocale breve e ad abbreviare la vocale lunga, talora anche a perderla. I dittonghi di sillaba
finale tendono a monottongarsi e quindi ad abbreviarsi.
L’evoluzione che continua fino all’inglese moderno ha portato alla assenza delle desinenze dei
nomi, abbiamo solo una marca per il genitivo singolare e una per il plurale.
ESSAME: Non dedichiamo troppo studio al sistema nominale: da sapere: abbiamo un sistema ereditato
dall’ie germanico, abbiamo un indebolimento e poi schema delle declinazioni per riconoscerle nei testi.
Quando faremo l’analisi del testo ci vengono fornite tutte le indicazioni morfologiche necessarie. Queste
conoscenze servono per vedere l’eredità ie germanica, per avere una conoscenza ed è utile ricordare la
provenienza della s al genitivo in inglese moderno, e forme alternative al comparativo e superlativo (cfr
old->elder).

36
37
Nell’ inglese moderno
l’ alternanza è rimasta

38
tranne che per Book.
Varianti: -or, -osta che
non subiscono metafonia.
In ted. mod. rimane la metafonia, in inglese
solo poche forme (old-> elder)

39
The Numerals
The OE word for 'one', ān, was not well distinguished as it served also in the role of indefinite article; as
such it could be inflected or combined with the negative particle ne (for example nān). The inflection
follows the “rules” for strong adjective declension (see below). The form of the accusative singular masc. is
ǣnne (< *ainina). The weak form āna is used to express the adverb ‘alone’. Note also ānra (gen. Pl.)
gehwilc ‘ognuno, qualsiasi’.
In theory the OE words for 'two' and 'three', twēgen, twā, tū and þrīe, þrēo, þrēo respectively,
reflect gender -- like pronouns -- depending on what the forms referred to (i.e., what they were counting),
but only the nominative/accusative forms show distinct gender. When nominal referents have different
genders, the neuter form is normal. In practice the use of relevant gender forms is inconsistent.
Grammatical number is, of course, inherently plural. The inflected forms for 'two' and 'three' are shown in
the following tables.

'two' Masc. Fem. Neut.


Nom. twēgen twā tū, twā
Gen. twēgra twēgra twēgra
Dat. twǣm twǣm twǣm
Acc. twēgen twā tū, twā

Spelling Notes: The r in genitive twēgra is optional, or can be replaced by e; the dative can be spelled
twām. The pronoun bēgen 'both' (not shown) is inflected like twēgen, twā, tū, but exhibits many variations.

'three' Masc. Fem. Neut.


Nom. þrīe þrēo Þrēo
Gen. þrēora þrēora þrēora
Dat. þrīm þrīm Þrīm
Acc. þrīe þrēo Þrēo

Spelling Notes: The dative þrīm can be spelled þrim; the long ē vowels can be long ī (þrīo, þrīora).

Higher-order numerals (above 'three', e.g. fīf 'five' and nigon 'nine') may also be inflected for case, but they
identify no gender; however, inflection is normally absent when the numeral is used adjectivally to modify
a noun. The inflectional case endings, when used, were nominative/accusative -e, genitive -a, and dative -
um. Some uninflected cardinal forms are listed in the following table:

Cardinals 0+... 10 + ... 10 * ...


1= (ān) endlefan
2= (twā) twelf twēntig
3= (þrēo) þrēotīene þrītig
4= fēower fēowertīene fēowertig
5= fīf fīftīene fīftig
6= siex siextīene siextig
7= seofon seofontīene seofontig
8= eahta eahtatīene eahtatig
9= nigon nigontīene nigontig
10 = tīen hund

40
Lessico
Eredità indoeuropea e germanica
Il lessico inglese antico si compone di termini ereditati dal germanico, in massima parte radici comuni alle
altre lingue germaniche occidentali. Per una grande parte di tali termini è possibile individuare una base
indoeuropea, e ciò non vale solo per i termini appartenenti al lessico di base, come termini di parentela,
termini legati all’agricolture, ai fenomeni atmosferici, alle parti del corso, ecc.; cfr. materiali relativi al corso
del I semestre), ma anche per altri lessemi come ad es. ai. folc (da ie. *pḷ-go)=popolo, ai rīce (da ie. rēg-yo),
ecc.
Voci e radici rintracciabili anche nel frisone, nel germanico e nell’ata. (mare, viaggiare, prendere,
pace, ecc.)
Ricchezza del lessico: infinità di voci, sinonimi, soprattutto nel campo delle battaglie (armi, scudi,
materiali) o in quello del mare e della navigazione. A volte la ricchezza lessicale risponde a un’esigenza di
precisazione, come nel caso delle armi: qui la precisione corrisponde alle differenti tipologie di fattura e di
materiale. In altri casi sembra che l’esigenza del lessico rispondesse ad un’esigenza del linguaggio poetico,
in cui veniva portata alle massime possibilità espressive una lingua aulica, scelta, di tono elevato, non un
linguaggio quotidiano. Alcuni termini appartengono al vocabolario dell’epica germanica, e così troviamo
corrispondenze nei poemi in antico sassone, in ata o in norreno. Il lessico ha una notevole capacità di
rinnovarsi e adattarsi a nuove esigenze espressive, dimostrato quando con l’influsso del cristianesimo riuscì
a dotarsi autonomamente di un lessico adeguato per i nuovi concetti (vedremo esempi). Non si escludeva
di prestiti diretti da altre lingue (latino, poi lingue scandinave).

Una chiara eredità del lessico germanico si riscontra in particolare


(1) nell’ambito dell’antica poesia, in particolare nella poesia eroica e nella poesia magica;
(2) nell’ambito della vita quotidiana rurale;
(3) nell’ambito giuridico;
(4) nell’ambito della religione germanico-pagana (diventeranno obsoleti, non sarà più necessario
esprimere tali concetti).

(1) Esempi dal linguaggio poetico (armi, navigazione…)


ai. bil “spada” (ata. billi, as. bil)
ai. gūð “battaglia” (ata. gudea, as. gūðea, an. gunnr, guðr)
ai. sæ-līðende “marinai” (ata. seolidante, as. sēo-līðandi)
ai. upheofon “cielo superiore” (ata. ufhimil, as. uphimil, an. uphimmin)

(2) Esempi dal linguaggio quotidiano rurale


ai. corn “grano” (ata. korn, as. korn, got. kaurn)
ai. cū “mucca” (ata. kua, as. kō) [per Great vowel shift diventerà cow]
ai. ǣg [æ:j] “uovo” (ata. ei, as. ei, an. egg) [ing. mod. egg prestito da antico nordico]

(3) Esempi dal linguaggio giuridico


ai. dōm “giudizio” (ata. tuom as. dōm, an. dōmr) [rimasto per sosotantivi astratti: kingdom, wisdom, ecc]
ai. bōt “ammenda” (ata. buoza, as. bōta, an. bót) [cfr testi giuridici già studiati]
ai. mund “tutela” (ata. munt, as. mund, an. mundr) [cfr matrimonio tutelare, Mundehe]

