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Dispensa di MAU a.a.

2017/2018 Amalia Sanna Passino

DISPENSA di
MALATTIE DELL’APPARATO URINARIO

a.a.2017/2018

prof. Gaetano La Manna

Prof.ssa Paola Todeschini

Prof. Riccardo Schiavina

Prof. Giorgio Ercolani

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INDICE DEI CONTENUTI


NEFROLOGIA 5
Nefropatie mediche, generalità, 5
Semeiotica nefrologica, 5
- Esame delle urine, 7
Generalità sulle nefropatie glomerulari, 11
Sindrome nefritica, 15
- GN post-infettiva, 15
- GN da depositi di IgA, 17
- GN rapidamente progressiva, 19
- GN membranoproliferativa, 20
Sindrome nefrosica, 23
- GN membranosa, 25
- GS segmentaria e focale, 26
- GN a lesioni minime, 27
Nefropatie secondarie, 29
- LES, 29
- Sindrome da anticorpi antifosfolipidi, 34
- Nefropatia diabetica, 35
Nefropatie tubulointerstiziali, 39
Nefropatie ereditarie
- Sindrome di Alport
- Malattia di Fabry
- ADPKD
- ARPKD
Insufficienza renale acuta, 52
- Pre-renale, 53
- Renale, 54
- Post-renale, 55
Insufficienza renale cronica, 57
- Fisiopatologia dell’IRC, 58
- Sindrome uremica, 59
- Riacutizzazione dell’IRC, 60
- Ossa nell’IRC, 60
- Anemia nell’IRC, 61
Nefropatia ischemica, 62
- Ipertensione nefrovascolare, 62
- Nefropatia ateroembolica, 65
- Nefroangiosclerosi ipertensiva, 66
- Ipertensione maligna, 67
Vasculiti, 68
- Poliarterite nodosa, 70
- Granulomatosi di Wegener, 70
- Sindrome di Churg-Strauss, 71
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- Poliangioite microscopica, 71
- Porpora di Schönlein-Henoch, 72
Microangiopatie, 73
Rene e gravidanza, 75
Dialisi, 80
- Emodialisi, 80
- Dialisi in acuto, 83
- Dialisi peritoneale, 84
Trapianto di rene, 86
- Complicanze del trapianto di rene, 88
- Rigetto, 89
UROLOGIA 91
Neoplasie del rene, 91
Le grandi sindromi urologiche, 98
Neoplasie vescicali, 102
IPB, 107
Neoplasie prostatiche, 110
Neoplasie testicolari, 114
Litiasi, 119
- Terapia, 121
CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA ED ENDOCRINOLOGICA 123
Patologie surrenaliche, 123
- Neoplasie del surrene, 124
- Mineralcorticoidi e sindrome di Conn, 125
- Glucocorticoidi e sindrome di Cushing, 125
- Ormoni sessuali e sindromi adrenogenitali, 126
Trapianto di rene e di organo solido, 128
- Trapianto combinato, 129
Cancro colorettale, 130
- Terapia chirurgica, 132
Malattia diverticolare, 136
Patologie dell’intestino tenue, 138
- Ostruzione intestinale, 139
- Neoplasie dell’intestino tenue, 140
- Diverticolo di Meckel, 141
- Insufficienza intestinale, 142
- Anastomosi e stomie, 142
Morbo di Crohn, 144
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI 146
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 147

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NEFROLOGIA
NEFROPATIE MEDICHE-GENERALITÀ
Si tratta di patologie che hanno spesso una diagnosi tardiva, in quanto i sintomi non sono sempre relativi
all’apparato urinario (eritemi, edemi più o meno diffusi): possono potenzialmente evolvere in IR, una
condizione che sino a pochi anni fa portava inevitabilmente alla morte dei pazienti, mentre oggi la
sopravvivenza è resa possibile da dialisi e trapianto.

L’esame chiave per capire se un paziente ha o meno una patologia renale è l’esame delle urine, che risulta
semplice, ripetibile e poco costoso: se l’esame è perfetto in ogni sua caratteristica (presenza di sangue,
proteine o sedimento) probabilmente non ci sono patologie renali, mentre se si registrano ematuria,
proteinuria o cellule, cristalli o cilindri nel sedimento, le urine sono patologiche (ci sono molte altre
alterazioni possibili, ma la presenza di sangue, proteine e sedimento individua quelle più frequenti e
codificate). Una volta accertata la presenza di nefropatia occorre chiarirne la natura, e per questo l’esame
più efficace è la biopsia renale, da condursi in anestesia locale (lidocaina). Infine, l’entità del danno
funzionale si valuta tramite la clearance della creatinina (VN 80-120mL/min con creatininemia
0,8-1,2mg/dL).

Nella storia naturale delle nefropatie alla riduzione della funzionalità renale segue l’IRC, che si corregge
solamente attraverso la dialisi o il trapianto d’organo: i possibili interventi sono il trattamento della
nefropatia in modo da prevenire la riduzione della funzionalità renale, il rallentamento della velocità
evolutiva una volta che si è perso il 50% della funzionalità (creatininemia >2mg/dL) e infine la sostituzione
della funzione tramite dialisi o trapianto (di norma degenerano entrambi i reni) una volta che l’IRC è
conclamata.

Le nefropatie vengono classificate sulla base di criteri eziologici e patogenetici (batteriche, virali,
immunologiche o non immunologiche); secondo criteri funzionali (compensate o scompensate), cronologici
(acute o croniche) e clinici (sindrome nefrosica o sindrome nefritica), oltre che anatomopatologici
(glomerulari, tubulari, tubulo-interstiziali o vascolari).

SEMEIOTICA NEFROLOGICA
Le modalità di presentazione clinica di una malattia renale variano da pazienti totalmente asintomatici
(riscontro incidentale di alterazioni clinico-laboratoristiche) a pazienti con reperti diretti o indiretti di
malattia renale a pazienti con sintomatologia sistemica e noto o possibile coinvolgimento renale
(filtrazione, riassorbimento e secrezione ma anche PA, eritropoiesi, equilibrio idrosalino e acido-base).

Nell’approccio ad un paziente potenzialmente nefrologico sono fondamentali l’anamnesi familiare,


fisiologica, lavorativa, farmacologica e patologica remota:

- Anamnesi familiare
Consente di individuare alcune patologie ereditarie come l’APKD, la sindrome di Alport (mutazione
nel collagene IV) o il DM.

- Anamnesi fisiologica
Va concentrata sulle abitudini alimentari, in particolare nei pazienti con litiasi (apporto di Ca2+ e
prodotti caseari o di ossalato e cioccolato, rabarbaro, spinaci e soia), sul tabagismo (aterosclerosi,
nefropatia diabetica e neoplasie uroteliali) e sull’alcolismo (nefropatia ipertensiva e di Berger).

- Anamnesi lavorativa
È utile per individuare eventuali esposizioni a fattori che possono essere correlati alo sviluppo di
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patologie renali, come solventi organici (nefrite), anilina e gomma (carcinoma uroteliale), metalli

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pesanti (compromissione cronica della funzionalità renale) e temperature elevate (disidratazione e


concentrazione delle urine, nefrolitiasi).

- Anamnesi farmacologica
È fondamentale in quanto alcuni farmaci possono danneggiare la funzionalità renale, e viceversa
l’IR condiziona metabolismo e in generale la farmacocinetica dei farmaci. I farmaci lesivi sono i
FANS, gli ACE-inibitori, gli antagonisti dei recettori dell’angiotensina (sartani), che non alterano
tanto i reni sani ma quelli già compromessi (peggioramento del GFR in presenza di ipoperfusione
renale), mentre ci sono farmaci variabilmente tossici come aminoglicosidi, anfotericina, litio,
ciclosporina, tacrolimus e paracetamolo ad alte dosi, oltre che farmaci causa indiretta di sofferenza
renale come cocaina ed ecstasy, che possono provocare rabdomiolisi e mioglobinuria.

- Anamnesi patologica remota


Alcuni precedenti possono essere correlati a patologie renali, come ipertensione arteriosa, DM,
vasculiti, litiasi, interventi chirurgici, UTI o infezioni respiratorie ricorrenti e anemia.

I principali sintomi riferibili a patologie renali sono il dolore, i disturbi minzionali e i sintomi
gastrointestinali, neurologici e respiratori:

- Dolore
Può essere dovuto a rottura di rene (per traumi diretti o cadute dall’alto, l’accumulo di sangue
provoca il rigonfiamento dell’organo e la distensione della capsula), pielonefrite acuta e colica di
rene (tipica nei mesi caldi in soggetti non adeguatamente idratati), che sono le uniche condizioni
che provocano dolore renale puro: con la colica renale, il paziente avverte dolore in regione
lombare senza avere sollievo in nessuna posizione, per cui appare irrequieto e deve essere
necessariamente ospedalizzato. Altre manifestazioni algiche riferibili all’apparato urinario sono la
colica ureterale e il dolore alla minzione.

I disturbi minzionali sono la disuria, la stranguria e la pollachiuria, che compongono la classica triade della
cistite:

- Disuria
Rappresenta la difficoltà nell’urinare, in genere dovuta ad un’ostruzione.

- Pollachiuria
Segmentazione dell’atto minzionale, per cui il soggetto urina poco e di frequente.

- Stranguria
Il paziente avverte dolore alla minzione.

- Tenesmo
È la persistenza della sensazione di vescica piena, dovuta ad un ostacolo al flusso o all’infiammazione
delle pareti della vescica.

Oltre ai sintomi soggettivi, riferiti dal paziente ma non misurabili, ci sono una serie di sintomi oggettivi,
rappresentati da alterazioni urinarie di ritmo (pollachiuria, nicturia), volume (anuria, oliguria, poliuria) e
composizione (ematuria, emoglobinuria, mioglobinuria, proteinuria, piuria, chiluria, coluria, colaluria),
alterazioni renali locali (masse, soffi), sintomi nefrologici (edema, ematuria, ipertensione) e sintomi
indicativi di malattie sistemiche (porpora, artralgie).

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- Disturbi del volume


Si parla di anuria in presenza di una diuresi inferiore a 50cc/die, di oliguria in caso di diuresi
inferiore a 500cc/die e di poliuria per diuresi superiore a 3000cc/die. Le cause di poliuria sono
divise a seconda che la diuresi sia idrica (alterazione nei livelli di ADH, alcolismo, potomania, diuresi
da freddo), osmotica (DM, diuretici osmotici) o mista (DM e IR, poliuria successiva ad uropatia
ostruttiva).

- Nicturia
Necessità di urinare più volte durante la notte, distinta in renale e cardiogena (scompenso cardiaco,
la circolazione reale aumenta durante le ore notturne): quella puramente renale è dovuta alla
compromissione del 70% della funzione renale, con il rene malato che perde la capacità di
concentrare le urine e all’iperdiuresi osmotica per nefrone funzionale residuo.

- Enuresi
Emissione involontaria di urine, in genere notturna, in assenza di dolore o tenesmo con perfetta
integrità del funzionamento vescicale durante la veglia, per capacità vescicale ridotta, ostruzione
del collo vescicale o alterazioni dei meccanismi del risveglio.

- Incontinenza urinaria
È un sintomo estremamente importante in quanto crea disagio al paziente, e si tratta della perdita
involontaria di urina associata a tenesmo vescicale (sensazione di ripienezza, di norma compare
quando si accumulano 250-300mL di urina), molto più frequente nel sesso femminile nel quale si
associa a difetti del pavimento pelvico. L’incontinenza imperiosa o da urgenza è dovuta ad
iperattività del muscolo detrusore, quella da sforzo all’aumento della pressione addominale in
presenza di pavimento pelvico indebolito (è il primo segno di alterazione), quella continua si
associa a fistole vescicouretrali o vescicovaginali. Nelle donne post-parto, l’incontinenza urinaria si
associa all’incontinenza fecale, in quanto il cedimento del pavimento pelvico provoca il prolasso
anteriore dell’utero, quello medio della vescica e quello posteriore del retto.

- Ritenzione urinaria
Graduale accumulo di urine in vescica con incapacità di eliminazione, predispone alle infezioni
batteriche e alla calcolosi in quanto l’urina ristagna e si concentra.

- Iscuria paradossa
Emissione spontanea di gocce di urina in un paziente con impossibilità di urinare, si verifica quando
la contrazione del detrusore, pur non riuscendo a superare un’ostruzione (il paziente riferisce
anuria), riesce a prevalere sulla tonicità degli sfinteri.

ESAME DELLE URINE

È l’esame più semplice e immediato per valutare la presenza di nefropatia o di disfunzione renale: va
condotto sulle urine mattutine che sono più concentrate, scartando il primo getto e dopo un’adeguata
pulizia dei genitali esterni. L’esame va poi condotto nelle ore immediatamente successive per evitare
modificazioni del pH e alterazioni dei vari componenti con proliferazione batterica. L’aspetto è
normalmente limpido, se è torbido o opalino indica sali minerali, fosfati, urati, cellule di sfaldamento, muco,
leucociti o emazie. L’odore è sui generis, più marcato dopo un certo periodo per la precipitazione di acidi
volatili, e sgradevole in caso di infezione batterica.

- Colore
Quello normale è giallo paglierino, ma può variare di intensità in rapporto alla

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concentrazione/diluizione e arrivare al rosso (ematuria, mioglobinuria, porfirinuria, barbabietole,

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rabarbaro, senna), all’arancione (bilirubina), al verde (ittero intenso, farmaci), al nero


(alcaptonuria, melaninuria), al blu (coloranti) e al bianco (piuria, chiluria).

- Peso specifico
Normalmente è compreso fra 1015 e 1025, con oscillazioni dovute alla quantità di acqua e sali
introdotta o eliminata: oltre i 1030 si parla di iperstenuria, indice di sovraccarico di lavoro del rene,
mentre sotto i 1010 si parla di ipostenuria, che indica una IRC o una condizione di ipervolemia. Se il
peso specifico rimane costante intorno ai 1010, indipendentemente dallo stato di idratazione
dell’organismo, si parla più correttamente di isostenuria, che è il vero reperto tipico dell’IRC e che
indica la perdita della capacità del rene di diluire o concentrare le urine in risposta alla variazione
del volume plasmatico.

- pH
Quello normale è acido e oscilla fra 5 e 6, e dipende dalla presenza di acidi liberi e fosfato
monobasico. Si misura con un reagente posto su uno stick, che misura la concentrazione di ioni H+,
e diventa alcalino in caso di infezione delle vie urinarie.

- Glicosuria
È tipica del paziente diabetico, che ha elevati livelli di glucosio nel sangue, o di un deficit tubulare
che riduce il riassorbimento di glucosio a livello renale (glicosuria normoglicemica). Favorisce
enormemente lo sviluppo di infezioni delle vie urinarie.

- Proteinuria
È ammessa una proteinuria di massimo 20mg/dL, comunque <150mg/die, composta per il 40-50%
da glicoproteine tissutali, e per il 50-60% da proteine plasmatiche (il 30% è costituito da albumina,
che in moderata quantità passa la membrana ma viene riassorbita). Può comparire in seguito ad
uno sforzo intenso, ad ortostatismo prolungato o a febbre e risultare ancora fisiologica, sempre
che sia transitoria, e viene distinta in selettiva (in alcune sindromi come la glomerulonefrite a
lesioni minime) e non selettiva (tipica della sindrome nefritica e della glomerulonefrite
membranosa e membranoproliferativa). Le cause di proteinuria sono patologie glomerulari
(aumentata permeabilità della parete capillare, glomerulonefriti), proteinurie patologiche
(proteinuria di Bence- Jones in corso di mieloma multiplo, gammopatia monoclonale), patologie
tubulari (da ridotto assorbimento tubulare delle proteine, malattie tubulointerstiziali, danno da
farmaci o da sostanze tossiche).

La manifestazione principale della proteinuria è la disprotidemia, che causa edema inizialmente in zona
periorbitaria e nelle regioni declivi per riduzione della pressione oncotica. L’edema renale è chiaro (non ci
sono vasi visibili), molle e indolente, con segno della fovea positivo, si accompagna a ritenzione di sodio e
può essere localizzato (sottocutaneo, sieroso, viscerale) o diffuso sino allo stato anasarcatico. È distinguibile
dall’edema cardiogeno da congestione, che è invece rosso, dolente e duro e si accompagna ad una neurite
localizzata. La disprotidemia prolungata comporta anche iperdislipidemia, per tentativo di compensazione
tramite la produzione di sostanze lipidiche osmoticamente attive.

- Ematuria
Viene distinta in macroscopica e microscopica a seconda che sia o meno visibile ad occhio nudo, e
nel primo caso le urine appaiono di colore rosso vivo per sanguinamento delle basse vie urinarie, di
colore più scuro in caso di sanguinamento renale (nell’urina acida l’emoglobina viene convertita in
ematina). Le cause sono svariate e vanno dalle patologie sistemiche alle alterazioni renali
specifiche, ai traumi e ai tumori.

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- Pigmenturia
Presenza nelle urine di sostanze solubili o insolubili che modificano la colorazione delle urine,
frequentemente emoglobina per emolisi (può simulare ematuria ma sono assenti gli eritrociti),
mioglobina per traumi muscolari e bilirubina per ittero.

L’emoglobinuria parossistica è una manifestazione particolare per cui le urine cambiano colore nel corso
della giornata, risultando molto scure al mattino e normali alla sera: la causa sono crisi emolitiche notturne
per mutazione somatica di una proteina coinvolta nella biosintesi del glicerofosfatidilinositolo, con carenza
o assenza di GFI sulla membrana di eritrociti e granulociti, oppure la presenza di autoanticorpi che
reagiscono al freddo (emoglobinuria parossistica a frigore, distinta in luetica e non luetica).

- Piuria
Presenza di pus nelle urine per neutrofili interi o lisati, è tipica di un’infezione delle vie urinarie e di
urosepsi nel caso in cui si accompagni a febbre e altri sintomi sistemici.

- Sedimento urinario
Comprende la ricerca di cellule (eritrociti, neutrofili o cellule tubulari o di sfaldamento), cilindri,
cristalli, batteri, miceti e parassiti. I cilindri sono strutture che riproducono a stampo il lume
tubulare, con matrice proteica composta dalla glicoproteina di Tamm-Horsfall, che di norma viene
totalmente riassorbita dal tubulo ma che se si complessa con altre sostanze (mioglobina, materiale
necrotico tubulare) non viene riassorbita e produce appunto i cristalli, che possono essere amorfi,
cellulari (epiteliali, ematici, leucocitari), ialini, ialino-granulosi o cerei. I cristalli sono un reperto
perfettamente normale, da analizzare solo in caso di paziente con litiasi in quanto informano sulla
composizione dei calcoli: se le urine sono acide i cristalli sono di urati amorfi, acido urico o ossalato
di Ca2+, mentre se sono basiche sono formate da triplofosfato di Ca2+, ammonio, magnesio o
fosfati amorfi; i cristalli di cistina sono gli unici su base ereditaria, presenti quando la cisteina non
viene metabolizzata e si accumula nelle urine (COLA, escrezione di cistina, ornitina, lisina e
arginina).

Fra le alterazioni renali locali si evidenziano le masse renali, più frequenti al di sotto dei 10 anni (alterazioni
congenite) e sopra i 40 anni (alterazioni acquisite). Nei bambini possono essere infiammatorie, congenite
(idronefrosi, rene policistico del bambino, displasia), vascolari, traumatiche (ematoma) o neoplastiche
(angiomiolipoma o tumore di Wilms, è il più frequente in età pediatrica), mentre negli adulti le patologie
congenite sono l’APKD o l’idronefrosi, le cause vascolari l’aneurisma dell’arteria renale e quelle
neoplastiche sono linfomi, mielomi o carcinomi renali. L’evidenziazione di masse renali è possibile all’EO
tramite la manovra di Guyon o palpazione bimanuale e tramite il ballottamento per la valutazione
dell’idronefrosi.

La presenza di un soffio sistodiastolico in sede addominale epigastrica, irradiato lateralmente, è indice di


aneurisma o stenosi dell’arteria renale (la stenosi non trattata può determinare ipertensione
nefrovascolare secondo l’ipotesi di Goldblatt), e va differenziato con il soffio da aneurisma dell’aorta
addominale che si irradia alle arterie femorali.

L’ipertensione arteriosa sistemica accompagna spesso le patologie renali, per via del ruolo del rene nella
regolazione dei volumi idrici corporei e nella produzione delle componenti del RAAS: una forma particolare
di ipertensione arteriosa di origine renale è l’ipertensione nefrovascolare, che deriva dalla stenosi
dell’arteria renale con ipoperfusione erroneamente interpretata dalle cellule del mesangio
juxtaglomerulare come riduzione del VCE.

Patologie che coinvolgono il rene e che hanno manifestazioni sistemiche sono il LES (eritema a farfalla), la
sclerodermia (cute liscia e atrofica), la porpora di Schönlein-Henoch (porpora, eritemi o bolle) e la

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crioglobulinemia (porpora palpabile).

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- Parametri ematochimici di funzionalità renale


Sono rappresentati da creatininemia, azotemia e clearance della creatinina: i valori normali di
creatinina plasmatica sono di 0,6-1,2mg/dL, quelli di azotemia di 0,15-0,5g/L, quelli della clearance
della creatinina di 90-125mL/min. La clearance della creatinina rappresenta il volume di plasma
depurato dalla sostanza nell’unità di tempo, e si calcola tramite un gruppo di equazioni che
tengono conto di età, peso, sesso ed eventualmente etnia del paziente (CKD-EPI, Crockroft-Gault).

- Semeiotica morfologica
La prima indagine non invasiva è l’ECOgrafia renale, che consente di misurare le dimensioni
dell’organo e lo spessore corticale, di individuare cisti o calcoli e tramite la metodica Doppler di
avere informazioni sul flusso ematico. Se eseguita con un mezzo di contrasto permette di
caratterizzare lesioni renali e di ottenere indicazioni funzionali: di norma, la fase corticale occupa i
primi 10-15’ della somministrazione, quella midollare fra il 25° e il 35°, ed è seguita dal washout
prima midollare e poi corticale. La RX diretta dell’addome è un esame preliminare nella diagnosi di
litiasi, che permette di visualizzare ombre renali e calcoli radiopachi. L’urografia consente di
valutare morfologia e funzionalità dell’apparato urinario, tramite un mezzo di contrasto e raggi X,
ed è utile nella diagnosi di calcoli, cisti, processi infiammatori, tumori, ostruzioni, anomalie
anatomiche e ipertrofia prostatica. La scintigrafia è un esame diagnostico di medicina nucleare, che
consente di studiare nei dettagli l'anatomia e la funzione dei reni. L’arteriografia è specifica per la
visualizzazione dell’albero vascolare. L’uroTC è una TC con mezzo di contrasto che consente di
visualizzare i dettagli dell’apparato urinario. La RM ha un’ottima accuratezza per quanto riguarda la
valutazione morfologica, molto meno per quella funzionale.

La biopsia renale occorre alla valutazione qualitativa delle lesioni, e prevede l’osservazione di microscopia
ottica, immunofluorescenza, immunoistochimica e microscopia elettronica. Le controindicazioni principali
alla biopsia renale sono diatesi emorragia, pazienti monorene, neoplasie (pericolo di immissione in circolo
di cellule tumorali, la biopsia si fa eventualmente in sala operatoria a cielo aperto), rene policistico
(possibile rottura di cisti, eventualmente si procede in laparoscopia), uremia terminale, terapia
anticoagulante non sospendibile, ipertensione grave e mancanza di collaborazione da parte del paziente.

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GENERALITÀ SULLE NEFROPATIE GLOMERULARI


Le nefropatie vengono classificate sulla base della struttura colpita, in glomerulari, vascolari, tubulari e
interstiziali (più spesso tubulo-interstiziali).

- Glomerulari
Sono un gruppo di affezioni renali con compromissione elettiva e prevalente dei glomeruli di
entrambi i reni, distinte in primitive (60%), secondarie (25%) ed ereditarie (15%), e rappresentano
la terza causa di IRC dopo ipertensione e diabete.

Il corpuscolo renale si compone di glomerulo vascolare e


capsula di Bowman, la cui interazione forma la membrana di
filtrazione: i capillari glomerulari sono composti di cellule
endoteliali, mentre la capsula di Bowman si compone di
podociti, cellule particolari dotate di propaggini o pedicelli.
Tra cellule endoteliali e podociti si trova la membrana
basale, e l’insieme dei tre elementi costituisce la membrana
di filtrazione. In aggiunta si riconoscono le strutture di
supporto del glomerulo, la matrice mesangiale e le cellule
juxtaglomerulari. L’endotelio dei capillari glomerulari è
tipicamente fenestrato e privo di diaframmi, in modo che le
proteine con PM<69kDa possano passare in maniera
praticamente libera, anche se a partire dai 10kDa si ha
resistenza.

La membrana basale si interpone fra podociti ed endotelio e si compone di tre strati, ovvero lamina densa,
lamina rara interna e lamina rara esterna: la lamina densa è costituita da collagene IV (ci sono
glomerulonefriti ereditarie da alterazione del collagene, come la sindrome di Alport); la lamina rara interna
ed esterna sono formate da proteoglicani (eparansolfato, filtrante per carica elettrica) e dalla glicoproteina
laminina, che interagisce con il collagene IV e consente l’unione fra epitelio e connettivo, ed è spesso
interessata dal deposito di immunocomplessi. Lo spessore complessivo della membrana basale è pari a
240- 340nm, e le cariche prevalenti sono negative a causa della presenza di proteoglicani. Le fenestrature si
trovano sia sul versante endoteliale che su quello epiteliale, per cui consente il passaggio di sostanze
(proteinuria fisiologica) più o meno selettivo a seconda dello stato di dilatazione dei pori stessi.

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Le glomerulonefriti vengono classificate su base eziologica (primitive, secondarie o sistemiche, ereditarie e


congenite), patogenetica (base immunologica, tossica, metabolica o ereditaria) e clinica (sindrome
nefritica, sindrome nefrosica, nefropatia a rapida evoluzione, reperti urinari isolati o sindrome glomerulare
cronica).

- Nefropatie glomerulari primitive


La classificazione è istopatologica a parte per la glomerulonefrite acuta post-infettiva, per cui si
riconoscono la glomerulonefrite a depositi di IgA, a lesioni minime (visibili solo al microscopio
elettronico), membranosa, membranoproliferativa, rapidamente evolutiva, la glomerulosclerosi
segmentaria e focale e la malattia da anticorpi anti-membrana basale (MBG).

- Nefropatie glomerulari secondarie


Dipendono da malattie sistemiche con interessamento renale, come LES, vasculite ANCA+, DM,
amiloidosi, porpora di Schönlein-Henoch, discrasie plasmacellulari, gravidanza o infezioni virali.

- Nefropatie glomerulari ereditarie


Sindrome di Alport, malattia di Fabry, nefropatia a membrane sottili, sindrome nefrosica congenita
(tipo finnico), Nail-patella syndrome (osteo-onicodisplasia), deficit di LCAT e glomerulopatia da
lipoproteine.

- Patogenesi immunologica
La nefropatia può essere dovuta a immunocomplessi, anticorpi anti-membrana basale o
ipersensibilità cellulo-mediata.

La risposta immunitaria può essere innescata da antigeni endogeni o esogeni, che provocano la produzione
di Ig e la formazione di immunocomplessi, che circolano liberamente nel sangue e si depositano in
corrispondenza della membrana di filtrazione renale, senza passare nelle urine: a questo livello richiamano
elementi dell’infiammazione in quanto strutture immunologicamente attive, tra cui il complemento che
induce proliferazione cellulare con danno dei capillari e alterazione della permeabilità (ematuria e
proteinuria, sintomi tipici della sindrome nefritica in cui il danno della membrana basale è localizzato ma
più severo rispetto a quello della sindrome nefrosica) o danneggia direttamente la funzione renale tramite
alterazioni emodinamiche e riduzione del GFR. L’elemento comune ad entrambi i meccanismi di alterazione
renale è l’ipocomplementemia, dovuta al consumo dei fattori circolanti per iperattivazione.

Gli antigeni che possono indurre la formazione di immunocomplessi e quindi la nefropatia immunologica
sono batterici o protozoari (glomerulonefrite post-streptococcica, in endocardite batterica per rilascio di
emboli settici, luetica, in toxoplasmosi, in malaria quartana o in schistosomiasi), virali (HCV, HBV, HIV, CMV,
PV-B19), autologhi (Ig anti-DNA o RNA in corso di LES, immunoglobuline in corso di crioglobulinemia,
anticorpi anti-tiroide), neoplastici (carcinoma del colon, bronchiale o renale, gli antigeni implicati sono
spesso CEA o CA 19.9), esogeni (farmaci o allergeni), ma spesso rimangono sconosciuti.

Una tipologia di glomerulonefrite da IC è quella in situ, ovvero gli anticorpi si legano direttamente ad
antigeni glomerulari self (anticorpi anti-MBG) o ad antigeni non glomerulari che però si trovano all’interno
del glomerulo (virus, allergeni). Gli elementi che favoriscono la formazione di IC in situ sono un’alterata
funzione del mesangio, che fissa con maggiore avidità le macromolecole circolanti, un’azione
immunologica crociata fra antigeni e componenti dei capillari glomerulari (B, ridistribuzione di antigeni
della membrana dei podociti) e l’aumentata permeabilità capillare dovuta alla neutralizzazione delle
cariche anioniche da parte di proteine cationiche liberate da piastrine e polimorfonucleati, con passaggio di
antigeni e immunocomplessi che si depositano in sede sottoepiteliale (A).

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Dispensa di MAU a.a.2017/2018 Amalia Sanna Passino

Il danno glomerulare è differente a seconda della localizzazione degli IC, per cui si riconoscono un pattern
mesangiale, epiteliale ed endoteliale: il pattern mesangiale prevede ematuria e proliferazione delle cellule
del mesangio, ed è tipico di glomerulonefrite da IgA, glomerulonefrite membranoproliferativa e LES III; il
pattern epiteliale prevede lesioni non infiammatorie e proteinuria, ed è tipico della glomerulonefrite post-
streptococcica, della glomerulonefrite membranosa, della glomerulonefrite membranoproliferativa e del
LES V; il pattern endoteliale prevede infiammazione, essudazione, proliferazione cellulare, proteinuria e
riduzione del GFR, ed è tipico di glomerulonefrite post-streptococcica, glomerulonefrite da anticorpi anti-
MBG e di LES III/IV. La presenza di immunocomplessi si diagnostica facilmente tramite
l’immunofluorescenza, che mostra la distribuzione granulare full-house del marcatore.

