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Lezione di Farmacologia del 21.03.

2022
Docente: Federico Pea
Sbobinatori: Pitarra Camilla Maria Pietra, Piro Ugo
Revisore: Pironi Matteo
Argomento: Farmaci Antiemicranici, FANS

FARMACI ANTIEMICRANICI
Nella scorsa lezione è stato affrontato l’argomento oppiacei: essi danno la migliore garanzia per il dolore
acuto di grandissima intensità.

I farmaci antiemicranici, argomento di questa lezione, rappresentano un caso molto particolare di farmaci
analgesici.

EMICRANIA E TARGET
L’emicrania è una forma particolare di sofferenza cerebrale caratterizzata da un disturbo di natura
neurovascolare, che comprende al contempo:

- vasodilatazione mediato dal rilascio di sostanze vasodilatatrici, come CGRP (calcitonin gene-related
peptide), che interessano alcuni distretti;

- attivazione del sistema trigeminovascolare.

Gli antiemicranici sono farmaci che agiscono come agonisti dei recettori serotoninergici, in particolare del
tipo 1B e 1D (5-HT1B/1D).

Il meccanismo fisiopatologico alla base dell’emicrania è correlato a 3 tipi di recettori: i due recettori
serotoninergici 5-HT1B/1D e il recettore per il peptide CGRP. Essi agiscono a 3 livelli:

 Un primo meccanismo d’azione riguarda i recettori 5-HT1B; essi sono rappresentati in diversi
distretti vascolari intracranici, in particolare si sottolinea a questo livello l’importanza dell’arteria
meningea media (MMA). Questa azione promuove fisiologicamente vasocostrizione, meccanismo
che contrasta la vasodilatazione la quale, in questo distretto, è alla base dell’insorgenza del dolore.

Il meccanismo di vasodilatazione nel distretto intracranico induce dolore poiché nella scatola
cranica non è possibile l’espansione. Dunque contrastare la vasodilatazione è un meccanismo che
permette di contenere il dolore.

 Il secondo meccanismo riguarda l’agonismo nei confronti dei recettori 5-HT1D rappresentati a
livello presinaptico, principalmente in corrispondenza delle fibre trigeminali. Essi inibiscono il
rilascio a livello di queste fibre del peptide CGRP che è potenzialmente fonte della vasodilatazione,
maccanismo fisiopatologico alla base dell’evento di dolore.

 Il terzo meccanismo d’azione riguarda la modulazione anti-nocicettiva, quindi la modulazione della


percezione del dolore, in cui sono coinvolti i recettori serotoninergici (non soltanto 5-HT1D/1B, ma
anche 1F) che si ritiene siano ampiamente rappresentati a livello cerebrale.

I recettori 1B sono molto espressi anche a livello delle arterie coronarie.


Questo implica che si tratta di farmaci controindicati a pazienti con rischio cardiovascolare
(disfunzione coronarica/ sofferenza cardiovascolare) perché, andando a promuovere
vasocostrizione a livello coronarico analogamente a quanto avviene nel distretto cerebrale,
possono essere una fonte di scatenamento di un attacco ischemico, e quindi teoricamente di
infarto del miocardio.

La figura (sopra) mette in risalto un secondo aspetto, oltre a quello dei recettori: come la ricerca abbia
cercato di evolversi nel tempo. Si evidenzia come, seppure l’organizzazione di questi recettori sia a livello
intracranico, un farmaco che non attraversa la BEE non rappresenta un limite. I distretti colorati in
arancione e verde in figura, infatti, non sono protetti dalla barriera ematoencefalica (BEE).

Sumatriptan, il capostipite della classe dei triptani (antiemicranici), non attraversa in maniera efficiente la
BEE. Dopo di esso, sono stati sviluppati molti altri derivati, a partire da Rizatriptan: i triptani di seconda
generazione. Essi si differenziano dal Sumatriptam per il grado di lipofilia. Sappiamo che la maggior parte
dei farmaci si comportano come elettroliti deboli, che possono essere dissociati, a seconda del pH
dell’ambiente. Un criterio con cui si definisce il grado di lipofilia si basa sul concetto di coefficiente di
ripartizione lipidi/acqua al pH fisiologico. Ogni volta che un composto ha un valore superiore a -1 significa
che può diffondere attraverso la BEE; infatti la maggior parte dei farmaci di seconda generazione ha questa
caratteristica.

CARATTERISTICHE FARMACOCINETICHE

Sumatriptano
1. Non supera la BEE;
2. biodisponibilità: nella formulazione orale è bassa (14%), mentre nella formulazione sottocutanea
è molto più elevata (96%); si ricorda che tanto più bassa è la biodisponibilità di un farmaco, tanto
più questo può avere delle conseguenze negative in termini di valutazione dell’efficacia.

Farmaci di seconda generazione


1. quasi tutti hanno formulazione orale;
2. biodisponibilità: largamente migliorata nella maggioranza dei casi rispetto al Sumatriptano;
3. Emivita: relativamente breve, indicativamente intorno alle 3-4 h.
4. Il mantenimento dell’efficacia nel contrastare l’attacco emicranico 1, in termini di percentuali, è
relativamente elevato soprattutto nelle prime due ore, poi tende progressivamente a ridursi nel
tempo.

Si può notare come la farmacocinetica ci consenta di valutare la farmacodinamica dal punto di vista clinico,
quindi l’efficacia dei farmaci.

ALCALOIDI DELLA SEGALE CORNUTA


Gli alcaloidi della segale cornuta sono farmaci, datati all’inizio degli anni ‘60, ancora oggi utilizzati con
alcune specifiche indicazioni. La segale è una graminacea che viene definita “cornuta” quando attaccata dal
fungo Claviceps Purpurea, che ha la caratteristica peculiare di produrre, attraverso il suo metabolismo, una
serie di alcaloidi farmacologicamente attivi. Ne rappresenta dunque una fonte molto efficiente e poco
costosa.

Tra gli alcaloidi della segale cornuta ci sono:


1
L’emicrania si manifesta clinicamente con attacchi, non necessariamente in maniera continuativa ma
spesso in maniera transitoria.
-alcaloidi aminici, tra cui ergometrina (naturale) e metilergometrina (s.s. = semisintetico: aggiunta sintetica
alla sostanza naturale);

-alcaloidi aminoacidici.

Essi continuano a essere applicati in senso molto variegato perché combinano una serie di proprietà
farmacologiche, su cui sono basati gli effetti terapeutici:

 Interazione con i recettori serotoninergici. L’azione serotoninergica spiega l’azione antiemicranica


di questi alcaloidi, che però sono stati soppiantati in questo senso dai triptani;
 Interazione con i recettori dopaminergici;
 Interazione con i recettori α-adrenergici: permette vasocostrizione periferica, che può essere utile
nell’ipotensione ortostatica1, ma soprattutto nella prevenzione dell’atonia uterina e dell’emorragia
post-partum durante il puerperio 2, per cui l’obiettivo in ostetricia è quello di far regredire le
dimensioni dell’utero nel minor tempo possibile. Nei primi giorni del post-partum questi farmaci
vengono somministrati in larga misura, soprattutto nella più comoda formulazione orale a gocce
(esistono anche formulazioni diverse), inducono così vasocostrizione con grandissima efficienza.
Tuttavia, hanno anche un forte effetto algico (grande dolore) per la rapida contrazione a questo
livello. Teoricamente questi farmaci non potrebbero essere usati durante la gravidanza perché
causerebbero sofferenza del feto.

1
situazione in cui passando da clinostatismo a ortostatismo non si verifica un adattamento altrettanto rapido dei
recettori α-adrenergici, portando eventualmente alla sincope.
2
periodo immediatamente successivo al parto.
ANTIINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS)
Si tratta farmaci, analgesici e non, usati e abusati; il professore ribadisce l’importanza nella nostra attuale
posizione di comprendere e apprendere, per poter avere in futuro la competenza nel bilanciare vantaggi e
svantaggi dei farmaci.

In molti tessuti, indipendentemente dalle caratteristiche istologiche, l’acido arachidonico può essere
liberato a partire dai fosfolipidi di membrana, per azione della fosfolipasi A2. L’acido arachidonico è
importantissimo perché rappresenta la base da cui possono essere sintetizzati a livello tissutale una serie di
messaggeri: le prostaglandine e le prostacicline.

Queste possono essere definite, in senso lato, ormoni locali1 in quanto agiscono localmente, a livello dello
stesso tessuto che le ha prodotte: ogni tessuto sintetizza e utilizza le proprie prostaglandine e prostacicline.
Le più importanti sono le prostaglandine (PG) E2, D2, G2, H2, prostaglandina I2 o prostaciclina,
trombossano A2.

Esse hanno la caratteristica di essere prodotte allo stesso tempo in diversi organi e tessuti; ogni volta in cui
sono usati i FANS vengono bloccate le ciclo-ossigenasi, si verifica così un impedimento a tutta la cascata
che porta alla produzione di isomerasi tessuto-specifiche e quindi allo svolgimento della loro regolare
funzione nei diversi organi e tessuti.

1
Un ormone è una sostanza prodotta da un organo, rilasciato nel sangue o all’esterno, che esplica la propria funzione
in un organo diverso da quello in cui viene prodotto.
PRINCIPALI FANS
Inibitori aspecifici di COX1 e COX2
L’acido acetilsalicilico (aspirina) è stato uno tra i
primi di questi farmaci ad essere stato
introdotto. Fa parte di un gruppo caratterizzato
da molecole che, indipendentemente dalla loro
derivazione da precursori diversi, sono tutte
inibitori aspecifici delle due principali
ciclossigenasi presenti a livello tissutale:
ciclossigenasi 1 (COX1) e ciclossigenasi 2 (COX2).