(4) Esempi dal lessico religioso-pagano


ai. godcund “di origine divina” (ata. gotkunt, an.goðkunningr, goðkyndr) [cund collegato con stirpe, vedi
anche parola “re” che vuol dire appartenente ad una stirpe nobile]
ai. godweb “tessuto divino” (ata. gotawebbi, gotaweppi, as. goduweb, goduwebbi, an. guðvefr)
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ESSAME: ricordare almeno uno o due essempi per ambito
Prestiti e calchi
Per quanto riguardo lo strato più antico di prestiti latini nell’inglese, entrati nelle lingue germaniche (angli,
sassoni, juti e frisoni) continentali in contatto con i Romani già nel periodo preletterario, troviamo spesso
corrispondenze fra l’inglese antico e il tedesco antico (ata. e as.), che permettono di datare questi influssi
prima dell’arrivo degli anglosassoni sull’isola britannica.
Alcuni esempi:
latino ai. i.mod. ata. t. mod. (italiano)
calx, calcis cealk chalk kalch Kalk (calce)
tēgula Tigele [tijele] tile Ziagal [2° mutaz. consonantica] Ziegel (tegola)
postis post post phost Pfosten (palo) (posto)
cocīna cycene kitchen chuchina Küche (cucina)
Discus disc dish tisc (tavolo) Tisch (tavolo) (disco)
“zuppiera”
cāseus cēse cheese chāsi Käse (cacio)
piper pipor pepper Pheffar [2° mutaz. consonantica] Pfeffer (pepe)
planta plant plant Phlanza [2° mutaz. consonantica] Pflanze (pianta)
menta minte mint Minza [2° mutaz. consonantica] Minze (menta)
vīnum uuīn wine GVS uuīn Wein (vino)
pondo pund pound phunt Pfund peso/soldi
monēta mynet mint munizza Münze (moneta)
strāta strǣt [æ:] street strāzza [strassa] Straße (strada)

Un ulteriore strato di prestiti e calchi latini entra nella lingua inglese antica nel periodo della conversione al
cristianesimo e nell’ambito dell’introduzione di una cultura scritta.
Alcuni esempi:
latino ai. i. mod. ata. t. mod. (italiano)
scrībere scrīfan (assegnare una shrive († confessar-e/-si) scrīban schreiben (scrivere)
penitenza, per iscritto) writan prevale
magister mæʒister, maʒister master meistar Meister (maestro)
scōlārius scol(i)ere (scholar < a.fr. escol(i)er) scuolāri Schüler (scolaro)
m.lat. rēgula regol (rule < a.fr. riule) regula (Ordens-)Regel (regola)
altāre altar, alter altar altāri Altar (altare)
abbās, -ātis abbud, abbod, abbad, abbot abbāt Abt (abate)
abbot
crūx, crūcis cros cross krūzi Kreuz [mutaz. conson.] (croce)
Con scholar e rule abbiamo già un’influenza francese.

I prestiti linguistici costituiscono il fenomeno più importante inerente ai contatti con le altre lingue.
Bisogna distinguere fra le diverse tipologie di prestiti linguistici a carattere lessicale, semantico, strutturale
e creativo.

42
È indubbio che i contatti degli Anglosassoni con gli altri popoli favorirono l’introduzione di termini
stranieri all’interno della lingua. Durante la fase continentale dell’influsso latino (I-V sec.), furono introdotti
per via orale nuovi termini riferiti all’ambito militare, alimentare, edile e commerciale (contesto in cui i
germani hanno appreso gazie al contatto con i romani nuovi concetti per i quali non avevano termine:
vino,calce…); era necessario poter designare nuovi tipi di flora, di fauna e di merci mai viste prima (pepe…).
Più tardi, poi, con l’avvento del cristianesimo (VII-X sec.), cominciarono ad essere trasmessi per via scritta i
prestiti di natura più colta che servivano ad esprimere i concetti astratti del nuovo credo (formazioni molto
più artificiali, che diventeranno poi obsolete); in questo periodo comparve il maggior numero di parole
ecclesiastiche conosciute ancora oggi, come disciple, angel, priest (discepolo, angelo, sacerdote) per citare
solo alcuni esempi. In questa fase termini originari dell’inglese antico assunsero inoltre nuovi significati
(calco semantico), come God (prima indicava divinità germanica), heaven, hell (Dio, paradiso, inferno), che
con l’arrivo del cristianesimo vennero caricati di un significato diverso, adeguato semanticamente al nuovo
contesto. Sempre per via scritta vennero assimilati termini relativi alla cultura e alla scienza (vedi gli esempi
sopra, nella tabella).
Per quanto concerne l’influsso celtico, il numero di prestiti assorbito dall’inglese antico fu molto
esiguo. Si può invece affermare che l’influenza scandinava risultasse essere molto più consistente.
Nel periodo della dominazione scandinava sull’isola britannica si può notare un ampio influsso da
parte della lingua degli invasori sull’inglese antico e a favorire tale fenomeno fu anche il fatto che vi fosse
un certo grado di comprensibilità dovuta all’affinità tra le due lingue. Gli Scandinavi erano vicini per
discendenza e lingua agli Anglosassoni che li avevano preceduti nell’invasione dell’isola: entrambi erano
popoli germanici con lingue che avevano una radice in comune, quella germanica. Con la formazione
dell’area del Danelaw (Danelogu), all’interno della quale entrarono in vigore non solo leggi, ma anche unità
di misura e unità monetarie danesi, molti prestiti, in particolar modo giuridici, entrarono a far parte
dell’inglese antico. Ancora oggi sono evidenti le tracce della presenza di toponimi con desinenze in –by,
(parola danese che significa “podere”, “città”) quali Grimsby, Whitby, Derby, a testimonianza
dell’insediamento dei Danesi nella zona del Danelaw. Anche per quel che riguarda la formazione dei
toponimi vi era una grande affinità tra le due lingue e spesso gli Scandinavi adattavano alla propria lingua
toponimi inglesi preesistenti per enfatizzare il proprio predominio culturale.
Riguardo agli influssi esercitati nella fase dell’inglese antico dall’antico sassone e dall’antico
francese, la portata fu assai meno rilevante e fu dovuta, nel primo caso, principalmente ai contatti
mantenuti dagli Anglosassoni con il continente europeo, specie coi Frisoni, e al contributo di re Alfredo che
si avvalse di religiosi provenienti dal continente per favorire la rinascita culturale nel suo regno. Legati alle
riforme religiose del tardo X e XI secolo sono anche i pochi prestiti francesi avvenuti prima della Conquista
Normanna. L’influsso del sassone antico si manifesta nella produzione poetica ed è probabilmente
strettamente legato alla rielaborazione di testi poetici composti in sassone antico in lingua inglese (cfr. ad
es. ai. herra, herra, hierra “signore” prestito dal sassone antico che però non ha nessun collegamento con il
lessico comune, limitato a linguaggio poetico). I pochi francesismi della fase antica risalgono all’ultima fase
del periodo antico, fra questa ad es. il termine castel “castello, insediamento”, attestano in tesi inglese dal
1000 ca.
L’influsso celtico
L’influsso meno importante è quello del celtico, la lingua che i coloni trovarono al loro arrivo nell’isola
britannica. La popolazione indigena era celtica, ma la loro lingua lasciò solo poche tracce nell’inglese,
poiché i Celti furono in parte sottomessi, in parte sterminati e in parte cacciati verso ovest e nord, in
Cornovaglia, nel Galles, in Irlanda e in Scozia. L’influsso celtico è più vistoso in idronimi e in toponimi, cfr.:
- i nomi dei fiumi
Thames (nome celtico)
Avon (contiene una parola celtica per “fiume”)
- i nomi delle città di
Duncombe, Holcombe, Winchcombe (contengono l’elemento celtico cumb- «valle
profonda»)
43
? London (con molta probabilità un nome celtico)
Dover (contiene una parola celtica per “fiume, acqua”)
- i nomi delle regioni
Kent < celt. Canti / Cantion con significato sconosciuto
Cornwall = ‘Cornubian Welsh’
Devonshire: il primo elemento contiene il nome della tribù celtica dei Dumnonii
Cumberland ‘land of the Cymri or Britons’

A parte i numerosi toponimi e idronimi sono state accolte in inglese solo poche parole celtiche, che
possono essere suddivisi in due gruppi:
1. parole che gli Anglosassoni hanno accolto nella loro lingua grazie ai contatti quotidiani con gli indigeni
celtici, cfr. ad es.
ai. bin(n)(e) «cestino; mangiatoia», i.mod. bin «cestino»
ai. broc(c), i.mod. (dial.) brock «tasso»
ai. bannuc, i.mod. bannock «focaccia d’avena»
2. parole che vengono introdotte dai missionari irlandesi, cfr. ad es.
ai. ancor «eremita»
ai. dry «mago»
L’influsso latino
L’influsso del latino sull’inglese è particolarmente forte nel periodo antico (protoinglese e inglese antico).
Possiamo distinguere in quell’epoca tre strati di influsso latino:
Primo strato
Il primo strato comprende soprattutto lessemi profani, solo raramente parole che appartengono alla sfera
ecclesiastica. Si tratta per lo più di espressioni della vita pratica e quotidiana. Sono circa 400 lessemi, la
maggior parte dei quali tutt’ora in uso.