La glomerulonefrite da anticorpi anti-MBG è una forma molto rara (3-5% delle glomerulonefriti),
caratterizzata dalla presenza di Ig autoreattive specifiche per componente della membrana basale dei
capillari glomerulari, in particolare per glicoproteine non collageniche distribuite in maniera continua lungo
la membrana basale. Se l’antigene primario è self si tratta di una malattia autoimmune, segnalata come
glomerulonefrite rapidamente evolutiva in quanto conduce rapidamente all’IRC, anche perché spesso il
paziente non percepisce la propria condizione come severa e ritarda l’ospedalizzazione, così che al
momento della diagnosi il danno è talmente avanzato da essere irreversibile. Quando si associa ad una
forma polmonare si parla di sindrome di Goodpasture, provocata dalla cross-reattività delle Ig con antigeni
di altre membrane basali, per cui oltre alla glomerulonefrite sono presenti anche emorragie interstiziali
polmonari a rapida evoluzione con dispnea e/o emottisi, e la prognosi a breve termine è spesso infausta.
All’immunofluorescenza le IgG non sono disposte in tutto lo spessore del glomerulo come nella

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glomerulonefrite full-house da IC, ma si limitano alla


membrana basale, conferendo al preparato un
aspetto definito “a fumo di sigaretta”.

Quando l’IC si forma e si deposita a livello


glomerulare, si verifica l’attivazione del
complemento (ipocomplementemia) e della cascata
della coagulazione, con liberazione di ROS e danno
glomerulare: l’attivazione del complemento
aumenta la permeabilità del glomerulo grazie alla
formazione del MAC (C5b-9) e alla liberazione delle
prostaglandine, e quella dei capillari glomerulari a causa dell’effetto chemiotattico sui polimorfonucleati
delle anafilotossine; aumenta inoltre l’aderenza delle stesse cellule alla membrana basale e viene favorita
la liberazione degli enzimi lisosomiali. L’attivazione della coagulazione porta alla deposizione di fibrinogeno,
fibrina e prodotti di degradazione nei capillari glomerulari, con reazione macrofagica locale e sostituzione
con materiale ialino che determina la formazione di zone di sclerosi, l’attivazione di PAF e PDGF e la
distruzione del glomerulo (che provoca a sua volta l’attivazione intra-glomerulare della cascata
coagulativa).

La glomerulonefrite da ipersensibilità cellulo-mediata prevede un ruolo diretto delle cellule T nel


determinare la proteinuria, in quanto i linfociti attivati, soprattutto se CD8+, producono una linfochina
solubile detta SIRS (soluble immune response suppressor), che aumenta la permeabilità glomerulare per
disfunzione dei podociti e perdita delle cariche elettronegative della membrana: è tipica della
glomerulonefrite a lesioni minime.

- Patogenesi tossica
Danno diretto da sostanze esogene come farmaci (FANS, prostaglandine, amfotericina B non
liposomiale, aminoglicosidi, vancomicina, fluorochinoloni, ganciclovir, cidofovir, foscarnet) o altre
sostanze (mezzi di contrasto iodati, metalli pesanti).

- Patogenesi metabolica
Danno da urati (gotta) o da iperglicemia (DM).

- Patogenesi ereditaria
Sono le stesse forme indicate come nefropatie glomerulari ereditarie.

Nonostante la complessità delle diverse classificazioni, si parla spesso di forme idiopatiche in assenza di un
evidente rapporto causa-effetto. La diagnosi di glomerulonefrite si fa sulla base di presentazione clinica del
paziente, segni laboratoristici, analisi genetiche in caso di forme ereditarie (nefrina, podocina, fibronectina,
collagene) e biopsia renale.

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SINDROME NEFRITICA
È una sindrome ad andamento acuto indotta da malattie glomerulari, per cui non è una patologia a sé
stante ma si compone di ematuria macroscopica (urine color lavatura di carne tipiche della GN) o
microscopica, proteinuria sempre inferiore a 3g/die, insufficienza renale, ipertensione arteriosa e edema.

La patogenesi ha inizio con una lesione glomerulare, dovuta a IC, complemento, ROS, fattori della
coagulazione o altre cause, che determina la perdita di continuità della membrana basale e il passaggio di
sangue e proteine nelle urine. La presenza di una lesione glomerulare riduce anche il GFR, con comparsa di
oliguria: la riduzione del GFR comporta il calo del carico di Na+ in arrivo al tubulo distale, che lo percepisce
come un impulso a trattenere Na+ e H2O (il rene non distingue tra un GFR ridotto per danno renale o per
ipovolemia), e si sviluppano ritenzione idrica con edema, ipertensione e scompenso cardiovascolare.

- L’edema da sindrome nefritica è sempre inferiore a quello da sindrome nefrosica, perché il primo è
legato alla ritenzione idrica, il secondo alla riduzione della pressione oncotica.

I sintomi clinici della sindrome nefritica sono quindi macroematuria (quando presente), oliguria, edema,
ipertensione arteriosa e sovraccarico cardiocircolatorio, mentre i segni laboratoristici sono ematuria
(microscopica o macroscopica), proteinuria (<3g/die), presenza di cilindri ematici urinari e riduzione del GFR
(clearance della creatinina).

Le glomerulonefriti primitive (non associate a malattie sistemiche) causa di sindrome nefritica sono la GN
post-infettiva, la nefropatia a depositi di IgA, la GN membranoproliferativa e la GN lentamente progressiva.

- GN post-infettiva
È una delle pochissime forme delle quali sia stata definita l’eziologia, rappresentata da un’infezione da
streptococco β emolitico di gruppo A o altri patogeni, e per questo è preceduta di alcune settimane da
sintomi a carico delle prime vie aeree (faringo-tonsillite) o cutanei (piodermite, erisipela). Fino a poco
tempo fa costituiva una notevole percentuale delle GN, ma le vaccinazioni e l’evoluzione delle terapie
antibiotiche ne hanno nettamente ridotto l’incidenza, sino a renderle estremamente rare nei Paesi
industrializzati: la rarità è legata anche al fatto che le infezioni polmonari o cutanee evolvono in nefrite solo
in presenza di una predisposizione. La patologia è più frequente nei maschi (2:1) e in età pediatrica, e si
può manifestare come sporadica o più spesso epidemica quando il ceppo responsabile sia altamente
infettante.

Gli agenti causali più comuni sono i fattori nefritogeni dello streptococco β emolitico di gruppo A tipo 12, e
oltre che dal sierotipo la capacità di provocare nefrite è correlata anche al sito di infezione, per cui le
faringo- tonsilliti più pericolose sono quelle da streptococchi di tipo M 1, 2, 4 e 12, mentre le forme
cutaneo-nefritiche sono state associate ai tipi M 47, 49, 55 e 57. Altri patogeni più raramente causa di GN
post-infettiva sono Staphylococcus spp., Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis e Neisseria
gonorrhoeae.

La patogenesi è immunologica e la GN si sviluppa come malattia da immunocomplessi, nel corso della quale
le IC circolanti si depositano in sede subepiteliale come humps o gobbe, ma contemporaneamente si
sviluppano anche lesioni da IC formati in situ in seguito ad alterazioni delle componenti glomerulari causate
dall’infezione stessa. Nei depositi sono stati identificati diversi antigeni batterici, tra cui l’esotossina B
(proteinasi streptococcica) e il suo zimogeno precursore e il recettore per la plasmina. La risposta
infiammatoria che segue la deposizione del complemento è standardizzata, e prevede l’attivazione della via
classica del complemento, il reclutamento di neutrofili, monociti e macrofagi, l’induzione di proliferazione
cellulare con danno dei capillari e alterazione della permeabilità (ematuria e proteinuria) e il danno diretto
della funzione renale con riduzione del GFR (oligo-anuria, edemi, ipertensione, scompenso

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Dispensa di MAU a.a.2017/2018 Amalia Sanna Passino

cardiovascolare).

Il quadro clinico vede una prima manifestazione extrarenale dell’infezione, che dopo circa 7-10 giorni (sino
a 21 in caso di manifestazione cutanea) è seguita dalla sindrome nefritica acuta, caratterizzata da oligo-

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anuria, macroematuria (urine color lavatura di sangue), edema pallido (sottopalpebrale, di volto e mani) e
ipertensione lieve-moderata. Manifestazioni meno frequenti sono scompenso cardiocircolatorio nei
pazienti adulti, encefalopatia (sonnolenza, cefalea, confusione mentale e raramente convulsioni) nei
bambini.

Il quadro laboratoristico dell’esame delle urine mostra ematuria sia macroscopica che microscopica,
proteinuria in range non nefrosico (<3g/die) e sedimento urinario ricco di cilindri ematici e granulari; gli
esami sierologici mostrano incremento della creatininemia da lieve calo del GFR, ipernatriemia da riduzione
del GFR e ritenzione tubulare distale, ipocomplementemia (C3, C4, C2, C1q) da deposito, presenza di
immunocomplessi circolanti e positività dell’antigene streptococcico e del titolo antistreptolisinico; il
tampone faringeo o cutaneo è positivo nel 25% dei pazienti.

Alla microscopia ottica il quadro è quello di una glomerulonefrite proliferativa diffusa, con glomeruli molto
aumentati di volume, cellularità estremamente elevata per proliferazione delle cellule endoteliali e
mesangiali indotta dal deposito di IC e infiltrazione neutrofila, monocitaria e talvolta eosinofila, humps alla
tricromica di Masson, edema interstiziale associato ad infiltrati infiammatori locali e nei casi più severi
necrosi segmentaria, fibrosi e formazione di crescents.

L’immunofluorescenza può mostrare tre aspetti differenti:

- A cielo stellato
Depositi diffusi finemente granulari di C3 e/o IgG nella parete dei capillari e nel mesangio.

- A ghirlanda
Depositi diffusi di grosse dimensioni di C3 e IgG nella parete dei capillari e nel mesangio, il danno è
più severo rispetto al quadro a cielo stellato.

- Mesangiali
Il deposito capillare è assente e C3 e IgG si ritrovano solo nel mesangio.

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Alla microscopia elettronica i depositi di IC sono


dimostrati essere subepiteliali, quindi fra i podociti e la
membrana basale, e la forma a cupola li fa definire
humps. Le membrane basali sono in genere normali, e
si possono ritrovare anche depositi subendoteliali (fra le
cellule endoteliali e la membrana basale) e mesangiali.

Il decorso della GN acuta post-streptococcica è quasi


sempre favorevole, con la risoluzione nel 90% dei
pazienti pediatrici e nell’85% di quelli adulti, ma ci sono
una serie di fattori prognostici sfavorevoli, come IRC
pregressa, ipertensione arteriosa grave o complicanze
cardiovascolari, e il rilievo istologico di necrosi, fibrosi e
crescents, segno di danno glomerulare molto grave.

La terapia sfrutta antibiotici ad ampio spettro o scelti a seconda dell’antibiogramma, mentre la terapia
sintomatica della GN si basa sulla riduzione dell’apporto di sodio (ipernatriemia), sulla somministrazione di
diuretici (oligo-anuria, edemi), sul controllo dei valori pressori (ipertensione da ritenzione) e sulla riduzione
del contenuto proteico della dieta. In caso non ci sia remissione spontanea si può procedere con una
terapia a base di cortisonici.

- Nefropatia da depositi mesangiali di IgA


Detta anche nefropatia di Berger (/Berjè/, è francese), è una GN caratterizzata da episodi ricorrenti di
macroematuria alternata a microematuria, possibile proteinuria <3g/die e deposizione mesangiale di IgA,
che rappresenta l’elemento diagnostico fondamentale. L’eziologia è sconosciuta, ma rappresenta la
malattia glomerulare primitiva più comune in Italia come in Europa, con forme sporadiche nell’80% e forme
associate a loci genici predisponenti. Non ci sono differenze di età fra i pazienti, ma i più colpiti sono
soggetti maschi fra i 20 e i 30 anni, in particolare caucasici e asiatici.

Di solito compare dopo un episodio infettivo delle alte vie respiratorie (meno frequentemente del tratto
gastrointestinale), e questo suggerisce che la mucosa abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo della
malattia stessa: infatti, le IgA sono le Ig adibite alla difesa della mucosa e vengono distinte in IgA1/2 a
seconda della presenza di una regione cerniera che unisce la parte Fab e Fc (IgA1), dotata di residui
glucidici. Le IgA1/2 vengono prodotte dalle mucose come polimeriche, dalle plasmacellule midollari come
monomeriche, e in corrispondenza di episodi infettivi mucosali in individui geneticamente predisposti si
formano elevati livelli di IgA1 carenti di glicani, e a questo punto l’organismo le percepisce come estranee
formando IgG che si depositano nel glomerulo come IC.

La patogenesi più probabile è quindi uno sbilanciamento nella produzione di IgA a favore di IgA1 con
glicosilazione alterata, che hanno una ridotta clearance epatica, rimangono in circolo e si depositano a
livello mesangiale, sia come IgA1 deglicosilate che sotto forma di IC IgA1-IgG. Si parla di ipotesi del colpo
multiplo, ovvero le IgA deficitarie (primo colpo) inducono la produzione di IgG dirette contro i glicani
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anomali (secondo

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Dispensa di MAU a.a.2017/2018 Amalia Sanna Passino

colpo) e la formazione di IC (terzo colpo, c’è anche la possibilità che gli IC si formino in situ), che si
depositano a livello renale dove attivano il complemento e inducono la proliferazione delle cellule
mesangiali, la produzione di citochine e il danno diretto del glomerulo (quarto colpo).

Oltre alla forma primitiva, la deposizione glomerulare di IgA può dipendere anche da malattie diffuse,
come la porpora di Schönlein-Henoch, patologie epatiche (cirrosi, HBV, schistosomiasi), intestinali
(celiachia, morbo di Crohn, RCU), cutanee (dermatite erpetiforme, psoriasi), polmonari (sarcoidosi, fibrosi
cistica, bronchiolite obliterante), neoplastiche (carcinoma polmonare, laringeo o pancreatico) o
autoimmuni (LES, artrite reumatoide, artrite psoriasica, crioglobulinemia, sindrome di Sjögren, sindrome di
Behcet, sindrome di Reiter, sindrome di Goodpasture o spondilite anchilosante).

Il quadro clinico è tipico delle sindromi nefritiche, e mostra ematuria che nel 50% dei casi è macroscopica e
segue infezioni delle alte vie respiratorie o sforzi fisici intensi (negli intervalli fra gli episodi di
macroematuria si ha microematuria), nel restante 50% dei casi è persistente e microscopica; la proteinuria
è rara in assenza di ematuria, ma comunque è <3g/die tranne che in un 5% di pazienti pediatrici che
sviluppano sindrome nefrosica; l’IRA è rara (5%) e l’IRC si sviluppa frequentemente nei soggetti in età
avanzata.

- I pazienti con riscontri anomali quali proteinuria nefrosica, IRA o IRC sono quelli con malattia maligna
e prognosi sfavorevole.

Il quadro laboratoristico mostra elevati livelli sierici di IgA non glicosilate, IC circolanti (IgA1-IgM e IgA1-IgG)
con C3 e C4 nella norma, proteinuria di entità proporzionale al danno renale, e sedimento urinario ricco di
eritrociti, leucociti e cilindri eritrocitari indicativi di danno glomerulare.

L’immunofluorescenza mostra grandi depositi di IgA in granuli e zolle irregolari, di C3 (90%) e di IgG e IgM
(40%). Alla microscopia ottica le cellule mesangiali sono in numero anomalo e anche la matrice appare in
eccesso (densità aumentata), e nelle forme più severe si possono osservare crescents, ovvero
addensamenti di cellule epiteliali appena al di sotto della capsula che sono cellule epiteliali che proliferando
possono schiacciare il glomerulo.

- La classificazione di Oxford (MEST) consente la stadiazione delle lesioni a seconda dei gradi: si
riconoscono (1) ipercellularità mesangiale, (2) proliferazione endocapillare, (3) sclerosi segmentaria
e (4) atrofia tubulare con necrosi interstiziale.

La microscopia elettronica è piuttosto aspecifica (la diagnosi richiede il riscontro immunoistochimico dei
depositi di IgA), e mostra depositi elettrondensi mesangiali e paramesangiali, o parietali subendoteliali,
intramembranosi e subepiteliali quando associati a prognosi più severa (mesangiolisi, alterazioni della MBG
come assottigliamento, slaminamento o reduplicazione).

Il decorso della nefropatia di Berger è una progressione lenta, che in meno del 10% dei casi si risolve
spontaneamente e provoca in 10-15 anni IRC terminale, per cui circa il 25-30% dei pazienti richiede un
trattamento sostitutivo come il trapianto, con possibilità di recidiva in circa il 50% dei casi. Vista la
progressione praticamente certa è necessaria una terapia (sino a 15 anni fa non veniva trattata), e questa è
subordinata al grado delle lesioni: le forme lievi possono essere semplicemente monitorate o trattate con
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Dispensa di MAU a.a.2017/2018 Amalia Sanna Passino

ACE inibitori in caso di proteinuria; le forme moderate con


processi proliferativi e infiammatori estesi beneficiano di
ACE inibitori e corticosteroidi ed eventualmente
immunosoppressori; le forme severe con sclerosi
conclamata possono essere solamente limitate, e si
utilizzano ACE inibitori e farmaci che controllino la
pressione arteriosa.

Quindi, man mano che la proteinuria diventa più


importante i pazienti passano da un controllo annuale alla
terapia con bloccanti del RAAS, e se l’incremento prosegue
si associano corticosteroidi per ameno 6 mesi; il
provvedimento terminale è la dialisi, che può o meno
concludersi con il trapianto d’organo.

- Glomerulonefrite rapidamente progressiva


Non è una malattia singola ma una sindrome caratterizzata dalla rapida perdita della funzione renale spesso
accompagnata da oligo-anuria, e da un quadro istopatologico tipico con semilune glomerulari o crescents:
mentre nella malattia di Berger o nella GN post-streptococcica l’IR non è l’esito necessario della malattia, la
GN rapidamente progressiva ha di solito una prognosi negativa per sviluppo di IRA o graduale evoluzione in
IRC. Le crescents sono in realtà presenti anche in altre GN (come nelle forme severe di GN da deposito di
IgA), per cui non sono patognomoniche della GN rapidamente progressiva, ma in ogni caso si tratta di un
accumulo di materiale fibrinoide e di cellule infiammatorie da proliferazione delle cellule epiteliali viscerali
della capsula di Bowman, che vanno a comprimere il glomerulo rendendolo inefficiente. La sindrome è
abbastanza rara, e le patologie che possono provocarla vengono distinte in tre gruppi, ciascuno dei quali
presenta sia forme idiopatiche che associate ad una patologia nota:

1) Malattia da anticorpi anti-membrana basale (MBG)


O sindrome di Goodpasture (dal nome dell’anatomopatologo che individuò la sindrome in pazienti
con emorragia polmonare e IRA), è una patologia autoimmune caratterizzata da emorragia
alveolare e GN accomunate dall’eziologia, ovvero Ig circolanti dirette contro la membrana basale. I
soggetti colpiti sono geneticamente predisposti o fumatori, anche se recentemente stanno
emergendo come possibili cause scatenanti l’esposizione agli idrocarburi e le infezioni respiratorie
virali. Il quadro clinico prevede dispnea, tosse, astenia, emottisi ed ematuria.

Il bersaglio delle Ig è il dominio non collagenico della catena del collagene di tipo IV, altamente concentrato
nelle membrane basali dei capillari sia renali che polmonari, e il legame precede il fissaggio del
complemento e la risposta infiammatoria cellulo-mediata, in ultimo responsabile di GN e capillarite
polmonare.

2) GN da immunocomplessi
Rappresenta il 20-30% di tutte le GN rapidamente evolutive, e comprende diverse forme primitive
o secondarie nelle loro forme più severe, solitamente rare: GN post-infettiva, malattia di Berger,
GN membranoproliferativa, LES, porpora di Schönlein-Henoch, crioglobulinemia e reazioni a
farmaci, che pur avendo una loro autonomia possono svilupparsi come aggressive e determinare
una GN rapidamente evolutiva, oltre che vasculiti sistemiche con uno spettro di sintomi piuttosto
ampio e variabile.

La microscopia ottica mostra crescents, proliferazione endocapillare e aree di necrosi fibrinoide,


l’immunofluorescenza evidenzia i depositi granulari mesangiali e parietali di IgG-IgM (anche di IgA in caso
di malattia di Berger e porpora di Schönlein-Henoch) e C3 oltre che fibrinogeno e fibrina, e la microscopia
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Dispensa di MAU a.a.2017/2018 Amalia Sanna Passino

elettronica depositi elettrondensi mesangiali e sottoendoteliali.

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Dispensa di MAU a.a.2017/2018 Amalia Sanna Passino

1) Malattia da anticorpi ANCA


Determina vasculiti diffuse associate alla presenza di anticorpi anti-citoplasma neutrofilico
(presenti nella poliangioite microscopica e nella sindrome di Churg-Strauss come p-ANCA, nella
granulomatosi di Wegener come p-ANCA), oltre che forme idiopatiche limitate ai capillari renali ma
comunque ANCA+; ovviamente la presenza di una patologia sistemica rispetto ad una puramente
renale peggiora enormemente la prognosi del paziente colpito.

Il meccanismo patogenetico è un attacco immunitario da parte di neutrofili, macrofagi o MAC, con perdita
della continuità della membrana basale ed esposizione della matrice (1), elemento procoagulante: quando
il fibrinogeno fuoriesce nello spazio di Bowman viene convertito in fibrina (2) e questa attrae i monociti e
induce la proliferazione delle cellule epiteliali (3), determinando la formazione di crescents epiteliali. A
questo punto, le semilune possono provocare la rottura definitiva della capsula, con fibrosi e sclerosi
glomerulare che determinano la perdita di funzione dell’organo (4-5), o in alternativa la capsula può
rimanere integra e le semilune si possono riconvertire in MBG, con regressione della patologia.

A meno che non si instauri subito una terapia immunosoppressiva efficace, la malattia comporta il rapido
deterioramento della funzione renale (entro 1-2 settimane): fattori prognostici sfavorevoli sono la
presenza di crescents circonferenziali (immagine a destra in basso), di infiltrati tubulointerstiziali con atrofia
tubulare, di estesa fibrosi glomerulare e sclerosi e di oligo-anuria (il danno è necessariamente esteso).

Nel trattamento in fase acuta è obbligatorio limitare il più possibile il danno renale, sopprimendo la
reazione infiammatoria e la reazione immunologica attraverso steroidi ad alte dosi, plasmaferesi,
ciclosporina (blocco della calcineurina), azatioprina (antimetabolita purinico), acido micofenolico (inibitore
della sintesi delle purine) o ciclofosfamide (agente alchilante), e nella fase di mantenimento si riducono
gradualmente i dosaggi per stabilizzare la malattia in fase quiescente. La plasmaferesi rimane la terapia più
efficace ed è una procedura invasiva che consiste nel ripulire il plasma del paziente dagli anticorpi in
eccesso, in modo da ridurne la quantità contemporaneamente alla terapia immunosoppressiva: la
complicazione più comune e rischiosa consiste nelle infezioni, dato che oltre alla terapia farmacologica
viene effettuata anche la rimozione di IgG e altre Ig utili alla difesa dell’organismo da agenti patogeni.

- Glomerulonefrite membranoproliferativa
È detta anche GN mesangiocapillare per via della localizzazione delle tipiche lesioni proliferative
(mesangiali ed endoteliali), e presenta inoltre ispessimento a doppio contorno della parete capillare (tram
tracking) e deposizione di matrice mesangiale in eccesso. Rappresenta il 5% di tutte le GN documentate

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Dispensa di MAU a.a.2017/2018 Amalia Sanna Passino

istologicamente, senza prevalenza di sesso e più frequente nell’infanzia, anche se può colpire tutte le età
(casistica ed epidemiologia sono scarsamente definite): mentre nel bambino è più spesso idiopatica,
nell’adulto è stata correlata a patologie infettive come HBV o HCV e a crioglobulinemia (precipitazione
delle globuline con le basse temperature), e risulta una forma intermedia tra sindrome nefritica e sindrome
nefrosica.

Oltre che la classificazione eziologica in idiopatica e secondaria, l’immunofluorescenza permette di


identificare le forme Ig+/complemento- e Ig-/complemento+, e la microscopia elettronica distingue fra tipo
1 (da immunocomplessi), tipo 2 (C3 glomerulopathy e DDD, dense deposit disease) e tipo 3 (non ascrivibile
ai primi due gruppi):

- Tipo 1
In seguito all’interazione tra antigeni (ambientali, HBV, HCV) e Ig circolanti si formano IC che si
depositano in sede subendoteliale, anche se è possibile la formazione di IC in situ: nei depositi, il
complemento determina una risposta infiammatoria con richiamo di neutrofili e linfociti, e le
cellule infiammatorie producono citochine responsabili dell’amplificazione della risposta.

La produzione cronica di IC (per antigenemia persistente e/o ridotta clearance) induce la deposizione
glomerulare e l’accumulo di piastrine, neutrofili e macrofagi, oltre che la generazione di C5a: il danno della
parete capillare provoca riduzione del GFR, elemento tipico della sindrome nefritica, e proteinuria >3g/die,
elemento tipico della sindrome nefrosica, oltre che la proliferazione delle cellule mesangiali e l’espansione
della matrice.

- Tipo 2
È provocata dalla deposizione subendoteliale di C3 (esistono una forma DDD e una C3
glomerulopathy) per attivazione della via alternativa del complemento (non c’è rilievo di Ig),
indotta dalla reazione verso il fattore nefritico.

- Tipo 3
Molto rara, il quadro è intermedio fra la GN membranoproliferativa di tipo 1 e la GN membranosa,
e sembra essere associata ad alterazioni specifiche del cromosoma 1.

La classificazione più recente delle GN membranoproliferative si basa


sull’immunofluorescenza, e distingue una forma con immunoglobuline e
complemento monoclonale (l’elettroforesi sierica e urinaria permette di
valutare se è primaria o legata a HBV/HCV), una forma con immunoglobuline e
complemento policlonale (anche in questo caso da distinguere in primaria e
legata a HBV/HCV), una forma a dominanza C3 (DDD e C3 glomerulopathy) e
una forma priva sia di complemento sia di immunoglobuline, che rappresenta
la microangiopatia trombotica ed è quindi una vasculite.

Oltre ai casi isolati, la malattia si può presentare come esito di


crioglobulinemia, ovvero la presenza nel plasma di proteine che precipitano
con il freddo, costituite di Ig o porzioni del complemento: nella
crioglobulinemia di tipo I si tratta di IgM monoclonali o di catene leggere
delle IgM (mieloma multiplo,
crioglobulinemia di Waldenström); nel tipo II di IgM monoclonali dirette contro IgG; nel tipo III di IgM
policlonali dirette contro IgG (comuni in corso di HCV, sono positive per il fattore reumatoide). I pazienti
con crioglobulinemia hanno comunemente un quadro di vasculite cutanea con porpora palpabile
(percepibile al tatto), artralgia e astenia, sintomi che permettono di sospettare sia l’evoluzione in
insufficienza renale che l’infezione da HCV.

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All’esame del sedimento urinario, la sindrome nefritica si manifesta con la presenza di cilindri ematici (a
sinistra), ematuria e proteinuria (asintomatica), mentre la sindrome nefrosica mostra cilindri lipidici o corpi
ovali (a destra, sono tipici di danno diffuso di cellule ricche di lipidi o di proteinuria marcata).

La microscopia mostra membrane molto ispessite, e con colorazioni specifiche (impregnazione argentica,
tricromica di Masson) nel tipo 1 si osserva l’aspetto a tram tracking dovuto alla deposizione di cellule
mesangiali tra le due membrane basali, quella subendoteliale e quella podocitaria.

Il quadro clinico può essere asintomatico, soprattutto nei bambini con malattia idiopatica di tipo I, o
presentarsi con porpora palpabile in associazione alla crioglobulinemia (possibilità di infezione da HCV); i
sintomi e i segni più comuni sono proteinuria lieve (sindrome nefritica) o moderata (sindrome nefrosica),
riduzione della funzione renale, progressione del danno in tempi relativamente brevi (evoluzione in IRC
entro 10-15 anni, recidiva nel rene trapiantato) e ipertensione arteriosa.

Il laboratorio indica bassi livelli di C3, che però non sono specifici della GN membranoproliferativa ma si
riscontrano anche nella GN post-infettiva e in altre nefropatie; con la sindrome nefrosica c’è proteinuria
massiva, disprotidemia con ipoalbuminemia e iperdislipidemia compensatoria; nelle forme
crioglobulinemiche il criocrito (percentuale di globuline che precipitano al freddo) è proporzionale alla
severità della malattia; solitamente si rilevano l’aumento della creatininemia e la riduzione del VFG.

La microscopia ottica è estremamente caratteristica, e nelle forme conclamate mostra glomeruli molto
aumentati di volume con lobulazione accentuata, ispessimento delle pareti capillari, aumento della
cellularità e della matrice mesangiale e in alcuni casi formazione di crescents. L’immunofluorescenza
riconosce la presenza diffusa del C3 (non nella microangiopatia trombotica), con depositi mesangiali e
parietali subendoteliali.

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SINDROME NEFROSICA
Come la sindrome nefritica, è un insieme di segni associato a patologie glomerulari, caratterizzata da edema
come unico elemento clinico visibile e da una serie di rilievi non clinici.

Nella sindrome nefrosica sono rilevabili alterazioni morfologiche della membrana basale, composta di
lamina densa (ricca di collagene di tipo IV e laminina) e lamina rara interna ed esterna (ricche di
eparansolfato, carico negativamente e con funzione di filtro): il primo elemento è la perdita delle cariche
negative superficiali, ma si riscontrano anche rigonfiamento, retrazione, appiattimento, fusione e perdita
dei pedicelli podocitari distali, ovvero il podocita perde la sua particolare conformazione e si affloscia sulla
membrana basale glomerulare, e infine formazioni vacuolari (effetti della forte proteinuria e
dell’incremento nel riassorbimento di albumina, si parla di foam cells), ostruzione delle giunzioni,
modificazione del calibro diaframmatico e distacco dei podociti dalla MBG. Le cellule ricche di vacuoli sono
destinate all’apoptosi, e normalmente verrebbero rimpiazzate dalla proliferazione delle staminali CD24+
localizzate al polo tubulare del glomerulo, ma la riparazione delle lesioni risulta inadeguata e si parla di
maladactative repair.