Il professore sottolinea come non si debbano


ricordare a memoria tutti i farmaci ma è importante comprenderne le differenze di impiego e di rischio per
averne una visione d’insieme: ad esempio, l’aspirina e i farmaci simili all’aspirina, chiamati salicilati,
presentano alcuni rischi che altri farmaci antiinfiammatori non steroidei non hanno; la potenza d’azione in
termini d’efficacia è molto diversa se confrontiamo ad esempio diclofenac, piroxicam e paracetamolo,
quest’ultimo, in particolare, non ha tutti gli effetti tipici degli altri FANS.

Inibitori selettivi di COX2 (Coxib)


La COX2 non è stabilmente presente nei tessuti, ma è una ciclossigenasi inducibile; ad esempio, in seguito
ad un trauma viene prodotta a livello tissutale promuovendo, principalmente, la produzione di
prostaglandina E2 che è fonte di dolore e infiammazione.

Negli anni ‘80 sono stati sviluppati i cosiddetti Coxib (dal suffisso che identifica questi farmaci): Celecoxib,
Rofecoxib, Valdecoxib. Questi bloccano solo COX2 e non COX1: ne consegue che gli effetti collaterali, in
primis il danno a livello gastrico, ascritti ai FANS, possono essere contrastati perché la protezione della
mucosa gastrica dipende principalmente dalla produzione di COX1. Vi sono comunque anche in questo caso
eventi avversi.

La differenza di possibilità d’azione tra i COXIB e i farmaci


aspecifici è spiegata da un punto di vista molecolare dalla
diversa conformazione della tasca in cui si inserisce il
farmaco [in figura: in azzurro e cerchiato è rappresentato
il farmaco] che permette ai COXIB di bloccare solo la
COX2 e ai FANS aspecifici di bloccare entrambe le COX.

POTENZA
Sotto il profilo farmacologico, per interpretare la potenza dei diversi farmaci si usano la IC50 e la EC50, che
rappresentano le concentrazioni in grado di ottenere il 50% dell’effetto (EC50) e dell’inibizione (IC50)
massimi.
In questo caso, IC50 indica la concentrazione di farmaco in grado ottenere il 50% di inibizione dell’enzima
ciclossigenasi: le ascisse fanno riferimento a COX1, le ordinate a COX2.

La linea bisettrice dell’angolo è la linea di identità: quando un farmaco si trova lungo questa linea significa
che è un inibitore aspecifico, perché ha la stessa potenza inibitoria sull’uno e sull’altro enzima; spostandosi
di molto dalla linea d’identità si avrà un’azione preferenziale sull’uno o sull’altro.

Alcuni farmaci, infatti, tendono a essere equipotenti, cioè sono aspecifici: in particolare Ibuprofene e
Naproxen. Il termine Acetaminofene fa riferimento al Paracetamolo e deriva dalla letteratura
anglosassone: esso è vicino alla linea d’identità ma verrà discusso a parte.

Per quanto riguarda i Coxib, le IC50 per la COX1 sono nell’ordine di centinaia di volte superiori rispetto a
quelle della COX2; questo significa che usando i farmaci a una concentrazione idonea a inibire la COX2, non
si riesce a inibire la COX1, ottenendo così una risposta selettiva.

Da ricordare è anche l’eccezione alla regola: Diclofenac. Questo è considerato


un inibitore aspecifico ma in realtà ha una potenza inibitoria che è
enormemente superiore rispetto a quella di tutti gli altri. Si noti che la scala è
semilogaritmica (ogni intervallo è pari a dieci volte) quindi c’è una differenza
di potenza enorme (nell’ordine di 10.000). Ha concentrazioni molari molto
basse ma ha azione inibitoria sia nei confronti di COX1 che nei confronti di
COX2. Quindi è un aspecifico ma è estremamente potente. Quando vogliamo
sfruttare il massimo dell’effetto analgesico, nell’ambito dei FANS, spesso si
usa il Diclofenac.

 Si riporta per ulteriore chiarezza un altro grafico con lo stesso significato.


CARATTERISTICHE FARMACOCINETICHE
Parametri:
biodisponibilità, legame
proteico, tempo di
emivita, percentuale
metabolizzata a livello
epatico, percentuale
escreta a livello renale.

1. Emivita di eliminazione: molte delle molecole elencate, tipicamente farmaci aspecifici, hanno
un’emivita di eliminazione che oscilla tra 1-4 h. L’implicazione pratica è che in clinica questi farmaci
dovranno essere somministrati ogni 6-8 h per poter ottenere gli effetti desiderati (analgesico,
antipiretico, antiinfiammatorio).
2. Percentuale metabolizzata a livello epatico: quasi tutti sono ampiamente metabolizzati a livello
epatico. In merito a questo punto, è interessante capire quanto della variabilità predeterminata
geneticamente abbia un impatto sull’efficacia e/o sulla tossicità di questi farmaci [analizzato nel
paragrafo successivo, punto 6].
3. Legame alle proteine plasmatiche: quando è superiore al 90%, il farmaco può essere fonte di
spiazzamento di altri farmaci altrettanto legati alle proteine plasmatiche, causando così un transitorio
aumento della quota libera che è l’unica ad essere biologicamente attiva, ovvero che produce un
effetto terapeutico.
Un esempio è quello degli anticoagulanti orali, di cui il Warfarin rappresenta il più utilizzato al mondo
(solo negli USA si stima che il suo utilizzo sia pari al 2-4% della popolazione, frequenza molto elevata). Il
Warfarin è il classico farmaco ad alto legame con proteine plasmatiche. Se a un paziente in terapia con
Warfarin, che ha un buon controllo della coagulazione, si somministra un FANS, c’è il rischio che
aumenti transitoriamente la quota libera del Warfarin provocando dal punto di vista clinico un rischio
emorragico.
Consideriamo ora le caratteristiche dei Coxib e le peculiarità per quanto riguarda i parametri appena
analizzati:

4. Legame alle proteine plasmatiche: come nel caso dei farmaci aspecifici e di qualsiasi altro tipo di FANS,
anche nel caso dei Coxib è elevato.
5. Emivita di eliminazione: nel caso dei Coxib mediamente è più lunga, consentendo un’unica
somministrazione al giorno.
Va notato come i cosiddetti oxicamici hanno dei tempi di emivita molto più lunghi che possono arrivare
a 50-60 h, addirittura a 100 h (nell’anziano i tempi si allungano).
6. Percentuale metabolizzata a livello epatico: come detto prima, la maggioranza dei FANS viene
metabolizzata a livello epatico.
Ma qual è, nello specifico, il meccanismo implicato
nell’eliminazione?
Ad esempio, nel caso dell’Ibuprofene, che è un
farmaco sia prescrivibile, che da banco (farmaco di
autoprescrizione), è il citocromo 2C9 (CYP2C9) ad
essere maggiormente implicato nella
metabolizzazione. Questo è, insieme a CYP2C19 e
CYP2D6, uno di quegli isoenzimi con un’enorme
variabilità geneticamente predeterminata. Per questo
motivo, il consorzio (di cui si è parlato in relazione ai
farmaci della neuropsicofarmacologia), qualche anno
fa ha iniziato ad affrontare anche il capitolo relativo ai
FANS, tramite metanalisi: essa accorpa una serie di
studi con valenza importante dal punto di vista
metodologico e clinico e poi li interpreta secondo i
cosiddetti forest plot, cercando di attribuire una
significatività statistica o meno all’osservazione fatta.
Vengono valutati due diversi diplotipi del CYP2C9 (non
è necessario conoscerne il nome) che sono forme
fenotipiche di espressione del citocromo che si
associano allo stato di poor metabolizer: i portatori di questo diplotipo hanno una minore propensione
a produrre enzimi che sono in grado di metabolizzare in maniera attiva. Analizzando l’overall effect
(valutazione d’insieme degli studi, in questo caso rappresentato dal diamante evidenziato in rosso), si
osserva che chi ha questo assetto diplotipico (poor metabolizer) e utilizza uno di questi farmaci si può
trovare nella condizione in cui l’esposizione aumenta di circa l’80 % rispetto alla popolazione generale
(aumento del principio di sovraesposizione); nell’altro diplotipo chi utilizza Celecoxib, Ibuprofene e
Meloxicam, tende ad avere un aumento di esposizione che può essere anche più di 5 volte (corrisponde
alla soglia descritta nella lezione precedente nell’impatto delle interazioni molto potenti di
sovraesposizione), ragion per cui per alcuni farmaci hanno iniziato a declinare come interpretare il
diplotipo. Senza entrare nel dettaglio, questo discorso generale riflette la necessità di approfondire gli
aspetti genetici in questa disciplina.