Il luogo e il periodo del prestito

Si tratta di vocaboli che gli invasori germanici portarono dal continente sull’isola britannica, cfr. ad es. ai.
strǣt [æ:], strēt < lat. (via) strāta (si vede dalla forma fonetica che la parola deve essere stata ripresa prima
che si siano formate le singole lingue del germanico occidentale, poiché la ā latina del prestito subisce la
stessa evoluzione della ā germ. occ., la quale in inglese antico dà esito a ǣ /ē (e in tedesco ad ā (cfr. t.mod.
Straße); in questo contesto si può citare anche l’esempio di ai. pytt (i.mod. pit) < lat. puteus: la parola è
stata interessata dalla geminazione consonantica tipica del germ. occ.; è quindi entrata nel germanico assai
presto, siamo nel protoinglese (infatti in tempo per subire geminazione consonantica t > tt, che in alto
germanico (ata.), nell’ambito della seconda mutazione consonantica, passa ad affricata /ts/, cfr. t. mod.
Pfütze «pozzame»)

Zone di contatto per i primi prestiti latini nel germanico (e così nell’inglese antico) sono
1) la regione del basso Reno (la zona intorno ad Utrecht)
2) il Renano mediano (la zona intorno a Treviri, a partire dal II sec. d.C.)
La forma linguistica latina ripresa nel germanico è quella del latino tardo/preromanzo, non quello classico.
ulteriori esempi:
ai. pund (i.mod. pound) < lat. pondo «libbra» (cfr. anche il t.mod. Pfund)
ai. cēap «scambio commerciale», parola che sta alla base dell’inglese mod. cheap < lat. caupō «venditore
ambulante» (cfr. anche il t.mod. kauf(en)) [in ai. la parola cēap assume temporaneamente anche il
significato di «bovino» in quanto merce scambiabile; l’evoluzione semantica all’accezione moderna avviene
sotto l’influsso del sintagma francese à bon marché]
44
ai. mint (i.mod. mint) «menta» < lat. minta (cfr. anche il t.mod. Minze)

fra i pochi prestiti dalla sfera ecclesiastica cfr.


ai. cirice, cyrice, i.mod. church (attraverso il latino dal greco kyriaké)
ai. biscop (i.mod. bishop) < lat. tardo *ebiscopu (sempre dal greco)
Secondo strato
Il secondo strato di prestiti latini nell’inglese è di poca importanza. Si tratta di prestiti latini nel lessico
celtico che erano già presenti sull’isola britannica all’arrivo degli Anglosassoni, cfr. ad es.
ai. ceaster «castello; città» < lat. castra; si tratta di un elemento che incontriamo frequentemente in
toponimi quali Chester, Colchester, Dorchester, Winchester, Manchester, Lancaster, Doncaster, Gloucester,
Worcester. Lessico abbastanza stabile, anche se l’area veniva insediata da popolazioni parlanti altre lingue
rimane lo stesso la toponomastica.
ai. port (i.mod. port) < lat. portus e lat. porta «porto, porta, a volte anche: città»
Terzo strato
Nel terzo strato troviamo prestiti che entrano nell’inglese sotto l’influsso della conversione al
cristianesimo, quindi a partire dal VII secolo fino alla fine del periodo antico (dopo il 1066).
Si possono suddividere le parole di questo strato in due gruppi:
a) lessemi che entrano nell’inglese a partire dal VII secolo fino alla seconda metà del X secolo (il periodo
della riforma benedettina)
b) lessemi che entrano nell’inglese a partire dalla II metà del X sec. sino alla fine del periodo antico

a) Lessemi che entrano nell’inglese a partire dal VII secolo fino alla seconda metà del X secolo (il
periodo della riforma benedettina)
Nel primo periodo troviamo soprattutto lessemi dalla sfera ecclesiastica, e in particolare parole connesse
all’organizzazione e all’amministrazione della Chiesa, cfr.

ai. pāpa (i.mod. pope) < lat. papa


ai. munuc (i.mod. monk) < lat. monachus
ai. nunne (i.mod. nun) < lat. nonna
ai. prēost (i.mod. priest) < lat. presbyter / *prēster
Inoltre entrano nel lessico prestiti dell’ambito della scuola, cfr.
ai. scōl (i.mod. school) < lat. tardo scōla
ai. mæʒester (i.mod. master) < lat. magister

In questo periodo si cerca anche di rendere nuovi concetti con materiale linguistico nativo, attraverso
1) calchi semantici
2) calchi strutturali
1) Calchi semantici
una parola nativa assume la semantica di una parola straniera, cfr.
ai. dryhten (< germ. *druhtina-z) come designazione per il Dio cristiano; originariamente la parola
designava un capo militare / profano, poi un signore profano; sotto l’influsso del lat. dominus per Dio la
parola germanico-inglese perde la possibilità di indicare un signore profano e diventa calco semantico per il
lat. dominus nel senso religioso
ai. god (< germ. *guða), originariamente indica una qualsiasi divinità, poi, sotto l’influsso del lat. deus, nella
tarda antichità riferito al Dio cristiano, si riferisce anche in inglese, come calco semantico, solo al Dio
cristiano (se non indicato diversamente, dal contesto, ad es. “pagan gods”)
ai. hell (< germ. *χaljō), originariamente il luogo dove si ritrovano gli eroi germanici dopo la morte in
battaglia; poi diventa calco semantico per lat. infernus

45
condizione per un calco semantico: la parola nativa deve già esistere al momento del calco; essa assume
solo una nuova semantica, non cambia la forma.
2) Calchi strutturali
una parola straniera viene resa con i mezzi linguistici della propria lingua, si tratta però di una
neoformazione, (ferrovia – Eisenbahn)cfr.

ai. hǣl-end* [æ:] = lat. salva-tor

ai. hǣl-en [æ:] + suffisso ai. lat. salvare suffisso lat.


per formare sostantivi per formare sostantivi

*(† nell’i.mod., viene ripreso dal francese una nuova parola: i.mod. saviour < franc. antico sauvēour)

ai. gōd-spell* = lat. evangelium**

ai. gōd «buono» + ai. spell «racconto, notizia» «buona notizia»

• i.mod. gospel
** la parola latina risale al greco e significa «buona notizia»

Ci sono anche casi in cui il calco strutturale non si basa su di una traduzione esatta di tutti gli elementi, cfr.
ai. leorning-cniht «discepolo, apostolo» = lat. discipulus
imparare + cavaliere
In pochi casi troviamo anche neoformazioni che formalmente sono completamente indipendenti (detti
calchi creativi), cfr.
ai. cwilde flōd ‘mortal flood’ = lat. diluvium

ai. fulwian (verbo debole) = lat. baptizare


ai. ful «pieno» + wīhan «consacrare» (prestito dal greco)