- Proteinuria
A differenza che nella sindrome nefritica, dove arriva al massimo a 3g/die, nella sindrome nefritica
supera i 3,5g/die o i 40mg/h/m2 nei bambini (le urine appaiono caratteristicamente schiumose).
Nelle sindromi nefrosiche può talvolta essere selettiva (eliminazione di proteine a basso PM,
specialmente albumina e transferrina), elemento che la distingue dalla proteinuria nefritica
(sempre non selettiva), mentre la forma non selettiva riguarda proteine sia a basso che ad alto PM.

La proteinuria si correla alle dimensioni e alla carica elettrica delle proteine, dato che i pori della
membrana basale impediscono il passaggio di proteine con PM>150kDa, e che la presenza di GAG carichi
negativamente impedisce il passaggio delle proteine anioniche con PM 70-150kDa.

- Ipodisprotidemia
Rappresenta l’ovvia conseguenza della proteinuria, dato che la continua perdita di proteine altera il
protidogramma: la protidemia totale scende sotto i 5g/dL (VN 6,4-8,3g/dL) e l’albuminemia sotto i
3g/dL (VN 3,5-5,5g/dL), le proteine α2 e β aumentano (alto PM, appaiono percentualmente
maggiori e vengono iperprodotte con l’infiammazione) e le γ-globuline si riducono.

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L’ipoalbuminemia è legata sia all’aumentata perdita con le urine (>3,5g/die), sia all’inadeguata sintesi
epatica (VN 12-14 g/die, è sufficiente a compensare la perdita tipica della sindrome nefritica ma non quella
della sindrome nefrosica), sia all’aumentato catabolismo tubulare (VN 2-4g/die).

- Iperdislipidemia
Consiste nell’aumento di colesterolo e trigliceridi come meccanismo
di compenso dell’ipodisprotidemia, quindi non è un esito della
sindrome nefrosica ma piuttosto una conseguenza attiva, che occorre
a mantenere elevata la pressione oncotica e a garantire all’organismo
le condizioni emodinamiche corrette. Oltre all’aumentata sintesi
epatica c’è comunque anche una perdita urinaria di LPL e una ridotta
attività della LCAT, per cui i lipidi non eliminati si accumulano e
determinano la formazione di xantelasmi come depositi visibili
periorbitari.

Lipiduria
È la conseguenza dell’iperdislipidemia, ed è visibile all’esame del
sedimento urinario come presenza di cilindri lipidici o corpi densi o
gocciole lipidiche dal tipico aspetto a croce di Malta.

- Trombofilia
Deriva dall’eliminazione delle proteine implicate nel mantenimento della fluidità del sangue
(antitrombina III, plasminogeno) e da iperproduzione di fibrinogeno e di fattori procoagulanti (V,
VIII) in risposta all’infiammazione. L’infiammazione aumenta anche la reattività piastrinica e induce
disfunzione endoteliale, a sua volta responsabile dello sbilanciamento dell’emostasi in senso
proaggregante.

- Edema
È comune sia alla sindrome nefrosica che alla sindrome nefritica (va dall’edema periorbitale allo
stato anasarcatico), ma mentre nella sindrome nefritica lo sviluppo di edema è legato ad
un’alterazione del VFG e alla ritenzione compensatoria di Na+ e H2O, nella sindrome nefrosica il
volume circolante non viene intaccato, e contemporaneamente la disprotidemia non è tale da
provocare lo sbilanciamento delle pressioni oncotiche, anche grazie alla compensazione
iperlipidica.

Le teorie alla base della formazione dell’edema sono la classica underfill e la overfill. Secondo la teoria
underfill proteinuria e ipoalbuminemia portano alla riduzione della pressione oncotica e allo shift del
volume dal compartimento vascolare a quello extravascolare, con attivazione del RAAS e del SNS (ridotta
scarica barocettoriale) e crollo dei livelli di ANP/BNP (ridotto stretching della parete cardiaca): la
conseguente ritenzione di Na+ e H2O è legata quindi all’inibizione neurormonale dei meccanismi
riassorbitivi. La teoria underfill non spiega però il fatto che l’edema non sia un sintomo costante, ovvero
l’unica manifestazione clinica della sindrome nefrosica va in realtà a ondate, e spesso per questo il
paziente ritarda il contatto con il medico. Secondo la teoria dell’overfill la patogenesi dell’edema parte da
un danno tubulare primitivo, con escrezione paradossa di Na+ dal TCP e dal TCD, ma la concomitante
resistenza renale all’ANP e l’aumentato riassorbimento di Na+ e H2O nel tubulo distale portano
all’espansione del volume circolante e all’incremento della pressione idrostatica (nella teoria underfill la
ritenzione di Na+ è secondaria all’attivazione del RAAS, nella teoria overfill è primaria): in risposta,
l’organismo riequilibra le pressioni modificando le pressioni oncotiche cellulari e il sintomo si autoelimina.

Le complicanze della sindrome nefrosica sono trombosi, infezioni (le condizioni edemigene ostacolano sia i

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diversi pathway citochinici che il movimento delle cellule, e la perdita proteica coinvolge anche IgG e fattori

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del complemento), alterazioni ormonali (intolleranza glucidica, perdita di proteine leganti ormoni come
tiroxina, ormoni sessuali, corticosteroidi o vitamina D), sindrome da malnutrizione (se la perdita di proteine
è superiore alle capacità di compenso) e rischio cardiovascolare aumentato (sia per l’aumentato rischio
trombofilico che per l’iperdislipidemia che per l’aumentato lavoro cardiaco in risposta all’ipervolemia). La
terapia necessaria consiste nella somministrazione di diuretici e nella limitazione dell’apporto di sodio (60-
80mmol/die) e liquidi, in modo da ripristinare il corretto volume plasmatico, oltre che nella reintegrazione
dell’albumina e nell’impiego di farmaci antiipertensivanti e anti-proteinurici (ACE inibitori, sartani),
ipolipemizzanti e antitrombotici.

La sindrome nefrosica comprende cause primarie e secondarie: le cause primarie in ordine di frequenza
nell’adulto sono la glomerulonefrite membranosa, la glomerulosclerosi segmentaria e focale, la
glomerulonefrite a lesioni minime (la più comune nel bambino) e la glomerulonefrite
membranoproliferativa di tipo 1 (da IC con IgM o IgG) o 2 (a prevalenza C3); le cause secondarie sono LES,
diabete, infezioni, amiloidosi, farmaci, gravidanza (preeclampsia), neoplasie solide e malattie
linfoproliferative come il mieloma multiplo.

- Glomerulonefrite membranosa
È una nefropatia glomerulare caratterizzata dalla presenza di graduale e progressiva deposizione di IC
subepiteliali (IgG e complemento nella forma lesiva o MAC) con conseguente ispessimento della parete
capillare, lesioni non infiammatorie e aumentata permeabilità alle proteine. È una forma tipica dell’adulto
dopo i 40 anni (30% delle sindromi nefrosiche), con incidenza crescente in rapporto all’età, mentre è rara
nel bambino (5%). Nell’80% dei casi è idiopatica, ma quando è secondaria si associa a malattie come LES,
diabete, HBV, malaria, schistosomiasi o tumori, oltre che a danno da farmaci (FANS, penicillamina, sali
d’oro); cause più rare sono artrite reumatoide, tiroidite di Hashimoto, morbo di Graves, connettiviti,
sindrome di Sjögren o sarcoidosi. La particolarità della patologia è che l’antigene verso il quale sono diretti
gli IC è stato identificato nell’endopeptidasi neutra (forma neonatale dal passaggio placentare di anticorpi
materni), nel PLA2R (80% delle forme primitive) o nella trombospondina (5%), costituenti della cellula
epiteliale glomerulare, mentre le ipotesi patogenetiche per le restanti forme sono la localizzazione
subepiteliale di antigeni esogeni di piccole dimensioni e carichi positivamente o la formazione in situ di IC
con dissociazione, attraversamento della MBG e riassociazione in sede subepiteliale.

La scoperta del ruolo del PLA2R nella glomerulonefrite membranosa è stata fatta da Pierre Ronco, con
l’individuazione della mutazione del gene in una famiglia affetta dalla patologia e dotata di anticorpi contro
l’endopeptidasi neutra mutata: il modello murino è la nefrite di Heymann, ottenuta immunizzando dei ratti
contro la megalina, presente nei processi pedicillari dei podociti e rappresentante la controparte antigenica
murina del PLA2R. Nell’uomo la forma primitiva è una patologia autoimmune, mentre la secondaria si può
sviluppare contro antigeni intrinseci dopo induzione o contro antigeni estrinseci depositati a livello renale,
come gli antigeni del latte vaccino riscontrati in alcuni bambini con glomerulonefrite membranosa,
probabilmente depositatisi nella MBG dopo assorbimento intestinale.

All’istologia si osservano depositi nelle membrane glomerulari, con estroflessioni a dente di pettine (spikes)
che alla fine conferiscono alla struttura un aspetto a binario, visibili soprattutto con l’impregnazione

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argentica; l’immunofluorescenza mostra depositi parietali granulari diffusi di IgG e complemento, indice di
reazione locale; la microscopia elettronica depositi elettrondensi completamente inglobati nella parete
capillare.

I sintomi sono comunemente quelli di una sindrome nefrosica, quindi proteinuria massiva (20-30g/die) con
edemi generalizzati, meno frequentemente proteinuria asintomatica e microematuria. Sono presenti
ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia, ipertensione arteriosa nel 10% dei casi e nella stessa percentuale
insufficienza renale lieve al momento della diagnosi.

La forma idiopatica del bambino normalmente si autorisolve entro i 5 anni, e a 10 anni la funzione renale è
conservata nella quasi totalità dei pazienti; nell’adulto 1/3 delle manifestazioni si risolve spontaneamente,
in 1/3 la proteinuria persiste e nel restante 1/3 cronicizza provocando il progressivo declino della funzione
renale, per cui prima di intervenire si aspettano almeno 30 giorni in modo da dare il tempo all’organismo di
reagire e non esporre il paziente a terapie inutili. I fattori prognostici sfavorevoli sono il sesso maschile,
l’età avanzata, la presenza di ipertensione arteriosa preesistente o di insufficienza renale all’esordio,
proteinuria
>8g per più di 6 mesi (la proteinuria viene impiegata per la stratificazione del rischio, con cutoff a 4g/die e a
8g/die) ed escrezione urinaria di IgG, β2-microglobulina e MAC.

Se il paziente è a basso rischio (proteinuria <4g/die) è sufficiente una dieta ipoproteica, il controllo
pressorio, la somministrazione di ACE inibitori o sartani e il monitoraggio di proteinuria e funzione renale. Il
medio rischio (proteinuria 4-8g/die) impone la sorveglianza per 6 mesi ed eventualmente la terapia
standard. L’alto rischio (proteinuria >8g/die) la terapia con steroidi, ciclofosfamide e ciclosporina, ed
eventualmente l’eliminazione o il contenimento dell’agente eziologico in caso di forme secondarie.

- Glomerulosclerosi segmentaria e focale


È una nefropatia caratterizzata da proteinuria elevata non selettiva, ipertensione arteriosa, insufficienza
renale precoce e lesioni focali e segmentarie che interessano in maniera diffusa i glomeruli iuxtamidollari:
l’incidenza aumenta nell’adulto e soprattutto nei soggetti ispanici e afroamericani, e di norma non
risponde agli steroidi, evolvendo in IR entro 10 anni tranne che nel bambino nel quale la prognosi è
migliore. Si riconoscono forme idiopatiche (10-35%) e forme ereditarie (probabilmente legate a mutazioni
di nefrina, podocina o actina), oltre che forme secondarie associate a HIV, anemia falciforme, obesità,
infiammazione (stimolazione della proliferazione mesangiale da parte del TGFβ) o all’inefficace
adattamento alla perdita di tessuto renale dopo ablazioni renali, agenesia, reflusso vescicoureterale o
ipertensione maligna (maladaptative repair, i nefroni residui si ipertrofizzano, le componenti della ECM si
accumulano e la MBG viene esposta al SI).

Le forme non ereditare sono legate ad alterazioni immunologiche, nelle quali fattori circolanti non ben
identificati prodotti dai linfociti (forse CLC1) aumentano la permeabilità vascolare alle proteine
plasmatiche.

La microscopia ottica permette di identificare 5 sottotipi di glomerulosclerosi segmentaria e focale

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idiopatica, ovvero (1) classica, (2) peri-ilare, (3) cellulare, (4) collassante e (5) apicale:

1- Sclerosi soprattutto dei glomeruli iuxtamidollari.

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2- Lesioni localizzate al polo vascolare del glomerulo.


3- Proliferazione endocapillare, presenza di foam cells e cellule mononucleate.
4- Proliferazione epiteliale con impegno dello spazio di Bowman.
5- Lesioni sclero-ialine che occupano il polo vascolare e il tubulo circostante.

La sclerosi è la lesione tipica dell’IRC avanzata, che non si può invertire


ma richiede necessariamente la dialisi: si possono osservare alcune anse
focalmente addensate (immagine a sinistra, doppia freccia), glomeruli
totalmente sclerotici (immagine a sinistra, freccia singola), sclerosi della
parete capillare (immagine al centro) o sclerosi segmentaria dei capillari
con depositi di materiale ialino e trombi ialini, fibrosi interstiziale e
atrofia tubulare (immagine a destra). A differenza che nella
glomerulonefrite membranosa, dove gli IC erano diretti contro un
antigene diffuso
(endopeptidasi neutra, PLA2R, trombospondina) e i depositi apparivano diffusi, nella glomerulosclerosi
segmentaria e focale interessano solo alcune zone e l’immunofluorescenza è focale, con depositi di C3 e
IgM nelle zone di sclerosi.

La microscopia elettronica permette di osservare l’alterata organizzazione del citoscheletro del podocita
con fusione e distacco dei pedicelli, obliterazione dei capillari e accumulo di matrice extracellulare, per cui il
glomerulo colpito ha un aspetto segmentario.

Il quadro clinico vede l’esordio come sindrome nefrosica nel 70% dei casi, con proteinuria glomerulare non
selettiva e ipertensione arteriosa nel 30% dei casi, ed evoluzione verso l’IRC entro 10 anni nel 50% dei casi. I
fattori prognostici sfavorevoli sono la proteinuria elevata, l’ipertensione arteriosa, l’IR già al momento
della diagnosi, la presenza di lesioni tubulo-interstiziali e la non risposta alla terapia steroidea (70-75%).

La terapia si basa sempre su steroidi (prednisone) e immunosoppressivi come ciclofosfamide e ciclosporina,


a dosaggio pieno per i primi mesi e successivamente a dosi di mantenimento, ma alla sospensione le
recidive sono piuttosto comuni, così come dopo il trapianto d’organo (la proteinuria recidiva anche dopo
sole 24 ore).

- Glomerulonefrite a lesioni minime


È una patologia caratterizzata da sindrome nefrosica e aspetto istologico del glomerulo normale, con
lesioni evidenziabili solo alla microscopia elettronica (retrazione dei pedicelli per perdita della carica
negativa di membrana): è la forma tipica del bambino (80% dei casi di sindrome nefrosica pediatrica) con
picco di diagnosi fra i 2 e i 6 anni, e si riscontra frequentemente nei soggetti atopici (elemento che
suggerisce una genesi immunitaria, insieme alla risposta agli steroidi, all’associazione con infezioni delle vie
respiratorie o vaccinazioni e frequenza di alcuni aplotipi HLA e di pazienti con linfoma di Hodgkin). È
relativamente benigna, evolve solo nel 5-10% dei casi se non risponde alla terapia steroidea, ma nell’adulto
va comunque tenuta sotto osservazione dato che spesso è una sindrome paraneoplastica. Sembra essere
immunomediata, e alcuni studi fanno ipotizzare difetti genetici di nefrina, podocina o actina (legami fra
podociti e strutturazione dei pori), produzione di SIRS o di IL13 da parte dei linfociti T.

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La proteinuria arriva sino a 20g/die ed è altamente selettiva per albumina e transferrina, e gli esami
ematici mostrano ipoalbuminemia, ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia, oltre che iponatriemia da
diluizione. Risponde frequentemente agli steroidi, più spesso nel bambino che nell’adulto, e anche se le
recidive sono frequenti (forme steroido-dipendenti, una volta sospesa la terapia la malattia ricompare) la
prognosi a lungo termine è buona, la malattia scompare con la pubertà e le lesioni sono completamente
reversibili: fattori prognostici negativi sono un elevato tempo di risposta alla terapia, l’età adulta del
paziente, il numero delle recidive e la durata del periodo di remissione.

Si associa ad una serie di condizioni come danno da farmaci (FANS, ampicillina, litio), allergeni (polveri,
pollini, alimenti), infezioni virali, polimorfismi genetici (HLA-B, HLA-DR) e neoplasie (linfomi, leucemie), per
cui quando viene riscontrata soprattutto nel paziente adulto si effettua di routine una PET per controllare la
presenza di forme tumorali.

L’istologia è perfettamente normale o mostra al limite podociti più voluminosi dell’atteso, mentre alla
microscopia elettronica si possono evidenziare gli spazi allargati fra i podociti, espressione di una
semplificazione dell’architettura cellulare con appiattimento, retrazione e rigonfiamento dei pedicelli.

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NEFROPATIE GLOMERULARI SECONDARIE


Sono affezioni renali che conseguono a malattie sistemiche o che interessano primitivamente altri organi, e
l’interessamento glomerulare è una parte più o meno importante della patologia principale: la nefropatia
può essere una manifestazione terminale o il sintomo che consente la diagnosi della malattia.

Possono essere legate a malattie sistemiche (LES, porpora di Schönlein-Henoch, sindrome di Goodpasture,
vasculiti necrotizzanti, sarcoidosi), infettive (endocardite, sepsi, HBV, HCV, HIV), epatiche, neoplastiche
(tumori dell’apparato respiratorio o digerente, leucemie, linfomi), ereditarie (sindrome di Alport, sindrome
di Fabry), metaboliche (DM), reazioni a farmaci o disprotidemie e paraproteinemie (crioglobulinemia,
mieloma multiplo, macroglobulinemia di Waldenström, gammopatia monoclonale, amiloidosi).

- LES
È una malattia sistemica a genesi autoimmune ed eziologia sconosciuta, caratterizzata da lesioni cellulari e
tissutali (cutanee, cerebrali, cardiache, polmonari, ossee, renali) legati alla deposizione di IC e
autoanticorpi. È molto difficile da trattare perché prevede lo sviluppo di anticorpi contro antigeni self e può
attraversare momenti di remissione e riacutizzazione: colpisce più frequentemente le donne (anche se
nell’uomo ha un andamento più severo), soprattutto asiatiche e afroamericane, con picco di diagnosi
intorno ai 40 anni, e la nefrite si sviluppa nel 35-70% dei pazienti (anche se la biopsia mostra lesioni renali
nel 90% dei casi), per cui la patologia risulta la forma più comune di nefrite secondaria.

Il nome di LES deriva dalle osservazioni di Cazenave, che descrisse le lesioni cutanee dei pazienti affetti
come simili a morsi di lupo: una manifestazione caratteristica è il rash su zigomi e dorso del naso, definito
da Kaposi a farfalla per via della forma (la biopsia mostra infiltrato leucocitario nel derma, tipico di una
serie di malattie autoimmuni fra le quali il LES), e solo negli anni successivi sono state distinte da Osler una
forma cutanea e una sistemica, il LES propriamente detto.

L’eziologia è sconosciuta o legata a reazioni a farmaci (l’antiaritmico procainamide, i DMARDs sali d’oro,
l’antitubercolare isoniazide, l’antiepilettico clorpromazina, il vasodilatatore idralazina, l’antibiotico
penicillamina e il simpaticolitico α-metildopa), che provocano una sindrome detta LES-like, spesso priva di
anticorpi e di manifestazioni renali o neurologiche e che scompare alla sospensione del farmaco. I fattori
predisponenti sono genetici, razziali, ormonali e ambientali:

- Genetica: è stato osservato un alto tasso di concordanza fra gemelli omozigoti (fino al 50%, con un 2-
8% negli eterozigoti), nel 10-15% dei casi almeno un familiare ha la patologia, c’è un’elevata
frequenza di alcuni genotipi HLA (A1, B8, DR2/3) e di deficit del complemento (C2/4).

I cromosomi sinora associati allo sviluppo del LES sono estremamente numerosi, e i geni interessati sono
principalmente fattori immunoregolatori e ormonali, anche se sta emergendo il ruolo dell’epigenetica e
quindi la possibilità di acquisire una mutazione in qualsiasi momento.

- Razza: le popolazioni più colpite sono asiatici e afroamericani.

- Ormoni: spiegano la maggiore incidenza delle malattie autoimmuni nel sesso femminile attraverso
il ruolo immunostimolatore degli estrogeni (gli androgeni sono immunosoppressori), oltre che della
prolattina; ci sono anche correlazioni con la produzione di ridotti livelli di cortisolo in risposta allo
stress.

- Ambiente: sono state ipotizzate interazioni con raggi UV-A/B (il 70% dei pazienti è fotosensibile),
virus, batteri (induzione della malattia in soggetti predisposti o riacutizzazione) o farmaci.

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La patogenesi prevede l’attivazione dell’autoimmunità attraverso i TLR, che normalmente riconoscono


virus, batteri, microbi e cellule necrotiche, con produzione di autoanticorpi policlonali diretti contro acidi
nucleici e proteine intracellulari, disregolazione della funzione di APC (le cellule dendritiche presentano
antigeni self ai cloni linfocitari autoreattivi) e produzione eccessiva di TNFα e IFNα, Ig e IC.

Gli IC formati in circolo composti di Ig e antigeni self arrivano al rene e vengono intrappolati nella
membrana di filtrazione, per aumentata permeabilità capillare: una volta depositati danneggiano
direttamente il glomerulo o richiamano cellule immunitarie, e l’estensione del danno espone componenti
non self che amplificano ulteriormente la risposta autoimmune.

Secondo un’ipotesi differente, le Ig circolanti dirette contro il DNA o componenti della membrana basale
possono oltrepassare la membrana di filtrazione e fissarsi agli antigeni self (laminina, eparansolfato),
ridistribuiti sulla membrana podocitaria in seguito a danni o infiammazione. Dato che le Ig sono dirette
contro DNA e RNA, e che queste componenti sono normalmente contenute all’interno delle cellule, in
assenza di un danno precedente è impossibile il fissaggio delle Ig alle strutture cellulari, e deve preesistere
una condizione per cui l’apoptosi non viene portata a termine correttamente e le strutture intracellulari
vengono riversate nello spazio extracellulare.

Infine, una terza ipotesi spiega il danno tubulare come legato all’interazione delle Ig con le cellule tubulari,
con induzione di apoptosi o danno cellulare.

Secondo i criteri ARA (American Rheumatology Association) del 1997, la diagnosi di LES è possibile in
presenza di almeno 4 criteri, dei quali uno assolutamente necessario è la presenza di ANA (anticorpi
antinucleari) in assenza di farmaci che possano indurre sindrome simil-LES: fra i criteri possibili ci sono rash
malare, chiazze eritematose desquamanti (lupus discoide), fotosensibilità, ulcere orali, artrite, sierosite,
alterazioni renali, neurologiche, ematologiche (leucopenia, anemia, linfopenia, trombocitopenia) e
immunologiche (Ig anti-DNA o anti-Smith, LAC+).

- CASO CLINICO #1
Paziente donna di 30 anni, lamenta da circa due mesi febbre non elevata, astenia intensa e
ingrossamento dei linfonodi del collo, con APR muta per patologie significative e due gravidanze
portate a termine senza problemi. Data la persistenza del quadro clinico e l’ingravescenza
dell’astenia vengono condotti gli esami ematici, che mostrano VES elevata,
ipergammaglobulinemia, anemia e leucopenia, ANA+ (SSA/Ro+), e l’ECOgrafia evidenzia una
linfadenopatia diffusa con positività alla biopsia. Dopo alcuni giorni compare dolore a mani e polsi
con evidenti segni di artrite, e all’esame obiettivo è presente rash malare oltre che linfadenopatia e
artrite, e la conferma definitiva della diagnosi è data dalla positività al test di Coombs diretto e

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indiretto.

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Dato che fra i criteri dell’ARA per la diagnosi di LES compaiono sia gli ANA che gli anticorpi anti-DNA o anti-
Smith, si capisce come il laboratorio sia essenziale nella diagnosi della patologia, oltre che per monitorare
l’attività della malattia e individuare sottogruppi a rischio per particolari complicanze: se gli ANA sono
negativi la diagnosi di LES è improbabile, mentre la positività non è diagnostica ma orienta verso una
malattia autoimmune. Gli anticorpi anti-DNA sono altamente specifici per la malattia, e quando sono diretti
verso ds- DNA sono associati alla presenza di nefrite. Gli anti-ENA (antigeni nucleari estraibili) sono rivolti
verso una serie di antigeni proteici nucleari, e comprendono gli anti-Smith (quelli di maggiore rilevanza
nella diagnosi di LES), gli anti-SSA/Ro, gli anti-SSB/La gli anti-RNP, gli anti-Sc170 e gli anti-Jo1. Gli APL si
dosavano fino a poco tempo fa in tutti i pazienti con HBV e VDRL+ dato che non sono specifici per il LES, e il
problema principale è che il trattamento con penicillina è efficace in caso di sifilide (VLDR+), tossico in caso
di LES: sono presenti comunque nel 30-40% dei casi, e predispongono il paziente a poliabortività e
manifestazioni trombotiche in quanto inibiscono la frazione fosfolipidica dell’attivatore della trombina
(LAC, anticoagulante lupico). Gli anticorpi anti-nucleosomi hanno una sensibilità per la diagnosi di LES
superiore a quella degli anti- DNA. Gli anticorpi anti-C1q reagiscono con C1q, C3 e C4, e sono correlati
all’interessamento renale con lesioni attive.

- In sospetto clinico di LES è opportuno quindi il dosaggio degli ANA, e nel caso in cui risulti positivo
si può proseguire con il dosaggio di dsDNA, ENA e APL, e in particolare i dsDNA sono utili anche nel
monitoraggio della malattia insieme ai livelli del complemento.

- Se una donna con LES in fase di quiescenza manifesta la volontà di avere una gravidanza, il
problema principale è legato al pericolo di una reazione autoimmune contro i tessuti placentari o
fetali (soprattutto in presenza di SSA/Ro, nel feto possono causare un blocco atrioventricolare
totale congenito) o di una riacutizzazione della patologia; inoltre, la gravidanza risulta uno stato
protrombotico, e la presenza di LAC+ espone la paziente ad un rischio ancora maggiore e alla
possibilità di aborto.

Altre alterazioni laboratoristiche in corso di LES, meno specifiche rispetto al dosaggio anticorpale, sono VES
e PCR elevate, riduzione del complemento sierico, presenza di IC circolanti, ipergammaglobulinemia,
crioglobulinemia e fattore reumatoide, leucopenia, anemia, linfopenia e piastrinopenia.

Il quadro clinico è dominato da fenomeni vasculitici, in particolare manifestazioni cutanee più o meno
specifiche: quelle più indicative sono il rash malare, plantare o palmare (alterazioni interarticolari e non
sulle nocche come nella dermatomiosite), la fotosensibilità e il lupus discoide (eritema anulare, alopecia
cicatriziale), oltre che varianti anulari (lesioni rotondeggianti su tronco e schiena) e papulosquamose.
Alterazioni meno specifiche sono porpora palpabile (comune a numerose vasculiti), ulcerazioni
periungueali e digitali, fenomeno di Raynaud e interessamento delle mucose.

Le manifestazioni articolari sono presenti nel 90% dei pazienti, e sono caratteristicamente migranti e
simmetriche, concentrate nelle piccole articolazioni di mani, polsi e ginocchia, non erosive, associate a
tumefazione ed essudazione e solo raramente deformanti a differenza che nell’artrite reumatoide.

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Il sistema nervoso (sia centrale che periferico) viene interessato nel 50% dei casi, e compaiono cefalea,
corea, disturbi cognitivi e dell’umore, epilessia, depressione, eventi cerebrovascolari (soprattutto in
associazione con la presenza di PLA), forme demielinizzanti, meningite asettica, psicosi e come
manifestazione terminale organic brain syndrome.

Le manifestazioni ematologiche sono citopenie (anemia, leucopenia, piastrinopenia), alterazioni


dell’omeostasi coagulativa (APL) e linfadenopatie reattive o neoplastiche.

Altri sistemi interessati sono il cardiovascolare (pericardite, endocardite subacuta abatterica, trombosi
arterovenose ed eventi ischemici arteriosi in presenza di APL, ipertensione arteriosa e accelerazione di
aterosclerosi), il polmonare (versamento pleurico, polmonite abatterica, atelettasia, embolia polmonare ed
emorragia polmonare da vasculite), il muscoloscheletrico (miosite, miopatia, necrosi asettica) e l’occhio
(uveite e retinopatia, da ipertensione o vasculite).

Il rene viene colpito dal LES tramite la deposizione glomerulare di IC, che attivano il complemento
attraverso la via classica e determinano l’amplificazione della risposta infiammatoria tramite C3:
recentemente sono stati descritti anche anticorpi anti-C1q, in grado di attivare il complemento una volta
depositati a livello glomerulare. L’attivazione delle cellule renali residenti da parte degli IC induce la
produzione di citochine e chemochine e il richiamo di leucociti, che possono interagire con le Ig attraverso i
recettori per il frammento Fc e attivare in questo modo monociti, macrofagi e cellule dendritiche.

La nefrite lupica è una delle manifestazioni più gravi e frequenti del LES, che si manifesta clinicamente a 3
anni dalla diagnosi in più dell‘80% dei casi ma è presente come subclinica in circa il 90%, con il rilievo
istologico che peggiora significativamente la prognosi del paziente. Possono essere colpite tutte le
componenti del parenchima renale, anche se il glomerulo è il sito più frequente di deposito degli IC, e le
lesioni istologiche possono essere attive (crescents cellulari, wire loops, necrosi o carioressi delle cellule
tubulari, trombi ialini, trombosi vascolare, necrosi fibrinoide, infiltrati infiammatori interstiziali),
potenzialmente reversibili con una terapia adeguata, o croniche (crescents fibrotiche, glomerulosclerosi,
atrofia tubulare, fibrosi interstiziale, ialinosi arteriolare), non rispondenti alla terapia e costituite
dall’evoluzione sfavorevole di lesioni attive non trattate o refrattarie alla terapia: comunque, entità e
qualità del coinvolgimento renale variano da paziente a paziente, e anche nel singolo possono modificarsi
nel corso della malattia nonostante la stabilità delle condizioni cliniche.

