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MORCELLIANA
In copertina:
Figura di orante, V sec., San Pietro in Gallicantu, Gerusalemme
www.morcelliana.com
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ISBN 978-88-372-2494-3
Tipografia La Grafica s.n.c. - Vago di Lavagno (Vr)
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26 Orat V, 6 (311, 8-9): keivsqw de; ejn toi'" parou'sin aujtai'" levxesin a{per dia; tw'n
prov" me grammavtwn e[taxa".
27 EpAfr 24. Sulla condizione di Ambrogio come uomo sposato, con moglie e figli,
insiste particolarmente EM, invitandolo a superare gli ostacoli dei legami di sangue alla
prova della testimonianza di fede.
28 È, ad esempio, l’ipotesi di Nautin, 181, nota 101.
29 Cfr. Orat II , 2; XXVIII, 4; XXXI, 4. Per Monaci Castagno 2003, 183, nota 97, «la
menzione di Taziana non è un episodico atto di cortesia: è pensando a lei che Origene
dedica un’attenzione particolare alla precettistica riguardante la preghiera delle donne e
all’esaltazione di alcune figure femminili dell’Antico Testamento».
30 Eusebio, HE VI , 24, 2.
Il contesto del Perì euchês 19
ben argomentata e persuasiva –, la composizione di Orat dovrebbe collo-
carsi fra la redazione dei tomi X e XI del Commento a Genesi e la successi-
va stesura degli scolî su Esodo, vale a dire intorno al 234-235. A sostegno
di ciò Nautin adduce, da un lato, Orat XXIII, 4, dove l’Alessandrino si ri-
chiama espressamente alla sua esegesi di Gn 3, 8-931, presumibilmente da
assegnarsi a CGn X o XI , dato che – come ricaviamo peraltro dalla Storia
ecclesiastica di Socrate – nel IX tomo Origene sviluppava il tema di Ada-
mo ed Eva come figure di Cristo e della Chiesa, presumibilmente in rap-
porto a Gn 2, 2232. Quanto al terminus ante quem, in Orat III, 3 si rimanda
l’esegesi approfondita di Es 9, 33 ad un futuro commentario33, un cenno –
secondo Nautin – agli Scoli su Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deute-
ronomio, che a suo giudizio sarebbero da datare agli anni 234-23534.
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61 Si veda, ad esempio, l’isolato intervento di Héring.
CAPITOLO SECONDO
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68 «Die Absicht des grossen Gelehrten, auch den Gebildeten das christliche Gebet
nahezubringen und es ihnen zu einem heiligen und geschätzten Mittel zu machen, gottähn-
licher zu werden und Gott näher zu kommen, ist für die Geistesrichtung jener Zeit erreicht
und so dürfen wir sagen, dass trotz aller Mängel und Einseitigkeiten Origenes die theolo-
gische Aufgabe, die hier für ihn lag, trefflich gelöst hat. Wir sind auch heute in den we-
sentlichen Punkten noch nicht weiter, als Origenes damals gewesen ist, wenn wir auch
eine andere Sprache reden» (Goltz, 278).
69 Dibelius, che rileva anche la preminenza della preghiera di richiesta nel ritratto
di Gesù orante (p. 36), ritiene che Origene, al pari del suo maestro Clemente, non riesca a
fondare adeguatamente la preghiera (p. 37).
70 Questo smilzo lavoro (una tesi presentata alla Faculté de Théologie Protestante
de Paris) non pare aver lasciato molte tracce nella letteratura origeniana, se si esclude l’uso
che ne ha fatto, in particolare, Völker. Ringrazio l’amico Harald Buchinger per avermene
gentilmente procurato una fotocopia.
71 Per il giudizio sulle caratteristiche letterarie si veda Genet, 5-6: «Le livre du doc-
teur alexandrin, assez court du reste, semble avoir été écrit à la hâte. Le style en est sou-
vent relâché: les obscurités, les répétitions, les longueurs ne font pas défaut». Egli ricon-
duce tali manchevolezze anche all’ “abuso” (!) delle citazioni scritturistiche: «cet emploi
vraiment abusif de l’Écriture sainte vient encore ajouter à la lourdeur naturelle du style
d’Origène et à l’obscurité de sa pensée» (pp. 66-67).
30 Parte prima, Capitolo secondo
(proseuchv)72. Nella seconda parte, poi, egli analizza nelle sue linee es-
senziali la teologia origeniana della preghiera. Procedendo nuovamente in
maniera sistematica, Genet la ricollega alla concezione di Dio come es-
sere trascendente, da ricondurre peraltro al patrimonio filosofico del suo
tempo. Tale concezione permea la cornice tracciata da Origene per l’atto
orante, laddove esso si esplica in linea di principio come ascensione del-
l’uomo a Dio. È anche a causa di ciò che Genet, nonostante l’ammira-
zione per l’Alessandrino, critica Origene per l’eccessivo «spiritualismo»
determinato dalla matrice filosofica del suo pensiero73. Ma l’autore stesso
sembra avvertire quanto tale conclusione risulti ingiusta nei confronti di
Origene. Infatti, Genet completa la sua ricostruzione della visuale orige-
niana con il riferimento, da un lato, alla Bibbia e, dall’altro, alla pietà per-
sonale dell’Alessandrino. Grazie al radicamento nella Scrittura l’Alessan-
drino è sfuggito al rischio di disfarsi della preghiera di domanda, come
sarebbe stato conforme ai suoi presupposti filosofici. A ciò va aggiunto il
fatto che Origene era lui stesso un uomo di preghiera, come Genet illustra
soprattutto a partire dalle preghiere che ricorrono nelle omelie. Del resto,
la spiritualizzazione perseguita dall’Alessandrino va vista anche come rea-
zione alla prassi di preghiera diffusa nelle comunità cristiane del tempo,
senza che essa sfoci in una rottura completa con essa74. In tal modo, la
breve dissertazione di Genet, non priva ancor oggi di motivi di interesse,
disegna un ritratto abbastanza mosso, che colpisce proprio per la moltepli-
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72 Genet, 26-31. Pertanto, il privilegio accordato alla proseuchv rimane un po’ enig-
matico per l’autore che, a proposito di Orat XIV , 2. 4, osserva: «Il y a donc dans cette prière
un élément qui n’est pas une demande, la doxologie ne servant qu’à exalter les magnifi-
cences divines, à chanter les louanges du Très-Haut et à proclamer ses bienfaits. Origène
insiste au chapitre 14, 4 sur ce caractère doxologique. Par là cette prière se rapproche de la
prière d’adoration pure» (p. 26). Inoltre, egli relativizza ulteriormente l’importanza della
proseuchv e la distinzione di quattro tipi di preghiera, sforzandosi di raccogliere le tracce
di una «preghiera interiore»: «À côté des quatre formes de prières [...], à côté de la notion
de la prière qui se confond avec les actes pieux, il y a chez Origène l’idée d’une prière in-
térieure suivant laquelle le croyant entre directement en communion avec Dieu, sans avoir
besoin de lui exprimer verbalement ses désirs» (p. 36). Tuttavia, affrontando successiva-
mente la questione dei destinatari, si sforza di ripensare la natura della proseuchv preci-
sandola in questi termini: «au fond pour notre penseur la proseuchv seule est vraiment une
prière, un acte purement religieux et qui ne peut s’adresser qu’à l’Être divin par excel-
lence, à Dieu seul. Les autres prières sont bien au-dessous puisque, au besoin, elles peu-
vent s’adresser à de simples mortels» (pp. 45-46).
73 Genet, 64: «La notion de la prière a été entièrement transformée par un spiritua-
lisme extrême. La prière a une tendance à devenir une élévation mystique vers un Dieu
transcendant, la demande matérielle est exclue, l’exaucement réduit à l’exaucement spiri-
tuel s’accomplissant soit par l’ordre providentiel, soit par les êtres intermédiaires, la prière
se confondant finalement avec les actes pieux et la méditation intérieure».
74 Genet, 80: «Origène veut rester en contact avec le christianisme populaire de
son temps, sans aucune compromission, mais en l’élevant vers une notion plus haute de la
prière».
Prospettive della ricerca 31
cità dei suoi contrasti. Pur senza influire direttamente sulle ricerche suc-
cessive, l’autore anticipa alcuni dei problemi maggiori con cui la ricerca
posteriore doveva confrontarsi.
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144 Monaci Castagno 1997, 134: «La concezione origeniana della preghiera è, nella
forma della katavstasi" richiesta all’orante, una cura del sé; un esercizio che deve essere
sempre rinnovato e che, per quanto sostenuto e descritto con citazioni bibliche, rivela l’alta
radice degli esercizi spirituali delle filosofie ellenistiche; sotto tale profilo, PE poteva es-
sere recepito dai suoi destinatari come una vera e propria Seelenführung, come l’equiva-
lente cristiano di scritti quali I Ricordi di Marco Aurelio, il Manuale di Epitteto e, nella
generazione successiva, la Lettera a Marcella di Porfirio».
145 Monaci Castagno 2006, 221 nota la continuità del paradigma sino a Giovanni
Crisostomo: «Sia Origene, sia Giovanni si rivolgono ad un segmento preciso della società
tardo-imperiale: il ceto superiore costituito da persone che ricoprono o che sono destinate
a ricoprire ruoli pubblici importanti e il cui cristianesimo si aggiunge ad una buona base
di preparazione retorica e filosofica. Questo spiega il livello alto di questa direzione che,
sia pure nella diversità delle situazioni, pone al centro esercizi che riguardano la lettura, la
meditazione, il ragionamento mediante il quale è possibile salvaguardare la propria tran-
quillità interiore e neutralizzare l’urto della molteplice, contraddittoria, dolorosa, realtà
contingente. In tutti i testi, per quanto declinata in modo diverso, è presente la tradizione
degli esercizi spirituali».
CAPITOLO TERZO
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158 Il passo ha procurato difficoltà ai traduttori, benché lo si possa comprendere se
lo si legge come inciso, alla maniera di Koetschau. Egli lo rende così: «ein Mensch, der
sich nicht wohl anmaßt, das Gebet zu begreifen» (BKV, 15). Invece Jay, 88 ne dà una ver-
sione un po’ diversa: «for it is not indeed to myself that I attribute my capacity for prayer».
Egli non ha torto ad indicare l’incapacità umana di pregare autenticamente, anche se qui
si tratta anzitutto dell’incapacità di esporre l’argomento della preghiera in maniera ade-
guata. Così intendono, ad esempio, con soluzioni più o meno felici, Oulton, 243 («for I do
not hold that I am able of my own self to treat of prayer») e Greer, 86 («in no way attri-
bute an understanding of prayer to myself») e Antoniono, 37 («poiché non mi riconosco il
diritto di definire la preghiera»).
159 Orat XXXIV (403, 4-9): oujk ajpoginwvskw de;, toi'" e[mprosqen uJmw'n ejpekteino-
mevnwn kai; tw'n o[pisqen ejpilanqanomevnwn (cfr. Fil 3, 14) eujcomevnwn te ejn touvtoi"
o[ntwn peri; hJmw'n, pleivona kai; qeiovtera eij" pavnta tau'ta dunhqh'nai cwrh'sai ajpo; tou'
didovnto" qeou' kai; labw;n pavlin peri; tw'n aujtw'n dialabei'n megalofuevsteron kai;
uJyhlovteron kai; tranovteron. Non mancano peraltro analogie con la chiusa dell’Esorta-
zione al martirio (EM 51; cfr. infra, nota 774).
160 Si veda rispettivamente Mt 19, 11 con il significato di «comprendere» (ouj
pavnte" cwrou'sin to;n lovgon ajll∆ oi|" devdotai) e G v 8, 37 con quello di «trovar posto,
spazio» (oJ lovgo" oJ ejmo;" ouj cwrei' ejn uJmi'n). Al primo dei due luoghi sembra alludere
Orat XXXIV (403, 7-8): cwrh'sai ajpo; tou' didovnto" qeou' . Nel significato di «contenere» il
verbo figura ancora in Gv 21, 25, ripreso da CIo XIII, 5, 27 (230, 3-8): Kai; ga;r ta; kuriwv-
tera kai; qeiovtera tw`n musthrivwn tou` qeou` e[nia me;n ouj kecwvrhken grafhv, e[nia de;
oujde; ajnqrwpivnh fwnh; kata; ta; sunhvqh tw`n shmainomevnwn h] glw`ssa ajnqrwpikhv: ∆Estin
ga;r kai; a[lla pollav, a} ejpoivhsen oJ ∆Ihsou`~, a{tina eja;n gravfhtai kaq∆ e{n, oujde; aujto;n
oi\mai to;n kovsmon cwrhvsein ta; grafovmena bibliva .
56 Parte prima, Capitolo terzo
dell’uomo161. Esso sembra dunque racchiudere in positivo la chance del-
l’apertura alle realtà divine come per converso, in negativo, la chiusura ad
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161 Si vedano, senza pretesa di completezza, i seguenti luoghi di CIo (I , 7, 38 [12, 9]:
toi'" mevllousi cwrei'n aujtou' th;n qeovthta ajnqrwvpoi" qeou'; I , 10, 62 [15, 26-28]: Ou|to"
gavr ejstin oJ ajpo; tou' ajgaqou' patro;" to; ajgaqa; ei\nai labwvn, i{na e{kasto" o} cwrei' h] a}
cwrei' dia; ∆Ihsou' labw;n ejn ajgaqoi'" tugcavnh/; I , 20, 124 [25, 16-20]: Kai; makavrioiv ge
o{soi deovmenoi tou' uiJou' tou' qeou' toiou'toi gegovnasin, wJ" mhkevti aujtou' crhvz/ ein ijatrou'
tou;" kakw'" e[conta" qerapeuvonto" mhde; poimevno" mhde; ajpolutrwvsew", ajlla; sofiva"
kai; lovgou kai; dikaiosuvnh", h] ei[ ti a[llo toi'" dia; teleiovthta cwrei'n aujtou' ta; kavlli-
sta dunamevnoi"; I, 25, 166 [31, 25-28]: Toi'" de; mh; cwrou'si ta;" hJliaka;" Cristou' ajkti'-
na" oiJ a{gioi diakonou'nte" parevcousi fwtismo;n pollw'/ tou' proeirhmevnou ejlavttona,
movgi" kai; tou'ton cwrei'n dunamevnoi" kai; uJp∆ aujtou' plhroumevnoi"; I, 34, 246 [43, 30-
33]: ”Ekasto" de; tw'n sofw'n kaq∆ o{son cwrei' sofiva", tosou'ton metevcei Cristou', kaq∆
o} sofiva ejstivn ; II, 3, 22 [55, 25-29]: ’O" ga;r ouj cwrei' tou'ton to;n lovgon, to;n ejn ajrch'/
pro;" to;n qeovn, h[toi aujtw'/ genomevnw/ sarki; prosevxei, h] meqevxei tw'n meteschkovtwn tino;"
touvtou tou' lovgou, h] ajpopesw;n tou' metevcein tou' meteschkovto" ejn pavnth ajllotrivw/ tou'
lovgou <lovgw/> e[stai kaloumevnw/; II , 18, 127 [75, 25-26], detto dello Spirito: Eij de; maqh-
teuovmenon pavnta cwrei', a} ejnatenivzwn tw'/ patri; ajrcovmeno" oJ uiJo;" ginwvskei, ejpime-
levsteron zhthtevon; VI, 3, 15 [109, 19-22]: Kai; to; ∆Ek tou' plhrwvmato" de; aujtou' hJmei'"
pavnte" ejlavbomen kai; to; Cavrin ajnti; cavrito" (Gv 1, 16) [...] dhloi' kai; tou;" profhvta"
ajpo; tou' plhrwvmato" Cristou' th;n dwrea;n kecwrhkevnai; VI, 42, 220 [151, 27–152, 2]:
∆Iordavnhn mevntoi ge nohtevon <to;n > tou' qeou' lovgon to;n genovmenon savrka kai; skhnwv-
santa ejn hJmi'n, ∆Ihsou'n de; to;n klhrodothvsanta o} ajneivlhfen ajnqrwvpinon, o{per ejsti;n
kai; ajkrogwniai'o" livqo", o}" kai; aujto;" ejn th'/ qeovthti tou' uiJou' tou' qeou' genovmeno" tw'/
ajneilh'fqai uJp∆ aujtou' louvetai, kai; tovte cwrei' th;n ajkevraion kai; a[dolon peristera;n
tou' pneuvmato", sundedemevnhn aujtw'/ kai; mhkevti ajpopth'nai dunamevnhn; VI, 43, 225 [152,
29-31]: eujtrepizevsqwsan pro;" to; dunhqh'nai dia; th'" proetoimasiva" cwrh'sai to;n pneu-
matiko;n lovgon ejgginovmenon dia; tou' fwtismou' tou' pneuvmato"; X, 6, 26 [176, 21-26]: ÔW"
ga;r di∆ eJno;" ajnqrwvpou oJ qavnato", ou{tw" kai; di∆ eJno;" ajnqrwvpou hJ th'" zwh'" dikaivwsi":
oujk a]n cwri;" tou' ajnqrwvpou cwrhsavntwn hJmw'n th;n ajpo; tou' lovgou wjfevleian, mevnonto"
oJpoi'o" h\n th;n ajrch;n pro;" to;n patevra qeovn, kai; mh; ajnalabovnto" a[nqrwpon, to;n pavntwn
prw'ton kai; pavntwn timiwvteron kai; pavntwn ma'llon kaqarwvteron aujto;n cwrh'sai du-
navmenon; X, 8, 36 [178, 16-19]: Tiv" d∆ ou{tw" sofo;" kai; ejpi; tosou'ton iJkano;" wJ" pavnta
to;n ∆Ihsou'n ajpo; tw'n tessavrwn eujaggelistw'n maqei'n, kai; e{kaston ijdiva/ cwrh'sai noh'-
sai, kai; pavsa" aujtou' ta;" kaq∆ e{kaston tovpon ijdei'n ejpidhmiva" kai; lovgou" kai; e[rga…
XIII, 5, 27 (cfr. supra, nota 160); XX, 6, 40 [333, 29-31]: ∆Eoivkasin de; ou|toi, pro;" ou}" oJ
lovgo", mh; cwrei'n to;n lovgon, ouj dunavmenon eij" aujtou;" di∆ uJperbolh;n megevqou" ijdivou
tou' uJpe;r aujtou;" cwrei'n). Cfr. ancora VI, 18, 98; X, 15, 85; X, 29, 179; X, 41, 286; XIII,
18, 112; XIX , 10, 59; XIX, 12, 72. Per l’idea di un’incapacità o, al contrario, della capacità
sul piano della prassi, cfr. rispettivamente VI, 19, 105 (128, 17-18): Au{th de; <hJ> oJdo;" ste-
nh; mevn, tw'n pollw'n ouj cwrouvntwn oJdeuvein aujth;n kai; megalosavrkwn; e VI, 44, 230
(153, 29-30): toi'" cwrou'sin th;n peri; aJgneiva" ejntolhvn. Invece, per la dinamica della
conoscenza parziale ma sollecitata dinamicamente ad una partecipazione più grande, cfr.
VI, 36, 183 (145, 20-22): ”Osa de; eja;n cwrhvswmen, e[ti uJpoleivpetai ta; mhdevpw nenoh-
mevna, ejpei; ”Otan suntelevsh/ a[nqrwpo" tovte a[rcetai, kai; o{tan pauvshtai tovte ajporh-
qhvsetai (Sir 18, 6). Per esprimere la capacità di comprendere in senso spirituale, Origene
si serve anche dell’aggettivo cwrhtov" (X, 41, 286 [219, 7-10]: th'" ejn musthrivw/ ajpoke-
krummevnh" deovmeqa sofiva", cwrhth'" tugcanouvsh" movnw/ tw'/ dunamevnw/ eijpei'n: ÔHmei'"
de; nou'n Cristou' e[comen (1Cor 2, 16), i{na kata; to; bouvlhma tou' oijkonomhvsanto" tau'ta
grafh'nai pneumatikw'" ejklavbwmen e{kaston tw'n eijrhmevnwn). Cfr. inoltre FrRe IV ad
In ascolto del testo 57
esse, ma dentro la prospettiva di un sostanziale dinamismo di partecipa-
zione alle realtà divine che dalla Trinità si trasmette agli esseri razionali.
Origene lo chiarisce bene nel prosieguo del trattato, con un terzo utilizzo
strategico del verbo, all’inizio della seconda sezione di Orat (XVIII- XXX).
Egli dichiara di aver argomentato «a sufficienza» la sua risposta al «proble-
ma della preghiera», nella misura in cui egli è stato in grado di «compren-
dere» (wJ" kecwrhvkamen) con l’ausilio della grazia donatagli da Dio me-
diante Cristo e, spera, anche dallo Spirito. Se sia avvenuto effettivamente
così anche per quest’ultimo aspetto – cioè con una piena partecipazione al
dinamismo trinitario –, lo lascia prudentemente al giudizio dei lettori162 .
L’eco della nota iniziale può essere ancora colta, proprio nel trapasso
dalla prima alla seconda sezione, tramite un ulteriore risvolto di natura
lessicale, che ci fa capire nuovamente il senso d’inadeguatezza dichiarato
in partenza e la sfida che il discorso sulla preghiera rappresenta per l’Ales-
sandrino. Annunciando l’esposizione a cui si accinge, destinata a com-
mentare il Padrenostro, egli la prefigura nei termini di un secondo «com-
battimento» (to;n eJxh'" a\qlon)163. Più che la metafora sportiva dell’atleta e
della gara coronata dal premio, anche in questo uso singolare del voca-
bolo, privo cioè di riscontri nel resto degli scritti di Origene, si avverte
semmai la costante consapevolezza di un arduo compito, affrontato non
senza una tensione drammatica o, come spiegheremo meglio fra poco,
«agonica». Di segno analogo è del resto il verbo che designa retrospetti-
vamente lo sforzo intrapreso in quest’opera, quando concludendo il suo la-
voro l’autore ribadisce l’idea di «essersi impegnato in un combattimento»
(dihvqlhtai), senza per nulla tradire la consapevolezza di meritare il pre-
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1Sam 15, 9-11 (296, 6-10): swmatikwvteron toi'" barutavtoi" th;n diavnoian e[dei peri; tou'
qeou' tou;" profhvta" oJmilei'n, i{na cwrhqh/:' oiJ ga;r ajgavlmata a{per e[glufon kai; ejcwv-
neuon qeou;" nomivzonte", h[dh de; kai; a[loga, pw'" a]n ejcwvrhsan dia; pneumatikw'n noh-
mavtwn te kai; rJhmavtwn ta; peri; qeou' legovmena. Sul valore del termine nel lessico orige-
niano si veda Crouzel 1961, 468.
162 Orat XVIII, 1 (340, 3-6): Aujtavrkw" dh; ejn touvtoi", kata; th;n dedomevnhn cavrin,
wJ" kecwrhvkamen, uJpo; qeou' dia; tou' Cristou' aujtou' (ajll∆ ei[qe kai; ejn aJgivw/ pneuvmati,
o{per eij ou{tw" e[cei, krinei'te ejntugcavnonte" th'/ grafh'/) hJmi'n eijrhmevnoi", ejxetavsante"
to; peri; eujch'" provblhma. Per le altre occorrenze in Orat, cfr. XVII, 2 (339, 10-11): to; ga;r
kurivw" kavllo" sa;rx ouj cwrei', pa'sa tugcavnousa ai\sco"; XVII, 2 (339, 21-22): wJ" cw-
rei' oJ e[ti dedemevno" swvmati ajnqrwvpino" nou'" ; XXV, 2 (358, 8-9): ejk mevrou" ginwvskwn
me;n o{sa pot∆ a]n cwrh'sai ejpi; tou' parovnto" dunhqh'/; XXVI , 3 (360, 26-28): eu[cesqai
dei'n e{kaston tw'n ajpo; th'" ejkklhsiva" ou{tw cwrh'sai to; patriko;n qevlhma, o}n trovpon
Cristo;" kecwvrhken; XXVII, 8 (368, 16): oJ ga;r sunw;n aujth'/ tovno" kai; di∆ o{lwn kecw-
rhkwv"; XXVII, 9 (369, 3-4): w{sper oJ swmatiko;" a[rto" ajnadidovmeno" eij" to; tou' trefo-
mevnou sw'ma cwrei' aujtou' eij" th;n oujsivan; XXVIII, 8 (380, 9-11): wJ" cwrhvsa" to; pneu'ma
to; a{gion kai; genovmeno" pneumatiko;" tw'/ uJpo; tou' pneuvmato" a[gesqai.
163 Orat XVIII, 1 (340, 9): h[dh kai; ejpi; to;n eJxh'" a\qlon ejleusovmeqa, th;n uJpogra-
fei'san uJpo; tou' kurivou proseuch;n, o{sh" dunavmew" peplhvrwtai, qewrh'sai boulovme-
noi. Cfr. Junod 2009, 434, 436.
58 Parte prima, Capitolo terzo
mio che spetta a chi gareggia164 . Al contrario, come si è intravisto, egli fa
trapelare un sentimento d’insoddisfazione per un esito che ritiene inevita-
bilmente inadeguato all’oggetto dell’impresa.
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pwro" ejgw; a[nqrwpo": tiv" me rJuvsetai ejk tou' swvmato" tou' qanavtou touvtou (Rm 7, 24)…
tiv" ga;r tw'n «ejn tw'/ skhvnei» (2Cor 5, 4) stenazovntwn dia; to; barei'sqai uJpo; tou' fqartou'
swvmato" oujci; kai; eujcaristhvsei provteron eijpwvn: tiv" me rJuvsetai ejk tou' swvmato" tou'
qanavtou touvtou… blevpwn o{ti dia; th'" oJmiliva" rJusqei;" ajpo; «tou' swvmato" tou' qanavtou»
aJgivw" ajnafqevgxetai tov: cavri" tw'/ qew'/ dia; Cristou' ∆Ihsou' tou' kurivou hJmw'n (Rm 7, 25).
184 Cfr. supra, nota 40. Un’analoga combinazione di Sap 9, 15 e 2Cor 5, 4 figura in
CC V , 19, allorché Origene respinge il paragone di Celso sugli uomini come «vermi»:
noei' hJ memelethkui'a th;n sofivan kata; to; stovma dikaivou melethvsei sofivan diafora;n
ejpigeivou oijkiva", ejn h|/ ejsti to; skh'no", kataluomevnh" kai; skhvnou", ejn w|/ oiJ o[nte"
divkaioi stenavzousi barouvmenoi. Si veda anche CC VII, 32, dove Origene considera il
motivo della «tenda» dell’anima nella prospettiva della dottrina della resurrezione; CIo I,
26, 177 (33, 8): oiJ o[nte" ejn tw'/ skhvnei stenavzousin. In CIo VI, 42, 217 (151, 17-18) la
«tenda d’argilla» ritorna a proposito delle «figlie degli uomini» (Gn 6, 1-2), considerate
da alcuni (cioè, Filone Alessandrino) come simbolo dei corpi unite alle «anime» (to;
ghvi>non skh'no" levgesqai uJpeilhfovte"). FrLam 10 (239, 18-22) riprende 2Cor 5, 4 inter-
pretando il lamento di Lam 1, 2 in nesso con Lc 6, 21 («Beati voi che ora piangete, perché
riderete»): oJ toivnun stenavzwn dia; to; ei\nai ejn tw/' skhvnei, w{sper oJ ajpovstolo" dedhv-
lwken eijpwvn: kai; ga;r oiJ o[nte" ejn tw/' skhvnei stenavzomen barouvmenoi, to;n ejn ejpagge-
liva/ gevlwta poqw'n kai; th;n qeivan iJlarovthta, klauqmo;n klaivei trofimwvtaton kai; wjfe-
lou'nta th;n yuchvn.
185 EM 47 (43, 8-12): tiv toivnun ojknou'men kai; distavzomen ajpoqevmenoi to; ejmpodiv-
zon «fqarto;n sw'ma», baru'non yuch;n, bri'qon «nou'n polufrovntida» «gew'de" skh'no"»,
ajpoluqh'nai tw'n desmw'n kai; ajnalu'sai ajpo; tw'n meta; sarko;" kai; ai{mato" kumavtwn…
i{na su;n Cristw'/ ∆Ihsou' th;n oijkeivan th'/ makariovthti ajnavpausin ajnapauswvmeqa.
In ascolto del testo 67
4. Nell’agone del mondo: fra libertà e responsabilità
––––––––––––––––––
198 Cfr. FrLc 174 (300, 18.22) su Lc 11, 2: to;n peri; th'" proseuch'" lovgon [...] to;n
th'" eujch'" lovgon.
199 Si veda l’introduzione al commento di Lc 11, 1 in FrLc 172 (299, 1-6): Ei\ta
i{na deivxh/ e[ti aujto;n protrevpein ejpi; th;n peri; th'" eujch'" didaskalivan, toiauvthn prosfev-
rei ajxivwsin, o{ti kai; ∆Iwavnnh", peri; ou| hJma'" ejdivdaxa", o{ti meivzwn ejn gennhtoi'" gunai-
kw'n aujtou' oujdeiv" ejstin (Lc 7, 28), th'" peri; th;n eujch;n oujk hjmevlei didaskaliva": kai;
o{ti: to; pw'" proseuvxasqai, kaqo; dei', oujk oi[damen (Rm 8, 26): kai; o{ti: ejneteivlw hJmi'n
aijtei'n ta; megavla kai; ta; aijwvnia: povqen ou\n hJmi'n ejstin eijdevnai tau'ta h] ajpo; sou' tou'
qeou' kai; swth'ro" hJmw'n…
200 FrLc 174 (300, 15-18): ei\ta Matqai'o" me;n ejpifevrei tw'/: pavter hJmw'n tov: ej n
toi'" oujranoi'", a{te peri; basileiva" dialegovmeno" oujranw'n kai; pavnta" tou;" parovnta"
didavskein dihgouvmeno" to;n swth'ra meta; tou;" makarismou;" kai; to;n peri; th'" proseu-
ch'" lovgon.
201 FrLc 174 (300, 18-22): Louka'" de; peri; basileiva" didavskwn qeou' ejn o{lw/ tw'/
kat∆ aujto;n eujaggelivw/ ejsiwvphse to; ejn toi'" oujranoi'", wJ" uJyhlovteron kai; tovpou krei't-
ton to; qei'on ei\nai didavskwn kai; ijdiva/ toi'" maqhtai'" wJ" uJyhlotevroi" tw'n loipw'n to;n
Cristo;n uJfhgouvmenon to;n th'" eujch'" lovgon.
202 Per un approfondimento di tale aspetto rimando al mio contributo in Perrone
1994b. La conclusione Gessel, 59, secondo cui «die Überschrift des Werkes muß also
gelautet haben: oJ peri; (th'") eujch'" lovgo"» non tiene conto di questi elementi che richie-
dono un giudizio più sfumato. Pur con qualche semplificazione, si può invece convenire
con Löhr 1999, 90, per il quale la discussione del «problema della preghiera» sta al centro
di Orat, in risposta alle due domande su «che» e «come» pregare: «die Widerlegung der
christlichen Gebetsgegner ist für Origenes kein bloß preliminärer oder nebensächlicher
In ascolto del testo 73
Pur contraddistinto in maniera strutturale dalla sua natura di prov-
blhma, Orat suscita tra gli studiosi l’impressione di essere una composi-
zione disordinata ed eterogena. Nonostante le grandi articolazioni indicate
dall’autore, e ammesse in generale dalla critica, il trattato risulterebbe
privo di unità203 . Origene si sarebbe lasciato guidare dal proposito di una
panoramica ad ampio raggio, inseguendo un po’ confusamente diverse
tematiche, ma di fatto senza riuscire ad imprimere al proprio discorso una
configurazione unitaria204 . Giudizi come questi richiamano alla mente
analoghe valutazioni critiche sulle manchevolezze della composizione in
taluni autori e scritti della tarda antichità (l’esempio maggiore in questo
senso è notoriamente Agostino). Nel caso di Origene, forse si è tenuto
poco conto, in via preliminare, delle condizioni di produzione della sua
opera, che sappiamo essere stata caratterizzata da una fecondità creativa
senza eguali. Inoltre, solo negli ultimi anni si è dato il giusto riconosci-
mento all’impatto dell’ambiente scolastico al cui interno Origene operava
non solo come maestro a contatto con i discepoli, ma anche come auto-
re 205 . In questa cornice, pur tenendo in debito conto la singolarità di Orat
accertata in precedenza, una valutazione contestuale può aiutarci a co-
gliere meglio sia la consapevolezza “autoriale” sia l’esito effettivo delle
intenzioni letterarie dichiarate. Se l’impronta della “scuola” non pare av-
vertirsi direttamente in questo testo, la sua stesura è stata accompagnata
dalla redazione di un grande commentario come il Commento a Giovanni
e seguita, probabilmente a ruota, da uno scritto breve come l’Esortazione
al martirio. Nel caso del capolavoro esegetico di Origene, un’analisi at-
tenta al profilo letterario, pur nella varietà di circostanze e modalità di
composizione, fa risaltare il proposito di una costruzione il più possibile
organica, preoccupazione tanto più significativa dato il genere del com-
mentario esegetico atto invece di per sé a determinare un’inevitabile fram-
mentazione del discorso, anche in relazione allo Sitz im Leben scolasti-
co206. Quanto all’Esortazione al martirio, è evidente la difficoltà di discer-
nere una qualche strutturazione del testo: Origene sembrerebbe procedere
per associazione di idee, o prima ancora per dossiers successivi di cita-
––––––––––––––––––
Gedankengang, sondern sie wird von ihm so vorgenommen, daß sie ins Zentrum seiner
Gebetslehre führt, die auf eben diese beiden Hauptfragen zentriert ist».
203 È sintomatico il giudizio di Méhat 1986b, 2255, secondo cui Orat «est assez
confus et manque d’unité. Il porte la marque d’une époque de transition: antérieur à la
fixation des dogmes comme à l’essor de la grande liturgie d’un coté, du monachisme de
l’autre, il a été presque effacé de la mémoire par la postérité».
204 Per Junod, 86-87, l’autore si rivela incapace di trovare un “filo di Arianna” con
cui legare fra loro i diversi temi, specialmente nella prima parte. Quanto a Gessel, 44, Orat
sembra consistere di due, se non tre saggi distinti, riuniti in un’unica opera.
205 Questo aspetto, segnalato a più riprese da M. Simonetti, è stato approfondito in
particolare da Bendinelli.
206 Ho argomentato questa tesi in Perrone 2005b.
74 Parte prima, Capitolo terzo
zioni bibliche. I tentativi di estrapolare un piano dell’opera si arrestano
praticamente al prologo ed all’epilogo come entità più chiaramente circo-
scrivibili sul piano formale, mentre l’articolazione del corpo di EM appare
assai labile. Si è tentati di concludere che ci troviamo di fronte a una serie
di “variazioni sul tema”, probabilmente scritte di getto e in ogni caso senza
un piano prestabilito.
Ben diverso è dunque l’impegno che riscontriamo in Orat sotto il
profilo formale e letterario, già a partire dal piano della lingua e dello
stile207. Verosimilmente neppure qui è da escludere che la configurazione
finale risenta dell’occasionalità, determinando un assemblaggio di temi e
prospettive variegate, frutto, per così dire, dalla messa a punto in corso
d’opera. Forse Origene è partito originariamente dal provblhma “commis-
sionatogli” per inquadrarlo successivamente in un lovgo" e sfociare in tal
modo in un’esposizione “in positivo” sulla preghiera. Considerando che
per lui la piattaforma dell’argomentazione non può mai prescindere dalla
Scrittura, questo lovgo" doveva come tale integrare la «dottrina» sulla pre-
ghiera attraverso il confronto esegetico con le testimonianze evangeliche
sul Padrenostro e gli insegnamenti connessi ad esso. Sembra insomma
lecito supporre che Origene, nel rispondere ad Ambrogio, abbia voluto
estrapolare le diverse implicazioni dello spunto iniziale offrendo peraltro
la risposta che appare più consona al suo profilo caratterizzante di inter-
prete della Scrittura, cioè con uno specifico apporto esegetico sul tema.
Fornendo al lettore delle indicazioni compositive negli snodi principali
della trattazione, ed esplicitando così l’agenda tematica prescelta, l’autore
ha voluto aiutarlo a ricuperare un profilo unitario dell’opera. Da questo
punto di vista, le dichiarazioni programmatiche non possono essere igno-
rate o scardinate, come ha fatto Bertrand, in vista di ricavare una diversa
organizzazione tematica che rifletterebbe meglio la dinamica del pensiero
di Origene208. Senza disarticolare la ripartizione indicata espressamente
dall’autore, è infatti possibile mettere in luce l’ispirazione unitaria del
trattato anche attraverso altri indizi. Se la prima sezione (Orat III- XVII)
soffre a prima di vista di una certa eterogeneità, anche qui Origene sembra
prefigurare un’esposizione strutturata metodicamente: non a caso avvia il
discorso preliminarmente (prw'ton) da un’analisi del vocabolario della pre-
ghiera nella Bibbia209 , alla luce dei due termini principali euchv e proseu-
––––––––––––––––––
207 Come rilevato attentamente da Gessel, 44.
208 Lo schema alternativo del trattato è così ricostruito da Bertrand, 477: I-II : prolo-
go; III-XXI: utilità della preghiera; XXII-XXVII: la preghiera al Padre; XXVIII-XXX: la giusti-
ficazione dell’uomo; XXXI-XXXIII : il ruolo del corpo; XXXIV: congedo.
209 Più che dall’inizio di Orat III, 1 (304, 3-4: Prw'ton dh; to; o[noma th'" eujch'" o{son
ejpi; parathrhvsei th'/ ejmh'/ euJrivskw keivmenon), il prw'ton dell’indagine sulla semantica bi-
blica della preghiera è dichiarato da IV, 1 (307, 4-5: Oujk a[logon dhv moi ejfavnh to; kata;
ta;" grafa;" shmainovmenon prw'ton diasteivlasqai).
In ascolto del testo 75
chv (Orat III- IV), per introdurre successivamente (meta; tau'ta) la quaestio
sulla preghiera (Orat V-VII )210, marcando peraltro più indistintamente il
passaggio alla parte residua della prima sezione (Orat VIII- XVII)211.
Ciò però invita a pensare che Origene la consideri alla stregua di un
ampio e variegato “corollario” del motivo emerso in positivo dalla confu-
tazione delle obiezioni sulla preghiera: la necessità di rivolgere preghiere
a Dio, in quanto estrinsecazione fondamentale del rapporto di libertà che
l’uomo intrattiene con Lui. Relativamente poi al legame fra la prima e la
seconda sezione (Orat XVIII- XXX), anche qui si può forse rintracciare un
legame non meramente esterno, sia pure di natura dialettica. Una volta
giustificata la legittimità dell’atto del pregare e dimostrate le sue condizio-
ni di possibilità ed i suoi vantaggi – il che è appunto il tema della prima
sezione –, l’esegesi delle pericopi evangeliche di Mt e Lc nella seconda
ha lo scopo di sviscerare il significato del Padrenostro come paradigma
normativo della preghiera e per ciò stesso come manifesto di una vita spi-
rituale. Si istituirebbe in tal modo fra le due sezioni una correlazione
analoga a quella che osserviamo nel «Trattato di ermeneutica biblica», ri-
spettivamente fra Prin IV, 1 (dimostrazione del carattere ispirato della
Scrittura) e IV , 2-3 (attuazione di un procedimento ermeneutico conforme
alla natura ispirata del testo sacro)212 . Quanto poi alla terza sezione (XXXI-
XXXIII), benché a prima vista sia più difficile recuperare un filo unitario
(e del resto Origene parla espressamente di un «complemento» alla prima),
si potrebbe comunque invocare uno schema “consequenziale” dettato dal
riferimento esemplare a Rm 8, 26. Se Origene, nell’introduzione program-
matica del prologo, estrapola dal passo paolino la duplice difficoltà del
pregare, in ordine rispettivamente sia alle «parole» (lovgoi = o} dei') che
all’«atteggiamento» (katavstasi" = kaqo; dei'), la sua risposta quanto allo
o} dei' si dà nell’esegesi del Padrenostro e per il kaqo; dei' si completa nel
supplemento finale, quantunque alcuni aspetti cruciali relativi alle disposi-
zioni interiori siano, a dire il vero, già anticipati nella prima sezione213.
Infine, si dovrebbe ancora discutere la questione dell’unitarietà dello
scritto in rapporto alle finalità espresse dall’autore. Globalmente è lecito
––––––––––––––––––
210 Orat V, 1 (308, 3-5): Eij crh; toivnun meta; tau'ta, w{sper ejkeleuvsate, ejkqevsqai
ta; piqana; prw'ton tw'n oijomevnwn mhde;n ajpo; tw'n eujcw'n ajnuvesqai kai; dia; tou'to fa-
skovntwn perisso;n ei\nai to; eu[cesqai.
211 Cfr. Orat VIII, 1 (316, 20-22): “Eti de; oujk a[logon kai; toiouvtw/ tini; paradeivg-
mati crhvsasqai pro;" to; protrevyasqai ejpi; to; eu[xasqai kai; ajpotrevyasqai tou' ajme-
lei'n th'" eujch'".
212 Per un approfondimento su questo punto di vista, cfr. Perrone.
213 Ad esempio, cfr. i numerosi riferimenti al trovpo" della preghiera in Orat VIII, 2
(317, 5-6): wjfevleian de; ejggivnesqai tw'/ o}n dei' trovpon eujcomevnw/ h] ejpi; tou'to kata; to;
dunato;n ejpeigomevnw/ pollacw'" hJgou'mai sumbaivnein; XIII, 2 (326, 12-13): tou;" dia; tou'
o}n dei' trovpon proseuvxasqai; XVI, 1 (336, 6-7): mhde; peri; tou' trovpou th'" eujch'" scizov-
menoi.
76 Parte prima, Capitolo terzo
definirle, per comodità, come intenzioni di natura “protrettica” (anche sen-
za voler risolvere con ciò la questione del genere letterario), anche perché
è Origene stesso a servirsi in più occasioni di tale terminologia. In uno
dei passi più espliciti al riguardo egli mostra come la trattazione che sta
sviluppando in merito all’utilità della preghiera sia sorretta dall’obiettivo
di «esortare a pregare e dissuadere dal trascurare di pregare»214 . Ma tale
obiettivo può, ai suoi occhi, essere realizzato pienamente solo se la prassi
orante si dà nel rispetto del modello della «preghiera spirituale» da lui
tracciato lungo tutto lo scritto. Motivo conduttore al riguardo è l’agra-
phon già ricordato, che invita a «domandare le cose grandi e celesti»215.
Rivolgendosi direttamente ai futuri lettori Origene considera il suo com-
pito come “dissuasivo” da una prassi di preghiera “in tono minore” in vi-
sta di pervenire ad un traguardo spirituale più alto: la «vita spirituale» in
Cristo216 . In questo passo le due dimensioni dello scritto – per semplifi-
cazione, quella “critica” e quella “propositiva” – vengono chiaramente
indicate e intrecciate fra di loro (ajpotrevponti [...] kai; parakalou'nti) a
testimonianza dell’ispirazione di fondo del trattato che si può ben riepilo-
gare nei termini di un «invito alla vita perfetta«217 . Sempre nel solco dello
stesso agraphon, questa duplice intenzione è richiamata in via riepiloga-
tiva a conclusione della prima sezione, con l’esortazione, ripetuta enfatica-
mente due volte, a «pregare», cioè a «pregare per le cose che sono in via
––––––––––––––––––
214 È significativo che Origene lo dichiari in Orat VIII, 1 (316, 21-22), cioè nel tra-
passo dalla quaestio sulla preghiera alla parte restante della prima sezione: pro;" to; pro-
trevyasqai ejpi; to; eu[xasqai kai; ajpotrevyasqai tou' ajmelei'n th'" eujch'". Si veda l’ana-
loga formulazione in Fr1Cor 39 (156) su 1Cor 7, 25-28a: ou{tw" ou\n kai; ejnqavde ajpev-
treye me;n tou' luvein to;n gavmon, protrevpetai de; pavlin kaqareuvein.
215 Cfr. supra, nota 169.
216 Orat XIII, 4 (328, 3-7): tau'ta dev moi ajnagkaiovtata meta; to;n katavlogon tw'n
wjfelhqevntwn dia; proseuch'" eijrh'sqai nomivzw, ajpotrevponti th;n pneumatikh;n kai; th;n
ejn Cristw'/ zwh;n poqou'nta" ajpo; tou' peri; tw'n mikrw'n kai; ejpigeivwn eu[cesqai kai; pa-
rakalou'nti ejpi; ta; mustika;, w|n tuvpoi h\san ta; proeirhmevna moi, tou;" ejntucovnta" th'/de
th'/ grafh'/. Si noti l’espressione «vita spirituale»: il termine zwhv è molto frequente, ma
solo qui è caratterizzato dall’aggettivo pneumatikov", che assume grande rilievo nel lin-
guaggio di Orat, e dal legame con Cristo. In EM 11 (11, 15-18) la «vita in Dio» e in co-
munione con il Cristo rappresenta l’orizzonte del cristiano che è pronto a testimoniare la
propria fede nella rinuncia totale alle cose del mondo: o{la tau'ta ajpostrafevnte" o{loi
genoivmeqa tou' qeou' kai; th'" met∆ aujtou' kai; par∆ aujtw'/ zwh'" wJ" koinwnhvsonte" tw'/ mo-
nogenei' aujtou' kai; toi'" metovcoi" aujtou'. In CIo zwhv riveste un’importanza essenziale fra
le ejpivnoiai di Cristo, ma non è attestato il nesso con pneumatikov".
217 Secondo la formula proposta da Monaci Castagno 1997. Del resto, il carattere
integrale della «pietà» richiamato dall’autrice per la prospettiva di EM vale anche per
Orat, senza operare una riduzione “intellettualistica” del pregare, come vorrebbe Bertrand
1999, che focalizza la sua attenzione sul ruolo del nou'". Come vediamo da CC II, 51 (nota
1441), Origene arriva addirittura a riconoscere un ruolo del sw'ma nell’atto del pregare,
coinvolto anch’esso nel dinamismo spirituale che conduce yuchv e pneu'ma alla comunione
con Dio. Cfr. anche Volp, 498-501.
In ascolto del testo 77
eminente e veritiera grandi e celesti»218. È anche il preludio opportuno per
la sezione che seguirà, dove l’alternativa fra il pregare per i «beni celesti»
o i «beni terreni» sarà illustrata nuovamente alla luce del Padrenostro, mo-
dello per eccellenza della preghiera dei cristiani219 . Ancora una volta, dun-
que, pur nella ricchezza di motivi sviluppata da Origene, non mancano gli
spunti per ricuperare la sostanziale caratterizzazione unitaria del trattato,
sia pure nella dialettica attuantesi fra le sue diverse parti.
––––––––––––––––––
218 Orat XVII, 2 (339, 28-340, 2): eujktevon toivnun, eujktevon peri; tw'n prohgou-
mevnw" kai; ajlhqw'" megavlwn kai; ejpouranivwn, kai; ta; peri; tw'n ejpakolouqousw'n skiw'n
toi'" prohgoumevnoi" qew'/ ejpitreptevon, tw'/ ejpistamevnw/ w|n creivan dia; to; ejpivkhron sw'ma
e[comen pro; tou' hJma'" aijth'sai aujtovn (Mt 6, 8). Si noti, da un lato, la riappropriazione del
versetto matteano da parte di Origene, laddove esso in V, 2 fondava la critica degli avver-
sari della preghiera; dall’altro, l’integrazione della visione antropologica sulla precarietà
ontologica dell’uomo (to; ejpivkhron sw'ma), con l’utilizzo dello stesso aggettivo adottato
in apertura per enfatizzarla (cfr. Orat I, supra, nota 152).
219 Presupposto per una «preghiera spirituale» è, come vedremo analizzando in se-
guito il commento del Padrenostro, la trasformazione in senso spirituale delle nozioni su
Dio (cfr. Orat XXIII , 1-2).
CAPITOLO QUARTO
––––––––––––––––––
258 Giustino, Dial. 1, 4 (186): ajlla; kai; hJma`~ ejpiceirou`si peivqein wJ~ tou` me;n
suvmpanto~ kai; aujtw`n tw`n genw`n kai; eijdw`n ejpimelei`tai qeov~, ejmou` de; kai; sou` oujk e[ti
kai; tou` kaq∆ e{kasta, ejpei; oujd∆ a]n hujcovmeqa aujtw/` di∆ o{lh~ nukto;~ kai; hJmevra~ (tr. it.
Visonà, 87). Si veda l’approfondita analisi di Pépin.
259 Aristide, Apol. 15, 8-9; 16, 1 (cfr. infra, pp. 515-516).
260 Giustino, I Apol. 13, 2 (nota 1617). Munier, 160, nota 1 ad loc. segnala affinità
con il pensiero stoico, in particolare con l’Inno a Zeus di Cleante.
92 Parte prima, Capitolo quarto
Gli orientamenti presenti in forma ancora episodica nella riflessione
degli Apologisti si configurano in una dottrina più organica, capace di te-
nere insieme le manifestazioni del culto, la preghiera e la vita del cri-
stiano nell’Adversus Haereses di Ireneo261. Tuttavia, nella grande opera
eresiologica del vescovo di Lione non troviamo indizi di una messa in di-
scussione della preghiera come quella che ci attesta Clemente Alessan-
drino negli Stromati agli inizi del III secolo. Nel VII libro egli evoca en
passant la tesi sostenuta da un gruppo ereticale che si autodefinisce come
«gnostico», guidato da un maestro di nome Prodico, fautore della tesi che
«non si deve pregare» (peri; tou' mh; dei'n eu[cesqai) 262 . Se la “parola d’or-
dine” riferitaci da Clemente assimila di fatto la setta all’esito negativo di
Massimo di Tiro, nulla sappiamo circa le motivazioni a suo sostegno.
Clemente si limita a ricordare che non si tratta affatto di un’idea nuova,
poiché era già sostenuta dai filosofi della scuola cirenaica263 . Abbiamo
comunque un’asserita parentela filosofica – anche se dichiaratamente di
natura polemica e in ogni caso diversa dal nostro riferimento contempo-
raneo più immediato –, ma dopo aver messo in luce tale affinità compro-
mettente Clemente rimanda ad altro momento una discussione approfon-
dita: si tratta di un compito «non da poco», al dire dell’autore degli Stro-
mati, che è restio ad una digressione così impegnativa, mentre nel proprio
«trattato sulla preghiera» mira a dimostrare come solo lo gnostico che si
attiene al «canone ecclesiastico» possa considerarsi «pio» e come egli sia
dedito ad una «richiesta secondo il volere di Dio»264 . Leggendo questa
––––––––––––––––––
261 Si veda, in particolare, Ireneo, Adv. Haer. IV, 17; e supra, nota 108.
262 Clemente Alessandrino, Strom. VII, 7, 41, 1 (144): ∆Entau'qa genovmeno" uJpemnhv-
sqhn tw'n peri; tou' mh; dei'n eu[cesqai prov" tinwn eJterodovxwn, toutevstin tw'n ajmfiv th;n
Prodivkou ai{resin, pareisagomevnwn dogmavtwn. Clemente accenna a questa setta anche
in Strom. III, 4, 29, 3-32, 2. Secondo Le Boulluec (p. 144, nota 3), le «rejet de la prière
trouve une semi-confirmation dans certains textes gnostiques de Nag-Hammadi». Gessel,
151-152 rimanda a Vangelo di Filippo 7 e Vangelo di Tommaso 14 (cfr. infra, nota 274).
Per Segelberg 55, aderendo Prodico presumibilmente alla dottrina delle nature fisse, egli
avrebbe soppresso il bisogno di pregare; resta comunque problematico asserire una piena
coincidenza di vedute fra Prodico e i due vangeli gnostici (p. 68).
263 Strom. VII, 7, 41, 2 (144): ”Ina ou\n mhde; ejpi; tauvth/ aujtw'n th/' ajqevw/ sofiva/ wJ"
xevnh/ ojgkuvllwntai aiJrevsei, maqhvtwsan proeilh'fqai me;n uJpo; tw'n Kurhnai>kw'n lego-
mevnwn filosovfwn. Löhr 1999, 89-90, ricollegandosi alle altre notizie fornite da Clemente
sulla scuola di Prodico ne traccia così l’ipotetico profilo: «Vielleicht meinten die Prodi-
kianer, daß sie als die natürlichen Söhne Gottes und als “königliche Kinder” kein Bitt-
gebet an ihn, den Vater, richten sollten. Stimmt diese Vermutung, so unterschiede sich die
Gebetskritik der Prodikianer charakteristisch von der von Origenes rekonstruierten chri-
stlichen Gebetskritik, die gerade den Abstand zwischen den Menschen und Gott den Vater
betont». Per gli antecedenti «cirenaici» si veda Roukema, 57, nota 37, che richiama in
particolare Teodoro (Diogene Laerzio, Vit. II, 86; 97).
264 Strom. VII, 7, 41, 3 (143-144): ajntirrhvsew" d∆ o{mw" teuvxetai kata; kairo;n hJ
tw'n yeudwnuvmwn touvtwn ajnovsio" gnw'si", wJ" mh; nu'n pareisduomevnh to; uJpovmnhma, oujk
ojlivgh ou\sa hJ touvtwn katadromh; diakovpth/ to;n ejn cersi; lovgon, deiknuvntwn hJmw'n movnon
La critica della preghiera 93
dichiarazione e tenendo presente le modalità del rapporto un poco “elu-
sivo” che Origene intrattiene con il suo predecessore, non si può fare a
meno di pensare che l’ “agenda” di Orat contempli anche il compito la-
sciato inevaso da Clemente. Ne fosse o meno consapevole Ambrogio,
Origene si è ispirato al trattato in vari punti e il rigetto della preghiera ad
opera di Prodico non può certo essergli passato inosservato265.
Origene precisa così nel preambolo alla discussione delle aporie
(Orat V, 1) che egli «non esiterà» ad esporre le obiezioni degli avversari
– sia pure assecondando la richiesta di Ambrogio e Taziana –, mentre rin-
traccia il loro contesto dottrinale invertendo, per così dire, l’ordine di
Clemente. In un primo tempo, infatti, ricorda che si tratta di un problema
tipico della tradizione filosofica, ma successivamente aggiunge che la
critica della preghiera ha contagiato anche gli ambienti cristiani, sia pure
in una variante ereticale. Il retroterra della filosofia è alluso rapidamente
secondo un essenziale approccio dossografico alle diverse posizioni, senza
fare qui menzione di scuole distinte. Origene afferma dunque che in gene-
rale, tra i filosofi, quanti ammettono l’esistenza di Dio e la provvidenza
accettano anche la preghiera, mentre il suo rifiuto è professato viceversa
da coloro che negano la divinità o la riconoscono in pratica soltanto di
nome, cioè privandola della sua azione provvidenziale266 .
Questa messa a punto del contesto, viziata peraltro da una lacuna
nella parte iniziale, suscita di primo acchito perplessità quanto alla defi-
nizione dei «fautori» della preghiera, poiché anche coloro che accolgono
Dio e la sua provvidenza possono respingere la preghiera di domanda,
come si è visto per lo stoicismo e per il medioplatonico Massimo di Tiro.
È vero che Origene è disposto a riconoscere delle eccezioni, ma esse sa-
rebbero pressoché inesistenti e inoltre mancherebbero di esponenti «degni
di rilievo». Può essere che l’enunciazione sia viziata polemicamente, an-
che perché gli avversari effettivi con i quali l’Alessandrino si misurerà di
seguito (Orat V, 2-6) sono proprio coloro che si oppongono alla preghiera
––––––––––––––––––
o[ntw" o{sion kai; qeosebh' to;n tw/' o[nti kata; to;n ejkklhsiastiko;n kanovna gnwstikovn, w/|
movnw/ hJ ai[thsi" kata; th;n tou' qeou' bouvlhsin ajponenemevnh givnetai kai; aijthvsanti kai;
ejnnohqevnti.
265 Le Boulluec 2003, 397 si è sforzato di provare come «en répondant aux ques-
tions d’Ambroise et de Tatiana, Origène se réfère à l’exposé de Clément». Ciò vale anche
per l’enunciazione delle aporie: «sa réfutation cependant identifie les adversaires d’une
façon qui fait écho à la manière dont Clément introduit la difficulté» (p. 398).
266 Orat V, 1 (308, 10-15): ou{tw dh; oJ lovgo" ejsti;n a[doxo" kai; mh; tucw;n ejpishvmwn
tw'n proi>stamevnwn aujtou', w{ste mhde; pavnu euJrivskesqai, o{sti" pote; tw'n provnoian pa-
radexamevnwn kai; qeo;n ejpisthsavntwn toi'" o{loi" eujch;n mh; prosivetai. e[sti ga;r to; dovgma
h[toi tw'n pavnth/ ajqevwn kai; th;n oujsivan tou' qeou' ajrnoumevnwn h] tw'n mevcri" ojnovmato"
tiqevntwn qeovn, th;n provnoian de; aujtou' ajposterouvntwn. Da notare l’espressione analoga,
per i fautori delle credenze astrologiche, in CGn III = Phil 23, 1 (136, 41-42): oiJ tw'n gen-
naivwn proi>stavmenoi touvtwn lovgwn (Origène. Philocalie 21-27, Sur le libre arbitre).
94 Parte prima, Capitolo quarto
in nome della provvidenza divina267 . Più trasparente è semmai la caratte-
rizzazione degli avversari più consueti della preghiera: il cenno a coloro
che negano l’esistenza di Dio rinvia chiaramente agli epicurei, la scuola
che l’antichità cristiana (e non solo) taccia abitualmente di “ateismo”,
come vediamo bene in Origene dalla sua polemica con Celso 268 . Riguardo
poi a quelli che affermano Dio a parole, perché lo privano della provvi-
denza, si tratta di un’allusione agli aristotelici, per i quali l’azione prov-
videnziale non si estendeva alla sfera sublunare. La distinzione e il colle-
gamento tra queste due scuole trovano un parallelo nel Contro Celso (CC
II, 13), sebbene qui il rimprovero mosso agli epicurei tocchi la loro nega-
zione della provvidenza e quello rivolto agli aristotelici la denuncia del-
l’inutilità di preghiere e sacrifici 269 . In Orat Origene menziona le loro tesi
per completezza dossografica – dato che poi non ingaggerà un dibattito
con essi – oppure per aggravare l’accusa nei confronti dei suoi più diretti
interlocutori associandoli a due posizioni notoriamente compromettenti270 .
Del resto la denuncia della perniciosità di tale dottrina la riconduce
all’iniziativa della potenza dell’Avversario, nel momento in cui Origene
trapassa dal contesto filosofico all’ambiente cristiano. La forza demonia-
ca, che tenta sempre di stravolgere l’«insegnamento del Figlio di Dio» at-
torniandolo con «le dottrine più empie» è riuscita a persuadere anche al-
cuni cristiani che non si deve pregare. Neanche in questo caso ci vengono
dati dei nomi, ma l’Alessandrino si sforza almeno di caratterizzare con
qualche dettaglio il volto di questi eretici, affermando che essi rigettano
qualunque elemento sensibile, evidentemente nell’esercizio del culto, poi-
ché – come si precisa di seguito – non fanno uso né del battesimo né del-
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267 Orat V, 2 (308, 23-25): ei\en d∆ a]n oiJ lovgoi tw'n ajqetouvntwn ta;" eujca;" ou|toi
(dhlonovti qeo;n ejfistavntwn toi'" o{loi" kai; provnoian ei\nai legovntwn: ouj ga;r provkeitai
nu'n ejxetavzein ta; legovmena uJpo; tw'n pavnth/ ajnairouvntwn qeo;n h] provnoian).
268 Cfr. Cacitti; Markschies 2000. Diversamente dallo stereotipo negativo dei po-
lemisti cristiani Des Places, 259 osserva che l’attaccamento alla religione tradizionale
manifestato da Platone lo si ritrova anche in Epicuro; testimonianza della sua devozione
agli dèi è il fr. 13 Usener: «En effet, dit-il, prier est propre à la sagesse, non que les dieux
doivent s’irriter si nous ne le faisons pas, mais parce que nous percevons combien la na-
ture des dieux l’emporte sur nous en puissance et en excellence». Si veda anche Festu-
gière, 98-99; e Hadot 1995, 190: «Pour les sages, le bien le plus haut, c’est de contempler
la splendeur des dieux. Ils n’ont rien à leur demander, et pourtant ils les prient d’une prière
de louange».
269 CC II, 13 (142, 7-9): ∆Epikoureivou", tou;" pavnth/ provnoian ajnairou'nta", ajlla;
kai; tou;" ajpo; tou' Peripavtou, mhde;n favskonta" ajnuvein eujca;" kai; ta;" wJ" pro;" to; qei'on
qusiva". CRm III, 1 (200, 182–202, 202) ripropone la critica all’epicureismo e all’aristote-
lismo, ma senza accennare alla visuale dei secondi riguardo alla preghiera.
270 Le Boulluec 2003, 398-399: «Ce renvoi d’une partie des philosophes, les athées
au sens plein et les épicuriens, peut être perçu comme une généralisation et une diversifi-
cation du grief formulé par Clément». L’accostamento con CC II, 13 suggerisce di identi-
ficare in Orat V, 1-2 lo stesso abbinamento.
La critica della preghiera 95
l’eucarestia. A suffragare il rifiuto della preghiera concorre un’interpre-
tazione “mistificatrice“ delle Scritture, che agli occhi di tali eretici avreb-
bero inteso dire qualcosa di diverso, quando parlano di «pregare»271 . Pur
con tali precisazioni non è facile identificare il gruppo che Origene ha in
mente, anche se dobbiamo naturalmente pensare che si tratti nuovamente
di esponenti di qualche setta gnostica. Dal modo in cui l’Alessandrino ne
parla si direbbe che non ricavi questo contesto direttamente dalla lettera
di Ambrogio, ma ne estrapoli semmai le diverse implicazioni filosofiche
e teologiche alla luce dello sfondo più vasto al quale vuole ricondurre il
problema 272 . In ogni caso, sfruttando la testimonianza di Ireneo, si è pro-
posto di identificare gli eretici qui evocati con un gruppo appartenente alla
gnosi marcosiana, anche se ciò sembrerebbe contraddetto dalle notizie
sulla prassi cultuale di questa scuola conservateci nell’Adversus haere-
ses273. Tuttavia, i tentativi per accertare il profilo degli eretici combattuti
da Origene devono prendere atto che l’Alessandrino mette in scena un
dibattito in cui intervengono entrambe le prospettive disegnate fin qui: il
riferimento alla tradizione filosofica ed una sua ricezione e distinta for-
mulazione cristiana274 . Nello stesso tempo l’Alessandrino imposta la di-
scussione secondo i termini dettati in buona parte dai riferimenti scrittu-
ristici, con il ricorso ad una serie di passi che – come possiamo verificare
anche in altre circostanze analoghe (ad esempio, nel «Trattato sul libero
arbitrio» di Prin III, 1) – non necessariamente doveva trarre dagli argo-
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271 Orat V, 1 (308, 15-22): h[dh mevntoi ge hJ ajntikeimevnh ejnevrgeia, ta; ajsebevstata
tw'n dogmavtwn peritiqevnai qevlousa tw'/ ojnovmati tou' Cristou' kai; th'/ didaskaliva/ tou'
uiJou' tou' qeou', kai; peri; tou' mh; dei'n eu[cesqai deduvnhtai pei'saiv tina": h|" gnwvmh"
proi?stantai oiJ ta; aijsqhta; pavnth/ ajnairou'nte" kai; mhvte baptivsmati mhvte eujcaristiva/
crwvmenoi, sukofantou'nte" ta;" grafav", wJ" kai; to; eu[cesqai tou'to ouj boulomevna" ajll∆
e{terovn ti shmainovmenon para; tou'to didaskouvsa".
272 È di questo avviso anche Le Boulluec 2003, 399. L’allargamento della visuale
polemica (filosofi ed eretici) va visto anch’esso come indizio della modificazione appor-
tata da Origene all’impostazione clementina.
273 Cfr. Ireneo, Adv. Haer. I , 21, 4 (SC 264, 303): a[lloi de; tau'ta pavnta parai-
thsavmenoi favskousi mh; dei'n to; th'" ajrrhvtou kai; ajoravtou Dunavmew" musthvrion di∆
oJratw'n kai; fqartw'n ejpitelei'sqai ktismavtwn, kai; tw'n ajnennohvtwn kai; ajswmavtwn di∆
aijsqhtw'n kai; swmatikw'n. Sulle dottrine di questo gruppo si veda Förster, 7-13, che pro-
pone piuttosto di vedervi il riferimento ad un altro gruppo valentiniano, distinto dai mar-
cosiani veri e propri, che al contrario praticano forme rituali (si veda Adv. Haer. I, 13, 2-4).
274 Per Gessel, 151, «diese Häretiker dürften in den Reihen derer zu suchen sein,
die man allgemein als Gnostiker bezeichnen kann, wie z.B. Prodikos und die Cyrenaiker
(sic!), Doketen, Askodruten, Archontiker, Markioniten, Valentinianer, aber auch solche
Gruppen, denen das koptisch-gnostische Thomasevangelium und das Philippusevange-
lium Grundlage ihrer Religiosität war». Da parte sua Pépin riscontra analogie con le po-
sizioni di Massimo di Tiro, anche se gli avversari di Origene sono cristiani, più precisa-
mente degli gnostici marcosiani. Anche per Trevijano Etcheverria, 117, si tratterebbe di
eretici gnosticizzanti. Punta invece alla matrice della tradizione filosofica (con Massimo
come suo testimone principale e in seguito Porfirio) Stritzky, 112-113.
96 Parte prima, Capitolo quarto
menti prodotti dai suoi avversari275 . Occorre insomma riconoscere che
Origene si appropria in maniera organica e sostanzialmente originale dello
spunto offertogli da Ambrogio con le sue aporie, sviluppando la propria
replica su un piano che intreccia strettamente gli aspetti più propriamente
speculativi (filosofici e teologici), i riferimenti scritturistici e il richiamo
all’esperienza (psicologica e morale).
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311 CRm I, 5 (51, 6-9): «Quod tamen heretici ad calumniam vocant dicentes eum
segregatum esse ab utero matris suae ob hoc, quod in eo naturae bonitas inerat; sicut e
contrario de his, qui malae naturae sunt, dicatur in psalmis: quia segregati sunt peccatores
ex utero».
312 CRm I = Phil 25, 1 (212-214): Pro;" me;n ou\n tou'to eujcerw'" e[stin ajpanth'sai,
ejrwtw'nta" peri; th'" eJxh'" levxew": gevgraptai gavr: ∆Aphllotriwvqhsan ktl. (citazione di
Sal 57[58], 4-5).
313 CRm I = Phil 25, 4 (230-232): Nu'n de; ajpodidovnai eij" to; ajpo; tou' yalmou'
rJhto;n oujk h\n eu[kairon, parekbatiko;n ga;r h\n: dio; eij" th;n oijkeivan tavxin qeou' didovn-
to" ajpodoqhvsetai, o{tan to;n yalmo;n dihgwvmeqa.
314 HNm III, 4 (18, 9-13): «Quomodo enim quis errare potuit a via Dei statim ut de
ventre matris exivit? Aut quomodo potuit falsa loqui nuper editus puer, vel qualemcumque
proferre sermonem? Cum ergo impossibile sit vel errare a ventre vel loqui falsa, neces-
sarium erit et ventrem et vulvam talem requiri cui conveniri possit dictum hoc».
106 Parte prima, Capitolo quarto
do del postulato della preesistenza delle anime315 . Proprio la quaestio de
Esau et Iacob assume infatti agli occhi dell’Alessandrino un valore para-
digmatico per arrivare a comprendere la diversità delle condizioni fra gli
esseri creati316.
L’ultima argomentazione aporetica (V, 5), pur in sostanziale conti-
nuità concettuale con quanto precede, pone l’accento sul motivo dell’ele-
zione, con ulteriore arricchimento del corredo di passi biblici a sostegno,
prima di concludere con una ripresa della critica più prettamente filosofica
della preghiera che le contesta il presupposto ingenuo di un Dio mute-
vole. Dagli iniziali riferimenti paolini (Ef 1, 4-5 e Rm 8, 29-30) si passa a
luoghi veterotestamentari che riguardano rispettivamente la figura del re
Giosia e quella dell’apostolo-traditore Giuda. Ancora una volta il dossier
così accorpato offre numerosi motivi di interesse. Se i luoghi tratti dal
corpus Paulinum (soprattutto il secondo) tendono a confermare la nota
antivalentiniana e/o antimarcionita che già conosciamo, i due esempi ri-
cavati dalla sorte opposta di Giosia e di Giuda ci portano a meglio conte-
stualizzare l’esercizio di quaestio et responsio del nostro trattato317 . Non
sembra che Origene si sia particolarmente soffermato ad analizzare la fi-
gura del re Giosia, imitatore di Davide e zelante nella fede, di cui ci par-
lano il terzo e quarto libro dei Regni (rispettivamente 1Re 13 e 2Re 22).
L’Alessandrino lo menziona occasionalmente o come esempio di re giu-
sto318 , o come figura che è oggetto di una profezia319. Invece lo cita am-
piamente nel terzo libro del Commento a Genesi, ricordato più volte in
precedenza, adducendo 1Re 13 come seconda prova scritturistica, dopo
Susanna 42-43, per sostenere l’idea della prescienza di Dio320. La vici-
nanza fra Orat e il commentario biblico, iniziato ad Alessandria e conti-
nuato a Cesarea, è confermata anche dal secondo riferimento veterote-
––––––––––––––––––
315 In Prin I, 7, 4 l’esempio di Giacobbe ed Esaù è addotto a conforto dell’an-
teriorità della creazione dell’anima rispetto al corpo.
316 Prin II, 9, 7 (170, 27-29): «Eadem namque, ut mihi videtur, quae de Esau et Ia-
cob quaestio proponitur, haberi etiam de caelestibus omnibus et de terrestribus creaturis et
de infernis potest». Riprendendo l’esame della quaestio in Prin III, 1, 22, Origene stesso
rinvia alla trattazione sull’anima in II, 9, 7.
317 In Ef 1, 4-5 l’attenzione di Origene è attratta in particolar modo dall’espressione
pro; katabolh'" kovsmou, che – come spiega in Prin III, 5, 4 (630, 14-16) – è da porre in re-
lazione alla caduta delle anime: «Ex hoc ergo communiter omnium per hanc significan-
tiam, id est per katabolhvn, a superioribus ad inferiora videtur indicari deductio». Cfr. an-
che FrEph I, 4 (supra, nota 309). Quanto a Rm 8, 29-30, si veda rispettivamente Phil 25 e
CRm VII, 7-8.
318 HEz XII, 2, dove Giosia è associato ad Ezechia come iustus rex.
319 Il motivo è sfruttato nella polemica con Eracleone in CIo VI, 118. Cfr. anche
HNm VI , 3.
320 CGn III = Phil 25, 4 (144): Safevstata de; ejn th/' trivth/ tw'n basileiw'n kai;
o[noma basileuvonto" kai; pravxei" ajnegravfhsan pro; pleiovnwn ejtw'n tou' genevsqai
profhteuovmena ou{tw".
La critica della preghiera 107
stamentario. Si tratta di Sal 108(109), 7, letto come profezia di Giuda già
a partire dall’utilizzo di questo salmo negli Atti degli Apostoli (At 1, 16-
20) e particolarmente adatto in questo contesto per il ricorso del termine
proseuchv: «la sua preghiera si trasformi in peccato». Origene ha spiegato
il versetto in parecchie occasioni, fra l’altro richiamandolo in una signifi-
cativa riflessione sulla preghiera del peccatore opposta alla preghiera del
giusto nella XVIII Omelia su Geremia321 . Nel testo latino del Commento a
Romani il passo è adoperato piuttosto come messa in guardia per non tra-
dire la vocazione di santità a cui il fedele è chiamato322 . Ora, della figura
di Giuda Origene si è occupato ripetutamente nei suoi scritti, anche a pre-
scindere dalla citazione del salmo in questione. D’altronde sapeva bene
che altri passi della Scrittura – e, ovviamente, in primis i racconti evange-
lici – offrivano indicazioni riguardo all’apostolo-traditore. Egli lo dichiara
esplicitamente nel Commento a Genesi, dove ricorda che «nelle profezie
riguardo a Giuda si trovano trascritti rimproveri ed accuse» a suo biasimo,
che non avrebbero ragione di essere se egli fosse stato predestinato di ne-
cessità a tradire il suo maestro 323 . Anche se Origene non riporta il nostro
versetto, cita di seguito un’altra porzione dello stesso salmo (Sal 108[109],
12. 16-17). Quel che più importa è però il fatto che qui troviamo una di-
scussione su prescienza, predestinazione e libero arbitrio, imperniata este-
samente sulla figura di Giuda, da considerarsi molto probabilmente come
il retroterra più prossimo dell’argomentazione aporetica di Orat V, anche
per l’effetto cumulativo dei vari indizi che siamo venuti raccogliendo.
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321 HIer XVIII, 10 (164, 22-24): peri; ∆Iouvda gevgraptai: Genhqhvtw hJ proseuch; auj-
tou' eij" aJmartivan. ∆Ekei'no" kata; to; proseuvcesqai eij" keno;n ejqumivase. Sulla vicenda
di Giuda come tema di Sal 108(109), si veda Orat XXIV, 5: o{lo" ga;r oJ yalmo;" ai[thsiv"
ejsti peri; ∆Iouvda, i{na tavde tina; aujtw'/ sumbh'/. Cfr. anche CMtS 104 (224, 30-225, 1): «Et
in centesimo octavo Psalmo forte pleraque invenies convenientia istis, qui venerunt cum
Iuda comprehendere Iesum, sicut et alia de Iuda in eodem dicta sunt Psalmo»; CC II, 11
(nota 1400); CC II, 20 (nota 1401). Sull’uso, in particolare, di Sal 108(109), 7 nel discorso
origeniano sulla preghiera si veda infra, pp. 449-451.
322 Cfr. CRm VII, 8 (599, 36-37) su Rm 8, 33-34: «ne tibi contingat illud, quod de
quodam scriptum est: Cum iudicatur, exeat condemnatus (Sal 108[109], 7)»; CRm X , 5
(796, 43-46) su Rm 14, 22-23, a proposito delle opere degli eretici: «ne forte etiam si quid
boni operis apud illos geri videtur, quia non fit ex fide, convertatur in peccatum, sicut et
de quodam dictum est: Fiat oratio eius in peccatum (Sal 108[109], 7)».
323 CGn III = Phil 23, 8 (156, 25–158, 29): ∆En gou'n tai'" peri; tou' ∆Iouvda pro-
fhteivai" mevmyei" kai; kathgorivai tou' ∆Iouvda ajnagegrammevnai eijsi; panti; tw/' parista'-
sai to yekto;n aujtou'. Oujk a]n de; yovgo" aujtw/' proshvpteto, eij ejpanagke;" prodovth" h\n,
kai; mh; ejndevceto aujto;n o{moion toi'" loipoi'" ajpostovloi" genevsqai. Ne è un altro esempio
la spiegazione di Sal 40(41), 10 («E infatti l’uomo della mia pace, colui nel quale sperai,
colui che mangia i miei pani, esaltò la sua astuzia verso di me»), a commento di Gv 13,
16-18, in CIo XXXII, 14, 156-168. Oltre a riprendere lo stesso passo, CIo XXXII, 19, 247-
249 aggiunge Sal 54(55), 13a-b («Se fosse stato un nemico a insultarmi, l’avrei sopporta-
to», «Se si fosse alzato ad accusarmi uno che mi odiava, mi sarei forse sottratto a lui») e
14 («Ma tu, uomo che hai lo stesso mio animo, mia guida, mio familiare!»).