In questi casi si tratta di lessemi usati probabilmente solo nella comunicazione scritta; essi hanno la
tendenza ad essere soppiantati nel corso dell’evoluzione linguistica.
Nell’inglese moderno continuano in maggiore misura i calchi semantici rispetto ai calchi strutturali
del periodo antico.
b) Lessemi che entrano nell’inglese a partire dalla II metà del X sec. sino alla fine del periodo antico
Nella seconda fase, dopo la riforma benedettina, inizia un processo nel corso del quale vengono
soppiantati prestiti e calchi già esistenti nella lingua inglese da nuovi prestiti e calchi; in questo caso i nuovi
prestiti si basano su forme del latino classico e non più su forme del latino tardo/preromanzo/volgare, per
cui si parla anche di “prestiti dotti”, cfr.

ai. (prima) lǣden [æ:] «latino» (dal lat. tardo/preromanzo)


(poi) latin “ (dal lat. classico)

ai. (prima) engel «angelo» (dal lat. tardo/preromanzo)


(poi) angel “ (dal lat. classico)

Questo fenomeno è connesso alla crescente erudizione in quel periodo; infatti, dopo la riforma
benedettina, vengono sempre più spesso studiati e tradotti testi latini del periodo classico.
L’influsso latino diminuirà nel periodo medio a favore di quello francese.

46
L’influsso scandinavo
Invasioni dei danesi, concessione di Alfredo di un territorio per loro (Danelaw), dopo un certo periodo i
contatti sociali diventa sempre più frequenti, favorendo pertanto un certo influsso sul lessico.
L’influsso scandinavo sul lessico inglese è molto ampio. L’imprestito viene favorito dal fatto che gli
antichi dialetti scandinavi erano, in quanto appartenenti anch’essi al gruppo linguistico germanico, in certi
aspetti simili all’inglese.
La maggior parte dei prestiti designa concetti per i quali esistevano già lessemi in inglese. All’inizio si tratta
quindi spesso di sinonimi, e in molti casi, nell’ulteriore sviluppo linguistico, una parola soppianta l’altra
(sopravvive o quella inglese o quella scandinava). In alcuni casi sopravvivono entrambi e favoriscono una
differenziazione semantica (vedremo esempi)
I primi prestiti scandinavi sono attestati nelle cronache del periodo antico, soprattutto nella Cronaca
Anglosassone: li troviamo prevalentemente in passi che trattano degli invasori vichinghi (i vichinghi
danesi). Molti prestiti scandinavi sono testimoniati solo in documenti della fase media: ciò si spiega col
fatto che i testi del tardo inglese antico erano molto conservatori e che gli insediamenti dei Vichinghi erano
stanziati ad ovest e ad est del paese e perciò la loro lingua non esercitava un influsso immediato su tutta
l’area linguistica inglese.

testimonianze ai. per prestiti scandinavi:


(tardo) ai. fēolaga < an. félagi «compagno» i.mod. fellow
cnīf < an. knífr knife
hūsbonda < an. húsbóndi «padrone di casa; marito» husband

lagu < an. *lagu, cfr. a.isl. log law


(il prestito scandinavo soppianta l’ai. ǣ, æw [æ:] «legge»)
ūtlag < an. útlagi; útlagr outlaw
wrang < an. *wrangr; rangr wrong

Nel periodo medio coesistono in molti casi lessemi inglesi con prestiti dall’antico nordico; poi o uno
soppianta l’altro o, a volte, tutte e due le parole continuano nell’inglese moderno, in genere con una
differenziazione semantica:
a) la parola nativa viene soppiantata dalla parola scandinava
esempi: Soppianta:
1) i.mod. birth < an. byrð (cfr. i.medio bürþ, birþ) - ai. gebyrde
2) i.mod. egg < an. egg (cfr. i.medio egg) - ai. æg, i.medio ey
3) i.mod. sister < an. systir (cfr. i.medio sister) - ai. sweostor
(gli esempi 1-3 risalgono a radici ie. comuni)
4) i.mod. take < an. taka (ai. tacan) - ai. niman
(nell’ultimo caso si tratta di radici ie. differenti)
b) continuano la parola nativa e quella scandinava (con differenziazione semantica):
esempi:
i.mod. cast «gettare» < an. kasta - i.mod. warp «incurvarsi» < ai. weorpan «gettare»
i.mod. skirt < an. skyrta «camicia» - i.mod. shirt < ai. scyrte «camicia/camice»
i.mod. sky [ai] < an. sky [i:] «nuvola»- i.mod. heaven < ai. heofon
c) la parola scandinava viene soppiantata dalla parola nativa
i.medio sterne < an. stiarna - i.medio star < ai. steorra (> i.mod. star)
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i.medio haithen < an. heiðinn - i. medio hēthen < ai. hǣþen (> i.mod. heathen [hi:ðən])

L’elemento scandinavo nel lessico inglese è molto vistoso nella toponomastica: vedi ad esempio
- più di 600 toponimi che terminano in -by «fattoria; città» (< an. byr), cfr. Grimsby, Whitby, Derby, Rugby…
- ca. 300 toponimi con -thorp «villaggio» (< an. þorp «fattoria, villaggio»), cfr. Althorp, Bishopsthorpe, ecc.
- ca. 300 toponimi con -thwaite (< an. þveit «pezzo di terra dissodata»), cfr. Applethwaite, Braithwaite, ecc.
La formazione delle parole
Nella formazione delle parole nell’inglese antico sono ancora molto attivi i consueti modelli germanici, per
lo più “ereditati” dall’indoeuropeo (vedi il materiale in Saibene relativo al modulo A), ma non devono
essere trascurate le neoformazioni inglesi sul modello latino, in particolare nell’ambito della formazione di
sostantivi astratti. Gli esempi per prefissazioni e per suffissazioni privilegiano formazioni con prefissi e
suffissi ancora attivi in periodo antico.
Composita
Esempi di composita con due sostantivi per formare un sostantivo:
ai. Scir-gerefa [sciriereva] “ufficiale di contea” (i.mod. sheriff)
ai. eag-dura “finestra” (l’i. mod. window risale invece ad un composito scandinavo, cfr. a.nord. vindauga >
ingl. window “finestra” letteralmente “occhio del vento” che si sostituisce all'ai. eag-dura letteralmente
“porta dell'occhio”)
ai. ealo-hūs (i.mod. alehouse)
ai. ēar-hring (i.mod. earring)

Esempio di compositum con un aggettivo e un sostantivo per formare un sostantivo:


ai. wid-sǣ “oceano”

Esempio di composto con un sostantivo e un aggettivo per formare un aggettivo:


ai. ælmes-georn “caritevole” (ælm “elemosine”; georn “zelante”)

Esempio di composto con un aggettivo e un sostantivo per formare un aggettivo:


ai. glæd-mōd “di buon umore”

Molti composita sono alquanto artificiali e non arrivano all’inglese moderno.


Prefissazioni
I prefissi dell’inglese antico più diffusi sono:
ā-, be-, for-, fore-, ge-, mis-, of-, ofer-, on-, tō-, un-, under-, wiþ-
Esempi per prefissazioni verbali:
ai. ā-settan “porre, piazzare”
ai. ā-rīsan “alzarsi”
ai. on-settan “opprimere”
ai. be-cuman “divenire”
ai. fore-gangan “precedere”

Esempi per prefissazioni nominali:


ai. un-gelimp “infortunio”
ai. mis-dǣd [æ:] “misfatto, peccato”
ai. un-getrēow “infedele”
ai. un-wīs “sciocco”

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Suffissazioni
I suffissi dell’inglese antico più diffusi sono:
-ig, -isc, -full, -lēas, -lic, -līce, -ness, -ung, -sum, - dōm, -ing, -end, -ere, -scipe
Esempi per suffissazioni sostantivali:
ai frēond-scipe “amicizia”
ai. cyning “re”
ai. wīsdōm “sapienza”
ai. stil(l)-ness “quiete, tranquillità”
ai. heard-ness “durezza”

Esempi per suffissazioni aggettivale


ai. heofon-lic “celeste”
ai. ende-lēas “infinito”
ai. blōd-ig “sanguinoso” (trascritto con -y in inglese moderno)
ai. engl-isc “inglese”

Esempi per suffissazioni verbali


ai. fyllan “riempire” (dall’agg. full)
ai. drencian [drenkjan] “abbeverare” (dal verbo forte ai drincan “bere”)
ai. dēm(i)an “giudicare” (dal sost. ai. dōm “giudizio”).