La presentazione clinica è molto variabile, e si va da anomalie urinarie isolate (proteinuria o microematuria)


fino all’IR rapidamente evolutiva che impone la dialisi entro poche settimane; il sedimento urinario è detto
telescopico in quanto presenta contemporaneamente leucociti, eritrociti, cilindri granulosi e cilindri ialini;
possono comparire sia sindrome nefrosica che sindrome nefritica a seconda dell’entità della proteinuria e
della presenza o meno di ematuria, e in alcune delle classi (III, IV) è frequente ipertensione arteriosa.

La classificazione della nefrite lupica è stata fatta nel 2004 dalla International Society of Nephrology, e
distingue 6 classi a seconda delle lesioni istologiche e del quadro clinico (la classe I è la più rara, la classe IV
la più comune):

I- A lesioni minime, è una forma rara e la prognosi è buona dato che alla microscopia ottica i
glomeruli sono normali, e all’immunofluorescenza si osservano solo depositi mesangiali di C1q,
IgG e C3; la clinica è silente o sono presenti proteinuria o microematuria come reperti isolati.

II- Mesangiale, c’è proliferazione cellulare con immunodepositi mesangiali, raramente


deposizione anche subendoteliale e subepiteliale; la clinica presenta proteinuria o
microematuria, solo raramente sindrome nefrosica o insufficienza renale.

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III- Proliferativa focale e segmentaria, è simile alla classe II ma il tasso di proliferazione è molto
maggiore, ci sono immunodepositi subendoteliali e i glomeruli sono interessati da lesioni acute
o croniche per meno del 50%; la clinica è variabile da anomalie urinarie isolate a sindrome
nefrosica o nefritica.

IV- Proliferativa diffusa, le lesioni e i depositi sono analoghi alla classe III ma riguardano tutti i
glomeruli, in maniera globale (G) o segmentaria (S); la clinica mostra proteinuria, ematuria,
edema, raramente ipertensione arteriosa e insufficienza renale.

V- Membranosa, è poco frequente e il decorso è lento, e prevede IC in depositi subepiteliali e


intramembranosi a deposizione globale e segmentaria con o senza alterazioni mesangiali; il
quadro clinico è quello di sindrome nefrosica, raramente con ipertensione e insufficienza
renale.

VI- Sclerosante avanzata, più del 90% dei glomeruli è in sclerosi globale e si ha insufficienza renale
cronica.

L’immunofluorescenza è full-house come nelle forme da deposito di IC, e i depositi sono composti da IgG (la
maggior parte), IgA, IgM, C1q, C3 e C4, dispersi nel glomerulo ma anche nel restante parenchima renale.

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La diagnosi si avvale della presenza di autoanticorpi specifici (ANA per il sospetto, ENA per la conferma),
bassi livelli di C4 e C1q rispetto a C3 e C4 (per attivazione della via classica) e sedimento telescopico. La
riacutizzazione corrisponde al deterioramento del VFG con aumento della creatininemia di almeno il 30%
rispetto ai valori precedenti, raddoppio della proteinuria in caso di sindrome nefrosica e aumento di 2g in
pazienti non nefrosici, movimento del complemento e degli altri markers della patologia e peggioramento
del sedimento urinario.

Attualmente la sopravvivenza a 5 anni è del 90% grazie all’elaborazione di nuovi farmaci, ma esistono
forme scarsamente responsive alla terapia che comportano il progressivo passaggio da una forma
istologica lieve ad una severa, con peggioramento della funzione renale: fattori prognostici negativi sono il
sesso maschile, la razza afroamericana, la presenza di lesioni tubulointerstiziali e vascolari, la sindrome
nefrosica e le lesioni di classe IV (proliferative diffuse a >50% dei glomeruli, globali o segmentarie). La
terapia è utile nelle classi II, III, IV e V, e sfrutta steroidi ad alte dosi (a basse dosi durante il mantenimento),
ciclofosfamide, ciclosporina azatioprina, rituximab (anti CD20) e acido micofenolico, oltre che la
plasmaferesi; la terapia di supporto è basata sul quadro clinico generale, e utilizza ipotensivi e
antidislipidemici.

Comunque, nonostante le terapie la prognosi non è ottimale, le pazienti hanno difficoltà a portare a
termine gravidanze e non è possibile la guarigione completa, per cui i pazienti vanno monitorati e quando
necessario indirizzati alla dialisi; il trapianto d’organo è possibile ma la terapia immunosoppressiva deve
essere particolarmente aggressiva.

- Sindrome da anticorpi antifosfolipidi


É una condizione clinica associata al LES nel 30-35% dei casi, che comporta predisposizione a trombosi
arteriose e venose e poliabortività, con trombocitopenia e anticorpi circolanti. Gli anticorpi antifosfolipidi
vengono distinti in tre tipologie, gli anticardiolipina (aCL), gli anti-β2-glicoproteina1 (antiβ2GP1) e
l’anticoagulante lupico (LAC), e sono tutti attivi contro varie combinazioni di fosfolipidi, proteine o
complessi fosfolipidi-proteine. In vitro, il LAC agisce come un inibitore della coagulazione, mentre in vivo
aumenta la tendenza alla coagulazione, il che spiega l’aumentata incidenza di trombosi nei pazienti affetti; il
LAC si lega anche alla cardiolipina utilizzata nel test per la diagnosi di sifilide, ragione per cui i pazienti affetti
mostrano falsa positività al VDRL.

Gli eventi trombotici associati alla sindrome possono colpire sia i distretti venosi che i distretti arteriosi,
coinvolgendo qualsiasi organo o apparato: la principale manifestazione di trombosi arteriosa è l’ictus
ischemico, mentre quella venosa è la TVP (le trombosi venose sono più frequenti ma meno gravi, e i
pazienti vengono distinti in tendenti alla trombosi arteriosa e tendenti a quella venosa, senza che siano
stati individuati i fattori predisponenti).

Caratteristica della sindrome da anticorpi antifosfolipidi è la poliabortività e in genere la difficoltà a portare


a termine normalmente una gravidanza, con ritardo di crescita fetale, parti prematuri, pre-eclampsia,
eclampsia o insufficienza placentare.

Il quadro clinico è estremamente variabile, e dipende dall’eventuale insorgenza di manifestazioni cliniche


associate alla sede e all’estensione della trombosi: i casi meno severi sono quelli di tromboflebite
superficiale, quelli più gravi sono l’ictus, l’IMA o la sindrome catastrofica da anticorpi antifosfolipidi, con
disseminazione multidistrettuale dei trombi.

La terapia consiste nella profilassi degli eventi trombotici nei pazienti con livelli anticorpali elevati, tramite
anticoagulanti orali che portino l’INR a 2,5-3,5 o antiaggreganti, mentre in fase acuta è più utile l’eparina
non frazionata o frazionata. L’uso di questi farmaci ha drasticamente ridotto l’incidenza di trombosi
ripetute, ma la prognosi rimane severa nei pazienti che non rispondono alla terapia anticoagulante.

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- Nefropatia diabetica
Si tratta di una patologia estremamente frequente, tanto da risultare la principale causa di insufficienza
renale cronica negli Stati Uniti e in Europa (30%), ed è caratterizzata dalla presenza di proteinuria in un
paziente diabetico in almeno tre determinazioni separate da 3/6 mesi ciascuna, una volta escluse altre
nefropatie, infezioni delle vie urinarie e insufficienza cardiaca. Può associarsi a tutte e due le forme di
diabete con una differenza nell’età di incidenza, ovvero il paziente con DM1 sviluppa nefropatia nel 30-40%
dei casi dopo 15-25 anni di malattia, raramente entro i 10 anni o dopo i 30 anni di malattia, ma comunque
l’età media del paziente con nefropatia e DM1 è 30-35 anni; il paziente con DM2 sviluppa nefropatia nel
30% dei casi dopo 20 anni di malattia, e non lo fa praticamente mai dopo 30 anni di malattia.

La storia naturale è piuttosto costante, e prevede una prima fase preclinica di circa 5-10 anni, con esami
ematici e urinari negativi ma iniziali modifiche strutturali (ispessimento MBG) e funzionali; la seconda fase è
di microalbuminuria o nefropatia incipiente (>30mg/die ma <300mg/die), con iperfiltrazione e
ipertensione; infine, la terza fase è di nefropatia conclamata, con aumento della creatininemia e riduzione
della VFG.

- Fase I
Anche detta ipertrofia-iperfunzione, mostra segni di iperfiltrazione (la VFG aumenta anche del
40%, arrivando a 150mL/min) con creatininemia di 0,6-0,7 mg/dL e aumento volumetrico dei reni,
tutti elementi legati all’attività osmotica del glucosio che richiama H2O nel lume del tubulo e viene
riassorbito tramite simporto con Na+. Se il paziente aveva di partenza una creatininemia più elevata
la riduzione non esprime l’efficacia della terapia ma l’inizio del danno renale, per cui occorre
riconoscere il pericolo e invitare il paziente a fare attività fisica e a seguire una dieta che consenta la
riduzione della glicemia, date le possibilità di recupero funzionale intrinseche nella fase I.

Uno stato parafisiologico in cui si ha aumento della VFG è la gravidanza, dove occorre adeguarsi alle
aumentate richieste dell’organismo e vicariare anche la funzione renale del feto, per cui i tubuli aumentano
di dimensione e i glomeruli diventano ipertrofici.

- Fase II
Nefropatia clinicamente silente, dopo circa 2-3 anni dall’ipertrofia-iperfunzione compare
microalbuminuria da sforzo, con escrezione urinaria di albumina pari a 30-300mg/die (20-
200μg/min). La VFG è ancora aumentata ed è ancora una condizione reversibile se la glicemia viene
riportata e mantenuta nel range ottimale, nonostante la presenza di ispessimento delle MBG e di
aumento del mesangio (glomerulosclerosi diffusa).

- Fase III
Nefropatia incipiente, in media dopo 6-15 anni dall’inizio del diabete e caratterizzata da

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microalbuminuria persistente, predittiva di successiva nefropatia clinica nell’80% dei casi. Il VFG è

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aumentato o normale così come la pressione arteriosa, e si possono osservare matrice mesangiale
e MBG inspessite (glomerulosclerosi diffusa), difficilmente reversibili.
- Fase IV
Nefropatia conclamata, la proteinuria è dosabile e frequentemente nei range nefrosici (con
ipodisprotidemia, iperdislipidemia, edemi e ipertensione) e il VFG inizia a ridursi progressivamente,
con una media di 1mL/min al mese (entro 10 anni la dialisi è praticamente obbligata).
Contemporaneamente, l’ipertensione arteriosa e l’arteriolosclerosi alterano la perfusione renale e
la glomerulosclerosi impedisce qualsiasi reversibilità del quadro, che può al limite essere rallentato.

La dialisi nel paziente diabetico è un trattamento piuttosto problematico, in quanto è un soggetto polifagico
e polidipsico a causa dell’iperglicemia e della glicosuria: la dialisi impone uno stretto controllo del peso,
della dieta e dell’apporto idrico, e questo va sempre considerato quando il paziente dializzato è diabetico.

- Fase V
Insufficienza renale cronica, la riduzione del VFG è costante e la combinazione con l’ipertensione
arteriosa conduce a uremia terminale, inevitabile nei 3-20 anni successivi alla nefropatia clinica
(fase III).

Se si osserva un grafico che riporta nel tempo la variazione della VFG (linea rossa) e dell’albuminuria (linea
blu) è possibile notare che nella prima fase la funzionalità renale aumenta, e in concomitanza con il
peggioramento si ha la comparsa di albuminuria ingravescente.

La base patologica della nefropatia diabetica è la predisposizione genetica correlata al diabete, dato che
l’iperglicemia stimola l’espansione mesangiale e gli AGEs la produzione di fattori di crescita e fattori
fibrotici; la microangiopatia diabetica, che danneggia il glomerulo e riduce il FER, attiva inoltre il RAAS, e
dato che l’angiotensina II ha un fortissimo potenziale proliferativo e fibrogenico si sviluppano le lesioni
caratteristiche e la vasocostrizione dell’arteriola efferente aumenta la pressione intraglomerulare. La
proteinuria risulta un fattore di progressione perché sovraccarica il tubulo e innesca una reazione
infiammatoria che induce la trasformazione delle cellule tubulari in fibroblasti, che migrano nell’interstizio e
producono collagene e fibronectina.

I glomeruli sono interessati da sclerosi diffusa o nodulare, lesioni essudative con formazione di un
rivestimento fibroso (fibrin cap) e gocce capsulari (capsular drop). Nei tubuli si rilevano atrofia,
ispessimento e slaminamento delle membrane basali e degenerazione vacuolare da riassorbimento massivo
di proteine. Le arteriole sono sede di depositi ialini e arteriolosclerosi, e l’interstizio di fibrosi e infiltrati
infiammatori.

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- Glomerulosclerosi diffusa
Accumulo diffuso nel mesangio di materiale eosinofilo (può essere reversibile nelle fasi iniziali),
aumentato spessore delle pareti capillari e della capsula di Bowman e ridotta pervietà del lume dei
capillari.

- Glomerulosclerosi nodulare
Deposito di materiale eosinofilo tondeggiante (AGEs, individuati per la prima volta da Kimmelstiel
e Wilson) nelle aree mesangiali e formazione di microaneurismi per mesangiolisi.

- Lesioni essudative (fibrin cap)


Accumulo di materiale omogeneo eosinofilo fra membrana basale ed endotelio, derivante
dall’essudazione delle arteriole.

La presenza del fibrin cap ad occupare la struttura vascolare riduce l’apporto ematico al glomerulo, e innesca
un circolo vizioso che favorisce la sclerosi e l’ipertensione per attivazione del RAAS.

- Gocce capsulari (capsular drop)


Accumulo di materiale eosinofilo fra membrana basale ed endotelio parietale della capsula di
Bowman.

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A seconda del quadro istologico, la nefropatia diabetica viene classificata in 5 stadi, con lo stadio I che
corrisponde a lesioni lievi o aspecifiche alla microscopia ottica (ispessimento della MBG alla microscopia
elettronica), lo stadio IIa ad una lieve espansione mesangiale, lo stadio IIIb ad una severa espansione
mesangiale, lo stadio III alla sclerosi nodulare e lo stadio IV ad una glomerulosclerosi avanzata.

Anche nella nefropatia diabetica ci sono riscontri


all’immunofluorescenza, con positività lineare diffusa per le
IgG su pareti capillari, membrana capsulare e membrane
tubulari, non tanto per la generazione di autoanticorpi ma per
le lesioni renali che espongono antigeni normalmente
nascosti, che funzionano da ligandi per le IgG; nelle lesioni
essudative si ritrovano IgM e C3, analogamente ai riscontri
tipici della glomerulosclerosi segmentaria e focale.

Il primo trattamento della nefropatia diabetica è la prevenzione, che teoricamente consente di evitare
l’insorgenza della malattia, di rallentare la progressione da microalbuminuria a macroalbuminuria e anche
quella verso l’insufficienza renale. Una volta che la patologia si è affermata la terapia consiste nel controllo
metabolico e della glicemia, della pressione arteriosa, della dislipidemia e della proteinuria (ACE inibitori,
sartani), anche attraverso una terapia dietetica. Dato che spesso i pazienti con nefropatia diabetica da DM1
sono giovani (30-35 anni) esiste un percorso di terapia chirurgica e immunologica che consente la
sostituzione combinata di rene e pancreas, il primo alterato dalla patologia e il secondo causa primaria
della patologia stessa: il trapianto è simultaneo da donatore giovane (30-40 anni) cadavere, in modo da
evitare la degenerazione pancreatica inevitabile con l’età anziana.

- I pazienti eletti per il trapianto combinato (attualmente non c’è un programma attivo a Bologna,
ma solo a Padova, Parma e Pisa) sono estremamente selezionati per età, e rappresentano
solamente l’1% degli affetti da nefropatia diabetica, dato che la maggior parte presenta DM2 e età
troppo avanzata. Eventualmente, nel paziente di 50-60 anni con nefropatia diabetica da DM2 si
trapianta solamente il rene, ma la terapia immunosoppressiva con cortisonici viene sospesa
precocemente per ridurre al minimo l’esposizione a sostanze diabetogene.

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NEFROPATIE INTERSTIZIALI
Si tratta di una serie di nefropatie a diversa eziologia, con alterazioni patologiche localizzate nell’interstizio
renale e spesso associate a compromissione tubulare di diversa entità: l’interstizio renale è uno spazio
lasciato libero da nefroni e vasi, e ogni lesione interstiziale altera spessissimo i tubuli. Anche se sono state
per lungo tempo misconosciute si tratta di forme frequentissime, che determinano il 20-30% delle
insufficienze renali.

L’interstizio è composto da una porzione cellulare e da una porzione extracellulare, con elementi cellulari
differenti fra la corticale e la midollare: nell’interstizio corticale si trovano cellule similfibroblasti di tipo 1,
capaci di produrre EPO e principali responsabili della fibrosi infiammatoria, e ci sono poche cellule
simildendritiche di tipo 2 derivate dai macrofagi e con proprietà di APC; nell’interstizio midollare si trovano
cellule di tipo 1 che producono prostaglandine, di tipo 2 similinfocitarie e di tipo 3 pericitarie, con funzione
sconosciuta. La ECM è comune all’intero rene, ed è costituita di GAG (acido ialuronico, eparansolfato) e da
un reticolo di fibre collagene di tipo III, IV e VI, mentre nelle membrane basali tubulari si ritrova collagene di
tipo IV e V.

La funzione dell’interstizio è di permettere il riassorbimento di H2O e soluti dal lume del tubulo renale, e in
particolare a livello dell’ansa di Henle di garantire il gradiente di pressione osmotica crescente verso la
midollare, creato e mantenuto dal meccanismo di moltiplicazione controcorrente; regola inoltre
l’interscambio fra le strutture parenchimali che separa e sostiene, e la sintesi di ormoni tramite le cellule di
tipo 1 (EPO, prostaglandine).

Le nefropatie interstiziali vengono divise essenzialmente in forme acute e croniche, a seconda della
modalità di esordio: le forme acute si manifestano con sintomi importanti, e la morfologia vede edema
interstiziale, infiltrato infiammatorio e necrosi tubulare (le cause più comuni sono infezioni, farmaci,
malattie sistemiche o idiopatiche); le forme croniche hanno un decorso più insidioso e una manifestazione
paucisintomatica, e il tessuto è ricco di cellule mononucleate e mostra fibrosi interstiziale e atrofia tubulare
(le cause più comuni sono infezioni, ostruzione, reflusso, farmaci, tossici, metalli, radiazioni, alterazioni
metaboliche, emopatie o idiopatiche).

- Forme infettive

Si dividono in infezioni delle vie urinarie (UTI) e pielonefriti. Le UTI si definiscono come presenza persistente
di microrganismi nelle urine, dovute alla colonizzazione dell’urotelio e/o del parenchima renale da parte di
germi, soprattutto Gram -. Le UTI sono le infezioni più comuni in assoluto (in particolare come cistiti,
sintomatiche per disuria, pollachiuria e stranguria), che colpiscono il 10% della popolazione almeno una
volta nella vita, durante l’infanzia, durante l’età adulta soprattutto nel sesso femminile e durante l’età
anziana, rispettivamente per la presenza del pannolino, per l’attività sessuale (luna di miele) o la gravidanza
e per la cateterizzazione e l’ipertrofia prostatica con ritenzione urinaria.

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Le UTI si definiscono tali quando si riscontra una batteriuria significativa, di almeno 100’000
microrganismi/mL, in particolare Gram – (Escherichia coli, Proteus mirabilis, Klebsiella pneumoniae,
Pseudomonas aeruginosa) e più raramente Enterococcus spp. (più di frequente in pazienti con problemi
intestinali), Staphylococcus spp., Chlamydia spp. e Candida spp. I fattori che favoriscono lo sviluppo di UTI
sono l’aderenza batterica (presenza di pili, fimbrie, adesine) e la specifica virulenza per presenza di tossine,
di ureasi (alcalinizzazione delle urine e sopravvivenza dei batteri, in quanto l’unico microrganismo che
sopravvive al pH acido è Mycobacterium tubercolosis) e per la possibilità di movimento flagellare.

- Dato l’aumento del pH legato alla colonizzazione batterica, un paziente con sintomi urinari,
sedimento batterico ma pH 4-5 fa sospettare un’infezione da Mycobacterium tubercolosis, mentre
in tutti i casi di pH alcalino viene favorita la formazione di cristalli di struvite, tipico riscontro nelle
UTI.

I fattori predisponenti legati all’ospite sono la riduzione della protezione fisiologica (GAG, IgA, glicoproteina
di Tamm-Horsfall), il ristagno urinario (minzioni volontariamente ritardate e diradate, minzioni non
complete, IPB), la disidratazione, il sesso femminile (brevità dell’uretra e vicinanza con l’orifizio anale,
attività sessuale, gravidanze e contraccezione ormonale) e la presenza di malformazioni congenite o legate
a interventi chirurgici sulle vie urinarie.

Le UTI delle basse vie urinarie (anche dette non complicate) sono rappresentate da cistite acuta, cistite
acuta ricorrente e uretrite:

- Cistite acuta

- Cistite acuta ricorrente


Da reinfezione nel caso compaiano nuove specie batteriche, da recidiva nel caso persista lo stesso
patogeno.

- Uretrite
Fa parte delle MST, e può essere gonococcica (Neisseria gonorrhoeae) o non gonococcica (Chlamydia
trachomatis, Ureaplasma urealyticum).

La patogenesi delle UTI vede la possibilità per alcuni microrganismi (spesso di origine fecale) di risalire
attraverso l’uretra e i tessuti periuretrali o di colonizzare l’uretra distale nell’uomo e il vestibolo vaginale
nella donna, ragione per cui le UTI sono più frequenti nel sesso femminile; le UTI sono poi favorite dal fatto
che la mucosa vescicale perda i meccanismi intrinseci di difesa e che la vescica perda la capacità di
eliminare i batteri con la minzione, oltre che dall’assenza nelle urine di sostanze batteriostatiche attive a pH
ridotto.

La diagnosi è piuttosto semplice in quanto i sintomi sono tipici, e consistono in disuria, stranguria,
pollachiuria, dolore e senso di tensione sovrapubico, a volte macroematuria e febbre. Il laboratorio è utile
per un esame standard delle urine, che mostra microematuria, proteinuria di lieve entità e pH alcalino,
presenza di batteri, leucociti e nitriti, sedimento urinario con leucociti polimorfonucleati>5-10/campo;
l’urinocoltura si riserva di norma alle infezioni recidivanti o nelle UTI occasionali refrattarie alla terapia, in
modo da identificare l’agente patogeno e mettere in atto un’antibioticoterapia mirata.

Il trattamento antibiotico è indicato nelle forme sintomatiche o complicate o nella batteriuria asintomatica
nelle donne gravide, quando possibile va guidato da un antibiogramma soprattutto perché nelle forme
acquisite in comunità i microrganismi sono resistenti ai chinolonici nel 50% dei casi; è possibile anche
correggere i fattori causali quando le UTI siano legate al ristagno o al reflusso di urina. La prevenzione
sfrutta uno stile di vita corretto, una terapia idropinica (assunzione di acqua con particolari proprietà) e
derivati del mirtillo rosso, che rendono la vescica meno distendibile e sfavoriscono il ristagno e la
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ritenzione.

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- Le UTI in gravidanza sono favorite dalla diminuzione dell’attività peristaltica dell’uretere, dalla
compressione da parte dell’utero gravido con conseguente reflusso vescicoureterale e dal ridotto
potere antibatterico delle urine per proteinuria o glicosuria. Dati gli screening ricorrenti ai quali si
sottopongono le donne in gravidanza (le UTI complicate sono estremamente pericolose per il feto),
il riscontro di batteriuria è piuttosto frequente (5-10%), e il trattamento si avvale di fosfomicina
(Monuril), nitrofurantoina, amoxicillina/acido clavulanico o cefalexina.

- Le UTI da catetere vescicale sono anch’esse frequenti, e colpiscono il 10-15% dei pazienti
ospedalizzati e cateterizzati, con un rischio dell’1-3% per ogni giorno di cateterizzazione. Dato che si
tratta di infezioni nosocomiali, spesso i batteri responsabili sono multiresistenti, e se non trattati
adeguatamente sono causa del 30% delle sepsi da Gram -.

La pielonefrite (nefropatia interstiziale batterica) è una nefropatia acuta o cronica provocata dalla diretta
localizzazione di batteri nell’interstizio renale, nel bacinetto ureterale o nei calici (solo la pielonefrite
cronica e la nefropatia da analgesici coinvolgono i calici renali), frequentemente sostenuta da Gram – come
Escherichia coli, Proteus mirabilis, Pseudomonas aeruginosa o Klebsiella pneumoniae, più raramente da
Enterococcus spp. L’accesso dei batteri al parenchima renale avviene per via ascendente in caso di
infezione delle vie urinarie, reflusso vescicoureterale e intrarenale (soprattutto nei poli superiore e
inferiore, dove lo sbocco delle papille è piano o concavo più che convesso), per via ematogena in corso di
sepsi o batteriemia.

I fattori predisponenti sono meccanici (ostruzione, reflusso, atonia neurogena della vescica,
cateterizzazione e manovre strumentali), metabolici (diabete, gotta, ipokaliemia, iperparatiroidismo),
fisiologici (età, gravidanza) e iatrogeni (lassativi, FANS, steroidi), mentre i fattori determinanti sono la sepsi
o la batteriemia in caso di propagazione ematogena, l’infezione urinaria abbinata alla stasi urinaria in caso
di propagazione ascendente.

- Pielonefrite acuta
Il quadro clinico prevede febbre elevata con brivido, dolore lombare improvviso all’angolo
costovertebrale, disturbi minzionali da irritazione vescicouretrale (disuria, pollachiuria, minzione
imperiosa), malessere generale e nausea, vomito e diarrea. Il laboratorio evidenzia leucocituria,
piuria (urine torbide) e batteriuria, oltre che la presenza di cilindri leucocitari che sono specifici per
infezione renale. La conferma dell’infezione deriva dall’urinocoltura, e gli esami ematici mostrano
leucocitosi neutrofila. La funzione renale è generalmente normale, ma in caso di complicanza quale
necrosi papillare (soprattutto nei diabetici, nei pazienti con anemia falciforme e in caso di
ostruzione delle vie urinarie) l’infezione evolve in insufficienza renale acuta e nel sedimento si
possono riscontrare ematuria o papille renali necrotiche escrete, che possono potenzialmente
causare ostruzione delle vie urinarie.

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- Altre cause di necrosi papillare sono identificate dall’acronimo POSTCARDS, ovvero pyelonephritis,
obstruction of the urinary tract, sickle cell disease (anemia falciforme), tuberculosis, chronic liver
disease, analgesia/alcohol abuse, rejection of transplant, diabetes mellitus, systemic vasculitis.

Alla microscopia ottica i segni tipici sono flogosi interstiziale distribuita a focolai (edema e infiltrato
infiammatorio), microascessi, aggregati tubulari di neutrofili (cilindri leucocitari), emorragie midollari,
necrosi tubulare locale e glomeruli e arteriole generalmente indenni.

L’imaging è piuttosto utile nella diagnosi di


pielonefrite acuta, con la TC con mezzo di
contrasto che consente di identificare gli
infiltrati infiammatori (a sinistra, lo stesso
esame senza mezzo di contrasto mostra
semplicemente un rene globoso e aumentato
di volume) e la CEUS (contrast enhanced
ultrasound) le aree non captanti il mezzo di
contrasto, che rappresentano raccolte
ascessuali.

- Pielonefrite cronica
Rappresenta una reazione infiammatoria interstiziale cronica ad evoluzione lenta e
paucisintomatica (il paziente si può presentare con IRC o con sintomi suggestivi di infezioni
ripetute), dovuta ad infezione batterica e associata ad alterazioni particolari, che ha come base
eziopatogenetica il reflusso vescicoureterale e la nefropatia ostruttiva: nel caso di reflusso
vescicoureterale la risalita dell’urina durante la minzione viene distinta tramite cistourografia da
svuotamento, in 1° grado (sino al terzo distale dell’uretere), 2° grado (sino alla pelvi) e 3°-5° grado
(sino alla pelvi con distensione di pelvi e calici).

Il reflusso è la causa più comune di pielonefrite cronica, e dipende dall’insufficienza della valvola
vescicoureterale per anomalie congenite (decorso intraparietale corto, apertura piana e non di sbieco) o
acquisite (atonia vescicale, l’uretere non viene compresso durante la minzione).

La nefropatia ostruttiva determina ostacolo al deflusso urinario, ristagno di


urina a monte e sovrapposta infezione batterica, dato che il blocco del deflusso
garantisce la stasi e quindi la moltiplicazione batterica, ed è dovuta a calcolosi,
ipertrofia prostatica, neoplasie, vescica neurogena, stenosi ureterale o uretrale,
fibrosi o tumori retroperitoneali e legatura accidentale degli ureteri in corso di
interventi sulla pelvi.

- CASO CLINICO #1
Paziente ricoverato con 15mg/dL di creatina e 2g/L di azotemia in
sospetta insufficienza renale acuta: l’urografia mostra un quadro di
reflusso vescicoureterale di 5° grado con megauretere, legato ad

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un’alterazione congenita dello sbocco ureterale in vescica. Attualmente la malformazione si può


diagnosticare anche prima del parto, in modo da pianificare per tempo un intervento chirurgico o
limitare il danno attraverso l’iniezione di silicone all’interno dell’uretere, in modo da rinforzare la
muscolatura e impedire il reflusso intrarenale.

La nefropatia da ostruzione si può diagnosticare se all’ECOgrafia i calici sono dilatati e si osservano calcoli
renali (possibile causa di ostruzione), se all’RX si trovano calcoli radiopachi, se all’urografia l’uretere a
monte dell’ostruzione appare dilatato e quello a valle completamente scomparso.

il quadro clinico della pielonefrite cronica è piuttosto variabile, con un 30% dei pazienti che non mostrano
segni e sintomi specifici prima dell’insufficienza renale cronica, e un 30% che presenta invece storia di
pielonefriti acute ricorrenti o recidivanti. La perdita della funzione tubulare e della capacità di
concentrazione delle urine provoca poliuria e nicturia o enuresi in età adulta, e altri segni sono anemia
precoce, ipertensione arteriosa (spesso le malformazioni vescicoureterali vengono scoperte nei bambini in
corso di accertamenti per l’ipertensione) e riduzione asimmetrica del volume renale con contorno
irregolare del rene alterato, a causa di cicatrici grossolane al di sopra dei calici dilatati (più spesso quelli di
lobo superiore e inferiore, dove le papille hanno uno sbocco piano o concavo a differenza di quello
convesso della regione intermedia del rene).
Le indagini laboratoristiche comprendono leucocituria, a volte microematuria, proteinuria <1g/die (alcuni
pazienti possono sviluppare una glomerulosclerosi segmentaria e focale da ipertrofia compensatoria, con
proteinuria nefrosica) e urinocoltura positiva.