Di conseguenza:
- Per quanto riguarda Ibuprofene (uno tra i più largamente utilizzati dalla popolazione generale),
Flubiprofene e Celecoxib, se si è nello stato di poor metabolizer del CYP2C9, viene raccomandato di
iniziare la terapia con una dose il più possibile contenuta, che è mediamente ½ o ¼ di quella
somministrata alla popolazione generale.
L’emivita dell’Ibuprofene è breve, circa 2-4 h, quindi lo stato di poor metabolizer può essere gestito
riducendo l’entità della dose.
- Al contrario, per gli oxicamici, che hanno un’emivita di 50-70 h, lo stato di poor matabolizer può
portare ad avere, ipoteticamente, anche 100-200-300 h di emivita.
Quindi, le stesse linee guida, quando declinano farmaci come gli oxicamici, danno raccomandazioni
diverse: se si è poor metabolizer, non si utilizzano farmaci come Piroxicam o Tenoxicam, che sono
tutti gravati da questo tipo di problematica. Questo concetto vale per qualsiasi classe terapeutica
con queste stesse caratteristiche: presenza di un farmaco substrato di un determinato isoenzima
che ha un’emivita molto lunga e un portatore poor della metabolizzazione di quel farmaco.

Inoltre, i farmaci substrato del CYP2C9 possono avere delle interazioni con altri farmaci che bloccano o
potenziano l’azione del 2C9, quelli che sono stati definiti come inibitori e induttori enzimatici.
Nel capitolo riguardante la neuropsicofarmacologia abbiamo nominato Fluoxetina, Fluvastatina e
Paroxetina e citato tra i mood stabilizers e gli antiepilettici la Carbamazepina, il più potente induttore
enzimatico, in particolare del 2C9. Se somministro un FANS ad un paziente, in un contesto di questo
tipo, si perderà l’attività con la Carbamazepina, comportando uno svantaggio per il paziente ma senza
indurre particolari danni; viceversa inibendo il metabolismo e portandosi in una condizione simile a
quella di un poor metabolizer, si possono indurre danni importanti.
Di seguito, cerchiamo di capire i danni che possiamo arrecare potenzialmente con una terapia con i
FANS.

Danni collaterali
Innanzitutto occorre trattare le prostaglandine alla fine della cascata produttiva governata dalla
ciclossigenasi 1 e 2 (ovvero COX1 e COX2).

Esistono 5 principali
prostaglandine/prostacicline/trombossani:

 Prostaglandina I2 (PGI2), detta


anche prostaciclina;
 Trombossano A2 (TxA2);
 Prostaglandina D2 (PGD2);
 Prostaglandina E2 (PGE2);
 Prostaglandina F2 (PGF2).

Le loro funzioni fisiologiche variano in


corrispondenza di diversi tessuti.

I FANS sono usati come analgesici, ma


anche come antipiretici e antinfiammatori.
L’infiammazione e il dolore sono governate
dalla prostaglandina E2, di conseguenza va
inibita la sua produzione per impedire questi effetti. Anche il Trombossano A2 e la Prostaciclina (o PGI2)
sono mediatori importanti.

Se si inibisce a questo punto le ciclossigenasi, si inibiscono anche le varie isomerasi tessuto-specifiche. Di


conseguenza, si altereranno le funzioni fisiologiche di tutti i tessuti.

FANS e Oppiacei a confronto


I FANS non permettono di ottenere un
effetto di analgesia comparabile a quello
degli oppiacei, poiché questi ultimi
bloccano la percezione del dolore a livello
nervoso, ottenendo un effetto
farmacologico massimo. I FANS bloccano
soltanto uno dei tanti processi alla base
della percezione del dolore, senza
interferire nella trasmissione della
nocicezione. In altre parole, i nocicettori
sono stimolati dalle prostaglandine, ma
non si bloccano in sua assenza.

Un’altra differenza rispetto agli oppiacei


consiste nel fatto che i FANS non
inducono assuefazione o dipendenza
fisica e psichica. In genere gli oppiacei si
usano infatti in terapia acuta.

Meccanismi del Paracetamolo


Gli antinfiammatori non hanno tutti la stessa potenza o effetti. L’esempio più classico è quello del
paracetamolo, una molecola senza proprietà antinfiammatorie che rappresenta un farmaco di riferimento
come antipiretico e analgesico, adatto dall’età pediatrica fino all’età avanzata. Il fatto che non condivida
certe proprietà con gli altri FANS determina altri effetti collaterali e tossicità.

Per spiegare la differenza in termini clinici del Paracetamolo, si è ipotizzata l’esistenza di una terza
ciclossigenasi (COX 3) che veniva inibita dal farmaco, da cui conseguivano effetti diversi rispetto alle altre
due ciclossigenasi. In realtà non è così: la visione più recente della letteratura ipotizza che esistano due
tipologie di meccanismi, in cui oltre all’azione sulle COX, si interviene a livello centrale coinvolgendo il SNC,
in particolar modo sul sistema degli endocannabinoidi. Tale sistema viene modulato attraverso la
stimolazione dei recettori degli endocannabinoidi generando un effetto analgesico, con conseguente azione
protettiva nei confronti della nocicezione.

Questa ipotesi postula che ci sia di fatto un’alterazione della trasmissione a livello neuronale, ragion per cui
i canali sensibili al calcio dovrebbero essere inibiti [in realtà sulle slides si dice che tali canali si attivano]
esplicando l’azione analgesica. Naturalmente il tutto si fonda su modelli sperimentali senza avere per il
momento evidenze assolute. Si ipotizza inoltre che il metabolita del paracetamolo, svolga un’azione
analoga nel SNC, mentre sembra che a livello di SNP possa svolgere un’azione complementare che
potrebbe inibire la nocicezione. Tale metabolita si produce a livello epatico ed è potenzialmente tossico,
poiché in caso di sovradosaggio è in grado di generare un’epatite acuta fulminante. Con potenzialmente
tossico si intende che l’effetto nocivo si manifesta solo in caso di sovradosaggio di paracetamolo, in piccole
quantità non costituisce un problema.

[AM404 è l’acronimo del


metabolita potenzialmente
tossico, il prof non ritiene
necessario impararlo]
FANS e Azione delle COX
COX1
La COX1 è espressa in maniera ubiquitaria in tutti i tessuti, anche se è maggiormente espressa nella mucosa
gastrica. La sua inibizione può indurre come effetto collaterale la gastrotossicità, che può anche sfociare in
ulcere gastro-duodenali.

[Dalle Slides:

TURBE GASTROENTERICHE

•dispepsia, bruciori gastrici, nausea e vomito accompagnati da iperemia della mucosa gastrica fino ad
emorragie puntiformi e ulcere (le PG hanno effetto citoprotettivo sulla mucosa gastrica)

•ruolo fondamentale perdita barriera lipoproteica superficiale  retrodiffusione H+

•l’emorragia acuta gastrica (meno f. duodenale) è la conseguenza più pericolosa dell’uso di FANS

•associazione inibitori pompa protonica quando la terapia viene protratta (es.artritereumatoide)]

COX2
La COX2 è più frequentemente di tipo induttorio, si attiva quindi in determinate circostanze, quali un
trauma fisico che genera la comparsa di dolore. La COX2 viene prodotta e attivata a livello tissutale e
produce Prostaglandina di tipo E2. La PGE2 poi stimola i nocicettori, per questa ragione si percepisce
dolore. I FANS poi inibendo le COX riducono parzialmente la nocicezione. È importante sottolineare
“parzialmente”. La VAS (Visual Analogue Scale) è una scala del dolore in cui il paziente esprime il dolore
percepito da 1 a 10 punti. I Fans riescono a ridurre il dolore fino ad un valore di 6 o 7 punti, per ottenere
una maggiore modulazione ci vorrebbe un farmaco oppiaceo.

MCID sta per minimally clinically important


difference, la differenza clinica minima
rilevante

I Coxib
Questa è un’interpretazione che consente di
capire come mai ci sono dei farmaci più o meno
potenti. In questo studio comparativo di
farmaci, il cambio di percezione di dolore viene
confrontato utilizzando una scala VAS dopo 6
settimane di trattamento rispetto al baseline.
La probabilità di ottenere l’effetto analgesico è
diversa tra paracetamolo (acetaminofene) e i Coxib. La riduzione progressiva è sicuramente minore di
quando noi utilizziamo l’Ibuprofene o i Coxib.

Negli anni ‘90 c’è stato un boom nell’utilizzo dei Coxib, specie per quanto riguarda i dolori cronici
osteoarticolari. I Coxib presentano il grandissimo vantaggio di non indurre gastrotossicità. La gastrotossicità
dipende dall’inibizione della produzione della PGE2, che ha una funzione protettiva nei confronti della
mucosa gastrica attraverso la stimolazione della produzione di muco. Perché questo è tipico dei farmaci
aspecifici e non dei Coxib? Il fatto che questo tipo di effetto sia indotto dai farmaci aspecifici (come
l’aspirina) è correlato al fatto che a livello della mucosa gastrica noi abbiamo rappresentata solo COX1. In
altre parole, ogni volta che si usa un FANS è opportuno somministrare anche un inibitore della pompa
protonica (ovviamente anche questi presentano i loro effetti collaterali, nonostante siano tra i farmaci più
ampiamente utilizzati). Si è creata questa unione, a ragione per cui quando sono stati introdotti questi
farmaci ogni qualvolta che viene prescritto un FANS si aggiunge l’inibitore di pompa protonica per gli effetti
protettivi nei confronti della mucosa gastrica.

Perché la COX1 ha un ruolo importante? La COX1 a livello di mucosa gastrica induce la secrezione di muco,
aumenta il flusso ematico e inibisce parzialmente la secrezione di HCl. Quando si utilizza un FANS
aspecifico, si blocca la COX1 con conseguente gastrotossicità. I Coxib non inibiscono la COX1, sono specifici
per la COX2 che non ha alcun ruolo nella gastrotossicità.