ESSAME: studiare in tutti i dettagli questo argomento, oltre alla panoramica generale riuscire a dare
esempi concreti per le varie circostanze.
Sintassi
Introduzione
L’inglese antico come lingua sintetica
L’inglese antico è una lingua sintetica nella quale il ruolo dei singoli componenti della frase (soggetto,
complemento ecc.) viene indicato per lo più tramite desinenze. In tale modo, all’interno della frase è
possibile una posizione assai libera dei singoli elementi.
L’inglese moderno invece è una lingua analitica nella quale il ruolo dei singoli componenti della
frase viene indicato tramite la posizione nella frase, per cui la posizione è assai meno flessibile.
Nell’inglese antico si riscontrano già tendenze verso uno sviluppo a lingua analitica.
Costruzione della frase
Ordine delle parole
Alcuni esempi di modelli frequenti nell’ordine delle parole in inglese antico:

SVO (Soggetto - Verbo - Oggetto) [modello più “classico”]


Esempio: þæt h forl t þæt h s "che egli lasciò la casa/uscì dalla casa"

SOV (Soggetto - Oggetto - Verbo)


Esempio: and þ Deniscan n mon "e poi i Danesi vinsero"

VS(O) (Verbo - Soggetto - (Oggetto))


Esempio: þ r s h from þ m sl pe "allora si alzò dal sonno"

OVS (Oggetto - Verbo - (Soggetto))


Esempio: and þone ofer s dr fdon "e il re Burgr d (lo) cacciarono oltre mare"
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Paratassi
In testi inglesi antichi spesso troviamo frasi e parte di frasi posti uno accanto all’altro, senza subordinazione
(paratassi), contrariamente all’inglese moderno nel quale prevale ipotassi (con frasi subordinate).
Esempio:

and þær wearþ micel wælsliht on


hond and þ Deniscan hton wælst we
“E allora lì fu una grande battaglia mortale su ambo le parti, e i Danesi giacevano sul campo di battaglia"
Frasi relative
Le frasi relative vengono introdotti da þe o da una particella che si basa sul sistema dei pronomi
dimostrativi.
Esempio: þe mon n ne r mde "che/i quali non si possono enumerare/elencare"
Frasi avverbiali
Frasi temporali ("prima che")
Esempio: r h e on þ m fæstene w ron "prima che si trovavano nella fortificazione"

Frasi causali
("poiché")
Esempio: ond hider forþon ic n ht ne c ðe
"e andai via, poiché non sapevo cantare nulla"

Frasi concessive ("sebbene")


Esempio: ne b o n shw n d ade, þ ah þe of þ m tr owe eten
"non morirete affatto, sebbene mangiate da questo albero" [da composizione Biblica]

Frasi modali ("(come) . . . quanto")


Esempio: sw fela sw h habban wolde
"quanti ne desiderava avere"

Frasi condizionali ("se")


Esempio: Gif cyning æt mannes ham drincæþ, and ðær man lyswæs hwæt gedo, twibote gebete.
«Se il re beve [= festeggia] nella casa di un uomo, e là viene compiuta [lett: uno compie] una qualsiasi
azione malvagia, dovrà pagare come risarcimento un'ammenda doppia».

Frasi consecutive ("in modo che")


Esempio: þæt h on þ m asteðe ealle st don
"in modo che tutti stavano alla riva del fiume"

Frasi finali ("perché")


Esempio: þæt s o wære
"perché la profezia si realizzasse"
L’uso dei casi
L’inglese antico ha cinque casi: nominativo, accusativo, genitivo, dativo e strumentale. Uno di questi casi
comincia ad estinguersi già nella fase antica: si tratta dello strumentale che comincia a coincidere sempre
più frequentemente con il dativo.
Uso dei casi in inglese antico - introduzione
NOMINATIVO: il nominativo viene in genere usato per il soggetto di una frase e per il complemento
soggetto.
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ACCUSATIVO: l’accusativo viene in genere usato per il complemento diretto di un verbo transitivo. Viene
usato inoltre come complemento retto da determinate preposizioni.

GENITIVO: il genitivo viene in genere usato per indicare possesso o simili relazioni.

DATIVO: il dativo viene usato per il complemento indiretto di verbi come “dare” ecc. Viene usato inoltre
come complemento retto da un grande numero di preposizioni. Viene inoltre usato, laddove non
viene invece utilizzato lo strumentale, per indicare l’oggetto o la persona per mezzo del/la quale
viene compiuto l’azione del verbo.

STRUMENTALE: lo strumentale è distinto dal dativo, per quanto riguarda l’uso e la funzione, solo per alcuni
pronomi e per aggettivi forti. È usato per indicare l’oggetto o la persona per mezzo del/la
quale viene compiuto l’azione del verbo.

Ogni caso in inglese antico svolge quindi una serie di funzioni. Qui di seguito vengono elencati alcuni dei
più importanti (con esempi).
Nominativo
per il soggetto
Esempio: h r r d s here… "in quest’anno l’esercito cavalcò …"

per rivolgersi ad una persona


Esempio: þ , s lida, hwæt þis folc
"Senti, marinaio, ciò che dice questo popolo?"
Genitivo
genitivo soggettivo
Esempio: Ælfred his br þur "Ælfred suo fratello"

genitivo come complemento


Esempio: þe þone onwald hæfdon þæ folces "che avevano potere sul popolo"

genitivo partitivo
Esempio: fylled monnes bl des "riempito di sangue umano"
Dativo
per il complemento indiretto
Esempio: and him þ sealdon "e gli diedero gli ostaggi"

Per indicazioni temporali


Esempio: þære ylcan nihte "nella stessa notte"

Dativus Absolutus analogamente all’Ablativus Absolutus del latino


Esempio: "dopo che la vittoria era stata vinta"

dopo preposizioni
Esempio: and þ f rdon h e mid Wesseaxna fierde innan Mierce
"e allora andarono con l’esercito dei Sassoni occidentali in Mercia"
Accusativo
per il complemento diretto

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Esempio: and þone ofer s dr fdon
"e il re Burgr d (lo) cacciarono oltre mare"

collegato ad un infinito
Esempio: het þa hyssa hwæne hors forlætan "egli ordinò a ogni guerriero di lasciare libero il suo cavallo"
Strumentale
per indicare il mezzo o la maniera
Esempio: hlutre mode "con animo puro"

per indicazioni temporali


Esempio: Þӯ ilcan "nello stesso anno"

L’uso delle forme verbali


Nell’inglese troviamo, così come nelle altre lingue germaniche antiche, due tempi sintetici: presente e
preterito. Tutti gli altri tempi vengono formati in modo perifrastico.
Presente
per affermazioni generali
Esempio: mycel yfel d þ, se þe l as wr t "un grande male fa colui che scrive qualcosa di sbagliato"

per avvenimenti nel presente


Esempio: þ , s lida, hwæt þis folc
"senti, marinaio, ciò che dice questo popolo?"

per avvenimento del futuro


Esempio: þas flotmenn cumaþ "questi marinai verranno"
Preterito
per avvenimenti conclusi nel passato
Esempio: and þ Deniscan n mon "e poi i Danesi vinsero"