- Le altre cause di GSSF sono mutazioni genetiche (nefrina, podocina, actinina), evoluzione di
patologie glomerulari, HIV, anemia falciforme, abuso di eroina e obesità, oltre che alterazioni
idiopatiche.

Le indagini funzionali mostrano compromissione della capacità di concentrazione e di acidificazione, quindi


poliuria, pH urinario alcalino e acidosi metabolica, perdita obbligata di Na+, glicosuria normoglicemica,
eventualmente accompagnata da aminoaciduria e fosfaturia. I reperti morfologici macroscopici sono
cicatrici irregolari superficiali (soprattutto nei lobi superiori e inferiori), quelli microscopici sono atrofia
tubulare, tiroidizzazione (dilatazione del lume, appiattimento dell’epitelio e riempimento con cilindri simili
alla colloide) e iperplasia nelle zone non lese, infiltrazione cellulare di mononucleati e a volte neutrofili
(talvolta il parenchima non è quasi più riconoscibile), sclerosi medio-intimale dei vasi delle aree cicatriziali
ed eventualmente fibrosi periglomerulare o sclerosi glomerulare.
La terapia prevede un trattamento antibiotico adeguato guidato dall’antibiogramma, eseguito a cicli
ripetuti e adeguato alla funzione renale, oltre che la correzione dei fattori causali quali il reflusso
vescicoureterale (intervento chirurgico) e l’ostruzione.

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NEFROPATIE EREDITARIE
Le nefropatie ereditarie sono un gruppo eterogeneo di patologie renali familiari associate a mutazioni nei
geni per il collagene manifeste primariamente con il danno glomerulare, come glomerulopatie presenti già
alla nascita o glomerulonefriti ereditarie (GS segmentaria e focale, GN da depositi mesangiali di IgA, GN
membranosa, GN membranoproliferativa); altre forme sono le patologie tubulo-interstiziali, quali le
nefropatie cistiche (ADPKD, ARPKD) e le disfunzioni tubulari (nefronoftisi, rene a spugna midollare).

SINDROME DI ALPORT
Descritta per la prima volta nel 1927 da Cecil Alport, sulla base dell’osservazione di tre generazioni di
pazienti appartenenti alla stessa famiglia che svilupparono nefropatia progressiva con associata sordità: i
maschi risultavano affetti molto più frequentemente e molto più severamente delle femmine, e data
l’assenza della dialisi (inventata nel 1952) tutti i pazienti con IRC erano destinati alla morte.

La sindrome di Alport è una malattia ereditaria tipicamente X-linked (80%, i maschi sono affetti con
maggiore frequenza delle femmine), più raramente autosomica dominante o autosomica recessiva
(cromosoma 2, maschi e femmine sono affetti con uguale frequenza): si presenta con alterazioni renali che
evolvono in IRC entro i 20-50 anni, sordità neurosensoriale per le frequenze comprese fra 2’000Hz e
8’000Hz e alterazioni oculari quali cataratta posteriore, dislocazione del cristallino e distrofia della cornea.
Sono state identificate più di 300 mutazioni, La frequenza della patologia è di 1/5'000, e provoca l’1-2% dei
casi di uremia terminale: la causa è la mutazione di una qualsiasi delle tre catene costituenti il trimero del
collagene IV, riccamente rappresentato nella lamina densa della MBG, nell’organo del Corti e a livello
oculare.

- Il collagene di tipo IV è composto da tre trimeri, rispettivamente α1/α1/α2, α3/α4/α5 e α5/α5/α6:


mentre il collagene di tipo I, che risulta il più rappresentato nell’organismo, è costituito unicamente
dalle catene α1 e α2, il collagene di tipo IV aggiunge le catene α3, α4, α5 e α6, che si intrecciano
per garantire la porosità della MBG tramite ponti disolfuro tra eterotrimeri differenti. Le varie
catene α sono codificate a coppia sui cromosomi, per cui il cromosoma 2 contiene i geni per α3 e
α4, mentre il cromosoma X quelli per α5 e α6 (α1 e α2 sono codificate sul cromosoma 13, ma dato
che entrano nella costituzione del collagene di tipo I e di tutte le membrane basali le mutazioni non
consentono la sopravvivenza dell’embrione).

Le catene α3 e α4 sono espresse nella MBG, nella capsula del Bowman e nel tubulo distale; le catene α5
nella MBG, nella capsula del Bowman, nel tubulo distale e nel dotto collettore; le catene α6 nella capsula
del Bowman, nel tubulo distale e nel dotto collettore. Nessuna delle catene (α3, α4 e α5) è espressa
durante la vita embrionale, quando la filtrazione glomerulare è garantita dall’ipertrofia fisiologica dei reni
materni (la donna in gravidanza ha la creatinina a 0,4-0,6mg/dL): alla nascita inizia la filtrazione
glomerulare nel rene del bambino, e si ritiene che lo stress di parete sulla barriera di filtrazione provochi
uno switch isotipico dalle catene α1 e α2 a quelle più funzionali α3, α4, α5 e α6, in modo da rendere più
solido un apparato che in precedenza si limitava a produrre il liquido amniotico e che deve garantire
durante la vita extrauterina anche la filtrazione plasmatica. Se lo switch non avviene si manifesta la
sindrome di Alport, che è quindi dovuta alla minore resistenza allo stress di parete garantita dalla catene
α1 e α2.

Il segno iniziale più comune della patologia è la microematuria, che nei maschi con mutazione X-linked è
presente già nel primo anno di vita e diventa macroscopica, spesso in concomitanza con infezioni delle vie
respiratorie, nelle prime due decadi di vita; nelle femmine con mutazione X-linked può essere l’unica
manifestazione; nei casi di eredità autosomica l’ematuria è persistente e non mostra differenze fra maschi
e femmine. La proteinuria è di solito assente nei primi anni di vita (la MBG è meno competente ma la

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permeabilità è conservata), e compare dopo il primo lustro nei maschi con forma X-linked e in entrambi i
sessi in caso di forma autosomica dominante. L’ipertensione aumenta in incidenza e severità con l’età, ma

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non è legata alla sindrome di Alport quanto al danno renale che diventa via via più importante. L’IRC si
sviluppa in tutti i maschi con mutazione X-linked e in tutti i pazienti con mutazione autosomica, con velocità
differente a seconda della mutazione specifica ma di norma entro i 30 anni.

Tra le manifestazioni extrarenali si riconoscono difetti uditivi e alterazioni oculari:

- Difetti uditivi
Possono essere lievi e richiedere esami approfonditi per essere rilevati, ma nella metà dei casi
arrivano a sordità pur con progressione molto lenta.

- Alterazioni oculari
Compaiono nel 15-40% dei pazienti come lenticono anteriore o posteriore, distrofia della cornea o
cataratta, ma raramente determinano deficit visivi; altre manifestazioni sono di tipo vascolare,
come chiazze retiniche perifoveali, puntiformi o biancastre.

Altre anomalie comuni nel paziente con sindrome di Alport sono iperaminoaciduria con iperprolinemia,
macrotrombocitopenia, leiomiomatosi esofagea, tracheobronchiale e genitale e positività di anticorpi anti-
tiroide aspecifici (senza lo sviluppo di tiroidite di Hashimoto).

La diagnosi si basa sull’anamnesi familiare, sull’esame delle urine e sul controllo di udito e occhi, ed
eventualmente sulla biopsia cutanea e renale: la prima è opportuna nel bambino piccolo con ematuria e
familiarità, ed è considerata diagnostica qualora rilevi l’assenza della catena α5 (forma X-linked), mentre la
biopsia renale è opportuna nel bambino più grande con alterazioni conclamate della funzionalità renale. Si
tratta di una diagnosi difficile che richiede una serie di tappe successive, ma che va sospettata in ogni
ragazzo con ematuria glomerulare non altrimenti classificabile e in caso di adulti con glomerulonefrite
aspecifica, oltre che quando in famiglia ci siano casi di IRC.

- La biopsia cutanea non riscontra catene α5 nella membrana basale, o al limite mostra un pattern
discontinuo nelle femmine eterozigoti per mutazione X-linked, ma comunque un reperto normale
non esclude la diagnosi di sindrome di Alport, e può essere necessaria la biopsia renale per
verificare la presenza di catene α3-α4 (trasmissione autosomica).

Il decorso clinico della malattia prevede nel maschio (o nella femmina con malattia autosomica) ematuria a
5 anni, deficit uditivo a 10 anni, ipertensione arteriosa a 15 anni, IRC a 20 anni e danno renale avanzato
con manifestazioni oculari a 25 anni. Nelle femmine è per lo più asintomatica, ma è possibile che si
manifesti compiutamente per processi di lyonizzazione del cromosoma X mutato, per cui solo 1/3 delle
pazienti sviluppa ipertensione arteriosa e solo una minoranza arriva all’IRC.

La biopsia renale mostra alla microscopia ottica alterazioni aspecifiche, che nelle fasi iniziali della malattia
si limitano allo spessore irregolare della membrana basale, con aumento della matrice mesangiale e foam
cells interstiziali, mentre il progredire della malattia determina lo sviluppo prima di glomerulosclerosi focale
e segmentaria, poi di sclerosi vascolare, atrofia tubulare e fibrosi interstiziale. L’immunofluorescenza è
negativa ma può essere utile nella diagnosi, in quanto gli anticorpi diretti contro le catene α3, α4 e α5 non
si legano alla MBG.
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Alla microscopia elettronica le alterazioni sono caratteristiche in quanto la MBG appare irregolare, con aree
di ispessimento e assottigliamento (spessore compreso fra 100nm e 1200nm), slaminamento e
frammentazione della lamina densa che appare a canestro intrecciato.

La terapia della sindrome di Alport prevede il trapianto da donatore cadavere, o da un familiare previa
esecuzione di test genetici, ma raramente nel rene trapiantato compare una glomerulonefrite da anticorpi
anti-MBG perché la presenza del collagene IV non viene riconosciuta come self dal sistema immunitario del
ricevente: la terapia immunosoppressiva è di solito in grado di controllare la progressione della
glomerulonefrite, ma al paziente è richiesta la perfetta aderenza alla terapia.

MALATTIA DI FABRY
Descritta per la prima volta nel 1898 dai dermatologi William Anderson (inglese) e Johannes Fabry
(tedesco), che contemporaneamente pubblicarono due studi sull’osservazione di pazienti con
angiocheratoma corporis diffusum, che oltre ad alterazioni cutanee presentavano IRC come causa di morte
in giovane età. La malattia di Fabry è attualmente definita correttamente come malattia da accumulo
lisosomiale (sfingolipidosi), con eredità X-linked e incidenza stimata pari a 1/117'000 maschi: la causa è la
mutazione deficitaria dell’enzima α-galattosidasi A, che scinde i glicosfingolipidi in lattosilceramidi e
galattosio, per cui la mancanza dell’azione enzimatica porta all’accumulo di globotriaosilceramide (Gb3)
all’interno dei lisosomi, con manifestazioni a carico di diversi organi.

La trasmissione ereditaria è legata al cromosoma X, per cui una madre portatrice ha il 50% di probabilità di
trasmettere la mutazione ai figli maschi o femmine, mentre un padre affetto (emizigote) ha tutti i figli
maschi sani ma trasmette la mutazione alle figlie femmine: nonostante la presenza di due cromosomi X, il
carattere multisistemico della malattia è la causa del fatto che i sintomi siano presenti anche nella maggior
parte delle femmine affette, con uno spettro molto variabile a causa del pattern di lyonizzazione del
cromosoma X, per cui alcune possono essere colpite con la stessa gravità dei maschi emizigoti.

A seconda del genotipo (sono state identificate più di 300 mutazioni tra cui piccole o ampie delezioni,
mutazioni puntiformi missenso o non-senso, molte delle quali specifiche di una singola famiglia) il quadro
clinico può essere differente, con una forma classica tipica dei maschi emizigoti e delle femmine
eterozigote (later-milder, la patologia non ha spesso la stessa severità che ha nei maschi e si sviluppa più
tardivamente), una variante cardiaca (cardiomiopatia restrittiva o dilatativa da accumulo e proteinuria),
una variante renale tipica dei maschi emizigoti (nefropatia isolata) e una variante intermedia
(cardiomiopatia restrittiva o dilatativa da accumulo a 40 anni seguita da IRC end-stage).

- La nefropatia presenta una prima fase silente, con lesioni istologiche precoci durante l’infanzia e
l’adolescenza; microalbuminuria e proteinuria durante 3° e 4° decade e IRC con evoluzione end-
stage entro la 5° decade.

L’accumulo di Gb3 danneggia tutti i tessuti dell’organismo, e in particolare le cellule epiteliali (renali e
respiratorie), i miocardiociti, le cellule delle radici dorsali dei gangli e le cellule neuronali, i neuroni del
sistema nervoso autonomo e le cellule di endotelio e muscolatura liscia vascolare.

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Uno dei sintomi più caratteristici della patologia è il dolore, secondario all’accumulo di Gb3 nelle fibre
nervose sensitive: l’intensità è tale da spingere il paziente al suicidio (anche se di norma si riduce man
mano che il paziente cresce), colpisce prevalentemente palmo delle mani e pianta dei piedi e viene
esacerbato da febbre, esercizio fisico e alterazioni della temperatura; un secondo sintomo particolare è
l’anidrosi, ovvero la mancata sudorazione, che impedisce al paziente la regolazione termica e provoca
intolleranza al caldo e lipotimie o sincopi negli ambienti surriscaldati (la dissipazione del calore viene
ostacolata). L’angiocheratoma è legato all’accumulo di Gb3 nelle cellule endoteliali dei vasi cutanei, e si
sviluppa come lesioni maculo- papulari persistenti e insensibili alla pressione, spesso disposte “a calzoncino
da bagno” su glutei, genitali, zona ombelicale e dorso basso, per poi diffondersi a tutto il corpo.

La cardiomiopatia nel paziente con sindrome di Fabry è tipicamente una forma da accumulo (restrittiva o
dilatativa), che deriva dall’alterazione delle cellule endoteliali vascolari o degli stessi cardiomiociti, ed
evolve rapidamente in disfunzione cardiaca (FE 35-40%): i sintomi cardiaci compaiono spesso nella 2°-3°
decade, più tardivamente nelle femmine, e consistono in disturbi della conduzione e aritmie, ipertrofia
ventricolare sinistra (fattore prognostico negativo), prolasso della mitrale o insufficienza con rigurgito e
alterazioni ECGrafiche quali sottoslivellamento dell’ST e inversione delle onde T nelle derivazioni precordiali
destre, in assenza di anamnesi positiva per sindrome coronarica acuta.

Ci sono ancora una serie di segni e sintomi cerebrovascolari, quali trombosi, TIA, aneurisma dell’arteria
basilare, emiplegia, emianestesia, afasia, disturbi del labirinto con vertigini, ipoacusia, tinnito, emorragie
cerebrali o infarti diffusi e problemi psichiatrici.

A livello oculare l’alterazione caratteristica è la cornea verticillata, ovvero dotata di un’opacità lattescente
con forma a volta e di vasi particolarmente tortuosi, che provoca cataratta anteriore e posteriore e disturbi
visivi sino alla cecità.

Altri segni e sintomi sono disturbi GI e malassorbimento, come diarrea, dolore addominale, nausea e
vomito, e disturbi delle vie respiratorie con ridotta funzionalità e deficit ostruttivo o restrittivo nei pazienti
anziani.

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Il rene viene inizialmente coinvolto da manifestazioni non troppo severe, in quanto i depositi di Gb3 si
devono accumulare prima di provocare una compromissione funzionale manifesta: i depositi i localizzano
nelle cellule epiteliali ed endoteliali del glomerulo e nelle cellule epiteliali di tubuli distali e ansa di Henle,
causando modesta proteinuria e talvolta ematuria, sino al diabete insipido per alterazioni marcate dei dotti
collettori e all’IRC che è la causa principale di morte dei pazienti con sindrome di Fabry, nonostante i
problemi siano multisistemici.

La biopsia renale è estremamente utile in quanto permette di individuare sia depositi ialini a livello
mesangiale e ialinosi glomerulare, oltre che glomerulosclerosi segmentaria e focale e danno tubulo-
interstiziale nei casi più gravi (microscopia ottica), sia inclusioni di Gb3 all’interno delle cellule tubulari e dei
podociti evidenti come corpi zebra-like lamellari (microscopia elettronica).

Il decorso clinico della malattia di Fabry vede durante l’infanzia dolore e intorpidimento delle dita di mani e
piedi, teleangectasia su orecchie e congiuntiva, angiocheratoma periombelicale e inguinale, edema
palpebrale, fenomeno di Raynaud e anomalie oftalmologiche, tutti segni abbastanza aspecifici che spesso
portano al ritardo della diagnosi; durante l’adolescenza gli angiocheratomi si estendono a gran parte del
corpo e possono comparire l’intolleranza al calore (ipertermia, lipotimie e sincope) e i primi disturbi renali
(ematuria, proteinuria, lipiduria), oltre che linfadenopatie e dolore addominale; nella 3°-4° decade
compaiono tutti gli altri sintomi, quindi disturbi cardiaci e incidenti cerebrovascolari, reperti neurologici che
mimano la sclerosi multipla e insufficienza renale.

La diagnosi di malattia di Fabry è piuttosto complessa, a causa della rarità della malattia, del numero degli
organi coinvolti e dell’aspecificità dei sintomi, per cui in media il paziente viene visitato da 10 medici e la
diagnosi definitiva richiede minimo 10 anni (nel bambino si parla spesso di dolori della crescita o artrite
reumatoide, nell’adulto di sclerosi multipla).

- Esiste un kit preconfezionato che prevede un semplice prelievo di sangue, spedito a Bergamo dal
professor Remuzzi dove viene evidenziata la mancanza dell’α-galattosidasi.

Data la base genetica della patologia, la familiarità è estremamente utile nel percorso diagnostico, ragion
per cui la raccolta anamnestica deve essere accurata: inoltre, lo studio del nucleo familiare può permettere
di individuare altri soggetti affetti ancora non sintomatici e trattarli, dato che la sopravvivenza rispetto alla
popolazione normale si riduce in maniera importante già a partire dai 35 anni (nei maschi più che nelle
femmine): nel maschio la diagnosi è positiva quando si registra un deficit di attività̀ dell’α-galattosidasi A nel
plasma e in leucociti e fibroblasti, mentre nella femmina basta il riscontro di livelli molto bassi di attività
dell’enzima; se l’attività enzimatica risulta nella norma ma il sospetto clinico è importante può essere
necessaria la conferma tramite test genetico.

Esiste una correlazione tra la malattia di Fabry e la nefropatia diabetica, in quanto le cellule epiteliali
danneggiate dagli accumuli di Gb3 producono maggiori quantità di TGFβ1, associato anche alle lesioni
renali dei pazienti con DM.

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La terapia dei pazienti con malattia di Fabry prevede la sostituzione dell’enzima deficitario, mediante
infusione a settimane alterne di proteina sintetica (agalsidasi), a totale carico del SSN e con durata di 40
minuti: l’agalsidasi-α viene ottenuta da fibroblasti umani geneticamente modificati, e migliora la filtrazione
glomerulare e la funzione renale, stabilizza l’ipertrofia del ventricolo sinistro e riduce l’intensità dei dolori;
l’agalsidasi-β (Replagal) rappresenta l’enzima ricombinante prodotto da colture di cellule di ovaio di criceto
cinese geneticamente modificate, ed è utile per rimuovere i depositi di Gb3 da cuore, cellule renali, plasma
e cute.

MALATTIE CISTICHE DEL RENE


Il gruppo delle malattie cistiche del rene comprende diverse malattie ereditarie, di sviluppo e acquisite,
importanti in quanto sono abbastanza comuni, causano spesso IRC e possono essere scambiate per tumori
maligni. Le principali sono la malattia policistica autosomica dominante dell’adulto (ADPKD, autosomal
dominant polycystic kidney disease) e la malattia policistica autosomica recessiva del bambino (ARPKD,
autosomal recessive polycystic kidney disease), oltre che la nefronoftisi e il rene a spugna midollare.

ADPKD
Rappresenta una malattia policistica renale con eredità autosomica dominante, caratterizzata da numerose
cisti renali bilaterali che si accompagnano a manifestazioni extrarenali quali cisti epatiche, ernia iatale,
prolasso mitralico e aneurismi sacculari intracranici. La condizione è relativamente comune (è la più
frequente causa genetica di IRC), e rappresenta circa il 10-15% dei casi di nefropatia che richiedono dialisi o
trapianto (seconda solo a ipertensione e diabete), con una prevalenza di 1/400-1/1'000 nati vivi.

La principale manifestazione dell’ADPKD è l’aumento dimensionale dei reni, che deriva dalla proliferazione
anomala delle cellule tubulari e dalla produzione di liquido che colma le cisti (può avere diversa natura e
apparire trasparente, torbido o ematico), e che può portare allo sviluppo di organi anche di 4kg ciascuno,
che gradualmente perdono il parenchima funzionante per compressione da parte del tessuto proliferante
circostante. Le cisti possono interessare oltre che il rene anche
il fegato e raramente milza, polmone e pancreas, ma a livello
renale si sviluppano a partenza sempre dal nefrone (dalla
capsula di Bowman al dotto collettore) e mai dai tessuti
intestiziali, come cavità ripiene di liquido di differente aspetto
(trasparente, citrino, scuro o emorragico) in numero variabile.
Sono intercalate a zone con struttura normale e nefroni
funzionanti, e fino a che il diametro è inferiore ai 200μm
rimangono comunicanti con il tubulo di origine, mentre per
dimensioni maggiori diventano strutture autonome.

I geni implicati nell’ADPKD sono PKD1 (cromosoma 16p, 85% dei casi) e PKD2 (cromosoma 4q), che
codificano rispettivamente per la policistina 1 e la policistina 2, facenti parte del complesso del cilio
primario: in particolare, la proteina codificata dal gene PKD1 è responsabile dell’adesione cellula-cellula e
cellula-matrice, mentre quella codificata dal gene PKD2 è un canale per il Ca2+. Nonostante l’eredità sia
autosomica dominante, la patologia non si sviluppa se una seconda mutazione non altera il gene non
mutato (teoria del doppio colpo o two hits), per cui i pazienti affetti non sviluppano di solito IRC prima dei
40-50 anni di età a causa del tempo necessario ad acquisire la seconda mutazione e quello necessario allo
sviluppo delle cisti. Di norma, i pazienti con mutazione di PKD2 hanno un decorso clinico più blando con età
di insorgenza della malattia più avanzata, per cui l’IRC è comune oltre i 60-70 anni, mentre la progressione
è rapida nei maschi afroamericani, nei pazienti con anemia falciforme o in quelli ipertesi.

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La patogenesi della malattia non è stata ancora chiarita,


ma l’ipotesi più plausibile è legata alla disfunzione del
complesso cilia-centrosoma delle cellule epiteliali
tubulari, all’origine delle cisti: ciascuna cellula possiede un
singolo cilio immobile o cilio primario, che è formato da
microtubuli, aderisce dal centriolo e si estroflette dalla
membrana apicale delle cellule tubulari, funzionando da
sensore meccanico per monitorare le variazioni di flusso
e lo stress da distensione. In risposta ai segnali esterni, il
cilio regola l’ingresso di ioni nella cellula epiteliale, e
controlla anche proliferazione e polarità cellulare, per cui
è probabile che difetti della sensibilità meccanica, del
flusso di Ca2+ e della trasduzione del segnale siano
all’origine della formazione delle cisti.

- Una particolarità dell’ADPKD è che nonostante il danno diffuso del parenchima man mano che le
cisti si formano e si accrescono, la funzione delle cellule juxtaglomerulari rimane inalterata, e la
produzione di EPO viene mantenuta così che i pazienti non risultano anemici neppure in fase
avanzata di IRC.

Il quadro clinico è spesso asintomatico sino all’IRC (se le cisti diventano di grandi dimensioni possono
essere palpate all’esame obiettivo), che è preceduta da un declino insidioso della funzionalità renale, ma in
alcuni casi l’emorragia o la dilatazione delle cisti possono provocare dolore al fianco (distensione della
capsula da parte di cisti superficiali, caratteristiche dell’ADPKD) o microematuria o macroematuria
sporadica, oppure la malattia si può complicare con la sovrainfezione delle cisti: un elemento comune a
tutti i pazienti è l’ipertensione, che è presente precocemente già nella fase di normofunzione renale
probabilmente per la compressione meccanica dei vasi intrarenali e per la stimolazione del RAAS, e che
contribuisce alla patogenesi di complicanze cardiache e vascolari potenzialmente letali. Altre
manifestazioni associate, legate al coinvolgimento extrarenale, sono rappresentate da diverticolosi del
colon, alterazioni neurologiche, aneurismi cerebrali sacciformi (il rischio di rottura aumenta enormemente
con l’ipertensione), ernia iatale e prolasso mitralico, oltre che associazioni non comuni come sclerosi
tuberosa, nefronoftisi, rene a spugna midollare e sindrome di Von Hippel Lindau.

- La terapia è unicamente chirurgica, e prevede la rimozione dei reni con dialisi e quando possibile
trapianto: ci sono stati alcuni tentativi per ridurre la velocità di formazione delle cisti e l’accumulo
di liquidi (vaptani, antagonisti del recettore dell’ADH), ma attualmente non esistono farmaci
efficaci.

La diagnosi si fa essenzialmente tramite l’ECOgrafia (se è dubbia si procede all’RM) e il riscontro di storia
familiare positiva per malattia policistica (solo il 10% è sporadico per mutazione de novo), e in caso di
pazienti con familiarità negativa o fenotipo non tipico è opportuno eseguire uno studio genetico: lo studio
genetico si fa anche in corso di donazione da vivente da parte di familiare in giovane età, visto che la
patologia potrebbe non essersi ancora manifestata.

- Indagini aggiuntive utili sono la colonscopia per la ricerca di diverticoli e l’angiografia dei vasi
cerebrali in modo da riscontrare la presenza di aneurismi sacculari.

ARPKD
Rappresenta la forma di malattia cistica del bambino, estremamente grave e letale entro i primi anni di
vita: la base genetica è la mutazione in omozigosi del gene PKHD (6p) che codifica per la fibrocistina, una
proteina facente parte del complesso del cilio primario con probabile funzione di recettore regolatore della
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differenziazione fra dotti collettori e dotti biliari. L’incidenza è di 1/10’000-1/40'000 bambini all’anno, con

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1/70 portatori nella popolazione sana, e si distingue a seconda del momento di insorgenza e
dell’associazione con lesioni epatiche in perinatale, neonatale (le più frequenti), infantile e giovanile (più
rara e meno severa): nei primi due casi la malattia è presente già alla nascita, e si può addirittura
diagnosticare a partire dalla 24° settimana di gravidanza qualora si osservino reni ingranditi e iperecogeni.
A differenza che nell’ADPKD, dove macroscopicamente la superficie del rene presenta cisti e alterazioni
strutturali, nell’ARPKD il rene è solo aumentato di volume ma perfettamente liscio, e al taglio sagittale
mostra dilatazioni ad orientamento radiale rispetto alla capsula, che sostituiscono completamente corticale
e midollare. Frequentemente sono associate lesioni epatiche quali fibrosi portale e proliferazione dei dotti
biliari ben differenziati, alterazioni note come fibrosi epatica congenita: nella forma giovanile, le alterazioni
epatiche dominano il quadro, e i bambini sviluppano ipertensione portale con funzione epatica conservata,
splenomegalia e scompenso cardiaco secondario all’ipertensione, difficoltà ad alimentarsi e ritardo di
crescita (comunque la maggior parte dei pazienti non sopravvive). Durante la gravidanza il rene fetale
produce minime quantità di liquido amniotico, condizione nota come oligoanidramnios, e il liquido risulta
insufficiente alla perfusione dei polmoni del feto, con iposviluppo polmonare e gravi atelettasie, per cui il
30% dei neonati muore di insufficienza respiratoria.

NEFRONOFTISI
Rappresenta una forma di degenerazione cistica della midollare del rene, in passato accomunata alla
malattia cistica midollare dell’adulto che oggi viene considerata una forma autonoma. Si manifesta con
alterazioni renali già durante l’infanzia e IRC dopo i 6 anni di età, anemia, poliuria e polidipsia, iponatriemia,
proteinuria con urine isostenuriche e acidosi metabolica, e alla microscopia ottica si osservano atrofia
tubulare, fibrosi interstiziale, dilatazioni cistiche midollari e disintegrazione della membrana basale dei
tubuli midollari.

La base genetica consiste in mutazioni autosomiche recessive dei geni NPH1 e NPH2 (NPH1-11), che
codificano rispettivamente per la nefrocistina e per l’inversina (coinvolta nella differenziazione
destra/sinistra), e si conoscono forme sporadiche, familiari e associate a displasia retinica: il meccanismo
patogenetico è comune e dipende dalla disfunzione ciliare, con crescita tissutale non regolata e formazione
di cisti.

MALATTIA CISTICA MIDOLLARE


Il quadro clinico e istologico è esattamente identico a quello della nefronoftisi, con cisti midollari a
partenza dai tubuli contorti distali, fibrosi interstiziale, atrofia tubulare e disintegrazione della membrana
basale, poliuria e polidipsia, anemia, proteinuria con urine isostenuriche, iponatriemia e acidosi metabolica,
ma l’IRC si sviluppa tardivamente rispetto alla nefronoftisi, di norma intorno ai 20-50 anni di età.

La base genetica è una mutazione autosomica dominante dei geni MCKD1 o MCKD2, che si associano oltre
che all’IRC e alla presenza di cisti (soprattutto MCDK1) anche alla gotta.

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INSUFFICIENZA RENALE ACUTA


Si definisce come la riduzione della capacità dei reni di espletare le specifiche funzioni escretorie (oligo-
anuria) ed endocrine, che si sviluppa in ore e giorni e può essere reversibile (caratteri distintivi con
l’insufficienza renale cronica, che si sviluppa invece in mesi o anni ed è irreversibile): si manifesta con
l’accumulo dei prodotti del catabolismo proteico e con la mancata regolazione dell’omeostasi di fluidi ed
elettroliti. Dato che il rene riceve una quota di sangue pari a 9 volte quella cerebrale e che ogni cellula
dell’organismo produce scorie da eliminare, il malfunzionamento dell’organo comporta l’accumulo dei
materiali di scarto, estremamente pericoloso.