Effetti collaterali dei Coxib


Gli effetti collaterali dei Coxib si manifestano però con un aumentato rischio cardiovascolare. Più ci si sposta
dai Coxib verso i farmaci aspecifici, più aumenta la gastrotossicità e viceversa.

Le due isomerasi citospecifiche, PGI2 e TxA2, presentano azione opposta. PGI2 induce vasodilatazione e
contrasta l’aggregazione piastrinica, il trombossano A2 induce la reazione opposta. Fisiologicamente fin
quando c’è un equilibrio tra i due non vi sono problemi. Quando si blocca COX2, però, vi è un’alterazione
che porta ad un’azione predominante del TxA2, con conseguente maggiore aggregazione piastrinica alla
base del processo aterosclerotico e dunque del rischio cardiovascolare.

DI fatto, un inibitore aspecifico non comporta un rischio cardiovascolare, poiché blocca entrambe le
ciclossigenasi senza alterare l’equilibro tra PGI2 e TxA2, mentre un Coxib blocca la produzione di PGI2 ma
non di TxA2 creando un meccanismo proaterosclerotico prevalente.
La COX2 è espressa in maniera costante in tessuti quali endotelio e tessuto muscolare liscio vascolare,
cardiomiociti e cellule renali. I farmaci Coxib inibiscono COX2 e la produzione di PGI2, avviando una serie di
processi che promuovono una maggiore propensione al danno vascolare, un aumentato rischio di
aterotrombosi coronarica e un rischio a lungo termine di scompenso cardiaco.

[Nota storica: questi farmaci non solo hanno effetto analgesico, ma anche un’azione protettiva nei confronti
dell’evoluzione neoplastica di cellule in fase preneoplastica. L’uso di tali farmaci su determinate popolazioni
a rischio di evoluzione cancerogena, ha permesso di scoprire il rischio cardiovascolare determinato dal loro
utilizzo]

Nefrotossicità
A livello tissutale ci sono alcune prostaglandine che
hanno azione vasodilatatrice, ovvero PGE2 e PGI2,
mentre altre molecole hanno azione
vasocostrittrice, ovvero i leucotrieni. I FANS vanno
ad alterare l’equilibrio tra prostaglandine e
leucotrieni, favorendo questi ultimi. Tale
alterazione può portare ad un grado di
vasocostrizione che a sua volta porta ad ischemia
renale, da qui nasce il rischio di nefrotossicità
derivato dai FANS.

Per questo occorre assicurarsi sempre che il


paziente goda di buona funzionalità renale, inoltre
è importante valutare la durata della terapia. Se si
pensa ad una malattia cronica, come una malattia reumatica, è obbligatorio controllare periodicamente la
funzionalità renale.

Interazioni con altri farmaci


CI sono alcuni farmaci che possono potenziare tale nefrotossicità. In alcuni pazienti si usa, in caso di
trapianto o malattie autoimmuni, la ciclosporina, comune immunosoppressore che blocca in particolar
modo l’immunità cellulo-mediata. Tale farmaco è associato sul lungo periodo a nefrotossicità. Ragion per
cui questa diapositiva e la successiva [da non approfondire eccessivamente] evidenziano come l’uso
combinato di FANS e ciclosporina non solo inducano vasocostrizione renale (causa di ischemia) ma anche
ipertensione su base nefrovascolare. Queste sono le due complicazioni principali presentate da pazienti in
terapia con ciclosporina che possono essere precipitate da uso concomitante di FANS. Tra i meccanismi
della vasocostrizione è opportuno menzionare anche un certo ruolo del sistema nervoso simpatico.
Epatite da Paracetamolo
Un altro effetto collaterale è presentato dal paracetamolo. Normalmente i FANS andrebbero assunti a
stomaco pieno, mentre per quanto riguarda il paracetamolo tale precauzione non è necessaria per il
semplice fatto che è assente la gastrotossicità.

Un effetto collaterale da considerare è l’epatite da paracetamolo, il che porta due raccomandazioni. La


prima è, per quanto riguarda i pazienti pediatrici, di istruire i genitori sull’uso corretto del farmaco, mentre
la seconda è evitare il sovradosaggio (qui entra il concetto di tossicità dose dipendente).

Vie metaboliche del paracetamolo.


Il metabolismo converge in larga parte verso la glucuronazione (meccanismo utile per neutralizzare un
farmaco potenzialmente tossico), un’altra quota segue la coniugazione con l’acido solforico. La via
intermedia evidenziata è tecnicamente poco rilevante (5-15%), ma genera il metabolita ipoteticamente
coinvolto nell’epatite. Tutto questo non costituisce un problema in condizioni di normalità poiché tale
metabolita viene neutralizzato dal glutatione prodotto dalle nostre cellule, i gruppi tiolici vanno a
neutralizzare questi intermedi potenzialmente tossici. Quando c’è una deplezione del glutatione (ovvero in
caso di eccesso di metabolita),
chiaramente non sarà possibile più la
neutralizzazione.

I ROS sono gli elementi che inducono il


danno cellulare (il professore non lo
specifica bene, ma è evidente che i ROS
sono generati in questo caso dal
metabolita del paracetamolo che
normalmente è neutralizzato dal GSH).
Essi possono portare a necrosi massiva
degli epatociti, al punto tale da portare
ad un’epatite acuta fulminante con
morte per intossicazione da
paracetamolo. La dose limite per un
adulto è 4g/die, per la precisione 1g ogni
6 ore. Il professore sottolinea
l’importanza del mantenere un intervallo
temporale equidistante tra le dosi. Per i
bambini, la dose limite è rappresentata da
60mg/kg/die, ovviamente anche tale dose va distribuita nell’arco della giornata in maniera equidistante.
Anche se si aggiungono sostanze o farmaci potenzialmente complementari nel rischio di epatotossicità
(come l’etanolo) si può andare incontro al rischio di epatite.

[Il professore non chiede i dettagli i meccanismi del danno da sovradosaggio da paracetamolo descritti nella
slide a destra, è stata inclusa solo per completezza]

Segni e sintomi di epatite da paracetamolo


È importante osservare la parte destra della diapositiva. Un sintomo di epatite da paracetamolo è la
comparsa di manifestazioni gastrointestinali, quali nausea e vomito. La nausea in particolar modo è un
sintomo sul quale bisogna porre enfasi durante la terapia con il farmaco. Tra i segni, quello più tipico è un
aumento delle transaminasi, indice di citolisi epatica. Il valore normale è di 10-40 U/L (nella slide è indicato
10.000 U/L, tanto più alto è il valore tanto è maggiore il danno epatico).

Effetti collaterali dei salicilati


I salicilati sono diversi dalle altre classi, anche se chimicamente simili, per via delle loro due propensioni.
Una è quella di indurre Aspirine Exacerbated Respiratory Disease (AERD), in realtà non tipica dell’aspirina,
infatti nella letteratura inglese si dice Non-Steroidal Antinflammatory Drug Respiratory Disease. In altre
parole, l’aspirina è il principale colpevole di questo tipo di esacerbazione della propensione all’iperreattività
bronchiale, ma anche altri FANS possono essere responsabili. C’è quindi un’alterazione della risposta delle
vie respiratorie ai FANS. Tale forma tende a comparire più frequentemente nei soggetti di 30-40 anni con
una storia di atopia, ovvero propensione alle reazioni allergiche. Circa due terzi dei pazienti, infatti, ha una
storia di allergie precedenti. Si manifesta un quadro che riconduce all’asma successivamente alla
somministrazione di FANS.
Nella diapositiva sono evidenziati i farmaci con alta capacità selettiva della COX1, che sono quelli con
maggiore propensione per la AERD. Al primo posto c’è ovviamente l’aspirina. Questi farmaci, bloccando la
COX1, riducono in maniera significativa la produzione della PGE2, alterando di conseguenza l’equilibrio con
i leucotrieni B4 ed E4, prodotti dai macrofagi, che si ritroveranno in eccesso e porteranno a
broncocostrizione e infiammazione. Un ruolo preponderante è svolto dai mastociti, dai macrofagi e anche
dagli eosinofili quando si tratta di pazienti atopici.

Intossicazione da salicilati
Nella via terapeutica, l’acido
acetilsalicilico perde il gruppo acetile
diventando acido salicilico. Il 90% di
quello che si assume nella dose
terapeutica subisce questa reazione
metabolica a livello epatico, mentre il
restante 10% viene eliminato così
com’è dal rene attraverso i
meccanismi di secrezione tubulare. In
caso di sovradosaggio di salicilati, si
sbilancia l’equilibrio. I salicilati si
legano a proteine plasmatiche, le
quali si satureranno, aumentando così la quota libera del farmaco e si andrà a saturare anche il
metabolismo epatico. Molto più farmaco sarà così eliminato in forma di acido acetilsalicilico per via renale.
Questo ha un duplice impatto: sarà alterato il sistema di eliminazione dell’ acido urico a livello di secrezione
tubulare renale (l’acido urico è un metabolita del metabolismo delle purine, in caso di iperuricemia tende a
precipitare a livello delle cartilagini articolari dando manifestazione alla gotta), dando iperuricemia
iatrogena indotta da farmaci, inoltre si altera anche l’equilibrio acido-base e si ha acidosi (il farmaco è pur
sempre un acido).
[Il prof non spiega i meccanismi dell’iperuricemia iatrogena, ma questa parte di diapositiva può chiarire le
idee:]

Terapie contro le intossicazioni da salicilati


Le intossicazioni possono avere una prognosi infausta e vanno trattate in maniera acuta. In alcune
situazioni, le intossicazioni si possono trattare con un’emodialisi, ovvero una tecnica diffusiva (la sostanza
diffonde dal sangue al liquido di dialisi) che fa sì che si eliminino dal sangue sostanze potenzialmente
tossiche. Tale procedura è comune nel trattamento di pazienti affetti da Insufficienza Renale Acuta. Ci sono
dei criteri per fare in modo che l’emodialisi sia efficiente: il primo è che il farmaco sia quasi del tutto
presente nel circolo sanguigno o abbia comunque un basso volume di distribuzione (ovvero il farmaco è
presente nel sangue o al più nei fluidi extracellulari), il secondo è che il farmaco sia idrosolubile.