Per avvenimenti iniziati nel passato che perdurano ancora nel momento in cui ha inizio un'altra azione nel
passato (analogamente al Present Perfect dell’inglese moderno)
Esempio: þa ða men slepon, þa com his feonda sum "mentre gli uomini dormivano, arrivò uno dei suoi
nemici"

Per esprimere trapassato


Esempio: þ men, þe h beæftan him l fde r "gli uomini che aveva lasciato prima dietro di sé“
Modo
Indicativo
L’indicativo viene usato in frasi principali e in frasi subordinate
esempio: H r f r s here t from and þ r wintersetl nam
"In quell’anno l’esercito andò da Reading a Londra e là prese l’accampamento invernale"
Congiutivo/Ottativo
Il congiuntivo/ottativo compare in frasi principali che esprimono un desiderio o un comando nella 3a
persona.
Esempio: abreoþe his angin "che la sua impresa possa fallire"

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In frasi subordinate il congiuntivo/ottativo si trova dopo una serie di verbi che introducono il discorso
indiretto.
Esempio: cwaeþ, þæt h sylf w re "disse che egli stesso sarebbe pronto"
Imperativo
per inviti/comandi diretti
Esempio: Caedmon, m "Cædmon, cantami qualcosa"
Infinitivo
L’infinitivo viene utilizzato sia in forma flessa sia in forma non flessa
Spesso gli infinitivi non flessi si trovano in costruzioni con verbi modali.
Esempio: sw fela sw h habban wolde "quanti ne voleva avere"

Infinitivi in forma flessa si trovano spesso abbinati con t .


Esempio: is eac t witanne "deve inoltre essere annotato"
Participio
I participi vengono usati soprattutto per la formazione di perifrasi verbali; inoltre il participio spesso viene
usato come attributo.
Esempio "spade crudelmente appuntite"
Forme verbali composte
Queste forme verbali sono composte da una forma del participio (presente o preterito) o dell’infinitivo in
combinazione con un verbo modale/ausiliare. (per approfondimenti si vedano i materiali inerenti al Corso
A).
Passivo
Un passivo sintetico esiste solo per il verbo h tan “comandare, chiamare”. La forma passiva di questo
verbo è h tte "si chiama".

Per tutti gli altri verbi il passivo viene formato con il participio preterito + un verbo che esprime „essere“ o
„diventare“ (b on, wesan oppure, più raramente weorþan).
Esempio: he wæs oft gewundad "egli fu spesso ferito"
Costruzioni con verbi modali
Verbi come willan "volere" oppure sculan "dovere" vengono spesso seguiti da infinitivo. Queste costruzioni
possono essere anche la base per lo sviluppo di un futuro perifrastico.
Esempio con sculan:

N sculan heofonr ces weard


"Allora vogliamo lodare il guardiano del regno dei cieli"

Esempio con willan:


sw fela sw h habban wolde "quanti ne voleva avere"
Negazione
Spesso la negazione viene espressa con la particella ne.
Esempio: and h e hindan ofr dan ne meahte "e egli non riuscì a raggiungerli da dietro"

In alcuni casi la particella ne può fondersi con una forma verbale.


Esempio: þæt se eorl nolde yrhðo geþolian "che il principe non voleva tollerare viltà"

A volte si trova la doppia negazione.


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Esempio: ic n ht ne c ðe "non sapevo cantare nulla"
L’uso degli aggettivi
Gli aggettivi vengono utilizzati nella loro forma debole dopo pronomi dimostrativi, numerali e al
superlativo.
Esempio: se ealda mann "l’uomo anziano"

In tutti gli altri casi si usa la forma della declinazione forte.


Esempio: ealde menn "uomini anziani"

Posizione: gli aggettivi in genere precedono i sostantivi che caratterizzano. Eccenzion fatta per i testi
poetici.
L’uso delle preposizioni
La tabella seguente indica le accezioni delle preposizioni più importanti, a seconda del caso. Fra parentesi
le accezioni meno frequenti.
Prep. con genitivo con dativo con accusativo

æfter "dopo" ("dopo")

ǣr "prima" ("prima")

æt "vicino, nei pressi, da" ("fino a ")

be "vicino, accanto a" ("vicino, accanto a ")

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Analisi etimologica di alcuni termini
(1) cyning - kyning, cynig
Il sost. masch. ft. in –a. Significa "re" ed è formato dal tema derivante dal germ. *kun(-ja) ( > ai. cynne
"stirpe, famiglia" > i.mod. kin), riconducibile alla radice ie. *gen- / *gṋ- "procreare" con l'aggiunta del
suffisso -ing ( < germ. *-inga) indicante derivazione e appartenenza, significava originariamente
"appartenente a una famiglia/stirpe [nobile]". Il sost. è testimoniato in tutte le lingue germaniche tranne
che nel got.: ai. cyning, ata./as. (=antico sassone) kuning [la forma dell’inglese mostra esito di metafonia
palatale, la forma tedesca no. La metafonia che agisce su vocali diverse da a breve agisce più tardi, fra fase
antica e fase media], an. konungr (con il suffisso -ung < germ. *-unga) [la r nasce per rotacismo e rimane,
nelle lingue germaniche è già caduta]. Nel got. c'è invece il sost. masch. ft. kindins "governatore" che risale
alla stessa radice ie. *gen-. kuning è la più recente denominazione germanica del re. Il più antico termine
"re" che ci è pervenuto è il germ. *Þeuðana-z [Þeuð= popolo; colui che guida il popolo]che è testimoniato
in tutte le lingue germaniche tranne che nell'ata. (cfr. got. Þiudans, ai. Þeoden, as. thiodan, an. jođann),
mentre nell'ata. viene usata la parola truhtîn [persona incaricata a guidare la truppa militare] nella stessa
accezione: questo termine ( < germ. *druhtina-z) compare anche nelle altre lingue germaniche dove
soppianta le antiche parole che derivano dal germ. *Þeuđana-z. Dopo che nel germ. occ. e nel nordico occ.,
in seguito alla cristianizzazione, *druhtina-z venne riferito a Dio, in queste stesse lingue si cominciò ad
usare il termine *kuninga-z per designare il sovrano in senso profano. Il cambio di termine denota anche
un cambio di mentalità: il re non è più un capo militare, bensì un nobile.
Nei manoscritti in ai. cyning si trova in numerosi testi per "re, sovrano": indica il sovrano, ma anche Dio e
Cristo quali sovrani celesti. Nell'accezione di "re" la parola si è conservata fino all’inglese moderno (king).
Evoluzione fonetica:
ie. [radice al grado zero, con vocale sillabica]*gṇ- > germ. [l’occlusiva velare passa a occlusiva sorda,
Grimm, la sonante sviluppa una vocale di appoggio u] *kun- + -inga(z) > ai. [la u del germanico passa a y per
metafonia palatale dovuta alla i del suffissi] kyning, cyning > ai. cynig > ai. cyng > i. medio [i subisce
apertura e dearrotondamento] king > i.mod. [nesso bifonematico passa ad un nuovo fonema: la velare
nasale] king [kiŋ]