- Il quadro veramente acuto viene scoperto da un colonnello inglese (Brown), e definito per la prima
volta in una pubblicazione del 17/9/1917, con 54 casi di soldati che durante la Prima Guerra
Mondiale avevano subito traumi da schiacciamento e dopo qualche giorno sviluppavano IRA: il
termine IRA in quanto tale è stato coniato invece negli anni ’60 come AKI (acute kidney injury) che è
in realtà un termine più ampio che comprende l’IRA.

L’IRA è responsabile dell’1-2% dei ricoveri ospedalieri e si verifica nel 7% dei ricoveri totali, complicando
sino al 30-50% dei ricoveri in terapia intensiva (un paziente ha molte più probabilità di sviluppare IRA in un
contesto ospedaliero piuttosto che in ambiente domiciliare perché i principali farmaci nefrotossici vengono
somministrati in grandi quantità in ospedale): anche se reversibile , è la prima causa di morbilità e mortalità
nei pazienti ricoverati, ed è un elemento prognostico sfavorevole nel decorso di molteplici processi
patologici, ovvero se un malato con infarto del miocardio non ha IRA ha una prognosi molto migliore
rispetto ad un malato con infarto del miocardio e IRA.

Il RIFLE è un sistema di classificazione del danno renale


corrispondente a risk, injury, failure, sustained loss e
end-stage kidney disease (ERSD): date le enormi
capacità di compenso del sistema renale, la rimozione
di uno dei due reni non modifica in maniera
apprezzabile il filtrato, tanto che la creatinina non
viene alterata, per cui nel momento in cui si registra un
incremento patologico della creatininemia significa che
la funzione renale è stata compromessa già oltre il
50%, e si comprende come la diagnosi precoce sia
estremamente utile.

Secondo l’ultimo aggiornamento della classificazione, il


risk corrisponde ad un improvviso decremento del VFG
del 25% in 1-7 giorni, o a livelli in cronico di
creatininemia pari al 150% del normale anche se i
valori non sono francamente patologici; l’injury è tale
quando
il VFG cala del 50% o la creatininemia raddoppia; il failure quando il VFG cala del 75% o la creatininemia
triplica; il sustained loss rappresenta un danno irreversibile o persistente, e i segni devono essere presenti
da almeno 4 settimane; l’ERSD richiede la presenza dei sintomi da almeno 3 mesi.

Se il paziente presenta oliguria, la discriminante della severità del danno è rappresentata dal tempo, per cui
il risk corrisponde ad oliguria da 6 ore, l’injury ad oliguria da 12 ore, oltre si parla di failure (si ha failure
anche nel caso di anuria da 12 ore).

L’IRA viene distinta su base patogenetica in pre-renale (funzionale, 70-80%), post-renale (ostruttiva, 10-
20%) e renale (organica, 5-10%): nella forma pre-renale il rene non è alterato, e il problema è nella
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perfusione

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dell’organo (ipotensione, riduzione del VCE); nella forma renale il rene è oggettivamente incapace di
produrre urina e di funzionare per lesioni parenchimali di glomeruli, tubuli, interstizio o vasi; nella forma
post-renale l’urina viene prodotta correttamente ma non viene eliminata (ostruzione).

- IRA pre-renale

Dipende dalla riduzione della pressione arteriosa, per infarto del miocardio, aritmie o shock (sepsi,
embolie), o dalla riduzione del VCE, per emorragie, disidratazione (sudorazione estrema, vomito
incoercibile, diarrea profusa), perdita di plasma (ustioni, traumatismi estesi) o ridistribuzione (edemi,
cirrosi). L’alterazione della funzione renale risulta in questo caso una risposta parafisiologica all’insufficiente
perfusione, ma il parenchima è perfettamente integro e se l’organo viene trapiantato è assimilabile ad un
rene funzionante: se prontamente trattata (nella maggior parte dei casi basta la
reidratazione) regredisce con velocità variabile, ma se non è
trattabile o se la terapia non è adeguata evolve facilmente in IRA
renale.

La vascolarizzazione del rene è piuttosto articolata, in quanto i vasi


che originano dall’arteria renale si diramano fino a cedere le arterie
arcuate (13), che continuano nelle arterie interlobulari (10) e nelle
arteriole afferenti (6) ed efferenti (5), separate dal glomerulo. I
glomeruli corticali danno origine dopo l’arteriola efferente ad un
secondo plesso capillare che continua nel plesso venoso superficiale
(7), quelli intermedi al plesso capillare peritubulare (11) e quelli
iuxtamidollari (20-25%) ai vasa recta (15), che drenano poi nelle
vene arcuate (14).

La filtrazione viene mantenuta costante attraverso l’autoregolazione renale, che si basa sul fatto che il rene
deve poter reagire alle alterazioni della perfusione: quando la pressione arteriosa media varia fra 50mmHg
e 200mmHg, vasocostrizione e vasodilatazione arteriolare (mediate da angiotensina II, NO, PGE2, ADH e
aldosterone) mantengono il FPR e la VFG costanti, ma al di sotto di 60mmHg di pressione sistolica e di
50mmHg di pressione media la regolazione non riesce più a bilanciare l’ipotensione e il filtrato glomerulare
si riduce.

- Quando la pressione arteriosa aumenta, la compensazione prevede la contrazione dell’arteriola


efferente e la dilatazione di quella efferente; quando la pressione arteriosa diminuisce il processo è
esattamente opposto, con dilatazione dell’arteriola afferente e contrazione di quella efferente.
Mentre il meccanismo miogeno dipende principalmente dalle variazioni della pressione di
perfusione, il feedback tubuloglomerulare si basa sul contenuto di Cl- e Na+ nel filtrato in arrivo
alla macula densa, con stimolazione del RAAS in caso di livelli ridotti, vasocostrizione dell’arteriola
efferente e stimolazione dei processi di riassorbimento e ritenzione idrica.

Anche se i meccanismi per cui l’IRA pre-renale evolve in IRA organica non sono perfettamente noti, la teoria
più accreditata è che a riduzione prolungata del volume o della pressione di perfusione induca la
vasocostrizione delle arteriole corticali (si ha dolore gravativo da contrazione prolungata), con la
redistribuzione del flusso ai glomeruli iuxtamidollari anche grazie alla liberazione di citochine
infiammatorie (il contributo ai vasa recta li rende i nefroni funzionalmente più importanti dell’organo): la
riduzione del VFG nei nefroni non perfusi porta al riassorbimento di Na+ e H2O (principalmente ad opera
dei nefroni perfusi) stimolato dal RAAS e compare oliguria.

- La distinzione fra IRA pre-renale e renale è importante per la terapia, dato che quando un paziente
entra in PS con oliguria la somministrazione di liquidi è terapeutica in caso di IRA pre-renale,
potenziale causa di edema polmonare acuto in caso di IRA renale. Un elemento distintivo è la
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concentrazione urinaria di Na+, molto bassa nell’IRA pre-renale per ritenzione attiva e isotonica con
il sangue nell’IRA renale perché il rene ha perso la capacità di concentrazione.

L’IRA pre-renale non ha un quadro clinico specifico, ma i sintomi dipendono dalla patologia di base che
provoca turbe del VCE o della perfusione renale al di fuori delle possibilità di compenso, e i segni
comprendono una diuresi ridotta (<500mL/die), urea massimo a 250mg/dL, creatinina massimo a 3-4mg/dL
e squilibri elettrolitici variabili.

L’analisi delle urine è estremamente utile per la diagnostica differenziale con le altre cause di IRA, e mostra
peso specifico normale o aumentato (>1015), osmolarità aumentata (l’urea viene espulsa in un volume
ridotto, quindi l’osmolarità arriva a >500mOsm/kg) allo stesso modo delle frazioni escrete di creatinina e
urea, mentre la frazione escreta del Na+ è ridotta (<1 o <20mEq/L, l’unico caso in cui è ancora minore è la
sindrome epatorenale, con deviazione del flusso renale al resto della circolazione splancnica).

La guarigione è possibile quando si corregge in tempo la causa scatenante, ma non sempre è possibile
somministrare i liquidi necessari al paziente (pancreatite, infarto del miocardio), e in questi casi si ha
l’evoluzione in IRA organica, con possibilità di guarigione o di evoluzione definitiva in insufficienza renale
cronica.

- IRA post-renale

Comprende tutte le condizioni in cui l’efflusso di urina venga ostacolato, senza alterazioni nella produzione
almeno nelle fasi iniziali: le cause principali sono ostruzioni litiasiche o da coaguli, stenosi congenite o
iatrogene, fibrosi retroperitoneale, tumori, compressione ab extrinseco da parte di masse o dell’utero
gravido in corso di gravidanza, malformazioni congenite della giunzione ureterovescicale, IPB o carcinoma
della prostata e atonia vescicale (vescica neurogena).

L’ostruzione provoca intuitivamente la dilatazione delle vie urinarie a monte, che viene favorita anche
dall’incremento riflesso della filtrazione glomerulare nelle fasi iniziali dell’ostruzione: infatti, l’aumentata
pressione all’interno dello spazio di Bowman provoca la vasocostrizione riflessa dell’arteriola efferente in
modo da aumentare la pressione di filtrazione e compensare l’incremento pressorio, ma l’effetto finale è un
peggioramento del quadro clinico.

La presentazione clinica dipende dalla rapidità e dal grado dell’ostruzione, per cui se si tratta di
un’occlusione totale acuta (litiasi) il paziente presenta dolore da distensione capsulare, oliguria o anuria
(ostruzione bilaterale), se si tratta di un’occlusione parziale si manifesta oliguria, se si tratta di
un’ostruzione parziale cronica con sviluppo di idronefrosi e danno renale si manifesta poliuria.

- In alcuni casi, l’idronefrosi può essere completamente silente qualora il rene controlaterale
funzioni correttamente, e la scoperta è incidentale in corso di indagini diagnostiche per altre
motivazioni.

Il pericolo dell’IRA post-renale è la sua trasformazione in IRA renale, perché la graduale dilatazione delle vie
urinarie e l’aumento di pressione luminale comportano la riflessione primaria sulle cellule tubulari: la
necrosi cellulare consente il reflusso di urina prima nell’interstizio renale e poi nel tessuto perirenale, dove
viene riassorbito da vene e vasi linfatici, e la dilatazione comprime inoltre i vasi midollari, aggiungendo al
danno meccanico anche quello ischemico.

Gli esami strumentali utili alla diagnosi di IRA ostruttiva sono l’ECOgrafia, che mostra la dilatazione della
pelvi e dei calici, eventuali masse e ostruzioni della regione prossimale e distale dell’uretere (quella
intermedia è schermata dall’intestino), la RX per la visualizzazione di calcoli radio-opachi (eventualmente
come urografia per avere informazioni sulle vie urinarie), la TC (uroTC) e la RM per indagini più
approfondite e precise.

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Gli esami ematici mostrano l’incremento di urea e creatinina, mentre quelli delle urine sono aspecifici e
variabili; la terapia consiste nella rimozione dell’ostacolo, ed è un’emergenza qualora il paziente sia
anurico.

- IRA-renale

Dipende dal danno organico a livello di uno o più distretti del rene, soprattutto tubuli (70%), interstizio
(interessamento isolato nel 5% dei casi, frequente insieme a quello tubulare), glomeruli (15%) e vasi (5%):
la necrosi tubulare acuta è la forma più frequente di IRA organica, insieme alla nefrite tubulointerstiziale.

La necrosi tubulare acuta è un’entità clinico-patologica


caratterizzata clinicamente da IRA, e spesso da evidenza
morfologica di necrosi delle cellule del tubulo renale: può essere
dovuta alla riduzione o all’interruzione del flusso ematico (IRA pre-
renale) o al danno tossico diretto da parte di agenti endogeni o
esogeni, per cui viene suddivisa in una forma ischemica e in una
forma tossica.

- Forma ischemica
Ha le stesse cause dell’IRA pre-renale e ne rappresenta
l’evoluzione qualora non venga corretta in tempo.

- Forma tossica
Ha come cause emoglobinuria (anemia emolitica), mioglobinuria (rabdomiolisi da farmaci, traumi o
tetano), catene leggere monoclonali (mieloma, gammopatia monoclonale), bile o bilirubina
(epatite acuta, ittero ostruttivo), farmaci (aminoglicosidi, amfotericina, FANS), mezzi di contrasto
radiologici, metalli pesanti (mercurio, arsenico, bismuto, uranio, cadmio) o solventi organici (glicole
etilenico, tetracloruro di carbonio).

Le cellule tubulari sono particolarmente sensibili alle tossine e all’ischemia, a causa dell’aumentata
superficie a disposizione per il riassorbimento, dei sistemi di trasporto attivi per ioni e acidi organici, un
tasso metabolico e una richiesta di ossigeno elevati per far fronte a trasporto e riassorbimento e la capacità
stessa di riassorbire le tossine. I danni sono prevalenti a livello della parte rettilinea del tubulo contorto
prossimale e del segmento ascendente spesso dell’ansa di Henle, e consistono nell’alterazione della
polarità cellulare per ridistribuzione delle proteine di membrana, nell’indebolimento dell’adesione cellula-
cellula, nella retrodiffusione di liquido tubulare nell’interstizio renale e nella perdita di sostanza cellulare,
con formazione di cilindri nel tubulo distale e nel dotto collettore.

L’aspetto istologico dell’IRA vede necrosi focale dell’epitelio tubulare in diversi punti del nefrone, con
ampie aree vacuolari e rottura della membrana basale, distacco delle cellule che si ritrovano nel lume e
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formazione di cilindri ialini e granulosi in particolare nei tubuli distali e dotti collettori, costituiti da
glicoproteina di

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Tamm-Horsfall associata con emoglobina, mioglobina e altre proteine plasmatiche, oltre che edema
interstiziale e accumuli leucocitari.

- Le lesioni sono spesso aspecifiche, ma in alcuni casi si possono identificare aspetti specifici che
indirizzano verso l’avvelenamento da agenti tossici (degenerazione balloniforme citoplasmatica e
vacuolare da glicole etilenico, inclusi acidofili da cloruro di mercurio).

Il decorso clinico della necrosi tubulare acuta è altamente variabile, ma nei casi classici lo si può suddividere
in una serie di fasi:

- Fase oligurica
Prima fase del danno, dura 7-30 giorni e se non trattata il paziente non sopravvive: il quadro clinico
è dominato da oliguria, ritenzione di Na+ e H2O, acidosi metabolica, incremento di creatinina, urea
e potassio nel plasma, oltre che da infezioni, complicanze cardiovascolari, neurologiche (edema
cerebrale), gastrointestinali ed ematologiche.

L’analisi delle urine permette di distinguere l’oliguria funzionale dall’oliguria organica, in quanto nel primo
caso il peso specifico delle urine risulta ridotto (<1013) così come l’osmolarità urinaria (<350mOm/kg),
mentre la frazione escreta di Na+ è aumentata (>3 o >40mEq/L), tutto a causa del malfunzionamento dei
meccanismi di escrezione e concentrazione del rene.

- Fase diuretica precoce


La diuresi aumenta sino a 1-2L/die in 4-5 giorni nel momento in
cui l’epitelio inizia la rigenerazione (all’istologia si osservano
figure mitotiche e nuclei iperdensi), ma visto che la riparazione
del danno non è ancora completa la diuresi risulta inefficace,
con osmolarità ridotta, minima escrezione di prodotti azotati e
aumento di urea plasmatica e creatininemia.

- Fase diuretica tardiva


Dopo 4-6 giorni dalla ripresa della diuresi, che aumenta sino a 4-6L/die con ripresa della funzione
renale, per cui si ha il miglioramento di VFG e la riduzione di urea e creatininemia: la poliuria è
dovuta sia alla funzionalità tubulare ancora inadeguata che all’escrezione in blocco dei soluti che si
erano accumulati (diuresi osmotica), e nel paziente occorre attenzione alla disidratazione,
all’iponatriemia e all’ipopotassiemia.

- Fase di convalescenza
Con il tempo la funzione tubulare viene recuperata e migliora la capacità tubulare di concentrare le
urine, anche se sono necessarie settimane o mesi nel corso dei quali concentrazione e
acidificazione delle urine sono ridotte e la filtrazione glomerulare risulta carente.

La terapia può essere conservativa in presenza di infezioni (particolarmente frequenti nella fase diuretica),
altrimenti occorre la sostituzione funzionale tramite dialisi, obbligatoria in caso di iperidratazione,
iperkaliemia, urea>200mg/dL, acidosi marcata e uremia clinica.

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INSUFFICIENZA RENALE CRONICA


Si tratta di una condizione patologica caratterizzata dalla riduzione progressiva e irreversibile della
funzione renale, con alterazione dell’equilibrio idro-elettrolitico e acido-base, ritenzione di sostanze
prodotte dal metabolismo (urea, creatinina, acido urico) o assunte dall’esterno (farmaci, sostanze tossiche)
e alterata produzione di ormoni (EPO, renina, prostaglandine, forma attiva della vitamina D). La diagnosi si
fa in presenza di danno renale che dura da almeno 3 mesi indipendentemente dalla patologia di base,
definito da anomalie strutturali e funzionali con o senza decremento del VFG.

La classificazione sfrutta il sistema KDIGO (Kidney Disease: Improving Global Outcomes), che descrive le IRC
sulla base della compromissione del VFG (viene calcolato con la formula di Crockroft-Gault, che consente di
stimarlo a partire dalla clearance della creatinina, o con la CKD-EPI, che considera sesso e razza):

1- VFG>90mL/min, sono presenti albuminuria (proteinuria selettiva per proteine a basso PM),
proteinuria non selettiva ed ematuria microscopica o macroscopica, segni dei quali almeno uno
deve essere persistente.

2- VFG 89-60mL/min con presenza di almeno un segno fra albuminuria, proteinuria o ematuria.

3- VFG 30-59mL/min, si inizia a parlare di vera IRC o insufficienza renale precoce anche in assenza dei
segni, viene distinta in 3a se VFG>44mL/min e in 3b se <44mL/min (in alcuni pazienti al 3b compare
anemia).

4- VFG 15-29mL/min, è una forma avanzata che può richiedere il trattamento dialitico.

5- VFG <15mL/min, il paziente richiede obbligatoriamente la dialisi ed eventualmente il trapianto


d’organo.

L’IRC è la patologia più frequente nella popolazione generale, e negli stadi 1 e 2 è compreso il 6,5% della
popolazione: sono quindi stadi asintomatici estremamente diffusi (nei Paesi con dieta non mediterranea la
percentuale cresce sino ad oltre il 10%), mentre allo stadio 3 si scende al 4,5% della popolazione,
comunque un numero importante per una patologia. Ovviamente non tutti i pazienti con stadio 1-3 sono
destinati alla progressione sino allo stadio 5, ma molti pazienti in 3a/b sono asintomatici (di solito anche
quelli anemici) e hanno una progressione nulla o molto lenta, che non li porterà mai all’IRC conclamata.
Allo stadio 4 compaiono i primi sintomi importanti, mentre le alterazioni elettrolitiche sono praticamente
inevitabili al di sotto di 20mL/min di VFG.

- La differenza fra un soggetto normale e un paziente con IRC 3a consiste nel tempo che il rene
impiega a depurare il plasma dalle scorie, per cui al mattino i parametri ematici sono normali
perché il rene ha riportato alla normalità i valori durante la notte, ma man mano che la funzionalità
renale declina il riposo notturno non è più sufficiente a garantire la depurazione del plasma, e dato
che il rene tenta di eliminare le scorie in eccesso aumentando il volume escreto compaiono poliuria
e nicturia.

Alla microscopia è complesso distinguere fra patologie croniche e acute, e l’unico elemento che caratterizza
l’IRC è l’impossibilità di riconoscere tubuli e glomeruli per sclerosi totale, ma comunque possono coesistere
anche riacutizzazioni su un quadro cronico.

- La diagnosi differenziale tra IRC e IRA è possibile valutando la cronicità della malattia, quindi si
devono controllare le precedenti concentrazioni di creatinina e urea ed eventualmente la riduzione
bilaterale delle dimensioni renali all’imaging, la presenza di malattie metaboliche delle ossa con

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iperfosfatemia, ipocalcemia, elevati livelli di PTH ed evidenza radiologica, e la presenza di anemia


normocromica normocitica da ridotta produzione di EPO.

L’importanza della funzione renale si comprende mettendola in relazione con la mortalità ospedaliera, che
cala in maniera praticamente lineare man mano che la clearance della creatinina si riduce, in accordo con il
fatto che l’insufficienza renale è un fattore di morbilità e mortalità indipendente rispetto alla patologia
concomitante. Le principali patologie causa di IRC sono il DM (1 e 2) e le nefropatie vascolari, le nefropatie
glomerulari e interstiziali, la malattia cistica renale e malattie sistemiche come LES, AR o sclerodermia, ma
comunque nell’IRC avanzata la diagnosi definitiva ha un significato terapeutico marginale e nel 25% dei casi
si arriva alla malattia end-stage senza scoprire la causa.

Anche se si tratta di una distinzione datata, indipendentemente dalle classi 1-5 di malattia esistono tre
condizioni di fondo:

- Perfetto compenso funzionale (creatinina 1-2mg/dL)


VFG >45mL/min, quindi comprende le classi 1, 2 e 3a, e le alterazioni sono solo di creatinina e
azotemia.

- Scompenso funzionale (creatinina 2-7mg/dL)


VFG 45-10mL/min, comprende anche pazienti che hanno la
necessità di essere dializzati e si può accompagnare a
scompensi endocrini.

- Uremia (creatinina >7mg/dL)


O uremia, il trattamento è obbligatorio.

Vista l’importanza della creatininemia nella valutazione della


funzionalità renale, è importante comprendere che l’aumento dei
livelli di creatinina ematici non ha un andamento lineare, ma per
passare da 1,5mg/dL a 2mg/dL l’alterazione funzionale deve esser
importante (da 100mL/min a 50mL/min), mentre per passare da
2mg/dL a 4mg/dL basta la riduzione da 50mL/min a 25mL/min.

Inoltre, mentre la creatinina inizia ad aumentare anche per VFG non troppo ridotti (A, 50mL/min), fosfato,
potassio e idrogeno (B) si modificano solo al di sotto di 25mL/min.

FISIOPATOLOGIA DELL’IRC

L’IRC è una malattia progressiva ed evolutiva, come spiegato nel 1982 da un professore di Boston: la lesione
istologica caratteristica è la glomerulosclerosi, per cui per stadiare l’IRC si fa il rapporto fra glomeruli
sclerotici e glomeruli presenti nel vetrino, anche in presenza di altre nefropatie sovrapposte; man mano che

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calano i glomeruli funzionali il rene riduce la clearance perché il lavoro che deve compiere il singolo
glomerulo è molto maggiore rispetto al normale.

Una qualsiasi malattia renale si traduce nella perdita di nefroni, che porta all’ipertensione (l’ipertensione
intraglomerulare può essere anche causa di perdita di nefroni) e di conseguenza all’aumento della
filtrazione da parte dei nefroni intatti (ipertrofia compensatoria), al danno glomerulare e alla proteinuria:
la riduzione della funzionalità del glomerulo leso comporta l’attivazione del RAAS con ulteriore aumento
della filtrazione glomerulare di Na+ da parte dei glomeruli funzionanti e liberazione di fattori
proinfiammatori e profibrotici, causa di danno tubulare (dovuto anche alla proteinuria, che aumenta il
lavoro di riassorbimento tubulare) e fibrosi tubulointerstiziale; inoltre, la reazione all’aumentata richiesta
di filtrazione è la glomerulosclerosi, che riduce ulteriormente il numero di nefroni funzionanti.

SINDROME UREMICA

Si parla di uremia (creatinina >7mg/dL) quando l’iperazotemia si associa ad una serie di segni e sintomi
clinici a carico di diversi apparati, per cui si hanno insufficienza della funzione escretoria renale,
diselettrolitismi e alterazioni metaboliche ed endocrine, a carico della cute (iperpigmentazione, prurito,
ecchimosi, necrosi e lesioni bollose), dell’apparato gastrointestinale (gastroenterite uremica, alitosi,
emorragie gastrointestinali, anoressia, nausea e vomito, malassorbimento e malnutrizione), dell’apparato
cardiovascolare (insufficienza cardiaca, miocardite, pericardite, aritmie, ipertensione arteriosa), del sistema
nervoso (confusione, insonnia, difficoltà di concentrazione, neuropatia periferica e coma), del sistema
emopoietico (anemia, disfunzione immunitaria e piastrinica), dell’osso (osteodistrofia renale, alterazioni
dello sviluppo infantile) e del sistema endocrino (iperparatiroidismo secondario, infertilità e amenorrea).

- Il prurito è spesso un sintomo indicativo di neuropatia periferica o di accumulo di molecole, e nel


caso di IRC il responsabile è l’accumulo di catene leggere delle Ig, che possono arrivare a 25’000kDa
nel caso delle catene κ e a 40’000kDa nel caso delle catene λ, espressione della difficoltà del rene a
filtrare il sangue (il prurito è responsivo al gabapentin ma non agli antistaminici).

- L’aumentato rischio cardiovascolare (6 volte rispetto al paziente con DM) nell’IRC è legato
all’incrementata patologia ateromasica, che dipende sia dagli elevati livelli di Ca2+ circolante
(riassorbimento osseo da iperparatiroidismo, mancata attivazione di vitamina D), sia
dall’alterazione del microbiota (paratriolo e diidrotirosin solfato, sono due marcatori
proateromasici di derivazione GI che vengono modificati dal microbiota e trattenuti in circolo per
via dell’elevato PM), sia dall’intolleranza al glucosio (assenza o ipoproduzione di insulina, resistenza
periferica), dall’iperdislipidemia e dalle alterazioni elettrolitiche.

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RIACUTIZZAZIONE DELL’IRC

Accelerazione del tasso di declino del VFG con scompenso acuto fino alla fase terminale di IRC, può essere
legato a disidratazione, farmaci, esacerbazione della malattia di base, infezioni, ostruzione delle vie
urinarie, scompenso cardiaco o ipertensione: la presentazione del paziente dipende dalla predisposizione
del singolo, ma in generale risulta anurico, iperteso, in FV da iperkaliemia, con edema polmonare (il rene
non regola più il bilancio idrico), in coma uremico o in paralisi respiratoria da ipocalcemia, con acidosi
irreversibile (pH 6,7).

- L’acidosi metabolica è legata alla mancata escrezione di ioni idrogeno con VFG<25mL/min, e viene
compensata dall’iniziale iperventilazione, ma una volta che la PaCO2 arriva a 10mmHg si ha la
depressione del centro respiratorio e il paziente muore.

- Il coma uremico è una complicazione rara ma possibile quando l’azotemia cresce fino a livelli molto
elevati, e si tratta di un coma che passa per lo stupor prima e il sopor poi, probabilmente causato
dallo sbilanciamento dei livelli di neurotrasmettitori (nella fase iniziale aumenta l’attivazione dei
recettori NMDA con clonie ed epilessia), dall’iperparatiroidismo (aumento del Ca2+ nella corteccia
cerebrale) e dall’aumento dell’azotemia.

OSSA NELL’IRC

Le alterazioni ossee in corso di IRC dipendono dalla


riduzione dell’attivazione della vitamina D (mancata
idrossilazione in posizione 1 a livello renale), che dovrebbe
inibire la produzione di PTH e stimolare l’assorbimento di
Ca2+ a livello intestinale, per cui le condizioni dominanti
sono l’iperparatiroidismo (depositi nodulari granulosi
nelle paratiroidi) e l’ipocalcemia: a sua volta, il PTH
aumenta il turnover osseo e tenta di riequilibrare
ipocalcemia e iperfosfatemia, e la patologia conseguente è
detta osteodistrofia da iperparatiroidismo, alla quale
contribuisce anche la deplezione di fosfati dall’osso come
tentativo di tamponamento dell’acidosi metabolica.

Nell’osteodistrofia ad alto turnover (osteite fibrosa) il PTH stimola il rimodellamento osseo attraverso gli
osteoclasti, che vengono sia stimolati direttamente che favoriti nel differenziamento a partire dai
monociti: diversi tipi di progenitori midollari iniziano inoltre ad esprimere recettori specifici e si
trasformano in cellule atipiche accettrici di Ca2+, con formazione di placche ateromasiche calcificate che
disegnano la parete dei vasi all’RX.

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La prevenzione dell’osteodistrofia si basa inizialmente sulla somministrazione di supplementi di Ca2+ o di


vitamina D se le concentrazioni sono ridotte, e nei pazienti in dialisi è opportuno monitorare sia la calcemia
che i livelli di PTH, oltre che la fosfatemia, che può essere ridotta mediante diete appropriate e farmaci
chelanti.

- Nelle forme ad elevato turnover i chelanti del fosforo a base di alluminio possono indurre
osteomalacia e adinamia ossea, in quanto l’alluminio sostituisce il Ca2+ nel tessuto osseo.

- Nei pazienti dializzati con iperparatiroidismo e valori plasmatici di Ca2+ normali o aumentati può
essere indicato l’impiego di Ca2+-mimetici, che si legano ai recettori sulle paratiroidi inibendo il
rilascio di PTH senza modificare il Ca2+ plasmatico.

L’osteodistrofia a basso turnover (malattia adinamica dell’osso) si sviluppa in genere dopo molti anni
dall’IRC, per cui l’aumentata sopravvivenza dei pazienti in dialisi sta portando ad un aumento nell’incidenza.
Alla base c’è la resistenza al PTH che si sviluppa per via dell’iperparatiroidismo con il perdurare della
malattia renale cronica, e i processi di ricambio osseo risultano estremamente rallentati.

La terapia richiede il mantenimento di livelli di PTH efficaci, riducendo o sospendendo i farmaci che ne
sopprimono la produzione (vitamina D, chelanti del fosforo e supplementi di Ca2+).

ANEMIA NELL’IRC

Caratterizza la IRC per via della diminuzione dei livelli di EPO ed è una forma normocromica normocitica: se
si associa a basse concentrazioni di ferro può risultare anche sideropenica microcitica.

Il trattamento richiede di escludere tutte le cause di anemia diverse dal deficit di EPO, e in caso di ferritina
ridotta è opportuno somministrare solfato ferrico endovena; se la ferritina è normale o il paziente non
risponde alla terapia si può tentare con il trattamento sostitutivo (ESA, erythropoietin stimulating agents).