108 Parte prima, Capitolo quarto
5. La responsio: il presupposto del libero arbitrio
Come appare dal confronto sinottico tra i due testi, sono relativamente
poche le espressioni identiche o analoghe che ricorrono in entrambi (e che
sono qui evidenziate in grassetto). Origene ha riscritto ampiamente il testo
di partenza, sostituendo lo schema generale di Prin III, 1, 2 con uno nuovo.
Nel «Trattato sul libero arbitrio» si opera subito la distinzione prelimina-
re fra movimenti «in se stessi» (ejn eJautoi'") e movimenti «dal di fuori»
(e[xwqen), laddove in Orat VI , 1 si presuppone implicitamente uno schema
di tre (quattro) movimenti come principio ordinatore. Da questo punto di
vista è innegabile che l’esposizione di Prin III, 1, 2 risulti di primo acchito
semplificata ma anche più chiara, se teniamo presenti le difficoltà che su-
scita la precisa qualificazione della seconda categoria di kinouvmena in
Orat VI, 1. È vero poi che il ductus dell’esposizione procede in entrambi i
testi dall’inanimato all’animato, ma la rispettiva esemplificazione dei mo-
vimenti «dal di fuori» tanto è concisa e perspicua in Prin III, 1, 2, quanto
La critica della preghiera 113
è complicata e quasi ridondante in Orat VI, 1. Origene così espande deci-
samente il primo punto per indicare tutte le condizioni assimilabili a ciò
che – secondo la catalogazione di Prin III, 1, 2 – è oggetto di trasporto (ta;
forhtav ) come pietre o legna, in una parola ciò che è tenuto insieme solo
dalla e{xi". Significativamente, nel «Trattato sul libero arbitrio» non è
presa nemmeno in considerazione l’eventualità che «esseri viventi» (zw/'a)
e «vegetali» (futav) possano ridursi nella condizione di pietre o legna. La
spiegazione più verosimile dell’ampliamento di Orat VI, 1 sembra essere
data – come si è detto – dall’intendimento polemico che insiste su un esito
paradossale delle aporie.
Anche la postilla al primo punto segnala la diversità fra i due testi: in
Prin III, 1, 2 Origene non ritiene necessario soffermarsi sul problema se la
rJuvsi", cioè il «flusso» dei corpi soggetti a corruzione, possa essere consi-
derato un movimento o no338 . Invece in Orat VI, 1, la condizione dei corpi
che decadono e si corrompono è vista senza incertezza come una forma
di movimento assimilabile a quelli dall’esterno, poiché la rJuvsi" risulta
essere indotta o derivata dallo stesso processo di corruzione339 . Ancora
una volta si può pensare che la nuova precisazione concorra anch’essa al-
l’obiettivo polemico di estrapolare tutte le conseguenze estreme delle tesi
combattute340 .
Al punto successivo dell’esposizione, passando dall’inanimato al-
l’«animato», Prin III, 1, 2 richiama la seconda categoria generale intro-
dotta all’inizio (i movimenti ejn eJautoi'") e ne specifica i diversi tipi di es-
seri ch’essa ricomprende e che consistono di fuvsi" e yuchv: non solo gli
esseri del regno vegetale e animale, ma anche altre realtà come i metalli,
il fuoco e (con un dubbio residuo) le fonti. Assai più generica è al con-
trario la formulazione della seconda categoria di movimenti in Orat VI, 1,
sebbene l’idea di Prin III, 1, 2 riguardo al principio vitale dei metalli lasci
tracce anche nel testo del trattato sulla preghiera, nel punto dedicato ai
movimenti indotti dal di fuori. Tuttavia, la trattazione di Prin III, 1, 2 sem-
bra rispecchiare meglio, anche se pure essa in maniera sommaria, la ric-
chezza della riflessione origeniana sui movimenti degli esseri creati di cui
troviamo tracce sparse nell’insieme degli scritti 341 .
––––––––––––––––––
338 Si veda anche la traduzione di Rufino: «Omittenda sane nunc est illa quaestio,
quae etiam illum motum putat esse, cum per corruptelam corpora dissolvuntur; nihil enim
haec nunc ad propositum conducunt» (per il confronto tra testo greco e latino in Prin III, 1,
cfr. Rist 1975).
339 Per Van der Ejik, 343, la rJuvsi" è «eine der Verwesung inhärente, d.h. äusserli-
che Bewegungsart». Si veda anche la qualificazione dei corpi in Orat XXVII, 8 (367, 16-
17): peri; a} givnetai hJ au[xh kai; hJ fqivsi" para; to; ei\nai aujta; rJeustav.
340 Di una «diversa strategia argomentativa», anche in relazione alla rJuvsi", parla
giustamente Roselli, 81 nota 52.
341 Insiste particolarmente su questo aspetto Scott, 127. Egli ricorda la convinzione
filosofica secondo cui gli elementi hanno un’anima (cfr. CC VIII, 31), inclusa all’apparenza
114 Parte prima, Capitolo quarto
Se in Orat VI, 1 manca la distinzione dei movimenti ejn eJautoi'", vi
ritroviamo le due categorie in cui Prin III, 1, 2 distribuisce i movimenti
«dall’interno di se stessi»: ejx eJautw'n e ajf∆ eJautw'n. In entrambi i luoghi
l’enunciazione è essenziale, ma non si può non notare un «elemento di
perturbazione», nel discorso più lineare del «Trattato sul libero arbitrio»,
dove Origene caratterizza il movimento ejx eJautw'n come appartenente
agli «esseri inanimati» (a[yuca), mentre quello ajf∆ eJautw'n è proprio degli
e[myuca. Ciò sembra infatti contrastare con l’enunciato di Orat VI, 1 sugli
esseri designati come ta; uJpo; th'" ejnuparcouvsh" fuvsew" h] yuch'" kinouv-
mena, cui pertiene appunto il movimento ejx eJautw'n. Si può sanare la con-
traddizione nel senso che abbiamo ricordato precedentemente, ma si po-
trebbe anche pensare che Origene – tenendo conto di una questione dibat-
tuta – abbia inteso adesso segnalare che il movimento delle piante non è
semplicemente riducibile alla condizione degli a[yuca342 ; ma questa ipo-
tesi risulta meno convincente, se consideriamo il seguito dell’argomenta-
zione343 . La revisione e/o integrazione rispetto a Prin III, 1, 2 è poi atte-
stata specialmente dall’introduzione dell’ulteriore distinzione di∆ eJautw'n
per il movimento degli esseri razionali, il cui significato viene valorizzato
con le riflessioni conclusive. Origene torna, con un’insistenza che è carat-
teristica di tutto il paragrafo, a ipotizzare l’assimilazione con il movimento
degli esseri inanimati, non senza una certa “estremizzazione” indotta dalla
polemica344. Infine, diversamente da Prin III, 1, 2, nel trattato sulla pre-
ghiera non viene approfondita la modalità in cui si dà il movimento degli
esseri razionali, riepilogato qui in termini essenziali con l’idea che asse-
condare il «proprio movimento» è lo specifico di essi. Negare il libero
arbitrio dell’uomo equivarrebbe, in conclusione, a negare non solo il suo
statuto di «essere vivente» («animale») ma anche la sua razionalità345 .
––––––––––––––––––
la terra (cfr. HEz IV, 1). Il nesso fuvsew" kai; yuch'" è spiegato con il motivo che l’anima è
sempre da considerarsi (platonicamente) come fattore del movimento: «Moving up from
elemental movements to higher forms of life, the same principle holds true: self-move-
ment and life do not arise from body but from soul» (p. 127, con il rinvio a CC VI, 48).
342 Oltre al testo di CMt XVI, 26 citato alla nota 336, si ricordi la riserva formulata
da Clemente Alessandrino (supra, nota 330): ei[ ti" aujtoi'" a[yuca ei\nai sugcwrhvsei ta;
futav.
343 Privando gli animali del movimento ajf∆ eJautw'n ne deriva che e[stai o{moion
h[toi futw'/ uJpo; fuvsew" movnh" kinoumevnw/.
344 Si spiega così, mi sembra, la problematica equiparazione fra le piante e le pietre
(h] livqw/ uJpov tino" e[xwqen feromevnw/).
345 Per il problema logico-argomentativo di questa conclusione si veda Van der
Ejik, 346-347: «Dass die Verneinung der kinêsis aph’hautôn eine Verneinung des Wesens
des zôion impliziert, sowie die Verneinung der kinêsis di’hautôn eine Verneinung des
Wesens des logikon zôion impliziert, zeigt sich erst dann, wenn der einfache Unterschied
zwischen innerer und äusserer Bewegung modifiziert und präzisiert worden ist in der Wei-
se, in der Origenes dies in 6, 1 getan hat. Die Gliederung des prôton und deuteron ist also
motiviert durch den Parallelismus mit dem Aufbau der Bewegunskategorien ex hautôn,
La critica della preghiera 115
Dall’inflessione in senso polemico-paradossale, impressa alle consi-
derazioni ontologiche rispetto all’impostazione più “scolastica” di Prin III,
1, 2, Origene prosegue, ancora sulla stessa nota, la sua fondazione del
libero arbitrio adducendo un altro ordine di argomentazioni. Da un lato,
troviamo il richiamo all’esperienza diretta dei propri moti (accennato pe-
raltro anch’esso già nel Trattato sul libero arbitrio, sia pure con diversa
focalizzazione), che non può non confermarci nella convinzione di essere
noi stessi ad agire personalmente, cioè di propria iniziativa, come compete
ad esseri dotati della ragione346 . Dall’altro lato, Origene deduce dall’espe-
rienza personale di libertà, quale sorta di postulato implicito di common
sense, l’idea che l’uomo in pratica non può mai agire come se egli stesso
o gli altri non fossero responsabili dei propri comportamenti347. Si tratta
di un motivo introdotto da Alessandro di Afrodisia nella polemica contro
il fatalismo di matrice stoica, in continuità con l’obiezione formulata da
Carneade rispetto alla prospettiva di un destino vincolante per l’uomo e
come tale distruttivo del suo agire morale 348 . Nel De fato, scritto fra il
198 e il 209, Alessandro aveva confutato per assurdo la tesi deterministi-
ca, sostenendo l’impossibilità pratica di vivere secondo questo principio e
l’imprescindibilità di un agire sorretto dal principio della lode o del bia-
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aph’hautôn und di’hautôn». La spiegazione non dà però conto dell’aspetto problematico
che ho segnalato alla nota 344. Per Muraru (vsi veda «Adamantius» 15[2009], p. 547)
Orat VI sarebbe in contraddizione con Prin III, 1, perché riconoscerebbe il logos anche al
regno animale, ma l’aggiunta di∆ eJautw'n serve precisamente a tracciare meglio la distin-
zione. Sul problema della «razionalità» degli animali si veda Lekkas, 76-83.
346 Il confronto sinottico permette nuovamente di misurare l’innovazione apportata
da Orat rispetto al Trattato sul libero arbitrio. Diversamente dall’attenzione posta in Prin
all’esercizio dello hJgemonikovn, Origene si concentra sull’immediatezza dell’esperienza
personale, di cui cui la funzione giudicante è parte. Si osservi anche l’alternativa piqanov-
thta" /dogmavtwn. Il primo dei due termini è peraltro riecheggiato da piqanoi'" lovgoi".
Prin III, 1, 4 (198, 12-199, 1) Orat VI , 2 (312, 14-18)
Eij dev ti" aujto; to; e[xwqen levgoi ei\nai toiovn- a[llw" te kai; toi'" ijdivoi" pavqesin ejpi-
de, w{ste ajdunavtw" e[cein ajntiblevyai aujtw'/ sthvsa" ti" oJravtw, eij mh; ajnaidw'" ejrei' mh;
toiw'd/ e genomevnw/, ou|to" ejpisthsavtw toi'" aujto;" qevlein kai; mh; aujto;" ejsqivein kai; mh;
ijdivoi" pavqesi kai; kinhvmasin, eij mh; eujdov- aujto;" peripatei'n mhde; aujto;" sugkatativ-
khsi" givnetai kai; sugkatavqesi" kai; rJoph; qesqai kai; paradevcesqai oJpoi'a dhv pote
tou' hJgemonikou' ejpi; tovde ti dia; tavsde ta;" tw'n dogmavtwn mhde; aujto;" ajnaneuvein pro;"
piqanovthta". e{tera wJ" yeudh'.
347 Orat VI, 2 (312, 27-30): biavzetai ga;r hJ ajlhvqeia kai; ajnagkavzei, ka]n muriavki"
ti" euJresilogh'/, oJrma'n kai; ejpainei'n kai; yevgein, wJ" throumevnou tou' ejf∆ hJmi'n, kai; touv-
tou ejpainetou' h] yektou' ginomevnou par∆ hJma'". Koetschau (BKV, 28) legge, sulla scorta
di Plat., Leg. I, 639c, ejpainevtou h] yevktou e traduce: «und dieser [scil. il libero arbitrio]
bei uns zum “Lobredner oder Tadler” wird».
348 È il motivo del cosiddetto ajrgo;" lovgo", un argomento a cui Origene si rifà più
volte. Cfr. Amand.
116 Parte prima, Capitolo quarto
simo e per ciò stesso dell’irrinunciabilità della preghiera di richiesta o di
ringraziamento agli dèi349 .
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363 Il riconoscimento del libero arbitrio negli astri, in stretto legame con la preghie-
ra, è motivato a partire dall’invito rivolto loro a lodare Dio in Sal 148, 3. Cfr. Orat VII
(316, 9-10): kai; eij peri; tou' ejf∆ hJmi'n eJtevrou mh; mavthn eu[comai, pollw'/ plevon peri; tou'
ejf∆ hJmi'n tw'n ejn oujranw'/ swthrivw" tw'/ panti; coreuovntwn ajstevrwn.
364 Heiler, 208 ne riepiloga così contenuti e limiti: «Die Bitte um das sittlich Gute,
die Ergebung ins Schicksal, die Anbetung der Grösse Gottes. [...] Und doch ist dieses Ge-
bet dem Philosophen nicht eine Notwendigkeit wie dem Frommen, der ohne Gebet nicht
leben kann, sondern etwas entbehrliches. Das sittliche Ideal laesst sich auch verwirkli-
chen, ohne dass man im Gebet den Gnadenbeistand Gottes erfleht».
CAPITOLO QUINTO
Più ancora che dalla terminologia della preghiera, con la sua inelimi-
nabile fluidità lessicale e semantica, l’atto orante sembrerebbe poter ac-
quistare nella riflessione di Origene una più concreta fisionomia alla luce
delle testimonianze sulle esperienze bibliche. L’Alessandrino ha dedicato
notevole attenzione alle figure veterotestamentarie di oranti, presumibil-
mente attingendo di proposito ad un patrimonio di esempi che doveva es-
sere ampiamente condiviso nel cristianesimo primitivo per il tramite del-
l’attività catechetica, in continuità peraltro con la parenesi giudaica (o giu-
deocristiana)420 . Il loro carattere topico può essere dedotto dall’utilizzo,
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pour le Paraclet de l’évangile de Jean, sens qui connaît par la suite une fortune considé-
rable dans l’exégèse patristique gréco-latine».
417 Orat XV, 4 (335, 24-27): mavqete ou\n, o{shn dwrea;n ajpo; tou' patrov" mou eijlhv-
fate, dia; th'" ejn ejmoi; ajnagennhvsew" to; th'" uiJoqesiva" pneu'ma ajpeilhfovte", i{na crhma-
tivshte uiJoi; qeou' ajdelfoi; de; ejmou'.
418 Orat XV , 4 (336, 1-4): ajdelfw'/ de; proseuvcesqai tou;" kathxiwmevnou" eJno;"
aujtw'n patro;" oujk e[stin eu[logon: movnw/ ga;r tw'/ patri; met∆ ejmou' kai; di∆ ejmou' ajnapemp-
tevon ejsti;n uJmi'n proseuchvn. L’interpretazione di Sal 21(22), 23 in questa chiave è assai
frequente in Origene. Cfr. ad esempio CIo XIX , 5, 28 (nota 874).
419 Gessel, 204: «Der Sohn ist als Bild Gottes Mittler der Schöpfung, er gibt dem
Menschen Anteil am Bild Gottes. Er ist auch der Spiegel, in welchem man Gott erkennt.
Er ist der Weg, der zum Bild der Ähnlichkeit mit Gott führt. [...] Diese logoschristologische
Grundkonzeption umschließt auch die Anwesenheit des Logos, bzw. Christi beim Gebet».
420 Insiste non a torto sui tratti catechetici Trevijano Etcheverría, 118: «Su orien-
tación (scil. di Origene) es la de un maestro eclesiástico con experiencia catequética».
Quanto alla tradizione giudaica (o giudeocristiana), oltre a rinviare al lungo catalogo di
esempi di quanti nell’Antico Testamento hanno agito «per fede» contenuto in Eb 11, egli
nota in Orat la presenza di procedimenti tipici della halakhah e della aggadah. Il legame
di Orat con la prassi catechetica è sostenuto anche da Konstantinovksy, Prayer, 175, in
relazione al commento del Padrenostro: «His commentary on the Lord’s Prayer probably
emanates from his exercise of priestly office in Caesarea, where the instruction of catechu-
mens in the central forms and rites of Christianity was a basic part of the Lenten catechet-
ical instructions». Tuttavia, a prescindere dall’accertamento del preciso contesto liturgico
che resta assai problematico (cfr. Buchinger 2007), la suggestiva tesi deve anche fare i
conti con la datazione di Orat e il quadro biografico trasmessoci da Eusebio di Cesarea.
L’atto della preghiera 141
sia pure in forma meno sistematica, all’interno di altri scritti protocristiani
sulla preghiera, come le due opere di Tertulliano e Cipriano. Ma la traccia
lasciata da questi oranti dell’Antico Testamento sulla prassi e la riflessio-
ne cristiane dell’antichità si coglie anche attraverso l’esperienza liturgica
e l’arte sacra. Infatti, alcuni dei più significativi testi di preghiera ricon-
ducibili a tali figure sono stati raccolti nelle «odi» (wjdaiv) annesse al sal-
terio della Settanta, beneficiando anch’essi della ricezione cristiana dei
salmi come la preghiera per eccellenza della chiesa421 . Inoltre compaiono
frequentemente nelle pitture catacombali o in altre espressioni artistiche
––––––––––––––––––
421 La pur pregevole raccolta La preghiera dei cristiani (a cura di Pricoco e Simo-
netti), non considera questo sfondo biblico-giudaico. Le «nove odi della chiesa greca»
comprendono i seguenti testi: 1. ∆Widh; Mwusew" ejn th/' ∆Exovdw/ (Es 15, 1-19); 2. ∆Widh;
Mwusew" ejn tw/' Deuteronomivw/ (Dt 32, 1-43); 3. Proseuch; Anna" mhtro;" Samouhl
(1Sam 2, 1-10); 4. Proseuch; Ambakoum (Ab 3, 2-19); 5. Proseuch; Hsaiou (Is 26, 9-20);
6. Proseuch; Iwna (Gio 2, 3-10); 7. Proseuch; Azariou (Dn 3, 26-45); 8. ”Umno" tw'n
triw'n paivdwn (Dn 3, 52-88); 9. Proseuch; Mariva" th'" qeotovkou (Lc 1, 46-55. 68-79).
Un secondo elenco di testi di preghiera annesso dalla tradizione greca al salterio include
ancora le seguenti odae: 10. ∆Widh; Hsaiou (Is 5, 1-9); 11. Proseuch; Ezekiou (Is 38, 10-
20); 13. Proseuch; Sumewn (Lc 2, 29-32); 14. ”Umno" eJwqinov" (Rahlfs, 164-183). Come
avverte HEx VI , 1 (191, 18-20) a proposito del Cantico di Mosè in Es 15, 1-19, l’«ode»
esprime di solito il ringraziamento a Dio per la salvezza ottenuta da Lui: «Moris quippe
sanctorum est, ubi adversarius vincitur, tamquam qui sciant non sua virtute, sed Dei gratia
victoriam factam, hymnum Deo gratulationis offerre». In Orat il termine è ripreso in due
«titoli» di preghiere bibliche: Ab 3, 1 (Orat XIV, 4 [332, 8]: proseuch; ∆Abbakou;m tou'
profhvtou meta; wj/dh'"); Sal 29(30), 1 (Orat XXIV, 4 [355, 21] yalmo;" wj/dh'" tou' ejgkaini-
smou' tou' oi[kou tou' Daui?d). In CC I, 56 (107, 11) è citato Sal 44(45), 1 (wj/dh; uJpe;r tou'
ajgaphtou'), mentre in II, 78 (201, 2) si menziona la seconda delle «odi» di Mosè (th;n ajpo;
th'" w/jdh'" tou' Deuteronomivou profhteivan), riguardo alla vocazione dei gentili, con cita-
zione da Dt 32, 21 (la designazione di Dt 32, 1-43 come w/jdhv figura in Dt 31, 30). Essa è
ricordata una seconda volta in V, 29 (ejn th/' tou' Deuteronomivou wjdh/'). L’uso neotestamen-
tario del termine è documentato dalla ripresa di Ap 14, 3 in CIo I, 1, 3, ma in questa stessa
opera si fa ancora riferimento solo a Sal 122(123) come al «quarto dei “canti dei gradini”»
(XXVIII, 4, 33), di cui l’Alessandrino cita spesso e volentieri il v. 1 (cfr. infra, p. 160).
L’occasione che ha spinto Origene a riflettere più approfonditamente su un complesso di
«odi» o «canti» è stato ovviamente il commento di Ct, ove ritroviamo in parte i testi già
noti. La «scala dei cantici», riportata in CCt Prol. 4, 5-11, include sei testi prima di Ct: 1.
il cantico di Mosè in Es 15, 1 (= Ode 1 LXX); 2. il cantico dei pozzi (Nm 21, 16-18); 3. il
cantico di Mosè in Dt 32 (= Ode 2 LXX); 4. il cantico di Debora in Gdc 5; 5. il cantico di
David in 2Sam 22, 1-3 (con il suo parallelo in Sal 17[18], 3); 6. il cantico di David per Asaf
e i suoi fratelli in 1Cr 16, 8-9 (con i paralleli in Sal 104[105], 1-15 e Sal 95[96] 1-13). In
HCt I, 1 figura invece come sesto cantico Is 5 (= Ode 10 LXX), secondo l’alternativa pe-
raltro considerata già in CCt Prol 4, 13. Del resto, stando allo stesso Origene, a questo
elenco di sette «cantici» si potrebbero ancora aggiungere i salmi designati come tali, in
particolare etiam quindecim simul graduum cantica (4, 14). Si veda al riguardo Brésard.
Cfr. inoltre HIud VI , 3 (501, 26-502, 2): «Habemus integrum volumen de canticis cantico-
rum scriptum. Ecce et in hoc libro Iudicum habemus canticum et in Numeris canticum
scriptum est et in Deuteronomio et in Exodo et in primo libro Regnorum; in primo etiam
Paralipomenon et in aliis multis locis invenies cantica divina esse descripta».
142 Parte prima, Capitolo quinto
paleocristiane, dove attestano in particolare il valore di «paradigmi di sal-
vezza», anche in concomitanza con le prove vissute dalle prime comunità
cristiane al momento delle persecuzioni e del martirio422 . Tale rilievo pa-
radigmatico risalta ancora di più, se teniamo presente che il complesso di
testi in questione s’inserisce comunque in un’ampia serie di preghiere
bibliche, che in qualche caso poteva dare luogo per l’Alessandrino a col-
lezioni più circoscritte – come vediamo specialmente dalla lista di «sette
cantici» proposta sia nel Commento che nelle Omelie sul Cantico dei
Cantici a titolo di «scala» simbolica del progresso spirituale. Tuttavia, in
Orat egli preferisce attenersi ad un dato tradizionale maggiormente dif-
fuso, a riprova di quel più ampio orizzonte biblico e comunitario richia-
mato per lui dalla preghiera individuale, la quale sta invero al centro del
trattato, pur dichiarando preliminarmente che ciascuno potrebbe racco-
gliere parecchie testimonianze analoghe nelle Scritture423 .
Il ricorso a questi personaggi noti e ai loro testi familiari di preghiera
era dunque precostituito in qualche modo dal contesto della vita ecclesia-
le, ma Origene vi ricorre cercando di sfruttare al massimo la loro esem-
plarità come tipi della preghiera esaudita da Dio. D’altra parte, ciò può
avvenire per lui in senso autentico e pieno unicamente grazie all’apporto
dell’ermeneutica spirituale delle Scritture, che sviscera una dimensione
più profonda rispetto ai benefici materiali e l’applica alla condizione del
cristiano424 . In linea con la risposta data al «problema della preghiera», le
figure degli oranti veterotestamentari vengono ad occupare un posto cen-
trale nella serie di argomenti addotti dall’Alessandrino a conferma dell’u-
tilità della preghiera e della necessità della sua pratica. Egli riunisce le di-
verse figure, per ben quattro volte di seguito (Orat XIII , 2; XIII, 3; XIII, 4;
XVI, 3), entro un «catalogo» che, nella sua articolazione più ampia, com-
prende i seguenti personaggi biblici425 :
––––––––––––––––––
422 Per una sintesi essenziale quanto suggestiva dei rapporti fra catechesi e arte pa-
leocristiana si veda Dulaey. Fra i Rettungsparadigmen degli oranti, l’autrice approfondi-
sce le figure di Giona nel ventre della balena, Daniele nella fossa dei leoni e i tre giovani
ebrei nella fornace.
423 Orat XIII, 2 (326, 12-14): tiv de; dei' katalevgein tou;" dia; tou' o}n dei' trovpon
proseuvxasqai megivstwn ejpiteteucovta" ajpo; qeou', paro;n eJkavstw/ eJautw'/ ajpo; tw'n
grafw'n ajnalevxasqai pleivona…
424 Ho approfondito le modalità argomentative del ricorso “paradigmatico” da parte
di Origene in Perrone 1993, in part. pp. 344-347.
425 È lo stesso Origene ad adoperare il termine katavlogo" (Orat XIII, 4: to;n katav-
logon tw'n wjfelhqevntwn dia; proseuch'" ). L’operazione di inventario o catalogo è un tratto
formale-argomentativo al quale l’Alessandrino ricorre abbastanza spesso nei suoi scritti.
Ne ho dato documentazione da ultimo in Il profilo letterario del Commento a Giovanni,
68-69, 74-76.
L’atto della preghiera 143
– Anna (1Sam 1, 9-13; 2, 1-10)426;
– Ezechia (Is 38) 427 ;
– Mardocheo e Ester (Est 4, 17a-z LXX)428 ;
– Giuditta (Gdt 13, 4-5)429 ;
– i tre giovani ebrei Anania, Azaria e Misaele (Dn 3, 24 ss. LXX )430;
––––––––––––––––––
426 Abbiamo più volte segnalato il rilievo della preghiera di Anna in Orat, con le
sue distinte espressioni rispettivamente in 1Sam 1 e 2 (cfr. supra, pp. 129-130). L’Alessan-
drino la fa propria, con una triplice citazione retoricamente ben inserita, in HReL I, 10,
allorché durante l’omelia predicata a Gerusalemme qualcuno dei presenti, sentendosi
male, si era messo a gridare: «Alle parole di Anna: Ha esultato il mio cuore nel Signore
(1Sam 2, 1), lo spirito avverso non ha potuto sopportare il nostro grido di gioia “nel Signo-
re”, ma lo vuole cambiare per sostituirvi la tristezza e per impedirci di dire: Ha esultato il
mio cuore nel Signore; ma noi non ci facciamo ostacolare e diciamo sempre più: Ha esul-
tato il mio cuore nel Signore» (tr. it. in Monaci Castagno 2000b, 397). Circa il rilievo di
HReL per il discorso origeniano sulla preghiera nell’ambito del corpus omiletico rinvio
a Perrone 2000e, 211-212; infra, p. 365. Sembra da riferire al cantico di Anna anche un
frammento catenario al Cantico: Didavskei kai; dia; tauvth" th'" wj/dh'" to;n prosercovmenon
qew/' eij" aujto;n movnon e[cein ta;" ejlpivda" kai; eij" aujto;n kauca'sqai, mh; megalaucei'n
ajlla; tapeinofronei'n (Klostermann-Nautin, 304, 5-7).
427 L’interesse per la figura di Ezechia sembra essere più occasionale nel trattato
(cfr. nota 318). Ma la menzione in Orat XXIX, 5 (384, 7-8), a commento della sesta peti-
zione, dove il re è messo in parallelo con Paolo, essendo anche lui soggetto al pericolo del
vanto (peri; ∆Ezekivou, o{sti" peptwkevnai levgetai ajpo; tou' u{you" th'" kardiva" aujtou'
[2Cr 32, 25]), è significativa dell’importanza del personaggio, designato come iustissimus
da HNm XVI, 7 (146, 31). Origene lo ricorda in più occasioni, menzionando anche la pre-
ghiera esaudita da Dio per il seguito della dinastia. Da segnalare specialmente CC VIII, 46
(261, 16-19), ove l’esempio di Ezechia figura a riprova dell’efficacia delle preghiere per
sanare la mancanza di figli, con quelli di Abramo e Sara e della donna guarita da Eliseo
(2Re 4, 8-17): ajnagnwvtw de; kai; ta; peri; ∆Iezekivou, ouj movnon ajpallagh;n novsou la-
bovnto" kata; ta;" ÔHsai?ou profhteiva" ajlla; kai; teqarrhkovtw" eijpovnto" tov: ∆Apo; ga;r tou'
nu'n paidiva poihvsw, a} ajnaggelei' th;n dikaiosuvnhn sou (Is 38, 19). Sui due momenti della
preghiera di Ezechia – supplica a Dio e ringraziamento per essere stato esaudito –, cfr.
Jonquière, 176-179.
428 Sull’esegesi origeniana di Ester, cfr. Kuyama. Siquans, 423 dedica solo un breve
cenno alla preghiera di Ester in Orat, ma si richiama anche a CRm IV, 5, che sfrutta però
Est 2, 15.17. Si ricordi che Ester, con Giuditta e Tobia, è visto da HNm XXVII, 1 come uno
dei testi biblici suscettibili di suscitare un interesse immediato negli ascoltatori, seppure
non allo stesso livello della Sapienza, dei Salmi, o dei Vangeli e dell’Apostolo (cfr. de
Lubac, 134).
429 Orat XIII, 3 (327, 18) offre la seguente etimologia: ∆Ioudh;q ga;r eJrmhneuvetai
ai[nesi". Cfr. anche supra, nota 292 e HIer XX, 7 (nota 1172); McDowell, 41-57.
430 Origene riporta una tradizione giudaica su Daniele e i suoi tre giovani compa-
gni, secondo cui a Babilonia furono fatti eunuchi. Sarebbero inoltre da riferire a loro le
profezie di Is 39, 7 e 56, 3-5, così commentate dall’Alessandrino in CMt XV, 5 (360, 30-
361, 3): «È dunque cosa buona, stando al senso mistico di questo passo (wJ" pro;" to;n mu-
stiko;n tovpon), non generare figli in Babilonia, ma restare privi di posterità quanto a Ba-
bilonia, come Daniele, perché non concepiamo e generiamo dalla Parola di Dio (come lui
ed i suoi compagni) se non visioni e profezie» (tr. Scognamiglio, 193). HEz IV, 5 (366,
144 Parte prima, Capitolo quinto
– Daniele (Dn 6, 11);
– Giona (Gio 2)431 ;
– Samuele (1Sam 12, 16-18);
– Elia (1Re 17-18) 432 .
Sorprendentemente in questo elenco non compare Mosè, che Orige-
ne valorizza invece ripetutamente nelle omelie, specialmente per l’epi-
sodio della preghiera ininterrotta che assicura ad Israele la vittoria nella
battaglia contro Amalek (Es 17, 8-16)433 . Ma il paradigma di Mosè orante
affiora comunque a più riprese nel trattato, in particolare quale testimone
rappresentativo della devhsi"434. Per ragioni analoghe si potrebbe ancora
aggiungere al catalogo la figura di Tobi (Tb 3, 1-2), anche se – come ab-
biamo visto – si tratta di un testimonium controverso, dal momento che lo
scritto è escluso dal canone ebraico435 . Nell’insieme, però, si deve ricono-
scere che l’immagine biblica della preghiera, riproposta da Origene anche
attraverso la serie di questi oranti, è molto sfaccettata e assai più varia di
quanto essa ci appaia dagli altri scritti eucologici coevi o successivi (con
––––––––––––––––––
17-18) riportando nuovamente la tradizione giudaica secondo cui Daniele sarebbe stato un
eunuco, afferma la sua fecondità spirituale: «Verum quia fertilis et sancta fuit anima illius
et propheticis divinisque sermonibus multos liberos procreavit» (cfr. anche HEz IV, 8). A
sua volta H36Ps IV, 2 (184, 140-143) precisa che Daniele conseguì la corona della perfe-
zione fin da fanciullo: «respice beatum Danielem, qui a puero et prophetiae gratiam meruit
et iniquos arguens presbyteros, puer coronam iustitiae et castitatis obtinuit».
431 Per l’interpretazione origeniana di Giona, cfr. Duval, 191-211. Il paradigma di
Giona ritorna nella spiegazione del grido di Gesù sulla croce come «preghiera spirituale»,
incomparabilmente più grande in quanto operatrice di salvezza universale, in CMtS 136
(281, 11-14): «Maiorem autem dico orationem Christi fuisse quam Ionae in utero ceti
propter magnitudinem rerum quae demonstrantur ex ea, et propter magnum effectum vo-
luntariae passionis eius».
432 Nel primo catalogo (Orat XIII, 2) e nella sua immediata riproposizione ( XIII, 3-4)
non figurano Samuele ed Elia, che sono invece aggiunti nel terzo elenco (XIII, 5). In H1ReG
I, 2 l’importanza di Samuele come intercessore, insieme a Mosè, è richiamata sulla base di
Ger 15, 1 («Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, io non mi piegherei
verso questo popolo») e Sal 98(99), 6-7 («Mosè e Aronne fra i suoi sacerdoti e Samuele fra
quelli che invocavano il suo nome: invocavano il Signore ed egli li esaudiva, parlava loro
nella colonna di nubi»). La funzione di intercessori ad opera di personaggi come Samuele
e Geremia è esaltata da CMtS 37 (70, 21-23): «Et aliquando quidem in Israel fames et
pestilentiae fiebant propter peccata et siccitates, quas orationes sanctorum solvebant, Sa-
muelis, Hieremiae ceterorumque similium». FrPs 3, 4 (PG 12, 1121D-1123A) esalta l’effi-
cacia di Elia come intercessore: eujcomevnou peri; tou' uJetou' kai; a{ma tw'/ aijtei'n tucovnto"
ajxiwvsew".
433 Si veda, ad esempio, HEx III, 3; X I , 4; HLv VI , 6; HNm XXV , 2; H1ReG I, 9.
Come nota Sgherri, 154, «tra tutti i santi dell’Antico Testamento la figura più delineata,
più ricordata, ed anche più magnificata, è senza dubbio quella di Mosè» (cfr. anche Saxer,
352-357).
434 Cfr. supra, pp. 128-129.
435 Cfr. Orat XIV , 3 e supra, p. 129; McDowell, 73-84.
L’atto della preghiera 145
la sola eccezione di Afraate), come mostra il confronto con Tertulliano e
Cipriano, per non parlare di Clemente436 . Inoltre, il catalogo di Orat è ben
più esteso di quello fornito a breve distanza di tempo dallo stesso
Alessandrino nell’Esortazione al martirio, che include solo alcuni di que-
sti «paradigmi di salvezza»437 .
Nonostante l’abbondanza dell’esemplificazione scritturistica, l’aspet-
tativa di cominciare a disegnare, attraverso questi personaggi della Bibbia,
il profilo ad un tempo ideale e concreto dell’atto orante resta almeno in
parte delusa. Bisogna ricordare che la loro esemplarità si dà per Origene
non tanto in chiave parenetico-imitativa (del resto apertamente contrad-
detta all’inizio con il riconoscimento, nel prologo, dell’incapacità umana
a pregare «come si conviene», nonostante la paradigmatica scritturisti-
ca)438, bensì soprattutto in forma dialettico-argomentativa quale ulteriore
risposta alle obiezioni sull’utilità del pregare. Gli oranti dell’Antico Te-
stamento acquistano valore testimoniale perché documentano l’efficacia
della preghiera, che può contare sull’esaudimento della richiesta e sul-
––––––––––––––––––
436 In Tertulliano ritroviamo solo l’esempio dei Tre Giovani nella fornace, di Giona
nel ventre della balena e di Daniele nella fossa dei leoni, ma con diversa strategia argo-
mentativa. Nel primo e nel secondo caso i paradigmi sono richiamati in via subordinata e
in termini ironici o polemici (De orat. 15, 2 [65,11-13]: «Deus scilicet non audiat paenu-
latos, qui tres sanctos in fornace Babylonii regis orantes cum sa<ra>baris et tiaris suis
exaudivit»; 17, 4 [266,11-267,13]: «Dei aures sonum expectant? Quomodo ergo oratio Io-
nae de imo ventre ceti per tantae bestiae viscera et ab ipsis abyssis per tantam aequoris
molem ad caelum potuit evadere?)»; nel terzo Tertulliano se ne serve invece per rimarcare
la superiorità della preghiera cristiana rispetto alla «vetus oratio» (29, 1 [274, 3-5]: «Vetus
quidem oratio et ab ignibus et a bestiis et ab inedia liberabat [cfr. Dn 3, 15-50; 6, 15-24;
14, 33-42] et tamen non a Christo acceperat formam»). Anche in Cipriano incontriamo in
ordine sparso: Anna, «tipo della chiesa», addotta a modello di preghiera interiore (De
dom. or. 5 [92,61 ss.]); i Tre Giovani, che pregano in maniera concorde, «et nondum illos
Christus docuerat orare» (8 [93, 117–94, 118]; Daniele, esempio di coloro che antepongo-
no la ricerca del regno di Dio (21 [103, 396 ss.]). Infine, nel cap. 34 i Tre Giovani e Da-
niele fondano la prassi delle ore di preghiera (111, 633 ss.). Quanto a Clemente Alessan-
drino, egli ignora i paradigmi veterotestamentari, se si esclude un’allusione alla preghiera
silenziosa di Anna in Strom. VII, 7, 39, 6 (140), con il rinvio a 1Sam 1, 13. Nella ricchissi-
ma esemplificazione veterotestamentaria della preghiera contenuta nella Dimostrazione IV
di Afraate troviamo Anna (Dem. IV, 8); Samuele (IV, 8); Giona (IV, 8.12); Anania, Azaria
e Misaele (IV, 8); Daniele (IV , 9); Elia (IV, 12).
437 EM 33 (28, 19-22) menziona come esempi da imitare tuttora: Anania, Azaria e
Misaele; Mardocheo ed Ester; Daniele. La funzione del richiamo paradigmatico è di tipo
apertamente parenetico-esemplare ed è assecondata da una presentazione “omiletica” che
attualizza le figure del passato: ajll∆ hJmei'" i{na drovsou oujranivou peiraqw'men sben-
nuouvsh" pa'n pu'r ajf∆ hJmw'n kai; katayucouvsh" hJmw'n to; hJgemoniko;n, tou;" iJerou;" ejkeiv-
nou" mimhswvmeqa, mhv pote kai; nu'n oJ ∆Ama;n qevlh/ tou;" Mardocaivou" uJma'" proskunh'-
sai aujtw/'.
438 L’insegnamento biblico sulla preghiera non è come tale esaustivo ed anche riso-
lutivo, in ordine alla prassi cristiana; perché ciò avvenga, è necessario il soccorso dello
Spirito, che solo può colmare tale divario (Orat II, 3-4).
146 Parte prima, Capitolo quinto
l’intervento di Dio in aiuto all’uomo, benché gli «antichi» tendenzialmen-
te non partecipino ancora del rapporto di figliolanza divina, garantito ai
credenti in Cristo dal dono dello Spirito439 . Se questa è la funzione prin-
cipale che l’Alessandrino attribuisce ai paradigmi veterotestamentari, egli
è disposto ad accogliere anche gli elementi di tensione che scaturiscono
inevitabilmente dal confronto con la sua visione della «preghiera spiritua-
le». Da un lato, infatti, deve prendere atto dell’immediatezza della lettera
biblica, riconoscendo così la concretezza dei benefici assicurati agli oranti
(Orat XIII, 2): dunque, non è solo la salvezza della vita mortale ad essere
garantita dalla risposta divina alla preghiera (i tre giovani, Daniele, Gio-
na), ma anche aspettative di carattere puramente terreno come le attese di
generazione (nel caso di Anna e di Ezechia) oppure la sopravvivenza del
popolo d’Israele (Mardocheo e Ester, Giuditta). L’interesse è dunque ri-
volto soprattutto all’esaudimento della preghiera, ma sia pure marginal-
mente non mancano indicazioni rivelatrici delle condizioni spirituali ri-
chieste perché esso avvenga. Sotto questo punto di vista affiorano almeno
alcuni elementi che contraddistinguono significativamente l’atto orante,
come avremo modo di disegnarlo in seguito440 .
È evidente però che Origene non può arrestarsi al livello della lettera,
per cui in un secondo momento – con un’applicazione che definiremmo
di tipo “morale” – trasferisce l’esaudimento nell’ordine sensibile per gli
oranti dell’antica alleanza alla condizione dei credenti in Cristo (Orat
XIII, 3). Così, la sterilità fisica di Anna e di Ezechia è figura della sterilità
spirituale che spesso affligge le nostre anime, mentre la loro fecondità è
garantita dall’intervento dello Spirito che asseconda una preghiera assi-
dua441 . A sua volta, la preghiera di Mardocheo e Ester contro la minaccia
di annientamento per i popolo dei Giudei trova rispondenza nel nostro
abbandono fiducioso all’aiuto divino, mediante l’invocazione del «nome
––––––––––––––––––
439 Cfr. Orat XXII , 1-2, dove si sottolinea la precarietà della condizione di «figli» e
della conseguente parjrJhsiva nell’Antica Alleanza. Mi sono soffermato su questo pro-
blema in Perrone 1993, 359 ss.
440 Così la richiesta di Anna perché la sua sterilità venga sanata è accompagnata da
un atteggiamento di fede (Orat XIII, 2 [326, 15-16]: mh; tivktousa pisteuvsasa proshuv-
xato pro;" kuvrion), mentre Mardocheo ed Ester uniscono il digiuno alla preghiera ([326,
19-20] proseuch; meta; nhsteiva" Mardocaivou kai; ∆Esqh;r ejpakousqei'sa). Quanto a
Giuditta, la sua orazione è qualificata senz’altro come «santa» ([326, 22] aJgivan ajneneg-
kou'sa proseuchvn), mentre Anania, Azaria e Misaele «divennero degni di essere esauditi»
([326, 26] a[xioi gegovnasin ejpakousqevnte"). Anche nel caso di Giona, Origene sottolinea
le disposizioni spirituali, che predispongono l’esaudimento da parte di Dio, poiché egli
«non dispera di essere ascoltato» ([326, 28-327, 1] oujk ajpognou;" to; ejpakousqhvsesqai
ejk koiliva" tou' katapiovnto" aujto;n khvtou").
441 Orat XIII, 3 (327, 6-10): a[gonoiv te ga;r ejpi; polu; gegenhmevnai yucai;, hj/sqh-
mevnai th'" steirwvsew" tw'n ijdivwn hJgemonikw'n kai; th'" ajgoniva" tou' nou' eJautw'n, ajpo; tou'
aJgivou pneuvmato" dia; ejpimovnou eujch'" kuhvsasai swthrivou" lovgou", qewrhmavtwn ajlh-
qeiva" peplhrwmevnou", gegennhvkasin.
L’atto della preghiera 147
del Signore», contro i nemici che vorrebbero distoglierci dalla fede442.
Ancora, la vittoria di Giuditta su Oloferne simboleggia quella ottenuta sul
«comandante in capo» del demonio, equivalente per Origene al «discorso
ingannevole» capace di attrarre a sé i supposti credenti, da parte di «colui
che loda» Dio, mentre i tre giovani nella fornace ardente sono figura di
coloro che, pur oppressi da tentazioni ben più brucianti, ne sono usciti in-
denni443. Quanto poi a Daniele nella fossa dei leoni, egli è l’esempio della
sorte di salvezza toccata a chi con le proprie preghiere è riuscito a sfug-
gire alle grinfie di belve infuriate – come sono gli spiriti malvagi e uo-
mini terribili –, poiché essi nulla possono contro le membra di Cristo444.
In questo esempio, ma in parte anche nei precedenti, Origene sembre-
rebbe tener presente, in special modo, la situazione del martirio, com’è
forse anche dell’ultimo di questi «paradigmi di salvezza» che testimo-
niano l’esaudimento della preghiera. Tuttavia, Giona – salvato dal ventre
della balena in seguito alla sua invocazione del soccorso di Dio – è più in
generale figura di quanti, allontanatisi dai precetti divini e inghiottiti dalla
morte spirituale, ne sono stati liberati in seguito alla loro conversione445.
Anche questa applicazione attualizzante accenna indirettamente alle mo-
dalità dell’atto orante, ma in ogni caso in maniera più sfumata che nella
prima presentazione dei paradigmi. Ciò che importa è, infatti, l’esito spi-
rituale determinato dall’intervento della preghiera e nella prospettiva della
fede in Cristo esso risulta chiaramente superiore al beneficio ottenuto
dagli oranti veterotestamentari.
È il procedimento che vediamo sfruttato soprattutto da Tertulliano, al-
lorché distingue e contrappone la nova oratio dei cristiani alla vetus oratio
dell’Antico Testamento, legandola all’antitesi fra spiritualia e carnalia446 .
––––––––––––––––––
442 Orat XIII, 3 (327, 10-15). In questo caso Origene rielabora il paradigma corri-
spondente servendosi di altro materiale biblico (Sal 19[20], 8; Sal 32[33], 17).
443 Orat XIII, 3 (327, 15-18 [Giuditta].18-22 [i tre giovani]). Si noti qui l’etimologia
di «Giuditta» (supra, nota 429).
444 Orat XIII, 3 (327, 22-26): ajlla; kai; ejn o{soi" qhrivoi", kaq∆ hJmw'n ejxhgriwmev-
noi", ponhroi'" pneuvmasi kai; ajnqrwvpoi" wjmoi'" paratucovnte" tai'" eujcai'" aujtou;" pol-
lavki" ejfivmwsan, ouj dedunhmevnwn ejgcrivyai tou;" ojdovnta" aujtw'n toi'" gegenhmevnoi"
hJmw'n mevlesi tou' Cristou'…
445 Orat XIII, 3 (327, 28-328, 2): i[smen de; pollavki" fugavda" prostagmavtwn qeou'
katapoqevnta" uJpo; tou' qanavtou, provteron kat∆ aujtw'n ijscuvsanto", dia; th;n metavnoian
swqevnta" ajpo; tou' thlikouvtou kakou', oujk ajpegnwkovta" to; swv/zesqai duvnasqai h[dh ejn
th'/ koiliva/ tou' (Gio 2, 1-2) qanavtou kekrathmevnou": katevpie ga;r oJ qavnato" ijscuvsa",
kai; pavlin ajfei'len oJ qeo;" pa'n davkruon ajpo; panto;" proswvpou (Is 25, 8).
446 Anche in Tertulliano peraltro la linea oppositiva, marcata dall’antitesi fra Antico
e Nuovo Testamento, si combina con quella integrativa e riconciliatrice, per cui l’oratio
christiana funziona anche come sintesi dell’insegnamento veterotestamentario. Nondime-
no, il primo motivo resta nettamente predominate, sicché una paradigmatica biblica della
preghiera può darsi unicamente in relazione all’esempio di Gesù: «Deus solus docere
potuit, ut se vellet orari» (De orat. 9, 3 [263,8-9]).
148 Parte prima, Capitolo quinto
Ora, in un terzo tratto della sua argomentazione (Orat XIII, 4) l’Alessan-
drino insiste ulteriormente su questo aspetto accostandosi ancor più espli-
citamente ai paradigmi veterotestamentari nell’ottica ermeneutica che gli
è propria e facendo intervenire a sostegno di essa la terminologia corri-
spondente 447 . È più evidente adesso la preoccupazione di tutelare il mo-
dello della «preghiera spirituale», ribadendo il primato delle «realtà mi-
stiche» sulle cose «piccole e terrene» e qualificando le figure degli oranti
dell’Antica Alleanza come «tipi», cioè anticipazioni o prefigurazioni della
verità che si dà più autenticamente nell’esperienza cristiana di fede. Per
questo Origene esorta a riappropriarsi delle figure già note traendone indi-
cazioni per la vita spirituale, ma senza conferire in ciò un qualche rilievo
all’atto orante come tale. Dapprima invita così a sforzarsi di vincere la ste-
rilità spirituale, come Anna ed Ezechia vinsero quella fisica, e a sconfig-
gere gli spiriti malvagi al pari di Mardocheo, Ester e Giuditta448 . Semmai
l’aspetto della preghiera, intesa però quale eujcaristiva (sia pure con una
allusione all’ejxomolovghsi", come «confessione» che la precede, nella cita-
zione di Sal 73[74], 19), ritorna nelle attualizzazioni dei Tre Giovani nella
fornace e nel caso di Daniele: colui che si sottrae alla fornace ardente,
––––––––––––––––––
447 Sotto tale profilo, Orat XIII, 4 (328, 11-13) è il passo più significativo dell’intero
trattato. Si noti, in particolare, la distinzione fra levxi" e ajnagwghv: prokrinomevnwn tw'n
ajpo; th'" ajnagwgh'" met∆ ejxetavsew" paristamevnwn th'" ejmfainomevnh" kata; th;n levxin ge-
gonevnai toi'" proseuxamevnoi" eujergesiva". Interviene altresì il criterio della «legge spiri-
tuale» (Rm 7, 14), su cui si veda Cocchini, 124 ss.
448 Orat XIII, 4 (328, 13-329, 6): kai; ejn hJmi'n ga;r ajskhtevon mh; ejggenevsqai a[gonon
h] stei'ran [<yuchvn> BKV, 48 n. 5], ajkouvousi tou' pneumatikou' novmou wjsi; pneuma-
tikoi'": i{na ajpotiqevmenoi to; ei\nai a[gonoi h] stei'rai ejpakousqw'men wJ" “Anna kai;
∆Ezekiva", kai; i{na ajpo; ejpibouleuovntwn ejcqrw'n tw'n pneumatikw'n th'" ponhriva" rJusqw'-
men wJ" Mardocai'o" kai; ∆Esqh;r kai; ∆Ioudhvq. kai; ejpei; kavminov" ejsti sidhra' Ai[gupto",
suvmbolon tugcavnousa panto;" tou' perigeivou tovpou, pa'" oJ ejkpefeugw;" th;n tou' bivou
tw'n ajnqrwvpwn kakivan kai; mh; pepurwmevno" uJpo; th'" aJmartiva" mhde; wJ" klivbanon plhvrh
puro;" th;n kardivan ejschkw;" mh; e[latton eujcaristeivtw tw'n ejn puri; drovsou pepeira-
mevnwn. ajlla; kai; oJ ejn tw'/ eu[xasqai kai; eijrhkevnai: mh; paradw'/" toi'" qhrivoi" yuch;n
ejxomologoumevnhn soi (Sal 73[74], 19) ejpakousqei;" kai; mhde;n ajpo; th'" ajspivdo" kai; tou'
basilivskou paqw;n tw'/ dia; Cristo;n aujto;n aujtw'n ejpibebhkevnai kai; katapathvsa" levon-
ta kai; dravkonta (Sal 90[91], 13) th'/ te kalh'/ ejxousiva/ uJpo; ∆Ihsou' dedomevnh/ crhsavmeno"
tou' patei'n ejpavnw o[fewn kai; skorpivwn kai; ejpi; pa'san th;n duvnamin tou' ejcqrou' (Lc 10,
19) kai; mhde;n uJpo; tw'n tosouvtwn ajdikhqei;" plei'on tou' Danih;l eujcaristhsavtw, a{te
ajpo; foberwtevrwn kai; ejpiblabestevrwn rJusqei;" qhrivwn. pro;" touvtoi" oJ pepeismevno",
poivou khvtou" tuvpo" to; katapepwko;" to;n ∆Iwna'n ejtuvgcane, kai; katalabw;n de; o{ti ejkeiv-
nou tou' uJpo; tou' ∆Iw;b eijrhmevnou: kataravsaito aujth;n oJ katarwvmeno" th;n hJmevran ejkeiv-
nhn, oJ mevllwn to; mevga kh'to" ceirwvsasqai (Gb 3, 8), ejavn pote gevnhtai diav tina ajpei-
qivan ejn th'/ tou' khvtou" koiliva/ (Gio 2, 1), metanow'n eujxavsqw, kajkei'qen ejxeleuvsetai.
La rielaborazione non presenta sostanziali novità, quanto al contenuto, ma ci permette di
intravedere ancor meglio il tratto “omiletico” (forse più che “catechetico”) dell’uso ori-
geniano di questi materiali biblici. Come mostra CC VII, 70, l’uso di Sal 90(91), 13 ha una
chiara implicazione antiidolatrica.
L’atto della preghiera 149
simbolo di ogni luogo terreno, e sfugge al male non lasciandosi bruciare
dal peccato, non deve essere da meno di Anania, Azaria e Misaele nel rin-
graziare Dio. Il fedele, poi, esaudito per la forza di Cristo, che è venuto a
sconfiggere il demonio e ci ha dato il potere di camminare su serpenti e
scorpioni, dovrà esprimere un ringraziamento maggiore di Daniele, poiché
è stato liberato da belve più temibili e nocive. Infine, quanto a Giona, chi
ha compreso di che cosa sia figura il pesce che lo inghiotte, qualora di-
venga preda del male, si converta, preghi e ne verrà liberato449.
Nel fornire questa interpretazione in chiave tipologico-morale Ori-
gene si rende probabilmente conto di creare una tensione troppo forte con
il dato veterotestamentario di partenza, ricondotto inizialmente alla sola
lettera, tanto più che così facendo si attira l’obiezione per cui le preghiere
degli oranti veterotestamentari contraddicono apertamente il suo modello
della «preghiera spirituale» 450 . Egli ritorna pertanto una quarta volta sul
catalogo (Orat XVI, 3) e a questo punto intende tutti i benefici di ordine
materiale conseguenti alla preghiera degli oranti veterotestamentari come
«ombra» dei beni spirituali di cui essi stessi partecipano451. Con questo
––––––––––––––––––
449 Il nesso in Orat XIII , 4 fra Gio 2, 1 e Gb 3, 8 è così spiegato da HLv VIII , 3:
«Vedi dunque come [Giobbe] nello Spirito santo ha predetto il grande mostro marino
(Gio 2, 1) di Giona. Per cui anche il Signore, che avrebbe ucciso questo mostro marino, il
diavolo, dice: Come Giona fu per tre giorni e tre notti nel ventre del mostro marino, così
bisogna che anche il Figlio dell’uomo stia per tre giorni e tre notti nel cuore della terra
(Mt 12, 40)» (tr. Danieli, 180).
450 Orat XVI , 2 (336, 21-26): pa'" toigarou'n oJ ta; ejpivgeia kai; mikra; aijtw'n ajpo;
tou' qeou' parakouvei tou' ejnteilamevnou ejpouravnia kai; megavla aijtei'n ajpo; tou' mhde;n
ejpivgeion mhde; mikro;n carivzesqai ejpistamevnou qeou'. eja;n dev ti" ajnqupofevrh/ ta; kata;
to; swmatiko;n ejk proseuch'" toi'" aJgivoi" dwrhqevnta ajlla; kai; th;n tou' eujaggelivou
fwnh;n, didavskonto" ta; ejpivgeia hJmi'n prostivqesqai kai; ta; mikra;.
451 Orat XVI, 3 (337, 13-338, 5): ma'llon ou\n kekarpoforhvkei ajpov tino" steirwv-
sew" metabalou'sa hJ th'" “Annh" yuch; h[per to; sw'ma, kuh'san to;n Samouhvl: kai; ma'llon
oJ ∆Ezekiva" qei'a gegennhvkei tevkna nou' h[per swvmato" [h[per <ta;> BKV, 60 n. 2], ejk tou'
swmatikou' spevrmato" aujtw/'n gegennhmevnwn [aujtw/' gegennhmevna BKV, 60 n. 2]: ejpi;
plei'ovn te ajpo; nohtw'n ejpiboulw'n rJusqevnte" ejtuvgcanon ∆Esqh;r kai; Mardocai'o" kai;
oJ lao;" h[per ajpo; tou' ∆Ama;n kai; tw'n sumpneovntwn ....... [<aujtw/'. kai; ma'llon ∆Ioudh;q>
BKV, 60 n. 4] tou' diafqei'rai th;n yuch;n aujth'" qevlonto" a[rconto" th;n duvnamin dia-
kekovfei h] [<to;n travcelon> BKV, 60 n. 4] ejkeivnou tou' ∆Olofevrnou. tiv" d∆ oujk a]n oJmo-
loghvsai tw'/ ∆Ananiva/ kai; toi'" su;n aujtw'/ th;n nohth;n eujlogivan fqavnousan ejpi; pavnta" tou;"
aJgivou", eijrhmevnhn uJpo; tou' ∆Isaa;k tw'/ ∆Iakw;b, thvn: dwv/h soi oJ qeo;" ajpo; th'" drovsou tou'
oujranou' (Gn 27, 28), ejpi; plei'on ejggegonevnai h[per th;n swmatikh;n drovson, th;n flovga
nikw'san tou' Naboucodonovsor… ma'llon de; pefivmwnto tw'/ profhvth/ Danih;l oiJ ajovratoi
levonte", oujde;n ejnergh'sai dunavmenoi kata; th'" yuch'" aujtou', h[per oiJ aijsqhtoi;, peri;
w|n pavnte" oiJ ejntugcavnonte" aujth'/ th'/ grafh'/ ejxeilhvfamen. tiv" d∆ ou{tw" ejkpefeuvgei tou'
keceirwmevnou uJpo; tw'/ ∆Ihsou' tw'/ swth'ri hJmw'n khvtou" th;n gastevra, pavnta to;n fugavda
tou' qeou' katapivnonto", wJ" ∆Iwna'" cwrhtiko;" ginovmeno" wJ" a{gio" aJgivou pneuvmato"… Si
noti l’insistenza su termini attinenti l’ambito psicologico-intellettivo (yuchv, nou'", noh-
tov"). de Lubac, 112, cita questa pagina ad esempio di come Origene intenda, «sans rien
enlever à l’histoire, spiritualiser toute l’Écriture à l’usage de l’âme chrétienne». Anche
150 Parte prima, Capitolo quinto
ulteriore intervento ermeneutico, grazie allo schema d’impronta platonica
«dono-ombra» (equiparabile al più noto «verità-immagine»), anche i para-
digmi dell’Antico Testamento sono assimilati al modello della «preghiera
spirituale». Anche se questo esito, in ultima analisi, appare conforme al
rapporto tra Antico e Nuovo Testamento nella visione dell’Alessandrino,
esso non può non implicare qualche tensione rispetto alla nota di radica-
lità insinuata dal prologo con la denuncia dell’insufficienza dei modelli
biblici, ed anche rispetto alla stessa esemplarità della Preghiera del Si-
gnore452 . In ogni caso, nessuno degli esempi veterotestamentari è addotto
da Origene in vista di illustrare più da vicino le modalità dell’atto oran-
te, come egli fa altrove richiamando occasionalmente figure dell’Antico o
del Nuovo Testamento453 . Anziché incidere sulla prassi di preghiera, pre-
figurandone le caratteristiche a titolo di istruzione orientativa, i paradigmi
degli oranti veterotestamentari, come rilevato più volte, sono richiama-
ti dall’Alessandrino a conforto di una prassi che trova comunque la sua
fondazione essenziale in una diversa prospettiva. Semmai la lunga, e in
parte ripetitiva, trattazione su tali personaggi è la dimostrazione di quanto
l’attaccamento alla Bibbia condizioni l’articolarsi del discorso origeniano
sulla preghiera, unitamente ad un certo radicamento «ecclesiale» che in
questa parte del trattato si rivela più manifestamente. Inoltre, nel concre-
to esplicarsi dell’atto della preghiera, proprio la cornice comunitaria che
esso implica per l’Alessandrino anche a livello di orazione individuale, ci
farà ritrovare più avanti la presenza comunionale degli oranti veterote-
stamentari.
––––––––––––––––––
Buchinger, 327-329, ha sottolinea il valore ermeneutico del ricorso ai luoghi veterotesta-
mentari nel senso dell’interpretazione spirituale.
452 La congruenza con il modello origeniano del rapporto Antico-Nuovo Testamen-
to può essere verificata, ad esempio, in alcuni luoghi di CIo. In I, 6-7 (GCS 10,10 ss.) esso
è chiarito in un’ottica che non è esente da polarità: la funzione provvisoria – l’economia
per «figure» originariamente propria della Legge e dei Profeti – è superata dal Vangelo.
Ma questo ha l’effetto di togliere il velo dall’Antico Testamento, quindi ce lo restituisce
non più come «ombra» e «figura» ma come libro dei misteri. D’altra parte, rispetto a
questa visione economico-progressiva, Origene ammette anche nell’Antico Testamento
una venuta «intelligibile» (nohthv ) del Logos per i «più perfetti» (I, 7 [11,27]), cioè per i
santi dell’antica alleanza, sicché la loro condizione di «spirituali» è equiparata alla nuova
condizione dei cristiani, se non addirittura superiore, quando questi «conoscono Cristo sol-
tanto secondo la carne» (II , 3 [56,29 ss.]). Si veda anche un esempio di preghiera «intelli-
gibile» in VI, 18: Mosè non gridava in modo sensibile, ma gridava grandemente attraverso
la preghiera, con una voce che può essere udita solo da Dio (127,14-20 – con riferimento
a Es 14, 15 e Sal 76[77], 2).
453 Come ho segnalato in Perrone 2007, si devono tener presenti non solo il para-
digma di Mosè, ma anche la sposa orante di Ct, nonché i materiali neotestamentari. Al ri-
guardo, più che la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 9-14), Origene valorizza il
modello di Gesù orante.
L’atto della preghiera 151
5. Istruzioni per la preghiera: un atto con l’anima e con il corpo
––––––––––––––––––
461 Cfr. supra, p. 60 e nota 170.
462 Orat VIII, 1 (316, 26-317, 4): ouj battologhtevon ou\n oujde; mikra; aijthtevon oujde;
peri; ejpigeivwn proseuktevon oujde; meta; ojrgh'" kai; tetaragmevnwn logismw'n (cfr. 1Tm 2,
8) ejpi; th;n proseuch;n ejlqetevon, ajll∆ oujde; cwri;" kaqareuvsew" e[stin ejpinoh'sai gino-
mevnhn th'/ proseuch'/ scolhvn (1Cor 7, 5): ajll∆ oujde; ajfevsew" aJmarthmavtwn oi|ovn te tucei'n
to;n eujcovmenon, mh; ajpo; th'" kardiva" (cfr. Mt 18, 35) ajfievnta tw'/ peplhmmelhkovti kai;
suggnwvmh" tucei'n ajxiou'nti ajdelfw'/ (cfr. Mt 6, 12; Lc 11, 4). Origene si soffermerà ampia-
mente su questo punto commentando la quinta petizione del Padrenostro (Orat XXVIII).
463 Orat X, 2 (cfr. infra, nota 559).
464 È lo schema messo in evidenza da Völker (supra, pp. 32-33).
465 Orat XXXI, 1 (395, 13-15. 18-19: dialabei'n eijsagwgikwvteron peri; th'" kata-
stavsew" kai; tou' schvmato", o} dei' e[cein to;n eujcovmenon [...] kai; to; me;n th'" katastav-
sew" eij" th;n yuch;n ejgkataqetevon, to; de; tou' schvmato" eij" to; sw'ma.
154 Parte prima, Capitolo quinto
po466 . Del resto, queste due dimensioni sono già iscritte nel passo biblico
al quale l’Alessandrino ritorna costantemente per impostare la sua rifles-
sione: si tratta di 1Tm 2, 8-9, che ai suoi occhi detta le condizioni essen-
ziali sia per la katavstasi" che per lo sch'ma dell’orante467 . È del tutto con-
forme al primato della natura spirituale dell’essere umano il fatto che Ori-
gene si preoccupi anzitutto di assicurare le corrette condizioni interiori per
l’atto della preghiera, insistendo sulla necessità di «innalzare l’anima»
prima ancora di «levare in alto le mani». Come suggeriscono le formula-
zioni conclusive di Orat XXXI, 2, questa elevazione è resa possibile in
sostanza con il ritrarsi nella solitudine, lo sforzo di una concentrazione
interiore e il distacco dai turbamenti procurati dai «pensieri»; con il ri-
cordo di Dio e la conseguente purificazione da tutto ciò che non è con-
forme a Lui, in uno spirito di perdono e di amore verso tutti468 . Riassunti
––––––––––––––––––
466 L’impiego di katavstasi" (e del verbo kaqivsthmi) per indicare le disposizioni
interiori è già attestato da Orat II, 2 (299, 18), in riferimento a Rm 8, 26: to; de; kaqo; dei' hJ
katavstasi" tou' eujcomevnou. In VIII, 2 (317, 7-10) si richiama il vantaggio spirituale per
chi si dispone a pregare con l’atteggiamento interiore conveniente: w[natov ti oJ pro;" to;
eu[xasqai taqei;" kata; to;n nou'n, di∆ aujth'" th'" ejn tw'/ eu[cesqai katastavsew" qew'/ pari-
stavnai eJauto;n kai; parovnti ejkeivnw/ levgein schmativsa" wJ" ejforw'nti kai; parovnti. La
stessa idea è ribadita da IX, 1 (318, 14-15): makarivan ejk movnh" th'" toiauvth" katastav-
sew" ajpofhvnasqai th;n eij" to; eu[cesqai toiauvthn eJauth;n parasthvsasan. In XIX, 1
(341, 12-14) troviamo lo schema consequenziale «disposizioni (interiori)-atto orante»:
prw'ton dei' katasth'naiv pw" kai; diateqh'nai to;n proseucovmenon ei\q∆ ou{tw" eu[xasqai.
Tuttavia, in XXI, 1 (345, 7-9) il significato di katavstasi" sembra avvicinarsi a quello di
sch'ma: oJ mevntoi battologw'n (cfr. Mt 6, 7) ejn tw'/ eu[cesqai h[dh kai; ejn th'/ ceivroni tw'n
proeirhmevnwn hJmi'n sunagwgikh'/ ejsti katastavsei. Ma la sovrapposizione è evidente so-
prattutto in XXXI, 2 (396, 10-11), dato che qui Origene parla murivwn katastavsewn [...]
tou' swvmato". D’altra parte anche VIII, 2 (supra) suggerisce un’assimilazione semantica
poiché egli si serve con analogo significato di schmativzw (schmativsa" wJ" ejforw'nti kai;
parovnti), sebbene XXIII, 1 (349, 25) precisi la nozione di sch'ma nel senso di figura o
forma esteriore, escludendola in relazione a Dio: ouj perigegravfqai aujto;n schvmati sw-
matikw'/ uJpolhptevon. Si noti infine l’utilizzo dei termini scevsi" e paraskeuhv in IX , 2
(cfr. infra, nota 472).
467 Il rilievo del passo paolino è sottolineato dalla frequenza del suo ricorso (Orat
II , 2; VIII, 1; IX, 1; XXXI, 1.4). Origene lo riporta per esteso, fra gli esempi scritturistici del
kaqo; dei' , in II, 2, soffermandovisi di nuovo ampiamente in IX, 1. La citazione figura an-
che in CIo XXVIII, 5, 36; FrIer 68 e HLv XIII, 5, ma solo Orat unisce 1Tm 2, 9 con il v. 8,
come nota Cocchini 1997b, 114. Ciò si spiega, in primo luogo, con il riferimento alle per-
sone dei due destinatari Ambrogio e Taziana, ma anche come indizio dell’unitarietà del
trattato, in quanto il passo compare nelle sue diverse sezioni. Anche Clemente Alessan-
drino allude a 1Tm 2, 8, ma unicamente per sottolineare l’invito a pregare «in ogni luogo»
(cfr. Strom. VII, 7, 49, 6 [nota 1746] e Le Boulluec 2003, 405).
468 Orat XXXI, 2 (395, 28-396, 10): dokei' toivnun moi to;n mevllonta h{kein ejpi; th;n
eujch;n, ojlivgon uJpostavnta kai; eJauto;n eujtrepivsanta, ejpistrefevsteron kai; eujtonwvte-
ron pro;" to; o{lon genevsqai th'" eujch'": pavnta peirasmo;n [<kai;> pavnta perispasmo;n
BKV, 138 n. 6] kai; logismw'n tarach;n ajpobeblhkovta eJautovn te uJpomnhvsanta kata; to;
dunato;n tou' megevqou", w|/ prosevrcetai, kai; o{ti ajsebev" ejsti touvtw/ cau'non kai; ajneimev-
non proselqei'n kai; wJsperei; katafronou'nta, [<ajll∆> BKV, 139 n. 1] ajpoqevmenon
L’atto della preghiera 155
così gli accenti essenziali nelle due formulazioni più generali ed esplicite,
che in entrambi i casi non intendono essere prescrittive bensì piuttosto
orientative, vediamo adesso come l’Alessandrino si soffermi sui singoli
aspetti che compongono un atto destinato per lui a realizzarsi in autenti-
cità e nella pienezza partecipativa delle sue diverse dimensioni (pro;" to;
o{lon genevsqai th'" eujch'")469 .
––––––––––––––––––
490 Orat IX, 2 (318, 26-31): ejpairovmenoi ga;r oiJ ojfqalmoi; tou' dianohtikou' ajpo;
tou' prosdiatrivbein toi'" ghi?noi" kai; plhrou'sqai fantasiva" th'" ajpo; tw'n uJlikwtevrwn
kai; ejpi; tosou'ton uJyouvmenoi, w{ste kai; uJperkuvptein ta; gennhta; kai; pro;" movnw/ tw'/ ejn-
noei'n to;n qeo;n kajkeivnw/ semnw'" kai; prepovntw" tw'/ ajkouvonti oJmilei'n givnesqai.
491 Sal 122(123), 1 è utilizzato, ad esempio, in CIo XXVIII, 4, 33. Secondo Monaci
Castagno 1997, 132, «il levare gli occhi significa meditare sulla caducità dei beni terreni
per riconoscere quali sono i veri beni». Per HEx II , 1 (156, 1-2), «oculos sursum erigere»
è fra i segni di un’esistenza spirituale vissuta in contrasto con il «mondo».
492 L’importanza di questo motivo nella concezione patristica della preghiera è ap-
profondita da Filoramo (cfr. anche Filoramo 2000).
L’atto della preghiera 161
La dipendenza di Origene da Clemente è evidente nel contenuto co-
me nella costruzione della frase. Tuttavia Clemente non fa riferimento al
«ricordo», né nel caso dell’uomo né relativamente a Dio; in entrambe le
situazioni troviamo piuttosto il motivo della «presenza» (parousiva – oJ
sumparwvn) che è come tale la fonte del miglioramento morale. Origene
invece sostituisce due volte questo motivo con l’idea della «memoria»
(uJpovmnhsi" kai; ajnapovlhsi" – uJpovmnhsi")493. Inoltre, con una visione me-
no apertamente ottimistica di quella clementina, introduce la valenza ini-
bitrice di tale «ricordo», che «spesso ostacola gli impulsi verso il male»494 .
Il «perfetto» di Clemente vive dunque in una condizione di costante pre-
senza di Dio, di cui egli partecipa «con la gnosi, la vita e il ringraziamen-
to». Invece in Origene prevale l’idea del giovamento spirituale, rispetto
alla perfezione vera e propria, e il cammino verso di essa è indicato anche
dal fatto che il «ricordo» è accompagnato dalla «preghiera» (eujchv) 495 .
––––––––––––––––––
493 Egli insiste sull’idea del «rammentare» adoperando anche il termine ajnapovlh-
si", un hapax per l’Alessandrino, con il significato di «ripetizione», «ripasso», «richiamo
alla memoria», «ricordo» (ma anche in Plotino troviamo due occorrenze: Enn. II, 9, 12, 7:
ejlqovnta" eij" ajnavmnhsin movli" ajnapovlhsin labei'n w|n pote ei\don; IV, 6, 3, 59). L’uso
del verbo ajnapolevw, nell’accezione di «richiamare alla mente» (cfr. ad esempio Plotino,
Enn. IV, 3, 27, 20), è attestato da Fr1Cor 84 (206): ejlqe; de; kai; ejp∆ aujth;n th;n tou' ajn-
qrwvpou ajrchvn: ajnapovl <h>son aujtou' th;n ajrchvn. Invece H37Ps I, 1 sfrutta il motivo del-
l’ajnavmnhsi" come «recordatio culpae» (cfr. I, 2 [272, 149-153]: «Dum enim recordamur
iram Dei et ante oculos vultum eius adducimus ex ipsa institutione eius, quae propter hoc
facies irae appellata est, conturbata et exterrita caro infirmatur atque languescit»). La tri-
partizione clementina ta; e[rga kai; tou;" lovgou" kai; th;n diavqesin è ripresa da Origene in
Orat XXI , 1 ([345, 6] e[rga h] lovgou" h] nohvmata); XXII, 4 ([348, 18] pa'n ou\n e[rgon aujtoi'"
kai; lovgo" kai; novhma); e più direttamente in XXVIII, 1 ([376, 1] lovgw/ proshnei' kai; toi'sdev
tisi toi'" e[rgoi", ajlla; kai; diavqesivn tina). Egli tematizza la terna «pensieri, parole e ope-
re», in relazione al peccato ma anche alla buona condotta, in HEx VI, 3 (194, 18-19.27–
195, 1): «triplex est hominibus peccandi via: aut enim in facto aut in dicto aut in cogita-
tione peccatur. [...] Triplex namque est etiam bene agendi via: nihilominus enim vel opere
vel cogitatione vel verbo boni aliquid agitur» (cfr. anche l’ampio sviluppo in HEx III, 3 in
relazione al «cammino di tre giorni nel deserto» in Es 3, 18; nonché l’«esame di coscien-
za» suggerito da HLc XXXVI, 2 [infra, nota 653]). In HLc VIII, 4 (49, 2-6), a commento di
Lc 1, 46 («L’anima mia magnifica il Signore»), il motivo è collegato all’attuazione del-
l’«immagine di Dio»: ”Otan ou\n megavlhn poihvsw th;n eijkovna tou' eijkovno", levgw de; auj-
th;n th;n yuchvn, megaluvnwn lovgoi", e[rgoi", nohvmasin, tovte megaluvnein levgetai.
494 CRm VI, 1 (457, 38-45) suggerisce un analogo «esercizio spirituale» in rapporto
alla visione della croce: «Est enim tanta vis crucis Christi, ut si ante oculos ponatur, et in
mente fideliter retineatur, ita ut in ipsam mortem Christi intentus oculus mentis aspiciat,
nulla concupiscentia, nulla libido, nullus furor, nulla peccati superare possit invidia, sed
continuo, ad eius praesentiam totus ille quem supra enumeravimus peccati et carnis fuga-
tur exercitus, ipsum vero peccatum nec subsistit, quippe cum nec substantia eius usquam
sit nisi in opere et gestis».