Un’altra strategia è attraverso l’alcalinizzazione delle urine. Si ha un buon assorbimento delle sostanze
acide (ovvero l’aspirina) in ambiente acido poiché assumono la loro forma indissociata, ma per favorirne
l’eliminazione occorre alcalinizzare le urine con ione bicarbonato , favorendo così la dissociazione ionica
del farmaco, il quale non sarà più in grado di attraversare le membrane cellulari, con conseguente
eliminazione attraverso le urine.
Lezione di Farmacologia del 21.03.2022
Docente: Federico Pea
Sbobinatori: Perrucci Elena Giulia, Peroni Francesca
Revisore: Piovaccari Matteo

FARMACOLOGIA CLINICA DEI CORTICOSTEROIDI


Tra i farmaci antinfiammatori una categoria rilevante è quella dei corticosteroidi. Riferirci a questi farmaci
solo come antinfiammatori è, però, riduttivo, perché sono dotati anche di altre funzioni. Proprio questa
versatilità nel regolare diverse funzioni del nostro organismo li rende particolarmente propensi ad indurre
eventi avversi e tossicità.
I corticosteroidi sono ormoni che il nostro corpo produce fisiologicamente, per questo vengono utilizzati
nella terapia ormonale sostitutiva, ovvero in tutte quelle condizioni in cui il surrene non è in grado di
produrli.

Nell’immagine sottostante c’è una rappresentazione schematica dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, il


sistema in grado di regolare fisiologicamente la produzione di corticosteroidi; il prodotto endogeno del
nostro organismo è il cortisolo. È un sistema controllato da un meccanismo a feedback negativo, molto
usato nel nostro organismo. A livello ipotalamico esiste un ritmo circadiano, che funziona sia in relazione
alla nostra normale attività quotidiana, sia in condizioni di stress fisico, mentale o metabolico. Queste
condizioni determinano il rilascio di CRH, che poi induce la liberazione di ACTH a livello ipofisario, il quale
promuove la produzione di cortisolo a partire dalla corteccia surrenalica. Il cortisolo agisce sui tessuti
periferici.
Questo è quello che avviene fisiologicamente. Ci sono due principali tipologie di ormoni steroidei:
glucocorticoidi e mineralcorticoidi, i cui principali componenti sono rispettivamente il cortisolo e
l’aldosterone. Quest’ultimo è impiegato nella regolazione dell’equilibrio idrosalino, infatti è importante
nella gestione della pressione arteriosa. Il sodio è un elettrolita idroritentore, ovvero è in grado di
trattenere acqua. Queste due categorie di steroidi non sono “pure”, ovvero non sono distinte in modo
netto a livello di funzione. Ciò comporta che entrambi siano in grado parzialmente di svolgere anche la
funzione dell’altra categoria, pur mantenendo la loro funzione come quella prevalente. Esiste anche una
terza categoria, quella degli steroidi sessuali.

Alla base della sintesi degli ormoni di queste tre categorie c’è il colesterolo, una componente delle
membrane plasmatiche, che si può convertire in mineralcorticoidi, glucocorticoidi o ormoni sessuali
attraverso diverse vie di sintesi.

Meccanismo d’azione
Dal punto di vista dei tempi di risposta, sono farmaci che hanno una certa latenza, ovvero non restituiscono
una risposta immediata. Esiste la falsa convinzione che questi abbiano una risposta estremamente rapida,
ma questo non è fisiologicamente possibile: i corticosteroidi vengono trasportati a livello
intracitoplasmatico, dove formano un omodimero instabile, che viene convertito in una forma più stabile, la
quale ha la capacità di interagire con i recettori degli steroidi intracellulari. L’effetto è l’induzione della
trascrizione a livello genico, che promuove la produzione di proteine in grado di indurre la risposta
biologica. Questo processo richiede tempo. Altre sostanze, come l’adrenalina, hanno invece una risposta
molto più rapida; perciò, vengono utilizzate in situazioni che richiedono un intervento immediato, come un
attacco di allergia. I corticosteroidi possono essere somministrati nei trattamenti allergici come farmaci
complementari, ma non sono certamente in grado di agire bene in acuzie.

Effetti dei glucocorticoidi


Anabolici
 a seconda della quantità presente nell’organismo, varierà l’effetto anabolizzante 1 sulle diverse
categorie di macronutrienti (carboidrati, lipidi, proteine);
 il termine “gluco” è indice dell’influenza sul metabolismo glucidico, che causa IPERGLICEMIA;
questa può essere sia transitoria sia permanente (per slatentizzazione del diabete);
 si crea uno squilibrio delle fonti energetiche in rapporto all’utilizzo di glucidi nelle vie anaerobiche;
infatti, esistono due vie, una aerobica, la più efficiente e legata al glucosio, e una anaerobica, meno
efficiente e che sfrutta i lipidi. I glucocorticoidi favoriscono un aumento di substrati che favoriscono
la gluconeogenesi; come effetto complementare si ha una mobilitazione di acidi grassi liberi e
glicerolo, conseguente ad una degradazione dei trigliceridi.
1
Queste sostanze vengono anche utilizzate come dopanti in alcuni sport, perché aumentano le masse muscolari; ne sono un
esempio i culturisti, che spesso abusano queste sostanze per agevolare l’aumento delle masse muscolari in vista di una gara.

Catabolici
Contemporaneamente ci sono degli effetti catabolici sui tessuti, i quali subiscono un’azione distruttiva.
Oltre al tessuto adiposo, gli altri tessuti interessati da questi effetti sono:

 il TESSUTO OSSEO, infatti l’utilizzo eccessivo di queste sostanze espone ad un rischio di


osteonecrosi e di osteoporosi;
 il TESSUTO CUTANEO, su cui possono comparire le “strie rubrae”, più comunemente indicate con il
nome di smagliature, ovvero dei segni sulla cute che indicano mancanza di elasticità, che possono
comparire anche per lo stiramento dovuto all’effetto anabolizzante; sottoponendo a questo tipo di
trattamento pazienti in età pediatrica, si associano agli effetti negativi del tessuto osseo anche dei
difetti di crescita dovuti ad alterazioni della cartilagine di accrescimento, che compromettono lo
sviluppo delle ossa;
 il TESSUTO MUSCOLARE, in particolare la muscolatura scheletrica, che oltre all’effetto
anabolizzante, può subire degli effetti potenzialmente negativi dei corticosteroidi, soprattutto se
abusati, come un aumento dell’attività a livello cardiaco, che a lungo andare può predisporre ad un
maggiore rischio cardiovascolare, specialmente nei casi di doping;
 il sistema ENDOCRINO, infatti i glucocorticoidi sono in grado di inibire l’asse ipotalamo-ipofisario
che è fonte di produzione spontanea di glucocorticoidi a livello della corteccia del surrene; a lungo
andare la conseguenza più grave è l’atrofia surrenalica, ovvero la perdita di funzione dell’organo;
 il TESSUTO CONNETTIVALE, su cui l’azione dei glucocorticoidi promuove il rallentamento della
normale sintesi e formazione di nuovi glicosaminoglicani; questo ha come effetto un ritardo nella
guarigione di ferite nei pazienti che sono in terapia cronica con queste sostanze;
 il SISTEMA IMMUNITARIO, su cui hanno un effetto sia antinfiammatorio sia immunomodulatorio,
infatti riducono la produzione dei linfociti T, importanti nell’immunità cellulo-mediata; quest’ultima
ha un ruolo nel rigetto del trapianto e nelle patologie neoplastiche, in particolare quelle aggravate
da proliferazione ad alto ritmo, come le neoplasie ematologiche. Ciò implica che, utilizzate a scopo
terapeutico, queste sostanze possano contemporaneamente inibire la risposta infiammatoria e la
risposta immunitaria cellulo-mediata. Quindi, un paziente in terapia corticosteroidea è
potenzialmente a maggiore rischio infettivo. Un esempio è il recente aumento dei casi di infezione
da aspergillo nei pazienti affetti da polmonite da COVID19 trattati con terapia corticosteoidea;
l’Aspergillo è una muffa che in pazienti immunocompetenti non dà grossi problemi, ma nei pazienti
immunocompromessi può causare danni polmonari anche letali, in quanto si tratta di un fungo
angioinvasivo.