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NEFROPATIA ISCHEMICA
La definizione comprende molteplici quadri di nefropatie ad andamento cronico, causate da una
persistente riduzione dell’apporto di ossigeno al distretto renale: data la sua correlazione con
l’ipertensione arteriosa (può esserne la conseguenza ma anche la causa) e l’elevatissima prevalenza di
quest’ultima (20% degli adulti, 50% dei soggetti >60 anni) è una patologia molto comune. Può provocare
IRC quando il rene è ben funzionante e la condizione perdura per un certo periodo di tempo, mentre l’IRA è
un’evenienza più rara, frequente soprattutto in pazienti con pregressa riduzione della funzionalità renale.

- Il ruolo del rene nel controllo della pressione arteriosa dipende dal RAAS, che agisce sulle
resistenze periferiche attraverso le cellule muscolari lisce vascolari (angiotensina II) e
sull’omeostasi del Na+ aumentandone il riassorbimento e quindi espandendo il VCE (aldosterone,
ADH); l’effetto opposto è mediato da vasodilatatori come prostaglandine, NO e callicreina-chinine.
La pressione arteriosa ha anche una serie di effetti sul rene, per cui l’ipotensione o la riduzione del
VCE fa diminuire la VFG e aumenta il riassorbimento di Na+ e H2O dai tubuli contorti prossimali,
mentre l’azione di ANP e BNP (liberati in risposta allo stretching delle camere miocardiche per
aumento del VCE) inibisce il riassorbimento di Na+ e H2O dai tubuli contorti distali e favorisce
quindi la diuresi.

Le nefropatie ischemiche più comuni sono la nefroangiosclerosi ipertensiva (55%, rappresenta il 20-25%
delle IRC), la nefropatia ateroembolica, l’ipertensione reno-vascolare, l’ipertensione maligna e le sindromi
cardiorenali.

IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE
L’ipertensione nefrovascolare è una sindrome caratterizzata da ipertensione arteriosa (5% delle forme di
ipertensione) conseguente ad una ridotta perfusione renale per via di una lesione vascolare stenosante
l’arteria renale principale o uno dei suoi rami maggiori: in questo caso la lesione vascolare è la causa
dell’ipertensione, in contrasto con la nefroangiosclerosi ipertensiva nella quale l’ipertensione provoca la
lesione vascolare dei piccoli vasi, l’aumentata rigidità del microcircolo e l’insensibilità al RAAS delle arteriole
afferente ed efferente.

La stenosi causa di ipertensione nefrovascolare occlude almeno l’80% della sezione trasversa dell’arteria
(occlusione sintomatica, immagine a destra), ma tanto più il soggetto è anziano tanto minore deve essere
la percentuale di occlusione: le cause principali sono la stenosi ateromasica, tipicamente in sede ostiale e
comune in individui maschi e anziani (soprattutto neri, ipertesi e con DM), e la fibrodisplasia muscolare,
tipicamente più distale e comune in donne più giovani senza altri fattori di rischio; altre forme sono legate
ad aneurismi o dissezioni dell’aorta addominale, occlusioni traumatiche, fibrosi, stenosi da compressione o
furto.

- Quando la stenosi diventa emodinamicamente significativa e riduce la pressione ematica a valle


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(immagine a sinistra in alto) la reazione del rene è esattamente identica a quella all’ipovolemia, per

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cui si ha la liberazione delle componenti del RAAS e la vasocostrizione dell’arteriola efferente


stimolata dall’angiotensina II, con incremento della pressione intraglomerulare (immagine a
sinistra in basso).

Fibrodisplasia muscolare e stenosi ateromasica mostrano alcune differenze nel profilo patologico, in
quanto la prima è una stenosi pura da ispessimento fibrosi di tonaca intima, media o avventizia e colpisce
principalmente donne giovani e bambini (pazienti nei quali l’ipertensione non è una condizione comune),
mentre la seconda si può distinguere in stenosi non ostiale, che determina le stesse alterazioni della
fibrodisplasia muscolare, e stenosi ostiale associata a malattia dell’aorta addominale, che provoca IRC e
nefroangiosclerosi (anche a causa delle concomitanti alterazioni metaboliche, che hanno effetti su entrambi
i reni): entrambe le forme di stenosi ateromasica sono più comuni nell’uomo anziano forte fumatore, con
sindrome metabolica o DM.

- Ovviamente, se la stenosi è monolaterale il rene coinvolto viene in qualche modo protetto


dall’aumento di pressione (che è anzi funzionale a migliorare la perfusione), ma il rene
controlaterale viene sovraccaricato e sviluppa un quadro di glomerulosclerosi ingravescente per via
del flusso aumentato.

La stenosi ateromasica viene riscontrata nel 15-40% dei pazienti sottoposti ad angiografia per
coronaropatia o arteriopatia periferica, e le lesioni sono bilaterali nel 20-40% dei casi: la prevalenza è in
aumento in relazione all’aumento dell’età media della popolazione e dell’esposizione ai fattori di rischio
quali obesità, dieta iperlipidica e ipercalorica, malattie metaboliche, fumo di sigaretta. La stenosi da
fibrodisplasia muscolare costituisce il 70% delle forme infantili e il 30-40% di quelle nelle donne giovani,
coprendo il 15- 20% di tutte le stenosi delle arterie renali, e all’istologia mostra iperplasia della tonaca
media con disposizione casuale e disorganizzata delle cellule muscolari, che porta invariabilmente alla
riduzione del lume e che progredisce più lentamente rispetto alla patologia ateromasica.

Lo studio dell’ipertensione nefrovascolare è stato fatto dal gruppo di Goldblatt nel 1934, tramite la legatura
dell’arteria renale nei cani: un primo gruppo di animali vedeva legata una singola arteria delle due ( one clip
two kidneys), il secondo gruppo era di animali monorene ai quali veniva legata la singola arteria renale ( one
clip one kidney).

- One clip two kidneys


Oltre all’aterosclerosi e alla displasia fibromuscolare unilaterale esistono altre condizioni che
possono mimare una stenosi emodinamicamente significativa, come l’embolia dell’arteria renale,
un aneurisma dell’arteria renale, la compressione ab extrinseco da parte di masse (feocromocitomi
che sono anche ipertensivanti, neoplasie retroperitoneali, carcinoma renale, ADPKD o ARPKD), il
furto dell’arteria o fistole arterovenose, per cui il sangue passa dall’arteria alla vena senza
perfondere il parenchima.

- One clip one kidney


Condizione possibile in individui monorene (2% della popolazione), o come two clips two kidneys
in caso di stenosi arteriosa bilaterale, coartazione dell’aorta, vasculite di entrambe le arterie
renali, anomalie congenite vascolari o malattia renale ateroembolica.

L’ipertensione dopo stenosi dell’arteria renale dipende dal fatto che le componenti del RAAS hanno effetti
sistemici e non si limitano ad agire sull’arteriola efferente, ma provocano la vasocostrizione di quasi tutti i
vasi di resistenza e quindi l’aumento della pressione arteriosa media e delle richieste di lavoro del
miocardio, accettabile pur di garantire una perfusione adeguata del parenchima renale: gli studi di
Goldblatt hanno consentito di individuare tre fasi principali dell’ipertensione nefrovascolare, a seconda
della latenza fra stenosi e rimozione dell’ostruzione.

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- Fase 1 (ipertensione iper-reninemica)


La pressione arteriosa aumenta in coincidenza della stenosi ma quando la clip viene rimossa si
normalizza rapidamente, perché l’incremento pressorio è sostenuto primariamente dall’aumentata
secrezione di renina (che risulta aumentata), angiotensina II (vasocostrizione) e aldosterone
(ritenzione di Na+ e H2O e aumento del VCE).

- Fase 2 (ipertensione da effetti lenti dell’angiotensina II)


La pressione arteriosa aumenta in coincidenza della stenosi, ma se la clip viene rimossa dopo 1-2
mesi la normalizzazione richiede del tempo a causa del ruolo di fattore di crescita dell’angiotensina
II: la molecola agisce anche come fattore induttore di proliferazione nei confronti di cellule
mesangiali, tubuloepiteliali e fibroblasti interstiziali, stimolando la produzione di matrice, e
attivando il reclutamento cellulare e la produzione di mediatori infiammatori. La proliferazione
cellulare e l’infiammazione portano all’incremento della cellularità glomerulare, alla produzione di
matrice amorfa e ad una debole proteinuria da alterazione delle membrane basali e ipertensione
intraglomerulare (vasocostrizione dell’arteriola efferente), e l’effetto finale è la fibrosi renale che si
mantiene anche in assenza di renina (i livelli plasmatici sono meno elevati) ed è un quadro
frequentemente irreversibile se non dopo molto tempo dalla rimozione della clip.

- Fase 3 (ipertensione da nefroangiosclerosi)


La pressione arteriosa non si normalizza a causa delle modificazioni irreversibili avvenute nel
parenchima renale, le arteriole sono insensibili agli effetti dell’angiotensina II e anche il rene
controlaterale mostra alterazioni importanti a causa del sovraccarico prolungato.

SOSPETTO CLINICO

Sono pazienti tipici ma spesso il quadro può essere mascherato dalle concomitanti patologie, come nel
caso della stenosi ateromasica: il sospetto deve nascere in presenza di ipertensione severa resistente alle
terapie, ipertensione <30 anni o >50 anni, ipertensione in presenza di sindrome metabolica e
deterioramento funzionale renale (soprattutto nel paziente con malattia ateromasica); gli aspetti specifici
sono asimmetria renale >2cm, ricorrenza di edema polmonare acuto non giustificata da cardiopatia (il
meccanismo volemico è fondamentale nello sviluppo di ipertensione), peggiorato dagli antiipertensivi più
comuni come gli antagonisti dei canali del Ca2+ (viene contrastata la vasocostrizione ma il meccanismo
volemico prevale) e migliorato dai diuretici (che peggiorano la funzione renale), la presenza di un soffio
sistodiastolico in sede addominale a 2-3cm di distanza dall’ombelico, l’ipokaliemia da ritenzione di Na+ ed
escrezione di K+ e il peggioramento della funzione renale con la somministrazione di ACE inibitori o
diuretici, che impediscono al rene di attuare il compenso necessario a mantenere la perfusione.

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La diagnosi di ipertensione nefrovascolare si fa mediante l’individuazione della stenosi, per mezzo di


ECOcolor Doppler delle arterie renali, angiografia (a destra, displasia fibromuscolare) o angioRM (a sinistra,
stenosi prossimale): altri esami diagnostici utili sono il dosaggio della renina plasmatica, la scintigrafia con
captopril (un ACE inibitore, favorisce il rilasciamento dell’arteriola efferente e riduce la filtrazione
glomerulare, quindi aumenta il tempo di transito del radiofarmaco) e la TC spirale.

La terapia prevede la PTRA (percutaneous transluminal renal angioplasty), ovvero la dilatazione


pneumatica della stenosi con o senza impianto di uno stent, dopo l’individuazione della lesione alla
scintigrafia o all’arteriografia.

NEFROPATIA ATEROEMBOLICA

Rispetto all’ipertensione nefrovascolare è una condizione acuta, conseguente alla frammentazione di una
placca ateromasica (ostiale o renale prossimale, ma anche da vasi sistemici) che determina l’ostruzione
delle arteriole renali di piccolo calibro: si tratta di una complicanza molto grave con elevata mortalità, che
anche quando riconosciuta stenta a regredire e se lo fa ci impiega molto tempo (si parla di escape per
descrivere pazienti che sono costretti alla dialisi per 4-5 mesi e improvvisamente recuperano una parte
della funzione renale).

Le principali cause di nefropatia ateroembolica sono rappresentate da rilascio spontaneo dopo fissurazione
e trombosi di una placca vulnerabile, traumi accidentali, terapia anticoagulante o manipolazione aortica
(arteriografie, coronarografie, angioplastiche o chirurgia degli aneurismi aortici), e il paziente si presenta
con IRA, insufficienza renale rapidamente progressiva o IRC e lesioni glomerulari.

- La manipolazione aortica provoca nefropatia ateroembolica soprattutto quando l’accesso vascolare


è femorale, perché nel momento in cui il selpinger scorre lungo l’asse arterioso rischia di ledere o
destabilizzare la placca di parete, che si può frammentare in piccole strutture cristalliformi che
diffondono verso il rene.

I fattori di rischio sono esattamente gli stessi della stenosi ateromasica dell’arteria renale causa di
ipertensione nefrovascolare, quindi sesso maschile, età avanzata, tabagismo, ipertensione arteriosa,
ipercolesterolemia, DM, aterosclerosi diffusa con manifestazioni cliniche, aneurismi dell’aorta addominale,
placche dell’aorta toracica e terapia anticoagulante o trombolitica in corso (destabilizzazione della placca).

Dopo l’ulcerazione della placca aterosclerotica, la frammentazione e l’embolizzazione delle arteriole si


sviluppa l’occlusione del vaso (cristalli con emazie, piastrine, polimorfonucleati e fibrina) e una reazione
circostante di tipo macrofagico e/o gigantocellulare, con infiltrazione tardiva di eosinofili e inglobamento
dei cristalli. L’istologia mostra l’occlusione delle arterie di piccolo e medio calibro a seconda della
dimensione
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dell’embolo, da parte di materiale ialino e acellulare contenente cristalli


di colesterolo facilmente riconoscibili al microscopio ottico; la reazione
da corpo estraneo circostante non è particolarmente importante data la
derivazione endogena della struttura, ma comunque le arteriole
sviluppano ispessimento dell’intima per proliferazione endoteliale e
della media per iperplasia delle fibrocellule muscolari (fibrosi
miointimale), che contribuisce all’ostruzione al flusso.

Il tipico paziente con nefropatia ateroembolica vede un immediato


peggioramento della funzione renale dopo manipolazione aortica,
abbinato eventualmente a lesioni ischemiche periferiche da
disseminazione embolica (soprattutto nei piedi, sono tanto più intense
quanto più piccolo è il circolo occluso), a deficit visivi per ateroembolia
retinica e ad un lieve rialzo pressorio con attivazione del RAAS.

Le manifestazioni extrarenali comprendono livedo reticularis, cianosi, gangrena, ulcere, nodi, porpora,
macchie ipostatiche (colorazione cupa della cute in un territorio più pallido per ipoperfusione, sintomi
nervosi (TIA, amaurosi fugax, ictus, parestesie e paralisi periferiche), addominali (dolore nausea,
sanguinamenti, ischemia, infarto, pancreatite, infarti splenici e insufficienza surrenalica), muscolari (mialgie,
miosite), polmonari (emoftoe, dispnea) e generali (febbre, calo ponderale, rialzo generico degli indici di
flogosi laboratoristici).

La diagnosi differenziale va fatta con forme acute o progressive come le vasculiti, la nefrite interstiziale
allergica, l’ipertensione maligna, la tossicità da mezzo di contrasto e l’endocardite, oltre che con una serie
di forme croniche come la nefroangiosclerosi ipertensiva, le vasculiti e la patologia nefrovascolare.

Dato il carattere di irreversibilità della lesione (nonostante sia autolimitante), la funzione renale migliora
ma non viene recuperata completamente e comunque richiede un certo periodo di tempo, per cui il
paziente può sviluppare anche IRC sino allo stato terminale.

Se la lesione viene individuata in fretta si possono somministrare prostacicline in infusione continua, in


grado di potenziare il microcircolo, e statine per stabilizzare la placca responsabile dell’embolizzazione;
altre terapie sono la LDL-aferesi, che permette di rimuovere gli emboli circolanti, e i corticosteroidi, che
interferiscono con i mediatori della flogosi.

NEFROANGIOSCLEROSI IPERTENSIVA

Valori elevati di pressione arteriosa mantenuti nel tempo si associano alla sclerosi delle piccole arterie
renali, che appaiono con parte ispessita e lume ristretto, provocando ischemia parenchimale: l’ischemia
conduce a glomerulosclerosi e danno tubulointerstiziale, con graduale riduzione della massa parenchimale
funzionante. La nefroangiosclerosi si associa tipicamente all’età avanzata, è più comune nei maschi (>55
anni) e nelle donne compare di solito >65 anni, oltre che nei soggetti fumatori, obesi, dislipidemici, di razza
nera, con DM, elevati livelli di PCR o iperomocisteinemia.

Nelle lesioni arteriose sono presenti essenzialmente due elementi, l’ispessimento di media e intima e la
ialinizzazione della parete: le variazioni emodinamiche e lo stress prolungato sulla parete endoteliale induce
la proliferazione cellulare e l’iperplasia delle due tonache, mentre il danno endoteliale e lo stravaso di
proteine plasmatiche determina la deposizione di materiale simile alla membrana basale, disposto in
lamelle concentriche e di aspetto ialino, per cui si parla nel complesso di arteriolosclerosi ialina.

I reni possono apparire di dimensioni normali o leggermente ridotte, e macroscopicamente la superficie


appare finemente granulare per via di cicatrici corticali e retrazione cicatriziale: alla microscopia le arteriole
mostrano lume ridotto e pareti molto inspessite con aspetto ialino, al di sotto della capsula sono presenti
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cicatrici microscopiche e glomeruli sclerotici, e in tutto il parenchima sono sparse zone di atrofia tubulare e
fibrosi interstiziale, espressione di ischemia prolungata da ridotta perfusione.

IPERTENSIONE MALIGNA

Quando compromette il rene si parla di nefrosclerosi maligna, ma in ogni caso è una condizione legata alla
marcata elevazione della pressione arteriosa (>200/120mmHg) acuta o accelerata, che si sviluppa in
individui precedentemente ipertesi o in soggetti normotesi: l’incidenza è di 1-2/100’000/anno, più comune
nei maschi e negli afroamericani. L’elevazione della pressione è complicata dall’evidenza di danno
d’organo acuto che mette il paziente a rischio di vita, come ischemia coronarica, dissezione aortica, edema
polmonare, encefalopatia ipertensiva, emorragia cerebrale ed eclampsia.

La lesione fondamentale nella nefrosclerosi maligna è il danno vascolare, che ha come evento iniziale un
danno dell’endotelio che aumenta la permeabilità di membrana al fibrinogeno e ad altre proteine
plasmatiche, e stimola la proliferazione cellulare e l’attivazione di piastrine e cascata coagulativa, con lo
sviluppo di necrosi fibrinoide e trombosi intravascolare; la stimolazione della proliferazione induce
iperplasia delle cellule intimali e delle cellule muscolari lisce della media, determinando arteriolosclerosi
iperplastica e ulteriore restringimento del lume, liberazione di angiotensina II e vasocostrizione
intrarenale.

L’intenso aumento pressorio determina oltre che il rapido declino della funzionalità renale anche segni
neurologici (cefalea ingravescente, nausea, vomito, stato confusionale sino al coma, deficit focali), cardiaci
(angina, insufficienza ventricolare sinistra, edema polmonare acuto) e oculari (scotomi, macchie scure nel
campo visivo, emorragie ed essudati all’esame oftalmoscopico).

La terapia richiede la riduzione rapida della pressione arteriosa, di almeno 20-40mmHg entro 10-30 minuti
(nifedipina, nitroprussiato di sodio), ma senza ridurre la pressione media di più del 20-25% entro la prima
ora e mantenendo la pressione diastolica fra 100 e 110mmHg.

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VASCULITI E MICROANGIOPATIE
Le vasculiti rappresentano quadri patologici a carattere sistemico e multiorgano, caratterizzati da
infiammazione delle pareti vascolari, con flogosi e necrosi estese anche al distretto perivascolare.
Teoricamente possono essere coinvolti vasi di ogni dimensione e di qualsiasi organo, ma la maggior parte
delle patologie è concentrata sui vasi di piccolo e medio calibro, dalle arteriole alle venule: ci sono
comunque condizioni che colpiscono l’aorta e le arterie di grande calibro (arterite a cellule giganti, arterite
di Takayasu), e altre che colpiscono soprattutto le arterie di medio calibro (poliarterite nodosa) o le
arteriole. Le forme conosciute sono circa 20, e le varie classificazioni si basano su tipologia di vaso
interessata (ampio spettro per la granulomatosi di Wegener e la sindrome di Churg-Strauss, spettro ristretto
per la vasculite cutanea leucocitoclastica), ruolo degli immunocomplessi, presenza di autoanticorpi o di
granulomi, specificità d’organo e diffusione nella popolazione, ma tra molte delle condizioni esiste una
considerevole sovrapposizione clinica e patologica.

Il coinvolgimento renale è tipico delle vasculiti che interessano i vasi medi, quindi a partire dalla
poliarterite nodosa e dalla malattia di Takayasu (sono forme più ischemiche che vasculiti, ma comunque
rispondono al trattamento con corticosteroidi) sino alla vasculite cutanea leucocitoclastica, comprese la
granulomatosi di Wegener, la sindrome di Churg-Strauss, la poliangite microscopica, la porpora di
Schönlein-Henoch e la vasculite crioglobulinemica.

I meccanismi principali alla base delle vasculiti sono l’invasione diretta della parete da parte di agenti
infettivi e l’infiammazione immuno-mediata, che può derivare sia da una risposta crociata sia dalla
generazione di immunocomplessi: la distinzione è fondamentale per l’approccio terapeutico, visto che le
vasculiti immuno- mediate beneficiano di un trattamento immunosoppressivo, che può invece aggravare il
quadro di una vasculite infettiva.

- Vasculite da immunocomplessi
La formazione degli immunocomplessi può derivare da antigeni esogeni o endogeni, anche se solo
raramente è possibile determinare uno specifico antigene responsabile e anche comprendere se gli
immunocomplessi si formino in circolo per poi depositarsi o direttamente in situ. Sono comuni nelle
forme associate a malattie renali, e sono state associate ad infezioni batteriche (Streptococcus spp.,
Staphylococcus spp.) virali (HBV, HCV, HIV, CMV, EBV) o protozoarie (Plasmodium spp.), oltre che ad
allergeni o a farmaci, che possono essere intrinsecamente antigenici (streptochinasi) o agire da
apteni legandosi a costituenti della parete dei vasi o a sieroproteine (penicillina). Gli antigeni
endogeni associati a vasculite da immunocomplessi possono essere antigeni nucleari (ANA,
vasculite

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da LES) o IgG (fattore reumatoide o crioglobuline, rispettivamente vasculite da AR o da


crioglobulinemia).

La deposizione degli immunocomplessi e lo sviluppo di vasculiti dipende dalle caratteristiche degli stessi
immunocomplessi e da quelle del paziente: la concentrazione, le dimensioni e la composizione degli
immunocomplessi (rapporto fra antigeni e anticorpi, classi di Ig coinvolte), le proprietà dell’antigene
(carica, sede di produzione) e la capacità di attivare il complemento sono tutti elementi che influenzano lo
sviluppo della malattia, così come la capacità dell’organismo del paziente di eliminare gli immunocomplessi
circolanti, l’espressione di recettori Fcγ che leghino le IgG, lo stato del sistema del complemento, il grado di
permeabilità vascolare e la cronicità o la ricorrenza dell’esposizione.

Il danno vascolare mediato da immunocomplessi parte dalla formazione di reticoli di Ig e antigeni, che
reclutano e attivano il complemento (via classica, alla biopsia si riscontra la presenza di C3) formando
anafilotossine con proprietà chemiotattiche nei confronti di cellule infiammatorie che aumentano la
permeabilità vascolare; le porzioni Fc delle Ig vengono riconosciute dai polimorfonucleati, e dalle cellule
endoteliali, che mediano la risposta flogistica.

- Vasculiti pauci-immuni
Si distinguono dalle altre per la mancanza di immunocomplessi nel prelievo bioptico, ma sono
comunque immuno-mediate. In questi pazienti è possibile riscontrare la presenza di anticorpi
diretti contro il citoplasma dei neutrofili (ANCA), classificati precedentemente sulla base del pattern
all’immunofluorescenza in c-ANCA (citoplasmatici) e p-ANCA (perinucleari), ma attualmente
suddivisi a seconda dell’antigene bersaglio in PR3-ANCA (in precedenza c-ANCA e diretti contro la
proteinasi 3, un costituente dei granuli azzurrofili dei neutrofili) e MPO-ANCA (in precedenza p-
ANCA e diretti contro la mieloperossidasi, contenuta nei granuli lisosomiali e coinvolta nella
formazione di ROS).

I PR3-ANCA sono associati a granulomatosi di Wegener, mentre i MPO-ANCA a sindrome di Churg-Strauss e


poliangite microscopica: la stretta correlazione fra il titolo di ANCA e l’attività della malattia suggerisce che
abbiano un ruolo estremamente importante, e hanno la capacità di attivare direttamente i neutrofili. La
formazione degli anticorpi si verifica dopo un periodo prolungato di esposizione del materiale
endocellulare, per cui le patologie correlate hanno una fase prodromica importante (infezioni subcliniche o
trascurate, induzione da parte di farmaci).

Il meccanismo patogenetico alla base delle vasculiti ANCA-associate prevede l’esposizione ad agenti in
grado di indurre la sintesi degli ANCA stessi (cross-reazione, farmaci, esposizione continuata di PR3 o MPO
sulla superficie di leucociti attivati o apoptotici), e successivamente un’infiammazione locale con
attivazione dei leucociti e traslocazione superficiale di PR3 e MPO, stimolata da citochine: gli antigeni
vengono a questo punto riconosciuti dagli ANCA, che possono causare un danno diretto delle cellule
endoteliali o attivare ulteriormente i leucociti, con rilascio del contenuto granulare (enzimi proteolitici e
attivatori del complemento) e ROS, infiltrazione subendoteliale e sviluppo di necrosi fibrinoide.

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Le manifestazioni cliniche delle vasculiti sono estremamente variabili a seconda del letto vascolare
interessato, per cui ci sono sintomi d’organo specifici (glomerulonefrite necrotizzante, alveolite emorragica,
mononeurite, colite ischemica, sindrome coronarica), sintomi generali (malessere, astenia, perdita di peso
e febbre) e sintomi da interessamento multisistemico (artralgia, porpora cutanea e petecchie).

- La glomerulonefrite necrotizzante rappresenta la manifestazione della glomerulonefrite


rapidamente progressiva (a semilune o con crescents), che si può sviluppare come malattia da
anticorpi anti-MBG (sindrome di Goodpasture), da immunocomplessi (GN post-infettiva, GN da
depositi mesangiali di IgA, LES, porpora di Schönlein-Henoch, crioglobulinemia e reazioni avverse a
farmaci) o da vasculiti ANCA-associate.

POLIARTERITE NODOSA

Rappresenta una vasculite sistemica che colpisce le arterie muscolari di medio e piccolo calibro,
tipicamente viscerali (rene, cuore, fegato e tratto GI in ordine di frequenza) e cutanee e raramente di
polmone, SNC e ossa: la localizzazione tipica delle lesioni è nei punti di ramificazione e le alterazioni
possono essere focali o interessare tutta la circonferenza del vaso, ma in ogni caso il processo
infiammatorio indebolisce la parete e può provocare aneurismi (i microaneurismi sono la lesione
caratteristica della patologia) o rottura del vaso.

La causa rimane sconosciuta nella gran parte dei casi, non ci sono associazioni con ANCA ma nel 30% dei
pazienti si possono ritrovare immunocomplessi formati da HBsAg e HBsAb. La presentazione clinica è
aspecifica con febbre, calo ponderale, sintomi cutanei, mononeurite e compromissione d’organo, e
caratteristicamente il paziente presenta livedo reticularis per ischemia del sottocute e l‘arteriografia mostra
microaneurismi con vasi a collana di perle.

- Essendo una diagnosi complessa, la si ritiene probabile quando il paziente presenta almeno 3 sintomi
tra livedo reticularis, perdita di >4kg, dolore testicolare, mialgia, astenia, mononeuropatie o
polineuropatie, ipertensione o IRA, HBsAg o HCV, arteriografia anomala e biopsia indicativa.

La biopsia in fase acuta mostra infiltrati transmurali di neutrofili, eosinofili e cellule mononucleate,
accompagnati da necrosi fibrinoide e trombosi luminale, mentre in seguito l’infiammazione acuta viene
sostituita da ispessimento fibroso della parete che può estendersi all’avventizia, ma comunque le
manifestazioni di entrambi gli stati di attività possono coesistere in diversi distretti vascolari e anche nello
stesso vaso.

GRANULOMATOSI DI WEGENER

I sintomi generali sono simili a quelli delle altre vasculiti, quindi febbre, astenia, dolori articolari, porpora
cutanea e dimagrimento, mentre i sintomi specifici determinano la caratteristica triade della patologia,
costituta da granulomi necrotizzanti delle alte o basse vie respiratorie (ulcere orali, rinite o sinusite,
perforazione del setto, naso a sella), vasculite necrotizzante con coinvolgimento dei vasi di piccole e medie
dimensioni (soprattutto del polmone e delle alte vie respiratorie) e glomerulonefriti necrotizzanti, prima

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focali e poi con crescents. Esistono forme limitate circoscritte all’apparato respiratorio, mentre le forme

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diffuse possono colpire occhi, cute e cuore, con un quadro simile a quello della PAN ma con aggiunto
l’interessamento respiratorio. La causa è probabilmente una risposta cellulo-mediata, come dimostrato
dall’efficacia delle terapia immunosoppressive e dalla presenza di granulomi, anche se gli elementi
scatenanti non sono stati individuati: è positiva a PR3-ANCA (il titolo si correla al grado di attività della
patologia), e rappresenta l’unica vasculite con questo rilievo, che risulta quindi patognomonico.

I maschi sono colpiti più frequentemente delle femmine, ad un età media di circa 40 anni, e il quadro
clinico classico prevede polmonite persistente con noduli bilaterali spesso cavitati, sinusite cronica,
ulcerazioni mucose del nasofaringe e sintomi renali, insieme a sintomi aspecifici delle vasculiti. Senza una
terapia è rapidamente fatale, portando a morte entro un anno nell’80% dei casi, ma quando trattata con
steroidi, ciclofosfamide e antagonisti del TNF si trasforma in una patologia cronica con riacutizzazioni
ripetute.

SINDROME DI CHURG-STRAUSS

Anche in questo caso è positiva per gli ANCA (MPO-


ANCA), ma solo nella metà dei pazienti, per cui
comprende diversi sottogruppi di patologie. Gli elementi
distintivi sono rappresentati da granulomi necrotizzanti
extravascolari, asma e ipereosinofilia, associati a lesioni
vascolari del distretto cutaneo, polmonare,
gastrointestinale e renale (GN rapidamente evolutiva),
oltre che miocardico che è causa di morte di circa il 60%
degli affetti. La sindrome è piuttosto rara, colpendo circa 1
individuo su 1 milione, e la patogenesi non è stata ancora
chiarita: la causa potrebbe essere l’iper-reattività ad uno
stimolo allergico, come suggerito dall’associazione con
l’asma.