495 Il diverso iter argomentativo è messo in luce da Le Boulluec 2003, 398: «Ainsi
la comparaison entre le bénéfice reçu de la fréquentation d’un homme de bien et l’amélio-
ration produite par la conviction de l’orant d’être toujours en présence de Dieu est-elle in-
162 Parte prima, Capitolo quinto
L’enfasi di Origene sul beneficio prodotto dal «ricordo» di Dio, pur
caratterizzata da un accento meno «trionfalistico» di Clemente, sembra
assecondare l’ajnacwvrhsi" sensoriale non nel senso di pervenire sempli-
cemente ad uno spogliarsi di sensazioni ed immagini esteriori bensì con
l’intento di sostituirle positivamente tramite un nuovo ordine di «immagi-
nazioni» e «ricordi»496 . Sarebbe insomma un errore pensare a questo mo-
mento dell’atto orante come ad un procedimento puramente noetico: se è
chiaro che l’autentica preghiera è chiamata a compiere anche un’operazio-
ne intellettiva, in quanto deve realizzare nell’orante il giusto «concetto di
Dio» (come Origene raccomanda specialmente, allorché spiega la «santi-
ficazione del nome» divino nella prima domanda del Padrenostro), l’azio-
ne di ricordare implica necessariamente anche lo sforzo dell’«immagina-
zione». Nella visuale di Origene ciò determina il riconoscimento del-
l’opera dei «sensi spirituali» coinvolti anch’essi nella conoscenza di Dio,
di cui egli tratta ampiamente nel Commento al Cantico dei Cantici497 . Per
––––––––––––––––––
sérée par Clément dans une définition de la prière qui aboutit à la célébration de l’intimité
gnostique avec Dieu (Strom. VII, 7, 35, 37). Le même thème est introduit par Origène,
Orat. VII, 2, sous la forme d’un argument secondaire en faveur de la prière: [...] dans le
cas où la démonstration théorique ne serait pas décisive, c’est-à-dire “si, par hypothèse,
celui qui dispose sa pensée pour prier ne retirait aucun autre avantage” que celui de se
mettre en présence de Dieu, l’aide apportée par cette disposition est présentée comme un
avantage inestimable pour détourner du mal et orienter vers le bien; c’est donc un nouveau
doute, portant sur la validité des conclusions de l’intelligence à propos d’une réalité qui
est fondamentalement mystérieuse, qui motive la reprise de l’exemple exploité auparavant
par Clément avec la certitude la plus sereine».
496 Al nesso fra «ricordo» (uJpovmnhsi") e «immaginazione» (fantasiva) Origene ri-
manda immediatamente prima del passo citato, sia pure sotto un aspetto negativo, per con-
trastarlo in positivo. Cfr. Orat VIII, 2, (317, 10-16): w{sper ga;r aiJ toiaivde fantasivai kai;
uJpomnhvsei" tw'ndev tinwn peri; ta;, w|n gegovnasin aiJ uJpomnhvsei", moluvnousi tou;" logi-
smou;" tou;" ejn tai'sde tai'" fantasivai" gegenhmevnou", to;n aujto;n trovpon peistevon ojnh-
sifovron ei\nai mnhvmhn pepisteumevnou tou' qeou' kai; katanoou'nto" ta; ejn tw'/ ajduvtw/ th'"
yuch'" kinhvmata, rJuqmizouvsh" eJauth;n ajrevskein wJ" parovnti kai; ejpopteuvonti kai; fqav-
nonti ejpi; pavnta nou'n tw'/ ejtavzonti kardiva" kai; ejreunw'nti nefrouv". Monaci Castagno
1997, 131 è portata a riconoscere a «fantasie» e «ricordi» un ruolo tendenzialmente nega-
tivo: «si tratta di eliminare le “fantasie”, i “ricordi” delle cose che le hanno suscitate e che
contaminano i pensieri. [...] Ai turbamenti ed alle distrazioni dell’esteriorità, ad un atteg-
giamento rilassato e molle, bisogna sostituire un’attenta sorveglianza di noi stessi».
497 Sul coinvolgimento del corpo e dei «sensi spirituali», con particolare riferi-
mento a CC II, 51 (infra, nota 1441), insiste Fédou, 361-362: «La prière est fondamenta-
lement spirituelle: détachement du sensible, exode intérieur, quête des bienfaits qui rassa-
sient l’âme et l’acheminent vers le bonheur divin. Non que le corps soit absent; il est le
“temple de Dieu”, et l’on se rappelle en outre l’expression significative de II, 51. [...] Sur-
tout, le chrétien en prière n’a pas seulement “fermé l’entrée des sens” mais “donné l’éveil
aux yeux de l’âme”: la faculté des sens spirituels, auxquels Origène consacre de précieux
développements, atteste la présence du corps jusque dans le mouvement de l’esprit. Mais
c’est celui-ci qui est avant tout souligné et qui, pour le chrétien, définit l’acte de la prière
dans son essence même». Per HLv VII, 4 (384, 2-3) la preghiera di Pietro in At 10, 9 si
L’atto della preghiera 163
tale ragione, anche l’applicazione di questo «esercizio spirituale» sulla
scorta di 1Tm 2, 9, con l’invito rivolto alle donne che si accingono alla
preghiera perché allontanino da sé «ogni ricordo incontrollato e femmini-
le», non può non fare i conti con l’immagine della sponsa del Cantico de-
scritta da Origene come un’orante impaziente, perché in preda alla sua
passione amorosa per lo sponsus assente498 . In aggiunta a ciò, la «memo-
ria» che predispone alla preghiera viene alimentata dalla consapevolezza
riconoscente dei benefici ottenuti da Dio499 , anche se, in ultima analisi, il
«ricordo di Dio» va aldilà dell’aspetto «immaginativo» acquistando una
profondità metafisica che sembra richiamare l’anamnesi platonica500 .
L’ultimo aspetto che Origene si preoccupa di mettere in luce nel de-
lineare le disposizioni interiori preparatorie all’atto orante è una sorta di
corollario del processo di astrazione sensoriale e di dinamica commemo-
rativa descritto in precedenza: in sostanza, è l’idea della «tensione» spiri-
tuale che deve conformare lo stato d’animo di chi si accinge alla preghie-
ra e assicurare la piena performance dell’atto orante. L’Alessandrino vi
ritorna sopra più volte adoperando formulazioni più o meno analoghe, sia
pure calibrandole in maniera diversa. Notiamo la raccomandazione ad
uno «stacco» (ojlivgon uJpostavnta), premessa indispensabile prima di vol-
––––––––––––––––––
compie con il corpo, l’anima e lo spirito: «Nondum tibi videtur Petrus ad superiora non
solum corpore, sed et mente ac spiritu conscendisse?».
498 Si confronti Orat IX, 1 ([318, 7-13] th;n gunai'ka crh; e[cein mavlista eujcomevnhn
to; katestalmevnon kai; to; kovsmion yuch'/ kai; swvmati, pavntwn ma'llon ejxairevtw" kai;
o{te eu[cetai aijdoumevnhn to;n qeo;n kai; pa'san ajkovlaston kai; gunaikeivan uJpovmnhsin
ejxorivsasan ajpo; tou' hJgemonikou' kai; kekosmhmevnhn oujk ejn plevgmasi kai; crusw'/ h]
margarivtai" h] iJmatismw'/ polutelei' [1Tm 2, 9] ajll∆ oi|" prevpon ejsti; kekosmh'sqai gu-
nai'ka qeosevbeian ejpaggellomevnhn) con CCt I, 1, 3 ([89, 13-20] «Introducatur ergo nunc
per historiae speciem sponsa quaedam, quae susceperit quaedam sponsaliorum et dotis
titulo dignissima munera ab sponso nobilissimo, sed plurimo tempore moram faciente
sponso, sollicitari eam desiderio amoris eius, et confici iacentem domi suae, et agentem
omnia, quatenus possit aliquando videre sponsum suum atque osculis eius perfrui. Quae,
quoniam differri amorem suum nec adipisci se posse quod desiderat, videt, convertat se
ad orationem et supplicet Deo, sciens eum Patrem esse sponsi sui»). Davanti alla figura
della sponsa è difficile prendere interamente per buono il commento su Orat IX, 1 di Ges-
sel, 195: «Das Pathos, die leidenschaftliche Erregung wird aus der Seele getilgt. Damit
der Geist nicht getrübt wird, muß man ja alles, was außerhalb des Gebetes zu der Zeit
liegt, in der man betet, vergessen».
499 Orat XIII, 3 (327, 4-6): o{sa de; kai; e{kasto" hJmw'n, eja;n eujcarivstw" memnhmev-
no" tw'n eij" auJto;n eujergesiw'n peri; touvtwn ai[nou" ajnapevmpein tw'/ qew'/ bouvlhtai, e[cei
ejkdihghvsasqai…
500 Cfr. Orat XXIV, 3 (355, 6-8: pa'" te [de; BKV, 84 n. 2] tranw'n kai; ta; peri; tou'
qeou' uJpomimnhvsketai ma'llon h] manqavnei, ka]n ajpov tino" ajkouvein dokh'/ h] euJrivskein
nomivzh/ ta; th'" qeosebeiva" musthvria). Sembra un punto di vista in parte affine a quello ri-
chiamato da Fowden, 104 in riferimento a C.H. XIII, 2: «the mysteries of the spirit “are not
taught, but we are reminded of them by God, when he wishes”».
164 Parte prima, Capitolo quinto
gersi a pregare e, in un certo senso, sua «fondazione»501 . Ciò deve con-
correre a rendere l’orante «più attento e più teso» (ejpistrefevsteron kai;
eujtonwvteron) in modo che egli partecipi totalmente dell’atto che si ac-
cinge a compiere, rigettando ogni elemento «estraneo» (pavnta ta; ajllov-
tria) 502 . Mai come in questi passi la descrizione origeniana dell’atto oran-
te tende ad avvicinarsi alla descrizione della performance teatrale di un
attore, vissuta con tutta la serietà che il suo ruolo richiede503. Per quanto
a prima vista sorprendente, l’analogia trova riscontro – come vedremo in
seguito (Orat XXVIII, 3) – dalla scena sulla quale l’atto orante è chiama-
to a svolgersi.
––––––––––––––––––
501 Orat XXXI , 2 (395, 28-30): to;n mevllonta h{kein ejpi; th;n eujch;n, ojlivgon uJpo-
stavnta kai; eJauto;n eujtrepivsanta, ejpistrefevsteron kai; eujtonwvteron pro;" to; o{lon ge-
nevsqai th'" eujch'". Tradurre uJpostavnta non è facile; si veda, ad esempio Jay, 208: «if he
lays something of a foundation and prepares himself». Quanto al termine eujtrepivsanta,
si veda XX, 2 (344, 18-19), dove Origene oppone la performance della preghiera a quella
dell’attore: ejn tw'/ panto;" tou' proeirhmevnou qeavtrou kaq∆ uJperbolh;n meivzoni eJauto;n
ajrevskein eujtrepivzwn.
502 A differenza del verbo ejpistrevfw, l’aggettivo ejpistrefhv" è poco adoperato da
Origene (si veda comunque CC IV, 53 [326, 13-17]): Kai; tiv" a]n a[llo" lovgo" ejpistrefev-
steron prosavgoi th;n ajnqrwpivnhn fuvsin tw'/ eu\ zh'n wJ" hJ pivsti" h] hJ diavlhyi" peri; tou'
pavnt∆ ejfora'n to;n ejpi; pa'si qeo;n ta; uJf∆ hJmw'n legovmena kai; prattovmena ajlla; kai; logi-
zovmena…). Molto più frequente è invece l’uso dell’aggettivo eu[tono" (anche al compara-
tivo e al superlativo), come pure dell’avverbio eujtovnw" e del sostantivo eujtoniva. L’Ales-
sandrino adopera volentieri questo gruppo di vocaboli in CC, per sottolineare la serietà
della vita dei cristiani e la loro prontezza al martirio (si veda, ad esempio, CC III, 68 [260,
26-30]: tou;" lovgou" qewrw'men, ajqrovw" protrevponta" plhvqh ejpi; to;n ejx ajkolavstwn eij"
to;n eujstaqevstaton bivon kai; to;n ejx ajdivkwn eij" to;n crhstovteron kai; to;n ejk deilw'n h]
ajnavndrwn eij" to;n ejpi; tosou'ton eu[tonon, wJ" kai; qanavtou dia; th;n fanei'san aujtoi'" euj-
sevbeian katafronei'n).
503 Orat XXXI, 2 (395, 30-396, 2): pavnta peirasmo;n [<kai;> pavnta perispasmo;n
BKV, 138 n. 6] kai; logismw'n tarach;n ajpobeblhkovta eJautovn te uJpomnhvsanta kata; to;
dunato;n tou' megevqou", w|/ prosevrcetai, kai; o{ti ajsebev" ejsti touvtw/ cau'non kai; ajneimev-
non proselqei'n kai; wJsperei; katafronou'nta, [<ajll∆> BKV, 139 n. 1] ajpoqevmenon
pavnta ta; ajllovtria. Jay, 210 – alludendo evidentemente a cavskw ovvero caivnw (cfr.
LSJ, 1981 s.v.) in XX, 2 ([344, 22] mhde; peri; ta; e[xw kechnw;" ) – traduce cau'non ktl. con
«and that it is impious to draw nigh thereto yawning, and careless, and, as it were, con-
temptuous». All’aggettivo cau'no", «vuoto», «frivolo», attestato nel linguaggio filosofico,
si accompagna il sostantivo cauvnwsi" (cfr. HIer XX, 3 [181, 26-27]: periairei' th;n ajpai-
deusivan kai; th;n cauvnwsin). Sull’associazione orante-attore si veda Lugaresi 2003b; Lu-
garesi 2008, 516-518). Se in Orat l’immagine dell’attore implica anche un risvolto posi-
tivo, CMtS 24 (39, 26-29) ne evidenzia la finzione: «Et quemadmodum est in mimis, qui
personas suscipiunt aliquorum et non sunt ipsi quos simulant sed videntur, sic qui iusti-
tiam simulat simulata iustitia eius non est iustitia sed videtur». La coppia cau'non kai; ajnei-
mevnon ritorna in FrPs 3, 6 (PG 12, 1128A) a proposito del sonno spirituale del peccatore:
boulovmeno" parasth'sai to; cau'non kai; ajneimevnon tw'n aJmartwlw'n.
L’atto della preghiera 165
8. Il ruolo del corpo come immagine dell’anima
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moi ajnagkaivw" eijrh'sqai faivnetai, tovpon eujch'" ejxetavzonti kai; to; ejxaivreton wJ" ejn
tovpw/ paristavnti ejpi; th'" tw'n aJgivwn kai; eujlabevsteron ejpi; to; aujto; th'/ ejkklhsiva/ ginomev-
nwn suneleuvsew", «Queste cose mi è parso necessario di dire, trattando del luogo della
preghiera e mostrando la particolare efficacia che ha la preghiera in quel luogo dove si
riuniscono in assemblea i santi con la dovuta pietà» (Antoniono, 185). Il passo mette nuo-
vamente alla prova i traduttori che oscillano fra il riconoscimento dei “vantaggi” propri
del luogo di culto della comunità o l’affermazione della sua eccellenza. Optando per la
prima idea, Koetschau, 144 rende: «Vorzüge, welche – soweit es den Ort betrifft – die
Zusammenkunft der frommen und gottesfürchtig sich an derselben Stelle mit der Ge-
meinde versammelnden Christen mit sich bringt». Invece Jay, 215 vi legge una chiara in-
dicazione di preferenza: «These things I think it has been necessary to say in considering
the place of prayer, and suggesting that it is preferable in the place where the saints also
come together, who with due piety gather together with the Church». Oulton, 327 parla
apertamente di «the superiority of the place where the saints meet when they assemble
devoutly together in church».
542 Orat XXXI, 5 (398, 14-19): “Ecei dev ti ejpivcari eij" wjfevleian tovpo" eujch'", to;
cwrivon th'" ejpi; to; aujto; tw'n pisteuovntwn suneleuvsew", wJ" eijko;" kai; ajggelikw'n dunav-
mewn ejfistamevnwn toi'" ajqroivsmasi tw'n pisteuovntwn kai; aujtou' tou' kurivou kai; sw-
th'ro" hJmw'n dunavmew" (cfr. 1Cor 5, 4) h[dh de; kai; pneumavtwn aJgivwn, oi\mai de; o{ti kai;
prokekoimhmevnwn, safe;" de; o{ti kai; ejn tw'/ bivw/ periovntwn, eij kai; to; pw'" oujk eujcere;"
eijpei'n. L’espressione ejpivcari, «piacevole», è un hapax legomenon in Origene, diversa-
mente dall’uso assai frequente di carivei" e carievntw", specialmente per qualificare risul-
tati esegetici. Si deve forse intendere qui la parola nel significato di una testimonianza pa-
piracea (PStud. Pal. 22.58.5, II-III secolo), cioè come «compenso aggiuntivo» (cfr. Mon-
tanari, 831 s.v.)? Jay, 213 traduce: «But a place of prayer possesses something of joy in
addition to the benefit it bestows». Quanto al termine sunevleusi" per l’assemblea eccle-
siale, è utilizzato solo in Orat (XXXI , 5. 7). A parere di Schütz, 138, «wimmelt der ganze
Abschnitt von gottesdienstlichen Bezeichnungen: sunevleusi", ajqroivsmata tw'n pisteu-
ovntwn, duvnami" tou' Kurivou, pleiovnwn sunelhluqovtwn». Tuttavia, la caratterizzazione
liturgica della preghiera comunitaria – come mostrano gli esempi addotti – non è legata ad
una terminologia definita (Markschies 2007a, 166-167). Per l’uso dell’espressione
a[qroisma in riferimento alla fisionomia sociologicamente condizionata della chiesa, cfr.
Orat XXXI, 7 (400, 13) e Sgherri 2000, 72.
543 Orat XXXI , 5 (399, 11-13): diovper ouj katafronhtevon tw'n ejn aujtai'" [scil.
ejkklhsivai"] eujcw'n, wJ" ejxaivretovn ti ejcousw'n tw'/ gnhsivw" sunercomevnw/ aujtw'n.
L’atto della preghiera 179
ghiera individuale di Tobi e Sara e la preghiera della comunità riunita, non
si deve pensare ad una differenza qualitativa tra le due forme544 .
Di certo, come effetto finale, la preghiera in comune dei fedeli pos-
siede, per così dire, un’efficacia quantitativa, ma la dinamica che è posta
in atto nella preghiera di un individuo non è fondamentalmente diversa.
Secondo quanto attesta il passo parallelo di Orat XI, la persona che prega
«in maniera autentica» (gnhsivw")545 , sperimenta ugualmente la mediazio-
ne del Signore in quanto «sommo sacerdote» non meno che la collabora-
zione degli angeli e dei santi (sia defunti che viventi) alla sua preghiera546 .
Pertanto, sia la preghiera individuale che la preghiera comunitaria vengo-
no a situarsi nell’orizzonte della communio sanctorum. Sebbene Origene
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544 Oltre a Tb 12, 12 (kai; nu'n o{te proseuvxw su; kai; hJ nuvmfh sou Sarra [pro-
seuvxw kai; Sarra S], ejgw; proshvgagon to; mnhmovsunon th'" proseuch'" uJmw'n ejnwvpion
tou' aJgivou [ejnwvpion th'" dovxh" kurivou S]), Koetschau rimanda a Tb 3, 16-17 (Kai; eijsh-
kouvsqh [ejn aujtw/' tw/' kairw/' eijshkouvsqh S] hJ proseuch; ajmfotevrwn ejnwvpion th'" dovxh"
tou' megavlou Rafahl, kai; ajpestavlh ijavsasqai tou;" duvo, tou' Twbit lepivsai ta; leukwv-
mata kai; Savrran th;n tou' Ragouhl dou'nai Twbia tw/' uiJw/' Twbit gunai'ka). Per Jay, 214,
nota 1, l’argomentazione di Origene suscita difficoltà: «Origen’s argument seems to me
that as Sarah shared the benefits of the angel’s ministry by virtue of her kinship with To-
bit, it may be expected that those who are made one family in Christ will enjoy an even
greater ministry of angels. There is no hint in the LXX of Tobit of Sarah’s prayers being
brought by Raphael before God in virtue of her kinship with Tobit». Ma qui non si tratta
della “parentela” di Sara, bensì di una preghiera “concorde” (Tb 3, 16: «la preghiera di
tutti e due»), che avviene «nello stesso giorno» (Tb 3, 7; cfr. anche 3, 10) e viene esaudita
«in quel medesimo momento» (Tb 3, 16 S) (si veda infra, nota 546). Origene commenta
peraltro questa espressione in Orat XI, 5 (324, 3-5), dove si dice di Dio: aJrmonivw" suna-
gagovnto" para; to;n kairo;n th'" eujch'" to;n uJphrevthn ejsovmenon tw'/ deomevnw/ th'" eujpoii?a"
th'" ajp∆ aujtou' eijsakouvonta, tw'/ pistw'" dedehmevnw/. Ciò che importa è dunque la preghiera
contemporanea dei due (Tobi: Tb 3, 2-6; Sara: Tb 3, 7-17). Si ricordi che secondo Orat
XIV , 4 la preghiera di Tobi rappresenta uno dei paradigmi biblici della proseuchv (cfr.
supra, p. 144).
545 Questo avverbio prediletto (48 occorrenze in totale) ricorre sei volte in Orat, tre
delle quali concernono la preghiera comunitaria (Orat XXXI, 5-6).
546 Orat XI, 1 (321, 15-26): Ouj movno" de; oJ ajrciereu;" toi'" gnhsivw" eujcomevnoi"
suneuvcetai ajlla; kai; oiJ ejn oujranw'/ caivronte" a[ggeloi ejpi; eJni; aJmartwlw'/ metanoou'nti
h] ejpi; ejnenhvkonta ejnneva dikaivoi", oi} ouj creivan e[cousi metanoiva" (Lc 15, 7), ai{ te tw'n
prokekoimhmevnwn aJgivwn yucaiv. a{tina dhlou'tai, ÔRafah;l me;n prosfevronto" peri; Tw-
bh;t kai; SavrjrJa" logikh;n iJerourgivan tw'/ qew'/ – meta; ga;r th;n eujch;n ajmfotevrwn eijshkouv-
sqh, fhsi;n hJ grafh;, proseuch; ajmfotevrwn ejnwvpion th'" dovxh" tou' megavlou ÔRafah;l,
kai; ajpestavlh ijavsasqai tou;" duvo (Tb 3, 16-17): kai; aujto;" de; oJ ÔRafah;l, fanerw'n eJau-
tou' wJ" ajggevlou th;n kata; provstagma tou' qeou' pro;" ajmfotevrou" oijkonomivan, fhsiv: kai;
nu'n o{te proshuvxw su; kai; hJ nuvmfh sou SavrjrJa, ejgw; proshvgagon to; mnhmovsunon th'"
proseuch'" uJmw'n ejnwvpion tou' aJgivou (Tb 12, 12), kai; met∆ ojlivga: ejgwv eijmi ÔRafah;l, ei|"
tw'n eJpta; ajggevlwn, oi} prosanafevrousi <ta;" proseuca;" tw'n aJgivwn> kai; eijsporeuvon-
tai ejnwvpion th'" dovxh" tou' aJgivou (Tb 12, 15). Si noti qui il ricorso dell’hapax legomenon
iJerourgiva, termine invece assai frequente, ad esempio, in un Filone Alessandrino. Il con-
corso degli esseri angelici alla preghiera può esser messo in luce a partire dal giudaismo
del Secondo Tempio, come mostra appunto Tb 12, 12 (cfr. Chazon-Bernstein, 10).
180 Parte prima, Capitolo quinto
non sembri aver sviscerato appieno tale dottrina, la si deve presupporre in
ogni caso quale contesto ravvicinato dell’atto orante547. Nel nostro passo
l’Alessandrino l’afferma con molta nettezza in chiave ecclesiologica,
grazie all’idea di una «duplice chiesa»: quella degli uomini e quella degli
angeli548 . Ad essa fa da pendant, per converso, quella composta da uomini
e diavoli, là dove la comunità non sia connotata dalla santità dei suoi
membri e sia perciò abbandonata dall’ejpiskophv di Dio, ch’egli le assicura
per il tramite dei suoi angeli549. D’altra parte, la chiesa celeste (o invisibi-
le) non è limitata ai soli angeli, poiché anche i santi defunti fanno parte di
essa. Inoltre, la sua realtà si estende alla comunità empirica, nella misura
in cui la chiesa terrena è composta anch’essa di santi. In tal modo Orige-
ne, basandosi su una serie di riferimenti scritturistici, argomenta via via i
seguenti punti: 1. la cooperazione degli angeli; 2. la presenza del Signore
nella sua «forza» (duvnami"); 3. il concorso dei santi viventi (accanto a
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547 Cfr. ad esempio HLv IV, 3-4, dove troviamo espressa l’idea di una comunione
del fedele con Padre, Figlio e Spirito nonché con i santi sulla terra e in cielo. Secondo
Gessel, 198, l’Alessandrino si sarebbe limitato ad accennarla in maniera occasionale. Si
veda però HLv VII , 1; HNm XXVI, 6 (253, 26-27).
548 Orat XXXI, 5 (398, 24-28): eijkov" ejsti, pleiovnwn sunelhluqovtwn gnhsivw" eij"
dovxan Cristou', parembalei'n to;n eJkavstou a[ggelon [to;n] kuvklw/ [eJkavstou] tw'n fobou-
mevnwn (Sal 33[34], 8) meta; touvtou tou' ajndro;", o}n frourei'n kai; oijkonomei'n pepivsteu-
tai: w{st∆ ei\nai ejpi; tw'n aJgivwn sunaqroizomevnwn diplh'n ejkklhsivan, th;n me;n ajnqrwvpwn
th;n de; ajggevlwn (per le due espunzioni cfr. BKV, 142 n. 3). Ritroviamo la stessa formu-
lazione, in termini ancor più espliciti, in HLc XXIII , 8-9 (146, 15-147, 4): «Ego non am-
bigo et in coetu nostro adesse angelos, non solum generaliter omni ecclesiae, sed etiam
singillatim, de quibus Salvator ait: angeli eorum semper vident faciem Patris mei, qui in
caelis est (Mt 18, 10). Duplex hic adest ecclesia, una hominum, altera angelorum. Si quid
iuxta rationem et iuxta scripturarum dicimus voluntatem, laetantur angeli et orant nobi-
scum. Et quia praesentes angeli sunt in ecclesia, in illa dumtaxat, quae meretur et Christi
est, propterea orantibus feminis praecipitur, ut habeant super caput velamen propter ange-
los (1Cor 11, 10). Quosnam angelos? Utique illos, qui assistunt sanctis et laetantur in ec-
clesia, quos quidem nos, quia peccatorum sordibus oculi nostri obliti sunt, non videmus,
sed vident apostoli Iesu, ad quos loquitur: Amen, amen, dico vobis, videbitis caelum aper-
tum et angelos Dei adscendentes et descendentes super filium hominis (Gv 1, 51). Quod si
haberem hanc gratiam, ut quomodo apostoli sic viderem et sicut Paulus adspexit intuerer,
cernerem nunc multitudinem angelorum, quos videbat Helisaeus et Giezi, qui cum eo
steterat, non videbat». Cfr. anche CC VIII, 34 (nota 568).
549 Orat XXXI , 6 (400, 2-4): tavca ga;r ajnti; th'" proeirhmevnh" diplh'" suntavxew"
ajnqrwvpwn aJgivwn kai; makarivwn ajggevlwn pavlin diplh' givnetai ejpi; to; aujto; suvnodo"
ajnqrwvpwn ajsebw'n kai; ponhrw'n ajggevlwn. Quando la comunità cristiana decade dalla sua
vocazione spirituale, è destinata ad essere privata anch’essa dell’ejpiskophv divina allo
stesso modo delle genti di Gerusalemme e della Giudea (XXXI , 7), come Origene ribadisce
con l’ausilio di Is 1,12. 15 («Quando venite a presentarvi a me [...] quando stendete le
mani, io distolgo gli occhi da voi, anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto») e di
Sal 25(26), 4 («Non mi posi a sedere nell’adunanza degli uomini fatui e non praticai gli
uomini malvagi. Odio l’assemblea degli empi e non mi seggo con i malvagi»). Sul motivo
dell’ejpiskophv nello spazio dell’orante individuale, cfr. supra, p. 171, nota 525.
L’atto della preghiera 181
quello assicurato dai santi defunti)550 . In queste riflessioni troviamo così
riassunti diversi aspetti introdotti dall’Alessandrino nella prima sezione
per illustrare l’atto orante nelle sue caratteristiche strutturali. Anche in
tale luce esso ci si disvela per essenza come un atto di comunione.
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585 Orat IX, 2 (319, 4-8): kai; hJ yuch; de; ejpairomevnh kai; tw'/ pneuvmati eJpomevnh tou'
te swvmato" cwrizomevnh kai; ouj movnon eJpomevnh tw'/ pneuvmati ajlla; kai; ejn aujtw'/ ginomev-
nh, o{per dhlou'tai ejk tou': pro;" se; h\ra th;n yuchvn mou (Sal 24[25], 1), pw'" oujci; h[dh ajpo-
tiqemevnh to; ei\nai yuch; pneumatikh; givnetai… La formulazione colpisce anche per l’inu-
suale cura del crescendo retorico. Si veda anche il parallelo di HNm XXIII, 5 (218, 3-8):
«Anima enim cum totam se sociaverit Domino et in splendorem lucis eius tota concesserit
nihilque omnino terrenum cogitat, nihil mundanum requirit nec hominibus placere studet,
sed totam se sapientiae lumini, totam calori sancti Spiritus mancipaverit subtilis et spirita-
lis effecta, quomodo cerni ab hominibus aut humanis potest conspectibus apprehendi?».
586 Sulla distinzione fra «spirito dell’uomo» e «Spirito di Dio» si veda CMt XIII, 2.
Cfr. anche Beyer Moser, 67.
587 Beyer Moser, 63: «Spirit, in its role as guide, or governor, of the soul, bears
some similarity to the Stoic hJgemonikovn, although it is not a direct translation of the con-
cept. The Stoic hJgemonikovn, like Origen’s idea of spirit-conscience, rules over the soul».
588 Beyer Moser, 65: «The blessed soul, which has thus joined itself to its spirit, is
enlarged so that God’s own Word and Spirit come to dwell within». Cfr. anche HGn I, 15,
dove Origene approfondisce l’unione dell’«anima» con lo «spirito» in rapporto a Gn 1, 27
(«Li fece maschio e femmina»).
CAPITOLO SESTO
Conforme alla sua prassi abituale di esegeta che valorizza il testo sa-
cro fin nei minimi particolari, Origene sviluppa la spiegazione della «Pre-
ghiera del Signore» parola per parola, a partire dalla più ampia redazione
matteana, ma tenendo presente di seguito anche quella lucana. Lo scrupolo
filologico dell’interprete è particolarmente evidente nella discussione ri-
guardo alle due versioni del Padrenostro, riportate entrambe in apertura
(Orat XVIII, 1) – ove Origene propende per l’ipotesi di preghiere distinte,
sia pure con elementi comuni ad entrambe, in ragione dei loro contesti di-
versi (Orat XVIII, 2-3)605 –, come pure nell’esame approfondito dell’hapax
neotestamentario ejpiouvsio", che dà luogo a due interpretazioni diversa-
––––––––––––––––––
605 La quaestio sollevata dalla diversità dei due testi è risolta assai rapidamente, in
ragione dell’evidente affinità che li accomuna (e forse anche della particolare “economia”
letteraria di Orat). Ciò non toglie che il metodo zetetico venga messo in luce sia dall’enun-
ciazione del problema (Orat XVIII, 2 [340, 10-12]: kai; pro; pavntwn ge parathrhtevon o{ti
oJ Matqai'o" kai; oJ Louka'" dovxaien a]n toi'" polloi'" th;n aujth;n ajnagegrafevnai uJpote-
tupwmevnhn pro;" to; dei'n ou{tw" proseuvcesqai proseuchvn) che dalla sua soluzione (XVIII,
3 [340, 25]: lektevon de; pro;" tou;" ou{tw" uJpolambavnonta"). Origene risponde, in primo
luogo, che le due versioni posseggono sì tratti comuni, ma anche aspetti diversi; in secon-
do luogo, esse risultano pronunciate in contesti differenti: come parte del Discorso della
montagna in Matteo (richiamato con la citazione di Mt 5, 1-2) e dietro richiesta di un di-
scepolo, che aveva visto Gesù pregare, in Luca (Lc 11, 1: «Signore, insegnaci a pregare,
come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli»). Se ciò sembra rafforzare l’aporia,
prelude in realtà alla prima ipotesi di spiegazione: identico è il significato della preghiera,
recitata semplicemente da Gesù in contesti diversi, supponendo che il discepolo di Lc 11,
1 non fosse stato presente alla prima occasione. Ma subito Origene si chiede se non sia
meglio supporre due preghiere diverse con tratti comuni (XVIII, 3 [341, 8-9]: mhv pote de;
bevltion h\/ diafovrou" nomivzesqai ta;" proseuca;", koinav tina ejcouvsa" mevrh). La soluzio-
ne qualificata più positivamente, sia pure in via ipotetica, risponde al metodo di quaestio
et responsio (cfr. Perrone 1994c). Del resto, più volte, nel corso del trattato, Origene pro-
cede in forma di quaestio, cioè formulando un problema con un ventaglio di possibili
spiegazioni (cfr. ad esempio l’esegesi della prima petizione in Orat XXIV, 1; o la discus-
sione sull’espressione «come in cielo così in terra» in XXVI , 3 ss.). Si noti ancora la di-
stinzione fra imperativo e ottativo, a proposito della formulazione delle prime tre doman-
de, in Orat XXIV, 5 (356, 9-10), in polemica con l’interpretazione di Taziano per cui Dio
wJ" eujxamevnou ma'llon h[per prostavxanto" genhqh'nai to; fw'". Non manca nemmeno
l’attenzione alla specificità ebraica del greco biblico, come mostra la distinzione fra «es-
sere tribolati» (qlivbesqai) e «essere oppressi» (stenocwrei'sqai), in rapporto rispettiva-
mente a situazioni derivanti da condizionamento esterno o da libera scelta (Orat XXX, 1
[393, 18-20]): la formula qui adoperata (katav ti pavtrion par∆ ÔEbraivoi") è indizio dei
contatti con l’esegesi giudaica.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 201
mente calibrate (Orat XXVII, 7-13). Anche per questi aspetti del suo com-
mento Origene si è guadagnato l’ammirazione dei lettori ed un rispetto
avvertibile perfino negli esegeti contemporanei, benché ovviamente non
siano sempre disposti ad accoglierne le conclusioni606. Ciò vale in prima
istanza per la spiegazione avanzata a proposito della versione più concisa
di Luca, che secondo l’Alessandrino sarebbe dovuta al fatto di essere
destinata ad un discepolo, cioè ad una persona spiritualmente più matura,
mentre in Matteo il Padrenostro è proposto da Gesù alle folle, che come
tali sono «bisognose di un ammaestramento più perspicuo». Orat accenna
a questa ipotesi solo a conclusione del commento, onde motivare così
l’assenza della “settima petizione” matteana in Luca, mentre nell’esegesi
diretta del testo lucano tramandataci dalle catene Origene l’illustra più
diffusamente, riflettendo anche sulla diversità del terzo vangelo dal primo
per il posto che vi occupa il tema del «regno di Dio»607.
Muovendo preliminarmente dall’introduzione al Padrenostro in Mt
6, 5-8, Origene rivisita l’immagine della preghiera già tracciata nella
prima parte dello scritto e vi aggiunge altri spunti interessanti che, sulla
falsariga delle parole di Gesù, mirano a rafforzare il profilo distinto della
preghiera cristiana (Orat XIX- XXI)608. Come si è detto, questa diversa iden-
tità, più che commisurarsi polemicamente con la preghiera di giudei e pa-
gani in quanto tali, si afferma prendendo le distanze da quegli atteggia-
menti spirituali che il testo evangelico attribuisce simbolicamente agli uni
e agli altri: il cristiano è, da un lato, messo in guardia dal correre il rischio
degli «ipocriti», che esibiscono la loro preghiera «nelle sinagoghe e agli
angoli delle piazze» (Mt 6, 5) e vanno così in cerca del proprio vanto più
che della gloria del Signore; dall’altro lato, non deve moltiplicare le parole
della preghiera rivolgendosi a Dio come il «pagano», al fine di ottenere
benefici materiali (Mt 6, 7). Se il testo evangelico critica apertamente
l’ostentazione pubblica della preghiera, Origene vi legge anche l’ennesimo
avvertimento di Gesù contro la «passione deleteria» dell’«amor di gloria»
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606 Ad esempio, si veda Cullmann, 71 ss. Anche Philonenko tiene conto dell’ese-
gesi origeniana e in qualche caso la fa propria, come si vedrà in seguito.
607 Orat XXX, 1 (393, 5-9): Dokei' dev moi oJ Louka'" dia; tou' mh; eijsenevgkh/" hJma'"
eij" peirasmo;n (Mt 6, 13a) dunavmei dedidacevnai kai; to; rJu'sai hJma'" ajpo; tou' ponhrou'
(Mt 6, 13b). kai; eijkov" ge pro;" me;n to;n maqhth;n, a{te dh; wjfelhmevnon, eijrhkevnai to;n
kuvrion to; ejpitomwvteron, pro;" de; tou;" pleivona", deomevnou" tranotevra" didaskaliva",
to; safevsteron. Per la spiegazione approfondita si veda FrLc 174 (cfr. p. 72 e infra, note
1083, 1582).
608 L’autore trova in Mt 6, 5-8 la conferma dello schema adottato in precedenza per
la propria esposizione: a) le disposizioni preparatorie; b) l’atto conseguente della preghiera
(Orat XIX, 1 [341, 12-15]: ∆Epei; de;, wJ" ejn toi'" ajnwtevroi" eijrhvkamen, prw'ton dei' kata-
sth'naiv pw" kai; diateqh'nai to;n proseucovmenon ei\q∆ ou{tw" eu[xasqai, i[dwmen pro; th'"
ejgkeimevnh" proseuch'" para; tw'/ Matqaivw/ tou;" peri; aujth'" uJpo; tou' swth'ro" hJmw'n
ajphggelmevnou" <lovgou">).
202 Parte prima, Capitolo sesto
(filodoxiva)609, il quale guarda solo al tornaconto individuale anziché alla
«comunità» o meglio alla «comunione con Dio», e vi contrappone le parole
di Gv 5, 44 («E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli
altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?»). Per un paradosso
solo apparente, secondo Origene, l’esibizionismo orante nega in partenza
la natura autentica di questo atto con la sua vocazione di comunione610 .
Alludendo nel Commento a Giovanni allo stesso luogo del quarto
vangelo, l’Alessandrino rileva il contrasto fra un simile atteggiamento e
la preghiera al Padre: «E come può onorare il Padre chi ricerca la gloria
umana o il denaro o la ricchezza terrena o la bellezza che viene dalla carne
e dal sangue e, in una parola, tutto ciò che appartiene alla materia e alla
corruzione?»611. In sottofondo si può cogliere nuovamente il motivo della
«gloria di Dio», la sola ad essere vera ed effettiva, che è intimamente con-
nesso alla trasformazione spirituale a «immagine di Dio» indicata già pri-
ma come la mèta dell’atto orante e sviscerata ampiamente poco dopo nel
commento alle prime tre petizioni612 . Qui però l’interpretazione del seguito
di Mt 6, 5, restando molto aderente al testo ed intrecciando con esso Mt 6,
1-2.4 per il motivo della «ricompensa» (misqov") della preghiera, risente
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609 Origene si serve di un termine della LXX (Sap 14, 14; 4Mac 2, 15; 8, 19), che
adopera molto più raramente di kenodoxiva, «vanagloria» (tre occorrenze a fronte di quin-
dici), vocabolo di uso neotestamentario (Fil 2, 3) e terminus technicus nella dottrina cri-
stiana sui vizi. In CMt XV , 18, secondo una spiegazione dell’episodio del giovane ricco
(Mt 19, 16-30), la filodoxiva figura tra le «realtà cattive» quali «l’amore della ricchezza,
l’amore della gloria ed altre realtà terrene che gli riempiono l’anima di ricchezza riprove-
vole» (tr. Scognamiglio, 229). In Orat XXIX, 8 Origene denuncia la tentazione racchiusa
nell’esperienza di gloria mondana, mentre CMt XI, 15 fa i conti con essa nell’ambito della
vita ecclesiale.
610 Si noti il problema testuale in Orat. XIX , 2 (341, 30-31): uJpokritw'n ga;r e[rgon
ejsti; to; toi'" ajnqrwvpoi" ejnabruvnesqai ejp∆ eujsebeiva/ qevlein h] tw'/ koinwnikw/' [koinwnei'n
T]. Mi sembra preferibile emendare con Anglus h] qew/' koinwnei'n o h] tw/' qew/' koinwnei'n
(cfr. Jay, 139, nota 1). Nel testo di Koetschau viene infatti meno l’alternativa uomini-Dio
insinuata immediatamente dopo da Gv 5, 44. Si noti l’uso del verbo ejnabruvnomai, hapax
nelle opere tràdite, ma usato più frequentemente da Eusebio e Didimo il Cieco, che lo ri-
prende in nesso con Mt 6, 5 (CZc 5, 107, 2). Per la ripresa di Gv 5, 44 nel commento della
sesta domanda del Padrenostro, si veda Orat XXIX, 8. Sull’uso del termine «ipocriti» si
veda anche CMtS 19 (35, 18-20) su Mt 23, 23 («Guai a voi, scribi e farisei ipocriti»): «Et
bene eos hypocritas appellat; volentes enim religiositatem adquirere coram hominibus,
nolunt suscipere religiositatem illam quam Deus iustificavit».
611 CIo XX, 36, 337 (tr. Corsini, 671). Da notare che in CIo XIII, 45, 298 Origene ri-
corda come avesse spiegato la «ricompensa» di Mt 6, 4 («il Padre tuo, che vede nel segre-
to, ti ricompenserà») nel III libro degli Stromati, un’opera perduta, interpretandola come il
«beneficio che deriva» per l’intelletto «dalla contemplazione stessa» (tr. Corsini, 524).
612 Cfr. supra, p. 191. In HIer XII, 11 (97, 14-16), a commento di Ger 13, 16 («date
gloria al Signore nostro Dio»), Origene spiega che non è tanto con le parole che si dà glo-
ria a Dio quanto con le azioni: oujk ejn fwnai'" kai; lexidivoi" zhtw' to; didovnai kurivw/ tw'/
qew/' hJmw'n dovxan, ajll∆ ejn pravxesin oJ didou;" dovxan kurivw/ tw/' qew/' divdwsi dovxan aujtw/'.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 203
l’influsso della parabola di Lazzaro e del ricco epulone in Lc 16, 25
(«Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita»): al pari di
chi compie la giustizia per essere visto dagli uomini o fa l’elemosina per
autopromuoversi, colui che ostenta l’esercizio della preghiera agli occhi
del mondo subirà la stessa sorte del ricco e non avrà ricompensa da Dio
nella vita eterna. La sorte di condanna è segnalata anche dal richiamo a
Gal 6, 8 («Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione;
chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna»), che mostra
come un orante siffatto rimanga nell’ottica della “vita secondo la carne”;
in tal senso la sua condizione è assimilabile a quella del “pagano” che mol-
tiplica le parole in vista di ottenere benefici di ordine materiale (Mt 6, 7).
Distinguendosi dagli «ipocriti» come dai «gentili», il cristiano è chia-
mato ad inoltrarsi sulla «via stretta» (cfr. Mt 7, 13-14) della preghiera spi-
rituale, quella preghiera che – come Origene ha chiarito in precedenza –
domanda a Dio i beni della salvezza, rimettendo in sostanza a Lui tutto
quanto riguarda i benefici esteriori. Invece coloro che si trattengono a
pregare «negli angoli delle piazze» (Mt 6, 5) sono l’immagine di quanti si
danno ai piaceri delle più diverse specie, anziché abbracciare la «via an-
gusta e tribolata» indicata da Gesù Cristo e priva di qualunque svolta o
tortuosità 613 . Ora, la «via larga», che conduce alla perdizione (Mt 7, 13), è
quella apprezzata dagli «uomini» che, privati della loro filialità divina e
ricondotti perciò all’orizzonte mortale, manifestano la loro approvazione
per una «pietà» solo apparente614 . Dopo aver alluso per un attimo alla dot-
––––––––––––––––––
613 Cfr. Orat XIX , 3. In HEx V, 3 (187, 1-6) la «via stretta» è associata alla visuale
del progresso spirituale, inteso come ascesa ricca di strettoie e tortuosità: «Non enim pro-
clive iter est quo tenditur ad virtutes, sed adscenditur, et anguste ac difficulter adscenditur.
Audi etiam Dominum in evangelio dicentem quam arcta et angusta via est, quae ducit ad
vitam. Vide ergo quantum consonat evangelium cum lege. In lege ostenditur virtutis via
adscensio tortuosa; in evangeliis dicitur arcta et angusta via quae ducit ad vitam». In HIer
IV, 3 (25, 25-26, 1) l’immagine richiama nostalgicamente il fervore del tempo della perse-
cuzione: tovte h\san pistoi; ojlivgoi me;n pistoi; de; ajlhqw'", th;n stenh;n kai; teqlimmevnhn
oJdeuvonte" oJdo;n th;n ajpavgousan eij" th;n zwhvn (Mt 7, 14). Cfr. anche il passaggio dalla
«via larga» alla «via stretta», in nesso con le «invocazioni» di Ger 20, 8 («Ribellione e mi-
seria invocherò») e Rm 7, 24 («Misero me uomo!»), in HIer XX, 7, per colui che ha com-
preso che deve abbandonare «la vita dalla via larga e spaziosa» ed entrare «in quella stret-
ta e angusta per diventare miserabile come Paolo» (tr. Mortari, 272). In HGn X, 1 (94, 10-
12) il predicatore la rammenta così alla sua distratta comunità: «Miror, si nondum vobis
innotuit via Christi; si nec hoc quidem audistis quod non est lata et spatiosa, sed arta et
angusta via est, quae ducit ad vitam». Per H36Ps V, 7 (240, 23-25), l’immagine evange-
lica riassume le tribolazioni presenti: «Quod est tempus tribulationis, nisi hoc in quo su-
mus, cum per artam et angustam viam incedimus quae ducit ad vitam?». In CIo X, 44,
311, coloro che «credono in Gesù» – e non soltanto «nel suo nome» (cfr. Gv 2, 23) – sono
quei pochi che abbracciano la «via stretta e tribolata».
614 Orat XIX, 3 (343, 3-6): ejn ai|" oiJ wJ" a[nqrwpoi (cfr. Sal 81[82], 7) ajpoqnhv/skon-
te" dia; to; th'" qeovthto" ajpopeptwkevnai tugcavnousi doxavzonte" kai; makarivzonte" tou;"
ejn tai'" plateivai" eujsebei'n [ajsebei'n T, Koetschau] aujtoi'" nenomismevnou". In BKV, 68
204 Parte prima, Capitolo sesto
trina della caduta delle anime o anche, più direttamente, al motivo della
deificazione, l’Alessandrino sembra introdurre qualcosa di più di uno ste-
reotipo polemico, allorché ricorda che non pochi attendono alle preghiere
nel bel mezzo di simposi, mentre sono preda degli effetti del vino615. Ma
il rapido cenno ad un possibile sfondo concreto è subito oltrepassato dalle
ulteriori “variazioni esegetiche” suscitate sul testo di Mt 6, 5, dove la men-
zione delle «sinagoghe» induce Origene ad introdurre il motivo dell’anti-
tesi fra la sunagwghv e l’ejkklhsiva, non tanto in opposizione al giudaismo
ma avendo presente l’immagine ideale della «chiesa in senso proprio»,
cioè quella che è «santa ed immacolata»616 . Più che al luogo fisico, o al-
––––––––––––––––––
n. 4, Koetschau ha opportunamente emendato il testo in eujsebei'n, come suggerito da edi-
tori precedenti. L’allusione a Sal 81[82], 7 rimanda al motivo della “deificazione”. Si veda,
ad esempio, CIo XX, 27, 242: «Infatti se c’è qualcuno che non è più menzognero (cfr. Sal
115[116], 2) oppure è rimasto nella verità (Gv 8, 44), questi non è un uomo, tanto che
Dio può dire a lui e a chi è simile a lui: Io dico: Voi siete dèi e tutti figli dell’Altissimo
(Sal 81[82], 6); e non si riferiranno più a lui quelle parole: Eppure morirete come uomini
(Sal 81[82], 7)» (tr. Corsini, 653). Cfr. anche l’ulteriore richiamo in CIo XXXII, 5, 59, con
uno spunto polemico verso le osservanze esteriori, mentre in CIo XXXII, 18, 233-234, ri-
proponendo entrambi i versetti Origene lascia intravedere la dottrina della preesistenza:
«Quanto poi all’espressione come uno (Gn 3, 22), unitamente a quell’altro passo: Voi,
certo, come uomini morrete (Sal 81[82], 7), mi sembra coincidere con quel versetto:
Come uno dei principi cadrete (Sal 81[82], 7). Infatti, pur essendo i principi parecchi, uno
solo cadde: similmente, quelli che peccano cadono, imitando la sua caduta. Al pari di lui
che, essendo nella divinità, cadde, anche coloro ai quali è rivolta quella parola: Ho detto:
Voi siete dèi, e figli dell’Altissimo tutti quanti (Sal 81[82], 6), una volta decaduti dalla be-
atitudine, pur non essendo originariamente uomini, come uomini tuttavia muoiono e come
uno dei principi cadono» (tr. Corsini, 779). CMt XVI , 29 (573, 29-574, 3) mette nuova-
mente a tema la deificazione come la mèta del cristiano: «Dio vuole che colui che accede
alla sua Parola, sia al di sopra della natura umana e ne esige opere straordinarie, e – mi si
consenta l’espressione – opere da Dio più che da uomo. Proprio perciò dichiara a tutti
quelli che chiama alla beatitudine: Io dissi: voi siete dèi e siete tutti figli dell’Altissimo
(Sal 81[82], 6); biasimando però quelli che non vogliono essere divinizzati (ajpoqewqh'-
nai) e divenire figli dell’Altissimo, dice: Ma come uomini voi morirete (Sal 81[82], 7)»
(tr. Scognamiglio, 121-122). La duplice citazione figura anche in CMt XVII, 19 in relazione
al regno dei cieli e al venire meno del peccato. Cfr. anche H37Ps II , 3.
615 Orat XIX , 3 (343, 6-11): polloi; de; ajei; oiJ fainovmenoi ejn tw'/ proseuvcesqai
filhvdonoi ma'llon h] filovqeoi (2Tm 3, 4), ejn mevsoi" toi'" sumposivoi" kai; para; tai'"
mevqai" ejmparoinou'nte" th'/ proseuch'/, ajlhqw'" ejn tai'" gwnivai" tw'n plateiw'n eJstw'te"
kai; proseucovmenoi: pa'" ga;r oJ kata; th;n hJdonh;n biou;", to; eujruvcwron ajgaphvsa" ejkpev-
ptwke th'" stenh'" kai; teqlimmevnh" oJdou' ∆Ihsou' Cristou'.
616 Orat XX, 1 (si confronti qui [343, 13] th'" me;n kurivw" ejkklhsiva" con l’idea di
bellezza spirituale in XVII, 2 [339, 10-11]: to; ga;r kurivw" kavllo" sa;rx ouj cwrei', pa'sa
tugcavnousa ai\sco"). Sgherri, 331-333, rilevata la difficoltà di interpretare il passo, man-
tiene in pratica la pointe antigiudaica con l’osservare che «per appartenere veramente alla
Chiesa è richiesta una strettezza (santità di vita ed estradizione dei peccatori) molto più
rigorosa di quanto bastava per appartenere alla Sinagoga caratterizzata dalla sua lar-
ghezza. Se questo non fosse il sottofondo di idee, ci sembrerebbe incomprensibile il ri-
mando a Deut. 23, 1-8 con il quale inizia il nostro passo» (p. 333). Ma Sgherri non tiene
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 205
l’ambito istituzionale e sociologico, la riflessione dell’Alessandrino punta
insomma ancora una volta alla comunità di santi che trascende il quadro
della storia e si colloca già nella prospettiva del regno di Dio. Il modello
dell’orante, riproposto alla luce di Mt 6, 5, è dunque nuovamente quello
del «santo», che s’impegna sulla «via angusta e tribolata» e, invece di ri-
cercare una visibilità mondana, si cura di apparire al cospetto di Dio617 .
Il primato delle realtà spirituali ed invisibili è ribadito, fra l’altro, con
due suggestive riflessioni dal tenore metafisico, indotte rispettivamente
dalle espressioni di Mt 6, 5 («per essere visti dagli uomini») e 6, 7 (le
«molte parole»): la prima richiama la natura ingannevole dell’apparenza
fenomenica, immagine parziale ed illusoria della vera bellezza del tutto
sottratta alla rappresentazione sensoriale618 ; la seconda gioca sul contra-
sto fra l’ “Uno“ e i “molti“ come opposizione fra la realtà spirituale, unica
e compatta, e la materia frammentata e corruttibile, fra l’essere autentico
e le sue contraffazioni619 . Tra l’una e l’altra riflessione Origene, prose-
guendo nell’interpretazione del preambolo matteano, inserisce una delle
raffigurazioni più incisive dell’intima dinamica che deve connotare l’atto
orante come «esercizio spirituale», sfruttando l’ambivalenza semantica
del termine uJpokrithv", inteso quale sinonimo di «attore»: colui che prega
in obbedienza alle istruzioni del Signore è chiamato a deporre ogni inau-
tenticità, abbandonando la scena tutto sommato piccola e modesta del
mondo esteriore, per ritrarsi nella propria «cameretta» (Mt 6, 6) interiore,
––––––––––––––––––
conto, a mio avviso, dell’argomentazione ad intra sviluppata dall’Alessandrino, anche se
ammette che qui il termine «sinagoga» sarebbe passibile anche di un significato «pura-
mente simbolico» (ibi, nota 308).
617 Orat XX, 1 (344, 1-6): ajll∆ oujc oJ a{gio" toiou'to": ouj filei' ga;r proseuvcesqai
ajlla; ajgapa',/ kai; oujk ejn sunagwgai'" ajll∆ ejn ejkklhsivai", kai; oujk ejn gwnivai" plateiw'n
ajll∆ ejn th'/ eujquvthti th'" stenh'" kai; teqlimmevnh" oJdou', ajlla; kai; oujc i{na fanh'/ toi'"
ajnqrwvpoi" ajll∆ i{n∆ ojfqh'/ ejnwvpion kurivou tou' qeou' (Dt 16, 16). La citazione dello stesso
versetto («Tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio»)
ritorna nel discorso sul tempo in Orat XXVII, 16. Sull’apparire al cospetto di Dio, senza
curarsi della gloria umana, come costitutivo dell’esistenza cristiana, si veda CMtS 12 (23,
13-15): «Christi autem discipulus sustinet et adhuc intercedit et omnia facit ut videatur a
Deo, gloriam contemnens humanam.»
618 Orat XX, 2 (344, 9-11): ejpimelw'" de; ajkoustevon tou' fanw'sin, ejpei; oujde;n fai-
novmenon kalovn ejstin, oiJonei; dokhvsei o]n kai; oujk ajlhqw'" kai; th;n fantasivan planw'n
ajll∆ oujk ajkribw'" kai; ajlhqw'" ejktupou'n. Il motivo traspare già in XVII, 2 (supra, nota
616) a proposito della bellezza del corpo.
619 Orat XXI , 2 (345, 17-24): oujde;n ga;r e}n th'" u{lh" kai; tw'n swmavtwn, ajll∆
e{kaston tw'n nomizomevnwn e}n e[scistai kai; diakevkoptai kai; dihv/rhtai eij" pleivona th;n
e{nwsin ajpolwlekov" [ajpolwlekovta BKV, 71 n. 3]: e}n ga;r to; ajgaqo;n polla; de; ta; aij-
scra;, kai; e}n hJ ajlhvqeia polla; de; ta; yeudh', kai; e}n hJ ajlhqh;" dikaiosuvnh, pollai; de;
e{xei" tauvthn uJpokrivnontai, kai; e}n hJ tou' qeou' sofiva, pollai; de; aiJ katargouvmenai tou'
aijw'no" touvtou kai; tw'n ajrcovntwn tou' aijwn' o" touvtou (1Cor 2, 6) kai; ei|" me;n oJ tou' qeou'
lovgo", polloi; de; oiJ ajllovtrioi tou' qeou'. Si veda il luogo parallelo in XXIII, 3 (351, 7):
pa'n ga;r sw'ma diairetovn ejsti kai; uJliko;n kai; fqartovn.
206 Parte prima, Capitolo sesto
teatro incomparabilmente più grande per l’incontro a tu per tu con Dio
(Orat XX, 2) 620 .
Avanzando nell’interpretazione delle parole evangeliche Origene tra-
passa ad una considerazione più profonda che ci riporta all’idea, intravista
ripetutamente, della preghiera come «atto di conoscenza»621. La genuinità
della preghiera è per lui compromessa non solo dall’ostentazione esteriore
e dalla ritualizzazione pubblica ma anche dalla negazione pratica della sua
dimensione spirituale attraverso la richiesta di beni materiali. Una pre-
ghiera che s’indirizzi a Dio domandandogli benefici di tal fatta è viziata
alla radice dalla mancata comprensione della natura divina e di ciò che
compete veramente ad essa. Accennando ad un motivo che sarà ripreso
da Evagrio, l’Alessandrino oppone dunque al battologei'n condannato da
Mt 6, 7 – la «chiacchiera» vana di chi moltiplica inutilmente le parole – la
preghiera come esercizio controllato di «teologia» (qeologei'n), discorso
su e con Dio622. È l’invito ad operare un discernimento spirituale nell’atto
di presentare a Dio la propria «offerta» di preghiera, illustrato da Origene
mediante un’espressione di uso abbastanza raro ma fortemente espressiva
che richiama, nel suo significato originario, l’ispezione preliminare attuata
dai sacerdoti sulle vittime da offrire in sacrificio623. Mentre ritroviamo
così l’associazione fra preghiera e sacrificio (o meglio ancora la sostitu-
zione del secondo con la prima, nella prospettiva cristiana ormai attuata
della «fine del sacrificio»)624 , osserviamo anche l’invito ad esaminare con
cura se stessi e a vagliare le proprie parole nell’atto di pregare, affinché il
loro contenuto non comporti alcunché di estraneo all’«incorruttibilità»
––––––––––––––––––
620 Cfr. supra, p. 181.
621 Ne ho trattato anche in Perrone 2001b e Perrone 2001d.
622 Orat XXI, 1 (345, 3-7): ∆Alla; proseucovmenoi mh; battologhvswmen ajlla; qeo-
loghvswmen. battologou'men de;, o{te mh; mwmoskopou'nte" eJautou;" h] tou;" ajnapempomev-
nou" th'" eujch'" lovgou" levgomen ta; diefqarmevna e[rga h] lovgou" h] nohvmata, tapeina;
tugcavnonta kai; ejpivlhpta, th'" ajfqarsiva" ajllovtria tou' kurivou. Delle 12 occorrenze di
battologevw solo una non figura nel trattato: cfr. FrPs 141 (142), 2 (PG 12, 1665C). Da
notare l’intreccio fra Mt 6, 7, l’agraphon sui beni celesti (cfr. supra, nota 169) e 1Tm 2, 8
in Orat VIII, 1 (nota 462). Per un confronto con Evagrio si veda Bettiolo (infra, nota 1894).
623 Il verbo mwmoskopevw, hapax in Origene, figura prima di lui, in senso proprio,
in 1Clem 41, 2: ouj pantacou', ajdelfoiv, prosfevrontai qusivai ejndelecismou' h] eujcw'n
h] peri; aJmartiva" kai; plhmmeleiva", ajll∆ ejn ÔIerousalh;m movnh/: kajkei' de; oujk ejn panti;
tovpw/ prosfevretai, ajll∆ e[mprosqen tou' naou' pro;" to; qusiasthvrion, mwmoskophqe;n to;
prosferovmenon dia; tou' ajrcierevw" kai; tw'n proeirhmevnwn leitourgw'n. Interessante è
l’uso traslato che ne fa Policarpo, Ad Phil. 4, 3, 4, riferendosi alla condotta delle vedove:
ginwskouvsa", o{ti eijsi; qusiasthvrion qeou' kai; o{ti pavnta mwmoskopei'tai, kai; levlhqen
aujto;n oujde;n ou[te logismw'n ou[te ejnnoiw'n ou[te ti tw'n kruptw'n th'" kardiva" (cfr. 1Cor
14, 25).
624 Cfr. Stroumsa 2006, che giustamente ricorda come il fenomeno non sia solo del
cristianesimo. Sull’equazione preghiera = sacrificio, già operante nel giudaismo ellenisti-
co, si veda supra, nota 2.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 207
divina. Se a conclusione del trattato l’Alessandrino arriva a prospettare
alcune indicazioni esemplificative (tovpoi) per una “retorica” della pre-
ghiera che sia conforme alla sua visuale di un atto eminentemente spiri-
tuale (Orat XXXIII), qui il richiamo all’«autoispezione» prelude alla ne-
cessità di pregare secondo il giusto concetto di Dio: solo chi non si rende
conto dell’essere trascendente di Dio, il quale sovrasta dall’altezza dei
cieli metafisici le piccole cose di quaggiù, può pensare di importunarlo
per delle preoccupazioni terrene625 . Su questa nota termina la spiegazione
della premessa di Matteo al Padrenostro, a commento di Mt 6, 8 («Non
siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete biso-
gno ancor prima che gliele chiediate»). Ora, se l’ignoranza di Dio compor-
ta anche quella dei veri beni, Origene esorta adesso a riconoscere ciò di
cui abbiamo veramente bisogno per la nostra salvezza e che solo Dio è in
grado di donarci626 . In tal modo l’Alessandrino, all’opposto degli avver-
sari della preghiera che sfruttavano proprio questo passo per negarne la
necessità, ricava da esso quella giustificazione dell’atto orante che è im-
perniata, da un lato, sulla nozione della provvidenza paterna di Dio e, dal-
l’altro sul bisogno di salvezza dell’uomo627.
––––––––––––––––––
au premier siècle de notre ère. C’est à la lumière du targoum palestinien que la demande
trouve son sens plénier et qu’elle est, selon nous, à traduire: “Donne-nous aujourd’hui
notre pain pour demain”». Al contrario per Calderone, 57 è da intendersi come il panis
viaticus. Per un’approfondita analisi recente si veda Korting, il quale condivide l’interpre-
tazione di segno spirituale ma spiega arditamente ejpiouvsion come corruzione dell’origi-
nale ejpi; rJuvsion, da intendersi nel senso di «pane per l’espiazione (del male) / la libera-
zione (dal male) / la protezione (dalla sventura) / per il ringraziamento per la liberazione»
(cfr. la recensione di G.B. Bazzana, in «Adamantius» 13[2007], pp. 560-562). In FrLc
180 Origene critica l’idea di un swmatiko;n a[rton, sfruttando in senso antimarcionita il ri-
corso all’interpretazione allegorica come unica possibile.
668 Cfr. supra, nota 169 i due detti riuniti insieme dall’Alessandrino. Da notare che,
unico caso in tutto il trattato, Origene arriva a parlare della tesi avversa come di una yeudo-
doxiva (Orat XXVII, 1 [363, 26-28]: a[xion aujtw'n th;n yeudodoxivan dia; touvtwn perielovn-
ta" parasth'sai to; ajlhqe;" peri; tou' ejpiousivou a[rtou). Egli se ne serve una quindicina
di volte, in particolare nella polemica con Celso (CC IV, 1; IV, 90; VIII, 76), ma anche in
altri scritti per rintuzzare errori dottrinali (cfr. ad esempio CIo XIII, 14, 90; HIer V, 15 [2]).
669 Orat XXVII, 2 (364, 3-4): hJmei'" de; eJpovmenoi aujtw'/ didaskavlw/, didavskonti ta;
peri; tou' a[rtou (cfr. anche XXVII, 6 [366, 30-31]: peiqovmenoi tw'/ didaskavlw/ swth'ri
hJmw'n).
670 Al riguardo Tertulliano esprime un punto di vista più articolato, vedendo nella
stessa strutturazione della «Preghiera del Signore» un intento pedagogico che subordina i
terrena ai caelestia. Quanto poi al diritto riconosciuto alle «cose terrene», con la richiesta
del «pane» esso appare limitato allo stretto necessario (cfr. De orat. 6 [infra, note 1651-
1653]).
671 Origene parafrasa il discorso, sfruttando dapprima Gv 6, 26 («In verità, in verità
vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei
222 Parte prima, Capitolo sesto
creato “a immagine di Dio”» ed egli, «nutrito da esso diventa anche “a so-
miglianza” di colui che l’ha creato»672. Ritroviamo così nella trattazione
sul cibo spirituale la prospettiva soteriologica dell’attuazione dell’imma-
gine divina nell’uomo, elemento centrale della vocazione alla santità pre-
figurata nella prima parte del commento673 .
Ora, la sostanza del «pane» viene precisata ulteriormente come logos,
«sapienza» e «verità», servendosi di quelle epinoiai lungamente esaminate
da Origene nel I libro del Commento a Giovanni, che riverberano i vari
aspetti salvifici del Figlio di Dio e rimandano tutte alla «natura razionale»
––––––––––––––––––
pani e vi siete saziati») per sostenere che colui che si è nutrito dei «pani» benedetti da
Gesù, si sforza ancor più di approfondirne la conoscenza (Orat XXVII, 2 [364, 8-9]: ma'l-
lon zhtei' katalabei'n ajkribevsteron to;n uiJo;n tou' qeou' kai; speuvdei pro;" aujtovn). Quin-
di riporta Gv 6, 27 («Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita
eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà») come il comando appropriato a tale ricerca. Ri-
prendendo quindi l’interrogativo degli astanti in Gv 6, 28 («Che cosa dobbiamo fare per
compiere le opere di Dio?») e la risposta di Gesù in Gv 6, 29 («Questa è l’opera di Dio:
credere in colui che ha mandato»), l’Alessandrino vi intreccia Sal 106(107), 20 («Mandò
la sua parola e li guarì»). Riepilogati in senso inverso i tre versetti Gv 6, 29.28.27, è intro-
dotto il motivo del «pane celeste» da Gv 6, 32-33 («il Padre mio vi dà il pane dal cielo,
quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo»). La più
ampia ripresa di Gv 6 ha luogo poi in Orat XXVII, 4, che riporta Gv 6, 53-57 e 6, 58. Pur-
troppo il testo tràdito di CIo non ci ha conservato l’esegesi di Gv 6 (cfr. CIo XX, 41, 387).
Il motivo del «pane di vita», «disceso dal cielo» compare nel lungo elenco introduttivo
delle epinoiai del Figlio di Dio come l’ultimo dei “titoli” che egli si attribuisce nei vangeli
(CIo I , 21, 131). Origene ne tratta poi in CIo I, 30, 207-208 in connessione con l’epinoia
precedente di «vite vera»: «Orbene, il pane nutre e di esso si dice che rinforza il cuore del-
l’uomo, mentre il vino lo addolcisce, lo rallegra e lo rasserena: vedi un po’ se, allo stesso
modo, “pane di vita” [...] possano essere gli insegnamenti morali, i quali producono la
vita in colui che li apprende e li mette in pratica; e frutti della vita vera, compendiati nel
termine “vino”, possano essere gli ineffabili e mistici teoremi che rallegrano e riempiono
di divino entusiasmo coloro che pongono la loro delizia nel Signore, fino a desiderare non
solamente di nutrirsi ma di banchettare» (tr. Corsini, 177).
672 Orat XXVII, 2 (364, 21-23): a[rto" de; ajlhqinov" ejstin oJ to;n ajlhqino;n trevfwn
a[nqrwpon, to;n kat∆ eijkovna tou' qeou' pepoihmevnon, w|/ oJ trafei;" kai; kaq∆ oJmoivwsin tou'
ktivsanto" givnetai. Cfr. HIer X, 2 (72, 13-14): oJ tou' ∆Ihsou' a[rto" oJ lovgo" ejsti;n ejn w|/
trefovmeqa.
673 Anche per Stritzky, 161, «ist die Bitte um das tägliche Brot philosophisch aus-
gedrückt als Bitte um die qeopoivhsi" aufzufassen, theologisch gesprochen als Bitte um
die göttliche Sohnschaft, die die Voraussetzung für die endgültige qewriva tou` qeou`
schafft». Mi sembra invece problematico parlare di Orat XXVII come di un «trattato di spi-
ritualità eucaristica» (Bertrand, 477). Al riguardo occorre rammentare che «un tema cen-
trale della teologia origeniana, quale il “mangiare la carne del Verbo” non ha per lo più
connotazioni tipicamente eucaristiche o comunque deve “trascendere” anche l’eucaristia,
perché si tratta di un diabaivnein da un piano esistenziale degradato al piano dell’esistenza
razionale e incorporea di Dio» (Gramaglia 2000b, 150). Per una prospettiva più esplicita-
mente eucaristica si veda invece HEx XI, 7 e il commento ad loc. di Simonetti (Omelie
sull’Esodo, nota 68); CMt X, 15 e il commento di Girod (SC 162), 208, nota 1; CMt XI, 14
(342-346); Fr1Cor 34 (note 1276, 1553).
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 223
dell’uomo in quanto «anima» e «intelletto»674. Inoltre, l’identificazione in
senso cristologico è rafforzata con il decisivo richiamo a Gv 6, 51 («Io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà
in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»)675.
Del resto, la riflessione sul cibo – richiamata dal fatto che, secondo Orige-
ne, l’uso scritturistico designa in senso lato con la parola «pane» (a[rto")
ogni genere di «nutrimento» (trofhv) 676 – introduce un discorso sul pro-
gresso spirituale, contrassegnato nell’ottica dell’Alessandrino da una gran-
de varietà di gradi e situazioni (Orat XXVII, 4-6.9)677. Agli estremi dell’ar-
co si collocano, secondo una distinzione tradizionale ricavata da Paolo,
da un lato, i «bambini» (nhvpioi), cioè coloro che per la loro debolezza
spirituale non sono ancora in grado di ricevere alimenti solidi e, dall’al-
tro, «i più perfetti» (teleiovteroi), per i quali il «pane disceso dal cielo»
rappresenta l’«alimento atletico adatto»678 . La distinzione è poi riformula-
ta a partire dalle categorie rispettivamente di «semplici» e «gnostici», ma
in questo caso non per contrastare positivamente i secondi con i primi,
bensì per avvertire come sia migliore una condizione spirituale di simpli-
citas rispetto a colui che, pur meglio preparato, non arriva a cogliere «la
ragione della pace e dell’armonia di tutte le cose»679 . Con preoccupa-
––––––––––––––––––
674 Orat XXVII, 2 (364, 23-25): tiv de; lovgou th'/ yuch'/ trofimwvteron, h] tiv th'" sofiva"
tou' qeou' tw'/ nw'/ tou' cwrou'nto" aujth;n timiwvteron… tiv de; ajlhqeiva" th'/ logikh'/ fuvsei
katallhlovteron… Sulle tre designazioni si veda, in particolare, CIo I, 9, 52-57 (cfr. anche
Perrone 2005b, 70-76).
675 Si tratta del verso più frequentemente citato in CIo. Si veda, ad esempio, VI, 45,
236: «La manna infatti, sebbene data da Dio, era un pane per proseguire il cammino, un
pane distribuito a chi ha ancora bisogno del pedagogo, molto adatto a chi sottostà a tutori
e amministratori. Invece il cibo nuovo tratto dal frumento della terra, mietuto sotto gli au-
spici e la mediazione di Gesù nella terra santa, dove altri hanno faticato e i discepoli di lui
mietono, era un pane più vivificante di quello, in quanto concesso a coloro che per la loro
perfezione sono in grado di ricevere l’eredità del Padre» (tr. Corsini, 358). Cfr. inoltre XX,
43, 405-406, dove Origene rapporta il senso spirituale del «gusto» al Signore come «il
pane vivo disceso dal cielo» e «il nutrimento dell’anima», mentre egli è l’oggetto della
«vista» in quanto sapienza, la cui bellezza rende innamorati (ibi, 683).
676 Il criterio esegetico affermato in Orat XXVII, 4 trova conferma in CIo X, 17, 100.
Sui diversi tipi di cibi spirituali cfr. Noel, 482-485.
677 «Il concetto di progresso gnoseologico connesso al progresso etico, con la conse-
guente differenziazione dei contenuti della conoscenza oltre che dei soggetti che conosco-
no, è quasi sempre fondato da Origene [...] sui testi scritturistici relativi ai diversi “cibi”»
(Cocchini 2000b, 83).
678 Orat XXVII, 4 (365, 12-13): boulovmeno" parasth'sai ajqlhtikh;n teleiotevroi"
aJrmovzousan trofhvn, frase premessa alla citazione per esteso di Gv 6, 53-57. Quanto al-
l’immagine dei nhvpioi, l’Alessandrino rinvia a una serie di luoghi paolini, cominciando da
1Cor 3, 1 ss.
679 Orat XXVII, 6 (366, 17-21): beltivwn oJ mh; cwrw'n ta; eujtonwvtera kai; meivzona
tw'n dogmavtwn dia; th;n aJplovthta (oujk ejsfalmevna mevntoi ge fronw'n) tou' ejntrecestev-
rou me;n kai; ojxutevrou kai; meizovnw" ejpibavllonto" toi'" pravgmasi to;n de; th'" eijrhvnh"
224 Parte prima, Capitolo sesto
zione didascalica, mai dimenticata del tutto da Origene nonostante la
densità della sua esposizione (che si evidenzia, in particolare, nella specu-
lazione filosofica sul concetto di oujsiva)680 , egli riassume in questi termini
il senso della quarta domanda: «Per non procurare malattia alla nostra
anima a causa della mancanza di cibi, e per non morire a Dio a causa della
“fame della parola del Signore” (Am 8, 11), noi domandiamo al Padre il
“pane vivo”, che è identico al “pane soprasostanziale”, obbedendo al no-
stro Maestro e Salvatore, credendo e vivendo in modo più retto» (Orat
XXVII, 6), e diventando così sempre più, di giorno in giorno, «figli di Dio»
(Orat XXVII, 12) o, con analoga conclusione, «per essere deificati grazie
al nutrimento del Logos divino» (Orat XXVII, 13)681.