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(2) gehāten
PP del vb ft VII cl hāten “chiamarsi”; “ordinare”
Nella forma anglica dell’ind pret sg si vede ancora un relitto del preterito a raddoppiamento: heht <
*hehāt; la forma sass.occ. corrispondente, hēt, mostra esito di allungamento di compenso della vocale
breve /e/ con caduta della spirante velare /x/.
In got. Si vede bene il raddoppiamento; ata vedi ted mod heißen; in ai ci sono differenze dialettali.
Non alternanza apofonica per i tempi diversi, ma nel preterito il raddoppiamento della sillaba
Paradigma nel germ occ. e orientale:
ai. hāten - heht (angl) - hēton - gehāten
hēt (sass. occ.)
ata. heizan, heizu - hiaz - hiazum - giheizan
as hētan, hētu - hēt, hiet - hētun, hietun - gihētan
got. haitan - haíhait - haíhaitum - haitans
vb germ comune, cfr: got. haitan "chiamare", al passivo "chiamarsi"; ai. hātan; as. hētan; an. heita, ata
heizan
Cfr la radice ie. *KĒI- (in apofonia con *KOI-) [=mettersi in moto, ma anche citare con nome], rispetto alla
quale costituisce un ampliamento con la dentale -d che compare solo nelle lingue germaniche.
Evoluzione fonetica:
forma inglese
[ie. *KOI-D >] germ. *hait-an-a > ai. hētan > i.med.  (Spiegazione non sicura al 100%)
forma tedesca
[ie. *KOI-D >] germ. *hait-an-a > ata. heizan > atm. heizen > t.mod. heißen [ai]

(3) god
Il sost. masch. ft. dal significato "Dio, divinità" può essere sia appellativo che nome proprio. La parola è
testimoniata in tutte le lingue germaniche: got. guÞ, ai. god, as. god, ata. got, god, an. gođ , guđ . Essa
risale al germ. *ǥuđa [jutha] /*guda "Dio, divinità"; si ritiene che sia stato in origine un sost. ntr. che è
diventato poi generalmente, applicato al Dio cristiano, un sost. masch. (cfr. KLUGE/SEEBOLD 1989).
Probabilmente si tratta di una formazione astratta in -to, o dall'ie. *gheu- / *ghu- "versare (specialmente
durante sacrifici)" o dalla radice verbale ie. “invocare” (vedi sotto). Il significato originario potrebbe quindi
essere stato "l'azione del versare, del fare sacrifici" che fu poi trasferito alla divinità nell'onore della quale
viene compiuto il sacrificio. Potrebbe però essere anche riconducibile alla radice ie. *ghu- / *ghū-
"invocare (le divinità)", con suffisso formante participiale -to; in questo caso il significato originario sarebbe
stato "colui che viene invocato". La parola si è conservata nell’inglese mod. god.
Attenzione: non abbiamo attestazioni per i germani di sacrifici con liquidi, anche se bisogna ammettere di
avere una scarsità di fonti sulla religione germanica.
Evoluzione fonetica:
ie. * ghu- + -tó > germ. [passa a spirante sonora, Grimm] *ǥuđa > [legge di Verner] *guda > germ. occ.
[metafonia velare: la u passa a o per via della a] *goda > ai. [accento sulla radice, si perde la desinenza] god
> i.medio god > i.mod. god

(4) hlāford
singolare del sost masc in –a hlāford “signore, capo famiglia, marito” (da germ. hlāf-weard “custode della
pagnotta” [hlāf=pagnotta, vedi ing mod loaf of bread)
Già in periodo ai sostituisce sempre più spesso l'antica forma drihten “signore” (da germ. *druhtinaz) per
designare il Dio cristiano (calco semantico, analogamente a lat. Dominus).
Husband viene da un prestito an.; visto che per la parola di capofamiglia useranno husband, questa parola
può essere utilizzata per il Signore.
Come verbo (to lord, fare finta di essere una persona importante, “gonfiarsi su qualcuno”) è attestato a
partire dal 1579.
Cfr. anche i dizionari etimologici per “lady” (hlāf+die= pagnotta+impastare)

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Evoluzione fonetica:
[no ie.] germ. *χlaiƀ- + *ward > proto-ai. [la spirante rimane tale, ma cambia grafema, in fine di parola è
sorda] * hlāf - *wærd [la a in ward si palatalizza a seguito di mutamento spontaneo] > *hlāfweard [weard
è frutto di frattura, a causa del nesso consonantico r+cons] > ai. hlāford [forme più semplificate, la
semivocale w tende a cadere se legata ad un’altra consonante] > i.med lāverd, lōverd (XIII sec) [no
tendenza lineare, anche il nesso hl si semplifica: cade la spirante velare iniziale] > lōrd (XIV sec) > i.mod lord

(5) fēond
sost masc fēond “nemico”
Il sostantivo germanico *fijand è forma sostantivata del participio presente germ *fijæjan “odiare” (cfr. le
forme verbali got. fijan, ai. fēogan, ata. fiēn, oggi tutte estinte, e le forme sostantivati an. fjandi > sved
fiende, ata fiant > ted. mod Feind, got. fijands). In ted e sved mod si ha lo stesso significato, in ing varierà
un po’.
Base etimologica è la radice verbale ie *pē(i)-/*pei/*pī- "fare male a, danneggiare, denigrare”.
Già nel periodo antico il sostantivo viene utilizzato per designare satana, nemico dell’umanità, di Dio, base
per l’ulteriore slittamento semantico a “persona diabolica” (attestato da ca.1220). Il senso originario passa
nell’i. med alla parola fā, fō “nemico” (i.mod foe) che risale all’ai. gefā, gefō “avversario in una faida o in un
duello mortale”). Infine, per esprimere il senso originario, dal XIII secolo in poi è attestato il prestito dal
francese antico enemi, i.mod. enemy.
Evoluzione fonetica:
ie. *pei-ont- > germ. [occlusva labiale sorda passa a spirante, Grimm] fīand *fīanđ [legge di Verner]> ai.
[eo= regolare esito] fēond > i.med fēnd > i.mod fiend [i: per GVS]

(6) feallan
Verbo forte, VII classe. Per far notare la differenza tra sass. Occindentale e anglico
Paradigma:
(sass. occ.) feallan – feall – fēoll – fēollon – feallen ( < germ *fallana)
(angl.) fallen
il verbo è attestato anche nelle altre lingue germaniche occidentali e nel nordico, cfr. an. falla, ata. /as.
fallan
La base ie. è la radice verbale *phōl-/pōl-/pol- "cadere” (cfr. armen, p'ul "caduta”; lituano puola "cadere").
Come sost., nel senso di “autunno”, è attestato solo dal 1664 (si è mantenuto solo nell’inglese americano)
come forma abbreviata di “fall of the leaf” (1545). Il sost nell’accezione di “cascata di acqua” è attestato
dal 1579.
Evoluzione fonetica:
ie *pol- > germ. [prima mutaz consonantica, Grimm; aggiunto tipico suffisso -ana dell’infinito, tendenza a
raddoppiamento della l]*fal-(l)ana > protoai. [frattura, la a si è innalzata a e e la e palatale davanti a l ha
esito di frattura, non accande nell’anglico)*fællan > ai. (sass.occ.) feallan / (angl.) fallan > i.med [prevale la
forma anglicca, in sasso cc avvenuto lo smoothing] fallen > tardo i.med faull(en) > i.mod. fall

(7) willan
ai. willan, wyllan (< germ *wel-jan), vb irregolare “desiderare”, pret. wolde nella negazione: nyllan, nellan
Si tratta di un vb. germanico comune, cfr. a.sass., an. vilja, afris. willa, ata. wellan, got. wiljan "to will, wish,
desire," got. waljan "scegliere"
La base è la radice ie. *wel-/*wol- "volere, desiderare" (cfr. sanscrito vrnoti "sceglie, preferisce", varyah
"eligible, eccellente", varanam "scegliendo", avest. verenav- "desiderare, scegliere”, lat. volo, velle
"desiderare, volere")
Già nel periodo ai si comincia ad usare il verbo come ausiliare per la formazione di un futuro perifrastico,
ma con una forte componente semantica che sottolinea la volontà e l’intenzione.
In tutte le lingue germaniche viene sostituito l’antico indicativo presente con l’ottativo presente. Su questa
forma di ottativo wille l’ai. costruisce un nuovo ottativo, un infinito e un participio presente.
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Le forme:
PRESENTE
indicativo ottativo infinito participio
sg 1. wille sg wille (wile) willan willende
2. wilt pl willen
3. wile (wille)
pl willaþ

PRETERITO
Indicativo: wolde
Il preterito è di tipo debole, ed ha la radice a grado zero, sul modello dei verbi preterito-presenti.