Tra gli altri effetti ci sono quelli biologici, di cui molto rilevante è l’alterazione della funzione renale;
sebbene i mineralcorticoidi abbiano un ruolo prevalente nella regolazione dell’equilibrio idrosalino (ovvero
sono fonte di aumento della pressione arteriosa se in eccesso), anche glucocorticoidi svolgono un ruolo
nella regolamentazione del flusso renale; quindi un loro utilizzo cronico è frequentemente associato ad un
rischio di ipertensione su base nefrovascolare.
Utilizzo dei glucocorticoidi
I due principali effetti sono ANTINFIAMMATORIO e IMMUNOSOPPRESSIVO. Questi sono legati a:

 riduzione dell’attività dei linfociti;


 riduzione della produzione di citochine e di chemochine ad attività proinfiammatoria (es. con il
COVID19 aumenta la produzione di IL6, una citochina proinfiammatoria, perciò si usano
glucocorticoidi, utili per controllare in acuto una risposta infiammatoria eccessiva);
 attività LINFOLITICA, ogni volta che c’è un eccesso di attività del sistema linfocitario, i
glucocorticoidi riescono a reprimerla.

Tipicamente i corticosteroidi sono associati alla modulazione dell’azione linfocitaria e dell’azione degli
eosinofili. L’effetto complessivo è antinfiammatorio, ma anche antiallergico, infatti gli eosinofili sono
implicati in forme a base allergica. In molte delle terapie per le allergie si consiglia l’utilizzo di
corticosteroidi. Vedremo che anche in caso di asma allergico (o asma bronchiale), i corticosteroidi, sia topici
sia sistemici per le forme più avanzate, hanno un ruolo nel controllare l’eccesso di risposta infiammatoria.

Farmacocinetica
Il cortisolo è l’ormone che viene prodotto fisiologicamente dal nostro organismo ed è controllato da un
ritmo circadiano, ovvero dipende dallo stato di veglia e dallo stato di sonno; quindi, ha un picco nelle ore
mattutine, perché è in grado di attivare le funzioni utili nelle ore diurne, mentre tende a ridursi nelle ore
notturne.
La sua caratteristica prevalente è l’emivita relativamente breve, infatti il nostro organismo riesce
fisiologicamente a regolarne la produzione e a adattarne l’entità dell’effetto in tempi brevi. Se l’emivita
fosse stata di giorni non sarebbe stato possibile un controllo circadiano della produzione e dell’attività di
questo ormone. A livello terapeutico, però, questo è uno svantaggio, perché è necessario somministrarlo
continuamente per avere un effetto prolungato. Per questo motivo, si utilizzano dei derivati del cortisolo.
Derivati sintetici o semisintetici
Quelli che vengono maggiormente utilizzati sono:

 prednisolone;
 metilprednisolone;
 betametasone, utilizzato nella terapia dell’asma;
 desametasone, ampiamente utilizzato per via sistemica.

Ce ne sono tanti per due motivi: differiscono sia per potenza intrinseca e sia per emivita (che non è mai
elevata). Ad esempio, il betametasone ha una potenza elevata, perciò la risposta è molto più efficace di
altri.

Esistono due gruppi:

 glucocorticoidi ad azione intermedia  sono quelli il cui effetto ha una durata di circa 18-36 ore;
tra questi ci sono prednisone, prednisolone, metilprednisolone e triamcinolone; a loro volta
possono essere classificati sulla base della loro attività; l’azione antinfiammatoria è equiparabile,
ma essi differiscono per l’azione mineralcorticoide, che è assente, ad esempio, nel triamcinolone.
Ne consegue che gli effetti collaterali connessi a ritenzione e ipertensione siano più frequenti
quando si somministrano farmaci con attività minerale più intensa. Questi quattro farmaci possono
anche essere paragonati sulla base della dose equivalente.
 i glucocorticoidi ad azione lunga  sono quelli che hanno anche maggiore attività intrinseca, oltre
ad una durata di 1-3 giorni; tra questi ricordiamo il desametasone ed il betametasone. Questi
hanno un’attività circa 6/7 volte più potente dei precedenti. Il desametasone è infatti il più

utilizzato quando si necessita di una maggiore intensità di effetto, e il betametasone ne è quasi


equiparabile. A differenza del gruppo ad azione intermedia, l’attività mineralcorticoide è assente.

Interazioni dei glucocorticoidi


Tutti gli effetti fisiologici dovuti alla stimolazione glucocorticoidea possono essere potenziati dall’utilizzo di
altre sostanze come:

 antidepressivi triciclici, attualmente poco somministrati ma che erano molto comuni negli anni
’90; se associati a farmaci a base di glucocorticoidi possono determinare delle alterazioni cognitive
e relazionali, specialmente negli anziani, per effetto disforizzante e/o euforizzante, che si possono
manifestare con dei comportamenti bizzarri;
 FANS, che possono avere un’azione nefrotossica e possono indurre ipertensione su base
nefrovascolare; se questi effetti sono sommati all’attività mineralcorticoide di alcuni farmaci
glucocorticoidi, si potenzia il rischio di ipertensione; inoltre, c’è anche un potenziamento
dell’effetto gastrolesivo2;
 diuretici, importanti nella gestione della ipertensione arteriosa, e amfotericina hanno come effetto
un aggravamento dell’ipokaliemia in associazione alla somministrazione di aldosterone, che ha un
effetto sodio-ritentivo e potassio-escretore;
 induttori o inibitori di CYP3A4; tutti i corticosteroidi sono substrati del citocromo 3A4, quindi ogni
volta che sono associati a degli induttori o inibitori di CYP3A4 ci sarà rispettivamente una riduzione
(fino al 50%) e un potenziamento dell’effetto dello steroide.

Effetti collaterali
Gli effetti collaterali dei glucocorticoidi dipendono soprattutto dal tempo di utilizzo. Possiamo identificare
tre situazioni: in ambito acuto, in cui la terapia ha una durata inferiore ad una settimana, tutti gli effetti
metabolici sono contenuti; in ambito subacuto, in cui la terapia può durare diverse settimane, o cronico, in
cui la durata raggiunge anche mesi o anni, il rischio principale è la sindrome di CUSHING, legata alla
iperproduzione di corticosteroidi.

Effetti subacuti
Se la terapia dura alcune settimane, possono
esserci frequentemente delle alterazioni come:

- soppressione surrenalica transitoria;


- effetto disforizzante;
- possibile slatentizzazione del diabete e
intolleranza al glucosio.

Le alterazioni più sporadiche sono invece:

- ulcera peptica, anche se mancano ad oggi


delle evidenze assolute.

2
L’effetto gastrolesivo dei corticosteroidi è molto dibattuto: sebbene notoriamente e frequentemente si utilizzino dei farmaci per
compensare l’effetto gastolesivo dei corticosteroidi, questo non è stato mai dimostrato né viene riportato in letteratura, come
invece accade per i FANS. L’unica spiegazione razionale, confermata dalla letteratura, è l’utilizzo dei corticosteroidi in ambito di
terapia intensiva, in cui si viene a creare uno stress emotivo, dovuto anche alla condizione di ricovero, che può causare un danno
alla mucosa gastrica. Perciò in questi casi si fa profilassi con inibitori della pompa protonica.

EFFETTI TOSSICI IN RELAZIONE ALLA DURATA DEL TRATTAMENTO

Effetti ritardati
L’uso protratto per mesi comporta alterazioni ai sistemi metabolici in modo continuativo perciò si
verificheranno conseguenze importanti nei tessuti che subiscono prevalentemente un’azione di tipo
catabolico (es. tessuto osseo  l’osteoporosi è un evento frequente).

Si verifica spesso anche la ridistribuzione del tessuto adiposo che comporta:

 facies a luna piena (rimodellamento del volto),


 addome globoso e talvolta “gibbo di bufalo” 1 nell’uomo,
 gambe a “bacchetta di tamburo”, molto sottili.

Un evento che può verificarsi e che è estremamente impattante dal punto di vista prognostico è la necrosi
asettica dell’osso che si verifica specialmente nella testa del femore.

1
Gibbo di bufalo= un'accentuazione della zona relativa alla settima vertebra cervicale che è caratterizzata anche da un
classico atteggiamento del rachide cervicale che risulta essere più in avanti rispetto alla zona dorsale.
Altra complicanza è la cataratta ovvero un’opacizzazione progressiva del cristallino, che perde la sua
trasparenza e il soggetto comincia a vedere sempre con maggiore difficoltà ed è determinata dall’azione
che i glucocorticoidi hanno nei confronti del metabolismo intra-oculare.

Altro rischio è il glaucoma come conseguenza dell’alterazione del flusso dell’umor acqueo all’interno della
camera oculare, questo genera ipertensione endooculare che è fonte di sofferenza a livello retinico e può
causare a lungo andare cecità.1

Nell’immagino a sinistra sono riassunte le principali conseguenze che ci si può aspettare in un soggetto che
fa uso cronico di corticosteroidi. Si può concludere che in acuto sono farmaci relativamente sicuri, ma
questa sicurezza viene a perdersi progressivamente
man mano che aumenta il periodo di terapia. Ciò
ovviamente non esclude che ci siano pazienti che
necessitino di una terapia a lungo termine ma in
ogni caso, l’impatto negativo è direttamente
proporzionale alla durata della terapia.

INFEZIONI OPPORTUNISTICHE PIÙ


FREQUENTI
Con l’uso dei glucocorticoidi, incrementa anche il rischio di infezione, in particolare alcune forme virali
possono essere favorite da questo tipo di terapia, così come alcune forme batteriche. Questo si verifica
perché la capacità difensiva in particolare dell’immunità cellulo-mediata ma anche dei neutrofili 2 viene ad
essere compromessa.