La malattia si sviluppa solitamente in tre fasi, distinte in prodromica, eosinofila e vasculitica: nella fase
prodromica domina la malattia atopica (rinite o asma in pazienti >50 anni), nella fase eosinofila si formano
infiltrati tissutali diffusi e granulomi necrotizzanti, nella fase vasculitica si manifesta la vasculite dei vasi di
medio e piccolo calibro (sovrapponibile all’interessamento tipico della granulomatosi di Wegener) in
polmone, reni, cuore, cute e nervi periferici.

- Tipicamente, le lesioni vascolari mostrano un infiltrato eosinofilo estremamente ricco come


numero di cellule (>800-900/mm3), con lume residuo molto piccolo.

POLIANGIOITE MICROSCOPICA

Anche detta vasculite leucocitoclastica o vasculite da ipersensibilità, colpisce i piccoli vasi compresi fra
arteriole e venule ed è positiva per MPO-ANCA nel 75% dei casi: le lesioni sono simili a quelle della
poliarterite nodosa ma non coinvolgono i vasi di grandi dimensioni e non ci sono associazioni con HBsAg o
ipertensione arteriosa (il flusso ematico alla macula densa non viene modificato, le alterazioni vascolari
sono distali), e a differenza che nella granulomatosi di Wegener e nella sindrome di Churg-Strauss non sono
presenti granulomi necrotizzanti.

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L’interessamento è principalmente respiratorio (emorragia alveolare) e renale (glomerulonefrite


necrotizzante), associato ai sintomi aspecifici comuni a tutte le vasculiti unificanti ma possono essere
coinvolti anche cute, mucose, encefalo, cuore, SNC e muscoli.

La patologia è piuttosto grave e porta rapidamente a morte il paziente, per insufficienza respiratoria da
emorragia alveolare (RX ad ali di farfalla, il quadro è diffuso rispetto alla granulomatosi di Wegener) o per
insufficienza renale da GN rapidamente progressiva (oliguria, ematuria).

Il termine di vasculite leucocitoclastica deriva dal fatto che l’infiltrato vascolare e perivascolare è costituito
da neutrofili, che probabilmente vengono attivati dagli ANCA dopo esposizione di MPO e sono i
responsabili del danno tissutale: la forma da ipersensibilità è comune nei pazienti >16 anni dopo
l’assunzione di un farmaco (di solito penicillina, sulfamidici, chinoloni, propiltiouracile o allopurinolo,
regredisce con la sospensione a meno che non si siano sviluppate lesioni renali o cerebrali), e si manifesta
come porpora palpabile che non scompare con la pressione e che non è legata a trombocitopenia. Oltre
alle forme cutanee isolate, anche la manifestazione da ipersensibilità può evolvere e diffondere come
sistemica, alterando cuore (infarto, pericardite), occhi (cheratocongiuntivite, vasculite retinica), tratto GI
(nausea, vomito, melena, pancreatite), SNC, polmone (emottisi) e rene (microematuria, proteinuria).

PORPORA DI SCHÖNLEIN-HENOCH

Rappresenta una vasculite dei piccoli vasi non trombocitopenica tipica dell’infanzia, con coinvolgimento
cutaneo, renale e gastrointestinale e raramente respiratorio e del SNC: viene ritenuta una forma da IC,
perché spesso nelle lesioni si rilevano IgG, C3 e IgA e perché spesso si manifesta dopo infezioni delle vie
aeree superiori in individui atopici.

- I depositi di IgA determinano un aspetto esattamente identico alla nefropatia di Berger, tanto che le
due patologie sono state considerate manifestazioni della stessa malattia, ma di solito per la
porpora di Schönlein-Henoch si tende a parlare di nefropatia da depositi mesangiali di IgA con
impronta vasculitica.

I bambini (3-8 anni, comunque <20 anni) sono i soggetti più tipicamente colpiti e hanno una prognosi molto
buona, mentre negli adulti e nei pazienti con lesioni glomerulari diffuse, crescents o sindrome nefrosica
hanno una prognosi decisamente peggiore. I sintomi più comuni sono porpora cutanea con petecchie
rilevate e palpabili (faccia estensoria degli arti e natiche, inizialmente sono sensibili alla pressione),
artralgie, dolori addominali con melena ed ematemesi e IRA oligo-anurica progressiva, spesso anticipata da
microematuria o macroematuria e proteinuria.

La patologia viene stadiata in 7 classi a seconda delle lesioni glomerulari, con la classe I che rappresenta
lesioni minime, la classe II una proliferazione mesangiale ed eventualmente endocapillare, la classe III
proliferazione extra-capillare in <50% dei glomeruli, la classe IV proliferazione extra-capillare nel 50-75%
dei glomeruli, la classe V proliferazione extra-capillare in >75% dei glomeruli e la classe VI
glomerulonefrite

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pseudo-membranoproliferativa: a partire dalla classe III possono essere presenti crescents, che esprimono
gravità maggiore della patologia.

MICROANGIOPATIE
Sono uno spettro di quadri patologici accomunati dall’eccessiva attivazione piastrinica, dal deposito di
trombi nei capillari e nelle arteriole e trombocitopenia, oltre che da anemia microangiopatica legata alle
anomalie di flusso causate dai trombi. La prima differenza con le vasculiti è che il danno è limitato
all’endotelio e non coinvolge l’intero spessore del vaso, e non ci sono associazioni con artralgie, neuriti o
dolori addominali ma sintomi sistemici da ischemia tissutale e disfunzione organica. La triade tipica delle
microangiopatie è costituita da anemia emolitica microangiopatica (Coombs -, permette di distinguerla
dall’anemia di origine anticorpale), trombocitopenia e IRA.

Le due principali microangiopatie sono la SEU (sindrome emolitico-uremica) e la TPP (porpora trombotica
trombocitopenica), classificate in relazione alle cause in SEU tipica, SEU atipica e TPP: con SEU si indicano
preferibilmente le forme adolescenziali, mentre con TPP i casi dell’età adulta con sintomi principalmente
renali e neurologici.

- SEU tipica
Anche detta epidemica, deriva dall’intossicazione con cibo contaminato da tossine batteriche
Shiga- like, prodotte da alcuni ceppi di EHEC e da Shigella dysenteriae: i più colpiti sono bambini e
adulti anziani, e sono state documentate epidemie legate all’ingestione di carne, acqua o latte non
pastorizzato, anche se la maggior parte dei casi è sporadica. Il meccanismo d’azione non è
perfettamente chiaro, ma si pensa che la tossina alteri le cellule endoteliali spingendole alla
produzione di endotelina e inibendo al contrario la produzione di NO, o in alternativa che induca
l’apoptosi endoteliale, attivi direttamente le piastrine o inibisca la regolazione del complemento.

- SEU atipica
Anche detta non epidemica o diarrea-negativa, non deriva da un’intossicazione ma da un deficit
ereditario di proteine regolatrici del complemento (fattore H, degrada il C3b se questo non si lega a
componenti esogeni, ma anche fattore I o CD46), in modo che la via alternativa è costantemente
attivata. La SEU si sviluppa ad ogni età, e frequentemente il quadro clinico vede frequenti ricadute
e progressione verso l’insufficienza renale. Altre forme di SEU atipica insorgono in associazione a
sindrome da anticorpi antifosfolipidi (primitiva o in corso di LES), complicanze della gravidanza o del
post-partum, patologie vascolari che coinvolgono il rene (ipertensione maligna, nefroangiosclerosi)
e irradiazione del rene.

I pazienti con SEU atipica hanno di norma un decorso peggiore rispetto a quelli con SEU tipica, soprattutto
perché le condizioni sottostanti sono spesso croniche: ovviamente, le forme con mutazione in omozigosi
hanno manifestazioni precoci, mentre per le mutazioni in eterozigosi prima che la malattia si sviluppi
occorre un evento trigger, in grado di provocare la perdita di funzionalità dell’allele non mutato (ci sono
casi in cui l’omozigosi del fattore H ha provocato una C3 glomerulopathy, non è detto che il quadro
patologico sia unico).

- TPP
Si manifesta clinicamente con febbre, sintomi neurologici, anemia emolitica microangiopatica,
trombocitopenia e insufficienza renale, e la causa più comune è un deficit funzionale
dell’ADAMTS13, una proteasi che scinde gli aggregati di vWF e limita l’attivazione spontanea delle
piastrine da parte dei complessi multimerici di grosse dimensioni. La maggior parte dei pazienti con
TPP è di sesso femminile e più giovane di 40 anni, e presenta anticorpi inattivanti l’enzima, ma
anche

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nei rari casi di deficit ereditario l’esordio è spesso ritardato all’adolescenza con sintomi episodici, per
cui nello scatenamento della sindrome devono essere coinvolti fattori diversi dall’ADAMTS13.

I quadri patogenetici che dominano le microangiopatie trombotiche sono quindi riferibili al danno
endoteliale e all’eccessiva attivazione e aggregazione piastrinica: il danno endoteliale appare la prima causa
della SEU, provocato nella forma tipica dalla tossina Shiga-like, nella forma atipica da un’eccessiva
attivazione del complemento, ma in entrambi i casi induce l’attivazione piastrinica e la trombosi
microvascolare, oltre che vasocostrizione paradossa da liberazione di endotelina e riduzione dei livelli di
prostaciclina e NO; l’attivazione e l’aggregazione piastrinica sono invece importanti nella TPP, indotte dai
multimeri molto grandi di vWF non disgregati dalla proteasi ADAMTS13.

La terapia delle microangiopatie richiede per prima cosa la diagnosi corretta: in pazienti con storia
prevalente di sintomi gastrointestinali associati a emolisi occorre la ricerca della tossina Shiga-like nelle feci
(di norma la patologia è autolimitante e si risolve senza recidive), mentre se non ci sono sintomi
gastrointestinali ma segni di danno d’organo, emolisi e trombocitopenia, si effettua il dosaggio dell’attività
di ADAMST13, che se risulta normale (>5%) consente la diagnosi di SEU atipica, se risulta ridotta (<5%) fa
diagnosi di TPP. La terapia della SEU atipica utilizza farmaci antagonisti del C5a (eculizumab), mentre per la
TPP sono più utili plasmaferesi, infusione di plasma fresco congelato, trattamenti sostitutivi artificiali.

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RENE E GRAVIDANZA
Durante la gravidanza l’organismo materno entra in contatto con elementi estranei, che potrebbero
potenzialmente scatenare una risposta immunitaria: gli HLA del figlio sono necessariamente diversi da
quelli della madre, e tra i due esiste un punto di contatto che è la placenta, con il corion dalla parte fetale e
la decidua dalla parte materna. Nel momento in cui il sinciziotrofoblasto, rappresentativo dal feto, si
impianta a livello endometriale, le arterie intra-endometriali e quindi il circolo materno entrano in contatto
con i potenziali antigeni ma la risposta immunitaria non viene avviata, nonostante il trapianto post-
gestazionale di organi del figlio nella madre provochi un rigetto rapido in assenza di anticorpi preformati
(rigetto acuto, impiega 4-5 giorni per la necessità di formazione degli anticorpi, a differenza del rigetto
iperacuto da incompatibilità AB0 che è immediato).

Durante la gravidanza avvengono una serie di adattamenti parafisiologici, che consistono in modificazioni
anatomiche, della fisiologia cardiovascolare, della fisiologia renale e dei livelli ormonali:

- Modificazioni anatomiche
Nella donna gravida i reni aumentano di dimensioni (1cm) e di volume (+30%), i tubuli contorti si
allungano (+20%) e le vie escretrici si dilatano spontaneamente, data la necessità di un maggiore
volume escreto. Microscopicamente si ha una marcata neoangiogenesi ed eritropoiesi, oltre che
neocitogenesi aspecifica.

- Modificazioni della fisiologia cardiovascolare


La pressione arteriosa media si riduce, il VCE si espande e la gittata cardiaca aumenta.

- Modificazioni della fisiologia renale


Dato l’aumento del VCE, FER e VFG crescono in parallelo (FER leggermente prima di VFG), e anche
la funzione tubulare si modifica grazie all’allungamento del tubulo contorto prossimale e distale. Le
componenti del RAAS sono molto più concentrate, così come prostaglandine e trombossani, con le
prostaglandine percentualmente più aumentate ma contenute dai trombossani.

- Modificazioni dei livelli ormonali


Decidua e placenta producono relaxina, un ormone della famiglia dell’IFG che svolge un ruolo
importante nel rimodellamento e nella crescita degli organi riproduttivi e nella vasodilatazione NO-
dipendente in modo da accogliere l’aumentato VCE, e che durante la gestazione arriva a livelli pari
a 600 volte il normale; inoltre, una serie di fattori vasoattivi vengono prodotti dai diversi tessuti, tra
cui prostaglandine (rene), ANP (cuore), callicreina-bradichinine, prorenina, progesterone e NO
(aumentano anche i livelli di endotelina, che ha un ruolo di vasocostrittore).

Se si osserva il rapporto fra le concentrazioni di


vasopressina e l’osmolarità plasmatica in una donna
gravida e in una non gravida, si osserva che la retta della
prima ha come set-point di diluizione medio circa
279mOsm/kg, e come soglia della sete (freccia bianca)
circa 289mOsm/kg; nella donna non gravida il set-point di
diluizione medio è pari a circa 286mOsm, e la soglia della
sete (freccia nera) a circa 298mOsm/kg, per cui c’è una
differenza di 10mOsm/kg.

Gli adattamenti emodinamici dipendono dall’incremento


della gittata cardiaca (30-40%), per via della crescita del volume di 6-8L e della ritenzione di Na+ di 900-

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1000mEq, ma contemporaneamente si assiste alla riduzione della PA a 105/60mmHg e all’incremento


dell’attività del RAAS (3-5x), del FPR (30-40%) e del GFR, tanto che la creatininemia risulta pari a 0,4-
0,5mg/dL, e si formano leggeri edemi declivi, causa
della succulenza diffusa che conferisce il tipico
aspetto florido alla donna in gravidanza.

Dato che i normali livelli pressori in gravidanza


sono pari a 105/60mmHg, anche 110/70mmHg
risultano anomali, e l’ipertensione va distinta in
primitiva (essenziale) e secondaria (dovuta a
ipertensione nefrovascolare, iperaldosteronismo,
coartazione istmica dell’aorta o feocromocitoma),
gestazionale, pre-eclampsia (gestosi gravidica) e
pre-eclampsia su malattia cronica.

L’ipertensione gestazionale è indotta dallo stato di gravidanza, compare nell’ultimo trimestre senza
associarsi a proteinuria e regredisce spontaneamente dopo il parto, presentandosi spesso in donne
multipare, obese e con familiarità per ipertensione.

La pre-eclampsia è un quadro patologico che compare nel terzo trimestre di gravidanza, come ipertensione
arteriosa, proteinuria e edemi, di norma a decorso subdolo e insidioso e possibile comparsa di sintomi più
severi quali cefalea e disturbi visivi e potenziale evoluzione in crisi epilettiche eclamptiche e coma. Si
presenta nel 3-5% delle gravidanze oltre la 34° settimana, fra i 25 e i 34 anni (nelle donne giovani su base
genetica, in quelle più anziane su base ambientale, si parla di sviluppo bimodale), più precocemente se la
donna presenta ipertensione, patologie renali o coagulopatie preesistenti. È molto più comune nelle donne
primipare e in gravidanze gemellari, e la recidiva nelle gravidanze successive si osserva nel 20% dei casi. Il
trattamento varia sulla base del periodo gestazionale, e di solito prevede l’induzione del parto, a meno che
la gravidanza non sia pretermine e le condizioni della madre non siano critiche: in presenza di preeclampsia
grave, disfunzione materna terminale, compromissione fetale o sindrome HELLP il parto è indicato qualsiasi
sia l’età gestazionale, visto che la terapia antipertensiva non influenza il decorso della malattia e non ne
migliora gli esiti. Proteinuria e ipertensione scompaiono di norma 1-2 settimane dopo il parto, tranne nei
casi in cui erano preesistenti prima della gravidanza, e anche se le condizioni tornano perfettamente
normali nel lungo termine pare che ci sia un aumento di microalbuminuria e ipertensione nelle donne con
pregressa pre- eclampsia, oltre che un rischio maggiorato di patologia cardiovascolare e cerebrovascolare.

FISIOPATOLOGIA

Gli esatti meccanismi che portano alla preeclampsia non sono ancora perfettamente noti, ma è chiaro il
ruolo della placenta, dato che dopo l’espulsione i sintomi scompaiono rapidamente: le alterazioni critiche
sono rappresentate da disfunzione endoteliale, vasocostrizione e aumentata permeabilità locale,
probabilmente dovute a fattori derivati dalla placenta e rilasciati nel circolo materno durante la fase tardiva
della gestazione (in coincidenza dell’esordio della sintomatologia) anche se i presupposti per lo sviluppo
delle alterazioni stesse originano dall’impianto del sinciziotrofoblasto.

La vascolarizzazione uterina è a carico delle arterie spiraliformi, con morfologia convoluta e composte da
tessuto connettivo e muscolatura liscia, in grado di regolare il flusso ematico attraverso la contrazione
muscolare. Quando lo zigote si differenzia nelle cellule embrionali e nel trofoblasto, la porzione esterna è
quella che entrerà in contatto con la porzione materna della placenta, in modo da consentire la
connessione dei due sistemi circolatori e lo scambio di gas, nutrienti e prodotti di scarto: nella gravidanza
normale le cellule trofoblastiche invadono la decidua materna e i vasi deciduali, distruggendo la
muscolatura liscia vascolare e sostituendo le cellule endoteliali materne con cellule fetali (vasi ibridi

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materno-fetali), ma

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durante questo stadio le cellule del compartimento emopoietico non esprimono ancora un MHC maturo e
l’HLA risulta composto di antigeni fetali E-F-G (invece che di A-B-C/DR-DQ-DP), per cui anche se le cellule
vengono intercettate dal sistema immunitario materno non scatenano una risposta ma piuttosto
immunotolleranza (vengono prodotte IL4, IL10 e TGFβ, tutte citochine antinfiammatorie). La formazione
dei vasi ibridi converte e arterie spirali da vasi di resistenza a vasi utero-placentari ad elevata portata privi
di muscolatura liscia, trasformazione assente nella pre-eclampsia, che lascia quindi la placenta mal
equipaggiata per soddisfare e crescenti richieste cardiocircolatorie ed esponendola ad ischemia: di norma,
il 20% della gittata cardiaca arriva alla placenta e viene escluso dal controllo delle resistenze periferiche,
perchè la modifica della muscolatura liscia delle arterie endometriali rende impossibile la contrazione.

- Esperimenti su donne gravide trattate con angiotensina II allo scopo di incrementare la PA di


20mmHg hanno dimostrato che rispetto alla dose richiesta nelle donne non gravide le quantità
sono estremamente maggiori, perché solo alcune resistenze rispondono allo stimolo
vasocostrittore; nelle donne pre-eclamptiche si tende invece ai valori delle donne non gravide,
ovvero la capacità contrattile è conservata.

PATOLOGIA IN GRAVIDANZA

La manifestazione più frequente è l’ostruzione delle vie urinarie, che dipende dalla particolare
conformazione anatomica del sesso femminile e dalla crescita dell’utero con compressione dell’uretere e
possibile colica renale ab extrinseco; c’è una maggiore incidenza di litiasi a causa del ristagno di urina al di
sopra dell’ostruzione, con stasi e nucleazione calcolotica spontanea. Batteriuria asintomatica, cistite,
cistopielite e pielonefrite sono tutte condizioni con incidenza maggiore in gravidanza, estremamente
pericolose per il feto e quindi bisognose di trattamento, anche se non tutti i farmaci sono sicuri.

Nei primi 4 mesi di gestazione si può avere iperemesi con disidratazione anche importante per vomito
incoercibile e conseguente ipoperfusione renale (IRA pre-renale) e tissutale, potenziale causa di ricovero
ospedaliero o interruzione volontaria di gravidanza.

In corso di nefropatia preesistente si può sviluppare un aborto settico, causa di necrosi tubulare acuta e
possibile evoluzione in necrosi corticale acuta (IRA renale), e inoltre ci sono alcune nefropatie associate a
trombosi selettiva del circolo utero-placentare, poliabortività, morte endouterina, preeclampsia precoce
severa e sindrome HELLP.

Altre patologie possibili in corso di gravidanza sono la necrosi corticale o tubulare da distacco di placenta o
placenta previa e la SEU atipica post-partum, che insorge nei giorni immediatamente successivi ma anche
dopo mesi dal parto.

La gestosi gravidica si sviluppa nel momento in cui il bilancio fra la domanda del feto e le necessità della
madre non è soddisfatto dal rimodellamento vascolare delle arterie spiraliformi da parte del
sinciziotrofoblasto, condizione nota come placentazione non efficace: in risposta alla contrazione delle
arterie spiraliformi al feto arrivano minori quantità di nutrienti e gas, con sviluppo di stress ossidativo
placentare ed esposizione di frammenti placentari determinanti una risposta immunitaria, infiammazione e
apoptosi. Anche se non ci sono dimostrazioni scientifiche, è stato ipotizzato che la placenta ischemica rilasci
in circolo molecole che provocano lo sbilanciamento fra fattori angiogenetici e anti-angiogenetici, in
particolare sFlt1 (tirosin-chinasi solubili FMS-simili) che inibisce VEGF ed endoglina che antagonizza TGFβ:
inoltre, TGFβ è in grado di stimolare la produzione di NO, per cui la sua inibizione è potenziale causa di
vasocostrizione sistemica, ipertensione e ipoperfusione tissutale.

L’impianto incompleto del trofoblasto provoca quindi ischemia placentare e fetale, rilascio di
tromboplastina e radicali liberi, danno endoteliale da infiammazione con attivazione delle piastrine e del
sistema della coagulazione, inversione del rapporto prostaglandine/trombossani, riduzione del NO e

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produzione di endotelina, depressione del RAAS con ridotta ritenzione di Na+, riduzione della sensibilità
all’angiotensina II e aumentati livelli di ADH per abbassamento della soglia di diluizione.

- La coagulazione porta alla deposizione di fibrina e alla formazione di trombi nelle arteriole e nei
capillari di tutto l’organismo, e in particolare in fegato, rene, cervello e ipofisi: si sviluppa
probabilmente per il danno vascolare, per lo sbilanciamento fra prostaglandine (PGI2, stimolata da
VEGF) e trombossani e per la liberazione di tromboplastina dal citotrofoblasto.

- È probabilmente presente anche un ruolo dell’attivazione immunologica, in quanto donne


multipare che generano figli da un padre diverso sono esposte allo stesso rischio di gestosi delle
donne primipare, e le biopsie placentari mostrano un numero più elevato del normale di cellule NK.

L’evoluzione della preeclampsia in eclampsia dipende dal fatto che non si tratta di una malattia renale, ma
che ischemizzazione, attivazione endoteliale e sbilanciamento dei fattori infiammatori sono alterazioni
sistemiche: si sviluppano nefropatia, epatopatia, pancreatopatia, neuropatia, microangiopatia, diabete
insipido transitorio, foci epilettogeni multipli con ipereccitabilità neuronale, HELLP syndrome e
microangiopatia, ma dato che i sintomi renali sono i primi a manifestarsi (proteinuria, edema, iperuricemia)
la patologia si può diagnosticare e interrompere precocemente.

- L’iperuricemia deriva probabilmente da anomala produzione di ormoni che stimolano il


riassorbimento dell’acido urico a livello di tubulo contorto prossimale e distale (OAT 1-4), e risulta
scarsamente responsiva alla furosemide perché i DDA vengono eliminati dallo stesso trasportatore.

La semeiotica complementare prevede un ridotto flusso ematico uterino e una minore perfusione fetale,
oliguria, aumento della creatininemia per riduzione della funzionalità renale, deposito di immunocomplessi,
eliminazione di antitrombina III e ipocalcemia, elevazione degli enzimi epatici e degli enzimi di lisi cellulare,
cefalea, disturbi visivi, trombocitopenia ed emolisi.

All’analisi istologica, la placenta mostra una maturazione accelerata dei villi con edema, maggiore numero
e prominenza dei villi citotrofoblastici e assottigliamento delle membrane basali trofoblastiche, oltre che
processi ateromasici delle arterie placentari (aterosi acuta e necrosi fibrinoide), infarti più ampi e numerosi
di quelli riscontrati nelle placente normali a termine. A livello renale le
lesioni sono piuttosto variabili, i glomeruli mostrano edema delle
cellule endoteliali ma raramente proliferazione cellulare, depositi densi
amorfi sul versante endoteliale della membrana basale, rigonfiamento
delle cellule mesangiali ed endoteliali (endoteliosi glomerulare,
quando il glomerulo si condensa in una struttura unica si parla di
carnificazione) e abbondante deposito di fibrina, oltre che trombi
vascolari nei casi più avanzati; all’immunofluorescenza è evidente la
fibrina in sede endoteliale e mesangiale al di sotto della membrana
basale.

La preeclampsia si può sviluppare anche su una malattia cronica, e i


soggetti maggiormente a rischio sono le donne con ipertensione
arteriosa essenziale, DM, LES o altre connettiviti, nefropatia glomerulare primitiva, dialisi o trapianto renale,
endometriosi o mola idatiforme, che sviluppano sindromi più precoci e più severe.

La HELLP syndrome (hemolytic anemia, elevated liver enzymes, low platelet count) rappresenta l’insieme di
emolisi, incremento degli enzimi epatici e disturbi della coagulazione con trombocitopenia, sviluppata dal
4-12% delle donne con preeclampsia e diagnosticabile per il rilievo di schistocitosi su striscio ematico
periferico e aumento dei livelli di aptoglobina (emolisi), aumento di transaminasi e bilirubina oltre che di
LDH (lisi cellulare) e piastrine <100'000.
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- L’aptoglobina è una proteina di fase acuta, per cui la combinazione di aptoglobina bassa con LDH
elevata indica microangiopatia trombotica (mancata inibizione del complemento o ridotta
eliminazione dei multimeri di vWF), mentre la combinazione di aptoglobina alta e LDH elevato è
indice di infiammazione (LES): nella donna in gravidanza, ammesso che non ci siano mutazioni
genetiche del sistema del complemento, l’aptoglobina risulta aumentata.

I farmaci utili al controllo della pressione arteriosa sono metildopa (antagonista delle catecolamine,
funziona da falso neurotrasmettitore), gli antagonisti dei canali del Ca2+ e i β-bloccanti, mentre gli
antinfiammatori e gli antiaggreganti devono essere usati con cautela a causa dell’aumentato rischio
emorragico (piastrinopenia concomitante). Il magnesio solfato (MgSO4) somministrato in infusione
continua può essere utile a ridurre la pressione arteriosa in quanto compete con il Ca2+ e modula l’attività
contrattile delle cellule muscolari lisce della parete vascolare.

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DIALISI
La dialisi consiste nella sostituzione artificiale della funzione escretoria del rene, e consente di prolungare
la vita dei pazienti affetti da IRC (è un intervento salvavita quanto VFG<15mL/min): è una procedura
chimico- fisica realizzata mediante membrane semipermeabili e apposite soluzioni (liquido dialitico), che
rappresenta un ponte verso il trapianto di rene, ma che può rappresentare una strategia efficace anche per
moltissimo tempo.

Le due tipologie di dialisi sono l’emodialisi, che utilizza un circuito vascolare extracorporeo, e la dialisi
peritoneale, che sostituisce la membrana di filtrazione della macchina da emodialisi con il peritoneo, per
cui avviene direttamente nell’organismo. In entrambe le metodiche il principio di funzionamento è lo
stesso, ovvero si frappone tra il sangue ricco di scorie e il liquido dialitico una membrana semipermeabile,
in modo che le scorie seguano il proprio gradiente di concentrazione e si portino nel liquido dialitico, e
viceversa eventuali sostanze necessarie all’organismo vengano fatte passare dal liquido dialitico al sangue
(il liquido viene scelto sulla base del paziente, ad esempio a seconda della calcemia): gli obiettivi sono la
correzione dell’uremia e della ritenzione di scorie e il mantenimento dell’equilibrio acido-base ed
elettrolitico.

Ovviamente, non tutte le sostanze possono attraversare una stessa membrana dialitica, per cui a seconda
delle necessità si può scegliere il cutoff di permeabilità (attualmente sono disponibili filtri con cutoff vicino
a 69kDa, che rappresenta il PM dell’albumina), in modo da eliminare le sostanze accumulate non solo in
corso di IRC da malattia renale terminale ma anche di avvelenamenti o intossicazioni (amine alifatiche,
metformina e farmaci). I fondamenti che regolano il passaggio delle sostanze attraverso una membrana
semipermeabile, e quindi la dialisi, sono le variabili della legge di Fick, quindi flusso ematico, coefficiente di
diffusione, differenza di concentrazione, area a disposizione per lo scambio e spessore della membrana:

- Coefficiente di ultrafiltrazione
Rappresenta la pressione da esercitare sulla membrana per impedire il passaggio di una sostanza,
ovvero la capacità del filtro di bloccare determinate molecole.

- Clearance
Rappresenta la capacità di eliminare la sostanza bersaglio sotto forma di volume depurato
nell’unità di tempo, e viene distinta in clearance diffusiva quando una sostanza attraversa
passivamente la membrana spinta solo dal gradiente di concentrazione (emodialisi, sfrutta la
diffusione), in clearance convettiva se la attraversa spinta da una pressione applicata tramite moti
convettivi verso il versante del dialisato (emodiafiltrazione, sfrutta contemporaneamente
diffusione e convezione) o verso una soluzione inerte (ultrafiltrazione o emofiltrazione, sfrutta solo
la convezione si utilizza in pazienti che non tollerano il dialisato).

EMODIALISI
Le componenti essenziali dell’emodialisi sono il filtro, il circuito extracorporeo, il
circuito in parallelo e il monitor:

- Filtro
Rappresenta la membrana attraverso la quale avvengono gli scambi, ha
una superficie di scambio di 1-2m2 e un versante arterioso e venoso, in
quanto viene concepito esattamente come un cuore: riceve il sangue
arterioso del paziente attraverso la via venosa (valvola blu), e lo reimmette
nel circolo venoso attraverso la via arteriosa (valvola rossa). Nella porzione
superiore venosa il filtro è costituito da migliaia di fibre cave (200μm) che

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danno passaggio al sangue nella porzione interna, al liquido di dialisi nella


porzione

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Dispens