Se tale è il senso generale della quarta domanda nell’interpretazione
di Origene, la sua spiegazione si arricchisce di una prospettiva ulteriore
che sembra anticipare la dimensione più ampiamente «comunionale« pro-
pria del commento alla quinta e alla sesta petizione. Il discorso sul «pane
soprasostanziale», anche per il tramite dell’immagine genesiaca di «albero
di vita» (Gn 2, 9; 3, 22) – collegata ad esso e associata nel contempo alla
«sapienza» in Pr 3, 18 («È un albero di vita per chi ad essa s’attiene e chi
ad essa si stringe è beato») –, sfocia infatti nella generalizzazione di una
comunicazione spirituale tra le creature razionali, uomini ed angeli, e il
Cristo (Orat XXVII, 11). Simmetricamente vi si affianca, per contrasto,
quella di segno negativo fra gli uomini, il diavolo e i suoi angeli (Orat
XXVII, 12). Nel descrivere questo universo di relazioni spirituali l’Ales-
sandrino rivolge dapprima lo sguardo all’ordine angelico, che trova il pro-
prio nutrimento nella contemplazione della «sapienza di Dio», grazie alla
quale è reso capace di compiere la sua opera. Ma al convito celeste degli
angeli partecipano anche gli «uomini di Dio», come Origene ricorda citan-
do Sal 77(78), 25 («l’uomo mangiò il pane degli angeli, mandò da cibarsi
a sazietà»), senza peraltro identificare questo «pane angelico», in senso
––––––––––––––––––
kai; sumfwniva" tw'n o{lwn lovgon mh; tranou'nto". Si tratta di un significativo riconoscimen-
to, in funzione antignostica, della positività di chi si nutre di una fede più semplice. L’ar-
gomentazione scritturistica si basa su Pr 15, 17 («È meglio essere invitato a mangiare ver-
dure con amicizia e grazia che un vitello di stalla con odio»), passo citato anche in CIo XIII,
33, 210, nel contesto di un discorso sulla varietà di cibi spirituali, ad indicare il nutrimento
dei «deboli». Sulla metafora della «verdura» si veda ancora HNm XXVII, 1; CRm X , 35.
680 Cfr. Orat XXVII, 8, che offre interessanti termini di paragone con VI, 1 (oltre che
con CIo XIII, 21, 127 e Prin II, 1, 4; IV, 4, 6-7). Origene richiama successivamente la con-
cezione platonica e quella stoica.
681 Orat XXVII, 12 (370, 28-29): Tou' me;n ou\n ejpiousivou oJ metalambavnwn a[rtou
sthrizovmeno" th;n «kardivan» uiJo;" qeou' givnetai. Antitetico ad esso è il cibo dell’Avver-
sario. Si veda anche il riepilogo dopo la discussione sulla nozione di oujsiva in XXVII, 9
(369, 18-22): ejpiouvsio" toivnun a[rto" oJ th'/ fuvsei th'/ logikh'/ katallhlovtato" kai; th'/
oujsiva/ aujth'/ suggenhv", uJgeivan a{ma kai; eujexivan kai; ijscu;n peripoiw'n th'/ yuch'/ kai; th'"
ijdiva" ajqanasiva" (ajqavnato" ga;r oJ lovgo" tou' qeou') metadidou;" tw'/ ejsqivonti aujtou'.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 225
fisico, con la manna piovuta dal cielo per gli Ebrei durante la traversata
del deserto, dal momento che sia per gli uomini che per gli angeli questo
nutrimento può essere, secondo l’Alessandrino, soltanto la Parola di
Dio 682 . Ma la comunicazione spirituale non è a senso unico, per così dire
dall’alto verso il basso, poiché qualunque frammento di verità (anche se
risalente sempre, in ultima analisi, al Logos e alla Sapienza di Dio) può
essere partecipato dai «santi» non solo agli altri uomini ma anche agli an-
geli e perfino allo stesso Cristo. L’ospitalità di Abramo per i tre inviati,
narrata da Gn 18, 2-6, attesta per Origene lo scambio dei ruoli fra uomini
e angeli nel processo di crescita spirituale, cosa che avviene sia per l’utili-
tà dei secondi sia a dimostrazione del progresso conseguito dai primi e che
ridonda comunque in una sinergia benefica compartecipata683 . Quanto al
Cristo, l’Alessandrino sfrutta specialmente Ap 3, 20 («Ecco, sto alla porta
e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da
lui, cenerò con lui ed egli con me»), per ribadire l’idea di una comunica-
zione spirituale che si esercita reciprocamente, in entrambe le direzioni,
––––––––––––––––––
682 Cfr. Orat XXVII, 10. Si veda anche l’interpretazione dell’episodio di Es 16, 4 ss.
in HEx VII, 5 (211, 13): «panis coelestis, qui est sermo Dei».
683 Orat XXVII, 11 (370, 14-22): dunamevnwn tw'n aJgivwn metadou'naiv pote trofh'"
nohth'" kai; logikh'" ouj movnon ajnqrwvpoi" ajlla; kai; qeiotevrai" dunavmesin h[toi eij" wjfev-
leian aujtw'n h] eij" ejpivdeixin w|n deduvnhntai peripoih'sai eJautoi'" trofimwtavtwn, euj-
frainomevnwn kai; trefomevnwn ejn th'/ toiauvth/ ejpideivxei tw'n ajggevlwn kai; eJtoimotevrwn
ginomevnwn pro;" to; panti; trovpw/ sunergh'sai kai; pro;" to; eJxh'" sumpneu'sai th'/ pleiovnwn
kai; meizovnwn katalhvyei tou' ejpi; protevroi" pareskeuasmevnou trofivmoi" maqhvmasin,
eujfravnanto" kai;, i{n∆ ou{tw" ei[pw, ajnaqrevyanto" aujtouv". Il motivo messo in luce qui
non figura nell’esegesi di Gn 18 in HGn IV, pur nel riconoscimento del convivium offerto
dal «sapiente» Abramo «Domino atque angelis» (IV , 3), mentre lo troviamo espresso con
chiarezza in CIo XIII, 32, 197-199, a commento di Gv 4, 31 («Nel frattempo i discepoli lo
pregavano, dicendo: “Rabbì, mangia”»): «I discepoli infatti desiderano sempre nutrire il
Logos con ciò che essi trovano, affinché corroborato, rinvigorito e potenziato, egli possa
permanere con più intensità presso coloro che lo nutrono, nutrendo a sua volta quegli che
gli offrono cibo. Ecco perché egli dice che “sta alla porta e bussa”: se uno gli apre la porta,
egli entrerà da lui e cenerà con lui. E così avverrà che chi invita a cena sarà a sua volta in-
vitato a cena dal Logos che ha cenato presso l’uomo» (tr. Corsini, 503). L’idea di una “si-
nergia” benefica richiama alla mente HIos XX, 1 (= Phil 12 [390, 28-34]), dove Origene
accenna alla presenza di «potenze» (dunavmei") «che hanno ricevuto in sorte le nostre
anime e i nostri corpi»; quando si legge la Scrittura, se sono «potenze sante», ricevono
giovamento e si rafforzano, anche all’insaputa del nostro intelletto: wJ" gevgraptai peri;
tou' glwvssh/ lalou'nto", o{ti To; pneu'mav mou proseuvcetai, oJ de; nou'" mou a[karpov" ejsti
(1Cor 14, 14). novei ou\n moi o{ti pote; tou' ejn hJmi'n nou' ajkavrpou o[nto" aiJ dunavmei" aiJ
sunergou'sai th/' yuch/' kai; tw/' nw/' kai; pa'sin hJmi'n trevfontai logikh/' th/' ajpo; tw'n iJerw'n
grammavtwn kai; tw'n ojnomavtwn touvtwn trofh/', kai; trefovmenoi dunatwvterai givnontai
pro;" to; hJmi'n sunergei'n. Sull’interpretazione di questo passo si veda Perrone 2004b, 239-
240. In Orat non figura invece il motivo per cui la Parola di Dio nutre ciascuno secondo i
suoi desideri e bisogni, ampiamente sviscerato in HEx VII (cfr. 8 [216, 15-16]: «Sic ergo
manna Verbi Dei reddit in ore tuo saporem quemcumque volueris»).
226 Parte prima, Capitolo sesto
sia pure nella consapevolezza dei limiti dell’ospitalità donata dall’uomo
al Figlio di Dio684 . Il paradosso di questa reciprocità, sviluppantesi ai li-
velli più diversi fino all’altezza di Cristo, si può comprendere alla luce
della dottrina dell’interazione fra gli uomini nel bene e nel male (come
Origene chiarisce nella memorabile Omelia VII sul Levitico) e del progres-
so spirituale: il dono del «pane soprasostanziale» non resta senza frutto,
ma la Parola di Dio innesca una fecondità spirituale, che è anche segno
dell’attivazione responsabile del «santo» in risposta al dono ricevuto685.
Nel cuore di questa dinamica vi è la prospettiva – tracciata dalle Omelie
su Ezechiele – per cui Cristo stesso si nutre del «pane soprasostanziale»
––––––––––––––––––
684 Orat XXVII, 11 (370, 22-27): ouj qaumasto;n de; eij ajggevlou" trevfei a[nqrwpo",
o{pou ge kai; Cristo;" oJmologei' eJstw;" para; th;n quvran krouvein, i{n∆ eijselqw;n para; to;n
ajnoivxanta aujtw'/ deipnhvsh/ met∆ aujtou' (Ap 3, 20) ejk tw'n ejkeivnou, meta; tau'ta kai; aujto;"
metadwvswn tw'n ijdivwn tw'/ provteron eJstiavsanti kata; th;n ijdivan duvnamin to;n uiJo;n tou'
qeou'. Circa il motivo del «Logos di Dio che sta alla porta e picchia e vuole entrare nelle
anime» (tr. Corsini, 124), si veda ancora CIo I, 4, 26; XXXII, 2, 18; HIos XX, 1: «Cosa
dico: le potenze divine si pascono e prendono nutrimento dentro di noi, quando pronun-
ciamo con la (nostra) bocca le parole della divina Scrittura? Ma lo stesso Signore nostro
Gesù Cristo, quando ci trova occupati in queste realtà e impegnati in studi ed esercitazioni
del genere, si degna non solo di prendere cibo e perfezione dentro di noi, ma anche di
portare con sé il Padre, se vede preparati dentro di noi tali banchetti. Ma queste realtà, che
sembrano tanto grandi e superiori all’uomo, stanno a provartele non le mie parole, ma
quelle dello stesso Signore e Salvatore, quando dice: In verità vi dico: io e il Padre ver-
remo e faremo dimora e ceneremo presso di lui (Gv 14, 23; Ap 3, 20). Presso di chi?
Certamente presso colui che custodisce i suoi comandamenti (1Gv 3, 22)» (tr. Scognami-
glio-Danieli, 260-261). Di particolare interesse è HIs II, 2 che premette la seguente rifles-
sione a Ap 3, 20: «questo Emmanuele, nato dalla Vergine, mangia burro e miele (cfr. Is 7,
14-15) e cerca da ognuno di noi “burro da mangiare”. Il discorso mostrerà in che modo
egli cerchi da ciascuno di noi “burro e miele”! Le nostre opere dolci, le nostre parole più
soavi e buone, sono il “miele” che “mangia” l’Emmanuele, che “mangia” il Nato dalla
Vergine; ma se i nostri discorsi sono pieni di amarezza, di ira, di animosità, di tristezza, di
parole turpi, di vizi, di contese [...] da questi discorsi non “mangia” il Salvatore!» (tr. Da-
nieli, 83). Si veda anche la spiegazione del «pesce arrostito» di cui Gesù si nutre con i di-
scepoli dopo la resurrezione (Lc 24, 42): ajpodexavmeno" h}n ejduvnanto ejk mevrou" ajpag-
gei'lai aujtw/' peri; tou' patro;" qeologivan (CMt XI, 2 [36, 4-5]).
685 Cfr. HLv VII, 5 (386, 8-13; 387, 2-5): «Ogni uomo ha in sé un cibo che può of-
frire al prossimo che gli si avvicina. Non può infatti accadere che, quando noi uomini ci
avviciniamo l’un l’altro e intrecciamo un discorso, non riceviamo o porgiamo fra noi un
qualche gusto o per la risposta, o per la domanda, o per un qualche gesto. [...] In secondo
luogo, dopo la sua carne [scil. di Gesù], sono cibo puro Pietro, Paolo e tutti gli apostoli; in
terzo luogo i suoi discepoli. Così ognuno, per l’abbondanza dei meriti o la purezza dei
sentimenti, diviene cibo puro per il suo prossimo» (tr. Danieli, 165-166). Si veda anche
HGn X, 3 (96, 5-12): «Vide ergo ne forte, sicut et Dominus Iesus, cum ipse sit panis vitae
et ipse pascat animas esurientes, ipse rursus esurire se fatetur, cum dicit: esurivi, et dedisti
mihi manducare (Mt 25, 35) et iterum, cum ipse sit aqua viva et potum det omnibus si-
tientibus, rursum ipse dicit ad Samaritanam: da mihi bibere (Gv 4, 7): sic et propheticus
sermo, cum ipse potum det sitientibus, nihilominus ipse ab his potari dicitur cum studio-
sorum exercitia et vigilantias suscipit».
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 227
nella contemplazione del Padre e, grazie ad essa, si manifesta nella sua
superiorità ontologica rispetto agli altri esseri686.
C’è infine una terza prospettiva dalla quale Origene guarda alla do-
manda del «pane»: essa echeggia già indirettamente nella spiegazione al-
ternativa del termine ejpiouvsio" in chiave escatologica («il pane del mondo
che verrà»), ma è affrontata in recto nel commento alle due espressioni tem-
porali che accompagnano la richiesta, rispettivamente in Matteo (Mt 6,
11: shvmeron, «oggi») e in Luca (Lc 11, 3: kaq∆ hJmevran, «ogni giorno»)687 .
È una riflessione sul tempo, come la cornice della vita dell’uomo e la di-
mensione entro la quale si gioca la storia della salvezza. L’Alessandrino
non si accontenta delle interpretazioni più immediate (quale l’idea che
«oggi» significa nell’uso scritturistico tutto il tempo fino al presente, lad-
dove «ieri» designa il tempo trascorso)688, ma si lascia andare ad un in-
ventario piuttosto ampio del linguaggio temporale nella Bibbia: questi
termini, si chiede Origene, sono da riferirsi tutti agli «eoni»?689 La rasse-
gna sembra soprattutto prefiggersi lo scopo di mettere in evidenza la dif-
ficoltà dell’argomento, in vista della necessità di offrirne un’interpreta-
zione spirituale con Eb 10, 1 («la legge possiede solo un’ombra dei beni
futuri»). In un crescendo di domande l’esemplificazione perviene al rico-
noscimento che solo il Padre conosce il mistero dell’economia dei tempi
e colui che ha contemplato le Sue disposizioni nell’intimo690. Ma tale
––––––––––––––––––
686 HEz XIV, 3 (453, 30-32): «Excellens quippe ab universa conditione natura eius
et ab omnibus segregata facit cum cotidianum panem de Patris natura comedere».
687 FrLc 180 (302, 1-2) riporta Lc 11, 3 secondo la variante di Marcione: to;n a[rton
sou to;n ejpiouvsion divdou hJmi'n to; kaq∆ hJmevran (su cui si veda Amphoux, 157, 160). Orat
XXVII, 17, dove lo si confronta brevemente con Mt 6, 11, tralascia questo punto.
688 Cfr. Orat XXVII, 13 (372, 10-11): e[qo" dh; pollacou' tw'n grafw'n to;n pavnta
aijw'na shvmeron kalei'sqai; (17-18) eij de; shvmeron oJ pa'" ou|to" aijw;n, mhv pote ejcqe;" oJ
parelhluqwv" ejstin aijwvn. Ritroviamo la stessa idea in CIo XXXII, 32, 396-397: «nella
Scrittura l’espressione “oggi” si estende spesso fino a comprendere la totalità del tempo di
questo mondo attuale (aijwvn), come, ad esempio, anche in questi passi: Questa diceria si è
diffusa tra i Giudei fino a oggi (Mt 28, 15); Questi fu il capostipite dei Moabiti, [che esi-
stono] fino al giorno d’oggi (Gn 19, 37); Se oggi doveste udire la sua voce, [non ostina-
tevi nei vostri cuori] (Sal 94[95], 8); [Oggi] non allontanatevi dal Signore! (Gs 22, 19). A
colui che l’aveva pregato di ricordarsi di lui nel regno di Dio, Gesù promette, con questa
espressione “oggi” (cfr. Lc 23, 43), che ancora durante l’ “eone” attuale, prima di quello
futuro, l’avrebbe fatto essere con lui nel regno di Dio» (tr. Corsini, 809). Il dossier scrit-
turistico è pressoché identico, dato che in Orat XXVII, 13 troviamo nell’ordine Gn 19, 37-
38; Mt 28, 15; Sal 94(95), 8; Gs 22, 16. 18. 19. Cfr. anche CMt XV, 31; HIer XIX, 14 (170,
11-12): shvmeron dev ejsti pa'" ou|to" oJ aijwvn. Sull’accezione di aijwvn come «tempo» o
«mondo», cfr. Monaci Castagno 2000c; Ramelli.
689 Orat XXVII, 14 (373, 3-5): ejxetastevon eij ejpi; aijw'na" ajnafevrontai oiJ lovgoi
tw'n kata; ta;" «hJmevra"» h] «mh'na"» h] «kairou;"» h] «ejniautou;"» ajnagegrammevnwn eJor-
tw'n h] panhguvrewn.
690 Orat XXVII, 14 (373, 19-25): e[sti dev ti" kai; ajnwtevrw th'" dia; eJpta; ejtw'n eJor-
th'" oJ kalouvmeno" ∆Iwbhlai'o", o{ntina ka]n ejpi; poso;n fantasqh'nai ei\naiv ti tranw'" h]
228 Parte prima, Capitolo sesto
mistero racchiude per Origene (con evidente allusione alla discussa dottri-
na dell’apocatastasi), nel succedersi degli «eoni», la manifestazione piena
della misericordia divina verso tutti i peccatori. Non a caso l’Alessandrino,
consapevole dell’ardire di queste sue riflessioni, mette qui in campo la pro-
pria soggettività d’interprete intervenendo in prima persona con un inter-
rogativo che dichiara di essersi posto numerose volte: come conciliare fra
loro Eb 9, 26 («una volta sola ora, nella pienezza dei tempi, è apparso per
annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso») e Ef 2, 7 («per mo-
strare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante
la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù»)? 691 Ora, se s’intende l’espres-
sione «pienezza dei tempi» (suntevleia tw'n aijwvnwn) come «un anno di
eoni», per analogia con i mesi dell’anno l’ultimo di essi prelude a un nuovo
inizio. Così, nel piano temporale di Dio, i nuovi eoni manifesteranno la
sovrabbondanza della sua grazia, nella misteriosa economia provvidenzia-
le disposta da Lui per la salvezza anche dei peccatori più incalliti692 .
Allora la quarta domanda del Padrenostro sollecita l’orante a disfarsi
ulteriormente dei suoi concetti più meschini e riduttivi per affacciarsi sul-
l’orizzonte vertiginoso del disegno divino di salvezza. È un esercizio di
––––––––––––––––––
tou;" ejn aujtw'/ novmou" plhrwqhsomevnou" ajlhqinou;" [ajlhqinw'" BKV, 108 n. 2] oujdenov"
ejsti <plh;n> tou' th;n patrikh;n boulh;n peri; th'" ejn a{pasi toi'" aijw'si diatavxew" kata;
«ta;» « ajnexereuvnhta» «aujtou'» « krivmata» kai; ta;" ajnexicniavstou" aujtou' oJdou;"
teqewrhkovto" (cfr. Rm 11, 33). CMt XV, 31 tocca le stesse tematiche, identificando bibli-
camente un «giorno» con un «eone» e rilevando nuovamente lo sconfinato mistero del
tempo e della salvezza racchiusa in esso: «Chi dunque è capace di riferire a questi giorni
anche i sei e il settimo del riposo, e dopo i sabati, le neomenie, e nel primo mese le festi-
vità, e nel quattordicesimo giorno del mese la Pasqua e nei seguenti gli azzimi? Analoga-
mente, uno così potrebbe precipitare in un abisso di pensieri cercando di dare un senso a
tutte le altre feste a seconda di questi giorni, e anche dell’intero anno sabbatico durante il
quale Dio dona ai poveri, agli stranieri e agli animali tutti i frutti prodotti dalla coltiva-
zione precedente, durante il tempo in cui <la terra> resta incolta. Ma chi potrà elevarsi al-
l’abisso dei giorni del cinquantesimo anno (dico “abisso” a motivo della profondità degli
insegnamenti) per elevarsi alla contemplazione del cinquantesimo anno e del compiersi
delle realtà in esso stabilite dalla Legge?» (tr. Scognamiglio, 268).
691 Orat XXVII, 15 (374, 1-9): pollavki" dev moi ejph'lqen ajporei'n, sugkrouvonti duvo
levxei" ajpostolika;", pw'" suntevleia «aijwvnwn» ejsti;n, ejf∆ h|/ «a{pax» «eij" ajqevthsin tw'n
aJmartiw'n» ∆Ihsou'" «pefanevrwtai», eij mevllousin ei\nai aijw'ne" meta; tou'ton ejpercovme-
noi. [...] kai; peri; thlikouvtwn stocazovmeno" nomivzw o{ti...
692 Orat XXVII, 15 (374, 11-18): ou{tw mhv pote, pleiovnwn aijwvnwn oiJonei; ejniauto;n
aijwvnwn sumplhrouvntwn, suntevleiav ejstin oJ ejnestw;" aijw;n, meq∆ o}n mevllontev" tine" aijw'-
ne" ejnsthvsontai, w|n ajrchv ejstin oJ mevllwn, kai; ejn ejkeivnoi" toi'" mevllousin ejndeivxetai
oJ qeo;" to;n plou'ton th'" cavrito" aujtou' ejn crhstovthti: tou' aJmartwlotavtou kai; eij" to;
a{gion pneu'ma dusfhmhvsanto" kratoumevnou para; th'" aJmartiva" ejn o{lw/ tw'/ ejnestw'ti
aijw'ni kai; ajrch'qen mevcri tevlou" tw'/ mevllonti meta; tau'ta oujk oi\d∆ o{pw" oijkonomhsomev-
nou. Jay, 181, nota 6 osserva che «the whole phrase [...] is a hint at Origen’s speculation
that the Devil will eventually be saved». Analoga linea argomentativa viene proposta in
CMt XV , 31, anche se qui si parla più genericamente della manifestazione della bontà
divina «a coloro cui [Dio] sa di doverla mostrare» (tr. Scognamiglio, 269).
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 229
“trascendimento” del quotidiano onde cogliere il senso nascosto della
storia del mondo e la sua chiave risolutiva nell’amore sconfinato di Dio.
Come tale, esso conduce a celebrare Colui che ha disposto questo piano
benefico693 . Proprio guardando a questo orizzonte colui che prega s’im-
pegnerà a rendersi degno di ricevere il pane ejpiouvsio" non solo per
l’«oggi», nella vita del mondo attuale, ma anche «ogni giorno», cioè nel
susseguirsi degli «eoni» in cui Dio sovrabbonderà con la sua misericordia
verso ogni creatura, aldilà di ogni possibile immaginazione umana694.
Dopo aver così focalizzato il discorso dei doveri, Origene accenna più
brevemente al discorso dei diritti. Nella rete di responsabilità, che lega
ciascuno di noi all’altro, siamo anche creditori a vario titolo nei confronti
del prossimo, specialmente quando il debito che esso ha verso di noi non
––––––––––––––––––
698 Orat XXVIII, 4 (377, 24-28): kai; tiv me dei' levgein, paro;n ta; eJautw'n ajnalevge-
sqai ejk tw'n eijrhmevnwn tou;" ejntugcavnonta" th'/de th'/ grafh'/, o{sa ojfeivlonte" h[toi mh;
ajpodidovnte" katasceqhsovmeqa h] ajpodidovnte" ejleuqerwqhsovmeqa… plh;n oujk e[stin ejn
tw'/ bivw/ o[nta pavsh" w{ra" nukto;" kai; hJmevra" mh; ojfeivlein. Il ragionamento esposto qui a
proposito delle responsabilità ecclesiali, in un crescendo che va dalla vedova al vescovo,
richiama l’analoga scala di doveri presente in HIer XI, 3: «Anche da voi e da noi il Verbo
esige una vita buona, ma se bisogna dire così: I forti saranno fortemente esaminati (Sap 6,
6), da me si esige più che da un diacono, da un diacono più che da un fedele, e da colui al
quale è stato affidato lo stesso governo ecclesiastico si esige ancora di più» (tr. Mortari,
135). Cfr. anche HEz V, 4. D’altra parte, in H38Ps I, 3 (328, 5-9) Origene ripropone, in
termini non meno impegnativi, la responsabilità morale che grava su ogni istante della
vita, in questo caso per la custodia della parola (Sal 38[39], 2): «multorum peccatorum
initium est sermo et os nostrum multis malis ministrat et valde difficile est inveniri homi-
nem, qui una saltem hora os suum et linguam suam observet a peccato».
699 Cfr. in proposito le osservazioni di Lugaresi 2003b, 663, del quale riprendo la
traduzione.
232 Parte prima, Capitolo sesto
viene saldato (Orat XXVIII, 5). Ma il Padrenostro ci impegna, secondo
Origene, a far valere tali diritti senza dimenticare i nostri doveri. Ciò vale
significativamente anche per colui che eventualmente ha saldato tutti i de-
biti, dal momento che pure lui ha bisogno di una «remissione» per il tempo
in cui è stato ancora debitore; di ciò rimane comunque traccia, come in un
libro scritto, nel nostro hJgemonikovn per il giorno in cui ci presenteremo al
tribunale di Cristo700 . Sapendoci dunque nel contempo debitori, siamo gui-
dati ad una prassi insieme di responsabilizzazione e di misericordia:
«Ricordandoci infatti di non aver pagato i debiti che avevamo, anzi di aver com-
messo una frode essendo passato il tempo in cui bisognava che li avessimo estin-
ti nei riguardi del nostro prossimo, saremo più miti verso coloro che erano nostri
debitori e non hanno soddisfatto il debito. Soprattutto se non dimentichiamo le
nostre trasgressioni contro la legge di Dio e le parole d’ingiustizia pronunziate
contro l’Altissimo, sia per ignoranza della verità sia per mala sopportazione degli
eventi dipendenti dalle circostanze» (Orat XXVIII, 6)701.
––––––––––––––––––
700 Orat XXVIII, 5 (378, 8-13): au|tai de; aiJ paravnomoi ejnevrgeiai, ejn tw'/ hJgemo-
nikw'/ tupouvmenai, to; kaq∆ hJmw'n givnontai ceirovgrafon (Col 2, 14), ajf∆ ou| dikasqhsov-
meqa, divkhn bivblwn tw'n uJpo; pavntwn, i{n∆ ou{tw" ei[pw, keceirografhmevnwn proacqhso-
mevnwn, o{te pavnte" parasthsovmeqa tw'/ bhvmati (Rm 14, 10) tou' Cristou', i{na komivshtai
e{kasto" ta; dia; tou' swvmato" pro;" a} e[praxen, ei[te ajgaqo;n ei[te fau'lon (2Cor 5, 10).
Sulla traccia lasciata dai peccati in vista del giudizio divino, cfr. HGn XIII, 4 (120, 16-18):
«Istud, quod dicit chirographum, peccatorum nostrorum cautio fuit. Unusquisque etenim
nostrum in his quae delinquit efficitur debitor et peccati sui litteras scribit». Si veda anche
HIer XVI, 10: «Che i peccati che commettiamo si iscrivano in noi per il semplice fatto di
commetterli, lo mostrerà l’esperienza. Non ero consapevole di questa azione o di quel
peccato. Ma, una volta commesso, porto la sua impronta e l’impronta del peccato da me
commesso si iscrive in qualche modo nella mia anima» (tr. Mortari, 210).
701 Ritorna in questo passo (Orat XXVIII, 6 [379, 2-5]) il termine dusarevsthsi" (eja;n
mh; ejpilanqanwvmeqa tw'n eij" to; qei'on hJmi'n paranenomhmevnwn kai; th'" eij" to; u{yo" [Sal
72(73), 8] ajdikiva" hJmi'n lelalhmevnh" h[toi kata; a[gnoian th'" ajlhqeiva" h] kata; dusarev-
sthsin th;n pro;" ta; sumbavnta hJmi'n peristatikav), che compare anche in precedenza (cfr.
Orat X , 1 [319, 22-23]: pa'san th;n pro;" th;n provnoian dusarevsthsin, pri;n eu[xasqai,
ajpobeblhkwv"). L’Alessandrino si serve anche della forma verbale dusarestou'mai per
esprimere l’idea di una “scontentezza” occulta o “malumore” verso la provvidenza (Orat
X, 1 [320, 1-4]: gogguvzousin oiJ mh; tolmw'nte" me;n fwnh'/ kai; o{lh/ yuch'/ kakologei'n ejpi;
toi'" sumbaivnousi th;n provnoian oiJonei; de; boulovmenoi kai; to;n tw'n o{lwn kuvrion ejf∆ oi|"
dusarestou'ntai laqei'n; cfr. anche XIII, 4 [329, 9-10]: mh; dusarestouvmeno" th'/ crh-
stovthti tou' qeou'). Come mostra CMt XVI, 29 (573, 9-26), questa “scontentezza” si con-
trappone alla “gioia” che è frutto dello Spirito: «Portare infatti quel frutto dello Spirito che
è la gioia, quando nessuno provoca in noi tristezza e dispiacere (mhdeno;" ejpi; to; lupei'-
sqai prokaloumevnou kai; dusaresqei'sqai), non è difficile. Ma quando le circostanze
provocano alla sofferenza, all’angustia ed ai dispiaceri (dusarevsthsin), e per l’aiuto del
Logos uno sia progredito al punto di essere lieto anche nei momenti di apparente tristezza
(th'" dokouvsh" dusaresthvsew"), e rallegrarsi di essere oltraggiato e flagellato e insomma
portare in mente, in ogni momento critico, l’esortazione: rallegratevi sempre (1Ts 5, 16),
costui sarà beato, portando un frutto, la gioia, anche se quello non è “tempo dei fichi” (cfr.
Mc 11, 13)» (tr. Scognamiglio, 121). Per lo stesso motivo, ma con diversa terminologia,
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 233
L’incapacità di riconoscere da parte nostra il segno di Dio in tutte le
vicende della vita non può non radicare ancor più in profondità l’equa-
zione fra uomo e «debitore» o, in ultima analisi, fra uomo e «peccatore» –
com’è illustrato di seguito, senza bisogno di ulteriori spiegazioni – dal ri-
chiamo alla parabola del debitore impietoso (Mt 18, 23-35)702. In questo
senso, si può ben dire che nell’interpretazione origeniana la quinta doman-
da del Padre nostro esprime l’esigenza di conversione che sempre accom-
pagna il cammino di colui che è chiamato a diventare figlio di Dio703 .
––––––––––––––––––
cfr. anche CIo XX, 36, 333: «O quando, abbattuti e rabbuiati, ci lasciamo trascinare dal
dolore, fino a perdere quel senso di letizia proprio di chi è dotato di logos (to; i[dion tw'n
logikw'n gau'ron), dimenticando che senza [il volere di] Dio neppure un passero cade nel
laccio e che giusti sono i [suoi] giudizi su ogni singola cosa che capita agli uomini?» (tr.
Corsini, 669-670).
702 Il significato generale della parabola, com’è chiarito in CMt XIV, 6 sottolinea il
valore dell’ajmnhsikakiva , prerequisito indispensabile – come sappiamo (cfr. supra, nota
486): «L’intenzione generale della parabola è quella di insegnarci ad essere indulgenti
verso le colpe commesse dalle persone che ci hanno fatto torto, specialmente se dopo il
torto commesso, il colpevole supplicasse l’offeso, chiedendogli di perdonargli le colpe
passate. La parabola intende altresì darci questo insegnamento e farci capire che dovremo
scontare anche le colpe che Dio ci ha già perdonate, di cui abbiamo avuto la remissione,
se dopo la remissione non avremo assolto a nostra volta le colpe di quelli che ci hanno of-
feso, sì da non lasciare sussistere in noi il benché minimo ricordo del torto ricevuto. Ma è
con tutto il cuore, reso più forte da assenza di rancore (uJpo; ajmnhsikakiva" wjfelhmevnh/ )
[...] che dovremo perdonare a chi ci ha offeso il male commesso intenzionalmente contro
uno di noi» (tr. Scognamiglio, 116-117).
703 Che la quinta domanda sia specificamente legata alla condizione del peccatore
lo si ricava da FrIo 70 (538, 15-20): pw'" dev, eij aJmartwlo;n oujk h[kousen oJ qeov", ejdidav-
skonto oiJ aJmartwloi; levgein: “Afe" hJmi'n ta; paraptwvmata hJmw'n, wJ" kai; hJmei'" ajfivemen
toi'" ojfeilevtai" hJmw'n… tivnwn ou\n ajkouvei qeov"… tw'n neuovntwn eij" metavnoian, ka]n mhvpw
ejpauvsanto tou' ei\nai aJmartwloiv. eij mh; h[kouen oJ qeo;" aJmartwlw'n, oujk a]n meta; te-
lwnw'n kai; aJmartwlw'n oJ swth;r hJmw'n h[sqien kai; e[pinen. Va vista in questa linea anche
la polemica di Origene contro la facilità con cui i presbiteri si arrogano il potere di rimet-
tere peccati “mortali” (Orat XXVIII, 10): «Die Sinnspitze der Argumentation zielt nicht auf
die Unvergebbarkeit von Todsünden, sondern vielemehr auf die Amtsanmaßung von Pres-
bytern, die möglicherweise sogar aus Unkenntnis geschieht und darin besteht, daß diese
den notwendigen Zusammenhang von kirchlicher Buße, Bußgesinnung und Gebet ausei-
nanderreißen» (Stritzky, 171). Origene insomma non afferma l’esistenza di peccati irre-
missibili, bensì insiste perché il perdono dei peccati sia accompagnato da serio penti-
mento e da adeguata penitenza (si veda CC III, 51; CMt XIII, 30; cfr. anche Perrone 2000b,
348 con il rinvio ai passi in cui Origene prevede una possibilità di penitenza anche per i
«peccati mortali»). D’altra parte, CMt XII , 14 mette in guardia dalle pretese di «legare e
sciogliere» per quei ministri che non siano come Pietro. Orat non sviluppa invece la pro-
spettiva della remissione dei peccati assicurata dalla riconciliazione fraterna, com’è in-
vece descritta da HLv II, 4 (296, 4-9): «Quarta nobis fit remissio peccatorum per hoc,
quod et nos remittimus peccata fratribus nostris; sic enim dicit ipse Dominus et Salvator
quia: Si remiseritis fratribus vestris ex corde peccata ipsorum, et vobis remittet Pater ve-
ster peccata vestra. Quod si non remiseritis fratribus vestris ex corde, nec vobis remittet
Pater vester (Mt 6, 14-15), et sicut in oratione nos dicere docuit: Remitte nobis...».
234 Parte prima, Capitolo sesto
8. Il passaggio obbligato della prova: la richiesta per non soccombere
alla tentazione
Ora, se Dio sembra lasciare che l’uomo cada nella perdizione, Egli
lo fa con un intento preciso. Come mostrano le guarigioni troppo repenti-
ne, che danno invece luogo a ricadute ancor più gravi, l’esperienza stessa
del male, nell’apparente abbandono di Dio, si tramuta in una battuta d’ar-
resto temporanea, preludio a una rinascita nel bene; il peccatore, lasciato
a se stesso, giungerà prima o poi ad avere nausea del male e a desiderare
nuovamente il bene. Per illustrare questa idea “terapeutica” della prova,
che tradisce un evidente ottimismo soteriologico, Origene si serve di esem-
pi biblici, in particolare l’episodio delle carni di cui Dio nutre il popolo di
Israele nel deserto, dopo le sue lamentele, finché esse gli vengono a nau-
sea (Nm 11), o il racconto dell’Esodo ove si narra l’indurimento del cuore
del Faraone ad opera di Dio (Orat XXIX, 15-16)717 . L’uno e l’altro esem-
pio servono a giustificare la necessità di pregare, secondo il Padrenostro,
affinché non agiamo in alcun modo per «entrare in tentazione»718.
––––––––––––––––––
passi (XXIX , 13 [387, 25-26]: qewrhtevon eij kai; hJmei'" euJrivskomen ajxiolovgou" tw'n ajpem-
favsewn luvsei"; XXIX, 14 [388, 29-31]: i[dwmen ou\n th;n iJstorivan, eij crhsivmw" uJmi'n pa-
rebavlomen aujth;n pro;" luvsin tou' ajpemfaivnonto" ejn tw'/ mh; eijsenevgkh/" hJma'" eij" peira-
smo;n kai; ejn tai'" ajpostolikai'" levxesin).
716 Sull’idea origeniana di provvidenza, si veda Perrone 2000d, con la bibliografia
ivi indicata.
717 Riguardo al secondo tema, già ampiamente trattato in Prin III, 1, si veda Il cuore
indurito del Faraone. Origene e il problema del libero arbitrio (= Perrone 1992a). L’in-
terpretazione di Nm 11 in Orat XXIX, 14 offre il modello più generale di spiegazione, che
si applica anche a 1 Rm 1, 28 (Orat XXIX, 15). Sul valore formativo delle tentazioni, per
chi pure si è già inoltrato sul cammino di perfezione, insiste HNm XXVII, 12 (274, 14-19):
«Quid est hoc, quod quamvis grandes habeat anima profectus, tamen tentationes ab ea
non auferuntur? Unde apparet quia velut custodia quaedam et munimen ei tentationes
adhibentur. Sicut enim caro, si sale non adspergatur, quamvis sit magna et praecipua, cor-
rumpitur, ita et anima, nisi tentationibus assiduis quodammodo saliatur, continuo resolvi-
tur ac relaxatur».
718 Orat XXIX , 16 (391, 17-23): eujcwvmeqa mhde;n a[xion poih'sai tou' uJpo; th'"
dikaiva" krivsew" tou' qeou' eijsenecqh'nai eij" to;n peirasmovn (cfr. Mt 6, 13; Lc 11, 4),
eijsferomevnou pantov" te tou' paradidomevnou uJpo; tou' qeou' ejn tai'" ejpiqumivai" th'" kar-
diva" eJautou' eij" ajkaqarsivan (cfr. Rm 1, 24) kai; panto;" tou' paradidomevnou eij" pavqh
ajtimiva" (cfr. Rm 1, 26) kai; panto;" tou', kaqw;" oujk ejdokivmase to;n qeo;n e[cein ejn eJautw',/
paradidomevnou eij" ajdovkimon nou'n, poiei'n ta; mh; kaqhvkonta (Rm 1, 28).
238 Parte prima, Capitolo sesto
Ma vi è anche una seconda spiegazione in positivo della tentazione:
oltre alla finalità medicinale essa riveste anche un valore diagnostico (Orat
XXIX, 17). La prova è l’occasione perché vengano allo scoperto le ricchez-
ze e i limiti della nostra anima, i doni accumulati dentro di essa grazie al-
l’aiuto di Dio e la malvagità che vi si è annidata a poco a poco, senza che
ce ne rendessimo conto. Se tutto ciò è noto a Dio, lo diventa anche a noi
per il tramite della tentazione, che ci pone dinanzi a noi stessi, nel bene e
nel male719 . Anche sotto questo profilo Origene riequilibra il registro dram-
matico dell’«agone» nel mondo, leggendolo nuovamente come espressio-
ne del rapporto di amore di Dio verso l’uomo. Ne consegue un’esortazione
a essere sì vigilanti ma anche fiduciosi nella lotta, che pure non dà tregua,
con le potenze del male:
«Perciò nelle pause della serie di tentazioni ergiamoci contro il pericolo che ci
sovrasta e siamo preparati a tutto quello che può accadere, affinché, qualunque
cosa accada, non veniamo trovati impreparati, ma ci mostriamo addestrati perfet-
tamente; quello, poi, che ci manca a causa dell’umana debolezza, dopo che avre-
mo fatto tutto ciò che dipende da noi, lo compirà Dio che volge tutte le cose al
bene di quelli che lo amano (Rm 8, 28) e li vede nella sua verace preveggenza
come saranno in futuro» (Orat XXIX, 19).
––––––––––––––––––
ajgw'na: e[dei ga;r th;n peri; tw'n triw'n pavlhn thrhqh'nai tw'/ swth'ri, h{ti" ejn toi'" trisi;n
eujaggelivoi" ajnagevgraptai, ta; triva nikhvsanto" tou' kata; to;n a[nqrwpon swth'ro" hJmw'n
nooumevnou to;n ejcqrovn. In H36Ps V, 7 (242, 59-61) la petizione è collegata alla minaccia
di essere requisiti dal diavolo e dagli spiriti peccatori al momento del giudizio: «et forte
propterea iubemur cum quodam mysterio etiam in oratione petere, dicentes: et libera nos
a malo». Per HLc XXXV, 5 (350, 27-29; 352, 8-12) l’uomo non può mai sfuggire alla
compagnia dell’Avversario: «Semper nobiscum est adversarius (cfr. Lc 12, 58): infelices
nos atque miserabiles! [...] Semper nobiscum adversarius graditur, nunquam nos deserit,
quaerit occasionem insidiarum, si quomodo nos subvertere queat et in principali cordis
nostri malam subiciat cogitationem».
722 Per l’interpretazione dei due passi giovannei si veda, ad esempio, HGn I , 2 (3,
24–4, 4): «Studeat ergo unusquisque vestrum divisor effici aquae eius quae est supra et
quae est subtus, quo scilicet spiritalis aquae intellectum et participium capiens eius quae
est supra firmamentum, flumina de ventre suo educat aquae vivae, salientis in vitam aeter-
nam, segregatus sine dubio et separatus ab ea aqua quae subtus est, id est aqua abyssi, in
qua tenebrae esse dicuntur, in qua princeps huius mundi et adversarius draco et angeli
eius habitant».
PARTE SECONDA
3.1. I trattati
3.1.1. I Principi
––––––––––––––––––
781 Dial 4 (63, 24-28): ∆Aei; prosfora; givnetai Qew/' pantokravtori dia; ∆Ihsou'
Cristou', wJ" prosfovrou tw/' Patri; th;n qeovthta aujtou': mh; di;" ajlla; Qew/' dia; Qeou' pro-
sfora; ginevsqw. Tolmhro;n dovxw levgein, eujcovmenoi ejmmevnein tai'" sunqhvkai". Scherer
traduce wJ" prosfovrou tw/' Patri; th;n qeovthta aujtou' con «en tant qu’il communique avec
le Père par sa divinité» (p. 63), ma la traduzione non convince (come anche PGL, 1185
s.v., che rende analogamente «related to, resembling»). Segue il tribolatissimo passo sulle
«convenzioni» o «patti» (sunqh'kai): secondo Scherer contra Capelle non sarebbe da in-
tendere come un richiamo alla rivolta contro il vescovo, bensì come appello al rispetto dei
ruoli di tutti nella preghiera collettiva (p. 64, nota 1).
782 Cfr. Fédou 1995, 294: «Ainsi, le fait que toute prière authentique s’adresse en
fin de compte au Père ne signifie nullement l’infériorité du Fils par rapport à Dieu; c’est
bien plutôt en raison même de sa divinité que le Fils apparaît comme le parfait et l’unique
Médiateur, comme celui qui transmet au Père la supplication des hommes et qui sans
cesse intercède en leur faveur».
783 Origene vi dedica i sermoni HNm XIII -XIX. Cfr. Baskin; Ferrari Toniolo; Simo-
netti 2004a. Come attesta HNm XV, 1 (128, 17-21), Origene in un caso non si attiene alle
letture fatte, onde commentare il testo per desiderio degli uditori: «Licet nos ordo lectio-
num, quae recitantur, de illis dicere magis exigat, quae lector explicuit, tamen quoniam
nonnulli fratrum deposcunt ea potius, quae de prophetia Balaam scripta sunt, ad sermo-
nem disputationis adduci, non ita ordini lectionum satisfacere aequum credidi, ut deside-
riis auditorum».
784 Dial 26 (104, 11-106, 16): Peri; touvtou tou' qanavtou Balaa;m profhteuvwn e[le-
gen eujcovmeno" ejn pneuvmati qeivw/: ∆Apoqavnoi hJ yuchv ªmouº ejn yucai'" dikaivwn (Nm 23,
«Come incenso al tuo cospetto» 263
espresso dall’indovino (che troverà conferma in Nm 31, 8, con la sua morte
ad opera degli Israeliti) si configura come una preghiera «nello Spirito» e
in quanto tale esemplifica anch’essa la «preghiera spirituale», secondo il
modello proposto da Orat. Balaam, infatti, per l’azione dello Spirito for-
mula la richiesta per un contenuto da vedersi alla stregua dei «beni grandi
e celesti» raccomandati nel trattato come l’oggetto proprio della pre-
ghiera spirituale: morire al peccato e vivere per Dio.
La vita in Dio è anche il motivo della conclusione parenetica di Dial
con la sua dossologia finale. Troviamo qui per la prima volta una moda-
lità ricorrente delle omelie: l’esortazione che al termine del sermone tra-
passa in una supplica a Dio per la comunità, conclusa dalla professione di
lode. Da questo punto di vista il nostro «trattato» può senz’altro essere
assimilato alla situazione omiletica, dove l’istanza esterna rappresentata
dall’uditorio interviene a vario titolo nelle manifestazioni di una prassi
orante, in particolare – come vedremo più avanti – all’inizio e alla fine
del sermone, ma a volte anche all’interno di esso. Elaborando qui con ac-
curatezza retorica la chiusa del suo discorso, sul motivo della «vita» – in
Dio e in Cristo –, opposta alla «morte», Origene arriva a pregare «perché
diventiamo una sola cosa con il Dio dell’universo e contempliamo il suo
Figlio unigenito [...] in Gesù Cristo, al quale è la gloria e la potenza per i
secoli dei secoli»785 .
Ma l’uditorio di Dial era già stato coinvolto e sollecitato a una prassi
orante in un altro frangente memorabile della disputa, segnato dall’urgen-
za emotiva di uno sfogo appassionato del dottore-predicatore in nome
dell’interpretazione spirituale della Scrittura. Prima di risolvere la questio-
ne sollevata dal vescovo Dionigi, un altro dei partecipanti al sinodo («For-
se che l’anima è il sangue?»), Origene promette d’impegnarsi a risponde-
re «con l’aiuto di Dio» (qeou' didovnto"), in conformità all’«auspicio» o
«richiesta» (kata; th;n eujch;n uJmw'n) che gli è stata rivolta786 . Quest’ultima
––––––––––––––––––
10a). Peri; touvtou tou' qanavtou pªaºradovxw" ejprofhvteusen oJ Balaavm, kai; eJautw/' ejn
lovgw/ qeou' ta; kavllista hu[ceto: hu[ceto ga;r th/' aJmartiva/ ajpoqanei'n i{na zh/vsh/ tw/' qew/'.
785 Dial 28 (108, 8-110, 17): ∆Epi; tauvthn th;n zwh;n speuvswmen, stenavzonte", lu-
pouvmenoi o{ti ejsme;n ejn tw/' skhnwvmati, o{ti ejndhmou'men ejn tw/' swvmati. O
{ son ejndhmou'men
ejn tw/' swvmati, ejkªdºhmou'men ajpo; tou' Kurivou (2Cor 5, 6). ∆Eªpipºoqhvswmen ejkdhmh'sai
ajpo; toªu' swvºmªato" kºai; ejndhmh'sai pro;" to;n ªKuvrionº (2Cor 5, 8), i{n∆ ejªndºhmou'nteª"º
aujtw/' genwvªmeºqa e}n pro;" to;n Qeo;n tw'n o{lwn ªkai;º to;n monogenh' aujtou' UiJo;n ªoJrw'menº
pro;" pavnta swzovmenoi kai; makavriªoi gºinovmenoi, ejn ∆Ihsou' Cristw/' w|/ hJ dovxa kai; to;
kravto" eij" tou;" aijwvna" tw'n aijwvnwn. ∆Amªhvºn. L’integrazione della lacuna nel papiro con
ªoJrw'menº è stata introdotta da Scherer a partire da Ambrogio, In Lucam VII , 38. Forse c’è
un’eco di Gv 17, 21, come vediamo anche dal confronto con EM 39 (cfr. supra, nota 775),
che farebbe eventualmente propendere per l’idea di «essere uno» con il Padre e con il suo
Figlio Unigenito.
786 Dial 11 (78, 4-6): Ta; rJhta; uJf∆ w|n perispw'ntai, mhv tiv me lavqh/ aujtw'n, prw'ton
ejkqhvsomai, kai; pro;" e{kaston, Qeou' didovnto", kata; th;n eujch;n uJmw'n ajpokrinouvmeqa.
264 Parte seconda, Capitolo settimo
locuzione lascia un’incertezza terminologica, riguardo alla valenza di
«auspicio» o «voto» o piuttosto quello di «preghiera», ma poco oltre tro-
viamo un appello al sostegno orante che sembra implicare anche il concor-
so della comunità: per Origene, l’interprete della Scrittura non può fare a
meno di «essere aiutato nella lettura delle parole divine» e se tale aiuto,
in ultima analisi, non può venire da altri che da Dio e dal suo dono di gra-
zia, la preghiera della comunità sostiene anch’essa gli sforzi del maestro-
commentatore invocando per lui l’ausilio divino787 . Questo nesso fra pre-
ghiera e esegesi della Scrittura rinvia – come vedremo ancora in seguito –
al contesto più frequente e consueto per la manifestazione di una prassi
orante in Origene stesso e nei suoi ascoltatori e/o lettori.
––––––––––––––––––
811 Cfr. VIII, 24 (= fr. VIII, 24 Bader). Fédou, 358-359 sottolinea l’importanza della
preghiera nelle manifestazioni del culto pagano.
812 CC VIII, 64 (280, 1-2): ”Ena ou\n to;n ejpi; pa'si qeo;n hJmi'n ejxeumenistevon kai;
tou'ton i{lew eujktevon ejxeumenizovmenon eujsebeiva/ kai; pavsh/ ajreth'/.
813 CC VIII, 56 (273, 4-9): oujde; ajpodivdomen ta;" nomizomevna" proshvkein tima;" oi|"
levgei Kevlso" ta; th'/de ejpitetravfqai. Kuvrion ga;r to;n qeo;n hJmw'n proskunou'men kai;
aujtw'/ movnw/ latreuvomen, eujcovmenoi mimhtai; Cristou' givnesqai, o}" tw'/ eijpovnti aujtw'/
diabovlw/: Tau'tav soi pavnta dwvsw, eja;n pesw;n proskunhvsh/" moi ei\pe tov: Kuvrion to;n
qeovn sou proskunhvsei" kai; aujtw'/ movnw/ latreuvsei" (Mt 4, 9-10).
814 Su questo tema si veda Perrone 1998b.
815 CC VII, 46 (197, 12-22): oiJ me;n dialoidorouvmenoi toi'" kata; duvnamin eij" to;n
tw'n o{lwn qeo;n eujsebei'n qevlousin, ajpodecovmenon ijdiwtw'n th;n eij" aujto;n pivstin kai;
sunetwtevrwn th;n meta; lovgou eij" aujto;n eujsevbeian, met∆ eujcaristiva" ejnapempovntwn
eujca;" tw'/ dhmiourgw'/ tou' panto;" kai; ajnapempovntwn aujta;" wJ" di∆ ajrcierevw" tou' th;n eij-
likrinh' qeosevbeian ajnqrwvpoi" parasthvsanto".
816 Sull’eujcaristiva come preghiera cfr. supra, pp. 127-128, 131-132, 139.
817 CC VII, 46 (197, 27-28): ajnqrwvpou", eujcomevnou" ei\nai qeou'; (198, 17-20) Kai;
oujc i{stantaiv ge ajnabavnte" ajpo; tw'n tou' kovsmou ktismavtwn ejn toi'" ajoravtoi" tou' qeou':
«Come incenso al tuo cospetto» 273
messa al Logos: i seguaci di Cristo, quando pregano, allontanano dalla loro
mente ogni passione o desiderio per offrire il proprio culto a Dio818. E
allorché si sforzano di essere puri e interamente dediti a Lui, la preghiera
giunge ad attuare il coinvolgimento armonioso di tutte le componenti
dell’uomo, così che questi prega non solo con lo «spirito» e con l’«anima»,
ma anche con il «corpo» e questo stato di profonda coesione interiore è ri-
compensato dall’aiuto di Dio mediante il dono dello Spirito819 . Per questa
via, la preghiera non solo diviene secondo Origene una prova decisiva del
discorso apologetico sul cristianesimo in quanto vera religione, ma essa
ricapitola anche lo scopo fondamentale della vita cristiana: la «familiarità»
con Dio e l’unione con Lui attraverso il Logos820 .
3.2. I commentari
3.2.1.1. L’invocazione a Dio per la venuta del Logos come «maestro dei
misteri»
––––––––––––––––––
855 CIo VI, 51, 267 (160, 24-26): To; de; kaq∆ e}n dunhqh'nai touvtwn euJrovnta ejkla-
bei'n th;n dia; ∆Ihsou' Cristou' gegenhmevnhn tou' pneumatikou' novmou ajlhvqeian, sfovdra
mei'zon tugcavnon th'" ajnqrwpivnh" fuvsew", oujdeno;" a[llou e[rgon h] tou' teleivou ejstivn
(tr. Corsini, 367). Dello stesso tenore è il passo in CIo X, 15, 85 (185, 24-31): «Spiegare
però in che modo noi celebreremo le festività nelle cose celesti (di cui c’era un’ombra
presso i Giudei corporei), dopo esser stati educati in precedenza da pedagoghi sotto la
vera legge, sottostando a tutori e amministratori fino a che giungesse la pienezza del tempo,
e in che modo noi potremo accogliere la perfezione del Figlio di Dio, questo è compito di
quella sapienza avvolta nel mistero (e[rgon sofiva" th'" ejn musthrivw/ ajpokekrummevnh"
ejsti;n fanerw'sai), a cui spetta pure di contemplare le prescrizioni relative ai cibi, meri
simboli di quelli che dovranno nutrire e corroborare la nostra anima» (tr. Corsini, 400).
856 CIo X, 1, 2 (171, 6-): «Quanto a me, ti ho parlato di queste cose all’inizio del li-
bro decimo, appunto perché ho notato spesso come nella Scrittura il numero dieci goda di
un privilegio superiore [agli altri], come puoi renderti conto da solo se fai attenzione, tu
che ora speri di ricevere da Dio qualcosa di più anche per questo libro. E perché questo
avvenga, tentiamo per quanto è possibile di offrirci a Dio, che desidera donare le cose più
belle (kata; duvnamin ejmparevcein eJautou;" tw'/ dwrei'sqai ta; kavllista boulomevnw/ qew'/
peirwvmeqa)» (tr. Corsini, 380). L’«offerta di sé» a Dio figura già in CIo I, 2, 10, dove
Origene dichiara che vero «culto di Dio» e sacerdozio autentico è quello di coloro «che si
consacrano al Logos divino» (ibi, 118).
857 CIo X, 23, 131 (194, 24-28): Ta; de; kinou'nta hJma'" eij" th;n peri; touvtwn sumfw-
nivan, aijthvsante" to;n didovnta panti; tw'/ aijtou'nti kai; ojxevw" zhtei'n ajgwnizomevnw/, krouvon-
tev" te uJpe;r tou' ajnoicqh'nai hJmi'n tai'" th'" gnwvsew" kleisi;n ta; kekrummevna th'" grafh'",
to;n aujto;n kata; th;n didomevnhn hJmi'n duvnamin ejkqhsovmeqa trovpon (tr. Corsini, 411-412).
286 Parte seconda, Capitolo settimo
«Noi siamo persuasi che il sapere come stanno queste cose, essendo proprio di
quell’intelligenza che è data (nou' ajlhqou'" tou' doqevnto") a coloro che afferma-
no: Noi abbiamo la mentalità di Cristo, per conoscere i doni che Dio ci ha elar-
gito (1Cor 2, 16. 12), sia superiore alle nostre possibilità. Infatti la parte domi-
nante (to; hJgemonikovn) della nostra anima non è pura, né i nostri occhi sono quali
dovrebbero essere gli occhi della sposa bella di Cristo, di cui lo sposo dice: I tuoi
occhi [son] come colombe (Ct 1, 15), volendo forse con questo alludere alla ca-
pacità di distinguere le cose spirituali: il che è suffragato dal fatto che appunto
anche lo Spirito santo è venuto sul Signore Gesù e sul Signore che è in ciascuno
[dei fedeli] (ejpi; to;n kuvrion <∆Ihsou'n> kai; to;n ejn eJkavstw/ kuvrion) sotto forma
di colomba. E tuttavia, pur essendo in queste condizioni, non rinunzieremo, trat-
tando le parole della vita che ci sono riferite, al tentativo di appropriarci della
loro virtù che fluisce in chi le tocca con fede»858 .
Il bisogno della «mente di Cristo» e dello «spirito di sapienza» è ri-
badito ancora una volta in questo stesso libro che ne riunisce parecchie
attestazioni, allorché Origene si sforza di chiarire l’idea del Tempio come
«casa di Dio» a commento di Gv 2, 21-22 («Ma egli parlava del tempio
del suo corpo. E quando fu risuscitato dai morti, i discepoli si ricordarono
che aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola detta da
Gesù»). Ma nemmeno qui l’avvertenza cautelativa secondo cui «tali argo-
menti [...] sono molto al di sopra della natura umana» spinge Origene ad
invocare espressamente l’aiuto divino, «pur essendo consapevoli – come
egli ammette – di aver bisogno noi stessi della sapienza di quello Spirito
che non è dato a tutti»859.
Anche nel libro XIII e nel XIX l’atteggiamento dell’Alessandrino non
cambia. Dobbiamo dunque attendere fino al XX libro per trovare quello
che si potrebbe definire un prologo «in forma di preghiera», non troppo
dissimile da quanto abbiamo visto con il proemio di CC IV 860 . Esso si di-
spone, per così dire, in due tempi: prima le intenzioni di preghiera e poi
la preghiera formulata direttamente, nella quale Origene, rivolgendosi
a Dio Padre, chiede di partecipare del suo Logos. Anche qui (come più
avanti, all’inizio del libro XXVIII ) si tratta insomma di una preghiera che
domanda l’intelligenza spirituale delle Scritture, secondo il modello ri-
corrente in special modo nelle omelie:
«Accingendoci a dettare questo libro XX sul vangelo di Giovanni, o Ambrogio
amantissimo di Dio e di quella scienza che si acquista nel Signore, noi preghia-
––––––––––––––––––
858 CIo X, 28, 172-173 (201, 11-22 [tr. Corsini, 420-421]). Sul requisito paolino del
nou'" Cristou' insiste da principio anche CIo I, 4, 24 (9, 8-11): To;n ga;r mevllonta tau'ta
ajkribw'" katalambavnein meta; ajlhqeiva" eijpei'n dei': ÔHmei'" de; nou'n Cristou' e[comen, i{na
eijdw'men ta; uJpo; tou' qeou' carisqevnta hJmi'n (1Cor 2, 16. 12). Origene ama combinare insie-
me 1Cor 2, 16 con il v. 12 (si vedano le attestazioni in Hannah, rispettivamente 46 e 41-42).
859 CIo X, 39, 266 (tr. Corsini, 441-442).
860 Cfr. supra, p. 266.
«Come incenso al tuo cospetto» 287
mo per ottenere dalla pienezza del Figlio di Dio, nel quale piacque [a Dio] di fare
abitare tutta la pienezza (cfr. Col 1, 19), pensieri pieni e, per così dire, compatti,
che non abbiano niente di vuoto, affinché il vangelo ci sia rivelato, in quei punti
che costituiscono l’oggetto della nostra indagine, in modo che noi non tralascia-
mo niente di ciò che esige d’esser sottoposto a un esame e a un commento scritto,
senza che questo peraltro risulti troppo prolisso o contenga interpretazioni
erronee del pensiero del nostro Salvatore Gesù. Possa Dio inviarci il Logos stesso,
che ci manifesti se stesso, sì che noi diveniamo, per un dono del Padre, contem-
platori della sua profondità»861 .
Ancora una volta colui che dona, in risposta alla domanda dell’uomo,
è indicato in Dio Padre, mentre il Figlio, invece di essere l’intermediario
della richiesta, appare come l’oggetto stesso di essa: è dal Logos divino,
quindi, che Origene si aspetta l’ammaestramento capace di guidarlo alla
comprensione della parola rivelata. In un solo caso, una domanda di natura
analoga trova formulazione mediante una preghiera al «medico delle fa-
coltà visive della nostra anima», perché «faccia di tutto per liberare dai
veli i nostri occhi, ancora coperti dall’ignominia della nostra malvagità»,
indirizzandosi apparentemente allo stesso Logos come «medico delle ani-
me»862 . Tuttavia, in apertura del libro XXXII, l’Alessandrino rinnova la
––––––––––––––––––
861 CIo XX , 1, 1 (327, 1-11): Eijkosto;n uJpagoreuvonte" eij" to; kata; ∆Iwavnnhn
eujaggevlion tovmon, filoqewvtate kai; filomaqevstate ejn kurivw/ ∆Ambrovsie, eujcovmeqa ejk
tou' plhrwvmato" tou' uiJou' tou' qeou', eij" o}n eujdovkhsen pa'n to; plhvrwma katoikh'sai,
labei'n nohvmata plhvrh kaiv, i{n∆ ou{tw" ei[pw, nasta; kai; mhde;n e[conta diavkenon, <i{na>
to; eujaggevlion kata; <ta;> ejxetazovmena hJmi'n ajpokalufqh'/, ªkai;º mhvte paraleipovntwn
ti hJmw'n tw'n deovntwn ejxetavzesqai kai; uJpomnhmatikoi'" gravmmasin pisteuvesqai, mhvte
wJ" ouj crh; pleonazovntwn, mhvte parekdecomevnwn to;n tou' swth'ro" hJmw'n ∆Ihsou' nou'n.
Qeo;" ou\n hJmi'n pevmyai aujto;n to;n lovgon, eJauto;n ejmfanivzonta, i{na tou' bavqou" aujtou',
dwroumevnou tou' patrov", qeatai; genwvmeqa (tr. Corsini, 601, con leggere modifiche). Sul
rilievo di questo prologo per l’analisi del commentario origeniano si veda Bastit; Perrone
2005b, 43-44. Di tenore simile è anche il prologo al XXVIII libro; cfr. CIo XXVIII, 1, 6
(389, 18-390, 2): «prima di accingerci all’esame dei versetti seguenti invocheremo Dio,
che è perfetto e largitore di perfezione, per mezzo del nostro perfetto Sommo Sacerdote
Gesù Cristo, affinché conceda alla nostra mente di scoprire la verità e la costituzione di
ciò che forma l’oggetto della nostra indagine (ejpikalesavmenoi to;n tevleion kai; teleiov-
thto" corhgo;n qeo;n dia; tou' teleivou ajrcierevw" hJmw'n ∆Ihsou' Cristou', i{n∆ hJmw'n to;n
nou'n dw/' euJrei'n th;n peri; tw'n ejxetasqhsomevnwn ajlhvqeian kai; kataskeuh;n aujtw'n)» (tr.
Corsini, 688).
862 CIo XX , 32, 285 (369, 14-21): «Se noi però, sulla scorta di quelle parole: Chi
crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio (1Gv 5, 1), comprendiamo a fondo che cosa si-
gnifica credere veramente e ci rendiamo conto di quanto siamo lontani da una fede sif-
fatta, rispondiamo in questo modo, pregando il medico delle facoltà visive della nostra
anima che nella sua sapienza e bontà faccia di tutto per liberare dai veli i nostri occhi, an-
cora coperti dall’ignominia della nostra malvagità (parakalou'nte" to;n tw'n th'" yuch'"
o[yew" ijatro;n th/' eJautou' sofiva/ kai; filanqrwpiva/ pavnta poih'sai ta; uJpe;r tou' ajpoka-
lufqh'nai tou;" ojfqalmou;" hJmw'n, e[ti kekalummevnou" uJpo; th'" dia; th;n kakivan ajtimiva"
hJmw'n), secondo quanto sta scritto: La nostra ignominia ci ha ricoperti (Ger 3, 25)» (tr.
288 Parte seconda, Capitolo settimo
supplica per l’assistenza del Logos: è una vera e propria preghiera perso-
nale, ancora più intensa di quella contenuta nel prologo di CIo XX, dato
anche il fatto che l’autore appare provato dal lungo cammino e ancor più
bisognoso della guida di Gesù per giungere a completare l’opera:
«Con l’aiuto di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo rende prospero il nostro cam-
mino (∆Apo; qeou' dia; ∆Ihsou' Cristou' eujodouvmenoi), inoltriamoci nella via del
vangelo, via grande e fonte di vita per noi, qualora sia da noi non soltanto cono-
sciuta ma anche percorsa fino a raggiungerne il termine. E ora che siamo giunti,
per così dire, alla trentaduesima stazione e ci accingiamo a questa nuova esposi-
zione, possa accompagnarci, o sacro fratello e uomo di Dio, Ambrogio, quella
colonna di nube luminosa (che è Gesù) (pareivh ge hJmi'n oJ stuvlo" th'" fwteinh'"
nefevlh" ∆Ihsou' ), precedendoci e arrestandosi quando occorre (cfr. Es 13, 21), sì
che possiamo percorrere tutto quanto il vangelo accompagnati da opportune ispi-
razioni al riguardo, senza scoraggiarci per la lunghezza del cammino né abbatter-
ci per la nostra debolezza, ma sforzandoci di seguire a ogni costo le orme della
colonna della verità. Dio solo sa se è sua intenzione permettere o no che la nostra
mente percorra fino in fondo per mezzo delle [sue] ispirazioni il cammino del
commento al vangelo di Giovanni. Quanto a noi, abitanti ancora nel corpo e pur
esuli da esso per abitare presso il Signore come siamo, cerchiamo solo di non cam-
minare fuori del vangelo, per poter godere, nel paradiso di Dio pieno di delizie,
anche di quelle opere e di quelle parole che comportano di essere beati» 863 .
Anche in questo caso Origene mostra come non sia mai possibile ri-
condurlo ad uno schema troppo rigido e fisso: è vero che all’inizio trovia-
mo la traccia del modello normativo («da Dio mediante Gesù Cristo»), ma
poi l’intenzione di preghiera si concentra sull’oggetto al punto da sugge-
rire anche il destinario più diretto: Gesù stesso. Da lui, infatti, ci si attende
che faccia luce e strada con la sua «colonna di verità». Se nel brano tra-
spare una spiritualità della preghiera, essa sembra tutta rivolta al rapporto
immediato con Gesù, che è lui stesso quella «via vivente» del vangelo che
il commentatore auspica di poter percorrere fino al termine 864 . Origene
––––––––––––––––––
Corsini, 660, con leggere modifiche). La metafora del medico può applicarsi sia a Dio sia
a Cristo, ma Fernández, 247, nota 117 riferisce il passo a Cristo. Ger 3, 25 è oggetto di
un’ampia spiegazione, in nesso con il «velo» di 2Cor 3, 15-16, in HIer V, 8-9. Il verbo
parakalou'nte" non è frequente nel linguaggio della preghiera, ma la sua accezione di
«pregare» è attestata anche dal seguito del passo (369, 21-22): ejpakouvsetai ga;r hJmw'n
oJmologouvntwn ta; ai[tia tou' mhdevpw hJma'" pisteuvein [...], «se infatti confesseremo le
cause per cui non crediamo, egli ci esaudirà» (tr. Corsini, 660).
863 CIo XXXII, 1, 1-4 (425, 1-17 [tr. Corsini, 735]). Per Monaci Castagno 2003, 183,
il prologo attesta «la completa sottomissione all’ispirazione divina», a riprova non solo di
una progettualità meno convinta di quella che emerge in CIo VI, ma anche dell’autonomia
di Origene dalle aspettative di Ambrogio.
864 Si noti che le immagini del prologo (in particolare, la «via») sembrano antici-
pare il commento della lavanda dei piedi (cfr. CIo XXXII, 7, 81 [437, 14-15]: oiJ de
maqhtai; tou' ∆Ihsou', i{na oJdeuvswsiv th;n zw'san kai; e[myucon oJdovn).
«Come incenso al tuo cospetto» 289
affida l’esaudimento del suo voto alla volontà imperscrutabile di Dio, da
cui sempre e soltanto dipende la concessione dei doni spirituali. Nel con-
tempo si sforza, per così dire, di fare la parte che gli compete, nel propi-
ziare la benevolenza divina, con lo sforzo di camminare secondo il van-
gelo, pur nella consapevolezza della debolezza del proprio corpo e della
condizione di esilio, illuminata di speranza dalla prospettiva della beati-
tudine «nel paradiso di Dio». Forse è un indizio ulteriore di questa situa-
zione psicologica l’insolito ringraziamento a Dio che conclude sempre
nel XXXII libro la spiegazione del concetto di «gloria» a commento di Gv
13, 31-32 («Quand’egli fu uscito, Gesù disse: “Adesso è stato glorificato
il Figlio dell’uomo, e anche Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo
glorificherà in lui e lo glorificherà subito”»): un approfondimento mag-
giore potrebbe venirgli, dichiara Origene, solo se il Padre glielo rivelasse
mediante il dono del Logos865.
Riconoscendo la fonte del dono in Dio Padre, nel libro XIII l’Ales-
sandrino ne trae un’indicazione di portata universale, che investe lo stesso
rapporto tra il Padre e il Figlio, come mostra la sua spiegazione della
richiesta della Samaritana in Gv 4, 15 («Signore [...], dammi di quest’ac-
qua»): se il Padre ama far dono agli uomini delle «cose più belle» – come
si è notato sopra –, Egli vuole non solo che gli uomini gli facciano richie-
sta di esse, ma sollecita lo stesso Figlio ad offrire loro l’esempio di tale
condotta.
«È qui forse contenuta una dottrina secondo cui nessuno può avere un dono da
Dio se non lo chiede. E invero, il Salvatore stesso è esortato dal Padre nel salmo a
chiedere perché gli sia dato, secondo quanto il Figlio stesso ci insegna con quel-
le parole: Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio [...]. Domandamelo, ti darò i
popoli in eredità, le estremità della terra in tuo possesso (Sal 2,7-8). Anche il
Salvatore dice: Chiedete e vi sarà dato e ancora: perché chiunque chiede riceve
(Mt 7, 7 ss.)»866 .
––––––––––––––––––
865 CIo XXXII, 29, 366-367 (475, 27-33): «Sappiamo bene che queste nostre consi-
derazioni sono molto al di sotto di quante ne contiene il passo esaminato (qualora Dio lo
riveli e il suo Logos venga a far vedere la gloria di Dio) e [di quante ne contiene] il Padre
che concede di conoscere tutta la gloria di Dio a colui al quale ciò può esser concesso
(tau'ta de; oujk ajgnoou'men pollw/' ei\nai ejlavttona w|n cwrei' oJ tovpo" ejxetazovmeno", ajpo-
kaluvptonto" tou' Qeou', kai; ejpidhmou'nto" tou' lovgou aujtou' eij" to; parasth'sai th;n dov-
xan tou' qeou', kai; w|/ duvnatai dwrhvsasqai oJ path;r dwrouvmeno" gnwsqh'nai th;n pa'san
dovxan tou' qeou'). E pertanto, limitati come siamo e molto al di sotto della dignità di queste
parole, rendiamo grazie a Dio anche [solo] per le considerazioni fatte, che son pur sempre
superiori al nostro merito (kai; ejpi; toi'" ejkteqei'sin cavrita" oJmologou'men tw/' qew/', ou\sin
pollw/' meivzosin th'" hJmetevra" ajxiva")» (tr. Corsini, 803-804).
866 CIo XIII, 1, 5 (227, 1-7): Tavca ga;r dovgma tiv ejstin mhdevna lambavnein qeivan
dwrea;n tw'n mh; aijtouvntwn aujthvn. Kai; aujto;n gou'n to;n swth'ra dia; tou' yalmou' protrev-
pei aijtei'n oJ path;r i{na aujtw'/ dwrhvshtai, wJ" aujto;" hJma'" didavskei oJ uiJo;" levgwn: Kuvrio"
ei\pen pro;" mev: UiJov" mou ei\ suv: ai[thsai par∆ ejmou' kai; dwvsw soi e[qnh th;n klhronomivan
290 Parte seconda, Capitolo settimo
Il brano sembra generalizzare in forma di dottrina quel riconoscimen-
to dall’aspetto formulare che affiora più volte nel commentario tramite
l’espressione «se Dio ce lo concede» (qeou' didovnto")867 , o con l’inciso
occasionale «se Dio ce lo rivelerà» (qeou' ajpokaluvptonto" hJmi'n) ed altre
espressioni analoghe868. Al tempo stesso ribadisce con forza l’idea della
preghiera come «richiesta» (ai[thsi") dei beni spirituali, in conformità con
l’insegnamento proposto da Orat: anzi, il rilievo di tale dottrina risulta, se
possibile, ulteriormente accresciuto grazie all’asserzione della sua impre-
scindibilità generalizzata, tanto che il Figlio stesso ne offre l’esempio agli
uomini. Ma anche l’esemplarità di Gesù orante è un aspetto primario e
ben evidenziato nel trattato, e pertanto non è casuale che esso trovi spazio
in CIo e vi si segnali anche per alcuni spunti originali.
––––––––––––––––––
873 CIo II, 34, 209 (92, 34-93, 4): ÔW" ga;r hJ qeosevbeia kekovsmhtai tw'n dia; mesiv-
tou kai; ajrcierevw" kai; paraklhvtou kai; ejpisthmonikw'" prosercomevnwn tw'/ tw'n o{lwn
qew'/, skavzousa a]n eij mh; dia; th'" quvra" ti" eijsivoi pro;" to;n patevra, ou{tw" kai; hJ tw'n
pavlai qeosevbeia th'/ nohvsei kai; pivstei kai; prosdokiva/ Cristou' iJera; h\n kai; para; qew'/
ajpodekthv (tr. Corsini, 266-267).
«Come incenso al tuo cospetto» 293
Di Dio come Padre essi parlavano o scrivevano però in segreto e in modo non
conoscibile e non per tutti, per non prevenire la grazia <effusa> su tutto il mondo
per mezzo di Gesù, che chiama tutti a esser figli adottivi, per annunziare il nome
di Dio ai suoi fratelli e cantare le lodi del Padre in mezzo all’assemblea, secondo
quanto sta scritto: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, canterò le tue lodi in
mezzo all’assemblea (Sal 21[22], 23)»874 .
––––––––––––––––––
878 CIo XX, 17, 151 (350, 6-13 [tr. Corsini, 631]). Cfr. inoltre XX, 33, 290; XX, 33,
292: «E se non c’è altro modo di diventare figli del Padre nei cieli se non quello di amare
i propri nemici e pregare per i propri persecutori...» (ibi, 662); XX, 34, 309.
879 CIo XXVIII, 4, 25 (392, 30-393, 5): metevqhken eJautou' to; dianohtiko;n ajpo; th'"
pro;" tou;" kavtw oJmiliva" kai; ajnhvgagen kai; u{ywsen prosavgwn aujto; th/' pro;" to;n uJperav-
nw pavntwn patevra eujch/'. ajlla; kai; ei[per mimhth;" Cristou' ejsti Pau'lo" kai; oiJ para-
plhvsioi aujtw/', ajnavgkh to;n kata; zh'lon kai; mivmhsin th'" Cristou' eujch'" eujxovmenon,
a[ranta tou;" ojfqalmou;" th'" yuch'" a[nw kai; ajnabibavsanta aujtou;" ajpo; tw'n th/'de prag-
mavtwn kai; mnhvmh" kai; ejnnoiw'n kai; logismw'n, ou{tw" eijpei'n tw/' qew/' tou;" lovgou" th'"
eujch'" tou;" peri; megavlwn kai; ejpouranivwn megavlou" kai; ejpouranivou" (tr. Corsini,
692). La descrizione dell’atto orante insinua la vicinanza, se non l’assimilazione vera e
propria, fra eujchv e oJmiliva, benché Origene non abbia fatto sua la definizione della pre-
ghiera come «colloquio», a parte EM 3 (supra, nota 40).