[BATTERI Tubercolosi, Stafilococchi, Listeria, G-

VIRUS Varicella, H. Zoster e Simplex, CMV

FUNGHI Aspergillo, Criptococco, Nocardia

PARASSITI Toxoplasma, Malaria, Ameba, Pneumocistis. da slide]

1
In caso di glaucoma, è necessario instillare costantemente delle gocce a livello oculare per mantenere la pressione
oculare controllata.

2
Il prof ricorda che i neutrofili hanno un ruolo prevalente nel controllo delle infezioni batteriche, mentre per le
infezioni fungine hanno un ruolo importante anche i macrofagi e i linfociti perché la risposta tende ad essere diversa.
IMPIEGO CLINICO DEI GLUCOCORTICOIDI
1. TERAPIA SOSTITUTIVA NELL’INSUFFICIENZA CORTICO SURRENALICA
 se il paziente ha il morbo di Addison1(condizione cronica), è necessario l’impiego di questa terapia:
cortisolo 20-30 mg/die + desossicortisone (per attività sodio-ritentiva).
 Se il paziente ha una condizione acuta, si impiega questa terapia: cortisolo 100mg e.v. ogni 6-8 ore
fino alla stabilizzazione.
2. PATOLOGIE NON CORTICOSURRENALICHE il principale impiego terapeutico dei glucocorticoidi in
realtà riguarda ambiti al di fuori della patologia corticosurrenalica. Si utilizzano infatti:
 Per i trapianti d’organo (in virtù della loro azione immunomodulatoria),
 per alcune tipologie di malattie a base ematologica,
 per alcune alterazioni del sistema osteo-articolare,
 per alcune alterazioni dell’ambito neurologico,
 per le reazioni allergiche e in particolare per le situazioni di tipo infiammatorio…

Dunque, la caratteristica principale per la quale vengono usati è quella di soppressione della risposta
infiammatoria immunitaria.

CASI NEI QUALI VENGONO USATI CORTICOSTEROIDI PER TERAPIA ANTINFIAMMATORIA

 asma bronchiale,
 un ambito di applicazione nelle infiammazioni tissutali può essere quello dei distretti in cui
l’infiammazione può causare intenso dolore e quindi causa l’aumento dell’ingombro stericoes.
patologie uditive [ma anche patologie a livello cutaneo, del naso e dell’occhio, via topica. Da slide]
 reazioni di ipersensibilità reazioni
allergiche come orticaria o forme più
aggressive come lo shock anafilattico
che in parte giovano dell’utilizzo dei
glucocorticoidi sebbene non siano una
terapia risolutiva.
 Malattie autoimmuni connettiviti,
LES, AR, malattie infiammatorie
intestinali, anemie emolitiche,
polimiositi, arteriti.
 Infezioni  meningite comunitaria, la
cui mortalità è cambiata enormemente
con l’introduzione della terapia
antibiotica ma si è anche visto come
l’uso del desametasone in acuto, per contenere la risposta infiammatoria a livello meningeo, cambi
totalmente la prognosi del paziente perciò secondo le linee guida, il soggetto riceve nei primi tre
giorni alte dosi di desametasone per contenere l’eccesso di risposta immunitaria.
 Nel rigetto dei trapianti, una delle componenti che si possono utilizzare è sicuramente quella
corticosteroidea, sempre allo scopo di ridurre la risposta immunitaria.

MALATTIE NEOPLASTICHE

1
Morbo di Addison: condizione in cui non si ha la capacità di produrre ormoni corticosurrenalici.
 I corticosteroidi hanno un ruolo specialmente in alcune neoplasie ematologiche, come i linfomi 1,
nei quali la iperproduzione di linfociti è contrastata dall’azione antilinfocitaria dei farmaci
corticosteroidei la quale però determina a primo impatto, la sindrome da lisi tumorale  i linfociti
che vengono prodotti in grandi quantità e che sono accolti in diversi organi, vengono
contemporaneamente distrutti e rilasciano grandi quantità di componenti di natura proteica
principalmente e così il catabolismo delle proteine viene ad essere esasperato. Questo ha
naturalmente delle conseguenze negative in particolare induce l’iperuricemia essendo l’acido urico
il catabolita terminale del catabolismo delle proteine. In conclusione, quando si usano i
corticosteroidi ai fini di contenere la massa tumorale, per evitare la sindrome da lisi tumorale è
necessario l’utilizzo di farmaci che siano in grado di controllare l’eccesso del catabolismo proteico.
 [Per ridurre l’edema cerebrale in pazienti con metastasi o tumori cerebrali,
 Come antiemetico in associazione (chemioterapia e terapia radiante). Da slide]

CONTROINDICAZIONI CORTICOSTEROIDI IN TERAPIA CRONICA


 Ulcera peptica,
 Osteoporosi,
 Infezioni,
 Diabete,
 Turbe psichiatriche gravi,
 Ipertensione arteriosa,
 Gravidanza (palatoschisi, IUGR2)

1
Linfoma= neoplasia caratterizzata dalla iperproduzione di linfociti, in particolare, ma non solo, nei linfonodi che
rappresentano spesso il punto di partenza della neoplasia, dopo di che si può avere localizzazione di grandi quantità di
linfociti in vari organi e apparati.
2
IUGR= ritardo della crescita intrauterino.
FARMACI ANTIURICEMICI

FISIOPATOLOGIA DEL GOTTA


Definizione La gotta si definisce come un’artrite infiammatoria indotta dalla deposizione di cristalli di
urato monosodico all’interno delle articolazioni, conseguente ad iperuricemia. Si verificano quindi degli
attacchi infiammatori causati dalla deposizione dell’acido urico che a lungo andare possono generare dei
tofi gottosi, concrescenze derivanti dalla deposizione di questi cristalli a livello delle articolazioni.
Solitamente è percepito un dolore di tipo urente molto intenso a livello articolare e si vede un
coinvolgimento, almeno iniziale, dell’alluce nella maggior parte dei casi.

Dove è più diffusaprevalenza in aumento nei paesi sviluppati.

A cosa si associa ad iperuricemia che nella maggior parte dei casi è di tipo metabolico, ma può
eventualmente essere anche su base iatrogena ovvero scatenata da farmaci inclusi nella terapia del
paziente. Si parla di iperuricemia se il valore di uricemia nel sangue è superiore a 6.8 mg/dl.

Da cosa è provocata l’iperuricemia da una disfunzione dell’eliminazione degli urati che sono soggetti ad
un processo di secrezione tubulare perciò quando si ha un eccesso di substrato rispetto alla disponibilità del
trasportatore, avremo l’iperuricemia. Questo eccesso di acido urico nel sangue, tende a precipitare proprio
perché non ha una buona solubilità.

Fattori di rischio in primis l’assunzione di purine (specialmente con un grande consumo di carne), ma
anche alcool, i soft drinks, fruttosio.

Fattori protettivi utilizzo di caffè e vitamina C.

Manifestazioni cliniche

1. Attacco acuto intermittente, durata variabile di 7-10 giorni e solitamente caratterizzato da un


dolore intenso, definito urente.
2. A lungo andare abbiamo la deposizione dei cosiddetti tofi gottosi (gotta cronica tofacea),
concrescenze di cristalli a livello articolare, che possono portare ad una deformazione
dell’articolazione.

STRATEGIE DI TRATTAMENTO DI UN PAZIENTE CON


IPERURICEMIA
1. Davanti ad un soggetto con iperuricemia il primo accorgimento sarà
una restrizione dietetica, ovvero la riduzione dell’introduzione di
purine con la dieta (soprattutto limitando il consumo di carne rossa),
2. Invece da un punto di vista terapeutico si può:
 alterare il metabolismo fisiologico delle purine usando
farmaci che siano in grado di modificare il loro profilo di
eliminazione. In primis abbiamo quelli che sono stati
introdotti negli anni 60 del secolo scorso, ovvero gli inibitori
della xantina-ossidasi, la quale è un enzima importante per
la formazione dell’acido urico.
 andare a potenziare l’eliminazione dell’acido urico che si è
formato, utilizzando farmaci che vadano ad agire dopo la
formazione dell’acido urico, potenziandone l’escrezione a livello tubulare, ovvero i farmaci
uricosurici. La situazione si può complicare qualora si abbia un’insufficienza renale, che
limita la possibilità di utilizzo di questa tipologia di farmaco.
 stimolare una via metabolica di degradazione dell’acido urico che il nostro organismo
fisiologicamente non utilizza, tramite l’uso di un farmaco introdotto molto recentemente
(10-15 anni fa) il quale altro non è che un enzima ricombinante, prodotto quindi con
tecnologie di ultima generazione.

FARMACI E LORO TARGET


[A lato si riporta la slide dove viene
sintetizzato il catabolismo delle
purine]

Considerando le tre principali classi di


farmaci sopra descritte, segue la
descrizione dei singoli tipi.

INIBITORI DELLA XANTINA OSSIDASI


allopurinolo, ossipurinolo (metabolita
dell’allopurinolo), febuxostat.

FARMACI URICOSURICI Probenecid,


benzbromarone.

URICASI rasburicase, pegloticase (enzimi ricombinanti che stimolano la via metabolica dell’allantoina che
fisiologicamente non ha un ruolo importante nel nostro organismo).

Dallo schema sopra riportato si evince come ogni qualvolta non ci sia una produzione congrua di acido urico
o una sua adeguata eliminazione, si verifica il deposito di questo a livello articolare innescando quella serie
di processi infiammatori che sono alla base della gotta.