Evoluzione fonetica:
ie. * wel- > germ. *wel-jan > [innalzamento]*wil-jan > [raddoppiamento] *willan > ai. willan > i.med.
will(en) > i.mod will

(8) riht-līce
avv composto dall’agg. riht, ryht e il suffisso formante avverbi -līce 1. agg. ryht, riht “giusto; dritto”
esiste anche la forma sostantivata dell’agg: sost. ryht, riht “legge”, “diritto”, “regola” (lett.: ciò che è dritto)
Alla base sta un agg. germ. comune, cfr. got. raihts, ata./asass. reht, afris. riuht, rioht; an. réttr ( > germ.
*reh-ta).
Nelle lingue germaniche questo aggettivo viene poi anche sostantivato: “ciò che è dritto = legge, diritto,
regola); si tratta di un sost. ntr. in –a: ai ryht, riht; cfr. anche ata. reht [ted.mod.: Recht]
L’agg. germ. risale alla radice ie. *reg- “dirigere” (cfr. lat. regere, gr. orégo; al grado allungato della stessa
radice *rēg- risale la parola ai. rīce (i.mod. rich). Assume anche il signivicato di regno reame [rimasto solo in
ted.mod.: Reich]) Derivazioni diverse a seconda del grado apofonico secondo il quale si sviluppa la forma.
L’agg. viene formato con la radice verbale ie. *reg- + suffisso formante participiali ie. * –tó.
Evoluzione fonetica:
ie. * reg-tó > *rek-tó [più facile da pronunciare, assimilazione parziale della velare alla dentale] > germ.
[occlusiva sorda diventa spirante velare, Grimm; o breve del suffisso diventa a breve]*reh-ta > proto-ai.
(sass.occ./kent) reoht > ai. (sass.occ./kent) riht > i. medio right [riçt, è spirante palatale] > tardo inglese
medio right [ri:t] > i.mod. right [rait per GVS]
Ulteriori indicazioni per l’evoluzione etimologica: Scardigli/Gervasi p. 244, voce “right”
Sia l’agg. sia il sost. continuano nelle lingue germ. mod., cfr. oltre all’inglese mod. right ted. mod. recht
(agg.) e Recht (sost); sved. rätt dan. ret
2. suffisso -līce
Il suffisso si basa sul sost. ntr. in –a līc “corpo, figura, aspetto” e viene usato per formare avverbi.
In tedesco il sost. si è mantenuto nella forma Leiche (fem) “salma”. Alla base sta con tutta probabilità un ie
*līg “aspetto uguale”.
Evoluzione fonetica del suffisso: ie. *leig-/līg- > germ [il dittongo ei passa a i lunga; media a tenue,
Grimm]*līk-a- > ai. līc(e) [la e può cadere o rimanere] > i.med līc(e), lic(e) > i.mod -ly

(9) eall
[esempio per far notare la frattura e l’assimilazione] L’agg. eall “tutto” è un agg. germ. comune, attestato
in tutte le lingue germaniche: got. alls; ai. eall/all; ata., asass. al; afris. al, ol; an. allr.
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L’origine della parola è oscura; probabilmente si tratta di una formazione participiale in germ- *-na- (< ie. *
-no-) dalla radice verbale germ. *al-a- “nutrire, crescere” (< ie. al- “nutrire”, cfr. it. alimentare).
Evoluzione fonetica:
ie. *al-no > germ. [esito regolare o breve in a breve] *al-na > *alla > protoai. [la a breve diventa ae] æll > ai.
(sass.occ./kent) [frattura davanti alla l] eall; angl. all [in anglico subisce abbassamento, NON frattura]
ai. (angl.) all > i.medio all > tardo i. medio aull > i. mod. all [o:ll] (con “o” aperta”)

(10) man
Il sost. masch. ft. (“essere umano”, "uomo", “vassallo”, “guerriero”) viene ricondotto in genere alla forma
ie. *manu-s, *monu-s "uomo" che si potrebbe porre in relazione con la radice ie. *men- "pensare" (cfr. il
lat. mens "mente"): l'uomo sarebbe, secondo quest'ipotesi, "colui che pensa" (cfr. POKORNY I, 1959, pp.700
e 726segg.). Altri sostengono che il sost. derivi dal germ. *gumon "uomo", e precisamente dalla forma
apofonica *gman-ōn, con alleggerimento del gruppo consonantico in inizio di parola (cfr. KLUGE/SEEBOLD
1989; per ulteriori ipotesi si veda DE VRIES 1961, p.374seg.). Il germ. *gumon ( > ai. guma, cfr. ata. gomo
"uomo", parola che si è conservata nel ted. mod. solo nel sost. masch. Bräutigam "sposo, l’uomo della
sposa"), è testimoniato anche in altre lingue germaniche (cfr. got. guma, an. gumi) ed è riconducibile alla
radice ie. *ghđem "terra" (cfr. l'ie. *ghemon, *ghomon "uomo", POKORNY I, 1959, p.415): l'uomo sarebbe
quindi "colui che vive sulla terra" oppure ”colui che è fatto di terra” (cfr. il lat. homo). L'ai. man/mon ( <
germ. *manōn-, cfr. anche got. manna, ata. man, as. man[n], an. mađr, mannr) è documentato sia quale
sost. nel senso di "essere umano, uomo, vassallo, guerriero" sia come pron. indef. La parola è conservata
nell’inglese mod. man, nell’accezione più antica anche in composti quali mankind.
(In ted.mod il pronome man conserva questo senso, Mann ha subito un restringimento, significa solo uomo
maschio, mentre Mensch è riferito all’essere umano)
Evoluzione fonetica:
1. ai. guma
cfr. got. guma, ata. goma, an. gumi
ie. *ghṃon > germ. [media aspirata passa a spirante sonora, Grimm; vocale di appoggio u] *ǥuman-ōn >
germ. *gumōn > [i sostantivi germanici in -on vengono raccolti nella classe di declinazione in -a] *guma >
ai. guma († parola oggi estinta in inglese)
2. ai. man/mon
cfr. got. manna, as. man(n), ata. man, an. mađr, mannr)
a) ie. ghṃon > germ. *ǥuman-ōn > germ. *gmanōn > [allegerita in inizio sillaba, la u viene soppressa, poi il
nesso gm viene eliminato per agevolare la pronuncia]*manōn > ai. man/mon [cade l’ampliamento- on]
> i.medio man > i.mod. man [æ] [non spiega la forma mannr dell’an.]
b) [più probabile] ie. *manu-s > germ. *manu-z [la s si sonorizza per Verner] > *manur [rotacismo]>
*man(n)(r) [la u provoca raddoppiamento] > ai. man/mon [semplificato] > i.medio man > i.mod. man
[æ]
Possono andare bene entrambe. L’indoeuropeo ghmon per esiti linguistici diversi [allegerimenti differenti,
stesso significato] in un secondo momento coincidono, unirsi con l’ie manus e l’antico germanico guma
diventa obsoleto o sopravvivere in un relitto [vedi sposo].
(cfr. a.ind. manuh "uomo, essere umano, umanità"; cfr. anche lat. Mannus (dal germ.) il progenitore di
Ingwi, Istwi e Irmin che viene latinizzato da Tacito. Ha la doppia n che parla a favore di una base
indoeuropea manus)

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