«Come incenso al tuo cospetto» 295
Ritroviamo qui la descrizione della preghiera alla stregua di «eserci-
zio spirituale», secondo il modello già illustrato in Orat e presente anche
in CC VII, 44. Origene ripropone l’ajnacwvrhsi" sensoriale e mentale tra-
mite gli «occhi dell’anima», impegnati a compiere quell’«anabasi» verso
Dio che implica un trascendimento totale di tutte le rappresentazioni ter-
rene. Nel nostro passo l’accento batte in partenza su una formulazione più
estensiva delle realtà da trascendere: oggetti, memoria, nozioni e pensieri,
che parrebbe preludere alle riflessioni di Evagrio sulla «preghiera pura».
Come seguendo un’associazione interiore, Origene interrompe a prima
vista il suo ragionamento e introduce una riflessione su Paolo «imitatore
di Cristo» e quanti gli sono «affini», per caldeggiare l’adesione al modo
di pregare di Gesù. Non è però un’osservazione stravagante, bensì una
spia rivelatrice dell’importanza che Paolo riveste per il discorso origenia-
no sulla preghiera, come abbiamo cercato di mettere in luce esaminando
il trattato. Se nell’esercizio di anacoresi e di anabasi qui raffigurato si può
leggere in filigrana anche un richiamo implicito a 1Tm 2, 8, luogo scrit-
turistico che fissa per l’Alessandrino le disposizioni interiori indispensa-
bili all’orante (peraltro richiamato espressamente poco di seguito), egli
allude anche ai «contenuti della preghiera» (lovgou" th'" eujch'") secondo
le istruzioni fornite in Orat. Abbiamo così come in un compendio i due
elementi-guida dell’atto orante secondo il trattato, proprio a partire dal ri-
ferimento paolino in Rm 8, 26: il kaqo; dei', «come si conviene» (cioè la
katavstasi" o «atteggiamento» richiesto), e lo o} dei', «ciò che conviene»,
l’indicazione dei contenuti della domanda880 . Questi non solo s’ispirano
chiaramente, come s’è detto, all’agraphon ormai noto sulle «cose grandi
e celesti», ma influenzano anche la “retorica” della preghiera. L’elegante
intreccio con duplice ripetizione della coppia «grandi e celesti» richiama
la riflessione su «grandezza» e «nobiltà» della proseuchv in Orat XIV, 2
ed il discorso sui suoi topoi in Orat XXXIII.
Prima di trattare del modo di pregare del peccatore – che Origene
illustra di seguito, completando anche la raffigurazione dell’atto orante
con una riflessione sul gesto delle «mani levate» (1Tm 2, 8), simbolo della
prassi virtuosa quale indispensabile preludio e preparazione ad esso –
conviene adesso soffermarsi sull’interpretazione della preghiera di Gesù
in Gv 11, 41-42 («41Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42Io sapevo
che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la folla che mi sta attorno,
perché credano che tu mi hai mandato»). L’Alessandrino sfrutta il tenore
di questa preghiera per chiarire sia la particolarità dell’orazione di Gesù,
in quanto santo, sia le modalità del suo esaudimento da parte del Padre:
––––––––––––––––––
880 Cfr. supra, p. 75.
296 Parte seconda, Capitolo settimo
«Ai santi (toi'" ajxivoi") che vivono nella carne ma non militano secondo la carne
(cfr. 2Cor 10, 3), quando pregano, è fatta da Dio, in riferimento alla loro preghie-
ra, una promessa che suona così: Mentre tu stai ancora parlando, io dirò: Ecco-
mi! (Is 58, 9). Cosa mai dobbiamo pensare che Dio dica per la preghiera del Sal-
vatore e Signore se non questo: “Prima che tu parli, io dirò: Eccomi!”? Gesù in-
fatti, contemporaneamente, alzò gli occhi e disse (Gv 11, 41). E che cosa disse?
[Si tenga presente che] la promessa fatta da Dio al Salvatore, così come noi l’ab-
biamo congetturata (se è lecito far congetture in argomenti di tale portata), suona:
“Prima che tu parli, io dirò: Eccomi!” ed è, quindi, maggiore di quella fatta ai giu-
sti (tou;" dikaivou"): Mentre tu stai ancora parlando, io dirò: Eccomi! (Is 58, 9).
Che cosa disse dunque? Egli si era proposto di pregare. Ma colui che gli avrebbe
detto: “Prima che tu parli, io dirò: Eccomi!” lo previene; ed egli allora, invece,
della preghiera che si proponeva di fare, ringrazia colui che ha prevenuto la sua
preghiera (ajnti; th'" kata; provqesin a]n lecqeivsh" eujch'" levgei th;n ejpi; tw/' prola-
bovnti th;n eujch;n eujcaristivan). E, quasi fosse già stato esaudito in ciò che aveva
in mente di chiedere ma non aveva ancora chiesto con la sua preghiera, esclama:
Padre, ti ringrazio che tu mi hai ascoltato (Gv 11, 41). Egli si accingeva, dunque,
a pregare per la risurrezione di Lazzaro, ma quel Dio che solo è buono e Padre,
prevenendo la sua preghiera, esaudì le richieste contenute nella preghiera futura:
per questo il Salvatore, tra l’attenzione della folla che lo circonda, invece di una
preghiera innalza al Padre un ringraziamento» 881 .
––––––––––––––––––
912 È il caso, ad esempio, di CCt I, 4, 16 (105, 2-5): «Unde et in his positi locis de-
precamur auditores horum ut mortificent carnales sensus, ne quid ex his quae dicuntur se-
cundum corporis motus excipiant, sed illos diviniores interioris hominis (cfr. Rm 7, 22) ad
haec capienda sensus adhibeant».
913 CCt II, 8, 13 (159, 13-18): «Sed quid in his secreti contineatur et quid elocutio-
nis novitas ipsa parturiat, omnipotentis Verbi ac sponsi Patrem precemur ut ipse nobis ar-
cani huius claustra patefaciat, quo possimus non solum ad intelligenda haec illuminari,
verum et ad proferenda ac secundum mensuram eorum qui lecturi sunt, moderationem
eloquii spiritalis accipere».
914 Cfr. CCt III, 13, 8 (207, 30–208, 5): «Quae ob hoc assumpsimus, ut loquamur
non in doctrina humanae sapientiae, sed in doctrina Spiritus, spiritalibus spiritalia com-
parantes (1Cor 2, 13). Et ideo invocemus Deum Patrem Verbi, quo nobis Verbi sui mani-
festet arcana sensumque nostrum removeat a doctrina humanae sapientiae et exaltet atque
elevet ad doctrinam Spiritus, ut non ea quae sentit carnalis auditus, sed ea quae continent
voluntas sancti Spiritus, proloquamur».
306 Parte seconda, Capitolo settimo
3.2.2.2. Sponsa orans
L’implicazione orante dei lettori risulta iscritta, per così dire, nel
codice ermeneutico di questo commento che – com’è noto – identifica
simbolicamente il personaggio della Sposa di Ct rispettivamente nella Ec-
clesia o nell’anima, in dialogo con lo Sposo-Cristo. Sotto l’uno o l’altro
profilo simbolico è lecito insomma aspettarsi implicazioni di qualche inte-
resse per il discorso e l’esperienza di preghiera. E infatti proprio da CCt
ci viene l’«icona» forse più pregnante e incisiva di una persona in atto di
pregare in tutta l’opera di Origene, dal momento che l’Alessandrino inter-
preta le parole iniziali di Ct 1, 2 («Mi baci con i baci della sua bocca»)
come l’espressione di una preghiera ardente di pathos spirituale rivolta al
Padre dello Sposo, affinché questi venga al più presto.
«Osserviamola, dunque, mentre solleva mani sante senza ira e senza contesa
(1Tm 2, 8), adorna degli ornamenti più degni dei quali è solita adornarsi una
nobile sposa, e mentre brucia in verità per la brama dello sposo, turbata intima-
mente dalla ferita d’amore, innalzare a Dio... la preghiera dicendo del proprio
sposo: Mi baci con i baci della sua bocca»915 .
Con una certa sorpresa, salvo pochissime eccezioni (sempre che non
sia conseguenza della rielaborazione semplificatrice di Rufino), dobbiamo
registrare l’assenza di “esternazioni” oranti dell’autore, esplicite o impli-
cite, come ci avevano invece abituato i precedenti commentari. Ciò può
dipendere, fra l’altro, anche dall’assenza di prologhi, a parte la prefazione
iniziale, dove prevedibilmente non manca l’invocazione a Dio per l’intel-
ligenza della Parola:
«Perciò noi, elevando anzitutto la nostra preghiera a Dio che insegna all’uomo la
scienza (Sal 93[94], 10), che dà per mezzo dello Spirito la parola di sapienza
(1Cor 12, 8) e che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9), perché
si compiaccia di farci degni di comprendere le parabole e le espressioni oscure e
i detti dei sapienti e gli enigmi (cfr. Pr 1, 6), arriveremo così finalmente all’esor-
dio del commento alla lettera di Paolo ai Romani, premettendo ciò che gli studiosi
sono soliti osservare e cioè che l’apostolo in questa lettera sembra sia stato più
perfetto che nelle altre» 937 .
La preghiera nasce dal riconoscimento iniziale, condiviso anche da
Origene, che la Lettera ai Romani sia «più difficile a capirsi» delle altre
epistole paoline. Indirizzata come di consueto al Padre, l’invocazione insi-
nua uno schema trinitario, sia pure con il corredo di una citazione da 1Cor
12, 8, includendo quindi nelle aspettative dell’orante il dono del «Verbo»,
«nello Spirito», analogamente all’esempio che troviamo nel prologo di
CCt938 . Di notevole interesse è il fatto che questa supplica miri a «com-
prendere le parabole e le espressioni oscure e i detti dei sapienti e gli enig-
mi» nel testo dell’Apostolo. Il richiamo a Pr 1, 6, luogo scritturistico tra i
più importanti per l’interpretazione allegorica delle Scritture, manifesta
quale sia l’immagine dell’epistola che presiede all’esegesi dell’Alessan-
drino, sebbene il commento la riproponga con qualche discontinuità939.
Nondimeno l’equiparazione con l’oscurità degli scritti profetici trova più
––––––––––––––––––
937 CRm I, 1 Praef. (37, 9-15): «Propter quod deprecantes prius Deum, qui docet
hominem scientiam (Sal 93[94], 10) et qui dat per spiritum verbum sapientiae (1Cor 12,
8) quique illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Gv 1, 9), ut dignos nos
facere dignetur intelligere parabolas et obscuros sermones dictaque sapientium et aenig-
mata (Pr 1, 6), ita demum explanationis epistulae Pauli ad Romanos contingemus exor-
dium» (tr. Cocchini I , 5). Secondo Bammel, 502-503, l’intervento riassuntivo di Rufino si
farebbe sentire fin dal prologo.
938 Cfr. supra, note 906-908.
939 Pr 1, 6 viene citato in Prin IV, 2, 3 a riprova dell’oscurità delle profezie. Come
per gli scritti profetici (intendendo, in particolare, i Salmi), in CRm II, 8 (11) (141, 33-37)
Origene sottolinea la necessità dell’esegesi prosopologica: «Sicut ergo in scripturis pro-
pheticis vigilanter oportet intendere eum, qui vult intellegentiam eorum, quae scripta sunt,
capere, vel dicentium vel ad quos vel de quibus sermo fit personis, ita nunc in epistula ad
Romanos agendum mihi videtur».
«Come incenso al tuo cospetto» 315
di un riscontro in CRm, tanto da far dire ad Origene che «nelle lettere di
Paolo neppure una sillaba si debba ritenere priva di misteri»940 . Pur con le
molte difficoltà che pone al lettore e all’interprete, il messaggio della Let-
tera ai Romani è in realtà per l’Alessandrino frutto di una «prudente di-
spensazione» mirante a velare i contenuti più profondi del discorso sia per
rispetto del mistero che per preoccupazione pedagogica. Anche se l’esege-
ta si sforza di dipanare i fili a volte intricati dell’argomentazione paolina,
questo velo non viene rimosso del tutto o almeno lo è solo di volta in
volta. Servendosi di uno degli stilemi più caratteristici di CRm, Origene
l’ha spiegato mediante una similitudine, ripresa più volte come chiave di
lettura strutturale: in base ad essa, sotto la guida di Paolo, avviene al let-
tore e all’interprete di penetrare le stanze di un edificio, «come in un pa-
lazzo regale, che sia contrassegnato da numerose entrate e uscite», per cui
«si passa dall’una all’altra stanza, in modo tale che quasi non appaiono
tracce di segreti delle cose divine, senza tuttavia mai rivelarli in modo
chiaro ed esplicito» 941 . Questa consapevolezza del mistero che permane
la si può cogliere anche da un altro tratto che connota con una certa fre-
quenza CRm: il diverso rapporto fra interprete e lettori, che preannuncia
la situazione del Commento a Matteo, dove l’istanza del «lettore collabo-
rativo» troverà ulteriore spazio. Non di rado, infatti, Origene fa profes-
sione di modestia interpretativa e in molte occasioni si appella al giudizio
del lettore, anche con il proporgli più di una spiegazione sulla quale egli
dovrà quindi farsi la propria opinione942 .
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940 CRm V, 1 (tr. Cocchini I, 244). Anche riguardo al precetto di pagare le imposte
in Rm 13, 7-8, egli afferma in CRm IX, 30: «Io penso tuttavia che anche queste parole
Paolo le dica non senza i consueti misteri propri del suo modo di esprimersi» (tr. Cocchini
II , 128).
941 CRm VII, 16 (tr. Cocchini II, 12). L’interprete sembra, a sua volta, calarsi nella
situazione di... una visita guidata: «Perciò dunque anche noi, in tali situazioni, quasi fos-
simo situati in un palazzo regale, in punta di piedi vi passiamo attraverso, un po’ parlando
e di più facendo silenzio, divenuto per noi maestro e guida di tale cammino l’apostolo
Paolo stesso» (II, p. 13]). L’intento protettivo della strategia argomentativa dell’Apostolo
nei riguardi del mistero è dichiarato in CRm VI, 8: «far sì che quanto per ispirazione di-
vina gli autori proferiscono, non venisse messo a disposizione delle persone grossolane e
che presentano fede e zelo ancora insufficienti, e non fosse, per così dire, abbandonato ai
loro piedi così da dover essere calpestato, ma in base a ciò che abbiamo detto prima me-
diante quella similitudine, il mistero del re giungesse a poche persone e in modo piuttosto
nascosto» (I, pp. 330-331).
942 Si veda, ad esempio, CRm V, 8: «Ciò è quanto per ora ci è potuto venire in mente
sul passo in questione. Se poi qualcuno ha pensato qualcosa di meglio, non si dispiaccia
di accoglierlo dopo aver messo da parte quanto qui detto» (tr. Cocchini I , 283); CRm V, 9:
«Chi legge esamini quale spiegazione delle due sia confacente al pensiero dell’apostolo,
oppure se non lo siano né l’una né l’altra» ( I, p. 292); CRm VII, 5: «Giudichi il lettore
quale di questi sia più corrispondente al pensiero dell’apostolo» ( I, p. 376). Sull’istanza
del lettore nell’opera di Origene cfr. Perrone 2003a.
316 Parte seconda, Capitolo settimo
Ho insistito di proposito su tali caratteristiche onde poter meglio cir-
coscrivere le ragioni delle mancate esternazioni oranti. Indubbiamente la
“responsabilizzazione” del lettore alleggerisce in certo senso il compito
dell’esegeta, che può rischiare più liberamente, nella misura in cui riesce
a coinvolgere nell’interpretazione i destinatari del commento. A questi let-
tori Origene indirizza di tanto in tanto anche delle vibranti esortazioni che
ricordano gli appelli agli uditori nelle omelie e mettono l’accento sull’im-
pegno morale e sulle disposizioni spirituali per chi voglia accostarsi alla
Scrittura, senza tuttavia mai menzionare espressamente la preghiera943.
D’altra parte, neanche in CRm viene meno l’idea di fondo dell’Alessan-
drino, ribadita del resto fin dalla conclusione della prefazione, secondo
cui l’interpretazione delle Scritture dipende sempre dall’aiuto divino e
più specificamente dalla partecipazione allo Spirito che le ha ispirate944.
Ora, dove la difficoltà esegetica risulta più ardua, nasce da essa l’affidarsi
al dono dello Spirito, come in un passo del I libro per risolvere una quae-
stio suscitata dalle obiezioni marcionite945 , o in uno del V , dove Origene
“scagiona” l’Apostolo per un’affermazione di Rm 6, 9 («la morte non
avrà più potere su di lui»), che parrebbe mettere in dubbio il potere di
––––––––––––––––––
943 Ne abbiamo una testimonianza sintomatica in CRm V, 8: «Camminiamo dunque
in novità di vita, mostrandoci ogni giorno nuovi a colui che ci risuscitò con Cristo, e per
così dire più belli, cercando in Cristo come in uno specchio la bellezza del nostro volto e,
contemplandovi la gloria del Signore, trasformiamoci nella sua stessa immagine, poiché
Cristo risorgendo dai morti dalle bassezze terrene è asceso alla gloria della maestà del Pa-
dre» (tr. Cocchini I, 285). Si veda anche CRm VII, 17: «Pertanto anche noi, se desideriamo
conoscere qualcosa dei segreti reconditi di Dio, se siamo uomini di desideri e non di con-
testazioni, ricerchiamo con fedeltà e umiltà i giudizi di Dio inseriti piuttosto velatamente
nelle divine Scritture. Infatti per questo anche il Signore diceva: Scrutate le Scritture (Gv
5, 39), sapendo che esse non si lasciano interpretare da coloro che, occupati in altre fac-
cende, di quando in quando ascoltano o leggono, ma da coloro che, con cuore onesto e
semplice, con ininterrotta fatica e con continue veglie, scrutano più a fondo le divine Scrit-
ture: ed io so bene di non essere tra questi» (II, 18).
944 In CRm V, 8, ad esempio, Origene lo dichiara retroattivamente per CIo: «La ve-
rità sulla natura del battesimo l’abbiamo espressa secondo le nostre forze – quelle che po-
terono venirci in aiuto, anzi, quelle che il Signore ci ha donato – quando commentavamo
il vangelo secondo Giovanni» (tr. Cocchini I, 279). Si veda anche la conclusione della
praefatio (41, 99-100): «Nunc iam prout viam nobis Dominus aperire dignatur, ad expla-
nationem ipsius properemus».
945 Si veda la spiegazione di Rm 1, 24-25 («Dio li ha consegnati secondo i desideri
perversi del loro cuore nella impurità così che disonorino in se stessi i loro corpi: essi che
hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito la creatura piut-
tosto che il creatore che è benedetto nei secoli») in CRm I , 21 (18) (87, 34-88, 40), che dà
luogo ad una formulazione orante: «Nos tamen, qui unum Deum bonum et iustum legis et
prophetarum et evangeliorum patrem Christi fatemur, eisdem explanationibus et in novo
et in veteri utimur testamento invocantes eum, qui posuit in Sion lapidem offensionis et
petram scandali, ut ipse nobis per sanctum Spiritum suum offensionem et scandalum lec-
tionis apostolicae, per quam dubiae mentes offendi videntur, aperiat» (tr. Cocchini I, 44).
«Come incenso al tuo cospetto» 317
Cristo a deporre e a riprendere la propria anima946; solo «per la potenza
dello Spirito» è possibile arrivare a scorgere il significato più profondo
delle parole di Paolo947 . O, come l’Alessandrino dichiara nel libro VIII,
«colui che scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio, lo Spirito santo,
conosce tutto e lo rende noto a chi egli abbia voluto rivelarlo»948 . Quanto
poi questo dono di grazia sia da ricollegarsi alla preghiera lo illustra bene
un passo del IX libro, in cui l’Alessandrino sostiene che «Paolo [...] non
solo ciò che egli stesso dice lo dice per mezzo della grazia, ma implora
che anche ai suoi ascoltatori venga data la grazia, e non solo la grazia ma
la moltitudine della grazia»949 .
Nonostante la scarsità di preghiere formulate, CRm lascia intrave-
dere il profilo dell’orazione nella lotta che impegna la vita del fedele fra
la «legge della carne» e la «legge dello spirito». Come in Orat, il destino
dell’anima, realtà intermedia fra corpo e spirito, è di divenire pienamen-
te spirituale, ma CRm illustra questo ideale di perfezione in primo luogo
alla luce dell’anima di Cristo. In essa, infatti, si attua perennemente quel-
la che è la meta dichiarata della preghiera secondo il trattato, cioè l’inabi-
tazione di Dio nella mente del santo: «nell’anima di Gesù, abitano sempre
il Verbo di Dio, che è il Figlio Unigenito, e il suo Spirito santo»950 . Come
Origene ha spiegato nel commentare il Padrenostro in Orat, se Dio che
passeggia nel paradiso indica simbolicamente la sua dimora tra i santi,
nessun uomo gli offre un’abitazione più accogliente e spaziosa di quella
che gli porge l’anima di Gesù951 . Riallacciandosi nuovamente a 1Cor 6, 17
(«chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito»), Origene vede
nell’anima di Cristo, divenuta «un solo spirito» con il Logos, l’immagine
del Figlio di Dio e il modello in cui lo spirituale è chiamato a rispecchiar-
––––––––––––––––––
946 Cfr. CRm V, 10: «Ma anche noi, quando pensiamo a Paolo, non riteniamo possa
esistere qualcuno capace di superarlo nell’amore per Cristo: pertanto non è neppure pen-
sabile che egli abbia detto qualcosa a suo riguardo contrario a quanto è degno di lui. E per-
ciò scrutiamo più accuratamente con la grazia dello Spirito santo la parola di sapienza,
onde poter riconoscere il pensiero di Paolo, anzi, il pensiero di Cristo che si trova in lui»
(tr. Cocchini I, 295).
947 CRm V, 10: «Un altro, invece, che per la potenza dello Spirito scorgerà in que-
ste parole un pensiero di Paolo più profondo, dirà che qui la morte, di cui è detto che non
avrà più potere su Cristo, deve essere intesa proprio come quell’ultimo nemico che fu raf-
figurato in quel grosso pesce» (tr. Cocchini I, 296-297), cioè Satana.
948 CRm VIII, 11 (tr. Cocchini II, 76).
949 CRm IX, 2 (tr. Cocchini II , 98-99).
950 CRm III, 5 (8): «in anima Iesu, verbum Dei qui est unigenitus filius et sanctum
eius Spiritum semper habitare» (tr. Cocchini I , 157).
951 CRm III, 8: «Non troverai tra gli uomini nessun’anima tanto beata ed eccelsa, se
non quella sola in cui il Verbo di Dio ha trovato tanta larghezza e tanto spazio in modo
che si dica che anche lo Spirito santo non solo vi abita, ma pure distende le ali...» (tr. Coc-
chini I , 158).
318 Parte seconda, Capitolo settimo
si952. L’assimilazione con esso è possibile in forza dell’amore di Dio, che
è effuso nel cuore dei santi mediante lo Spirito, in risposta alla preghiera
di Gesù in Gv 17, 21: «Come tu Padre in me ed io in te, anche questi siano
una cosa sola in noi»953.
Commentando Rm 8, 35 («Chi dunque ci separerà dall’amore di Dio?
La tribolazione o l’angustia o la persecuzione o la fame o la nudità o il
pericolo o la spada?»), Origene ha dato espressione a questo ideale di per-
fezione spirituale in una forma che, pur non configurandosi in senso stret-
to come preghiera, tende però ad avvicinarsi alla confessio orante di un
Agostino, essendo tramata come in questi sulla ripresa e l’intreccio con il
testo sacro:
«Poiché dunque, egli [scil. Paolo] dice, per tutti questi benefici che abbiamo
conseguito stiamo ormai fissati e ben radicati nell’amore di Dio, chi ci potrà se-
parare da tale amore? Se verrà la tribolazione diremo a Dio: Nella tribolazione
mi hai dato spazio (Sal 4,2). Se ci sarà l’angustia del mondo, che deriva anche
dalle necessità del corpo, ricercheremo la vastità della sapienza e della scienza di
Dio, nella quale il mondo non ci può angustiare. Ritornerò infatti agli infiniti
campi delle divine Scritture: ricercherò il senso spirituale della parola di Dio dove
nessuna angustia mi opprimerà. Infatti me ne andrò galoppando attraverso gli im-
mensi spazi della comprensione mistica e spirituale. Se soffro la persecuzione e
confesso il mio Cristo davanti agli uomini, sono sicuro che anch’egli mi confes-
serà davanti al Padre suo che è nei cieli (cfr. Mt 10, 32). Se si presenta la fame,
non può turbarmi: io possiedo il pane di vita che discende dal cielo (cfr. Gv 6, 51)
e ristora le anime affamate; né tale pane può mai venire a mancare: esso è infatti
perfetto ed eterno. La nudità non mi fa arrossire giacché sono stato rivestito del Si-
gnore Gesù Cristo (cfr. Rm 13, 14) e spero di essere ulteriormente rivestito della
nostra abitazione celeste: Occorre infatti che ciò che è mortale si rivesta di im-
mortalità e ciò che è corruttibile di incorruttibilità (1Cor 15, 53). Non temerò il
––––––––––––––––––
952 CRm VII, 7: «tuttavia bisogna dire che sua particolare ed esclusiva immagine,
che lo ha accolto totalmente e integralmente e in se stessa lo ha formato, è l’anima stessa
di Gesù, la quale si è talmente unita in tutto al Verbo e alla Sapienza di Dio, da non esser
ritenuta assolutamente in nulla alterata dalla somiglianza con lui; così che chiunque aspiri
al culmine della perfezione e della beatitudine, deve volgersi all’immagine e alla somi-
glianza di lui, a quella cioè che per prima e sopra tutti gli altri è immagine del Figlio di
Dio: così “che egli sia il primogenito fra molti fratelli”, fra coloro, evidentemente, sui qua-
li tiene il primato nella conformazione all’immagine del Figlio di Dio» (tr. Cocchini I,
387). Per l’interpretazione di 1Cor 6, 17 si veda anche CRm IV, 5: «una sola è quella so-
stanza di Dio che esiste per sempre; e se uno vi si è unito diventa un solo spirito con lui, e
a motivo di colui che esiste per sempre si dice che anche egli esiste» (I, p. 199).
953 CRm IV, 9 (345, 191-200): «Quod si et spiritus caritatis et filius caritatis et Deus
caritas invenitur, certum est quod ex uno paternae deitatis fonte et filius intellegendus est
et Spiritus sanctus ex cuius abundantia etiam sanctorum cordibus ad participationem ca-
piendam divinae naturae [...] abundantia caritatis infunditur, ut per istud sancti Spiritus
donum compleatur ille sermo quem Dominus dicit: sicut tu pater in me et ego in te et isti
in nobis unum sint (Gv 17, 21), divinae scilicet naturae participes effecti in abundantia ca-
ritatis per Sanctum Spiritum ministratae» (tr. Cocchini I, 223).
«Come incenso al tuo cospetto» 319
pericolo: Infatti il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore e il Signo-
re è difensore della mia vita, davanti a chi dovrò spaventarmi? (Sal 26[27], 1).
Una spada terrena non può farmi paura, ne avrò infatti con me una più forte, la
spada dello Spirito, che è la parola di Dio (Ef 6, 17) e con me c’è la parola di
Dio viva ed efficace che è più affilata di ogni spada a due tagli (Eb 4, 12)»954 .
Qui l’Alessandrino, per così dire, “prega con la Bibbia” in un’effusio-
ne meditativa, nell’abbandono fiducioso alla certezza che l’amore di Dio
non viene mai meno per colui che, come la sposa del Cantico, ha «ricevuto
da Cristo una ferita d’amore»955. Ma Paolo non ignora affatto la perdu-
rante fragilità umana, sempre esposta alla lotta contro «la legge secondo
la carne»; perciò invita a «perseverare nella preghiera» (Rm 12, 12)956 . E
nella navigazione «sui flutti di questo mondo» ricorda che occorre «im-
plorare incessantemente l’aiuto del Signore» per scampare agli agguati dei
«pirati», cioè le insidie demoniache957 . Dentro questo orizzonte agonico
Origene si serve del paradigma di Paolo come orante, per illuminare il
momento della preghiera nella lotta fra carne e spirito.
L’Apostolo è l’esempio dello «spirituale», come l’Alessandrino chia-
risce basandosi sulle sue stesse parole in Rm 1, 9 («Mi è testimone Dio,
a cui servo nel mio spirito, nel vangelo del Figlio suo») e osservando al
riguardo che «servire in spirito» è più grande che «adorare in spirito» (Gv
4, 23). Infatti, Paolo «serve» Dio con la sua parte migliore, che governa
anima e corpo 958 ; «pertanto l’Apostolo dà la preferenza dovunque allo spi-
rito e ripudia la carne o ciò che è della carne»959. Nonostante ciò, anche la
«sostanza della sua anima, così grande e insigne, che possiede l’intelligen-
za e la comprensione dei pensieri celesti e divini [...] è stata sottomessa
alla servitù di un corpo corruttibile e vincolata alla sua vanità»960 . Origene
rilegge allora la condizione personale di Paolo, oppresso nel corpo dal
––––––––––––––––––
954 CRm VII, 11 (tr. Cocchini I, 397).
955 Ibidem (tr. Cocchini I , 398).
956 CRm IX, 11: «Costui sarà pure paziente nella tribolazione [...] se però mettiamo
in pratica quanto viene espresso nella frase che segue, ossia: Perseverando nella preghie-
ra. Infatti, per quella parte in cui la fragilità umana non è sufficiente, occorre implorare
con le preghiere l’aiuto di Dio» (tr. Cocchini II, 113).
957 CRm X, 5: «E dobbiamo perciò implorare incessantemente l’aiuto del Signore e
sperare che egli stesso ci strappi dal laccio dei cacciatori, affinché anche noi possiamo
dire: L’anima nostra come un passero è stata strappata dal laccio dei cacciatori: il laccio
è stato distrutto e noi siamo stati liberati. Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha
fatto il cielo e la terra (Sal 123[124], 7-8)» (tr. Cocchini II , 164).
958 CRm I, 12 (10) (69, 12-16): «Sed Paulus non solum adorat in spiritu, verum et
deservit in spiritu. Nam adorare quis potest et sine affectu; deservire vero eius est, quem
constringit affectus. Deservit ergo apostolus Deo non in corpore neque in anima sed in
meliore sui parte, id est in spiritu» (tr. Cocchini I , 30).
959 CRm I, 12 (10) (ibidem)
960 CRm VII, 4 (tr. Cocchini I , 370).
320 Parte seconda, Capitolo settimo
conflitto fra la carne e lo spirito, alla luce di Sap 9, 15 («Il corpo corrut-
tibile appesantisce l’anima e l’abitazione terrena opprime la mente dai
molti pensieri»), luogo-chiave – come si ricorderà – per la prospettiva
antropologica di Orat. Anche in vista di ciò l’Apostolo è presentato come
uomo di preghiera: egli mette in pratica per primo l’invito a «pregare
senza interruzione» di 1Ts 5, 17961 ; ma lo fa anche nella speranza di com-
piere la «volontà di Dio» con la propria missione e con il viaggio a Roma
(Rm 1, 9-10)962. Inoltre, la preghiera incessante è dettata per lui dalla ne-
cessità di superare gli ostacoli che Satana frappone sul suo cammino per
l’annuncio del Vangelo 963 . Tuttavia Paolo non prega solo affinché Dio
l’assista nel realizzare la propria missione di evangelizzazione, poiché egli
intercede anche per gli altri ed in particolare assume quel ruolo vicario
per cui i santi, già nell’Antico Testamento, prendono su di sé le parti dei
peccatori, oppure i maestri fanno proprie le debolezze dei discepoli, nel-
l’intento di spingerli a convertirsi e migliorarsi964 .
Agendo in tal modo, dunque, l’Apostolo vuole far sì che «nessuno si
vergogni della natura del corpo né perda la speranza della conversione né
ignori la moltitudine dei propri mali dai quali è liberato per la grazia di
Cristo»965. Ma la compartecipazione solidale di Paolo alla sorte di coloro
che sono impegnati nelle lotte di questa vita giunge fino all’estremo di
chiedere a Dio la propria perdizione pur di assicurare la salvezza agli Israe-
liti, suoi fratelli secondo la carne (Rm 9, 1-5). Egli fa proprio l’esempio di
––––––––––––––––––
961 CRm I, 13 (11) (71, 4-5): «Quod sine intermissione pro his, quibus scribit, orare
se dicit mandati sui memor, complet opere, quod sermone praecipit» (tr. Cocchini I, 31).
962 CRm I, 13 (11) (71, 5-): «Quia autem dicit obsecrare se, si quomodo tandem ali-
quando prosperum iter habeat, ut in voluntate Dei veniat ad Romanos, considerandum est
quod apostolus Dei ad opus sanctum, opus evangelii proficiscens exspectat, donec obse-
crationibus impetret non solum prosperum sibi iter fieri, sed et in voluntate Dei prospe-
rum fieri» (tr. Cocchini I, 31). Si noti la raccomandazione pratica perché «cum aliquid
agere disponimus, a Deo itineris prosperitas postulanda est» (71, 12-13).
963 CRm I, 15 (13) (75, 40-44): «competenter ostendit se in orationibus sine inter-
missione (1Ts 5, 17) certare, ut devictis Satanae impedimentis prosperum iter eius fiat in
voluntate Dei videre eos, qui Romae sunt. Desiderat enim et in orationibus obsecrare non
cessat fructum aliquem capere ex ipsis sicut ex ceteris gentibus» (tr. Cocchini I, 34).
964 Il motivo è introdotto in CRm VI, 9, a proposito di Rm 7, 24-25: «Sul fatto poi
che nelle divine Scritture vi sia l’abitudine che i santi assumano il ruolo dei peccatori e i
maestri prendano su loro le debolezze dei discepoli siamo assai bene istruiti dal libro dei
Salmi...» (tr. Cocchini I, 343). Origene cita Sal 37(38), 4-7, ma più che fondarsi sull’esem-
pio di David, si richiama a quello di Daniele: «cosa diremo anche di Daniele, di cui sicu-
ramente non si racconta alcun peccato, e tuttavia viene riferita la confessione con digiuni,
cilicio e cenere e una tale preghiera dove, tra l’altro, dice anche questo: Abbiamo peccato,
abbiamo compiuto l’iniquità, abbiamo agito ingiustamente... (Dn 9, 5-7). Chi può negare
che in tali parole sia stato assunto da Daniele il ruolo dei peccatori, a nome dei quali,
come fosse a suo nome, sembra dire tali cose?» (tr. Cocchini I, 343-344).
965 Ibidem (tr. Cocchini I , 344).
«Come incenso al tuo cospetto» 321
Mosè che prega Dio di «cancellarlo dal libro della vita», a patto che per-
doni il peccato del popolo (Es 32, 32). Ora, secondo Origene, Paolo è stato
esaudito ben più di Mosè, perché ha meritato la salvezza per i fratelli (con
la promessa di Rm 11, 25-26 riguardo al «mistero di Israele»), mentre
«tutti quelli che per mezzo di Mosè erano usciti dall’Egitto, morirono nel
deserto»966. Infine, l’Alessandrino riflette sulla cooperazione orante che
l’Apostolo sollecita da parte dei destinatari dell’epistola in Rm 15, 30-32
(«Vi supplico, dunque, o fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e per
la carità dello Spirito, di soccorrermi con le preghiere presso Dio...»), per
sviluppare l’idea che il verbo sunagwnivsasqai (Rm 15, 30) equivale per
Paolo a «soccorrermi nella lotta delle preghiere presso Dio». Vi è dunque
«una lotta e un combattimento di preghiera» dell’Apostolo, diretti contro
le potenze demoniache, le quali fra i loro diversi bersagli avversano anche
la preghiera:
«Ed è certo che tutti costoro, come avversano la fede e contrastano la pietà, come
sono contrari alla giustizia e alla verità e a tutto ciò che è buono, così senza dub-
bio contrastano e avversano la preghiera. E perciò Paolo mostra che anche nella
preghiera non è affatto di poco conto la lotta, dal momento che per essa ha cre-
duto di dover implorare perfino l’aiuto di quanti si trovano a Roma. In realtà in-
fatti nella preghiera i demoni e le potestà avverse cercano di impedire innanzi-
tutto che chi si affatica nel combattimento della preghiera venga trovato tale da
poter elevare mani pure senza ira (1Tm 2, 8). Ora, anche se uno ha potuto otte-
nere di essere senza ira, è a malapena che può anche evitare di essere senza spi-
rito di discussione (1Tm 2, 8), cioè senza pensieri superflui e vani. A malapena
infatti troverai che ad uno che sta pregando non venga in mente qualche pensiero
vano ed estraneo e pieghi l’intenzione con cui la mente si rivolge a Dio e la inter-
rompa e la distolga per cose che non c’entrano. Ed è pertanto un combattimento
grande quello della preghiera, per far sì che la mente, sempre fissa in Dio con
ferma attenzione, possa contrastare i nemici che le si oppongono e che distol-
gono il pensiero della preghiera verso realtà diverse, così che giustamente anche
chi prega possa dire: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa
(2Tm 4, 7)»967 .
––––––––––––––––––
968 Cfr. Orat XXXI, 2 e supra, note 468, 503.
969 Peraltro, se in Orat XXXI, 2 si mantiene la lezione peirasmovn, invece della con-
gettura perispasmovn (cfr. supra, nota 468), si potrebbe insinuare l’idea di energie demo-
niache da respingere.
970 Cipriano, De dom. or. 31 (109, 565-571): «Ideo et sacerdos ante orationem prae-
fatione praemissa parat fratrum mentes dicendo: Susum corda, ut dum respondet plebs:
Habemus ad Dominum, admoneatur nihil aliud se quam Dominum cogitare debere. Clu-
datur contra adversarium pectus et soli Deo pateat nec ad se hostem Dei tempore orationis
adire patiatur».
971 Sulle conseguenze dell’ojrghv sulla preghiera si veda, in particolare, Evagrio,
Prat. 23, 25. Egli cita però 1Tm 2, 8 (con la lezione dialogismw'n, attestata a volte anche
da Origene) solo in De cogit. 5 e 32 (Évagre le Pontique, Sur les pensées, 168, 24-25).
Cfr. anche Cassiano, Coll. IX, 3 ss.
972 Cfr. Evagrio, De orat. 10 (PG 79, 1169, 22-30): ”Otan i[dwsin oiJ daivmone"
proqumouvmenovn se ajlhqw'" proseuvxasqai, tovte uJpotivqentai nohvmatav tinwn pragmav-
twn dh'qen ajnagkaivwn, kai; meta; bracu; ejpaivrousi th;n peri; aujtw'n mnhvmhn, kinou'nte"
to;n nou'n pro;" zhvthsin aujtw'n, kai; wJ" mh; euJrivskwn sfovdra lupei'tai, kai; ajqumei': hJnivka
de; sth/' eij" proseuchvn, uJpomimnhvskousin aujtw'n tw'n zhthqevntwn, i{na caunwqei;" oJ nou'"
pro;" gnw'sin aujtw'n ajpolevsh/ th;n eu[karpon proseuchvn (si veda il commento di Haus-
herr 1960, 23-26).
«Come incenso al tuo cospetto» 323
3.2.3.2. Lo Spirito maestro di preghiera
––––––––––––––––––
997 CMt XIV, 6 (288, 30-289, 6): povteron de; w{ste kai; uJpagoreuqh'nai ta; toiau'ta
th/'de th/' grafh/' h] mhv, qeo;" a]n uJpobavloi ejn Cristw/' poih'sai to; ajresto;n aujtw/', movnon i{na
doqh/' kai; peri; touvtwn oJ dia; tou' pneuvmato" didovmeno" lovgo" sofiva" ajpo; tou' qeou' kai; oJ
kata; to; pneu'ma ejpicorhgouvmeno" lovgo" gnwvsew" (tr. Scognamiglio II, 119).
998 Cfr. supra, nota 656. Per testi analoghi che includono come qui il rinvio a 1Cor
12, 8, si veda note 908, 937, 1156.
999 In CMt XIV, 12 (304, 8-27) l’Alessandrino, mentre problematizza l’esegesi della
parabola, fa valere in generale per esse il procedimento dell’allegorizzazione e la sua par-
ticolare difficoltà: «Ma così bisogna pensare generalmente di qualsiasi parabola, la cui in-
terpretazione non è stata riportata dagli evangelisti, che Gesù spiegava ogni cosa ai propri
discepoli in disparte (Mc 4, 34), e i redattori dei vangeli tennero nascosta la chiara spie-
gazione delle parabole per questa ragione, perché le cose significate da essa superavano la
natura delle parole, e ciascuna spiegazione e chiarificazione di tali parabole era tale che
neppure il mondo avrebbe potuto contenere i libri scritti (Gv 21, 25) riguardo a queste pa-
rabole. Ma avvenga di trovare un cuore idoneo e capace, per la sua purezza, dell’intelli-
genza letterale della spiegazione delle parabole, in modo che s’iscriva in esso nello Spirito
di Dio vivente (2Cor 3, 3) (gevnoito d∆ ajneureqh'nai kardivan ejpithdeivan kai; dia; th;n
kaqarovthta cwrou'san ta; gravmmata th'" safhneiva" tw'n parabolw'n, w{ste ejn aujth/'
grafh'nai pneuvmati qeou' zw'nto")» (tr. Scognamiglio II , 134, trad. con modifiche). A que-
sto auspicio (gevnoito!) fa da riscontro la cautela dell’esegeta nell’avanzare la propria
spiegazione (305, 3-15): «quanto a noi, riconosciamo di essere ben lungi dal potere giun-
gere al senso profondo di questi testi, anche se, in certa misura, otteniamo una conoscenza
globale più modesta (tina; bracutevran perinoivan) del senso di questo passo; asseriremo
che, alcune di quelle cose che, a mezzo di molta indagine e ricerca ci sembra di scoprire,
sia per grazia di Dio sia per virtù del nostro intelletto (ei[te cavriti qeou' ei[te tou' ejn hJmi'n
nou' ), non osiamo consegnarle allo scritto; mentre altre le proporremo in qualche misura,
per esercitazione nostra e dei nostri lettori» (ibi, 135).
334 Parte seconda, Capitolo settimo
L’arduo impegno richiesto per Origene dalla spiegazione delle para-
bole nel testo del primo vangelo attira nuovamente una manifestazione
orante nel commento di Mt 20, 1-16, con la successiva parabola dei lavo-
ratori a giornata (CMt XV, 27-37). Il modo di procedere è pressoché ana-
logo al caso precedente, anche se l’avvio dell’esegesi è connotato imme-
diatamente da una preghiera a valore proemiale, che non ha nulla di ca-
suale nella sua formulazione, dato che l’Alessandrino vi riprende una mo-
dalità d’orazione presente – come abbiamo visto – anche in CRm, ed anzi
“teorizzata” in questo stesso tomo paolino:
«Dopo che avremo pregato Dio (Qew/' de; eujxavmenoi) e invocato il nome del Si-
gnore nostro Gesù <Cristo> (cfr. 1Cor 1, 2), mettiamoci ad esporre la parabola
e consideriamo quali cose ci sia dato (doqhvsetai!) di esaminare e asserire, o an-
che solo di suggerire a suo riguardo»1000.
Sulle prime il parallelo con CRm potrebbe indurre a pensare che Ori-
gene allinei qui il Padre e Cristo come destinatari, per così dire, “paritari”
della preghiera, ma ciò contrasterebbe con il passo precedente nel libro
XIV, che era del tutto conforme alla sua impostazione più caratteristica.
Del resto, l’uso di 1Cor 1, 2 senza ulteriori specificazioni tende semmai a
riservare al Padre il vocabolario della «preghiera» in senso proprio (eujxav-
menoi), mentre l’«invocazione del nome del Signore» insinua soprattutto
l’idea della partecipazione alla «mente di Cristo», richiamata a più riprese
come requisito ermeneutico necessario per l’intelligenza spirituale delle
parabole. Né deve suscitare interrogativi la mancata menzione dello Spi-
rito, dal momento che l’intero contesto della spiegazione è segnato dal-
l’imprescindibile richiamo ad esso. Infatti, alla consueta problematizza-
zione del testo a titolo preliminare, l’Alessandrino fa seguire immediata-
mente il riconoscimento per cui soltanto chi è ammaestrato dallo Spirito è
in grado d’intendere la parabola:
«Vorrei quindi garantire che la presente parabola ammette questi e altri simili
quesiti che uno potrebbe porre. Ma devo decisamente mettere in chiaro anche
questo: non c’è alcun altro che possa parlare in modo adeguato di questa parabola
se non chi ha affermato con verità: Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo (1Cor
2, 16). Ma chi è che ha riconosciuto il pensiero di Cristo (cfr. 1Cor 2, 16) che è
in questa parabola, se non colui che si è affidato al Paraclito (oJ ejmparascw;n
eJauto;n tw/' Paraklhvtw/), del quale il Salvatore dice: egli vi insegnerà ogni cosa
e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto (Gv 14, 26)? Se non è infatti il Paraclito a
––––––––––––––––––
1000 CMt XV, 27 (tr. Scognamiglio II, 259). Nella “retorica orante” di Origene que-
sta preghiera assolve la stessa funzione proemiale di Orat II , 6 e CC IV, 1 (cfr. supra, pp.
54, 266). Per il parallelo con CRm VIII, 5 si veda supra, p. 327. Peraltro, Origene adopera
senza problemi il verbo ejpikalei'sqai anche in relazione al Padre (cfr. ad esempio note
797, 861, 1010).
«Come incenso al tuo cospetto» 335
insegnare tutto quello che disse Gesù, compresa questa parabola, nulla si potrà
dire di essa che sia degno di Gesù»1001.
Questi due esempi ci hanno già chiarito che l’atto esegetico è, per
così dire, in nuce un atto orante, nel senso che la preghiera prelude o ac-
compagna l’esposizione del commentatore. Se in essi la giustificazione
più cogente proveniva dalle difficoltà peculiari del linguaggio parabolico
e della sua allegorizzazione, anche fatti narrati da Matteo possono deter-
minare il medesimo atteggiamento. È il caso dell’episodio dei due ciechi
di Gerico in Mt 20, 29-34, commentato al libro XVI (CMt XVI, 9-13). La
loro preghiera a Gesù – «Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide» (Mt
––––––––––––––––––
1001 CMt XV, 30 ( II, 265). Cfr. anche CMt XV, 31 (444, 27-445, 1): «In realtà però,
cercando <il senso del>l’una giornata della presente parabola, e avendo ritenuto che questa
si identifichi con l’eone presente, ci siamo addentrati nascostamente nelle profondità di
Dio, ed abbiamo bisogno dello Spirito (deovmenoi pneuvmato") che scruta ogni cosa, anche
le profondità di Dio (1Cor 2, 10)» (tr. Scognamiglio II, 268).
1002 CMt XV, 31 (tr. Scognamiglio II , 266-267).
1003 CMt XV, 37 (tr. Scognamiglio II , 284-285).
336 Parte seconda, Capitolo settimo
20, 30) – viene dapprima riletta in chiave storica con intensa partecipazio-
ne di Origene che ricollega la supplica e la testimonianza di fede racchiusa
in essa alla misericordia di Cristo. Poi il commento trapassa all’interpreta-
zione allegorica e questa transizione è segnata dall’invocazione per l’in-
telligenza spirituale, all’insegna del binomio «credere e comprendere», già
insinuato dal richiamo a Is 7, 9 («Se non crederete non comprendete»):
«Dato che noi, se non crediamo non comprendiamo neppure l’intenzione di ciò
che si dice, mentre è in base al credere che la comprendiamo, per questo espor-
remo secondo le nostre capacità ciò che su questo passo ci verrà in mente, dopo
aver pregato colui che ci preserva dal rischio che il Vangelo ci rimanga velato
(eujxavmenoi tw/' rJuomevnw/ hJma'" ajpo; tou' kekaluvfqai hJmi'n to; eujaggevlion) (cfr.
2Cor 4, 3)»1004.
––––––––––––––––––
1004 CMt XVI, 9 (503, 1-7 [tr. Scognamiglio III, 53, con leggere modifiche]).
1005 CMt XVI, 11 (507, 23-28): wJ" ei[qe kai; hJmw'n pro;" aujto;n kekragovtwn kai; le-
govntwn: ejlevhson hJma'", kuvrie, fwnhvsai hJma'" ajrcomevnou" ajpo; tou' uiJo;" Daui?d, kai; stav"
ge fwnhvsai hJma'" wJ" prosevcwn hJmw'n th/' ajxiwvsei (III, 57). Sull’uso del termine ajxivwsi"
per la preghiera di domanda si veda supra, nota 404. Quanto alle formulazioni con ei[qe si
veda supra, nota 773.
«Come incenso al tuo cospetto» 337
«Voglia il cielo (wJ" ei[qe) che pure noi, rendendoci conto di ciò che ci rende cie-
chi e non ci fa vedere, sedendo presso la strada delle Scritture e sentendo dire
che passa Gesù (Mt 20, 30), con la nostra richiesta (dia; th'" hJmetevra" ajxiwvsew")
riusciamo a farlo fermare e gli diciamo: Signore, che i nostri occhi si aprano! Se
lo diciamo mossi da intenzione e desiderio di vedere ciò che egli concede di ve-
dere toccando gli occhi dell’anima, il nostro Salvatore avrà compassione, ed in
quanto Potenza, Parola, Sapienza e tutte quante le realtà che la Scrittura riferisce
che egli è, e toccherà i nostri occhi che prima di lui non ci vedevano, ed al suo
tocco si allontanerà la tenebra e l’ignoranza, e subito non soltanto recupereremo
la vista, ma ci metteremo persino al suo seguito, e il nostro recuperare la vista
concorre a che non facciamo altra cosa che seguire colui che ci ha fatto vedere di
nuovo, affinché essendo continuamente al suo seguito, sia lui a guidarci verso
Dio (pro;" to;n qeovn) e con i nostri occhi che, grazie a lui, hanno ripreso a vedere,
contempliamo Dio (to;n qeovn) con quelli proclamati beati perché puri di cuore
(cfr. Mt 5, 8)»1006.
––––––––––––––––––
1008 CMt XVI, 13 (518, 19-26): tau'ta me;n ejpi; tou' parovnto" hJmei'" eij" tou;" tovpou"
<ei[te gnovnte"> ei[te labovnte", ei[domen: qeo;" de; doivh w|/ bouvletai lovgon sofiva" plou-
siwvteron kai; lovgon ejn fwti; gnwvsew" tranovteron, i{na tau'ta toi'" ajpo; toiouvtwn cari-
smavtwn sugkrinovmena euJrhqh/' wJ" luvcno" par/∆ h{lion (tr. Scognamiglio III, 67).
1009 CMt XVI , 17 (535, 3-9): «Questo è tutto quello che noi, per il momento, ab-
biamo visto su questo passo. Chi ne è capace, e fa spazio ad una grazia maggiore riguardo
a questo passo (cwrw'n meivzona eij" to;n tovpon cavrin), dica pure cose più grandi ed ele-
vate. Quanti sono assetati dalla spiegazione del Vangelo, diano a lui maggiore ascolto»
(tr. Scognamiglio III, 82-83).
1010 CMt XVI, 20 (544, 14-21): «Ma siccome anche qui il contesto (oJ eiJrmov" ) esige
che parliamo di queste cose come sono esposte nel testo di Matteo, invochiamo il Padre
della sapienza (to;n Patevra th'" sofiva" ejpikalesavmenoi) e vediamo se possiamo dire su
questo brano qualcosa di degno circa il gesto audace di Gesù» (tr. Scognamiglio III, 92).
1011 CMt XVI, 21 (549, 2-7 [tr. Scognamiglio III, 97]). Origene sembra prediligere
spesso in CMt la riscrittura parafrastica del testo evangelico, capace di farne emergere i
risvolti attualizzanti.
«Come incenso al tuo cospetto» 339
pensieri qui nascosti, cercasse correttamente, lo troverebbe e se lo chiedesse a
Dio (aijthvsa" ajpo; tou' qeou'), lo otterrebbe (cfr. Mt 7, 7)»1012.
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1021 CMt XV, 9 (372, 15-23): «Considera, pertanto, se la preghiera (th;n proseuchvn)
di Gesù tu possa riservarla a coloro che sono superiori ai bambini, capaci di fare spazio
sia all’imposizione delle mani su di loro, sia alla preghiera al Padre per loro (th;n peri;
aujtw'n pro;" to;n Patevra eujchvn), ma considera anche se puoi dire che per i bambini più
piccoli basta l’imposizione delle mani» (tr. Scognamiglio II , 204).
1022 CMt XVI, 5 (480, 22–481, 3): «Chi può, cerchi di capire quali sono i doni ac-
cordati dal Salvatore e quali quelli accordati dal Padre, considerando che alcuni doni potrà
darli non il Figlio, ma il Padre. Anche se tale fatto è mostrato dai Vangeli, che in alcuni
casi introducono il Salvatore che prega per compiere prodigi, perché il Padre ne esaudisca
le richieste (to;n swth'ra eujcovmenon periv tinwn dunavmewn i{na aujtw/' uJparcqh/' ta; aijthv-
mata ajpo; tou' Patrov"), in altri casi invece Gesù agisce senza pregare (cwri;" eujch'"),
come se avesse già i poteri che chiede, non è cosa facile indagare su ciò. Tuttavia, chi
può, faccia questa ricerca, ma con rispetto» (tr. Scognamiglio III, 29-30). Cfr. inoltre CMt
XIII, 3, circa le modalità diverse di ottenere da Gesù la guarigione, e CMt XI, 17, dove si
attira l’attenzione sulla varietà nel formulare le richieste o preghiere a Gesù.
1023 CMtS 74 (175, 14-16): «Adhuc autem oportebat eum hora adpropinquante ma-
gis orare, non semel nec bis sed ter, donec hora plenius adveniret».
«Come incenso al tuo cospetto» 343
tutte le sofferenze che gli vengono inflitte»1024. L’esemplarità dell’ade-
sione totale di Gesù al volere del Padre è dunque indicata per tempo dal-
l’Alessandrino come la chiave di lettura dell’episodio. Ma in CMtS 89-95
egli sviscera a fondo le circostanze e il significato della preghiera nel
Getsemani, a cominciare dal luogo in cui si svolge e dal fatto che Gesù
preghi in solitudine, tenendosi a distanza dai discepoli. Attraverso l’ese-
gesi di questi particolari Origene fa scaturire risvolti importanti per la
preghiera dei cristiani, come vedremo in seguito, inculcando dapprima la
raccomandazione di pregare nell’isolamento e di evitare la compagnia dei
malvagi. È sempre l’esempio di Gesù orante a formire l’argomento deci-
sivo, poiché l’Alessandrino ricorda come egli abbia agito più volte in
questo modo, operando la guarigione della figlia di Giairo solo dopo aver
fatto allontanare tutti, eccetto Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli
davanti ai quali si è trasfigurato sul monte, gli stessi che lo accompagna-
no al Getsemani1025.
Fin dal suo avvio la triplice preghiera di Gesù al Getsemani è vista
come l’esemplificazione della condizione agonica dell’uomo, posto nella
lotta tra la carne e lo spirito, anche se questa investe in maniera diversa la
persona del Logos incarnato1026: infatti egli, pur essendo simile in tutto
agli uomini in forza della comune natura, prova soltanto gli «inizi» della
tristezza senza divenire preda della passione vera e propria1027. In tal modo
Gesù assume in nuce la debolezza dell’uomo per indurlo con il suo stesso
––––––––––––––––––
1024 CMt XVI, 6 (tr. Scognamiglio III, 33). L’identificazione fra «calice» e «marti-
rio» compare anche in CMtS 92.
1025 CMtS 89 (204, 26-30): «melius est cum nullo orare quam cum malis orare. Ad
demonstrationem autem traditionis istius utetur exemplo, quod Iesus in domo Iairi sacer-
dotis oraturus pro mortua filia eius omnes eiecit foras (cfr. Mc 5, 40) et tres tantum elegit
secum, qui et super monte facti fuerant testes transfigurationis ipsius»; cfr. anche CMtS 90
(205, 15-17): «Hos ipsos autem discipulos adsumpsit et super montem, cum esset transfi-
gurandus, et ad filiam Iairi sacerdotis».
1026 In CMtS 92 (210, 14-17) l’Alessandrino ricorda che la scena dell’agonia, atte-
stata anche da Mc e Lc, è assente in Gv e lo spiega con il fatto che i Sinottici parlano del
Logos incarnato in quanto uomo, diversamente da Gv che lo considera come Dio: «Cau-
sam autem hanc arbitror esse, quoniam hi quidem magis secundum humanam eius natur-
am exponunt de eo quam secundum divinam, Iohannes autem magis secundum divinam
quam secundum humanam».
1027 In CMtS 90 (205, 23-206, 4) Origene spiega Mt 26, 37 («cominciò a provare
tristezza e angoscia»), come un sentimento dettato inizialmente in Cristo dalla prospettiva
dei suoi avversari, «i re ed i principi della terra» di Sal 2, 2: «Multum enim interest inter
tristari et incipere tristari. Si ergo aliquis defendens passiones humanas profert nobis etiam
ipsum tristatum fuisse Iesum, audiat quoniam, qui temptatus est per omnia secundum
similitudinem praeter peccatum (Eb 4, 15), hic non est tristatus tristitia passionis ipsius,
sed factus est secundum humanam naturam tantum in ipso principio tristitiae et pavoris».
Abbiamo qui l’abbozzo della dottrina della propavqeia che verrà sviluppata da Didimo il
Cieco: cfr. Layton, 114-134, in part. pp. 121-123.
344 Parte seconda, Capitolo settimo
esempio alla consapevolezza della propria fragilità, la quale deve a sua
volta spingere a non presumere di sé e a richiedere invece umilmente il
soccorso divino. Non diversamente da Orat, quindi, la preghiera nasce
dalla fondamentale situazione di bisogno dell’uomo, che non può contare
sulle proprie forze e si affida a Dio nella preghiera1028. Ora, tutto l’agire
di Gesù nell’agonia del Getsemani è animato secondo Origene dall’intento
di offrire un modello di condotta; perciò egli insiste sull’esemplarità della
preghiera del Salvatore, nei gesti e nelle parole, facendone emergere il si-
gnificato ancora attuale:
«Ecco perché noi dobbiamo rimanere lì dove ci comanda Gesù, per cui anche
l’Apostolo raccomanda che ciascuno resti nella vocazione in cui era quando fu
chiamato e vi resti presso Dio (1Cor 7, 20), in modo da fare di tutto per vegliare
al pari di lui, che non si addormenta né prende sonno nel custodire Israele (Sal
120[121], 4). A questo punto poi ha condotto quelli, e specialmente Pietro, che
nutriva grande fiducia in se stesso, affinché vedano e ascoltino fin dove giunge la
possibilità dell’uomo ed in che modo egli impetri pregando (ubi est posse hominis
et quomodo impetratur). Lo vedano prostrarsi con la faccia a terra, lo ascoltino
mentre dice: Padre, se è possibile, passi da me questo calice, ed imparino a non
farsi un’idea troppo grande di se stessi, ma a stimare le cose umili, e a non essere
precipitosi nel promettere, bensì solleciti nel pregare»1029.
––––––––––––––––––
1045 CMt XII, 6 (77, 28-32): ejpisthvsei" eij, o{pou pot∆ a]n zuvmh ojnomasqh/', eij" dida-
ch;n tropologei'tai, ei[te ejn novmw/ ei[te kai; ejn tai'" meta; to;n novmon grafai'". ou{tw de; mhv-
pote zuvmh ouj prosfevretai ejpi; to; qusiasthvrion: ouj ga;r dei' ta;" eujca;" trovpon e[cein
didaskaliva", ajll∆ ei\nai aujto; movnon aijthvsei" ajgaqw'n ajpo; qeou' (tr. Scognamiglio, 283;
cfr. anche HLv I, 2).
1046 È l’ipotesi avanzata da Vogt, 191-192.
1047 Sull’uso di Mt 18, 19 nel discorso eucologico, cfr. infra, pp. 488-492.
1048 CMt XIV, 1 (272, 21-30): h{ti" tosou'ton duvnatai, wJ" duvo movnwn meta; th'" pro;"
th;n qeivan mousikh;n kai; pneumatikh;n sumfwniva" ai[thsin prosagovntwn tw/' ejn toi'" ouj-
ranoi'" patri; peri; ouJtinosou'n, to;n patevra didovnai ta; aijthvmata toi'" meta; tou' sumfw-
nei'n ejpi; gh'" (o{per ejsti; paradoxovtaton) aijthvsasin, a{per aijthvsaien a]n oiJ th;n eijrhmev-
nhn sumfwnivan sumfwnhvsante" (II , 103-104). A seguito di tale «concordia», Pietro, Giaco-
mo e Giovanni sono prescelti per assistere alla trasfigurazione (tr. Scognamiglio II , 105).
«Come incenso al tuo cospetto» 351
Infatti, l’interpretazione che segue del passo paolino è basata sul mo-
tivo per cui «dall’accordo che viene da Dio ne consegue il potere benefi-
ciare del nome e dell’effetto della sinfonia, in vista di una preghiera» di
comune accordo. Ora, l’elemento su cui deve basarsi tale concordia orante
è l’essere uniti in Cristo (cfr. Mt 18, 20): il Logos è la fonte e il fondamen-
to dell’unione tra i fedeli. Ne abbiamo l’illustrazione nei Salmi, il libro
biblico per eccellenza della preghiera – dove Origene segnala come te-
stimonianza di coesione orante il fatto che i tre figli di Core parlino ad
una sola voce quasi «fossero una sola persona» –, e nell’immagine della
comunità primitiva secondo At 4, 32 («I credenti avevano un cuor solo ed
un’anima sola»). Solo una perfetta unità d’intenti, conforme alla fede, e
una condotta corrispondente possono far spazio alla venuta del Figlio di
Dio. Attuare in terra la communio sanctorum è partecipare della «sinfonia
derivante dalla musica divina», mentre l’assenza di accordo e di unità
spiegano per l’Alessandrino il mancato esaudimento:
«Dove non viene accordata dal Padre che è nei cieli qualunque cosa sia stata chie-
sta, è chiaro che lì non c’è stato neppure accordo di due sulla terra. Ecco il mo-
tivo per cui non siamo esauditi nella preghiera: non siamo concordi gli uni con
gli altri sulla terra né nelle verità che crediamo né nella vita che viviamo» 1049.
Questa convinzione è ulteriormente riproposta da tre diverse spiega-
zioni, tutte costruite sullo schema di «due o tre» suggerito da Mt 18, 19-20.
In primo luogo, secondo le indicazioni di 1Cor 7, 5, sia pure intese con-
tra Taziano come non vincolanti, l’accordo tra i due coniugi ai fini di pra-
ticare la castità è visto come condizione perché le loro richieste vengano
esaudite1050. In un secondo momento Origene, richiamando la sua antro-
pologia tricotomica, ricorda che dove regna lo spirito, anche il corpo ne
trae benefici, mentre l’armonia fra le tre componenti (includendo pure
l’anima) racchiude anch’essa la promessa di esaudimento, che consiste in
realtà nella venuta del Figlio di Dio1051. Benché in linea con l’orientamento
espresso nella chiusa di Orat, riguardo ai gesti della preghiera, qui il mo-
dello di un orante pienamente riconciliato con se stesso nelle sue diverse
––––––––––––––––––
1049 CMt XIV, 1 (tr. Scognamiglio II, 108).
1050 CMt XIV, 2 (278, 9-14): o{te proseucovmenoi peri; panto;" pravgmato" ou| eja;n
aijthvswntai lhvyontai, gignomevnou aujtoi'" tou' ajpo; toiauvth" sumfwniva" aijthvmato" para;
tou' ejn oujranoi'" patro;" ∆Ihsou' Cristou'.
1051 CMt XIV, 3 (279, 18-27): «se questo accordo si è ben realizzato, è concorde an-
che la preghiera che si eleva da chi con il cuore crede per ottenere giustizia, e con la bocca
fa professione di fede per avere la salvezza (Rm 10, 10), in modo che il cuore non sia più
lontano da Dio ed il giusto sia vicino a Lui, oltre che con il cuore, con il corpo e con le lab-
bra» (tr. Scognamiglio II, 111). Con 1Ts 5, 23, anche l’anima è attratta nell’accordo corpo-
spirito (280, 13-22): «Una volta che le prime due si sono unite nel nome di Cristo, tutte e
tre le realtà si trovano ormai radunate nel nome di lui, e tra loro viene il Figlio di Dio, giac-
ché tutto [...] è dedicato a lui (wJ" pavntwn aujtw'/ ajnakeimevnwn)» (tr. Scognamiglio II, 112).
352 Parte seconda, Capitolo settimo
dimensioni (somatica, psichica e pneumatica) è espresso in maniera ancor
più lucida e profonda. Terzo tempo della spiegazione è l’accordo fra An-
tico e Nuovo Testamento, pegno a sua volta di preghiere tali da attirarsi
l’ascolto di Dio, con lo Spirito come «il terzo che mette insieme i due Te-
stamenti» (to;n sunagwgeva tw'n duvo trivton poqei'") – una riflessione che
lascia intendere come per Origene la formulazione delle preghiere sia
chiamata ad articolarsi mediante le parole della Scrittura (come conferma-
no altri cenni in questo commentario e la sua stessa prassi orante)1052.
Una nuova occasione per riflettere sull’esaudimento della preghiera
è offerta dal commento a Mt 19, 10-11 (CMt XIV, 16-25), dove la pratica
della continenza, in sé umanamente impossibile, offre l’esempio dell’«im-
possibilità donata» da Dio agli uomini, in risposta a una preghiera assidua
e fiduciosa. Il dono della castità attira un dossier circa l’esaudimento
della preghiera, alle condizioni dettate da Gesù, cominciando con Mt 7,
7-8 («Chiedete e vi sarà dato... perché chiunque chiede riceve»). Chi non
è in grado di condurre una vita casta, è tale perché non l’ha fatto oggetto
della sua preghiera. Inoltre, con Mc 11, 24 («Per questo vi dico: tutto
quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi
sarà accordato»), Origene ricorda che l’orante deve aver fede di ricevere.
Ma questa disposizione interiore non è ancora sufficiente, poiché si richie-
de di pregare con tutto se stesso (seguendo 1Cor 14, 15, «con lo spirito»,
ma anche «con l’intelligenza») ed «incessantemente» (1Ts 5, 17), senza
mai stancarsi (Lc 18, 1). Al nutrito insieme di luoghi scritturistici su «do-
mandare e ricevere» si aggiunge da ultimo Lc 11, 8, che ribadisce la ne-
cessità d’insistere a pregare, prima di concludere con l’assicurazione che
«il buon dono [...], cioè l’assoluta purezza nel vivere il celibato e la casti-
tà, Dio lo darà a quelli che con tutta l’anima, con fede e incessantemente
glielo avranno chiesto con preghiera» 1053.
La fede come requisito indispensabile perché la preghiera venga ac-
colta è ribadita nell’esegesi dell’episodio del fico inaridito in Mt 21, 17-
22 (CMt XVI, 26-29). Per la vittoria sulle potenze malvage occorre avere
fede: «Ed ecco che tutto quello che chi ha fede e che non dubita chiederà
con fede nella preghiera, lo otterrà (Mt 21, 22)»1054. Ma questa fede è sor-
retta, per l’Alessandrino, dalla prospettiva dei «beni grandi e celesti», se-
––––––––––––––––––
1052 CMt XIV, 4 (tr. Scognamiglio II, 112-113). Cfr. infra, nota 1072.
1053 CMt XIV, 25 (348, 3-9): dwvsei ou\n to; ajgaqo;n dovma, th;n pantelh' kaqavreusin
ejn ajgamiva/ kai; aJgneiva/ oJ qeo;" toi'" ejx o{lh" yuch'" kai; meta; pivstew" kai; adialeivptw" ejn
proseucai'" aijtou'sin aujtovn (tr. Scognamiglio II , 177). Il motivo è accennato implicita-
mente anche nella discussione sull’«eunuchia» in CMt XV, 5, dove Origene torna a spie-
gare Mt 19, 11 nel medesimo senso: «E ciò è stato dato a tutti quelli che avranno chiesto a
Dio una spada razionale e l’avranno usata come conviene, per fare di sé degli eunuchi per
il Regno dei cieli» (ibi, 191).
1054 CMt XVI, 26 (tr. Scognamiglio III, 113).
«Come incenso al tuo cospetto» 353
condo l’agraphon che conosciamo fin da Orat e che si riconferma nel suo
valore di criterio normativo per coloro che vogliono essere autentici disce-
poli di Cristo. Infatti, essi si attengono strettamente all’insegnamento del
loro maestro, il quale scoraggia dal domandare cose che non si addicono
al benessere spirituale dell’uomo né si confanno alla dignità di Dio. In que-
sta trattazione che mira quasi sempre al risultato derivante dalla preghiera,
troviamo il maggior punto di contatto con le idee espresse nel trattato:
«E tutto quanto i discepoli di Gesù avranno chiesto con fede nella preghiera (o{sa
eja;n aijtw'si ejn th/' proseuch/' pisteuvonte"), lo otterranno: come discepoli non
hanno chiesto nulla di ciò che non si deve domandare, e obbedienti al Maestro,
non chiedono che le cose grandi e celesti. Disse infatti Gesù ai suoi discepoli:
Cercate le cose grandi e quelle piccole vi saranno date in aggiunta; cercate le
cose celesti, e quelle terrene vi saranno date in aggiunta»1055.
3.3. Le omelie
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1110 HIer XIV, 14 (cfr. infra, p. 389).
1111 HIer XX, 7 (189, 3-5): ei[ ti" ou\n duvnatai mimei'sqai to;n profhvthn, kai; ajqe-
sivan [...] ejpikaleivsqw, kai; talaipwrivan de; ejn tai'" ajskhvsesin ejpikaleivsqw.
1112 HIer XVII, 6 (150, 9-16): pollavki" noshvsante" kai; ejn fantasiva/ qanavtou ge-
novmenoi <ejpi; > th'" ejxovdou parakalou'men tou;" ejpiskopou'nta" hJma'" ajdelfou;" kaiv fa-
men: ai[thsaiv moi komivaton, ai[thsaiv moi ejpimevnein tw/' bivw/. tau'ta levgonte" oujk hJmevran
ejpiqumou'men aJgivan qeou', ajll∆ hJmevran ajnqrwvpou. diovper ajpoqevmenoi th;n filozwivan
kai; to; ejpiqumei'n ajnqrwpivnhn hJmevran, zhthvswmen th;n hJmevran ejkeivnhn ijdei'n, ejn h|/
teuxovmeqa th'" ejn Cristw/' ∆Ihsou' makariovthto", w/| ejstin hJ dovxa ktl.
1113 HLc IV, 2 (24, 4-7): «et qui semel ob utilitatem aliorum ad liberorum opera de-
scenderit et se voluerit huic ministerio mancipare, obsecret Deum, ut talis ei filius ingre-
diatur saeculum, super cuius nativitate laetior sit».
1114 HNm V, 1 (cfr. supra, nota 520). In HIud II, 3 (475, 12-19) la genuflessione del
corpo offre il pretesto per un’ammonizione contro la «genuflessione spirituale» a Satana
provocata dal peccato: «Sed non in hoc vocati sumus nec ad hoc credidimus, ut iterum
serviamus peccato et iterum genua flectamus diabolo, sed ut flectamus genua in nomine
Iesu, quia in nomine Iesu omne genu flectitur coelestium et terrestrium et infernorum (Fil
2, 10), et ut flectamus genua ad patrem Domini nostri Iesu Christi, ex quo omnis paterni-
tas in coelis et in terra nominatur (Ef 3, 14-15) et quid mihi prodest, si genua corporis mei
ad orationem veniens flectam Deo et genua cordis mei flectam diabolo?». In Fr1Cor 66
(190) la genuflessione non ha significato penitenziale, ma è il riflesso corporeo della dosso-
logia reverenziale per chi è beneficiato con il dono della profezia: oJ ojfelouvmeno" eujla-
bei'tai ejmblevyai eij" to; provswpon tou' Qeou': dio; fantazovmeno" to;n Qeo;n pivptei ejpi; prov-
swpon, kai; th;n uJperoch;n kai; th;n dovxan aujtw/' didouv", kai; ou{tw" proskunei' tw/' Qew/'.
370 Parte seconda, Capitolo settimo
pregare a capo scoperto1115, l’Alessandrino vi accenna sempre en passant,
senza mai considerarli entro una visione più organica conformemente alla
sua trattazione in Orat1116.
L’insieme delle trattazioni più specifiche rievocate sinora nel corpus
omiletico si riferisce essenzialmente alla preghiera ex parte hominis, an-
che quando Origene s’interroga sulla questione dell’esaudimento divino.
Ma egli ha affidato alla VI Omelia su Ezechiele una delle più illuminanti e
sorprendenti riflessioni sulle dinamiche dell’esperienza orante, consideran-
dola questa volta ex parte Dei. Con un crescendo paradossale, l’Alessan-
drino arriva ad affermare prima nei riguardi del Figlio, il quale s’incarna
per la salvezza degli uomini, e poi dello stesso Padre, una «passione della
carità» (passio caritatis) che li fa partecipare entrambi delle sofferenze
umane. Ora, la prospettiva assolutamente inedita (o almeno rarissima nel
pensiero cristiano antico) di una “passibilità” di Dio viene argomentata
con il ricorso al fenomeno umano della preghiera o supplica di aiuto che
si dà nelle relazioni tra gli uomini: dinanzi alla richiesta di colui che è nel
bisogno, se non si ha il cuore duro, si prova compassione per lui e tale
compassione ci induce ad ascoltare la sua domanda ed a prestargli aiuto.
Così è anche di Dio – sia nel Padre che nel Figlio – dentro il piano salvi-
fico da lui attuato a beneficio dell’umanità 1117. Di conseguenza, il mo-
dello antropologico della supplica (che Origene ha considerato en passant
anche nel trattato) offre una chiave straordinaria per penetrare nelle «vi-
scere paterne» di Dio stesso1118.
––––––––––––––––––
1115 Sul problema del segno di croce in Origene, cfr. supra, nota 511. Quanto alla
preghiera a capo scoperto, immagine dell’apertura a Dio della coscienza dell’orante, cfr.
HEz III, 3 (351, 10-14): «Qui fiduciam habet et vere vir est, velamen non habet super ca-
put suum, sed intecto capite orat Deum, intecto capite prophetat, per signum corporalis rei
etiam spiritalem latenter ostendens, ut quomodo non habet velamen super caput carnis
suae, ita non habeat velamen super principale cordis sui»; HEz III, 5 (353, 8-10): «Ideo
autem disrupturum, ut caput nudum fiat, ut accepta fiducia, et revelata non solum facie
sed etiam capite, constanter vir ecclesiasticus possit orare».