Davanti ad un paziente con attacco acuto di gotta, sarà necessario sia ridurre il dolore del paziente che sarà
molto intenso così come controllare la risposta infiammatoria, la quale predispone a lungo andare alla
manifestazione di tofi. Perciò entrano in gioco i FANS, la colchicina (che ha un’indicazione specifica nelle
forme iniziali di gotta, vd. dopo) e corticosteroidei.
Inibitori della xantina ossidasi

L’ ALLOPURINOLO è in uso da più di 50 anni (1965),


dal 2008 è stato affiancato dal FEBUXOSTAT,
introdotto per cercare di ottenere una risposta nei
casi in cui l’allopurinolo non sortisse l’effetto
desiderato.

Allopurinolo

METABOLISMOL’allopurinolo viene metabolizzato


ad OSSIPURINOLO, ovvero il metabolita attivo che
serve a potenziare questo tipo di effetto in quanto ha
un’emivita molto più lunga del suo precursore perciò
così si riesce ad ottenere un effetto protratto nel
tempo.

CLEARENCE RENALE E AGGIUSTAMENTO


POSOLOGICO NELL’IR L’allopurinolo viene
eliminato prevalentemente per via renale, perciò
sicuramente la funzionalità renale è un fattore che è
importante valutare per stabilire la dose di farmaco
da somministrare al paziente (se il paziente ha
un’insufficienza renale bisogna ridurre la quantità di
allopurinolo da somministrare, per evitare un eccesso di farmaco).

REAZIONI AVVERSE ALL’ALLOPURINOLO Generalmente si tratta di un farmaco ben tollerato che nell’uso
cronico può però indurre reazioni di ipersensibilità, che spesso sono banali ma fastidiose per il paziente
(prurito, eritema, rash maculopapulare). In alcuni casi possono sfociare in situazioni anche molto impattanti
da un punto di vista prognostico, la peggiore delle quali è la necrolisi tossica epidermica o sindrome di
Stevens-Johnson (rara) che può causare la morte del paziente.

INTERAZIONI PK ALLOPURINOLO  L’allopurinolo è un farmaco che si presta ad una serie di azioni


particolari insieme alla Marcaptopurina1 e all’Azatioprina2:

 la via metabolica della Marcaptopurina, che deriva dalla Azatioprina, è catalizzata dalla xantina
ossidasi, perciò quando si assume l’Allopurinolo che inibisce la xantina ossidasi, si blocca la via di
degradazione della Marcaptopurina avendo come effetto finale, un potenziamento dell’azione anti-
neoplastica.

INDICAZIONI ALL’USO DELL’ALLOPURINOLO  dose 100-600 mg/die

 iperuricemia primitiva,
 sindrome da lisi tumorale, nei linfomi (vd. sopra), dove l’eccesso di acido urico è tale da porre il
paziente a rischio di una nefrotossicità acuta.
1
Marcaptopurina= farmaco che ha un ruolo importante in alcune tipologie di neoplasie, farmaco anti-neoplastico.
2
Azatioprina= farmaco utilizzato prevalentemente in alcune forme di tipo reumatico, con un’azione
immunomodulatoria.
Febuxostat
Il Febuxostat è un derivato di sintesi introdotto nel 2008, inibitore non-purinico, della xantina ossidasi. Ha
un metabolismo epatico diversamente dall’allopurinolo soprattutto perché in gran parte diventa substrato
del 2C9. Ha il vantaggio di non
richiedere un aggiustamento
posologico nell’insufficienza renale.

VANTAGGI E SVANTAGGI NELL’USO


DEL FEBUXOSTAT Nello studio
riportato a lato1, pubblicato su The
New England Journal of Medicine, si è
andati a confrontare il rischio
cardiovascolare connesso all’utilizzo
dell’allopurinolo e del febuxostat nei
pazienti con la gotta. Ciò che è emerso
da questa analisi è che le morti
connesse al rischio cardiovascolare
erano superiori di più di un punto
percentuale in coloro a cui era stato
somministrato il febuxostat (4.3%)
rispetto ai soggetti trattati con
allopurinolo (3.2%).

INDICAZIONI ALL’USO DEL


FEBUXOSTAT dose 40-120 mg/die

 intolleranza all’allopurinolo,
 gotta non controllata da altre
terapie uricosuriche.

Uricosurici
Probenecid
Il Probenecid è un farmaco che è capace di stimolare il
trasportatore che si occupa dell’eliminazione dell’acido
urico impendendo il riassorbimento che
fisiologicamente si produce a livello del tubulo renale. È
un farmaco utilizzato per via orale, prono all’interazione
con altri farmaci che interferiscono con il trasportatore
nel tubulo renale, come ad esempio alcuni beta
lattamici (penicilline, cefalosporine…), o i FANS.

GESTIONE FARMACOLOGICO CLINICA NELLA GESTIONE DEGLI URICOSURICI

1
Lo studio adotta un disegno statisticamente valido, multicentrico, randomizzato in doppio cieco.
 carico di fluidi: se si considera il processo di saturazione del meccanismo di trasporto, andare a
diluire la soluzione, costituisce un fattore favorevole a ridurre il blocco di questo meccanismo.
Perciò si raccomanda di avere un carico di fluidi congruo ovvero fino a 3 L/Die.
 Trattandosi di un acido, l’alcalizzazione delle urine ha un effetto uricosurico, perché impedisce il
riassorbimento tubulare.
 Probenecid, inefficace se CrCl < 50 ml/min in quanto, se si ha un’insufficienza renale, avendo
un’azione diretta sui trasportatori, si ha una perdita dell’attività poiché il meccanismo perde di
significatività.
 Benzbromarone, potenzialmente epatotossico.

Algoritmo terapeutico della gotta


 L’allopurinolo costituisce il farmaco di partenza,
 considerando che si può sviluppare
un’intolleranza all’allopurinolo, si
procede alla sostituzione di questo con il
probenecid.
 Qualora fallisca il trattamento con
l’uricosurico o ci siano delle
controindicazioni al suo utilizzo, si passa
all’alternativa dell’allopurinolo ovvero il
febuxostat.
 Se fallisce il trattamento con
l’allopurinolo si può anche direttamente
passare al febuxostat.

Enzimi ricombinanti
Rasburicase
Enzima urato-ossidasi, prodotto con la tecnologia del DNA ricombinante, che stimola una via metabolica
che porta alla produzione dell’allantoina e che fisiologicamente il nostro organismo non utilizza. È un
farmaco che implica un costo notevole rispetto agli altri e ha anche il limite di dover essere somministrato
per via endovenosa essendo di natura proteica perciò facilmente degradabile.

INDICAZIONI ALL’USO DEL RASBURICASE 0.2 mg/kg/die e.v.

 Profilassi e terapia della sindrome da lisi tumorale, in pazienti con neoplasie ematologiche (linfomi)
in cui non sia sufficientemente valido l’allopurinolo.

FARMACI CHE INTERFERISCONO CON LA SECREZIONE/PRODUZIONE DEGLI URATI


Farmaci che producono un’iperuricemia iatrogena:
 Diuretici tiazidici: che hanno un ruolo importante come complemento dell’azione antipertensiva in
combinazione con altre tipologie di farmaci antipertensivi.
 Pirazinamide: uno dei 4 farmaci della terapia per la tubercolosi.
 [Tacrolimus
 Ciclosporina
 Antineoplastici
 Alcol etilico
 Salicilati
 Levodopa
 Ribavirina e interferone. Da slide]

[Farmaci che producono un’ipouricemia:

 Acido ascorbico
 Probenecid
 Benzbromarone
 Sulfinpirazone
 Estrogeni
 Fenofibrato,
 Losartan. Da slide, il prof non vi si è soffermato]

ATTACCO ACUTO INFIAMMATORIO

La deposizione di acido urico che stimola la produzione di citochine e chemochine proinfiammatorie (TNFα,
IL-6, IL-8, alcune tipologie di leucotrieni), costituisce il meccanismo con cui si genera l’infiammazione.

La terapia dell’attacco acuto di gotta, si fonda ancora su


un vecchio farmaco, alcaloide tossico estratto dalla
Colchicum autmnale, la colchicina. Questa ha una
caratteristica che si ritroverà anche nei farmaci
antitumorali, ovvero la capacità di arrestare la
proliferazione cellulare in metafase, inibendo la
proliferazione delle cellule proinfiammatorie. La
colchicina ha però un limite importante, tende a perdere
di efficacia nel tempo perciò ha un ruolo importante
soprattutto nei primi attacchi di gotta acuta.
In merito alla tabella sopra riportata, il prof non si dilunga, sottolinea però che tra i FANS, compare
l’Indometacina che mantiene un ruolo terapeutico solo o quasi esclusivamente in questo ambito specifico,
poiché la sua potenza antinfiammatoria è sicuramente molto marcata. Tra i corticosteroidi in questo
ambito di usa il Prednisolone e in alternativa il Prednisone.

La colchicina espone ad un rischio molto aumentato di tossicità nei pazienti con insufficienza renale (se
eGFR< 10 ml/min/1.73 m2 non si utilizza la colchicina). Un suo uso a lungo termine per la prevenzione di
altri attacchi acuti non ha senso poiché non c’è nessuna evidenza che l’uso della colchicina o dei FANS
riduca l’incidenza di nuovi attacchi acuti. Gli unici farmaci che hanno senso in questo caso sono gli
uricosurici e gli inibitori della xantina ossidasi che invece prevengono la deposizione di acido urico a livello
articolare.

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