1116 Così HNm IX, 3 rievoca la preghiera di Mosè e Aronne prostrati a terra, mentre
HNm XI, 9 raccomanda che il curvarsi del corpo sia accompagnato dalla concentrazione
interiore della mente; a sua volta HNm XIX, 1 spiega il significato di innalzare le mani per
la preghiera.
1117 HEz VI, 6 (384, 31–385, 3): «Si rogetur, miseretur et condolet, patitur aliquid
caritatis, et fit in iis in quibus iuxta magnitudinem naturae suae non potest esse, et propter
nos humanas sustinet passiones» (cfr. anche HEz XIII, 2: «Quam bonus Deus, qui etiam
eos qui se denegaverunt, deflet! Et hoc venit ex amoris affectu. Nemo quippe plangit quem
odit; et qui plangitur, plangitur quidem ut mortuus, verum quasi adhuc quaeratur, quasi
vivis desiderio sit, diligitur»). Cfr. Perrone 1994a; Fernández Eyzaguirre; Pennacchio
2008, 157-188.
1118 Sulla «supplica», e[nteuxi", cfr. supra, pp. 130 ss.
«Come incenso al tuo cospetto» 371
3.3.2. L’omelia come momento orante: la preghiera del predicatore e della
comunità per la venuta del Logos
––––––––––––––––––
1119 Limitatamente ai testi omiletici si veda, ad esempio, HEz II, 2 (341, 29–342,
3): «Quomodo habebat opus Spiritu sancto qui haec dicere iubebatur, sic eodem Spiritu
opus est ei qui exponere cupit ea quae sunt latenter significata»; HEz XI, 2 (425, 31-34):
«Si aliquando Dei indiguimus auxilio – semper autem in intellectu Scripturarum Spiritu
eius sancto indigemus –, nunc profecto tempus est quo nobis praestet auxilium et pandat
ipse quae dixit»; HIos VIII, 1 (336, 7-8): «ad explananda ea indigemus gratia Spiritus».
Sulla necessità della preghiera per comprendere «le cose divine» insiste, in particolare,
EpGr 4 (supra, nota 7). L’Alessandrino ha sfruttato anche l’inizio di Ct per chiarire il
nesso fra preghiera e teologia; cfr. FrCt 2 (supra, nota 920). Fra i molti luoghi delle ome-
lie merita di essere segnalato HEx XII, 4 (266, 20-23), perché manifesta programmatica-
mente l’esigenza di combinare studio e preghiera: «Unde ostenditur non solum studium
nobis adhibendum esse ad discendas litteras sacras, verum et supplicandum Domino et
diebus ac noctibus obsecrandum, ut veniat agnus ex tribu Iuda et ipse accipiens librum si-
gnatum dignetur aperire».
1120 HEz XI, 5 (431, 6-8): «eo tempore quo Hieremiam exposuimus, ea quae nobis
gratia Domini orantibus vobis largita est, sive certe utcumque sensimus, exponere conati
sumus».
1121 Sul nesso letture – preghiera in contesto ecclesiale, si veda Fr1Cor 17 (90): o{ti
sunagovmeqa ejn tw/' ejnestw'ti aijw'ni, o{ti ajkouvomen grafw'n iJerw'n, o{ti eujcovmeqa. La
problematica è stata approfondita da Schütz, 139 e specialmente da Sheerin. Per l’analisi
delle dossologie conclusive si veda Crouzel 1980, con i nuovi approfondimenti critici
proposti da Grappone 2007. Questi ha osservato la frequenza delle preghiere all’inizio
delle omelie latine nella versione rufiniana, diversamente dai testi greci e dalle traduzioni
372 Parte seconda, Capitolo settimo
sempre le omelie che conosciamo iniziano e terminano con la preghiera,
anche se ciò è vero di un buon numero di esse. Di solito troviamo una
conclusione in forma di dossologia, ma non solo essa può combinarsi con
una vera e propria intenzione di preghiera che perlopiù riassume il senso
della spiegazione fornita dal predicatore, ma questi può ricorrere ad espres-
sioni oranti, oltre che in apertura di omelia, anche nel corso del suo com-
mento, impegnando eventualmente la comunità che l’ascolta ad assecon-
darlo 1122. Ciò avviene, ad esempio, quando l’omelia affronta successiva-
mente pericopi distinte del testo scritturistico, soprattutto qualora esse
comportino difficoltà particolari per l’interprete o implichino la necessità
polemica di contrastare opinioni che ritiene fuorvianti1123. In altre parole,
la tipologia delle manifestazioni oranti risulta piuttosto diversificata e
funzionale alle finalità, ad un tempo didascaliche ed edificanti (o se vo-
gliamo “pastorali”), che contraddistinguono l’attività omiletica di Orige-
ne1124. Abbiamo in ogni caso a che fare con un elemento caratterizzante,
accostabile per le sue modalità alle espressioni di «esegesi orante» che ab-
biamo scorto nei commentari.
––––––––––––––––––
di Gerolamo, senza però trarne un’indicazione critica sulla loro attendibilità: «se si allarga
lo sguardo alle preghiere introdotte all’inizio delle omelie nel loro complesso, in tradu-
zione rufiniana ne incontriamo un numero considerevole, 28 su 118 omelie, mentre nelle
omelie greche ne abbiamo trovato solo due su 21, compreso il brevissimo inciso di HIer
XVIII (eja;n doqh/': HIer XVIII, 1 [151, 7]), una richiesta d’aiuto per affrontare il testo più in
dettaglio; in HIer XIX abbiamo trovato nella transizione tra prologo e corpo del discorso
un’invocazione a Gesù, perché ispiri il predicatore» (p. 101).
1122 Ad esempio, in HGn III abbiamo tre richieste di preghiera alla comunità: in III,
1, per poter ribattere alle questioni sugli antropomorfismi divini; in III, 4, per propiziare la
spiegazione della «circoncisione del cuore» secondo Paolo ([44, 5-6] «Redeamus ergo ad
propheticas voces, ut, orantibus vobis, haec de quibus quaerimus inde clarescant»); III, 5
([44, 15-16] «Si me vestris precibus iuveritis»). Anche in HGn VII troviamo due esorta-
zioni alla preghiera ( VII, 1; VII, 6). HLv V e HIos VIII contengono numerosi richiami alla
preghiera (cfr. rispettivamente HLv V, 1; V, 2; V, 4; e HIos VIII, 1; VIII , 2; VIII, 3). Sui due
appelli oranti di HIer XIX si veda infra, nota 1149. Esortazioni a pregare per l’intelligenza
spirituale, nel mezzo della spiegazione, compaiono anche in HIud IV, 3; HIs VI , 3; HEz III,
6; HEz IV, 1; HLc XXII, 3 (134, 10-14): «Oremus, ut illius cotidie nobis adventus fiat et
possimus dicere: Vivo autem, iam non ego, vivit autem in me Christus (Gal 2, 20). Si enim
Christus vivit in Paulo et non vivit in me, quid mihi proderit? Cum autem et ad me venerit
et fruitus illo fuero, sicut fruitus est Paulus, tunc et ego possum Paulo similiter loqui».
1123 Si veda, ad esempio, in HGn IV, 6 (56, 17-19) la premessa a una confutazione di
gnostici e marcioniti: «Nos ergo prius Dominum deprecantes et vestris orationibus adiuti
aggrediemur contra eos proelium verbi». Cfr. anche HEx III, 2 (164, 23-25): «Et ideo oran-
dum nobis est, ut dignetur Dominus aperire os nostrum, ut possimus et contradicentes re-
vincere et obturare os quod diabolus aperit».
1124 Benché HLv VII, 1 distingua il compito del predicatore (= edificare la comu-
nità) da quello del maestro (= spiegare le Scritture), in generale le due istanze sono com-
presenti nell’omiletica di Origene. La distinzione è comunque richiamata anche in HNm
XIX, 1 e altrove. In proposito si veda il giudizio di Markschies citato alla nota 737.
«Come incenso al tuo cospetto» 373
A testimonianza del momento orante in apertura possiamo richiamare
l’inizio della VII Omelia sulla Genesi. Esso esemplifica bene l’invito alla
preghiera per l’intelligenza spirituale delle Scritture che accomuna predi-
catore e fedeli nella richiesta dell’aiuto divino, condizione indispensabile
per accedere al livello profondo del testo 1125:
«Mosè ci viene letto nella chiesa. Supplichiamo il Signore affinché, anche per noi,
secondo la parola dell’Apostolo, quando viene letto Mosè, non sia posto un velo
sopra il nostro cuore (2Cor 3, 15)»1126.
Il ricorso al passo paolino, assai frequente non solo in questo ciclo di
omelie ma anche altrove, più che essere sfruttato in senso stretto a fini
esegetici, serve ad indicare il contenuto della supplica che occorre rivol-
gere in comune a Dio per far sì che l’Antico Testamento giunga ad esse-
re inteso come «libro della chiesa»1127. Ma, come mostra il prologo della
VI Omelia sulla Genesi, esso va ricondotto ad una costellazione di riferi-
menti-chiave per l’ermeneutica spirituale della Bibbia, tutti ricavati dal-
l’Apostolo, che in contesto omiletico giungono a configurarsi per Origene
come oggetto di preghiera.
«Se uno vuole ascoltare e comprendere queste cose soltanto secondo la lettera,
deve disporsi all’ascolto più con i giudei che con i cristiani; ma se vuole essere
cristiano e discepolo di Paolo, lo ascolti dire che la legge è spirituale (Rm 7, 14),
e, quando parla di Abrahamo, della sua moglie e dei suoi figli, lo ascolti pro-
nunciare la parola allegoria (Gal 4, 24). E anche se qualcuno di noi non può fa-
cilmente scoprire di che tipo di allegorie si tratti, tuttavia deve pregare che dal
suo cuore sia tolto il velo, se c’è chi si sforzi di convertirsi al Signore: il Signore
infatti è Spirito (2Cor 3, 16-17) ed egli stesso tolga il velo della lettera e apra la
luce dello Spirito, e possiamo dire che contemplando a volto svelato la gloria del
Signore, siamo trasformati per la medesima immagine di gloria in gloria, come
dallo Spirito del Signore (2Cor 3, 18)»1128.
––––––––––––––––––
1125 Riprendo qui alcune riflessioni sviluppate più ampiamente in Perrone 1999c.
1126 HGn VII, 1 (70, 12-14): «Moyses nobis legitur in ecclesia. Deprecemur Domi-
num, ne secundum verbum apostoli etiam apud nos, cum legitur Moyses, velamen sit posi-
tum super cor nostrum (2Cor 3, 15)». Cfr. inoltre l’accenno all’immagine del «velo» nella
preghiera introduttiva all’esegesi spirituale dopo un “preambolo” di esegesi letterale in
HGn II, 2 (30, 4-6): «Nunc vero iam deprecantes eum prius, qui solus potest de lectione
veteris testamenti auferre velamen, temptemus inquirere quid etiam spiritalis aedificatio-
nem contineat magnifica haec arcae constructio».
1127 Cfr. Cocchini, 144-145: «Con frequenza Origene ricorre alla pericope paolina
nel momento che segna il passaggio dal primo livello interpretativo di un determinato te-
sto, al secondo livello, non più semplicemente letterale ma più profondo: in questi casi,
più che per farne oggetto di interpretazione, egli si richiama al testo di Paolo per formu-
lare quella “supplica a Dio” alla quale invita anche il pubblico dei fedeli, e che ritiene ne-
cessaria, giacché lui “solo può togliere il velo dalla lettura dell’Antico Testamento” [HGn
II , 3]». Il motivo del «velo», oltre al riferimento paolino, può rinviare a Sal 118(119), 18,
come vediamo dall’esortazione iniziale di HGn XII, 1 (supra, nota 800).
1128 HGn VI, 1 (tr. Danieli, 188-190).
374 Parte seconda, Capitolo settimo
Come evidenzia questo brano, non si tratta semplicemente di acce-
dere ad una comprensione spirituale delle Scritture, bensì d’introdursi –
nel segno della preghiera – ad un itinerario di perfezionamento spirituale
la cui mèta ultima è la conformazione all’«immagine di Dio», secondo il
motivo illustrato da Origene in Orat e altrove quando collega la preghiera
alla contemplazione1129. È quindi una strada ardua ed esigente, e Origene
ne ben è consapevole, allorché accenna alle eventuali difficoltà dell’udi-
torio a «scoprire le allegorie»; ma tali difficoltà toccano da vicino anche
il predicatore, che è chiamato ad iniziare i suoi ascoltatori al mistero della
Parola divina. Per questa ragione Origene non solo raccomanda ai fedeli
di pregare «il Padre del Verbo» perché tolga il velo posto sui loro occhi,
che di fatto coincide con il «velo della lettera», ma li esorta anche a so-
stenerlo mediante la preghiera, perché Dio ispiri le sue parole e l’assista
nel momento in cui aprirà bocca1130. Si tratta nuovamente, in qualche mi-
sura, di indicazioni programmatiche della «lettura ecclesiale» dell’Antico
Testamento, come vediamo dal bel testo in apertura della IX Omelia sulla
Genesi, che fonde suggestivamente le due istanze, comunitaria e perso-
nale, fino al punto di renderle indissociabili:
«Quanto più ci inoltriamo nella lettura, tanto più aumenta in noi il cumulo dei mi-
steri (Quantum legentes progredimur, tantum nobis sacramentorum cumulus auge-
tur). E, come quando uno entra nel mare su una navicella, fino a che è vicino alla
terra, ha meno paura, ma quando a poco a poco è avanzato in alto mare, e ha inco-
minciato o a essere sollevato in alto per il gonfiarsi delle onde, o a essere condotto
giù nel profondo per il fendersi di esse, e allora grande angoscia e spavento gli in-
vadono l’anima, per avere affidato una piccola zattera a così ingenti flutti: questo
ci sembra di provare anche noi che, piccoli di meriti e deboli di ingegno, osiamo
entrare nell’oceano così vasto dei misteri. Ma se, per la vostra preghiera, il Signore
si degnerà di concederci il soffio leggero e favorevole del suo Spirito santo (si,
orantibus vobis, Dominus dignetur Spiritus sui sancti auram nobis prosperam da-
re), entreremo, mediante la rotta propizia della parola, nel porto della salvezza»1131.
––––––––––––––––––
1129 Sul nesso fra «intelligenza spirituale» e «conversione» si veda HEx XII, 4 (267,
28–268, 2): «Si ergo et nos Dominum deprecemur ut velamen de corde nostro dignetur
auferre, capere possumus intellegentiam spiritalem, si tamen convertamur ad Dominum et
libertatem scientiae requiramus». Cfr. anche HLv XIII, 2 (468, 20-23): «Verum quoniam lex
spiritalis est (cfr. Rm 7, 14), petamus a Domino – si tamen conversi sumus ad Dominum –
auferri nobis velamen de lectione Veteris Testamenti (cfr. 2Cor 3, 14. 16), ut possimus
advertere, quae ratio sit candelabri vel lucernarum secundum intelligentiam spiritalem».
1130 HReL I, 3 (5, 8-15): «Deprecor autem vos omnes, ut, quoniam sensum tam dif-
ficilium rerum conamur aperire et ea, quae velamine obtecta sunt, ecclesiae auribus pan-
dere – in lectione enim veteris Testamenti, sicut dicit apostolus, velamen est positum
(2Cor 3, 14) –, precibus a Domino postuletis, ut dignetur nobis ad se conversis auferre ve-
lamen (2Cor 3, 16) etiam de hac lectione (2Cor 3, 18), quam habemus in manibus, et
planius nobis reserare, quae tecta sunt, ut et nos possimus revelata facie in his, quae lecta
sunt, gloriam Domini speculari (2Cor 3, 18)».
1131 HGn IX, 1 (86, 18-27 [tr. Danieli, 247]).
«Come incenso al tuo cospetto» 375
La sinergia orante tra la comunità e il predicatore può tradursi spesso
in espressioni di carattere formulare, senza che questo aspetto trattenga
particolarmente l’omileta. In tali casi egli si limita semplicemente a richia-
mare la cornice della preghiera come premessa necessaria della sua espo-
sizione, prima di addentrarsi in essa1132; infatti, anche se il significato let-
terale risulta chiaro, il senso spirituale del testo esige preliminarmente un
atteggiamento di preghiera1133. In generale, il sostegno dei fedeli con la
loro preghiera viene evidenziato quando il passo da commentare presenti
particolari difficoltà all’interprete o l’uditorio risulti impreparato ad ac-
cogliere l’insegnamento impartito dal predicatore. Nella IX Omelia sul-
l’Esodo Origene dichiara espressamente che offrire una spiegazione dei
misteri contenuti nel testo in esame trascende sia le forze del predicatore
sia la capacità dell’uditorio: egli si sforzerà comunque, con il concorso
dei fedeli e l’aiuto determinante di Dio, in risposta alla loro preghiera, di
contribuire all’edificazione della comunità 1134. Anche nella XX Omelia su
Giosuè, il predicatore chiede alla comunità di sostenere il suo compito
pregando, in modo che risulti possibile trarre almeno qualche beneficio
spirituale dalla lettura della Parola sacra1135. Questo genere di inviti tende
ad infittirsi nella nutrita serie delle Omelie su Numeri dedicate a commen-
tare la profezia di Balaam (HNm XIII-XIX), proprio perché il testo risul-
tava particolarmente ostico 1136. Sebbene l’Alessandrino non lo dichiari
––––––––––––––––––
1132 Cfr. ad esempio HGn III, 1 (39, 18-19): «Ad haec ergo, si precibus vestris iu-
vemur, prout Dominus dederit, breviter occurremus»; HEx V, 1 (184, 28–185, 2): «Accepta
ergo a beato Paulo apostolo semina spiritalis intellegentiae, in quantum Dominus nos pre-
cibus vestris illuminare dignabitur, excolamus»; HNm XX, 1 (185, 12-16): «Duae sunt ergo
historiae, quae recitatae sunt; sed nos de prima interim, quae fornicationem populi descri-
bit, si quid orantibus vobis gratiae Dominus dignabitur praestare, dicemus; si vero ipse
concesserit, aliquid etiam de secunda contingere audebimus».
1133 HNm XII, 4 (104, 2-4): «Historia quidem manifesta est, sed deprecemur Domi-
num, ut aliquid dignum possimus in interioribus eius sensibus pervidere».
1134 HEx IX, 2 (237, 18-22): «quomodo autem horum narratio aptari possit coelesti-
bus et aeternis, nec nostrae mensurae est dicere nec vestrae, ut opinor, capacitatis audire.
Pauca tamen, si nos orantibus vobis Dominus illuminare dignetur, quae ad ecclesiae aedi-
ficationem pertineant, aperire temptabimus».
1135 HIos XX , 1 = Phil 12 (415, 7-12): «Verum quia difficile est ita eruditam vel
gratia spiritus repletam invenire animam, conamur nos consolationis communis causa, ne
forte taedio efficiatur auditoribus sermo divinus et lectio, si nihil explanationis accipiat,
orantibus vobis et Domino donante haec interim de huiuscemodi lectionibus perstringere,
quae aedificare possint animas nostras». Il testo greco di Phil 12, assai più stringato, non
contempla l’invito alla preghiera.
1136 Fin dalla prima omelia Origene insiste sul problema esegetico, che peraltro in-
veste anche il tenore letterale del testo; cfr. HNm XIII, 4 (111, 22-25. 112, 8-11): «Omnia
iam, quae de Balaam et asina eius scribuntur, historia plena negotiis; interior vero intellec-
tus multo negotiosior et nescio, si facile sit vel ipsas tantum historicas explanare senten-
tias. Deo tamen donante breviter, quae possumus, perstringemus. [...] Unde iterum atque
376 Parte seconda, Capitolo settimo
sempre con uguale intensità, nondimeno dai suoi appelli all’uditorio tra-
spare chiaramente che l’omileta non può mai prescindere da questa dimen-
sione orante. Come ricaviamo ancora dalla XX Omelia su Giosuè, è impos-
sibile all’uomo scrutare i misteri di Dio senza il suo aiuto: pertanto, se il
predicatore si affatica a commentare il testo biblico, anche la comunità
deve affaticarsi con lui per giungere insieme alla comprensione spiritua-
le1137. La VII Omelia su Ezechiele, istituendo un parallelo fra il compito del
predicatore e il ruolo di Mosè – che dopo il colloquio con Dio ne trasmet-
teva i contenuti al popolo –, richiede l’assistenza dei fedeli oranti perché
lo Spirito santo comunichi all’omileta i misteri e questi possa a sua volta
riferirli alla comunità1138.
Nelle esortazioni a pregare da parte di Origene si è già intravisto, per
così dire, il terzo soggetto di una dialettica che comporta le tre componenti
seguenti: 1. il predicatore, 2. la comunità e 3. colui che rappresenta il fatto-
re decisivo per una dinamica di comprensione, cioè Dio stesso. Secondo
l’auspicio programmatico della III Omelia su Levitico, «se il Signore si
degna di aprire a noi gli occhi per vedere e a voi le orecchie del cuore per
ascoltare, ricercheremo che cosa voglia dire il pensiero del legislatore av-
volto di misteri»1139. Questo terzo lato nel “triangolo” di relazioni spiri-
––––––––––––––––––
iterum Dei nobis exoranda est gratia, ut haec non fabulosis et Iudaicis narrationibus, sed
rationalibus et dignis divina lege possimus sensibus explicare». Anche l’avvio della spie-
gazione della seconda profezia rimanda ad una cornice orante, come mostra HNm XVI, 1
(137, 13-15): «Secundae nunc prophetiae initium sumimus, ut, si Dominus adspirare di-
gnetur, etiam de hac pro viribus, quae occurrerint, in medium proferamus»; mentre HNm
XVI, 8 conclude con una supplica per ricevere l’intelligenza spirituale della parte residua
degli oracoli di Balaam. Si veda ancora HNm XVIII, 1 (167, 10-12): «Quartam nunc
prophetiam ex his, quae Balaam in verbo Dei locutus est, in manus assumimus, volentes
etiam de ipsa, quae Deus dederit, aperire»; e HNm XIX, 1 (176, 23-26): «Quinta haec no-
bis eademque ultima Balaam visio discutitur, de qua similiter, ut in ceteris, Dominum de-
precemur, quo in fine nos non deserat, ut possimus huius quoque visionis sensum haud
procul a veritate captare». In Dial 26 Origene spiega Nm 23, 10 come esempio di «pre-
ghiera spirituale» (supra, nota 784).
1137 HIos XX, 4 (422, 16-22): «Videtis quia vere auxilio Dei opus est, ut haec ex-
planari queant; et impossibile prorsus est ullum hominum de his disserere, nisi illuminatus
per Dei gratiam fuerit. Ideo ergo iuvate me orationibus et mecum pariter laborate, ut Do-
minus in istis tam obscuris et absconditis locis lucem veritatis nobis dignetur ostendere, ut
et nos vobis possimus aperire, quomodo haec vera et utilia et divina sunt, sed pro fragili-
tate humanae naturae obtecta sacramentis et mysteriis involuta». Cfr. anche HReL I, 2 (3,
23-24): «Historia nobis recitata est de primo libro Regnorum, quae ita videtur difficilis, ut
absque divinae virtutis gratia explanatio eius non possit exponi»; per tale motivo in I , 3
(nota 1130) il predicatore invita a pregare.
1138 HEz VII , 10 (400, 1-2): «Dei indigemus auxilio, ut ipse nobis obscuritatem istius
loci edisserat. Et quomodo Moyses audiebat Deum et deinde ea quae a Deo audierat profe-
rebat ad populum, sic nos indigemus Spiritu sancto loquente in nobis mysteria, ut oratio-
nibus vestris Scripturam possimus audire, et rursum quod audivimus populis intimare».
1139 HLv III, 6 (310, 22-24): «Verum si dignetur Dominus vel nobis oculos ad viden-
«Come incenso al tuo cospetto» 377
tuali istituito dalla situazione omiletica viene esplicitato da Origene ai di-
versi livelli della sua articolazione trinitaria. In primo luogo, abbiamo l’in-
dicazione del destinatario della preghiera: in alcuni casi – come avveniva
in Orat – egli è espressamente indicato come Dio, il «Padre del Verbo»1140.
Ne abbiamo un bell’esempio nella VI Omelia su Levitico:
«per spiegare tali cose, noi dobbiamo contare non sulle forze dell’ingegno uma-
no, ma sull’effondere orazioni e preghiere a Dio. E abbiamo bisogno anche del
vostro aiuto, perché Dio, il Padre del Verbo, ci doni il verbo per aprire la nostra
bocca, affinché possiamo considerare le meraviglie della sua Legge»1141.
Non è solo per effetto della loro “cornice orante” che le omelie di Ori-
gene contribuiscono ad arricchire il linguaggio e le immagini della pre-
ghiera, laddove queste ultime si concretizzano in particolar modo nelle
figure esemplari di oranti. Tale arricchimento è indotto in primo luogo
dall’abbondanza dei riferimenti scritturistici, i quali suggeriscono al pre-
dicatore questo o quello spunto attinente il nostro tema. Senza passare
adesso in rassegna gli obiter dicta, che conviene piuttosto considerare
esaminando nel prossimo capitolo le “coordinate bibliche” del discorso
origeniano sulla preghiera, cerchiamo di tracciare brevemente un quadro
riassuntivo degli apporti delle omelie a proposito della lingua e delle im-
magini. Anche in questo caso terremo presente, come termine principale
di confronto, la prospettiva disegnata nel trattato.
L’insieme del corpus omiletico che ci è giunto in traduzione latina
non può ovviamente essere di grande aiuto per verificare in quale misura
l’Alessandrino abbia continuato ad ispirarsi alla terminologia proposta da
Orat. Com’è noto, essa ha il suo punto di forza nel primato della proseu-
chv, sebbene già nello stesso trattato la riflessione terminologica sia in parte
––––––––––––––––––
1168 HLv VI, 6 (370, 2-4): «Oret ergo et sacerdos ecclesiae indesinenter, ut vincat
populus, qui sub ipso est, hostes invincibiles Amalechitas, qui sunt daemones, impugnan-
tes eos, qui volunt pie vivere in Christo (cfr. 2Tm 3, 12)»; HLv VII, 1 (371, 8-12): «Vult
ergo sermo divinus sobrios in omnibus esse Domini sacerdotes, utpote qui accedentes ad
altare Dei orare pro populo (Lv 9, 7) debeant et pro alienis intervenire delictis, qui portio-
nem in terra non habeant, sed ipse Dominus portio eorum (cfr. Nm 18, 20) sit». Sulla
funzione dei sacerdoti come intercessori si veda anche HNm V, 3; HNm X, 3.
1169 HGn XI, 3 (105, 20-24): «Vel certe etiam si non potuero omnia intellegere, assi-
deo tamen Scripturis divinis et in lege Dei meditor die ac nocte (Sal 1, 2) et omnino num-
quam desino inquirendo discutiendo tractando, certe, quod maximum est, orando Deum et
ab illo poscendum intellectum, qui docet hominem scientiam, videbor etiam ego habitare
ad puteum visionis».
386 Parte seconda, Capitolo settimo
suscettibile di un’interpretazione meno univoca ed esclusiva. Le omelie
greche tendono ad accentuare il carattere orientativo delle classificazioni
stabilite da Origene nel trattato. Come constatiamo specialmente dalle
Omelie su Geremia, egli adotta di preferenza i termini eujchv e eu[comai,
invece di proseuchv e proseuvcomai. Occasionalmente ricorre anche a
questi ultimi, ma senza che ciò comporti un riferimento di natura prescrit-
tiva, nel senso del modello di «preghiera spirituale» tracciato da Orat. Ciò
è tanto più sorprendente, se notiamo che le omelie greche citano spesso
proprio quei luoghi scritturistici “normativi” addotti in Orat, nei quali si
privilegia l’uso di proseuchv e proseuvcomai (come 1Tm 2, 8; Sal 108
[109], 7; Sal 140[141], 2; 1Cor 14, 15; Ap 5, 8) 1170. Solo in un caso ritro-
viamo una valorizzazione del termine proseuchv, allorché nella XVIII Ome-
lia su Geremia Origene mette a confronto la «preghiera del giusto» e quel-
la dell’«ingiusto»1171. Se è vero poi che il ricorso ad eu[comai talvolta può
indicare il «voto» o l’«auspicio», senza perciò rinviare alla preghiera in
senso stretto, ciò non toglie che l’Alessandrino designi proprio con eujchv
e eu[comai l’esperienza orante in quanto tale1172. Egli esorta la comunità a
––––––––––––––––––
1170 Così FrIer 68 (nota 1100) continua a indicare il modo di pregare in 1Tm 2, 8.
Anche HIer V, 9 cita 1Tm 2, 8, mentre HIer XVIII, 10 (164, 23-24) dice della preghiera di
Giuda, in riferimento a Sal 108(109), 7: ejkei'no" kata; to; proseuvcesqai eij" keno;n ejqu-
mivase (cfr. anche Fr 68). HReG V, 9 cita 1Cor 14, 14 (infra, nota 1455). FrIer 68 aggiunge
al dossier Ap 5, 8. Sal 140(141), 2 figura in HIer XVIII, 10 e FrIer 68. Di particolare inte-
resse è qui il ricorso di proseuvcomai in HIer V, 9 (38, 34-39, 4), dove Origene rivisita
l’immagine del «velo» che ricopre il volto nel senso dell’ira che impedisce di pregare
rettamente: Oi|on ojrgh; ejpikeimevnh th/' yuch/' hJmw'n katav tino" ejpivkeitai kavlumma hJmw'n
ejpi; to; provswpon: dia; tou'to eij qevlomen proseucovmenoi eijpei'n: ∆Eshmeiwvqh ejf∆ hJma'" to;
fw'" tou' proswvpou sou, kuvrie (Sal 4, 7), periairw'men to; kavlumma kai; poihvswmen to;
ajpostoliko;n ejkei'no to; Bouvlomai ktl. (1Tm 2, 8).
1171 HIer XVIII, 18 (supra, nota 1191).
1172 Si veda, ad esempio, HIer XVI, 7 (140, 7-8): i[dwmen tiv profhteuvei peri; hJmw'n
h[dh manqanovntwn eu[cesqai, ma'llon de; memaqhkovtwn. HIer XX , 7 (187, 33-188, 3)
evoca la figura di Giuditta in preghiera (tosw'nde hJmerw'n ejxercomevnh eu[cesqai tw/' qew/'
[...] ta;" eujca;" e[xw th'" parembolh'") e HIer XIX, 13 (169, 13-14) quella della comunità
apostolica primitiva (ejscovlazon tai'" eujcai'" kai; tw/' lovgw/ tou' qeou'). A sua volta, FrIer
17 (nota 557) accenna implicitamente al colloquio orante con Dio ricordando la sua vici-
nanza a chi prega, mentre in HIer X, 8 (78, 19-21) la preghiera dei salmi è designata con il
termine eujcaiv: ajll∆ hJmei'" parjrJhsivan e[comen, i{na ei[pwmen ejn tai'" eujcai'": Mh; pa-
radw/'" toi'" qhrivoi" yuch;n ejxomologoumevnhn soi (Sal 73[74], 19 – ripreso da HEz IV, 7
[368, 11-13]: «Procul autem absit a nobis ut bestiae ad nos pro Dei ultione mittantur, quin
potius in oratione dicamus: Ne tradideris bestiis animam confitentem tibi»). Se HIer XIV,
14 indica con eujcaiv formule di preghiera in uso tra i fedeli (si veda supra, nota 1143), in
HIer V , 5 (36, 10-11) l’uso di eu[comai suggerisce un’ambivalenza di significato tra
«pregare» e «augurarsi» o «auspicare», anche se il primo pare il più probabile: eu[cetai
ga;r tou;" ajnaisqhvtou" <tw'n> th'" aijscuvnh" e[rgwn eij" sunaivsqhsin e[rcesqai (infra,
nota 1178; cfr. anche HIer X , 4; XIV , 14). La ritroviamo anche in HIer XX, 6 (186, 6-10)
riguardo all’efficacia che il predicatore «si augura» in vista della conversione: ei[ tiv" ge
iJkanov" ejsti kinh'sai yuch;n ajkroatou' mavlista hJmarthkovto", toiouvtou" eu[cetai lov-
«Come incenso al tuo cospetto» 387
viverla autenticamente, soprattutto quando invoca Dio per partecipare
alla sorte di profeti e apostoli ma non si rende conto di quanto una simile
richiesta sia ardita e impegnativa1173. Non senza una certa oscillazione
semantica fra «auspicio» e «preghiera» egli si serve di eu[comai anche in
prima persona per augurarsi che la propria predicazione dia frutti spiri-
tuali 1174, riuscendo in ciò anche dove il testo sacro risulti essere partico-
larmente ostico1175. D’altra parte Origene rinvia alla preghiera dei Salmi o
a singole espressioni del profeta Geremia designandole mediante il ter-
mine eujcaiv, mentre segnala intenzioni precise di preghiera «a Dio» con il
verbo eu[comai 1176. Infine, sempre in riferimento all’uso di questo verbo,
possiamo rintracciare un’eco dell’aporia discussa nel trattato, ma anche
nel Commento a Genesi, su azione degli astri e preghiera1177.
Nonostante l’elasticità terminologica che questi dati tendono a eviden-
ziare, l’attenzione manifestata da Origene verso l’individuazione nel testo
di Geremia di passi riconoscibili come «preghiere» è indizio della sua viva
consapevolezza circa il linguaggio e le espressioni della preghiera1178. Ne
––––––––––––––––––
gou" e[cein, oi{tine" ajpo; dunavmew" kai; paratavxew" kai; qeiovthto" kai; nohmavtwn ajpag-
gellovmenoi iJerw'n seivsousi th;n yuch;n tou' ajkouvonto" kai; kinhvsousi ejpi; pevnqo" kai;
ejpi; klauqmo;n kai; ejpi; davkrua. L’uso di eu[comai nel significato di «augurarsi» è atte-
stato inoltre da FrLam 43 (254, 27-28), su Lam 1, 22: wJ" ei[ ti" eu[xaito trauvmata eij"
o[yin ejlqei'n ijatrou' pro;" to; tucei'n teleiva" ijavsew".
1173 HIer XV , 1 (infra, nota 1184). Cfr. anche HIer V , 17 (47, 7): dia; tw'n eujcw'n
parakavlei to;n qeovn; HIer VI, 2 (49, 20): eujcovmeno" ma'llon ponei'n eij prosavgoito ta;
ejpivpona; HIer VII, 3 (54, 12-13): Nu'n ou\n ejn gh'/ ajllotriva/ ejsmevn, kai; eujcovmeqa to; ejnan-
tivon poih'sai, wJ" ejpoivhsan oiJ uiJoi; ∆Israh;l ejn th'/ gh'/ th'/ aJgiva/. La critica alla leggerezza
con cui i fedeli invocano per sé la sorte di profeti e apostoli figura anche in HIer XIV , 14
(nota 1184).
1174 HIer XX, 3 (179, 30-180, 4): ∆Egw; de; eu[comai, a} lambavnw ajpo; tw'n didovntwn
mh; thrh'sai movnon mhde; katoruvxai to; tavlanton tw'n legovntwn moi eij" th;n gh'n (cfr. Mt
25, 18) mhde; th;n mna'n tw'n didaskovntwn ti crhvsimon ajpodh'sai ejn soudarivw/ (cfr. Lc 19,
20), ajlla; pleonasmo;n poih'sai tw'n maqhmavtwn w|n lambavnw ajpo; tou' paradidovnto" kai;
dunamevnou paradou'nai crhvsima. Eu[comai th;n mna'n ei[te eujaggelivou ei[te ajpostovlou
ei[te profhvtou ei[te novmou poih'sai pollaplasivona. Cfr. anche HIer XX , 6 citato alla
nota 1172.
1175 HIer XX, 3 (180, 5-6): kai; skopw'n eu[comai euJrivskein ti eij" to;n tovpon ajlhqev".
1176 Per l’uso del termine eujcaiv in riferimento ai Salmi, cfr. HIer X, 8 (supra, nota
1172). Quanto ai testi del profeta classificati come eujcaiv, si veda HIer VI, 1 (47, 26-27):
tiv levgei ejn th/' eujch/', to; kuvrie, oiJ ojfqalmoiv sou eij" pivstin (Ger 5, 3). Cfr. inoltre HIer
XIV, 13 (118, 3-5), che segnala come «preghiera» Ger 15, 15 («Tu lo sai, Signore, ricor-
dati di me e aiutami...»): Meta; tau'ta kai; tou;" lovgou" tw'n ajpeilw'n tw'n eijrhmevnwn pro;"
to;n lao;n <oJ> ajnwtevrw eujxavmeno" sumplhroi' th;n eujch;n kai; sunavptei toi'" proeirhmev-
noi" tau'ta: Su; e[gnw", kuvrie, mnhvsqhtiv mou ktl. HIer XVII, 5 (148, 17-18) fa lo stesso
con Ger 17, 14-16: ei\ta pavlin eujchv ejstiv ou{tw" e[cousa: i[asaiv me, kuvrie, kai; ijaqhvso-
mai ktl.
1177 FrIer 49 (cfr. supra, nota 307 e pp. 102-103).
1178 In questo senso HIer VI, 1 (47, 23-28) sottolinea nel profeta la consapevolezza
circa le sue parole di preghiera: Kuvrie fhsi;n oiJ ojfqalmoiv sou eij" pivstin (Ger 5, 3). ÔW"
388 Parte seconda, Capitolo settimo
abbiamo una testimonianza significativa nella I Omelia su Regni, dove
l’Alessandrino si chiede se il cantico di Anna (1Sam 2, 1-10), a lode e
ringraziamento di Dio dopo la nascita di Samuele, possa essere designato
come preghiera. Egli nota infatti che se il cantico è introdotto con la frase
«Anna pregò e disse» (1Sam 2, 1), nel testo la donna non appare mai «in
atto di pregare o di parlare», se non per due sole espressioni: rispettiva-
mente in 1Sam 2, 1e («Mi sono rallegrata nella tua salvezza») e 1Sam 2,
2c («Perché non c’è [nessuno] eccetto te»)1179. L’interrogativo ha la sua
ragion d’essere se – come il tenore del brano fa supporre – Origene leg-
geva nel passo biblico il verbo proshuvxato, che ai suoi occhi non poteva
non conferire al cantico lo statuto di proseuchv. Da qui l’interrogativo a
prima vista paradossale che egli si pone, ma la risposta inizialmente ne-
gativa fa capire che gli sta a cuore un altro aspetto. Più che ragionare nel-
l’ottica della proseuchv in senso forte – cioè con una preoccupazione per
i contenuti (i beni spirituali) e per il destinatario (il Padre) –, egli sembra
pensare alla preghiera come «colloquio» con Dio. È infatti l’assenza del
«tu» a cui l’orante si rivolge al momento di pregare che spinge l’Alessan-
drino a classificare un po’ drasticamente parti del cantico come estranee
di per sé al linguaggio della preghiera1180. Tuttavia, l’analisi della forma
––––––––––––––––––
ojfqalmoi; kurivou ejpi; dikaivou" (Sal 33[34], 16), ajpo; ga;r ajdivkwn ajpostrevfei aujtouv",
ou{tw" oiJ ojfqalmoi; kurivou eij" pivstin, ajpo; ga;r ajpistiva" ajpostrevfei aujtouv": dio; kalw'"
levlektai uJpo; tou' noou'nto", tiv levgei ejn th'/ eujch'/, to; kuvrie, oiJ ojfqalmoiv sou eij" pivstin.
Anche altrove Origene è attento a tali aspetti, come appare da HIer V, 5 (36, 8-12), dove
individua nel passo di un salmo non una «maledizione» bensì una «preghiera»: Dia; tou'to
ejgw; ouj katavran nomivzw ejn toi'" profhvtai" levgesqai ejn tw'/ aijscunqhvtwsan kai; ejntra-
phvtwsan pavnte" oiJ misou'nte" Siwvn (Sal 128[129], 5): eu[cetai ga;r tou;" ajnaisqhvtou"
<tw'n > th'" aijscuvnh" e[rgwn eij" sunaivsqhsin e[rcesqai, i{na aijscunqevnte" dunhqw'sin
ajnalw'sai tou;" movcqou" kai; ta; aJmarthvmata aujtw'n. Cfr. inoltre FrLam 29 (248, 26):
eujch; para; th'" ÔIerousalhvm to; i[de, kuvrie, th;n ejmh;n ajtimivan (Lam 1, 11).
1179 HReL I, 9 (14, 20-24): «Sed videamus, quali eum prece Anna, id est gratia,
consecrat Deo. Novum quippe aliquid in ipsis principiis observabimus. Ait enim: Et ora-
vit Anna et dixit (1Sam 2, 1a). Et nusquam eam quasi ad Deum orantem invenio vel lo-
quentem, nisi per duo tantum verba, ubi dicit: Laetata sum in salutari tuo (1Sam 2, 1 e),
et aliud: Quia non est praeter te (1Sam 2, 2 c)». Il testo si attiene alla recensio del Codex
Alexandrinus in 1Sam 2, 1a: Kai; proseuvxato Anna kai; ei\pen. Ma a 1Sam 2, 2c Origene
doveva leggere: oujk e[stin plh;n sou' invece di oujk e[stin a{gio" plh;n sou' (LXX). Infatti in
HReL I , 11 egli commenta così: «Si dixisset: Non est Deus praeter te, vel: Non est creator
praeter te, aut tale aliquid addidisset, nihil requirendum videbatur; nunc autem, quia dicit:
Non est praeter te, mihi hoc videtur in loco designari: nihil eorum, quae sunt, hoc ipsum,
quod sunt, naturaliter habent; tu solus es, cui, quod es, a nullo datum est».
1180 HReL I, 9 (14, 25-15, 5): «Initium autem sic habet: Exsultavit cor meum in
Domino (1Sam 2, 1b ), non dixit: Exsultavit cor meum in te; si enim esset oratio, ita dici
consequens erat: Exsultavit cor meum in te. Et iterum in sequenti versu dicit: Exaltatum est
cornu meum in Deo (1Sam 2, 1c), non dixit: Exaltatum est cornu meum in te, sed in Deo.
Dilatatum est super inimicos meos os meum, laetata sum in salutari tuo (1Sam 2, 1d-e).
«Come incenso al tuo cospetto» 389
eucologica del cantico non è mossa unicamente dall’idea dialogica della
preghiera come oJmiliva , espressione del resto non particolarmente caldeg-
giata da Origene, perché egli aggiunge un’osservazione su quale dovrebbe
essere l’orationis ordo. Infatti, a suo giudizio, il testo del cantico si allon-
tana ulteriormente dal genere della «preghiera», intesa adesso come «sup-
plica», poiché inserisce elementi di natura estranea, ascrivibili piuttosto
alle «esortazioni» o «raccomandazioni» di carattere morale1181. È evidente
che qui Origene si rifà indirettamente al modello della preghiera di doman-
da raccomandato in Orat, sottolineando nel contempo la sua costitutiva
dimensione colloquiale nel rapporto fra l’orante e il Tu divino. L’analisi
del cantico di Anna sub specie orationis si arresta un po’ bruscamente in
maniera aporetica a 1Sam 2, 3. Dopo aver illustrato la difficoltà a classifi-
carlo in senso proprio come «preghiera», l’Alessandrino ritiene che l’uni-
co modo per intenderlo alla stregua di un’orazione venga dal ricorso alla
prospettiva dell’oratio continua. Solo dopo aver precisato che la vita del
giusto, intrecciando parole di preghiera e azioni virtuose, è da vedersi co-
me una continua preghiera, Origene potrà passare all’esegesi del brano1182.
L’interpretazione del cantico di Anna in chiave spirituale permetterà allora
al fedele di farlo proprio quale «preghiera» personale, sollecitandolo a
partecipare della medesima condotta di vita 1183.
Un’ulteriore testimonianza dell’interesse di Origene per il linguaggio
della preghiera nel corpus omiletico sono le critiche che egli rivolge nella
XIV Omelia su Geremia al modo di formulare suppliche da parte dei fedeli.
In questo passo troviamo, in un certo senso, la risposta orante della comu-
nità alle letture dell’Antico e del Nuovo Testamento, sia pure in una forma
considerata erronea dall’Alessandrino. Infatti i fedeli chiedono a Dio di
essere resi partecipi della sorte dei «profeti» e degli «apostoli», ma senza
che essi siano realmente consapevoli di ciò per cui supplicano. In realtà,
chi invoca Dio in questo modo, gli domanda di poter condividere anche
lui il destino di persecuzione e sofferenza che ha segnato la vita di profeti
e apostoli. Ma chi può davvero augurarsi di sperimentare ciò? Respingen-
do un atteggiamento che Origene giudica temerario, oltre alle preoccupa-
––––––––––––––––––
Unus, ut dixi, sermo continet: Laetata sum in salutari tuo, et in consequentibus non dicit:
Quia non est sanctus nisi tu, sed: Non est, inquit, sanctus nisi Dominus (1Sam 2, 2b )».
1181 HReL I, 9 (15, 5-10): «Et Non est praeter te (1Sam 2, 2c); hic sermo videtur
servasse orationis ordinem; in novissimis autem longe a supplicationis specie etiam com-
monitiones quasdam introducit dicens: Nolite multiplicare loqui mala, neque exeat magni-
loquacitas de ore vestro, quia fortis in scientia Dominus (1Sam 2, 3), in quo iam nec vide-
tur ad Dominum loqui».
1182 HReL I, 9 (15, 19-22): «Si enim oratio hoc solum intelligatur, quod communiter
scimus, neque Anna in his verbis orasse videbitur neque ullus iustorum secundum apostoli
mandatum sine intermissione orare docebitur». Cfr. anche supra, note 1096-1097.
1183 HReL I, 10 (17, 6-7): «Videamus ergo, quid sibi vult ratio ista orationis Annae,
quam si didicerimus, similiter fortassis et nos orare poterimus».
390 Parte seconda, Capitolo settimo
zioni di natura pastorale qui ben percepibili, egli fa valere un’istanza cri-
tica nei confronti delle espressioni di preghiera; di conseguenza, invita la
comunità ad articolarle in un linguaggio più consapevole e controllato1184.
Anche se la “retorica” orante non può non trarre ispirazione e alimento
dalle Scritture, come noteremo in seguito anche dalle manifestazioni per-
sonali di preghiera dell’Alessandrino, ciò deve sempre trovare corrispon-
denza in una condizione spirituale che ne assicuri l’autenticità1185.
È questo il significato delle immagini più ricorrenti sulla preghiera,
che permeano di riferimenti biblici la riflessione origeniana. Le abbiamo
già evocate a più riprese e torneremo a richiamarle nell’esame dei nuclei
scritturistici. Tali immagini convergono in sostanza nell’inculcare l’idea
che la preghiera è il sostituto del «sacrificio» o meglio la sua piena attua-
zione sul piano delle realtà spirituali, rispetto alla prefigurazione simbo-
lica contenuta nel regime dei sacrifici dell’antica alleanza. «Altare», «vitti-
me» e soprattutto «incenso» nei testi vetero- e neotestamentari sono dun-
que intesi come equivalenze simboliche dell’esperienza di preghiera.
Così, nella IX Omelia su Giosuè Origene interpreta l’altare edificato da
Giosuè e i sacrifici offerti su di esso come immagine di quello costruito
dal novello Giosuè, cioè Gesù, con le «pietre vive» dei fedeli che, sempre
intenti alla preghiera, innalzano a Dio giorno e notte le preghiere e i «sa-
crifici delle loro suppliche»1186. È questo stesso «sacrificio di preghiere»,
secondo la spiegazione contenuta nella II Omelia su Levitico, che la chiesa
ha offerto fin dal giorno di Pentecoste1187. L’anima del fedele deve dunque
possedere in se stessa un «altare» su cui offrire quali «vittime» le proprie
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1184 HIer XIV, 14 (119, 9-19): eij qevlomen meta; tw'n profhtw'n e[cein ajnavpausin,
ta; e[rga tw'n profhtw'n zhlwvswmen. o} de; levgw toiou'tovn ejsti: pollavki" ejn tai'" eujcai'"
levgomen: qee; pantokravtor, th;n merivda hJmw'n meta; tw'n profhtw'n dov", th;n merivda hJmw'n
meta; tw'n ajpostovlwn tou' Cristou' sou dov", i{na euJreqw'men kai; met∆ aujtou' tou' Cri-
stou'. tau'ta de; levgonte" oujk aijsqanovmeqa tiv eujcovmeqa: dunavmei ga;r tou'tov famen: do;"
hJma'" paqei'n a} pepovnqasin oiJ profh'tai, do;" kai; hJma'" mishqh'nai wJ" ejmishvqhsan oiJ
profh'tai, lovgou" toiouvtou" do;" ejf∆ oi|" mishqhsovmeqa, do;" tosauvtai" peristavsesi pe-
ripesei'n <o{s>ai" oiJ ajpovstoloi. to; ga;r levgein: dov" moi merivda meta; tw'n profhtw'n, mh;
paqovnta ta; tw'n profhtw'n mhde; paqei'n qevlonta a[dikovn ejsti. Il prologo di HIer XV, 1
(125, 11-17) riprende lo spunto della precedente omelia: OiJ makarivzonte" tou;" profhvta"
kai; tw/' makarivzein aujtou;" eujcovmenoi th;n merivda e[cein meta; tw'n profhtw'n sunagagovn-
twn ajpo; tw'n lovgwn tw'n profhtikw'n ta; ejxaivreta th'" profhteiva" aujtw'n: zhtou'nte" ou\n
peisqei'en <a]n>, a]n kata; ta; aujta; biwvswsin (eij kai; sklhro;n aujtoi'" ajpanthvsetai ejn
tw/' bivw/ touvtw/ mimei'sqai to;n bivon to;n profhtikovn), o{ti teuvxontai th'" ajnapauvsew" kai;
th'" makariovthto" meta; tw'n profhtw'n.
1185 Cfr. un rilievo analogo in CMtS 18 (supra, nota 1072).
1186 HIos IX, 1 (347, 3-6): «Unde ego arbitror quod quicumque ex vobis lapidibus
vivis apti sunt in hoc et prompti, ut orationibus vacent, ut die noctuque obsecrationes offe-
rant Deo et supplicationum victimas immolent, ipsi sunt ex quibus Iesus aedificat altare».
1187 HLv II, 2 (291, 26–292, 1): «In die enim Pentecostes oblato orationum sacrifi-
cio primitias advenientis sancti Spiritus (cfr. At 2, 4) Apostolorum suscepit Ecclesia».
«Come incenso al tuo cospetto» 391
preghiere, come raccomanda la IX Omelia su Esodo, individuando lo hJge-
monikovn come il luogo in cui esercitare tale «sacerdozio» (pontificatus)
spirituale1188. A sua volta, l’XI Omelia su Numeri intende anch’essa come
vera «immolazione spirituale» l’offerta di lode a Dio e i sacrifici delle pre-
ghiere1189. Quanto all’associazione simbolica fra «incenso» e «preghie-
ra»1190, Origene la sfrutta soprattutto nella XVIII Omelia su Geremia. Rial-
lacciandosi a un precedente commento su Sal 140(141), 2, egli contrappone
alla preghiera del peccatore – che offre «incenso» inutilmente – la preghie-
ra del giusto: essa s’innalza «leggera» da un cuore che non è «ispessito» e
appesantito dal peccato1191. Il passo frammentario non permette di svisce-
rare meglio il contrasto istituito qui alla luce dell’immagine dell’«incen-
so» fra il peccatore e il giusto in atto di pregare, ma – come sembrerebbe
suggerire anche l’uso del verbo «ispessire» (pacuvnw) in Orat XXIX, 15 –
a Origene preme mostrare l’antitesi con l’«orazione nello spirito» in chi a
causa del peccato tende, per così dire, a coagulare «anima» e «spirito»
nell’elemento inferiore della «carne»1192. All’immagine dell’«incenso»,
non di rado sviluppando tale significato per antitesi con il «cattivo odore»
della preghiera del peccatore, l’Alessandrino associa il «buon odore» o
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1188 HEx IX, 4 (241, 15-22): «Habeat adhuc in se anima ista, quae non dederit som-
num oculis suis nec palpebris suis dormitationem nec requiem temporibus suis, donec in-
veniat locum Domini, tabernaculum Deo Iacob; habeat – inquam – in se defixum et altare,
in quo orationum hostias et misericordiae victimas offerat Deo, in quo continentiae cultro
superbiam quasi taurum immolet, iracundiam quasi arietem iugulet, luxuriam omnemque
libidinem tamquam hircos et haedos litet» (circa il pontificatus dello hJgemonikovn incul-
cato da questa stessa omelia, cfr. supra, nota 577). Sui due «altari» della preghiera, inte-
riore ed esteriore, in HNm X, 3 si veda supra, nota 1092.
1189 HNm XI , 9 (92, 24-26): «Immolatio spiritalis est illa, quam legimus: immola
Deo sacrificium laudis, et redde Altissimo vota tua (Sal 49[50], 14). Laudare ergo Deum
et vota orationis offerre immolare est Deo». In HLv V, 7 il «sacrificio di lode» è la con-
dotta retta che ridonda a lode di Dio.
1190 Cfr. ad esempio HEz VII, 3 (infra, nota 1371); HEz XI , 5 (431, 27–432, 1):
«Venit ad istum Libanum, hoc est ecclesiam, ubi hostiae Dei, ubi incensum orationum
(cfr. Sal 140[141], 2) eius celebratur».
1191 HIer XVIII, 10 (164, 14-22): ta; prwvhn eijrhmevna eij" to;n <eJkatosto;n tessa-
rakosto;n> Yalmo;n eja;n ajnalavbwmen, nohvsomen tiv ejsti to; eij" keno;n ejqumivasan. h\n de;
ejn tw/' Yalmw/' toiou'tovn ti eijrhmevnon: genhqhvtw hJ proseuchv mou wJ" qumivama ejnwvpiovn
sou (Sal 140[141], 2). oujkou'n hJ proseuchv mou suvnqeto" [...] lepth'" kardiva", o{te mh;
pacuvnetai hJ kardiva hJmw'n, ajnapempomevnh givnetai wJ" qumivama ejnwvpion tou' qeou'. eij
ou\n hJ tou' dikaivou proseuch; qumivamav ejstin ejnwvpion tou' qeou', hJ tou' ajdivkou proseuch;
qumivama mevn, toiou'ton de; qumivama w{st∆ a]n lecqh'nai peri; aujtou' kai; tou' eujcomevnou
ajdivkou: eij" keno;n ejqumivasan (Ger 18, 15).
1192 Cfr. Orat XXIX, 15 (390, 10-12): uJpo; th'" sarko;" pacuvnontai, oiJonei; oujkevti
e[conte" tovte yuch;n oujde; nou'n ajll∆ o{loi ginovmenoi savrke". Si veda anche FrPr 26 (PG
17, 240A): ta;" pacunqeivsa" yuca;" ajpo; th'" kakiva", savrka" ajfrovnwn wjnovmasen: ou{tw
kai; oJ Kuvriov" fhsin: Ouj mh; katameivnh/ to; pneu'mav mou ejn toi'" ajnqrwvpoi", dia; to; ei\nai
aujtou;" savrka" (Gn 6, 3).
392 Parte seconda, Capitolo settimo
«profumo» di una preghiera che si innalza da un «cuore puro e una co-
scienza buona», come vediamo ancora nella XIII Omelia su Levitico1193.
Grazie a tali immagini il corpus omiletico amplia indubbiamente la
prospettiva più sobria offerta da Origene nel trattato, mentre per quanto ri-
guarda i paradigmi di oranti – così rilevanti nell’argomentazione di Orat
a sostegno dell’efficacia della preghiera –, il loro ricorso vi appare meno
organico e più circoscritto. Tuttavia, le omelie richiamano spesso una fi-
gura esemplare di orante che sorprendentemente non compariva, almeno
in maniera esplicita, fra quelle elencate da Orat: si tratta di Mosè, la cui
preminenza assoluta tra i paradigmi di oranti veterotestamentari non è
compromessa dall’occasionale associazione con Aronne1194. Il richiamo a
Mosè è propiziato soprattutto dal racconto della battaglia d’Israele contro
Amalek e del decisivo concorso orante assicurato dal profeta per il suo
successo sui nemici: quando egli tiene le braccia alzate per pregare, gli
israeliti vincono, ma quando le abbassa, essi perdono (Es 17, 8-16) –
un’immagine che l’Alessandrino ha sfruttato soprattutto per inculcare
l’accordo fra preghiera e vita1195. Tuttavia, l’esemplarità della preghiera
di Mosè non si riduce a quel singolo episodio, anche se esso è il più fre-
quentemente menzionato, né la sua interpretazione si fissa unicamente sul
motivo dell’oratio continua.
Tra i vari luoghi che evocano il paradigma di Mosè orante, il più si-
gnificativo è forse quello che compare nella XIII Omelia su Numeri. Ori-
gene, commentando i timori del re di Moab all’avanzare d’Israele sul cam-
mino verso la terra promessa, non solo riprende il motivo del sostegno di
Mosè alla vittoria ma ne ricava anche un’indicazione più generale sulla
preghiera come la vera «arma» dell’antico Israele, analogamente a quanto
avviene, con impegno ancor più esclusivo, per il nuovo Israele: infatti
i cristiani – come abbiamo visto analizzando il Contro Celso – assicurano
il loro sostegno leale all’impero mediante la preghiera1196. A conferma
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1193 HLv XIII, 5 (476, 7-8): «Sed hoc est tus quod Deus ab hominibus sibi quaerit
offerri, ex quo capit odorem suavitatis, orationes ex corde puro et conscientia bona» (cfr.
anche nota 1091).
1194 Sull’assenza di Mosè nell’elenco dei paradigmi, si veda supra, p. 144.
1195 Cfr. HLv VI, 6.
1196 HNm XIII, 4 (113, 26-114, 1. 6-11): «Sed et amplius aliquid puto, quod moverit
regem; videtur enim audisse quia filii Istrahel solent hostes vincere oratione, non armis,
nec tam ferro quam precibus. Nulla enim Istrahel adversum Pharaonem arma commovit,
sed dictum est ei: Dominus pugnabit pro vobis, et vos tacebitis (Es 14, 14). Sed nec contra
Amalechitas quidem tantum vis armorum quantum Moyseis valuit oratio. Ut enim elevas-
set Moyses manus ad Deum, vincebatur Amalech; remissae vero et deiectae vinci facie-
bant Istrahel. [...] Audierat ergo rex Moab quia populus hic orationibus vincit et pugnat
adversum hostes ore, non gladio et ob hoc sine dubio apud semet ipsum cogitavit dicens:
quoniamquidem orationibus populi huius et precibus nulla possunt arma conferri, ideo
etiam mihi tales aliquae preces et talia requirenda sunt arma verborum et orationes tales,
«Come incenso al tuo cospetto» 393
della visuale apologetica sul “pacifismo” d’Israele disegnata dall’Ales-
sandrino in risposta al filosofo platonico come uno degli elementi qua-
lificanti la politeia giudaica e la sua eccellenza comparativa1197, nella XXV
Omelia su Numeri egli ribadisce che le vittorie di Israele sono il frutto
della pietà e della giustizia, piuttosto che delle armi, tanto che la pre-
ghiera di un solo santo è molto più efficace di un’intera armata di pecca-
tori1198. Allo stesso modo, nella comunità cristiana, coloro che si sono
consacrati a Dio lottano mediante le loro virtù a sostegno di essa1199.
Come precisa ancora la IX Omelia su Giudici, associando metafore che
avranno particolare fortuna nella storia dell’orazione cristiana, i fedeli
«cercano la loro vittoria non con le lance di ferro ma con i dardi delle
preghiere»1200.
Occasionalmente l’Alessandrino associa la figura di Aronne al para-
digma di Mosè orante: la IX Omelia su Numeri sembrerebbe dapprima vo-
ler distinguere la funzione orante come specifica di Aronne, ma unen-
do successivamente con un’interpretazione di tipo allegorico la «legge»
(= Mosè), intesa quale invito alla conversione, alla «supplica» per la libe-
razione dal peccato, arriva a proporre l’immagine convergente di Mosè
ed Aronne quali intercessori per la salvezza del popolo1201. Anzi, secondo
questa stessa omelia, piuttosto che osservare la legge entrambi attuano
anticipatamente la raccomandazione evangelica di pregare per i nemici
––––––––––––––––––
quae superare possint orationes istorum». Sul rapporto fra preghiera e politica in CC, si
veda supra, pp. 273-276.
1197 Cfr. Perrone 2003b.
1198 In HNm XXV, 2 (234, 11-13. 15-17) Origene svolge una considerazione paral-
lela circa i 12.000 israeliti mandati a combattere i madianiti (Nm 31, 5): «ut scias quia non
in multitudine nec in numero militum vincit Istrahel, sed iustitia est et pietas in iis, quae
vincit... Vides ergo quia multo plus valet unus sanctus orando quam peccatores innumeri
proeliando. Oratio sancti penetrat coelum (cfr. Sir 32, 21): quomodo non et hostem vincat
in terris?».
1199 HNm XXV, 4 (238, 9-10): «Pugnant autem isti orationibus et ieiuniis, iustitia et
pietate, mansuetudine et castitate cunctisque continentiae virtutibus tamquam armis belli-
cis communiti».
1200 HIud IX, 1 (518, 18-21): «Sic ergo in his, qui militant veritati, sed et qui mili-
tant Deo, non corporis, sed animi fortitudo requiritur, quia non iaculis ferreis, sed oratio-
num telis victoria quaeritur, et fides est, quae in certamine tolerantiam praebet».
1201 HNm IX, 3 (57, 23-58, 3): «Ego arbitror quod in Moyse lex significetur, quae
docet homines scientiam et amorem Dei, in Aaron supplicandi Deo et obsecrandi eum
forma consistat. Si ergo accidat aliquando indignari nobis vel universo populo Deum et si
iam sententia ultionis procedat a Domino, redeat autem lex Dei in cor nostrum commo-
nens nos et docens converti ad poenitentiam, satisfacere pro delictis, supplicare pro cul-
pis: cessabit continuo iracundia, indignatio conquiescet, propitiabitur Dominus, quasi
Moyse et Aaron intercedentibus pro nobis et pro universo populo supplicantibus». Da no-
tare che in HNm XXVII, 6 il paradigma di Aronne, introdotto in rapporto al regime dei sa-
crifici, si risolve nell’acquisto delle virtù nel corso del combattimento spirituale.
394 Parte seconda, Capitolo settimo
(Mt 5, 44), nel momento in cui invocano il perdono di Dio su coloro che
si erano ribellati contro di loro (Nm 16, 22)1202.
L’intercessione di Mosè è legata all’intimità del suo rapporto privile-
giato con Dio, come mostra il commento di Origene all’episodio della leb-
bra di Miriam (Nm 12, 13) nella VII Omelia su Numeri. Chi altri potrebbe
intercedere per la salvezza del popolo se non lui? – si chiede l’Alessandri-
no e, riconoscendo ulteriormente il privilegio di Mosè, osserva che forse
nella scena della Trasfigurazione egli dialoga con Gesù (Mc 9, 4 parr.)
per fungere ancora una volta da intercessore in vista della salvezza finale
di Israele1203. L’immagine di Mosè che si intrattiene con Dio ritorna nelle
Omelie su Luca, dove Origene suggerisce che anche Giovanni Battista
abbia goduto della stessa condizione durante la sua permanenza nel deser-
to, così da propiziare la risposta immediata di Dio alle proprie preghiere.
L’allusione a Is 58, 9 – passo che Origene sfrutta regolarmente per indicare
l’esaudimento divino nei confronti di colui che è «giusto» o «santo» – sot-
tolinea l’esperienza della preghiera in entrambi i personaggi biblici1204.
Mosè orante esemplifica e ricapitola in se stesso il sostegno di pre-
ghiera da parte dei santi dell’Antico Testamento, i quali aiutano i fedeli
ad affrontare le lotte del combattimento spirituale: nella III Omelia su Gio-
suè Origene ricorda espressamente i profeti Isaia, Geremia, Daniele, Eze-
chiele e Osea1205. Qui l’accento verte però piuttosto sull’illuminazione e
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1202 HNm IX, 3 (58, 21-24): «magis evangelii discipuli quam legis, et ideo diligunt
etiam inimicos suos atque orant pro persecutoribus suis. Illis enim venientibus, ut interfi-
cerent eos, isti procidunt in faciem suam super terram». Cfr. anche HNm IX, 4: «Ecce di-
ligit Moyses inimicos et orat pro persecutoribus suis, quod utique Christus fieri in evan-
geliis docet. Audite enim, quomodo cadentes in faciem super terram orant pro illis, qui ad
interficiendos eos insurrexerant».
1203 HNm VII, 4 (43, 28-44, 1): «Et proclamavit Moyses ad Dominum dicens: Deus,
precor te, sana eam (Nm 12, 13). Et quem oportebat orare ad Dominum pro sanitate po-
puli illius nisi Moysen? Orat Moyses pro illis. Et forte hoc erat, quod cum Domino Iesu
colloquebatur, cum in monte transformatus est, petens ab eo, ut, cum plenitudo gentium
introisset, tunc omnis Istrael salvus fieret» (Rm 11, 25-26).
1204 HLc XI, 4 (69, 17-23): «abiit in deserta, ubi purior aër est et caelum apertius et
familiarior Deus, ut quia necdum sacramentum baptismi nec praedicationis tempus adve-
nerat, vacaret orationibus et cum angelis conversaretur, appellaret Dominum et illum au-
diret respondentem atque dicentem: ecce adsum (Is 58, 9). Sicut enim Moyses loquebatur
et Deus respondebat ei (Es 19, 19), sic puto, quod Ioannes locutus fuerit in deserto e
Dominus responderit ei».
1205 HIos III, 1 (300, 19–301, 12): «Vide, mihi hodie laboranti in agone vitae huius
et habenti certamen adversum inimicos, id est contrarias potestates, quomodo in auxilium
veniunt illi, qui ante adventum Iesu Christi Domini mei in lege iustificati sunt. Vide, quo-
modo Esaias mihi praestat auxilium, cum me sermonibus suae lectionis illuminat. Vide
accinctum et expeditum venientem Hieremiam ad auxilium nostrum et voluminis sui ia-
culis hostes acerrimos, cordis mei tenebras, effugantem. Accingitur et Daniel ad auxilium
nostrum, cum nos de Christi praesentia ac regno et de Antichristi futura fraude instruit et
praemonet. Adest et Ezechiel sacramenta nobis coelestia in quadriformibus rotarum cir-
«Come incenso al tuo cospetto» 395
sull’istruzione spirituale assicurate dai loro scritti, mentre altrove si citano
gli esempi di preghiere ad opera di Giosuè, Samuele, Elia ed Eliseo1206,
o l’intercessione del giusto Daniele e dei Tre Giovani (Dn 3, 24 ss. LXX)
nel mezzo di un popolo condannato all’esilio perché peccatore1207. Tut-
tavia, per nessuna di queste figure bibliche si può parlare, come nel caso
di Mosè, di veri e propri “paradigmi oranti”. Invece è sempre il modello
del profeta che interviene nuovamente, quando si tratta di trovare un ter-
mine di confronto con Gesù, l’unico esempio di orante che le omelie ten-
dono a mettere in rilievo nel Nuovo Testamento. Proprio la comparazione
fra il profeta e il Salvatore serve ad evidenziare, nell’VIII Omelia su
Numeri, l’efficacia incomparabilmente maggiore di Gesù quale «avvoca-
to» che intercede presso il Padre per il perdono dei peccati1208. In questa
omelia l’Alessandrino insiste sul fatto che nel racconto biblico le manife-
stazioni dell’ira divina verso i peccatori vengono descritte anche al fine di
dare spazio alla supplica per il perdono1209.
Soprattutto nelle Omelie su Levitico Origene conferisce risalto alla fi-
gura di Gesù come «avvocato» e intercessore per la propiziazione, riallac-
ciandosi in particolare al motivo del «Paraclito» in 1Gv 2, 1-2, che aveva
sfruttato anche in Orat1210. Ma nella VII Omelia su Levitico egli lo intreccia
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culis signans et rotam concludens in rota. Ducit et Osee bis senas prophetici agminis tur-
bas et procedunt omnes succincti lumbos in veritate, quam praedicant ad auxilium fratrum
suorum, ut eorum voluminibus instructi diabolicas non ignoremus astutias. Isti ergo qui
viri fortes sunt, armati et praecincti lumbos in veritate exeunt in auxilium nostrum et pu-
gnant nobiscum».
1206 Sulla preghiera di Giosuè in Gs 10, 12-17, cfr. HIos XI, 1 (362, 13-16): «Tunc
vero Iesus videns divinam secum dexteram proeliantem et prosperis successibus cuncta
procedens, novam quandam et miram orationem extollit ad coelum»; su Samuele ed Elia:
H37Ps II, 3; su Eliseo: HLc XXIII, 9.
1207 HEz I, 2 (320, 21-24): «Daniel non peccavit, Ananias, Azarias, Misael a pecca-
to immunes fuerunt et tamen captivi effecti sunt, ut ibi positi captivum populum consola-
rentur et per exhortationem vocis suae paenitentes in Hierusalem restituerent castigatos
pro tempore».
1208 HNm VIII, 1 (53, 6-12): «statim enim ut conversus ingemueris, salvus eris (cfr.
Is 45, 22). Invenies enim advocatum, qui pro te interpellat patrem, Dominum Jesum,
multo praestantiorem quam fuit Moyses, qui tamen oravit pro populo illo et exauditus est.
Et fortasse propterea Moyses scribitur intervenisse pro peccatis populi prioris et impe-
trasse veniam, ut multo magis nos confidamus quod advocatus noster Iesus indubitatam
nobis veniam praestabit a patre».
1209 HNm VIII, 1 (49, 18-22): «Scribitur enim irasci Deus et comminari interitum
populo, quo doceatur homo tantum sibi esse apud Deum loci tantumque fiduciae, ut,
etiamsi sit aliqua in Deo indignatio, obsecrationibus mitigetur humanis, tantumque de eo
impetrare posse hominem, ut et propria statuta convertat».
1210 Cfr. supra, nota 416. Pastorelli non tiene conto di questi passi. Sul ruolo di Cri-
sto come intercessore si veda inoltre HIer XIV, 11 (115, 27-116, 1): safw'" ejn tw/' kairw/'
th'" e[cqra" ejkeivnou th'" kata; tw'n ajnqrwvpwn parevsth tw/' Patri; oJ swth;r hJmw'n kai; ejde-
hvqh peri; th'" hJmetevra" aijcmalwsiva", i{na lutrwqw'men kai; rJusqw'men ajpo; tou' ejcqrou'.
396 Parte seconda, Capitolo settimo
con altri luoghi scritturistici (Mt 26, 29; Eb 9, 24; Fil 2, 6-7) per formu-
lare l’idea che Cristo, in quanto Filius caritatis (cfr. Col 1, 13), non può
ancora partecipare della gioia piena del regno ma si trova in sofferenza
fino a quando egli dovrà piangere per i peccati degli uomini e intercedere
per la loro salvezza 1211. La grandezza del ruolo di Gesù come intercesso-
re presso il Padre viene ad essere evidenziata anche dal confronto con
l’esempio di Paolo, il quale piange per la sorte dei peccatori e invoca Dio
perché essi si salvino: come nel caso di Mosè e di Paolo, vale a fortiori
per Cristo il fatto che la compassione lo solleciti a supplicare il Padre, ma
la sua supplica è accompagnata dai santi dell’Antico e del Nuovo Testa-
mento, profeti e apostoli, che condividono anch’essi la medesima attesa
per la salvezza universale1212. Quanto intensa sia la riflessione dell’Ales-
sandrino sulla propiziazione ad opera di Gesù, ci appare anche dal richia-
mo alla «preghiera sacerdotale» di Gv 17:
«Per questo forse effondeva la preghiera al Padre dicendo: Padre santo, glorifica
me con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse (Gv 17, 5).
Dunque non vuole ricevere la sua gloria perfetta senza di te, cioè senza il suo
popolo, che è il suo corpo e che sono le sue membra»1213.
L’ampia e suggestiva riflessione su Gesù intercessore di salvezza su-
scitata dalla spiegazione dell’ingresso del pontefice nel santuario non ri-
mane isolata, perché Origene vi si sofferma nuovamente nella IX Omelia
su Levitico, dove commenta i riti del giorno dell’espiazione1214. L’invera-
mento spirituale della ritualità giudaica è rappresentato ai suoi occhi dalla
propiziazione conseguente alla morte del Salvatore, alla sua discesa agli
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1211 HLv VII, 2 (374, 19–375, 2): «Salvator meus luget etiam nunc peccata mea. Sal-
vator meus laetari non potest, donec ego in iniquitate permaneo. Quare non potest? Quia
ipse est advocatus pro peccatis nostris apud Patrem, sicut Iohannes symmista eius pro-
nuntiat dicens quia et si quis peccaverit, advocatum habemus apud Patrem Iesum Chri-
stum iustum; et ipse est repropitiatio pro peccatis nostris (1Gv 2, 1-2). Quomodo ergo po-
test ille, qui advocatus est pro peccatis meis, bibere vinum laetitiae, quem ego peccando
contristo? Quomodo potest iste, qui accedit ad altare (cfr. Lv 10, 9), ut repropitiet me
peccatorem, esse in laetitia, ad quem peccatorum meorum maeror semper adscendit?».
1212 HLv VII, 2 (375, 19-27): «Pro his ergo omnibus adsistit nunc vultui Dei inter-
pellans pro nobis (cfr. Eb 9, 24), adsistit altari, ut repropitiationem pro nobis offerat Deo;
et ideo dicebat tamquam accessurus ad istud altare: Quia iam non bibam de generatione
vitis huius, donec bibam illud vobiscum novum (cfr. Mt 26, 29). Exspectat ergo, ut conver-
tamur, ut ipsius imitemur exemplum, ut sequamur vestigia eius et laetetur nobiscum et bi-
bat vinum nobiscum in regno Patris sui. Nunc enim quia misericors est et miserator Do-
minus (cfr. Sal 102, 8), maiore affectu ipse quam Apostolus suus flet cum flentibus et cupit
gaudere cum gaudentibus (cfr. Rm 12, 15)».
1213 HLv VII, 2 (tr. Danieli, 156-157).
1214 L’interpretazione origeniana, nel quadro dell’esegesi giudaica e cristiana anti-
ca, è stata analizzata da Stökl Ben Ezra, 261-269. Sulle pratiche giudaizzanti in occasione
della Pasqua, della celebrazione del sabato o dello Yom Kippur si veda, in particolare,
HIer XII, 13.
«Come incenso al tuo cospetto» 397
inferi ad immagine del capro emissario e alla sua ascensione finale presso
il Padre, al quale offre come vittima sull’altare celeste la nostra carne pu-
rificata. Reinterpretando in chiave cristiana Lv 16, l’Alessandrino spiega
l’ingresso del sommo sacerdote nel Santo dei santi una sola volta l’anno,
nella festa di Yom Kippur, come l’accesso di Gesù presso il Padre, dopo
aver compiuto l’economia della salvezza, al fine di intercedere per tutti
coloro che credono in lui. La durata della festa ebraica fino al tramonto è,
a sua volta, intesa simbolicamente quale il segno dell’attesa orante del
popolo dei fedeli, mentre il sommo sacerdote Gesù prega il Padre nel
santuario celeste intercedendo per loro:
«una sola volta in questo anno, nel giorno della propiziazione, entra nel Santo
dei Santi (cfr. Es 30, 10): cioè quando, compiuta l’economia, penetra i cieli (Eb
4, 14) ed entra nel Padre (intrat ad Patrem), per renderlo propizio al genere
umano e per pregare per tutti quelli che credono in lui (ut eum propitium humano
generi faciat et exoret pro omnibus credentibus in se). [...] Il giorno della propi-
ziazione rimane per noi fino a che tramonti il sole (cfr. Lv 11, 25), cioè fino a che
il mondo finisca. Giacché noi stiamo davanti alle porte (cfr. Gc 5, 9) aspettan-
do il nostro pontefice che indugia nel Santo dei Santi, cioè presso il Padre (cfr.
1Gv 2, 1-2), e prega per i peccati di coloro che lo attendono (cfr. Eb 9, 28), non
prega per i peccati di tutti [...] prega soltanto per coloro che sono la sorte del Si-
gnore»1215.
Sviluppando ulteriormente il tema della propiziazione nella XIII Ome-
lia su Levitico, a commento delle prescrizioni sui «pani della proposizio-
ne» (Lv 24, 5-9) – interpretati tipologicamente come forma di «preghiera
e supplica» (exoratio quaedam et supplicatio) a Dio da parte delle tribù
di Israele –, Origene riafferma l’unicità della propiziazione assicurata da
Gesù con la sua opera di salvezza. Solo lui può realizzare efficacemente
quella intercessione di cui i «pani» sono il tipo, e che si rinnova nel «me-
moriale» (commemoratio) eucaristico 1216. Come dichiara la conclusione
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1215 HLv IX, 5 (427, 9-428, 2 [tr. Danieli, 215-216]). La propiziazione attuata da
Gesù viene illustrata alla luce sia di 1Gv 2, 1-2 che di Rm 3, 25.
1216 HLv XIII, 3 (471, 12-27): «Secundum ea, quae scripta sunt, in duodecim pani-
bus duodecim tribuum Istrahel videtur commemoratio ante Dominum fieri et praeceptum
dari, ut sine cessatione isti duodecim panes in conspectu Domini proponantur; ut et me-
moria duodecim tribuum apud eum semper habeatur, quo veluti exoratio quaedam et
supplicatio per haec pro singulis fieri videatur. Sed parva satis et tenuis est huiuscemodi
intercessio. Quantum enim proficit ad repropitiandum, ubi uniuscuiusque tribus per pa-
nem fructus, per fructus opera consideranda sunt? Sed si referantur haec ad mysterii ma-
gnitudinem, invenies commemorationem istam habere ingentis repropitiationis effectum.
Si redeas ad illum panem, qui de caelo descendit et dat huic mundo vitam (cfr. Gv 6, 33),
illum panem propositionis, quem proposuit Deus propitiatorem per fidem in sanguine eius
(cfr. Rm 3, 25), et si respicias illam commemorationem, de qua dicit Dominus: Hoc facite
in meam commemorationem (1Cor 11, 25), invenies quod ista est commemoratio (cfr. Lv
24, 7) sola, quae propitium facit hominibus Deum».
398 Parte seconda, Capitolo settimo
della I Omelia su Isaia, richiamando all’assemblea l’immediatezza di tale
aspetto nel vissuto comunitario, «Gesù Cristo è presente, e assiste, ed è
pronto – rivestito della dignità di sommo sacerdote – ad offrire al Padre le
suppliche» dei fedeli 1217.
Si è già ricordato come fra gli apporti specifici del corpus omiletico
vada annoverato anche l’ulteriore approfondimento della preghiera del
peccatore e con essa della confessione di colpa. Entrambi i temi, sebbene
non del tutto ignorati nel trattato, vi occupano di fatto poco spazio, per-
ché – come sappiamo – il modello prefigurato da esso ha come ideale in-
terlocutore il «santo». Invece, nel corso della sua predicazione Origene
ha modo di tornare spesso sulla condizione del peccatore che prega, tanto
più che pochi, o per meglio dire nessuno, possono considerarsi veramente
«giusti» agli occhi di Dio. Né mancano del resto coloro che – come ricorda
la X Omelia su Numeri –, pur essendosi votati a Dio, cadono nel peccato e
avvertono quindi la necessità della purificazione e della penitenza1237. La
III Omelia su Giudici esorta colui che ha peccato a pregare, inculcando la
necessità di un pentimento che sia realmente sentito e come tale si mani-
festi nell’intimo dell’animo, prima ancora che con le parole della bocca,
mentre esso propizia il dono delle lacrime: solo a queste condizioni, il
peccatore pentito può sperare nell’ausilio divino1238. A quel che afferma
la II Omelia su Salmo 38, il pentimento accompagnato dalle lacrime attira
l’esaudimento immediato della richiesta di perdono1239. In ogni caso, chi
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mhde; ejperwtw'men mhde; lalw'men wJ" ajkouvonti tw/' ajkaqavrtw/ pneuvmati, ajlla; scolavzon-
te" proseuch/' (1Cor 7, 5) kai; nhsteiva/ ejpituvcwmen proseucovmenoi peri; tou' peponqovto"
<swthriva" th'" ajpo; qeou'> kai; th/' eJautw'n nhsteiva/ ajpwvswmen ajp∆ aujtou' to; ajkavqarton
pneu'ma.
1237 HNm X, 1 (70, 16-21–71, 6-9): «Sancti dicuntur iidemque et peccatores illi, qui
devoverunt se quidem Deo, et sequestraverunt a vulgi conversatione vitam suam ad hoc,
ut Domino serviant [...] potest autem fieri, ut in hoc ipso, quod Domino deservit, non ita
omnia gerat, ut geri competit, sed delinquat in nonnullis et peccet. [...] Qui non sunt san-
cti, in peccatis suis moriuntur; qui sancti sunt, pro peccatis poenitudinem gerunt, vulnera
sua sentiunt, intelligunt lapsus, requirunt sacerdotem, sanitatem deposcunt, purificationem
per pontificem quaerunt».
1238 HIud III, 6 (487, 4-12): «Ita ergo etiam nunc eadem consequentia debemus ad-
vertere quia, si quando pro peccatis nostris in captivitatem tradimur clamemus ad Domi-
num. Clamemus autem non ore, sed mente, ita ut dolor cordis fontem lacrimarum produ-
cat ex oculis, sicut ille, qui dicebat: lavabo per singulas noctes lectum meum, lacrimis
meis stratum meum rigabo (Sal 6, 7). Si ita convertimur a malis, ut ultra non contingamus
mala, si ita desinimus a superbia, ut ultra nihil superbum, nihil arrogans sapiamus, mittet
etiam nobis Dominus virtutem suam coelestem».
1239 H38Ps II, 10 (398, 1-12): «Exaudi orationem [proseuch'"] meam, Deus, et de-
precationem [dehvsew"] meam, auribus percipe lacrimas meas (Sal 38[39], 13). Oportet
iterum et cum lacrimis offerre orationem Deo et ex intimis viscerum penetralibus in pre-
cem Domini commoveri, ut mens credens de iudicio futuro, recordationem delictorum suo-
rum non absque lacrimis et lamentatione recenseat, cum quis resolutus in lacrimis dicit ad
Dominum: effundo in conspectu tuo orationem meam (Sal 141[142], 3). Auribus – ergo –
percipe lacrimas meas et ne sileas – inquit – a me (Sal 38[39], 13). Sed quid? Adhuc lo-
quente me: ecce adsum (Is 58, 9)». Anche FrLam 86 (267, 29-30), su Lam 3, 49 (Simmaco),
404 Parte seconda, Capitolo settimo
si sia reso responsabile di colpe non deve mai disperare del soccorso di
Dio, bensì avere fiducia nel suo perdono, come l’Alessandrino dichiara
con un invito pressante nella V Omelia su Isaia:
«E se anche siete peccatori, pregate! Dio ascolta i peccatori. E se temete la parola
detta nel Vangelo: Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori (Gv 9, 31), non la-
sciatevi prendere da sbigottimento, non vogliate crederlo: era “cieco” colui che
così si esprimeva! Credete piuttosto a colui che dice, e non mentisce: Anche se i
vostri peccati fossero come scarlatto, li farò diventare bianchi come lana; e se lo
vorrete e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra (Is 1, 18-19). Se soltanto
“volete ascoltare”, preghiamo in comune il Signore, perché almeno ora, per l’av-
vento del Verbo, siamo fatti capaci di volgerci alle parole del profeta»1240.
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1245 FrIob (PG 12, 1040B): Kai; kuvfonta ojfqalmoi'" swvsei (Gb 22, 29). Toutevsti
to;n tapeinovfrona, to;n kavtw blevponta dia; to; dussuneivdhton kai; ajparrhsivaston, ka-
qavper oJ ejn toi'" Eujaggelivoi" dikaiwqei;" telwvnh".
1246 FrIo 70 (cfr. supra, note 473, 703).
1247 Fr1Cor 1 (52): paresthvsamen wJ" movnou" tou;" ejpainetou;" crhmativzein ejk-
klhsivan ojfeivlonta", tou;" de; yektou;" oujk ajpostavta" me;n e[ti palaivonta" th/' aJmartiva/,
ajll∆ <e[ti> ejpikaloumevnou", ouj mh;n h[dh kai; ejkklhsiva. Speuvswmen ou\n ajpo; tou' ejpi-
kalei'sqai eij" to; ajnabh'nai ejpi; th;n ejkklhsivan th;n a[spilon kai; a[mwmon. Fr1Cor 2 (52-
54) precisa l’immagine della comunità di Corinto come ejkklhsiva ajnamemigmevnh [...] to;
o{lon tou'to to; mikto;n ejk dikaivwn kai; ajdivkwn, e la richiama in HLc XVII, 11 (supra, nota
926). Conviene ricordare nuovamente la prospettiva, conflittuale e dinamica, dell’antropo-
logia origeniana, messa in luce soprattutto nell’esegesi di Rm 7; cfr. da ultimo Müller J.
1248 HEx XI , 5 (258, 11-18): «Ego amplius adhuc locum praesentem discutiens video
quia qui pleniorem scientiam Dei accipiunt et plenius divinis imbuti sunt disciplinis, isti
etiam si malum faciunt, coram Deo faciunt et in conspectu eius faciunt, sicut ille qui dixit:
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci (Sal 50[51], 6). Quid ergo plus habet, qui malum
coram Deo facit? Quod continuo poenitet et dicit: Peccavi. Qui autem discedit a conspectu
Dei, nescit converti et peccatum poenitendo purgare».
1249 HLv V, 3 (338, 5-7): «Si qui ergo est, qui habet fiduciam adstare in conspectu
Domini et non fugit a facie eius nec adspectum eius peccati conscientia declinat, iste in
conspectu Domini offert sacrificium».
406 Parte seconda, Capitolo settimo
consapevoli degli errori commessi, e li spinga alla confessione e alla peni-
tenza1250. Sul nesso fra rammemorare i propri peccati e confessione insi-
ste anche la IV Omelia su Isaia, che in questo contesto richiama Is 58, 9,
luogo scritturistico prediletto da Origene per indicare l’esaudimento del-
l’orante da parte di Dio: in questo caso si tratta del peccatore penitente
che nell’atto stesso di dichiararsi colpevole può dunque contare anche lui
sull’immediato ascolto divino1251.
Il termine tecnico per la «confessione» è ejxomolovghsi", già indicato
in Orat come componente strutturale nella preghiera formulata, situata a
mezzo fra il «ringraziamento» (eujcaristiva) e la «domanda» (ai[thsi"),
sebbene il vocabolo sia di per sé suscettibile anche in Origene di una certa
sovrapposizione semantica con i termini doxologiva e eujcaristiva, nel sen-
so di «professione di lode e ringraziamento»1252. Soprattutto nelle Omelie
su Geremia, particolarmente sensibili alla presenza del peccato nelle chie-
se1253, l’Alessandrino ha approfondito le modalità in cui può darsi veritiera
«confessione di colpa» (con l’utilizzo del sostantivo ejxomolovghsi" e del
relativo verbo ejxomologei`sqai). Nella V Omelia su Geremia, applica le
parole sul ravvedimento del popolo in Ger 3, 25 («Avvolgiamoci nella
nostra vergogna, la nostra confusione ci ricopra, perché abbiamo peccato
contro il Signore nostro Dio, noi e i nostri padri, dalla nostra giovinezza
fino ad oggi») alla situazione dei peccatori nella comunità ecclesiale. Chi
si trova ancora in una condizione di peccato non può fare proprie le pa-
role del profeta «abbiamo peccato», perché la sua confessione è falsata dal
––––––––––––––––––
1250 HIud III, 2 (482, 10-14): «Disce haec et tu, o auditor, quisque ille es, qui tibi
conscius es alicuius erroris. Et quanto tempore errasse te nosti, quanto tempore deliquisti,
tanto nihilominus tempore humilia te ipsum Deo et satisfacito ei in confessione poeni-
tentiae».
1251 HIs IV, 4 (261, 21-26): «Quam bonus Deus! Quia, inquit, audio confitentem
Isaiam [...] et ego adhuc loquente eo dico: Ecce adsum (Is 58, 9)».
1252 L’ambivalenza semantica emerge, ad esempio, dall’etimologia del nome «Giu-
dea» in FrIer 58 (227, 3-7): eij de; ejn aujtw/' ejsmen kata; to; kai; uJmei'" ejn ejmoiv, oijkodomhv-
swmen ejn tw/' dikaivw/ o[rei. tou'to de; poiei' ti" ejn ∆Ioudaiva/ genovmeno", o} eJrmhneuvetai
∆Exomologoumevnh, tw/' qew/' ejxomologouvmeno" ta;" aJmartiva" kai; eujcaristw'n: levge ga;r
su; prw'to" ta;" ajnomiva" sou, i{na dikaiwqh/'" (Is 43, 26). Si noti che la traduzione rufinia-
na delle Omelie su Salmi 36 e 37 ha preferito conservare talora il termine tecnico. Cfr.
H36Ps I, 5 (66, 19-25): «Sed et si malorum tibi conscius aliquorum fueris, noli occultare,
sed per exomologesin, revela ea Domino, et spera in eum et ipse faciet. Quid faciet? Sine
dubio sanum te faciet»; H37Ps II , 1 (290, 7-8): «ipse se ad exomologesin peccati sui moe-
roremque convertit». Invece in H37Ps II, 6 (310, 1-3) Rufino rende diversamente: «Pro-
nuntiationem iniquitatis, id est confessionem peccati, frequentius diximus». Fr1Cor 24
richiama più espressamente la disciplina ecclesiale della confessione e del pentimento: Qe-
rapeuevsqwsan ou\n oiJ kakw'" diavgonte" e[xw genovmenoi th'" poivmnh", ejxomologouvmenoi
kai; penqou'nte" ta; i[dia aJmarthvmata, ejn nhsteivai" kai; pevnqesi kai; klauqmoi'" kai; toi'"
paraplhsivoi" ta; th'" metanoiva" prosavgonte".
1253 In HIer XV, 3 Origene si chiede: «Chi di noi ha grappoli di virtù?», e in XV, 5
ribadisce l’idea che «ciascuno di noi è debitore a causa dei peccati».
«Come incenso al tuo cospetto» 407
perdurare nel male. Può dirle invece chi, avendo prima peccato, si è suc-
cessivamente impegnato con cura a convertirsi, conformemente all’indi-
cazione che l’Alessandrino ricava da due luoghi scritturistici – Dn 9, 5 Th
(«Abbiamo peccato, abbiamo trasgredito») e Sal 78(79), 8 («Non ricor-
darti delle nostre colpe antiche»). Perciò Origene si augura che i fedeli di
Cesarea confessino a loro volta non le «colpe di ieri» o di «tre giorni fa»,
ma piuttosto si dichiarino colpevoli di colpe commesse prima dell’ultimo
quindicennio! Non ha senso per lui confessare le colpe di ieri, perché tale
confessione non può ancora avere la serietà di un impegno di conversione
e penitenza maturato nel corso del tempo1254. Come in altre occasioni, in
questo stesso ciclo di omelie, si fa strada una preoccupazione di ordine
pastorale, mirante ad inculcare nei fedeli l’idea, per così dire, di un “auto-
controllo” più esigente sulle proprie parole di preghiera, per non banaliz-
zarle con una pratica troppo facile e ripetitiva. In questo senso, il passo di
Ger 3, 25 offre per l’Alessandrino l’«insegnamento sul modo migliore di
confessarsi», contrastando anche l’aspettativa troppo comoda di un pronto
esaudimento della richiesta a Dio di perdono per colui che ha peccato,
quando questi non si è ancora rimesso dal male1255.
In questa luce l’ejxomolovghsi" non può non andare di pari passo con
l’effettiva conversione, grazie alla quale – come dichiara la conclusione
della X Omelia su Geremia – colui che si confessa può fare proprie con
una rinnovata «confidenza» (parjrJhsiva) le parole della Scrittura, specie
quelle tratte dal libro dei Salmi1256. In essi il penitente trova il suo testo di
riferimento, come testimonia fra l’altro la XVII Omelia su Luca che solle-
cita a rendere noti i peccati con le parole di Sal 31(32), 5 («Ti ho manife-
––––––––––––––––––
1254 HIer V, 10 (39, 14-25): Ouj taujtovn ejstin to; hJmavrtomen (Ger 3, 25) tw'/ aJmar-
tavnomen: oJ me;n ga;r e[ti ejn aJmartiva/ w]n mh; legevtw hJmavrtomen, oJ de; proamarthvsa", ajkri-
bw'" de; metanohvsa" legevtw hJmavrtomen, wJ" kai; ejn tw'/ Danih;l gevgraptai ejxomolovghsi"
tw'n mhkevti aJmartanovntwn legovntwn: ÔHmavrtomen, hjnomhvsamen (Dn 9, 5 Th), kai; ejn
Yalmoi'": Mh; mnhsqh'/" hJmw'n ajnomiw'n ajrcaivwn (Sal 78[79], 8) fhsi;n oJ profhvth". Kai;
hJmei'" ou\n ejxomologhswvmeqa ta;" aJmartiva", ei[qe mh; cqizav", ei[qe mh; triqhmerinav", ajll∆
ei[qe ejxomologouvmenoi ejxomologhswvmeqa peri; aJmarthmavtwn pro; pentekaivdeka ejtw'n
gegenhmevnwn, tw'/ mhkevti aJmartivan e[cein met∆ ejkei'na ejpi; pentekaivdeka e[th: eij de; cqe;"
hJmavrtomen, ou[pw ajxiovpistoiv ejsmen ejxomologouvmenoi peri; tw'n aJmarthmavtwn hJmw'n,
oujde; cwvran e[cei ajpaleifqh'nai ta; aJmarthvmata hJmw'n tau'ta.
1255 HIer V, 10 (39, 25-40, 2): Diovti hJmavrtomen hJmei'" kai; oiJ patevre" hJmw'n ajpo;
neovthto" hJmw'n e{w" th'" hJmevra" tauvth" (Ger 3, 25) < ejkei'na me;n a[llw" lelevcqw eij" di-
daskalivan th;n peri; trovpou ajrivstou ejxomologhvsew", tau'ta dev ejstin kathgoriva tou'
ejk pollou' aJmartavnein < ajpo; neovthto" fhsi;n e{w" th'" hJmevra" tauvth", kai; oujc uJphkouv-
samen th'" fwnh'" kurivou tou' qeou' hJmw'n (Ger 3, 25): hJmavrtomen, kai; oujc uJphkouvsamen
e{w" tou' parovnto". ei\ta ejpistrevyante" kai; ajrch;n e[conte" ejpistrofh'" levgousin to;
«hJmavrtomen, kai; oujc uJphkouvsamen». Oujde; ga;r a{ma tw'/ qevlein uJpakou'sai h[dh eujqevw"
uJpakouvomen: kai; ga;r e[ti crovnou dei', w{sper ejpi; tw'n traumavtwn pro;" th;n i[asin, ou{tw"
kai; ejpi; th'" ejpistrofh'", pro;" to; teleivw" kai; kaqarw'" ejpistrevyai pro;" to;n qeovn.
1256 HIer X, 8 (nota 1172).
408 Parte seconda, Capitolo settimo
stato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto: “Con-
fesserò al Signore le mie colpe”»)1257. Anche nella celebre XX Omelia su
Geremia Origene si augura che ciascun fedele possa fare propria la voce
del Salmista, riconoscendo i suoi peccati ed esprimendo pentimento dopo
ogni sua caduta1258. In questa stessa omelia egli prende ad esempio la
confessione pubblica del profeta – che non nasconde i suoi peccati ma al
contrario li dichiara a tutte le generazioni future – non solo per criticare le
resistenze dei fedeli che si sforzano di occultarli ma anche per accusare in
chiave autocritica la propria riluttanza a fare altrettanto davanti alla pic-
cola cerchia della comunità1259. Sul modello di Geremia, l’Alessandrino
si augura di poter sperimentare ugualmente dentro di sé il fuoco che tri-
bola e purifica, nel momento stesso in cui si rende colpevole o pronuncia
parole di peccato1260. Egli invita anche la comunità a esaminare con cura
la propria coscienza, per verificare in che cosa abbia peccato e ricono-
scere così la necessità della punizione, pregando nel contempo Dio di
poter partecipare di quello stesso fuoco che ardeva nel cuore del profeta
come più tardi in quello dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 32)1261. Anche
––––––––––––––––––
1257 HLc XVII, 8 (107, 23-108, 5): «Unde et nos si peccaverimus, debemus dicere
[dia; tou'to kai; hJmei'" eja;n aJmarthvswmen, keleuovmeqa levgein: th;n ajnomivan ktl.]: pecca-
tum meum notum feci tibi, et iniquitatem meam non abscondi. Dixi: annuntiabo iniusti-
tiam meam contra me Domino (Sal 31[32], 5). Si enim hoc fecerimus et revelaverimus
peccata nostra non solum Deo, sed et his qui possunt mederi vulneribus nostris atque pec-
catis, delebuntur peccata nostra ab eo, qui ait: ecce, delebo ut nubem iniquitates tuas et si-
cut caliginem peccata tua (Is 44, 22)». Origene si basa sullo stesso salmo in CC III, 63
(257, 11-17), a riprova della volontà di conversione del peccatore: Poiva ga;r kolakeiva,
kai; poi'o" lovgo" oijktrovgoo" kata; ta;" qeiva" ginovmeno" grafav", ejpa;n oJ aJmartavnwn levgh/
ejn tai'" pro;" qeo;n eujcai'": Th;n aJmartivan mou ejgnwvrisa, kai; th;n ajnomivan mou oujk ejkav-
luya. Ei\pa: ejxagoreuvçw kat∆ ejmou' th;n ajnomivan mou tw'/ kurivw/ (Sal 31[32]. 5) kai; ta;
eJxh'"… ∆Alla; duvnatai parasth'sai o{ti oujk e[stin ejpistreptiko;n to; toiou'ton tw'n aJmar-
tanovntwn, uJpo; to;n qeo;n eJautou;" tapeinouvntwn ejn tai'" eujcai'"…
1258 HIer XX , 6 (186, 23-27): wJ" ei[qe e{kasto" hJmw'n kaq∆ e{kaston aJmavrthma
e[lege: louvsw kaq∆ eJkavsthn nuvkta th;n klivnhn mou, ejn davkrusiv mou th;n strwmnhvn mou
brevxw (Sal 6, 7). wJ" ei[qe e{kasto" hJmw'n e[legen ejpi; toi'" ijdivoi" aJmarthvmasi klaivwn:
ejgenhvqh moi ta; davkrua a[rto" hJmevra" kai; nuktov" (Sal 41[42], 4).
1259 HIer XX, 8 (189, 19-25): Ei\ta katanovhson w{" eijsin oiJ profh'tai eujgnwvmone"
a{nqrwpoi, kai; oujk ajpokruptovmenoi ta; i{dia aJmarthvmata wJ" kai; hJmei'", kai; levgonte"
oujk ejpi; tw'n tovte movnon, ajll∆ ejpi; pasw'n tw'n genew'n eij hJmarthvkasi. kajgw; me;n ojknw'
ejxomologhvsasqaiv mou ta; aJmarthvmata ejpi; tw'n ojlivgwn ejntau'qa, ejpei; mevllousiv mou
kataginwvskein oiJ ajkouvonte". oJ de; ÔIeremiva" ti paqw;n aJmarthtiko;n oujk h/jdevsqh, ajlla;
ajnevgrayen aujtou' th;n aJmartivan. Per un’analisi di questa omelia si veda Perrone 2001c;
Abbattista, 245-262.
1260 HIer XX , 8 (190, 19-21): ei[qe kajgwv, a{ma tw/' aJmarth'sai kai; eijpei'n lovgon
aJmarthtikovn, h/jsqanovmhn o{ti gevgone pu'r ejn th/' kardiva/ mou kaiovmenon kai; flegovmenon
w{ste mh; duvnasqai fevrein (Ger 20, 9).
1261 HIer XX, 9 (supra, nota 892). Anche HIs IV, 6 sfrutta il richiamo alla scena di
Emmaus (cfr. infra, nota 1292), che il predicatore riprende in chiave personale in H38Ps
I, 7 (nota 2113).
«Come incenso al tuo cospetto» 409
nella XVI Omelia su Genesi Origene si lascia andare ad una confessione
pubblica ergendosi ad accusatore di se stesso davanti al proprio uditorio
per l’incapacità a rinunciare a tutti i suoi averi per seguire il Signore
come richiesto da Lc 14, 33 («Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi
averi, non può essere mio discepolo»)1262. Al tempo stesso l’Alessandrino
nella II Omelia su Salmo 37 critica con durezza – come nel Commento a
Matteo – l’atteggiamento di quei fedeli che, invece di compatire ed in-
sieme gioire per la confessione del peccatore, si sottraggono al rapporto
con questi dopo aver appreso in pubblico delle sue colpe1263.
Per la II Omelia su Levitico, l’ejxomolovghsi", attuata coerentemente
con il pentimento, le lacrime e la manifestazione palese delle proprie
colpe, costituisce la settima forma di remissione dei peccati. Essa viene
dopo il battesimo, il martirio, l’elemosina, il perdono ai fratelli, la conver-
sione dei fratelli in errore, l’abbondanza della carità, ed è giustificata
dall’Alessandrino anche mediante il richiamo a Gc 5, 14-15, per cui «la
preghiera fatta con fede salverà il malato»1264. Si tratta di una forma certo
assai dura e faticosa di remissione, ma grazie all’impegno di penitenza e
preghiera che richiede, essa arriva per Origene ad essere assimilata al
sacrificio (conformemente a uno spunto che troviamo pure nel Commento
al Cantico a partire da Sal 50[51], 19)1265, riproponendo così sotto un al-
tro profilo l’equivalenza fra preghiera e sacrificio che già conosciamo
come motivo importante del corpus omiletico 1266. Da parte sua, la IV
––––––––––––––––––
1262 HGn XVI, 5 (142, 14-24): «Contremisco haec dicens. Meus enim primo omnium,
meus, inquam, ipse accusator existo, meas condemnationes loquor. Negat Christus suum
esse discipulum, quem viderit aliquid possidentem et eum qui non renuntiat omnibus quae
possidet. [...] Nolo duplicati criminis fieri reus. Confiteor et palam, populo audiente, con-
fiteor haec scripta esse, etiamsi nondum implesse me novi».
1263 Cfr. H37Ps II, 35 e Bendinelli 2009, 417-419.
1264 HLv II, 4 (296, 17–297, 3): «Est adhuc et septima, licet dura et laboriosa, per
paenitentiam remissio peccatorum, cum lavat peccator in lacrimis stratum (Sal 6, 7) suum
et fiunt ei lacrimae suae panes die ac nocte (Sal 41[42], 4), cum non erubescit sacerdoti
Domini indicare peccatum et quaerere medicinam, secundum eum, qui ait: Dixi: pronun-
tiabo adversum me iniustitiam meam Domino, et tu remisisti impietatem cordis mei (Sal
31[32], 5). In quo impletur et illud, quod Iacobus Apostolus dicit: Si qui autem infirmatur,
vocet presbyteros Ecclesiae, et imponant ei manus ungentes oleo in nomine Domini. Et
oratio fidei salvabit infirmum, et si in peccatis fuerit, remittentur ei (Gc 5, 14-15)».
1265 CCt II, 1, 44 (122, 23-29): «Videtur enim mihi quod ultra flumina Aethiopiae
esse dicitur ille qui nimiis et superabundantibus peccatis infuscatus est et atro malitiae fuco
infectus niger et tenebrosus est redditus; et tamen ne hos quidem repellit Dominus, sed
omnes qui sacrificia contribulati spiritus et humiliati cordis (Sal 50[51], 19) offerunt Deo,
confessionis scilicet ac paenitentiae titulo ad eum conversi, non repelluntur ab eo».
1266 HLv II, 4 (297, 21-27): «Si autem in amaritudine fletus tui fueris luctu, lacrimis
et lamentatione confectus, si carnem tuam maceraveris et ieiuniis ac multa abstinentia ari-
dam feceris et dixeris quia sicut frixorium confrixa sunt ossa mea (Sal 101[102], 4), tunc
sacrificium similam a sartagine vel a craticula obtuleris; et hoc modo invenieris tu verius
410 Parte seconda, Capitolo settimo
Omelia su Isaia esorta alla preghiera di confessione, dichiarandola «cosa
beata», mediante il richiamo a Rm 7, 24 («Sono uno sventurato! Chi mi
libererà da questo corpo votato alla morte?»), seguito subito da Rm 7, 25
(«Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!»),
conformemente all’uso del passo paolino nell’Esortazione al martirio1267.
––––––––––––––––––
1303 «Lo scrittorio di Origene comprendeva un buon numero di copisti, tra cui evi-
dentemente era suddiviso il lavoro: ritengo che ad essi più che al maestro alessandrino si
debba la varietà delle formule dossologiche finali. Quanto al predicatore, probabilmente si
atteneva più frequentemente di quanto appaia alla formula della prima lettera di Pietro, la
più attestata anche in latino» (Grappone 2007, 127).
1304 Cfr. rispettivamente HIer IV , 6 ([30, 2] doxavzein to;n pantokravtora qeo;n ejn
aujtw'/ tw'/ Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ hJ dovxa ktl.) e HIer V, 17 ([47, 18-19] doxavzein to;n rJuovmenovn
se qeo;n ejn Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ ejstin hJ dovxa).
1305 Si vedano supra, rispettivamente le note 1279 e 1280.
1306 Cfr. HIer VIII, 9 (63, 9-11): ejpi; th;n ijscu;n tou' qeou', Cristo;n ∆Ihsou'n, w|/ ejstin
hJ dovxa ktl.; HIer IX, 4 (70, 27-28): ajei; gennwvmeno" uiJo;" qeou' ejn Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ ej-
stin hJ dovxa ktl.; HIer XII, 12 (supra, nota 1281); HIer XIV, 18 (supra, nota 1290); HIer
XVI, 10 (supra, nota 1270).
1307 «Si tenga presente che, come giustamente ha osservato Crouzel, sebbene tutte
le dossologie greche superstiti siano riferite al Figlio, nel contesto delle frasi conclusive
delle omelie si incontra sovente la menzione del Padre: evidentemente evitando il relativo
il traduttore poteva rielaborare con più libertà la frase precedente, variando il riferimento
422 Parte seconda, Capitolo settimo
la presenza del binomio Figlio-Padre in sottofondo, ma di riconoscere an-
che le diverse modalità in cui esso può darsi, fino ai casi più espliciti della
IV e V Omelia su Geremia. È l’ennesimo indizio, a mio avviso, delle carat-
teristiche assai diversificate che contraddistinguono il tema della preghiera
nel corpus omiletico e che trovano ulteriore sostegno dal riscontro incro-
ciato fra le clausole dei sermoni origeniani in Gerolamo e Rufino.
Se guardiamo alle omelie tradotte dallo Stridonense, troviamo aspetti
che convergono largamente con i dati emergenti dalle Omelie su Geremia.
È vero che nessuna delle Omelie su Isaia indirizza la dossologia ad altri
che a Cristo, ma la chiusa della IV Omelia su Isaia esorta i fedeli a «ren-
dere grazie a Dio onnipotente, in Cristo Gesù» (che richiama abbastanza
da vicino le formulazioni della IV e V Omelia su Geremia) 1308, mentre il
raccordo Figlio-Padre si evidenzia soprattutto nella I, II, III e VI Omelia su
Isaia1309. L’immagine non cambia granché, se passiamo alle Omelie su
Ezechiele. Infatti, nella XIV Omelia su Ezechiele incontriamo di nuovo
un’espressione paragonabile a quella della IV e V Omelia su Geremia, con
l’iterazione della gloria dal Padre al Figlio: «glorificare Dio onnipotente
mediante Cristo Gesù»1310. A sua volta, la X Omelia su Ezechiele prega
affinché sia dato ai fedeli di manifestare «l’amore che essi hanno per Dio
in Cristo»1311. Inoltre, la coordinazione Dio-Cristo in prossimità della dos-
sologia figura più direttamente nella I, III, VI e IX Omelia su Ezechiele1312.
––––––––––––––––––
dossologico, ma anche rendendolo volutamente ambiguo, applicabile a due o tre Persone
della Trinità» (Grappone 2007, 132).
1308 HIs IV, 6 (supra, nota 1292).
1309 HIs I, 5 (248, 6-10): «Quoniam igitur praesto est et adsistit Iesus Christus et
paratus est et praecinctus summus sacerdos offerre Patri interpellationes nostras, surgen-
tes per ipsum sacrificia Patri offeramus. Ipse enim propitiatio est pro peccatis nostris (1Gv
2, 2), cui est gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen» (1Pt 4, 11); HIs II, 2 (252,
25-29): «Propterea quia beatum est suscipere Salvatorem, apertis ostiis principalis cordis
nostri praeparemus ei mella et omnem cenam eius, ut ipse nos ducat ad magnam cenam pa-
tris in regno caelorum, quae est in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HIs III, 3 (257, 15-20):
«Idcirco surgentes oremus Deum, qui hunc misit hominem et septem mulierum spiritus in
eo requievit, ut et nobis iste homo tribuat communionem harum mulierum et adsumentes
eas fiamus sapientes et intelligentes in Deo ceteraeque virtutes exornent animam nostram
in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HIs VI , 7 (279, 6-9): «Quando videnda sunt eloquia
Dei, et convertimur et sanat (cfr. Is 6, 10) nos Deus mittens verbum, quod sanat eos, qui
volunt curari in Christo Iesu, cui est gloria etc.».
1310 HEz XIV, 3 (454, 4-7): «det nobis panem viventem (Gv 6, 51), ut cibati eo et
corroborati possimus in caelo iter facere glorificantes Deum omnipotenten per Christum
Iesum, cui est gloria etc.».
1311 HEz X, 5 (supra, nota 1299).
1312 HEz I, 16 (340, 16-19): «Haec autem omnia regit, et quocumque vult, torquet
totius universitatis Deus, in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HEz III, 8 (supra, nota 1143);
HEz VI, 11 (391, 1-3): «Deus vero omnes nos et ab his et ab aliis liberet simulacris, ut ma-
gnificemur in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HEz IX, 5 (415, 28-32): «Idcirco fugiamus
a Sodoma et peccatis eius, fugiamus a Samaria et criminibus quibus castigatur misera Hie-
«Come incenso al tuo cospetto» 423
Il binomio può persino dare luogo ad una dossologia apparentemente
«binitaria», come avviene nella XII Omelia su Ezechiele, che occasional-
mente associa in maniera paritaria Gesù al Padre, indicando entrambi
come destinatari della preghiera (laddove essi appaiono di solito separati,
con una netta prevalenza per Dio Padre quale destinatario)1313. Anche le
Omelie su Luca presentano casi analoghi, sebbene tendano a differen-
ziarsi per vari aspetti dalle due serie veterotestamentarie tradotte da Gero-
lamo. Così, mentre la XII Omelia su Luca esorta a «benedire Dio onnipo-
tente [...] in Cristo Gesù»1314, la chiusa della XVIII chiama i fedeli a «lo-
dare in comune il Padre e il Figlio»1315. Una variante ulteriore, rispetto
alla formulazione cristologica più abituale della dossologia, è l’inserzione
«trinitaria» dello Spirito nella III Omelia su Luca, in forza della quale il
predicatore auspica la visione di Dio onnipotente «in Cristo Gesù e nello
Spirito santo»1316. Da parte sua la XXXVII Omelia su Luca contiene una
chiusa pienamente trinitaria, poiché fa precedere la dossologia dall’invito
a «lodare Dio nel Padre, nel Figlio e nello Spirito santo»1317. Un novum
assoluto di questo ciclo di sermoni è la preghiera indirizzata nello stesso
tempo a «Dio onnipotente» e a «Gesù bambino», che compare nella XV
Omelia su Luca: se non è “farina del sacco” di Gerolamo, ispirata dal suo
ben noto legame con i Luoghi Santi e in particolar modo con la grotta di
Betlemme, possiamo pensare che la formulazione non derivi solo dal con-
testo esegetico più immediato dell’omelia, ma sia dettata anche dalla parti-
––––––––––––––––––
rusalem, ut in universis Deo nobis fortitudinem ministrante, humilitatem et iustitiam con-
sequamur in Christo Iesu, cui est gloria etc.».
1313 HEz XII, 5 (439, 18-22): «Quibus dictis ut et nos revirescamus, ut fructus vale-
amus afferre, ut germinans lignum et non siccum efficiamur, ut numquam ad radices no-
stras ponatur securis quae in Evangelio praedicatur, attentius Iesum Christum Dominum
nostrum cum patre suo precemur, cui est gloria etc.».
1314 HLc XII, 6 (nota 1271).
1315 HLc XVIII, 5 (113, 27-29): «Quia igitur Salvator Creatoris est filius, in com-
mune Patrem Filiumque laudemus, cuius lex, cuius et templum est: cui est gloria etc.». Si
veda ancora la doppia attestazione della gloria di Cristo in HLc XXIII , 9 (147, 12-18):
«Venit enim non Ioannes et prophetae tantum, sed etiam ipse Salvator et hominibus et an-
gelis et virtutibus ceteris salutarem paenitentiam praedicare, ut in nomine Iesu omne genu
flectatur, caelestium, terrestrium et infernorum, et omnis lingua confiteatur, quia Domi-
nus Iesus Christus in gloria est Dei Patris: cui est gloria etc.».
1316 HLc III, 4 (22, 4-18): «Laboremus ergo et nos, ut et impraesentiarum nobis Deus
appareat – sanctus quippe scripturarum sermo promisit [...] et in futuro saeculo non abs-
condatur a nobis, sed videamus eum facie ad faciem (cfr. 1Cor 13, 12) et habeamus fidu-
ciam bonae vitae fruamurque conspectu omnipotentis Dei in Christo Iesu et Spiritu san-
cto: cui est gloria etc.». Anche in HLc XXVII, 6 (160, 20-22) troviamo il nesso Spirito –
Cristo: «omnisque sanctificatio tam in corde, quam in verbis et in opere a sancto Spiritu
veniat in Christo Iesu: cui est gloria etc.».
1317 HLc XXXVII, 5 (212, 22-25): «Propterea Domini misericordiam deprecemur, ne
nobis tacentibus lapides clamitent, sed loquamur et laudemus Deum in Patre et Filio et
Spiritu sancto: cui est gloria etc.».
424 Parte seconda, Capitolo settimo
colare devozione a Gesù che l’Alessandrino manifesta a più riprese nella
sua predicazione1318. La stretta correlazione poi che collega la manifesta-
zione della gloria nel Figlio di Dio con il Padre, e ne svela la sorgente im-
plicita, è attestata dalla XXXVI Omelia su Luca, dove Origene spiega la par-
tecipazione al «regno di Dio onnipotente» con il comunicare alle epinoiai
racchiuse nel Figlio di Dio: «sapienza, pace, giustizia e verità»1319.
Passando adesso alle versioni di Rufino a partire da tali premesse,
possiamo forse guardare con minor sospetto al fatto che parte delle dosso-
logie non sia rivolta al Figlio. Si tratta in effetti di un numero proporzio-
nalmente ridotto di casi (secondo Grappone 18 su 100 sermoni) ed essi,
almeno in via ipotetica, sembrerebbero compatibili con la misura d’inno-
vazione attestata dall’omologo Gerolamo entro un ambito più ristretto di
testi1320. Colpisce, in primo luogo, il carattere sporadico delle formulazio-
ni trinitarie, che sembrano riflettere una certa occasionalità, contrastan-
te di per sé con l’idea di una “normalizzazione” ortodossa in linea con
l’evoluzione dogmatica di fine IV secolo. L’esempio più problematico è
probabilmente la clausola della IV Omelia su Genesi, soprattutto perché
l’elaborazione trinitaria risulta qui particolarmente sviluppata, anche se
non sussistono obiezioni decisive riguardo alla sua attendibilità, tanto più
considerando il fatto che la dossologia è, come al solito, cristologica1321.
Questo discorso vale a fortiori per gli altri casi “incriminati”, a cominciare
dalla I Omelia su Genesi, dove il tema del «tempio di Dio nello Spirito»
completa trinitariamente la menzione della dimora del Padre e del Figlio
nell’«ospizio del cuore» sulla scorta di Gv 14, 23: anche in questo caso la
cornice trinitaria s’innesta su una dossologia cristologica e rispetta motivi
autenticamente origeniani, come vediamo dal commento dell’Alessandri-
no su «tempio di Dio» e «tempio dello Spirito» in 1 Cor1322. Sempre nel-
––––––––––––––––––
1318 HLc XV, 5 (94, 23-28): «Ut igitur et nos stantes in templo et tenentes Dei Fi-
lium amplexantesque eum digni remissione et profectione ad meliora simus, oremus om-
nipotentem Deum, oremus et ipsum parvulum Iesum, quem alloqui et tenere desideramus
in brachiis: cui est gloria etc.».
1319 HLc XXXVI, 3 (cfr. supra, nota 1271). Anche la fine di HLc XXXVIII, 6 e HLc
XXXIX , 7 ripresentano il binomio «Dio in Cristo».
1320 Per il dato statistico e la rassegna dei testi si veda Grappone 2007, 130-131
(supra, note 1272-1273).
1321 HGn IV, 6 (supra, nota 1276). La «materia» autenticamente origeniana della
formulazione può essere confermata dalle riflessioni dell’Alessandrino su Gal 4, 9 («ora
invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti») in CIo XIX, 4, 24-25.
1322 Secondo Fr1Cor 29 (130) su 1Cor 6, 13-14, la vocazione originaria del corpo,
conformemente al disegno divino sui protoplasti, è di essere tempio del Signore e dello
Spirito santo, con l’anima chiamata a svolgere la funzione di «sacerdote»: ei[ qevlei" to;n
prohgouvmenon lovgon maqei'n dia; tiv gevgonen, a[koue: i{na nao;" h/\ tw/' Kurivw/, kai; i{na hJ
yuch; aJgiva kai; makariva ou\sa to; pneu'ma to; a{gion wJsperei; qerapeuvousa, iJereu;"
gevnhtai tou' ejn soi; aJgivou pneuvmato". Si veda inoltre Fr1Cor 32 (132): eij" to; pneu'ma to;
a{gion ajsebou'men, kai; di∆ aujtou' eij" patevra kai; uiJo;n eij" ou}" bebaptivsmeqa, eja;n por-
«Come incenso al tuo cospetto» 425
l’ottica dell’azione esercitata dallo Spirito al fine di partecipare della vita
spirituale e delle realtà divine – tema che ci è ben noto dalla precedente
analisi di Orat ed è confermato dalla preghiera a lui indirizzata all’inizio
della I Omelia su Levitico1323 –, è possibile giustificare le clausole della
II Omelia su Genesi e della II Omelia su Esodo, quantunque di primo ac-
chito paiano indirizzare la dossologia allo Spirito: di fatto, l’impressione
di un diverso destinatario è dovuta soprattutto al passaggio dal greco al
latino più che rimandare a un intervento correttore di Rufino, per cui en-
trambe sembrano riconducibili alla formulazione cristologica 1324. Un’am-
biguità simile contraddistingue anche l’unico caso delle Omelie su Esodo:
il «Signore» a cui è indirizzata la dossologia potrebbe infatti corrispondere
a Cristo, ma a partire dall’esegesi di Origene su Es 15 si deve propendere
piuttosto per l’identificazione con il Padre1325.
––––––––––––––––––
neuvwmen: eij" Cristo;n mevn, o{tan a[ra" ta; mevlh tou' Cristou' poihvsw povrnh" mevlh: eij" to;
a{gion pneu'ma, o{tan to;n nao;n tou' ejn hJmi'n aJgivou pneuvmato" (1Cor 6, 19) fqeivrh/ ti": eij"
to;n patevra dev, o{te to;n nao;n tou' qeou' (1Cor 3, 16) fqeivrw. Sul tema del “tempio” in
Origene, cfr. Rossetti. Per il testo di HGn I, 17 si veda supra, nota 1274; forse gli si può
accostare anche HGn XV, 7 (135, 24-136, 3), data l’ambivalenza (antropologica e/o trini-
taria) del termine «spiritus»: «Atque utinam et nobis iniciat Dominus Iesus manus suas
super oculos, ut incipiamus et nos respicere non ea quae videntur, sed quae non videntur,
et aperiat nobis illos oculos, qui non intuentur praesentia sed futura, et revelet nobis cordis
adspectum, quo Deus videtur in spiritu, per ipsum Dominum Iesum Christum, cui gloria
et potestas in saecula saeculorum. Amen». Secondo Grappone 2007, 132, in HGn I e II
mancherebbe «una chiara precisazione del soggetto della lode».
1323 Cfr. supra, nota 1153. Il rinvio al ruolo dello Spirito risulta significativo anche
nelle dossologie di HLv in cui il destinatario rimane Cristo. Si veda HLv VI, 6 (supra, nota
1295) e HLv VIII, 11 (417, 13-18): «donum autem gratiae Spiritus per olei imaginem desi-
gnatur, ut non solum purgationem consequi possit is, qui convertitur a peccato, sed et
Spiritu sancto repleri, quo et recipere priorem stolam et anulum (cfr. Lc 15, 22) possit et
per omnia reconciliatus Patri in locum filii reparari, per ipsum Dominum nostrum Iesum
Christum, cui est gloria etc.».
1324 In HGn II, 6 (supra, nota 1284), il latino «per Christum Dominum nostrum et
per Spiritum suum sanctum. Ipsi gloria in aeterna saecula saeculorum», lascia presumere
in greco un’espressione del tipo dia; pneuvmato" aJgivou aujtou': w|/ ktl., per cui il destinata-
rio della dossologia risulterebbe inequivocabilmente Cristo. Il caso di HEx II, 4 (161, 12-
15) è meno ambiguo, poiché il soggetto è più facilmente identificabile in Cristo: «Et ore-
mus Dominum nostrum Iesum Christum, ut ipse nobis revelet et ostendat quomodo ma-
gnus est Moyses et quomodo sublimis est. Ipse enim revelat, quibus vult, per Spiritum
sanctum. Ipsi gloria etc.».
1325 HEx IV , 9 (183, 3-8): «Propter quod deprecemur misericordiam Domini, ut et
nos eripiat de terra Aegypti, de potestate tenebrarum, et Pharaonem cum exercitu suo tam-
quam plumbum demergat in aqua validissima (Es 15, 10). Nos autem liberati cum gaudio
et exultatione hymnum cantemus Domino, gloriose enim honorificatus est (Es 15, 1), quia
ipsi honor et gloria in s.s.A.». Da notare comunque che in HNm III, 4 (19, 12-18) la richie-
sta della «misericordia» divina è indirizzata a Cristo: «Ut autem nobis primogenitorum
benedictiones donaret, efficitur prius ipse primogenitus ex mortuis, ut sit in omnibus ipse
primatum tenens et nos credentes resurrectioni suae adsumeret pro primitivis et in primi-
426 Parte seconda, Capitolo settimo
Invece, nella cornice trinitaria che conclude I, III, IV, V e VII Omelia
su Levitico, la dossologia è sempre rivolta chiaramente al Padre1326. L’in-
novazione quanto al destinatario è accompagnata da una formulazione
che appare succinta e stereotipa, dal momento che in tutte le dossologie
l’intermediazione di Cristo (per quem o per ipsum) precede la menzione
di Dio Padre come loro destinatario, cui è associato successivamente lo
Spirito (cum Spiritu sancto). L’altra dossologia che non è rivolta a Cristo
in questo ciclo di omelie è la XIII Omelia su Levitico, indirizzata eccezio-
nalmente allo Spirito, a meno di supporre che la fraseologia stereotipa
della dossologia non abbia bisogno di esplicitare il suo destinatario più
normale e s’intenda perciò riferita a Cristo implicitamente1327. Suscitano
incertezza anche la XVIII, XXIV, XXV e XXVII Omelia su Numeri, dove po-
tremmo avere di nuovo una “variante” di traduzione, propiziata da una
citazione scritturistica in prossimità del finale, più che una rettifica dot-
trinale tesa ad indirizzare la dossologia al Padre anziché al Figlio1328. Al
––––––––––––––––––
tivorum ordinem collocaret, si tamen benedictionum gratiam usque ad finem firmam re-
tineamus adiuti misericordia ipsius Domini nostri Iesu Christi, cui est gloria etc.».
1326 Per HLv I, 5 e HL V, 12, cfr. supra rispettivamente le note 1285 e 1286. Quanto
a HLv III, 8 (316, 2-5), il testo recita: «ut sinceram fidem offerentes pretioso Christi san-
guine, tamquam immaculatae hostiae (cfr. 1Pt 1, 19), diluamur; per quem est Deo Patri om-
nipotenti cum Spiritu sancto gloria etc.». La breve conclusione di HLv IV, 10 ([332, 2-3]
Per ipsum Deo Patri cum Spiritu sancto est gloria etc.), rinvia alla prospettiva trinitaria
elaborata in HLv IV , 4 (319, 19-22), a partire da Fil 2, 1 («Se c’è pertanto qualche conso-
lazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spi-
rito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione») e 1Gv 1, 3 («La nostra comunione
è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo»): «Igitur si nobis cum Patre et Filio (cfr.
1Gv 1, 3) et cum Spiritu sancto societas data est, videndum nobis est, ne sanctam istam
divinam societatem peccando abnegemus». Il carattere “stereotipo” della conclusione dos-
sologica è attestato anche da HLv VII , 7 (393, 9-13): «A quibus omnibus spiritali nos obser-
vantia custodientes et cibum ex mundis animalibus appetentes etiam ipsi puri efficiemur
et mundi, per Christum dominum nostrum, per quem est Deo Patri cum Spiritu sancto glo-
ria etc.».
1327 HLv XIII, 6 (supra, nota 1287).
1328 HNm XVIII, 4 (176, 16-20): «Necessario ergo etiam in his declaratur quia perdit
animam suam in hoc mundo, qui cum Christo, moritur, et qui sic eam perdiderit, inveniet
eam sine dubio, ubi dicit Apostolus quia vita vestra abscondita est cum Christo in Deo
(Col 3, 3), cui gloria in aeterna saecula saeculorum. Amen». L’inciso della citazione è in-
serito in una frase riferita a Cristo; HNm XXIV, 3 (232, 11-19): «Sed nos contendere de-
bemus, ut occurramus in virum perfectum, in mensuram aetatis plenitudinis Christi (cfr.
Ef 4, 13), ut utamur libertate votorum et ita adhaerere Domino festinemus, ut cum ipso,
magis quam cum angelo, unus spiritus (cfr. 1Cor 6, 17) simus, ut et ipse in nobis maneat
et nos in ipso, et nihil in nobis femineum, nihil parvulae aetatis habeatur, nec necesse sit
nobis sub tutoribus et procuratoribus (cfr. Gal 4, 2) derelinqui a patre, sed festinemus
audire illam a Domino et Salvatore nostro vocem, qua ait: ipse pater diligit vos (cfr. Rm
11, 36). Ipsi gloria in saecula saeculorum. Amen». Per Grappone 2007 (supra, nota 1307)
questo secondo passo rientrerebbe fra i casi di “ambiguità voluta” del traduttore: un ec-
cesso di critica! Anche HNm XXV , 6 (242, 18-22) ha un inciso scritturistico che lascia
«Come incenso al tuo cospetto» 427
contrario, non sussistono dubbi significativi per la destinazione della glo-
ria a Dio Padre nella XIX e nella XXI Omelia su Numeri1329, come pure nella
IV Omelia su Salmo 36 e nella I Omelia su Salmo 371330.
Da questa analisi esce fortemente ridimensionata, sul piano quantita-
tivo come su quello ideologico, l’ipotesi di interventi aggiuntivi e corretti-
vi di Rufino traduttore. Le variazioni rispetto al modello più corrente di
dossologia possono essere ben ricondotte al predicatore stesso. Del resto,
come mostrano anche i molti passi delle omelie nella versione rufiniana
(non diversamente da quanto si è visto prima in Gerolamo), la correlazione
Cristo-Padre nel segno della «gloria» è dichiarata con frequenza dal predi-
catore1331, né Origene poteva certo ignorare le formulazioni scritturistiche
––––––––––––––––––
spazio all’incertezza, senza dover ipotizzare una manipolazione del traduttore: «Lavabitur
autem ab hoc sanguine et purificabitur in regno Dei, ut purificatus et mundus effectus pos-
sit ingredi sanctam civitatem Dei, aperiente sibi ostium Christo Iesu Domino nostro, immo
qui est ostium ipsius civitatis Dei, cui est gloria in saecula saeculorum. Amen». Analogo
è il caso di HNm XXVII, 13 (280, 9-18): «Ex horum ergo collatione etiam illa metiatur,
immo et aliquid perspicacius ac divinius contempletur [...] et optamus, ut etiam vobis ad-
spiret, quo meliora horum atque altiora in verbis Domini sentiatis iter agentes per haec,
quae pro nostra mediocritate descripsimus; ut et in illa via superiore et excelsiore etiam
nos possimus vobiscum incedere, deducente nos ipso Domino Iesu Christo, qui est via,
veritas et vita, usque quo perveniamus ad patrem, cum tradiderit regnum Deo et Patri et
subiecerit ei omne principatum et potestatem. Ipsi gloria etc.».
1329 HNm XIX, 4 (184, 26-30): «Haec etiam de ultima Balaam prophetia a nobis pro
viribus dicta sint, quae pro locorum difficultate explanandi magis quam perorandi stilo
placuit explicari. Quid enim interest, dummodo omnia ad aedificationem dicantur et om-
nia ad gloriam Dei fiant? Qui est benedictus in saecula saeculorum. Amen!»; HNm XXI, 2
(203, 20-25): «Haec omnia non sorte descendunt, sed electionis praerogativa donantur ab
eo, qui corda et mentes hominum videt solus, qui nos quoque, etiamsi non inter eximios et
electos atque illos, qui supra sortem sunt, in sortem tamen sanctorum dignentur adducere;
cui est gloria etc.».
1330 H36Ps IV, 8 (208, 20-23): «Si vero permaneat quis in verbo Dei, et sapientiae
eius adhaereat, atque in lucis aeternitate persistat, pervenit etiam in hoc, ut referat Deo
gloriam in saecula saeculorum. Amen»; H37Ps I, 6 (288, 80-86): «Ne ergo et nos eadem
patiamur sed potius ut lumen nostrum sit semper in nobis et opera lucis agentes habeamus
fiduciam tamquam filii lucis in Christo Iesu, semper oremus et Deum Patrem incessabili-
ter deprecemur, cui est gloria et potestas in saecula saeculorum. Amen». Secondo Grap-
pone 2007, 132, il traduttore avrebbe aggiunto l’inciso: «semper oremus et Deum Patrem
incessabiliter deprecemur».
1331 Cfr. ad esempio, limitatamente alle Omelie su Giosuè, HIos V, 6 (supra, nota
1288); HIos VIII, 7: «Quid enim aliud est sanctificare bellum nisi interemptis omnibus ani-
mae nostrae hostibus, quae sunt vitia peccatorum, et mortificatis membris, quae sunt super
terram atque omnibus malis cupiditatibus amputatis effici sanctum corpore et spiritu et
fortiter facientem venire ad conspectum Dei viventis et pro palma victoriae virtutis merito
coronari a Christo Iesu Domino nostro? Cui est gloria etc.»; HIos IX, 9 (supra, nota
1291); HIos XVI, 5 (400, 7-12): «Ita ergo et nos fidem plenam et opera perfecta, indesi-
nentes orationes, meditationem verbi divini, intelligentiam spiritalem colentes et in his
omnibus velut armis Dei muniti stemus adversus astutias diaboli, invocantes Deum adiu-
torem nostrum in Christo Iesu Domino nostro, cui est gloria etc.».
428 Parte seconda, Capitolo settimo
che attestano la destinazione della lode a Dio Padre1332. Basterebbe forse
quest’ultima considerazione a togliere fondamento ai dubbi formulati sulle
dossologie non cristologiche nei sermoni dell’Alessandrino, sempre atten-
tissimo al linguaggio della Scrittura, come potremo constatare di nuovo
nel prossimo capitolo. Se la formulazione in chiave cristologica risulta
prevalente rispetto alle altre, ciò riflette presumibilmente un uso liturgico
a cui Origene – come testimoniano sia Orat sia Dial – non poteva non es-
sere sensibile. Ma era chiaro per lui che rendere gloria a Cristo signifi-
cava comunque istituire una correlazione con il Padre, la cui gloria pri-
mordiale è manifestata agli uomini, per il tramite del Figlio, nell’econo-
mia della salvezza e con la cooperazione dello Spirito. Nel definire le
modalità delle dossologie in apertura e in conclusione delle preghiere, se-
condo la retorica eucologica indicata da Orat XXXIII , Origene ha indicato
espressamente la mediazione del Figlio e il legame con lo Spirito1333. È
dunque fuori luogo sospettare qui un penchant subordinazionista in Ori-
gene, tanto più che la destinazione cristologica della dossologia può a
prima vista contrastare con la prospettiva definita dall’Alessandrino nel
Trattato, la quale privilegia senza ombra di dubbio il Padre. Ma tale esito
dossologico si inquadra pienamente nella correlazione Figlio-Padre,
estendibile occasionalmente allo Spirito in un rapporto triadico, senza che
ci sia necessità cogente di ipotizzare un più o meno sistematico condizio-
namento dogmatico postniceno sui nostri testi.
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1332 Basti rinviare, fra le attestazioni neotestamentarie, a Lc 2, 14; 17, 18; Gv 9, 24;
At 12, 23; Rm 1, 23; Rm 4, 20; Rm 5, 2; Rm 14, 11; Rm 16, 27; 1Pt 2, 12 ecc. Così, se-
condo FrLc 59 (252, 3-6) su Lc 2, 13-14 solo le potenze angeliche possono innalzare una
lode adeguata alla discesa del Figlio di Dio tra gli uomini: oujdeno;" ga;r e[sti tw'n ejpi; gh'"
ajnapevmpein th;n ejpi; th/' katabavsei tou' uJyivstou doxologivan, movli" de; tw'n ejn u{yei du-
navmewn, ai{tine" dia; tou' ajnumnei'n to;n u{yiston ma'llon uJyou'ntai: kai; wJ" o{ti aiJ <ejn
uJyivstoi"> pasw'n tw'n dunavmewn duvnantai posw'" uJmnologh'sai to;n Cristovn.
1333 Orat XXXIII, 1 (401, 14-16. 25-26): kata; duvnamin doxologiva" ejn th'/ ajrch'/ kai;
tw'/ prooimivw/ th'" eujch'" lektevon tou' qeou' dia; Cristou' sundoxologoumevnou ejn tw'/ aJgivw/
pneuvmati sunumnoumevnw/ [...] kai; ejpi; pa'si th;n eujch;n eij" doxologivan qeou' dia; Cristou'
ejn aJgivw/ pneuvmati katapaustevon.
CAPITOLO OTTAVO
I NUCLEI SCRITTURISTICI
DELLA RIFLESSIONE ORIGENIANA SULLA PREGHIERA
3.1. Sal 122(123), 1: gli occhi del corpo e gli occhi dell’anima
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sarki; prostethkw;" h] toi'" uJlikoi'" ejmpefurmevno", ejthvrhsen th;n levgousan ejntolhvn:
ejpavrate tou;" ojfqalmou;" uJmw'n , diovper oJ toiou'to" oujde; qeavsetai ta;" cwvra" ka]n w\sin
leukaiv pro;" qerismo;n h[dh. “Eti de; oujdei;" ejrgazovmeno" ta; e[rga th'" sarko;" ejph'ren
tou;" ojfqalmouv".
1424 HIs V, 3 (266, 28–267, 9) indica un’analogia con Es 2, 23: «Quamdiu vixit Pha-
rao, non suspiraverunt filii Istrahel et in poenis positi nec gemendi quidem liberam habuere
facultatem; vivebat quippe rex, qui imperabat iis et lateres et paleas facere. Quamdiu vixit
Pharao, non suspiraverunt ad Deum; cum mortuus est Pharao, tunc valuerunt madida ora
fletibus sustollere. Vivit rex malignus in pectore nostro, quamdiu vivit Pharao Zabulus.
Tunc lateres operamur et paleas, tunc lacrimas intra silentium devoramus et iniquitatis
opera prima facimus; cum autem mortuus fuerit Domino Deo nos visitante, tunc suspira-
mus ad Dominum. Idcirco oremus, ut regnum peccati, quod est in mortali nostro corpore,
moriatur».
1425 S’inserisce bene nel nostro contesto la riflessione di CIo X, 28, 172-173 (201,
14-22) sugli «occhi di colomba» che consentono di vedere per il dono dello Spirito: Oujde;
ga;r ajqovlwton hJmw'n ejstin to; hJgemonikovn, oujde; ojfqalmoi; oJpoivou" dei' ei\nai tou;" th'"
kalh'" nuvmfh" Cristou' ojfqalmouv", peri; w|n fhsin oJ numfivo": ∆Ofqalmoiv sou periste-
raiv (Ct 1, 15; 4, 1), tavca aijnissovmeno" th;n tw'n pneumatikw'n katanohtikh;n duvnamin,
dia; to; kai; to; pneu'ma to; a{gion wJ" peristera;n ejlhluqevnai ejpi; to;n kuvrion <∆Ihsou'n>
kai; to;n ejn eJkavstw/ kuvrion: ajll∆ o{mw" kai; ou{tw" e[conte" oujk ajpoknhvsomen, yhlafw'n-
te" tou;" eijrhmevnou" th'" zwh'" lovgou", peiraqh'nai labevsqai aujtw'n th'" ajporreouvsh"
eij" to;n meta; pivstew" aJyavmenon dunavmew".
1426 Cfr. CIo XXVIII, 4, 25 (supra, nota 879).
458 Parte seconda, Capitolo ottavo
per l’Alessandrino. Egli stabilisce infatti un confronto tra l’atteggiamento
di Gesù orante e quello del pubblicano (Lc 18, 13), che non osa alzare gli
occhi, riportando il discorso – come in HIs V, 3 – sulle condizioni spiri-
tuali di colui che prega. Di nuovo, anche se il paradigma ideale non viene
meno, la sua esemplarità effettiva deve essere commisurata ai singoli in-
dividui oranti con le loro diverse dinamiche di crescita spirituale.
Si può dunque riconsiderare conclusivamente il rilievo specifico dei
riferimenti scritturistici al gesto di levare gli occhi. Fatta eccezione per
Orat IX, 2, né Sal 122(123), 1 né tanto meno Sal 24(25), 1 godono di uno
statuto paragonabile a quello osservato in precedenza per le citazioni più
costanti. Il motivo è attestato più ampiamente nel testo biblico, anche a
prescindere da essi; di conseguenza, Origene lo ha richiamato spesso alla
luce di altri passi. Senza nulla togliere al significato fondamentale che il
tema della vista interiore riveste nella dottrina spirituale dell’Alessandri-
no, il suo discorso sulla preghiera lo sfrutta assai meno di quel che ci si
potrebbe aspettare. In tal senso, nessun altro scritto presenta una prospet-
tiva che sia direttamente paragonabile a Orat IX, 2, dove i nostri due ver-
setti sorreggono lo sviluppo più significativo ed originale della riflessione
origeniana sul rapporto fra preghiera e “mistica”. D’altra parte, neppure
la rilettura filosofica dell’orazione in CC VII, 44 si richiama espressa-
mente ad essi. Si è dunque tentati di constatare a prima vista una diversità
di accenti fra il trattato e il resto delle testimonianze sulla preghiera nel-
l’opera dell’Alessandrino. In realtà, il più ridotto ancoraggio scritturistico
del gesto degli occhi levati induce a pensare che, proprio in forza della sua
accezione filosofica più pregnante, si prestasse solo in parte a illustrare le
modalità e il significato dell’atto orante. Questo eccede invece di per sé la
configurazione esclusiva di un esercizio spirituale tout court, anche se ne
assume le forme, come Origene lascia intendere nel suo riepilogo in Orat
XXXI, 2 coniugando ancora una volta istanze filosofiche e motivi scrittu-
ristici alla luce dei passi evangelici sulla riconciliazione fraterna1427.
––––––––––––––––––
qemevnh to; o[rganon di∆ ou| toiau'ta fwnei'. Kai; oijovmeqav ge th;n logikh;n dievxodon th;n ejn
tw/' hJgemonikw/' kat∆ aujto; givnomevnhn th;n th'" yuch'" ei\nai fwnhvn: h} eja;n de; h/\ pragmati-
kwtevra, kai; peri; meizovnwn tinw'n kai; mh; kavtw keimevnwn kai; tapeinw'n diexodeuvousa,
h; nohth; a]n ei[h kraughv. Tauvthn ou\n th;n kraugh;n oiJ kekragovte" pro;" Qeo;n ejpakouvon-
tai, plh;n eij mh; kat∆ oijkonomivan kataleivpointo uJpe;r tou' meivzona" stefavnou" ejn
meivzosin ajgw'sin ajpenevgkasqai, w{sper ejn tw/' ∆Ambakou;m ei[rhtai: ”Ew" tivno", Kuvrie,
kekravxomai, kai; ouj mh; eijsakouvsh/… Bohvsomai pro;" se; ajdikouvmeno", kai; ouj swvsei" me…
”Ina tiv dev moi e[deixa" kovpou" kai; povnou", ejpiblevpein ejpi; talaipwrivan kai; ajsevbeian…
(Ab 1, 2-3).
1476 Anche FrPs 16 (17), 6 (PG 12, 1217D), sia o meno autentico, contiene un’al-
lusione corrispondente nella seconda delle due spiegazioni su Sal 16(17), 6: ”Wsper ejpa-
kousqevnte" pri;n eu[xasqai eujcovmenoi kekravgamen. ‘H eij kalo;n to; kekragevnai mh; mi-
kra; kai; eujkatafrovnhta levgein, ajlla; megavla eujxavmenoi kai; ejpitucovnte", kekravga-
men o{te ou{tw kekravgamen.
1477 FrPs 4, 4 (PG 12, 1141B): Megavlh fwnh; hJ fqavnousa pro;" Qeo;n oujc hJ para;
toi'" ajnqrwvpoi" e[sti; gegwnui'a kai; ejpitetamevnh kata; th;n meivzona plhgh;n tou' ajevro",
ajll∆ hJ tou' hJgemonikou' kaqara; kai; ajqwvloto" dievxodo" tw'n pro;" Qeo;n ajnapempomevnwn
lovgwn. Da notare che CMt X, 7 (8, 10) attesta la stessa coppia di aggettivi (kaqara'" kai;
ajqwlovtou periaugh'"), mentre CIo X , 28, 173 (201, 14) qualifica lo hJgemonikovn come
ajqwvloton (Oujde; ga;r ajqovlwton hJmw'n ejstin to; hJgemonikovn).
1478 FrPs 4, 4 (PG 12, 1141B-C): ∆Istevon ga;r o{ti e[sti ti" kai; tou' kruptou' th'"
kardiva" ajnqrwvpou fwnh; mh; sugcrwmevnh tw/' swvmati, h}n e[sq∆ o{te eij" aujto;n sunacqei;"
kai; eijselqw;n eij" to; tamiei'on sou, kai; th;n quvran tw'n aijsqhthrivwn ajpokleivsa" (cfr.
474 Parte seconda, Capitolo ottavo
pertanto, non viene meno lo statuto costitutivo della preghiera come do-
manda (ai[thsi") a Dio, senza che essa si risolva nel mero «colloquio»
(oJmiliva) meditativo con lui o nella contemplazione silenziosa.
Anche FrPs 27 (28) – addotto da Völker a testimonianza di un cam-
biamento d’idee sui tipi di preghiere rispetto al trattato, in seguito al pri-
vilegio attribuito qui all’eujcaristiva – tende a confermare la medesima
impostazione, sebbene Origene si soffermi maggiormente sull’aspetto del
«colloquio» con Dio. Nel commentare Sal 27(28), 1 («A te grido, Signo-
re; non restare in silenzio, mio Dio, perché, se tu non mi parli, io sono
come chi scende nella fossa») riprende dapprima la sua riflessione sulla
preghiera silenziosa nella linea di FrPs 4, dal momento che si rifà non
solo all’agraphon ma anche a Mt 6, 6. Pure in questo testo il «grido» cor-
risponde alla voce intelligibile di colui che richiede a Dio le «cose celesti»
al posto di quelle «terrene», dopo essersi ritirato nella «cameretta» della
sua interiorità dove può ascoltare le parole di Dio. L’anacoresi è dunque
ripagata dall’esperienza del dialogo con lui nell’intimo dell’orante. Che
Dio parli all’uomo – ricorda ancora l’Alessandrino – è attestato dai dialo-
ghi che egli conduce nelle Scritture con Mosè, Aronne e Giosuè. Ma non
si deve pensare ad una voce che arriva dall’esterno; in realtà Dio parla
dentro il cuore di chi prega attraverso i pensieri santi che sgorgano in
esso1479. Neanche in questo caso la preghiera silenziosa sembrerebbe ri-
solversi in un superamento o annullamento di parole e pensieri dentro
l’unio mystica con Dio, sebbene Origene concluda la sua esegesi con un
cenno alla dottrina dei «sensi spirituali». Infatti, l’«udito» che consente di
ascoltare la voce di Dio è un «senso divino» (qeiva ai[sqhsi"), capace di
––––––––––––––––––
Mt 6, 6), kai; pa'" genovmeno" e[xw swvmato" ajnapevmpei pro;" to;n movnon ajkouvonta toiauv-
th" fwnh'". Dia; tou'to moi mhdemia'" aijsqhth'" fwnh'" uJpo; tou' Mwu>sevw" ajnagegrammevnh"
gegonevnai fhsi; pro;" aujtovn, wJ" ajpo; th'" ∆Exovdou memaqhvkamen: Tiv boa/'" prov" me… Bra-
cei'a de; pa'sa fwnh; hJ peri; tw'n ejpigeivwn kai; mikrw'n kai; tapeinw'n dievxodo" kai; ai[th-
si" ajpo; Qeou': h}n ajpagoreuvwn oJ Swthvr prosfevrein tw/' Patriv fhsin: Aijtei'te ta; megavla,
kai; ta; mikra; uJmi'n prosteqhvsetai: aijtei'te ta; ejpouravnia, kai; ta; ejpivgeia prosteqhvse-
tai uJmi'n. Mortley 1986 non tiene conto di ciò, allorché afferma: «this form of prayer [...]
transcends verbal communication» (p. 70); o ancora: «prayer approaches silent contem-
plation in which ordinary human epistemological modes are eclipsed» (p. 71).
1479 FrPs 27 (28), 1 (PG 12, 1284A-B): Tw'n pro;" to;n Qeo;n bowvntwn kai; ajnafe-
rovntwn ta;" eujcav", eij me;n ta; ejpivgeiav ti" aijtei', ejsti;n hJ fwnh; aujtou' bracei'a: eij de; ta;
ejpouravniav ti" aijtei', boa/.' ”Oqen pollavki" levgetai ejn tai'" Grafai'" peri; tw'n aJgivwn, o{ti
pro;" to;n Qeo;n ejkevkraxan. Peiravsqw toivnun e{kasto" eu[cesqai tw/' Qew/' kekragw;" kai;
paradoxovteron ejrw' pw'" kekragwv". Eijselqw;n eij" to; tamiei'on aujtou' kleivei th;n quvran
(cfr. Mt 6, 6), kai; ou{tw" kevkrage pro;" to;n Qeovn: Mh; parasiwphvsh/" ajp∆ ejmou' (Sal
27[28], 1). Qeo;" ajnagevgraptai lelalhkevnai pro;" Mwu>seva, kai; pro;" ∆Aarw;n kai; pro;"
∆Ihsou'n to;n tou' Nauh'. Toiou'toi ga;r h\san i{na lalh/' pro;" aujtou;" oJ Qeov". Kai; dia; tw'n
profhtw'n, o{te oJ lao;" h\n tou' Qeou', oujk ejsiwvpa. Kai; mh; nomivswmen e[xwqen hJmi'n la-
lei'n to;n Qeovn: ajlla; ga;r ta; ajnabaivnonta hJmw'n ejpi; th;n kardivan a{gia ejkei'nav ejstin a}
lalei' hJmi'n oJ Qeov".
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 475
«fondere» e «unire» al Logos1480. Se a prima vista il linguaggio sembre-
rebbe quello più tipico della fusione mistica con Dio, Origene in realtà lo
applica in particolare all’esperienza profetica, come capacità di «vedere»
e «ascoltare» Dio e trasmettere la sua rivelazione all’uomo1481.
L’excursus suggeritoci dall’uso origeniano di 1Cor 14, 15 ha permes-
so di mostrare come l’Alessandrino disponesse fin dal trattato, o in con-
temporanea con esso, di uno schema interpretativo capace di includere la
preghiera silenziosa accanto alla preghiera orale. Egli si serve all’occor-
renza del passo paolino, ma trae ispirazione soprattutto da altri riferimenti
scritturistici, fra i quali Rm 8, 26-27; Gal 4, 6; Mt 6, 6. Proprio il rilievo
particolare attribuito al passo matteano insieme ai due luoghi paolini ci fa
propendere ancora una volta per l’idea di una compattezza sostanziale
della riflessione di Origene sulla preghiera, con al centro la prospettiva da
lui fissata nel trattato. Il rilievo attribuito da Völker alla preghiera silen-
ziosa quale espressione dell’unio mystica rischia dunque di assimilare
impropriamente il pensiero dell’Alessandrino ad orizzonti ascetico-mi-
stici estranei alla sua concezione dell’atto orante ed alla dottrina spiri-
tuale a cui questo rinvia: non è l’esito del «silenzio» che sta a cuore ad
Origene, bensì quello della «parola» che è il Logos.
Qui la risposta del Padre alla preghiera di Gesù per l’unità è vista nel
dono dello Spirito che restaura l’immagine divina nell’anima (un motivo
presente anche in HGn I, 13) trasformandola così in «un solo spirito» con
il Logos. Questo sfondo riaffiora anche nella trattazione sulla «fine del
mondo» in Prin III, 6: se il sommo bene dell’uomo consiste nel «divenire
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1518 EM 39 (nota 775).
1519 Phil 8 = COs: o{ti oiJ eujarestou'nte" tw/' kurivw/ e}n eijsin, ajpo; th'" proseuch'",
h|" oJ swth;r eu[cetai pro;" to;n patevra peri; tw'n maqhtw'n aujtou', e[stin ijdei'n: Pavter gavr,
fhsin, a{gie, do;" i{na kaqw;" kai; su; e{n ejsmen ou{tw kai; ou|toi ejn hJmi'n e}n w\sin (cfr. Gv 17,
11.21). o{tan de; kai; ajllhvlwn mevlh ei\nai levgwntai oiJ a{gioi, tiv a[llo eij mh; e}n sw'mav eijsi.
Il fr. contiene un’affermazione che ricorda sia Orat XXI, 2 (nota 619) sia CIo V: ÔO ga;r ei|"
o{te aJmartavnei pollostov" ejstin, ajposcizovmeno" ajpo; qeou' kai; merizovmeno" kai; th'"
eJnovthto" ejkpeswvn: oiJ de; polloi; tai'" ejntolai'" eJpovmenai tai'" tou' qeou' ei|" eijsiv.
1520 CCt I, 4, 9 (103, 12-17): «Ego puto quod, si ad hoc aliquando pervenerint, iam
non ambulent neque currant, sed vinculis quibusdam caritatis eius adstrictae adhaereant ei
nec ultra mobilitatis alicuius ullus in iis resideat locus, sed sint cum eo unus spiritus et
compleatur in illis hoc, quod scriptum est: sicut tu pater in me et ego in te unum sumus,
ita et isti in nobis unum sint».
1521 CRm IV, 9 (nota 953 [tr. Cocchini I, 223]). In CRm V, 9 (435, 82-83) il riferi-
mento si applica alla trasformazione in Cristo della vita presente: «Et iterum ipse salvator
dicit: pater volo ut ubi ego sum et isti sint me cum; et iterum: sicut ego in te et tu in me ut
et isti in nobis unum sint (Gv 17, 21). Quod utique de illis dicit qui in praesenti vita com-
plantati fuerint similitudini mortis eius».
486 Parte seconda, Capitolo ottavo
simili» a Dio, con una formulazione a prima vista di natura dichiarata-
mente filosofica, tale fine in realtà è già iscritto nella creazione dell’uomo
«ad immagine di Dio» secondo le Scritture, che implica l’impegno ad at-
tuare la «somiglianza» con lui in una vita segnata dall’imitazione di Dio.
Ma la piena attuazione dell’immagine non può essere opera dell’uomo: in
definitiva, non solo è di carattere escatologico, ma essa si dà anche in ri-
sposta alla preghiera di Gesù in Gv 17, 211522. Sempre sulla scorta del no-
stro versetto la riflessione di Origene si spinge ancora a chiedersi in che
misura il corpo sia suscettibile di partecipare al processo di unificazione
di tutti gli esseri razionali in Dio 1523. La risposta non può non essere posi-
tiva, dal momento che l’Alessandrino si richiama alla categoria paolina di
«corpo spirituale» o incorruttibile (1Cor 15, 53) per intravedere così un
lungo processo di metamorfosi in senso spirituale della nostra realtà cor-
porea, conseguente alla trasformazione dell’«anima» in «spirito» e alla sua
unione con Dio1524.
Per finire, Origene si rifà spesso a Gv 17, 24 («Padre, voglio che an-
che quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino
la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della
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1522 Prin III, 6, 1 (280, 22-281, 5): «Ipse quoque dominus in evangelio haec eadem
non solum futura, verum etiam sui intercessione futura designat, dum ipse hoc a patre di-
scipulis suis impetrare dignatur dicens: Pater, volo ut ubi ego sum et isti me cum sint (Gv
17, 24); et sicut ego et tu unum sumus, ita et isti in nobis unum sint (Gv 10, 30; 17, 21). In
quo iam videtur ipsa similitudo, si dici potest, proficere et ex simili unum iam fieri, pro eo
sine dubio quod in consummatione vel fine omnia et in omnibus deus est». Origene sol-
leva qui la questione se e in che misura il corpo partecipi dell’unione con Dio (281, 6-12):
«In quo requiritur a nonnullis, si ratio naturae corporeae, quamvis expurgatae ad liquidum
et penitus spiritalis effectae, non videatur obsistere vel ad similitudinis dignitatem vel ad
unitatis proprietatem, quod naturae divinae, quae utique principaliter incorporea est, nec
similis videatur posse dici quae in corpore est natura nec unum cum ea vere ac merito de-
signari, maxime cum id, quod unum est filius cum patre, ad naturae proprietatem referen-
dum fidei veritas doceat». Secondo un fr. conservato in Gerolamo, Ep. 124, 9 (282, 7-12),
Origene in realtà avrebbe sfruttato proprio il nostro versetto per la tesi dell’incorporeità
finale: «Ut autem incorporeum finem omnium rerum esse credamus, illa nos salvatoris
oratio provocat, in qua ait: Ut quomodo ego et tu unum sumus, sic et isti in nobis unum
sint (Gv 17, 26). Etenim scire debemus quid sit deus et quid sit futurus in fine salvator, et
quomodo sanctis similitudo patris et filii repromissa sit, ut quomodo illi in se unum sunt,
sic et isti in eis unum sint».
1523 Prin III, 6, 4 (286, 6-9): «Cum vero res ad illud coeperint festinare, ut sint om-
nes unum, sicut est pater cum filio unum (Gv 17, 21; 10, 30), consequenter intellegi datur
quod, ubi omnes unum sunt, iam diversitas non erit».
1524 Prin III, 6, 6 (287, 21-23): «In hunc ergo statum omnem hanc nostram substan-
tiam corporalem putandum est perducendam, tunc cum omnia restituentur, ut unum sint, et
cum deus fuerit omnia in omnibus». Cfr. anche HNm XVI, 6 (145, 3-8): «Erit ergo, inquit, ei,
hoc est Istraheli illi spiritali, gloria, sicut est gloria unicornis. Sic enim et ipse in evangelio
Dominus dicit: Pater, da eis, ut sicut ego et tu unum sumus, ita et isti in nobis unum sint
(Gv 17, 21). Et ideo similis gloria dabitur Istraheli, sicut est gloria unicornis, maxime cum
transformabit corpus humilitatis nostrae conforme corpori gloriae suae (cfr. Fil 3, 21)».
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 487
creazione del mondo»), sviluppando ulteriormente considerazioni di ordi-
ne cristologico, cosmologico ed ecclesiologico1525, ma anche insinuando il
motivo della sorte beata dei perfetti1526, o il dono di sé alla sposa-Chiesa
da parte di Cristo1527. Analogamente sfrutta occasionalmente Gv 17, 25
(«Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; que-
sti sanno che tu mi hai mandato») in polemica antimarcionita per asserire
l’unicità del Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento 1528.
In conclusione, sebbene il capitolo giovanneo si sia prestato a molte-
plici estrapolazioni di diversa natura nell’interpretazione di Origene, la
centralità che esso vi assume per argomentare alcune delle sue dottrine
peculiari si riverbera anche sulla sua immagine della preghiera. Non solo
l’Alessandrino dà particolare risalto al testo che, insieme al Padrenostro,
si presenta come l’altro grande testimone della preghiera di Gesù, ma egli
ne illumina il contenuto come il cuore stesso dell’economia della salvez-
za. Nella preghiera del Salvatore si manifesta il suo rapporto filiale con il
Padre, laddove Gesù viene nuovamente ad assumere lo statuto di colui che
è l’orante per eccellenza. Anche se solo in parte dei passi considerati viene
sottolineata apertamente la natura decisiva dell’orazione di Gesù, Origene
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1525 CIo XIX, 22, 148-149 (324, 13-18): kai; o{ra eij duvnatai oJ levgwn: Oujk eijmi;
ejgw; ejk tou' kovsmou touvtou hJ yuch; ei\nai tou' ∆Ihsou' ejmpoliteuomevnh tw/' o{lw/ kovsmw/
ejkeivnw/ kai; pavnta aujto;n ejmperiercomevnh kai; ceiragwgou'sa ejp∆ aujto;n tou;" maqh-
teuomevnou". oujde;n e[cei ejkei'no" oJ kovsmo" kavtw, wJ" oujde; ou|to", wJ" pro;" to; ajkribe;"
ejxetavzonti, a[nw. pw'" ga;r duvnatai e[cein ti oJ kovsmo" ou|to" a[nw, ou| hJ ktivsi" katabolhv
ejstin… Cfr. anche Prin II, 3, 5 (nota 1517).
1526 Cfr. HNm XXI , 3 (203, 15-17): «Aut non tibi videtur simile aliquid suae beati-
tudinis carissimis suis conferre discipulis, cum dicit: Pater volo, ut, ubi ego sum, et isti
sint mecum, et cum iterum dicit quia: sedebitis et vos super duodecim thronos iudicantes
duodecim tribus Istrahel, et iterum: sicut tu in me, pater, et ego in te, ut et isti in nobis
unum sint»; HNm XXVIII, 4 (285, 11-14): «De quibus dicat: pater volo, ut, ubi ego sum, et
ipsi sint mecum; volo etiam istos esse reges, ut ego sim rex regum; volo et istos habere
dominationem, ut et ego sim Dominus dominantium»; HIos XVII, 2 (403, 25-404, 2):
«Beatus ergo est qui se exhibet talem et in istis omnibus, quae praecepit Iesus, invenitur
esse perfectus, ut ab Iesu sortem coelestis mansionis accipiat in futuro; de quo dicit ipse
Dominus Iesus: Pater volo, ut, ubi ego sum, et isti sint mecum, et: Sicut ego in te et tu in
me unum sumus, ut et isti in nobis unum sint». Si veda inoltre CRm VII, 1 (559, 122-126):
«coheres vero Christi cum transformabit corpus humilitatis nostrae conforme corpori cla-
ritatis suae, sed et cum illud adipisci meruerit quod dixit ipse salvator: Pater volo ut ubi
ego sum et isti sint mecum».
1527 CCt IV, 2, 30 (235, 7-10): «Illuc ergo evocat sponsam suam Christus, ut et de
omnibus eam, quae apud patrem habentur, edoceat et dicat: quia omnia vobis nota feci,
quae audivi a patre meo et ut iterum dicat: pater, volo, ut, ubi ego sum, et isti sint mecum».
1528 Prin II, 5, 4 (138, 21-26): «Denique in evangelio secundum Iohannem orans
ipse dominus noster ad patrem dicit: Pater iuste, et mundus te non agnovit (Gv 17, 25). Et
ne forte dicant quia etiam mundi creatorem pro adsumptione carnis patrem vocabat et ip-
sum iustum nominabat, excluduntur ab eo sermone, qui statim prosequitur: ait enim: Et
mundus te non agnovit (Gv 17, 25)».
488 Parte seconda, Capitolo ottavo
vi coglie nel suo nucleo centrale l’aspettativa della salvezza universale,
per i singoli e per la chiesa. Se la preghiera, intesa sempre e primariamen-
te come «domanda» anche dove (come in questo caso) si dà «colloquio»
con Dio, deve indirizzarsi per l’Alessandrino ai beni celesti, l’invocazione
all’unità da parte di Gesù mira al compimento escatologico del «Dio tutto
in tutti». In tal modo la «preghiera sacerdotale» di Gv 17 si palesa come
l’espressione più alta di quel ruolo di «Sommo sacerdote» che attribuisce
al ministero salvifico del Figlio di Dio una sua fondamentale strutturazio-
ne orante.
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krupto;n kalei'n, e[sq∆ o{te kai; tamiei'on. Toiou'ton gavr ejsti to; Ei[selqe eij" to; tamiei'on
sou: kai; tov:ÔO blevpwn ejn tw/' kruptw/' ajpodwvsei soi (Mt 6, 6).
1599 Cfr. supra, nota 551.
1600 HNm XXI, 2 (202, 18-21): «In quo et hoc intuere, quomodo iustus intus est et in
interioribus semper consistit, quia intus in abscondito orat Patrem (Mt 6, 6) et omnis glo-
riae filiae regis, id est animae regalis, intrinsecus est; sed tamen Deus educit eum foras,
cum res postulat et rerum visibilium ratio deposcit».
1601 Cfr. HNm X, 3 (nota 1092).
1602 Cfr. supra, note 1477-1478.
CAPITOLO NONO
LA COSTRUZIONE DI UN MODELLO
Origene e il discorso cristiano sulla preghiera
da Tertulliano ad Agostino
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1616 Giustino, I Apol. 13, 2 (158, 7-160, 3): ejkeivnw/ de; eujcarivstou~ o[nta~ dia;
lovgou pompa;~ kai; u{mnou~ pevmpein uJpevr te tou` gegonevnai kai; tw`n eij~ eujrwstivan povrwn
pavntwn, poiothvtwn me;n genw`n kai; metabolw`n wJrw`n, kai; tou` pavlin ejn ajfqarsiva/ ge-
nevsqai dia; pivstin th;n ejn aujtw/` aijthvsei~ pevmponte~.
1617 Tale consapevolezza è attestata anche dalle sue osservazioni in Dial 1, 4 (si
veda Pépin; cfr. supra, nota 258).
1618 L’apologia di Atenagora sembrerebbe contenere solo un’allusione alla dimen-
sione liturgica della vita cristiana, sempre che l’accenno al bacio tra i fedeli in Legat. 32, 5
sia da mettere in relazione con il costume attestato anche da Giustino, I Apol. 65, 2; Tertul-
liano, De orat. 18, 1; Clemente Alessandrino, Paed. III, 81, 2.
1619 Atenagora, Legat. 37, 2 (208, 6-10): tivne~ ga;r kai; dikaiovteroi w\n devontai
tucei`n h] oi{tine~ peri; me;n th`~ ajrch`~ th`~ uJmetevra~ eujcovmeqa, i{na pai`~ me;n para; patro;~
kata; to; dikaiovtaton diadevchsqe th;n basileivan, au[xhn de; kai; ejpivdosin kai; hJ ajrch;
uJmw`n, pavntwn uJpoceirivwn gignomevnwn, lambavnh/…
1620 Teofilo di Antiochia, Ad Autol. I, 11 (30, 1-3): Toigarou`n ma`llon timhvsw to;n
basileva, ouj proskunw`n aujtw/`, ajlla; eujcovmeno~ uJpe;r aujtou`. qew/` de; tw/` o[ntw~ qew/` kai;
ajlhqei` proskunw`, eijdw;~ o{ti oJ basileu;~ uJp∆ aujtou` gevgonen.
La costruzione di un modello 517
anzitutto dell’Apologetico aver messo a tema la diversità della preghiera
cristiana rispetto agli equivalenti pagani, laddove Tertulliano insiste più
ampiamente sul sostegno offerto dai cristiani allo stato mediante l’orazio-
ne1621. Tuttavia, anziché limitarsi a ribadire la professione di lealismo ver-
so l’impero romano e i suoi governanti, insieme all’assicurazione che il
bene della società poggia sulla preghiera dei propri correligionari – come
avevano fatto i precedenti apologisti –, il Cartaginese sfrutta l’occasione
per tracciare una diversa immagine della preghiera1622. Così egli interpreta
il gesto delle «mani spiegate» (manibus expansis) come segno d’innocenza
(riferendosi implicitamente al Cristo in croce quale modello per coloro
che pregano, come risulta chiaro di seguito)1623, mentre la mancanza di un
copricapo non fa che sottolineare ulteriormente la sincerità delle disposi-
zioni spirituali1624. Questo atteggiamento interiore di autenticità culmina in
una preghiera personale «silenziosa» (de pectore), cioè senza dover asse-
condare le istruzioni di altri, incaricati dell’esecuzione di determinati riti.
In questo modo l’atto della preghiera diventa per Tertulliano un vero sa-
crificio spirituale, l’unico che Dio si aspetti da parte degli uomini, e coloro
che lo compiono sono i suoi sacerdoti autentici, sicché il regime della reli-
gione romana subisce, sotto entrambi gli aspetti, una metamorfosi cristia-
na1625. Fin dall’Apologetico emerge dunque un’immagine della preghiera
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1621 Tertulliano, Apol. 30, 1 (141, 1-3): «Nos enim pro salute imperatorum Deum
invocamus aeternum, Deum verum, Deum vivum, quem et ipsi imperatores propitium sibi
praeter ceteros malunt».
1622 Tertulliano, Apol. 30, 4 (141, 17-23): «Illuc sursum suspicientes Christiani ma-
nibus expansis, quia innocuis, capite nudato, quia non erubescimus, denique sine moni-
tore, quia de pectore oramus, precantes sumus semper pro omnibus imperatoribus, vitam
illis prolixam, imperium securum, domum tutam, exercitus fortes, senatum fidelem, popu-
lum probum, orbem quietum, quaecumque hominis et Caesaris vota sunt». Rispetto alla
«preghiera del cuore» rivendicata qui da Tertulliano, non bisogna dimenticare che la sup-
plica per i governanti aveva da tempo assunto caratteristiche consolidate, come vediamo
ad esempio in 1Clem 61, 1-2 (cfr. Löhr 2003a, 297; Löhr 2003b). D’altra parte, Hamman
1980, 1223 sottolinea come principale elemento di differenziazione la preferenza accorda-
ta dai cristiani alla preghiera «spontanea» invece che a formule fisse.
1623 Tertulliano, Apol. 30, 7 (142, 35-38): «Sic itaque nos ad Deum expansos un-
gulae fodiant, cruces suspendant, ignes lambant, gladii guttera detruncent, bestiae insi-
liant: paratus est ad omne supplicium ipse habitus orantis Christiani». In proposito, cfr.
Saxer, 338.
1624 Per valutare criticamente l’immagine negativa della preghiera romana proposta
da Tertulliano in questo passo si veda Severus, 1157-1160.
1625 Tertulliano, Apol. 30, 5-6 (141, 23–142, 34): «Haec ab alio orare non possum,
quam a quo me scio consecuturum, quoniam et ipse est qui solus praestat, et ego sum cui
impetrare debetur, famulus eius, qui eum solus observo, qui pro disciplina eius occidor,
qui ei offero opimam et maiorem hostiam, quam ipse mandavit, orationem de carne pudi-
ca, de anima innocenti, de spiritu sancto profectam, non granam turis unius assis, Arabi-
cae arboris lacrimas, nec duas meri guttas, nec sanguinem reprobi bovis mori optantis, et
post omnia inquinamenta etiam conscientiam spurcam: ut mirer, cum hostiae probantur
518 Parte seconda, Capitolo nono
cristiana come «preghiera spirituale», non solo a motivo delle disposizioni
interiori dell’orante, più volte richiamate dal Cartaginese, ma anche perché
egli la qualifica come «mossa dallo Spirito» («de spiritu sancto profec-
tam»). Inoltre Tertulliano, ad ulteriore conferma delle sue caratteristiche
distintive, rafforza l’idea dell’originalità della preghiera cristiana, richia-
mando anche il precetto evangelico di pregare per i nemici1626. Comple-
tando infine l’argomentazione in sede apologetica secondo la linea già
espressa da altri Apologisti, Tertulliano propone il «sacrificio» della pre-
ghiera come l’unico mezzo efficace per impedire la fine del mondo e as-
sicurare di conseguenza la permanenza dell’impero romano1627. La pro-
spettiva circoscritta dall’Apologetico racchiude insomma le premesse es-
senziali per il De oratione, anche perché – uscendo dai limiti più abituali
del discorso apologetico, con la sola eccezione di Giustino tra i suoi pre-
decessori – Tertulliano accenna ancora alle dimensioni comunitarie della
preghiera, pur senza soffermarsi più direttamente sui riti sacramentali
della chiesa diversamente da Giustino1628.
In ogni caso, con il De oratione, Tertulliano rimanda a un’esperienza
di preghiera che si esplica in chiave sia individuale che collettiva. L’opera,
ascrivibile al periodo di poco successivo alla stesura dell’Apologetico (fra
il 200 e il 206), è un trattato con intenti catechetici e pastorali che illustra
la preghiera alla luce del Padrenostro, rivolgendosi ad un pubblico com-
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penes vos a vitiosissimis sacerdotibus, cur praecordia potius victimarum quam ipsorum
sacrificantium examinantur».
1626 Tertulliano, Apol. 31 invoca l’autorità delle Scritture (31, 2 [142, 6-9]: «scitote
ex illis, praeceptum esse nobis ad redundantiam benignitatis, etiam pro inimicis Deum
orare et persecutoribus nostris bona precari»), citando anche 1Tm 2, 1-2. Pure Atenagora,
Legat. 37, 3 e Teofilo, Ad Autol. 3, 14 rinviano a 1Tm 2, 1, come farà in seguito Origene,
CC VIII, 73 (supra, pp. 274-275).
1627 Tertulliano, Apol. 32, 1 (142, 1–143, 7): «Est et alia maior necessitas nobis
orandi pro imperatoribus, etiam pro omni statu imperii rebusque Romanis, qui vim maxi-
mam universo orbi imminentem ipsamque clausulam saeculi acerbitates horrendas com-
minantem Romani imperii commeatu scimus retardari. Itaque nolumus experiri et, dum
precamur differri, Romanae diuturnitati favemus». Si veda anche 40, 13 (155, 51-54): «Et
tamen, si pristinas clades comparemus, leviora nunc accidunt, ex quo Christianos a Deo
orbis accepit. Exinde enim et innocentia saeculi iniquitates temperavit et deprecatores Dei
esse coeperunt».
1628 Tertulliano, Apol. 39, 2-3 (150, 5-6.9-14): «Coimus in coetum et congregatio-
nem, ut ad Deum quasi manu facta precationibus ambiamus. [...] Coimus ad litterarum
divinarum commemorationem, si quid praesentium temporum qualitas aut praemonere
cogit aut recognoscere. Certe fidem sanctis vocibus pascimus, spem erigimus, fiduciam
figimus, disciplinam praeceptorum nihilominus inculcationibus densamus». Sulla preghie-
ra nella cornice comunitaria cfr. inoltre Apol. 39, 18 (152, 83–153, 88): «Ita saturantur, ut
qui meminerint etiam per noctem adorandum Deum sibi esse; ita fabulantur, ut qui sciant
Deum audire. Post aquam manualem et lumina, ut quisque de scripturis sanctis vel de
proprio ingenio potest, provocatur in medium Deo canere: hinc probatur quomodo biberit.
Aeque oratio convivium dirimit».
La costruzione di un modello 519
posto verosimilmente sia dai neofiti sia dall’insieme dei fedeli1629. Forse
anche in considerazione di ciò si spiega l’assenza di riferimenti al dibat-
tito filosofico sulla preghiera o al suo possibile esito «mistico» a diffe-
renza di Clemente e Origene1630. Tertulliano affronta in apertura il com-
mento del Padrenostro e trapassa quindi ad una problematica di carattere
generale riguardo alla preghiera, tracciando così un’agenda tematica che
ispirerà, pur in diversa maniera, i trattati eucologici di Origene e Cipria-
no1631. Prima esposizione organica sul tema, il De oratione è anche la pri-
ma a poggiare sulla convinzione che la preghiera debba essere appresa e
che il suo vero maestro non possa essere altri che Dio stesso. È per questa
ragione che Gesù, con il Padrenostro, ha trasmesso ai suoi discepoli un
modello (forma) da seguire. Attenendosi a tale «disciplina di preghiera»
(«ordinata religio orationis») l’orazione, animata dallo Spirito di Dio, sale
al cielo affidando al Padre quanto ci ha insegnato il suo Figlio1632. Di
conseguenza, Tertulliano – conformemente del resto agli sviluppi del suo
pensiero teologico – guarda alla preghiera cristiana per eccellenza come
ad un atto che immette costitutivamente in una dimensione trinitaria: essa
è indirizzata al Padre, sotto la guida del Figlio e con il sostegno dello
Spirito. In più Tertulliano, preludendo in ciò alla trattazione di Cipriano,
connota l’Oratio dominica in senso ecclesiale: colui che recita il Padre-
nostro si relaziona ugualmente alla chiesa Mater1633. Il rilievo comunita-
rio dell’oratio dominica l’induce pertanto a giudicare severamente il fatto
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1629 Circa la datazione e le particolarità letterarie si veda Schleyer (Tertullian. De
baptismo, De oratione, 19-27). Considerando De orat. in nesso con De bapt. 20, 5, dove i
neofiti sono ammessi a partecipare alla preghiera della Madre Chiesa («Igitur benedicti,
quos gratia dei expectat, cum de illo sanctissimo lavacro novi natalis [Tit 3, 5] ascenditis
et primas manus apud matrem cum fratribus aperitis»), egli ricava la destinazione cate-
chetica dello scritto. D’altra parte, non solo ammette di non poter fare affermazioni sicure
sulla recita del Pater nella liturgia eucaristica, ma rileva anche come i capp. 11-29 si ri-
volgano all’intera comunità dei fedeli. Su De bapt. 20 si veda Dölger. Tra i contributi più
recenti sulla visuale tertullianea della preghiera, cfr. Schnurr, 23-44; Stritzky, 50-69;
Brown; Chapot; Lombino, 133-163.
1630 Cfr. Jay, (supra, nota 109).
1631 Come illustrato più dettagliatamente da Schleyer, 20-21, al prologo (De orat.
1) segue il commento del Padrenostro (2-9), mentre la parte residua dello scritto (10-29)
si riferisce alla preghiera nelle sue manifestazioni personali e liturgiche.
1632 Tertulliano, De orat. 9, 3 (263, 8-12): «Deus solus docere potuit, quomodo se
vellet orari. Ab ipso igitur ordinata religio orationis et de spiritu ipsius iam tunc, cum ex
ore divino ferretur, animata suo privilegio ascendit in caelum commendans Patri, quae Fi-
lius docuit».
1633 De orat. 2, 6 (258, 14-16): «Ne mater quidem ecclesia praeteritur, siquidem in
filio et patre mater recognoscitur, de qua constat et patris et filii nomen». Cfr. anche De
bapt. 20, 5 (nota 1629). Le implicazioni trinitarie dell’oratio christiana emergono anche
dalla trattazione sulle ore di preghiera in De orat. 25, 5 (272, 14-15): «ne minus ter die
saltem adoremus, debitores trium: Patris et Filii et Spiritus sancti».
520 Parte seconda, Capitolo nono
che taluni fedeli, a conclusione di essa, si sottraggano al bacio di pace nei
giorni di digiuno1634.
Anche Origene e Cipriano ribadiranno l’iniziativa divina di traccia-
re, attraverso un testo esemplare, un paradigma normativo a beneficio dei
fedeli di Cristo. Ma Tertulliano vi pone senza dubbio un accento più forte,
insistendo nel prologo, con accurata elaborazione retorica, sull’idea del
contrasto e della «novità»1635: la «vecchia» economia dell’Antico Testa-
mento, che arriva ad includere anche la prassi di preghiera del Battista e
dei suoi discepoli, è superata dalla venuta di Cristo. Pertanto la preghiera
cristiana è chiamata a fungere da sostituto del sacrificio, essendo essa la
vera «vittima spirituale», in conformità con le indicazioni espresse da Ge-
sù nel dialogo con la Samaritana (Gv 4, 23-24)1636. L’equazione fra pre-
ghiera e sacrificio non è certo un aspetto inedito, dato che già alcuni apolo-
gisti – come abbiamo visto – l’avevano fatta propria, riprendendo peraltro
un tema presente tanto nel giudaismo ellenistico come a Qumran ed atte-
stato egualmente nel giudaismo rabbinico1637. Tuttavia Tertulliano, grazie
anche allo sfruttamento particolarmente significativo di Gv 4, 23-24, ripro-
pone il motivo nei termini di una drastica rottura con il culto sacrifica-
le, che pertanto non conserva più alcun diritto accanto alla preghiera1638.
L’ oratio christiana è ulteriormente qualificata mediante la sua distinzione
––––––––––––––––––
1634 De orat. 18, 1 (267, 3) presenta il bacio di pace come signaculum orationis
(cfr. Thraede, 513-514). Secondo Grossi, «Tertulliano rileva che il segno della fratellanza,
che deriva dalla preghiera in comune, non può essere messo al secondo posto; esso è un
elemento primario della preghiera eucaristica cui bisogna adeguare ogni altro atto di pietà
privata» (p. 65 nota 35).
1635 De orat. 1, 1 (257, 3-7): «Iesus Christus dominus noster novis discipulis novi
testamenti novam orationis formam determinavit. Oportebat enim in hac quoque specie
novum vinum novis utribus recondi et novam plagulam novo adsui vestimento».
1636 De orat. 28, 1 (273, 6): «Haec est enim hostia spiritalis quae pristina sacrificia
delevit». Gv 4, 23 è citato in questo contesto, così da sottolineare il culto spirituale dei
cristiani (28, 3 [273, 7-10]): «Deus enim spiritus est, et adoratores itaque tales requirit. Nos
sumus veri adoratores et veri sacerdotes, qui spiritu orantes spiritu sacrificamus orationem
hostiam Dei propriam et acceptabilem». Come si è visto in precedenza, il luogo giovan-
neo non riveste un’importanza primaria per la riflessione origeniana sulla preghiera.
1637 Per la valorizzazione della preghiera a Qumran come conseguenza del rigetto
del culto del Tempio, si veda Severus, 1168; Chazon-Bernstein, 9: «[prayer] provided an
alternative means of worship as well as an instrument for the atonement of sin. The sectar-
ian documents regularly refer to prayer in sacrificial terms, equating it with sacrifice met-
aphorically as well as functionally». A sua volta Maier, analizza i testi qumranici più co-
me documenti dello sforzo per mantenere la tradizione che come «prassi della comunità»
(p. 71); peraltro «der liturgische Charakter dieser Gebete unterscheidet sich grundlegend
von dem, was später als Gebet des Einzelnen und allmählich auch im Vorfeld des syna-
gogalen Gottesdienstes üblich war» (p. 93). Quanto al giudaismo rabbinico, cfr. Van der
Horst 2002, 71, nota 39.
1638 Si veda per converso come Filone riesca a coniugare sacrificio e preghiera in
Leonhardt, 124-132.
La costruzione di un modello 521
con la vetus oratio in rapporto ai contenuti: invece di rivolgere a Dio do-
mande per «cose carnali» (carnalia), i cristiani pregano per «cose spiritua-
li» (spiritalia) e sono mossi a pregare così da un atteggiamento di amore
che s’indirizza verso tutti gli uomini. Proprio perché tale, la «nuova» pre-
ghiera dei cristiani è di gran lunga più efficace della «vecchia»1639.
Valorizzata in tal modo la novità della preghiera cristiana, che deriva
dalla «Sapienza» (sophia) stessa di Dio, Tertulliano si sforza nel contem-
po d’assicurare la continuità del Padrenostro non solo con il messaggio di
Gesù – per cui la preghiera del Signore, secondo una formulazione giusta-
mente celebre, viene ad essere un «compendio dell’intero vangelo» (bre-
viarium totius evangelii) – ma anche con la rivelazione biblica nel suo in-
sieme 1640. È pur vero che l’appellativo di «Padre» rappresenta anche a suo
dire un novum assoluto, ma al tempo stesso Tertulliano considera il Padre-
nostro come la sintesi di tutta quanta la Scrittura1641. Tenendo inoltre pre-
sente anche l’istruzione introduttiva al Padrenostro (Mt 6, 5-8), egli de-
scrive le modalità, le funzioni ed i contenuti costitutivi dell’orazione dei
cristiani. Il precetto di adorare nel segreto implica allora una disposizione
di fede nei riguardi della presenza di Dio e l’astensione da qualunque
ostentazione da parte dell’orante, che si rivolge in esclusiva a Dio come
colui a cui egli offre la sua preghiera1642. Tertulliano accenna così in ma-
niera originale a motivi che compaiono anche in Clemente Alessandrino
e Origene, anticipando l’importanza del riferimento neotestamentario per
la definizione della visuale cristiana. D’altra parte, la consapevolezza dello
sguardo di Dio sopra l’orante non significa istituire un rapporto esclusivo
con lui, dal momento che anche l’«angelo dell’orazione» assiste ad essa
quale suo intermediario, secondo un motivo più ampiamente ripreso da
––––––––––––––––––
1639 De orat. 29, 1-2 (273, 1–274, 2.16-18): «Quid enim orationi de spiritu et veri-
tate venienti negabit deus, qui eam exigit? [...] Sola est oratio quae deum vincit; sed Chri-
stus eam nihil mali voluit operari, omnem illi virtutem de bono contulit».
1640 De orat. 1, 6 (258, 37-41): «Neque enim propria tantum orationis officia com-
plexa est, vel venerationem Dei aut hominis petitionem, sed omnem paene sermonem Do-
mini, omnem commemorationem disciplinae, ut revera in oratione breviarium totius Evan-
gelii comprehendatur».
1641 De orat. 9, 1 (262, 1–263, 3): «Compendiis pauculorum verborum quot attin-
guntur edicta prophetarum, evangeliorum, apostolorum, sermones Domini, parabolae,
exempla, praecepta!».
1642 De orat. 1, 4 (257, 26–258, 31): «Consideremus itaque, benedicti, caelestem
eius sophiam, inprimis de praecepto secrete adorandi (cfr. Mt 6, 6), quo et fidem hominis
exigebat, ut Dei omnipotentis et conspectum et auditum sub tectis et in abditum etiam
adesse confideret, et modestiam fidei desiderabat, ut, quem ubique audire et videre fide-
ret, ei soli religionem suam offerret». Allude allo stesso precetto anche De orat. 17, 4,
dove Tertulliano critica la preghiera a voce alta. Peraltro Tertulliano si sforza anche di
raccordare 1Tm 2, 8 con Mt 6, 6; cfr. De orat. 24 (272, 17-19): «Sed quomodo omni loco
cum prohibeamur in publico? Omni inquit loco, quem oportunitas aut etiam necessitas
importarit».
522 Parte seconda, Capitolo nono
Origene1643. A sua volta la raccomandazione della brevità nel pregare è
associata per Tertulliano all’idea che Dio non fa mai mancare la sua assi-
stenza provvidenziale, secondo l’insegnamento trasmesso da Mt 6, 81644.
Nell’accezione di «preghiera» che emerge dal De oratione si nota la
prevalenza della sua caratterizzazione come «domanda» (petitio), ma Ter-
tulliano non ignora affatto che essa può manifestarsi in forme diverse. In
prima approssimazione, due sono le funzioni (officia) essenziali che egli
assegna all’orazione: da un lato, la celebrazione della «gloria» di Dio o
l’adorazione (in altri termini l’aspetto dossologico della veneratio o bene-
dictio); dall’altro, la richiesta dell’uomo1645. È questa infatti, nell’interpre-
tazione di Tertulliano, la strutturazione principale che emerge dalla Pre-
ghiera del Signore, sapientemente predisposta in tal senso per soddisfare
l’ossequio a Dio ed insieme i bisogni degli uomini. In particolare, egli
spiega la domanda per la santificazione del Nome come l’equivalente della
«benedizione», alla quale ogni uomo è sempre tenuto nel ricordo dei bene-
fici ricevuti da Dio, e l’esemplifica nella sua manifestazione più alta con
la dossologia angelica del Sanctus1646. Se la preghiera di domanda implica
la richiesta di beni sia spirituali che materiali, una forma speciale di essa –
segnalata anche dal suo calco greco addotto come terminus technicus – è
la richiesta di perdono (exomologesis o petitio veniae), oggetto della quin-
ta petizione del Padrenostro, dalla quale nessun uomo è esente1647. Anche
––––––––––––––––––
1643 Tertulliano accenna all’intermediazione angelica criticando l’uso di sedersi
dopo aver pregato. Cfr. De orat. 16, 6 (266, 14-19): «Si quidem inreverens est assidere
sub conspectu contraque conspectum eius, quem cum maxime reverearis ac venereris,
quanto magis sub conspectu Dei vivi angelo adhuc orationis adstante factum istud inreli-
giosissimum est! Nisi exprobramus Deo, quod nos oratio fatigaverit». Il riferimento scrit-
turistico è Tb 12, 12. Per l’associazione alla liturgia celeste degli angeli, cfr. De orat. 3,
2-3 (nota 1646).
1644 De orat. 1, 5 (258, 31-34): «Sophia in sequenti praecepto proinde pertineat ad
fidem et modestiam fidei, si non agmine verborum adeundum putemus ad Dominum,
quem ultro suis prospicere certi sumus».
1645 Severus, 1235 richiama l’attenzione sul fatto che «anstelle von prex und ande-
ren Termini das nicht mehr umgangsprachliche oratio und orare für Gebet durchgesetzt
hat und zum Terminus technicus geworden ist». Nondimeno, il vocabolario attesta anche la
parola prex (De orat. 17, 1.2), mentre le forme verbali testimoniate nel trattato includono
un lessico meno univoco con termini come adorare (De orat. 16, 3; 17, 1.5), precari (7, 1),
deprecari (23, 4), impetrari (28, 4). Sul fissarsi dell’accezione di oratio come «preghiera»
si veda da ultimo Gavoille, 121-136, per il quale nel latino classico orare ha il significato
di «discours argumenté où l’orant plaide sa cause devant la divinité» (p. 136).
1646 De orat. 3, 2-3 (259, 8-14): «plane benedici Deum omni loco et tempore con-
decet ob debitam semper memoriam beneficiorum eius ab omni homine: sed et hoc bene-
dictionis vice fungitur. Ceterum quando non sanctum et sanctificatum est per semetipsum
nomen Dei, cum ceteros sanctificet ex semetipso? Cui illa angelorum circumstantia non
cessant dicere: Sanctus, sanctus, sanctus (Is 6, 3)». Secondo Grossi, 47, nota 12, «il c. 3 è
la più antica testimonianza latina del prefazio della messa».
1647 De orat. 7, 1 (261, 3-6): «Sciebat Dominus se solum sine delicto esse. Docet
La costruzione di un modello 523
quando arriva a trattare della genuflessione, in concomitanza con i digiu-
ni e le stazioni, Tertulliano sottolinea gli aspetti penitenziali dell’orazio-
ne, per cui la preghiera si esprime come supplica e soddisfazione resa a
Dio 1648. Anzi l’accezione penitenziale della preghiera accompagna sempre
le sue manifestazioni, fatta salva la domenica come giorno della resurre-
zione e il periodo da Pasqua a Pentecoste che è il tempo consacrato alla
gioia1649. Possiamo aggiungere che egli ha ben presente anche la preghie-
ra d’intercessione, come risultava del resto già dalla sua riflessione in sede
apologetica. Infatti, spiega la prima petizione come invocazione a Dio
perché la sua santificazione si attui da parte di tutti gli uomini, inclusi i
nemici, e non esclusivamente nei fedeli1650.
Quando Tertulliano affronta l’esame dei contenuti della preghiera,
egli ricava l’indicazione principale dal Padrenostro, senza forzare troppo
lo schema iniziale dell’antitesi fra carnalia e spiritalia. Nella sua sapiente
articolazione la Preghiera del Signore dà la precedenza ai «beni celesti»
(caelestia), che sono oggetto delle prime tre petizioni, e solo in secondo
luogo fa spazio alle «necessità terrene» 1651. Tale schema, diversamente da
Origene, guida l’interpretazione della quarta petizione sotto un duplice
profilo, per cui il «pane» da richiedere è sì anzitutto Cristo1652, ma esso
può pure significare il pane corporeo, implicando però una richiesta dello
––––––––––––––––––
itaque petamus dimitti nobis debita nostra (Mt 6, 12; Lc 11, 4)». «Exomologesis est peti-
tio veniae, quia qui petit veniam, delictum confitetur». Cfr. anche De orat. 9, 2 (263, 6-7):
«exomologesis debitorum in deprecatione». Circa l’equivalenza con confessio si veda
Stritzky, 63.
1648 De orat. 23, 3-4 (272, 10-15): «Ceterum omni die quis dubitet prosternere se
Deo vel prima saltem oratione, qua lucem ingredimur? Ieiuniis autem et stationibus nulla
oratio sine genu et reliquo humilitatis more celebranda est. Non enim oramus tantum, sed
et deprecamur et satisfacimus Deo Domino nostro».
1649 De orat. 23, 2 (271, 5–272, 10): «Nos vero, sicut accepimus, solo die Domini-
cae resurrectionis non ab isto tantum [la genuflessione], sed omni anxietatis habitu et of-
ficio cavere debemus, differentes etiam negotia, ne quem diabolo locum demus. Tantun-
dem et spatio pentecostes, quae eadem exultationis sollemnitate dispungitur».
1650 De orat. 3, 4 (259, 19-23): «petimus, ut sanctificetur in nobis, qui in illo sumus,
simul et in caeteris, quos adhuc gratia Dei expectat, ut et huic praecepto pareamus orando
pro omnibus, etiam pro inimicis nostris. Ideoque suspensa enuntiatione non dicentes: “san-
ctificetur in nobis”, “in omnibus” dicimus». Per Stritzky, 58, l’intercessione per i nemici
vuole sottolineare la diversità della preghiera cristiana, anche rispetto alla concezione stoi-
ca della filantropia.
1651 De orat. 6, 1 (260, 1–261, 5): «Sed quam eleganter divina sapientia ordinem
orationis instruxit, ut post caelestia, id est post Dei nomen, Dei voluntatem et Dei regnum,
terrenis quoque necessitatibus petitioni locum faceret! Nam et edixerat Dominus: Quae-
rite prius regnum et tunc vobis etiam haec adicientur (Mt 6, 33; Lc 12, 31)».
1652 De orat. 6, 2 (261, 11-12): «Itaque petendo panem quotidianum perpetuitatem
postulamus in Christo et individuitatem a corpore eius». Per Santiago Vázquez si deve
intendere il pane eucaristico, come pegno del nutrimento di Dio attraverso il Verbo. Cfr.
anche Dürig, 77-78.
524 Parte seconda, Capitolo nono
stretto necessario e la rinuncia al superfluo, con un risvolto polemico ver-
so i pagani1653. In ogni modo, secondo Tertulliano, Cristo dà spazio nel
suo insegnamento sulla preghiera alla manifestazione dei bisogni umani a
seconda delle diverse circostanze, purché l’orazione sia sempre edificata
sul fondamento del Padrenostro come suo presupposto e paradigma nor-
mativo. Al tempo stesso l’invito a pregare, con la prospettiva di ricevere,
secondo la promessa di Gesù nel vangelo (Gv 16, 24; Mt 7, 7-8; Lc 11, 9-
10), implica per l’orante che egli formuli le sue richieste tenendo presenti
anche i comandamenti di Dio: l’orazione cristiana non può insomma mai
prescindere dal rispetto del volere divino come suo metro essenziale di ri-
ferimento1654.
Tertulliano si preoccupa anche di fornire indicazioni sull’atteggia-
mento spirituale che deve presiedere alla preghiera. Pure in questo caso si
nota in lui lo sforzo di ancorare, per quanto possibile, la propria riflessio-
ne alla testimonianza scritturistica, sia essa esplicita o implicita. Di fatto,
nel richiamare le disposizioni interiori ed esteriori dell’orante è evidente
l’influsso di 1Tm 2, 8-9, benché egli non citi espressamente il luogo paoli-
no1655. Tuttavia, la raccomandazione di deporre l’ira e di pregare con ani-
mo riconciliato è ricondotta anzitutto all’insegnamento evangelico (Mt 5,
23-24), visto come il primo requisito per poter accedere alla preghiera1656.
L’importanza accordata da Tertulliano al precetto di Gesù l’accomuna ad
autori come Origene ed Evagrio, che insistono anch’essi particolarmente
su questo punto. Sembra invece rinviare più direttamente a 1Tm 2, 8 l’ul-
––––––––––––––––––
1653 De orat. 6, 3 (261, 13-16): «Sed et qua carnaliter admittitur ista vox, non sine
religione potest fieri et spiritalis disciplinae. Panem enim peti mandat, quod solum fideli-
bus necessarium est; cetera enim nationes requirunt».
1654 Si veda in proposito l’ampio rilievo dato alla terza petizione del Padrenostro,
secondo Schleyer anticipata rispetto alla seconda, «offenbar aus didaktischen Gründen»
(p. 120). Cfr. De orat. 4, 3 (259, 14–260, 19): «Si enim ipse pronuntiavit non suam, sed
Patris facere se voluntatem, sine dubio, quae faciebat, ea erat voluntas Patris, ad quae nunc
nos velut ad exemplaria provocamur, ut et praedicemus et operemur et sustineamus ad mor-
tem usque. Quae ut implere possimus, opus est Dei voluntate». Per Chapot, 119, «c’est
[...] le concours de trois sources – le texte du Notre Père de Matthieu, celui de Luc et la
remarque de Jésus en Mt 6, 33 – qui autorise et incite Tertullien à réaliser l’inversion».
1655 Allusioni a 1Tm 2, 9-10 affiorano in De orat. 15, 2 (265, 9): gli apostoli, «qui
de habitu orandi docent», non hanno lasciato istruzioni sull’uso di deporre il mantello pri-
ma di pregare; 20, 2 (268, 4-8): «De modestia quidem cultus et ornatus aperta praescriptio
est, etiam Petri, cohibentis eodem ore, quia eodem et spiritu, quo Paulus, et vestium gloriam
et auri superbiam et crinium lenonem morositatem» (cfr. 1Pt 3, 3). Il luogo paolino è citato
solo in De orat. 24, 1, a proposito del precetto di pregare «in ogni luogo» (1Tm 2, 8).
1656 De orat. 11, 1 (263, 1–264, 7): «Memoria praeceptorum viam orationibus ster-
nit ad caelum; quorum praecipuum est, ne prius ascendamus ad altare Dei, quam, si quid
discordiae vel offensae cum fratribus contraxerimus, resolvamus. Quale est enim ad pa-
cem Dei accedere sine pace? Ad remissionem debitorum cum retentione? Quomodo pla-
cabit Patrem iratus in fratrem, cum omnis ira ab initio interdicta sit nobis?».
La costruzione di un modello 525
teriore raccomandazione a tenere sgombro l’animo da ogni «confusione».
Possiamo cogliervi l’invito alla concentrazione interiore, ma senza appa-
renti concessioni alla prassi degli esercizi spirituali e alle problematiche
collegate a questi1657. Piuttosto Tertulliano appare preoccupato di disegna-
re l’immagine di un orante che si conforma nel suo animo allo «spirito»
verso cui s’indirizza nella preghiera1658. Per questa via l’orante assicura
una «congenialità», cioè un’affinità spirituale che solo può consentirgli di
entrare in dialogo con Dio. Accennando nuovamente all’aspetto pneuma-
tologico, sia pure in termini che non risultano troppo definiti, Tertulliano
torna dunque a profilare la preghiera del cristiano come «orazione spiri-
tuale»1659. L’ispirazione del luogo paolino sembra dettare implicitamente
anche le osservazioni sulla purificazione delle mani, che non avviene certo
mediante le abluzioni di una prassi esteriore aspramente contraddetta dal
Cartaginese, in nome di una ribadita autenticità interiore. Egli stabilisce
invece l’equivalenza fra le mani pure e la condotta che si astiene dal com-
piere il male, secondo l’identificazione simbolica proposta tradizional-
mente a commento di 1Tm 2, 81660. Quanto al gesto di levare le mani verso
l’alto, presente nel testo paolino, Tertulliano, riformulando qui la spiega-
zione dell’Apologetico, l’interpreta non tanto come la proiezione esteriore
di uno stato d’animo volto ad un’elevazione spirituale, bensì come imi-
tatio crucis: il fedele è chiamato infatti non solo ad innalzare le mani ma
anche a spiegarle seguendo l’esempio del Cristo crocifisso1661. Inoltre,
––––––––––––––––––
1657 Tuttavia, a giudizio di Grossi, «è qui presente il motivo dell’apatheia» (p. 59,
nota 25).
1658 De orat. 12 (264, 1-6): «Nec ab ira solummodo, sed omni omnino confusione
animi libera esse debet orationis intentio de tali spiritu emissa, qualis est spiritus ad quem
emittitur. Neque enim agnosci poterit spiritu sancto spiritus inquinatus aut tristis a laeto
aut impeditus a libero. Nemo adversarium recipit, nemo nisi comparem suum admittit».
1659 Per Grossi, 59, il nesso pneumatologico è esplicito: «Lo Spirito santo non potrà
mai riconoscere uno spirito inquinato, triste o schiavo, per uno spirito lieto e libero. Nes-
suno accetta con sè un avversario, o uno che non gli sia alla pari». Ma Schleyer, 241
rende diversamente: «Denn von einem reinen Geist wird ein verunreinigter Geist nicht
anerkannt werden können oder ein finsterer von einem heiteren und freundlichen oder ein
in Verstrickungen gefangener von einem freien Geist. Niemand nimmt bei sich jemandem
auf, der gegensätzlich geartet ist, ein jeder gewährt nur einem Geistesverwandtem Zu-
tritt». L’implicazione pneumatologica è ammessa anche da Stritzky, 66-67, che nota qui
anche la ripresa, decontestualizzata, del teorema filosofico per cui «die Grundbedingung
für die Erkenntnis [...] in dem Zusammentreffen zweier o{moia besteht» (p. 67).
1660 De orat. 13, 1 (264, 1-6): «Ceterum quae ratio est manibus quidem ablutis, spi-
ritu vero sordente orationem obire, quando et ipsis manibus spiritales munditiae sint ne-
cessariae, ut a falso, a caede, a saevitia, a veneficiis, ab idololatria ceterisque maculis,
quae spiritu conceptae manuum opera transiguntur, purae alleventur?
1661 De orat. 14 (265, 6-8): «Nos vero non attollimus tantum, sed etiam expandi-
mus et, Dominica passione modula<ta>, tum et orantes confitemur Christo». Cfr. anche
29, 4 (274, 34-35): «Sed et aves tunc exsurgentes eriguntur ad caelum et alarum crucem
526 Parte seconda, Capitolo nono
questo gesto deve essere compiuto con l’umiltà che contraddistingue la
preghiera del pubblicano, atteggiando il volto a sentimenti di ritegno e
modestia1662, ed evitando nel contempo di affidare la preghiera alla forza
della voce, dal momento che Dio sta in ascolto del cuore1663.
L’atto della preghiera, così descritto da Tertulliano nei lineamenti es-
senziali a partire dai suoi criteri normativi, si commisura a una prassi con-
creta, contraddistinta da una serie di consuetudini che sono oggetto di un
vaglio critico da parte del Cartaginese. In nessun altro trattato eucologico
dei primi secoli incontriamo una ricchezza di esperienze paragonabile agli
spunti che Tertulliano ci offre sulle usanze del suo tempo, a completamento
delle indicazioni offerte nell’Apologetico. Essi interessano soprattutto la
storia della preghiera come pratica, ma permettono comunque di comple-
tare l’immagine dell’orazione cristiana tracciata con grande nitidezza dalla
riflessione del Cartaginese. Si noterà in primo luogo la norma dell’aucto-
ritas scritturistica, che permea in profondità tutto il suo discorso renden-
dolo, sotto tale punto di vista, prossimo a Origene, sebbene il ricorso alla
fonte biblica non raggiunga l’intensità dell’Alessandrino e sia apprezzato
tendenzialmente in chiave etico-normativa1664. In tal senso la misura per
giudicare i singoli comportamenti dell’orante è ricavata per Tertulliano
dall’insegnamento del Signore e degli apostoli, con esplicita riserva verso
scritti quali il Pastore di Erma che non rivestono un identico statuto cano-
nico1665. Il richiamo a questo metro di giudizio introduce nella trattazione
una componente più apertamente polemica che si esplica in direzione dei
giudei, ma soprattutto dei pagani, nell’intento di meglio precisare i tratti
caratterizzanti l’oratio christiana. Non a caso egli si sovviene qui del «cul-
to razionale» di Rm 12, 1 per deprezzare i costumi criticati come forma di
superstitio invece che di religio 1666. Si tratta dell’usanza di pregare dopo
––––––––––––––––––
pro manibus expandunt»; De an. 51, 6; supra, nota 1622. Sul significato del gesto si veda
Bellis; Severus, 1231-1232.
1662 De orat. 17, 1-2 (266, 1-6): «Atqui cum modestia et humilitate adorantes ma-
gis commendabimus Deo preces nostras, ne ipsis quidem manibus sublimius elatis, sed
temperate ac probe elatis, ne vultu quidem in audaciam erecto. Nam et ille publicanus, qui
non tantum prece, sed et vultu humiliatus atque deiectus orabat, iustificatior pharisaeo
procacissimo discessit».
1663 De orat. 17, 3. Non si tratta comunque di proporre il modello di una preghiera
silenziosa, ma di moderare la voce onde non dar luogo ad un’ostentazione orante.
1664 Per l’uso dei «paradigmi di salvezza» si veda supra, nota 436. Opportuna-
mente Stritzky, 65, ricorda la mens giuridica dell’autore che impronta anche la sua inter-
pretazione del Padrenostro.
1665 De orat. 15, 1 (265, 1-4): «Sed quoniam unum aliquod attigimus vacuae ob-
servationis, non pigebit cetera quoque denotare, quibus merito vanitas exprobranda est,
siquidem sine ullius aut Domini aut apostolici praecepti auctoritate fiunt».
1666 De orat. 15, 1 (265, 4-6): «Huiusmodi enim non religioni, sed superstitioni de-
putantur, affectata et coacta et curiosi potius quam rationalis officii (cfr. Rm 12, 1), certe
vel eo coercenda, quod gentilibus adaequent».
La costruzione di un modello 527
aver deposto il mantello oppure di sedersi conclusa l’orazione, l’una e l’al-
tra ritenute da Tertulliano un’assimilazione alle abitudini degli oranti pa-
gani1667. Ma l’analisi investe anche problematiche più strettamente con-
nesse alla prassi ecclesiale, come il velare o meno il capo per le vergini
della comunità di Cartagine o la pratica della genuflessione1668.
Quanto ai tempi di preghiera, Tertulliano si premura di rammentare
preliminarmente la base scritturistica anche per le tre ore «canoniche»
(terza, sesta e nona): pur senza renderle vincolanti, incoraggia la loro ado-
zione come «regola» ternaria, nel segno di una spiritualità «eucaristica»
indirizzata alla Trinità1669. Egli non riflette apparentemente su come si
debba attuare l’oratio continua in risposta al mandato di 1Ts 5, 17, ma le
sue ulteriori indicazioni sfociano in pratica nel disegnare un orizzonte di
preghiera per la vita quotidiana del cristiano. Questi è chiamato a iniziare
e concludere le sue giornate con l’orazione, rispettando i due momenti,
alba e tramonto, che Tertulliano considera di rito. Ma al tempo stesso il
fedele accompagna con la preghiera le sue attività giorno per giorno, ri-
spettando in tal modo il primato delle realtà spirituali sulle cose ter-
rene1670. Dovrà dunque pregare prima dei pasti e prima di fare il bagno,
nell’accogliere in casa sua l’ospite e soprattutto lo straniero, e rispondere
a sua volta con la preghiera a chi lo accoglierà in questa stessa ma-
niera1671. Nell’individuare gli spazi quotidiani per l’orazione Tertulliano
ne evidenzia l’aspetto strutturale e insieme dinamico, che si rende ancor
più manifesto nella condotta di coloro che «con maggior diligenza» ag-
giungono alle loro preghiere «Alleluia» e salmi1672. Tutto ciò non fa che
arricchire l’espressione della preghiera rendendola un «sacrificio pingue»
offerto a Dio1673. Né Tertulliano dimentica la componente agonica della
preghiera: il fedele deve sempre munirsi di essa come un’arma in risposta
all’insidia costante del nemico1674.
––––––––––––––––––
1667 De orat. 15-16 (cfr. Dölger 1936).
1668 Anche l’ampia trattazione sul velo delle vergini in De orat. 21-22 trae spunto
dal vincolo scritturistico. Infatti, Tertulliano si richiama da un lato a 1Cor 11, 5-15; dal-
l’altro invita a considerare l’uso scritturistico di mulier. Invece per la pratica della genu-
flessione si rifà ad una consuetudine tradizionale che dovrebbe superare la varietatem ob-
servationis (23, 1).
1669 De orat. 25, 5 (nota 1633).
1670 De orat. 25, 6 (273, 17-20): «Sed et cibum non prius sumere et lavacrum non
prius adire quam interposita oratione fideles decet. Priora enim habenda sunt spiritus re-
frigeria et pabula quam carnis, quia priora caelestia quam terrena».
1671 De orat. 26.
1672 De orat. 27.
1673 De orat. 27 (273, 3-5): «Et est optimum utique institutum omni quod praepo-
nendo et honorando Deo competit saturatam orationem velut opimam hostiam admo-
vere». Schleyer, 243 segnala opportunatamente l’allusione a Sal 140(141), 2.
1674 De orat. 29, 3 (274, 26-30): «Oratio murus est fidei, arma et tela nostra adver-
sus hostem, qui nos undique observat. Itaque numquam inermes incedamus. Die stationis,
528 Parte seconda, Capitolo nono
La conclusione dello scritto di Tertulliano costituisce un elogio della
preghiera, sorretto da tutta la sua abilità di retore. Ma al di là della forma,
non si deve perdere di vista il motivo dominante: l’efficacia della pre-
ghiera cristiana rispetto alla vetus oratio, che deriva ancora una volta dai
suoi caratteri distintivi di preghiera «in spirito e verità». Coronata dal-
l’amore insieme alle altre virtù e affiancata dalle opere, nella celebrazio-
ne della lode di Dio con salmi ed inni, la preghiera è il sacrificio che può
ottenere tutto da lui1675. Se la vetus oratio ci attesta la sua efficacia attra-
verso i paradigmi degli oranti veterotestamentari, richiamati da Tertul-
liano solo al termine della sua trattazione (e di fatto ridimensionati nella
loro portata perché relativi a benefici materiali), quanto maggiori bisogna
considerare gli effetti dell’oratio christiana! A cominciare dall’esperien-
za di coloro che soffrono persecuzioni i quali, invece di ricevere il soc-
corso fisico come gli antichi protagonisti delle storie di salvezza, proprio
alla luce della preghiera comprendono e accolgono le loro sofferenze per
la fede1676. La contrapposizione con la vetus oratio è poi rafforzata dal-
l’idea della trasformazione «agapica» che essa subisce nella nuova veste
dell’oratio christiana: anziché infliggere pene, sconfiggere eserciti ne-
mici e trattenere la pioggia benefica, adesso la preghiera allontana l’ira
di Dio, veglia intercedendo per i nemici, supplica per i persecutori, grazie
al mutamento apportato da Cristo, il quale vuole che essa operi unica-
mente il bene 1677. Al termine di un crescendo che non è solo un’amplifi-
cazione retorica ma intende illustrare la novità della preghiera cristiana
attraverso le sue molteplici ricadute benefiche, Tertulliano approda infi-
ne al riconoscimento dell’esperienza orante come esperienza universale,
––––––––––––––––––
nocte vigiliae meminerimus. Sub armis orationis signum nostri imperatoris custodiamus,
tubam angeli expectemus orantem».
1675 De orat. 28, 4 (273, 11-15): «Hanc de toto corde devotam, fide pastam, veritate
curatam, innocentia integram, castitate mundam, agape coronatam cum pompa operum
bonorum inter psalmos et hymnos deducere ad Dei altare debemus omnia nobis a Deo
impetraturam».
1676 De orat. 29, 1 (274, 5-11): «Ceterum quanto amplius operatur oratio christiana!
Non roris angelum in mediis ignibus sistit nec ora leonibus obstruit (cfr. Dn 3, 49-50; 6,
23) nec esurientibus rusticorum prandium transfert (cfr. Dn 14, 33-39), nullum sensum
passionis delegata gratia avertit, sed patientes et sentienties et dolentes sufferentia instruit,
virtute ampliat gratiam, ut sciat fides, quid a Domino consequatur, intellegens, quid pro
Dei nomine patiatur». La svalutazione degli esempi veterotestamentari è più sensibile in
Tertulliano, rispetto ad Origene, che applica loro un’esegesi spirituale (cfr. supra, 140 ss.).
1677 De orat. 29, 2 (274, 17-25): «Christus eam nihil mali voluit operari, omnem illi
virtutem de bono contulit. Itaque nihil novit nisi defunctorum animas de ipso mortis iti-
nere revocare, debiles reformare, aegros remediare, daemoniacos expiare, claustra carce-
ris aperire, vincula innocentium solvere. Eadem diluit delicta, temptationes repellit, perse-
cutiones extinguit, pusillanimos consolatur, magnanimos oblectat, peregrinantes deducit,
fluctus mitigat, latrones obstupefacit, alit pauperes, regit divites, lapsos erigit, cadentes
suspendit, stantes continet».
La costruzione di un modello 529
della quale partecipano non solo gli uomini ma anche gli angeli e perfino
gli animali1678.
Anche questo cenno finale conferisce forte originalità ad una tratta-
zione che riflette la vigorosa e lucida personalità del suo autore. Aliena da
problematiche filosofiche, nemmeno echeggiate fra le righe, come pure
da un’argomentazione esegetica approfondita, la trattazione di Tertullia-
no è mossa dalla prospettiva, ideale e concreta, della prassi orante1679. Il
ricco vissuto cristiano a cui egli rimanda ci si presenta come un tratto spe-
cifico dello scritto, ma esso interagisce con una visuale teologica essenzia-
le: il modello dell’oratio christiana come preghiera spirituale a partire
dal paradigma della Preghiera del Signore. A questo livello la riflessione
del Cartaginese s’incontra senza dubbio con quella di Origene, dal mo-
mento che per entrambi gli autori la categoria risolutiva è proprio quella
di «preghiera spirituale». Sia per Tertulliano che per Origene ciò significa
un diverso ordine di valori che presiede alla preghiera, riassumibile per
comodità nella distinzione o contrasto fra i «beni celesti» e i «beni terreni»,
ma anche un’implicazione pneumatologica pur diversamente calibrata.
Come mostra l’assenza di commenti su Rm 8, 26-27 nello scritto di Ter-
tulliano, il riconoscimento della preghiera «mossa dallo Spirito» non assu-
me il rilievo che ha in Origene, ma ciò non toglie che si possa riscontrare
almeno una sintonia tendenziale. Inoltre, sebbene i nuclei scritturistici – a
prescindere dal comune riferimento alla Preghiera del Signore – assuma-
no configurazioni diverse nei due scrittori, non mancano tra loro gli ele-
menti di convergenza per l’uso di singole citazioni. Più in generale l’an-
coraggio della prassi orante all’auctoritas biblica non può non segnalare
un’affinità con l’Alessandrino, sebbene questi ci appaia meno condiziona-
to dall’esigenza normativa e disciplinare. Anche il commento del Padre-
nostro, quantunque esso risulti assai rapido nel Cartaginese, mostra delle
significative convergenze interpretative1680. Infine, se in Tertulliano non
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1678 De orat. 29, 4 (274, 31-36): «Orant etiam angeli omnes, orat omnis creatura,
orant pecudes et ferae et genua declinant et egredientes de stabulis ac speluncis ad caelum
non otioso ore suspiciunt vibrantes spiritum suo more. Sed et aves tunc exsurgentes eri-
guntur ad caelum et alarum crucem pro manibus expandunt et dicunt aliquid, quod oratio
videatur».
1679 L’interpretazione di Stritzky talora forza filosoficamente il testo di Tertulliano,
sintonizzandolo fra l’altro con il dibattito contemporaneo sulla preghiera (pp. 67-68).
1680 In particolare, Schleyer nota le seguenti affinità nell’interpretazione della terza
petizione: «Die Auslegung des Origenes, orat. 26 (GCS 359-363), kommt der tertulliani-
schen in mehrfacher Hinsicht nahe: 1. im Bezug auf alle Menschen, Christen und Nicht-
christen (orat. 26, 4 [GCS 361]); 2. im Bezug auf die Getauften bzw. die Kirche (orat. 26,
3 [GCS 360f); 3. in der Beziehung auf das Vorbild Christi (orat. 26, 3 [GCS 360f]); 4. in
der eschatologischen Perspektive des “seligen Ziels” (tevlo" makavrion: orat. 26, 4 [GCS
361])» (p. 124, nota 528). A suo avviso Tertulliano (De orat. 6, 1) condivide con Origene
(Orat XXVI, 2) anche l’idea che le prime tre domande costituiscano una unità (p. 126, nota
530 Parte seconda, Capitolo nono
sembra avvertirsi per nulla la consapevolezza della preghiera come «pro-
blema», diversamente dall’approccio sviluppato da Origene nel trattato,
l’uno e l’altro si ritrovano insieme nel professare convintamente l’idea
dell’efficacia della preghiera.
––––––––––––––––––
interiore e contemplazione è messo in rilievo da Völker 1952, 419: «während des geistigen
Gebetes erfolgt die Schau, jenes ist das Mittel, um diese zu erlangen. Der Betende, der von
unstillbarer Sehnsucht nach Gott erfüllt ist [...], sinkt gleichsam in die göttliche Welt ein.
Clemens hat also dafür ein lebhaftes Empfinden, daß jeder mystische Aufstieg zugleich
ein Wachsen im Gebet ist, daß dieser nur in der Form höheren Gebetsgnaden erfolgt».
1697 Strom. VII, 12, 78, 6 (240, 25-242, 28): ÔO de; kai; met∆ ajggevlwn eu[cetai, wJ" a]n
h[dh kai; ijsavggelo", oujde; e[xw pote; th'" aJgiva" froura'" givnetai: to;n tw'n aJgivwn coro;n
sunistavmenon e[cei.
1698 Strom. VII, 3, 20, 3-4 (86, 1-13): Ou|tov" ejstin, ou|to" oJ ajqlhth;" ajlhqw'" oJ ejn
tw/' megavlw/ stadivw/, tw/' kalw/' kovsmw/, th;n ajlhqinh;n nivkhn kata; pavntwn stefanouvmeno"
tw'n paqw'n. ”O te ga;r ajgwnoqevth" oJ pantokravtwr qeov", o{ te brabeuth;" oJ monogenh;"
uiJo;" tou' qeou', qeatai; de; a[ggeloi kai; qeoiv, kai; to; pagkravtion to; pavmmacon ouj pro;"
ai|ma kai; savrka, ajlla; ta;" dia; sarkw'n ejnergouvsa" pneumatika;" ejxousiva" ejmpaqw'n
paqw'n touvtwn periginovmeno" tw'n megavlwn ajntagwnismavtwn. Sul più ampio contesto di
questo passo si veda Lugaresi 2008, 489-509.
1699 Strom. VII, 6, 34, 2 (126, 7-14): Dei' toivnun «qusiva" prosfevrein tw/' qew/' mh;
polutelei'", ajlla; qeofilei'" » (Teofrasto, De piet. fr. 9 Pötscher), kai; to; qumivama ejkei'no
to; suvnqeton to; ejn tw/' novmw/ to; ejk pollw'n glwssw'n te kai; fwnw'n kata; th;n eujch;n sug-
keivmenon, ma'llon de; to; ejk diafovrwn ejqnw'n te kai; fuvsewn th/' kata; ta;" diaqhvka" dovsei
skeuazovmenon eij" th;n eJnovthta th'" pivstew" (cfr. Ef 4, 13) kai; kata; tou;" ai[nou" suna-
govmenon, kaqarw'/ me;n tw/' nw/', dikaiva/ de; kai; ojrqh/' th/' politeiva/, ejx oJsivwn e[rgwn eujch'" te
dikaiva". Le Boulluec (p. 126, ad loc.) rinvia a Es 30, 34-37 per to; qumivama... to; suvn-
qeton, ma si potrebbe pensare anche a Lv 16, 12, considerando l’uso che ne fa Origene
(supra, nota 1366).
La costruzione di un modello 535
dei cristiani sul linguaggio delle religioni misteriche)1700, sono ormai su-
perati dal culto di Dio del vero gnostico. Sulla traccia del precedente scrit-
to apologetico la critica investe non solo i sacrifici, ma anche gli idoli e i
templi degli dèi. Il vero tempio è invece per Clemente l’assemblea della
chiesa, intesa non in senso locale bensì come la «riunione degli eletti»,
santificata dalla conoscenza del vero Dio e consacrata a lui1701. Ma anche
lo gnostico può essere visto come tempio di Dio, reso santo dalla sua pre-
senza in lui, dal momento che l’anima del perfetto, a mo’ di statua, ripro-
duce in se stessa l’immagine del Logos divino1702. Non vi è dunque più
bisogno di offrire sacrifici a Dio; ormai è la preghiera l’offerta da presen-
tare alla divinità. Come per il tempio, Clemente stabilisce l’equivalenza
sacrificio = preghiera ad un duplice livello: comunitario e personale. La
preghiera, in quanto è «la vittima migliore e più santa», è in prima istanza
il sacrificio della chiesa, offerto sull’altare formato dall’assemblea terrena
dei fedeli, che con le loro orazioni partecipano di «una sola voce e un solo
pensiero»1703. È a tale sacrificio ecclesiale che si addice l’«esalazione»
veritiera, consistente nell’offerta del Logos che si innalza come profumo
dalle anime sante, interamente orientate verso Dio 1704. A livello personale,
poi, la vita del perfetto è sempre una festa, una celebrazione ininterrotta
di Dio, laddove egli offre come sacrifici le proprie preghiere1705.
Nell’economia della trattazione clementina – che non è facile siste-
matizzare, poiché l’autore procede per associazioni più che per concate-
nazioni logiche, attenendosi al modello descritto a conclusione del VII li-
bro 1706 – un dato appare particolarmente rilevante: è appunto la prospettiva
––––––––––––––––––
1700 Cfr. Protr. XII, 118, 4 (188): tovte mou katopteuvsei" to;n qeo;n kai; toi'" aJgivoi"
ejkeivnoi" telesqhvsh/ musthrivoi"; 12, 119, 1 (188): deivxw soi to;n lovgon kai; tou' lovgou
ta; musthvria, kata; th;n sh;n dihgouvmeno" eijkovna; e specialmente 12, 120, 1-3. Sui limiti
di tale appropriazione cfr. Jourdan; sulla preghiera nei misteri Serra Zanetti.
1701 Strom. VII, 5, 29, 4 (110, 18-20): Ouj ga;r nu'n to;n tovpon, ajlla; to; a[qroisma
tw'n ejklektw'n ejkklhsivan kalw'. ∆Ameivnwn oJ new;" ou|to" eij" paradoch;n megevqou" ajxiva"
tou' qeou'. To; ga;r peri; pollou' a[xion zw/'on tw/' tou' panto;" a[xivw/, ma'llon de; oujdeno;" ajnta-
xivw/, di∆ uJperbolh;n aJgiovthto" kaqievrwtai.
1702 Strom. VII, 5, 29, 5-8.
1703 Strom. VII, 6, 31, 8 (116, 30-118, 2): “Esti gou'n to; par∆ hJmi'n qusiasthvrion
ejntau'qa to; ejpivgeion a[qroisma tw'n tai'" eujcai'" ajnakeimevnwn, mivan w{sper e[con fwnh;n
th;n koinh;n kai; mivan gnwvmhn.
1704 Strom. VII , 6, 32, 4 (118, 12-15): ÔH suvmpnoia de; ejpi; th'" ejkklhsiva" levgetai
kurivw". Kai; gavr ejstin hJ qusiva th'" ejkklhsiva" lovgo" ajpo; tw'n aJgivwn yucw'n ajnaqumivw-
meno", ejkkaluptomevnh" a{ma th/' qusiva/ kai; th'" dianoiva" aJpavsh" tw/' qew/'.
1705 Strom. VII, 7, 49, 4 (166, 11-14)): Aujtivka qusivai me;n aujtw/' eujcaiv te kai;
ai\noi kai; aiJ pro; th'" eJstiavsew" ejnteuvxei" tw'n grafw'n, yalmoi; de; kai; u{mnoi para; th;n
eJstivasin prov te th'" koivth", ajlla; kai; nuvktwr eujcai; pavlin.
1706 Strom. VII, 18, 111, 1-4. Völker 1952, 410, riconosce le difficoltà, ma eccede
nell’attribuire a Strom. VII un carattere tendenzioso: «es ist im übrigen nicht einfach, ja fast
kaum möglich, ein in sich zusammenhängendes Bild von Clemens als Beter zu entwerfen,
536 Parte seconda, Capitolo nono
dell’oratio continua come quella che ingloba i diversi spunti di riflessione
sulla preghiera. Questo motivo è senz’altro il più congeniale a Clemente,
alla luce dell’ideale di perfezione legato alla figura dello gnostico. Infatti,
la trattazione specifica inizia con il respingere l’idea di tempi e luoghi ri-
servati alla preghiera. Ciò significherebbe in pratica ridurla ad attività
complementare, se non accessoria e secondaria. Invece tutta la vita deve
essere permeata di preghiera, come suggerisce la raccomandazione di pre-
gare «sette volte al giorno». Intesa nel suo significato simbolico, la men-
zione di Sal 118(119), 164 («Sette volte al giorno ti ho lodato per i giudizi
della tua giustizia») equivale a fondere la preghiera con la vita, in un col-
loquio permanente con Dio, sia che ciò avvenga individualmente sia nel
concerto dei fedeli1707. In questo senso la vita dello gnostico è una festa
ininterrotta, vissuta sotto lo sguardo perennemente presente e partecipe di
Dio, mentre egli con la sua condotta ne celebra le lodi nelle più svariate
situazioni1708. Sotto questo profilo, fatte salve le distinzioni di categorie
concettuali e di linguaggio, Clemente si ricollega alla visuale di Tertullia-
no, riconoscendo anch’egli la preghiera quale componente strutturale nella
vita del cristiano, benché nell’ottica dell’Alessandrino ciò valga essenzial-
mente per il perfetto. Di conseguenza, sebbene Clemente conosca al pari
di Tertulliano l’usanza di tre «ore canoniche» (w{ra" taktav") di preghiera
(terza, sesta e nona), esse non sono legge per lo gnostico, dedito com’egli è
al culto di Dio in tutta quanta la sua vita1709. D’altra parte, l’insistenza ri-
petuta sul fatto che come ogni momento, così anche qualsiasi luogo è adat-
to alla preghiera – mentre recepisce a fondo l’indicazione di 1Tm 2, 8 –,
ignora palesemente sia l’interrogativo sollevato da Origene in relazione
all’interpretazione di 1Cor 7, 5, sia anche il relativo privilegio riconosciu-
to da questi al luogo della riunione ecclesiale1710. Comunque, anche Cle-
––––––––––––––––––
weil uns in seinen Werken nur verstreute Andeutungen begegnen, die meist fragmentari-
schen Charakter tragen. Allein in Strom. VII finden sich ausführlichere Darlegungen über
das gnostische Beten. Sie sind aber nicht immer klar und vor allem stark tendenziös; sol-
len sie doch den Nachweis erbringen, daß der heidnische Vorwurf der ajsevbeia den Chri-
sten nicht treffe, da dieser der wahrhaft Fromme sei».
1707 Strom. VII, 7, 35, 3 (128, 7–130, 13): ”Oqen ou[te wJrismevnon tovpon ou[te ejxaiv-
reton iJero;n oujde; mh;n eJortav" tina" kai; hJmevra" ajpotetagmevna", ajlla; to;n pavnta bivon oJ
gnwstiko;" ejn panti; tovpw/, ka]n kaq∆ eJauto;n movno" tugcavnh/ kai; o{pou tina;" a]n tw'n oJmoiv-
w" pepisteukovtwn e[ch/, tima'/ to;n qeovn, toutevstin cavrin oJmologei' th'" gnwvsew" kai; th'"
politeiva".
1708 Strom. VII , 7, 35, 6 (130, 22-26): Pavnta toivnun to;n bivon eJorth;n a[gonte", pavnth/
pavntoqen parei'nai to;n qeo;n pepeismevnoi, gewrgou'men aijnou'nte", plevomen uJmnou'nte",
kata; th;n a[llhn politeivan ejntevcnw" ajnastrefovmeqa.
1709 Strom. VII , 7, 40, 3. Sul rilievo assegnato da Tertulliano alle tre ore fisse si
veda supra, p. 527 e nota 1669.
1710 Sull’interpretazione di 1Cor 7, 5, cfr. Le Boulluec 2003, 407: «il semble qu’Ori-
gène soit enclin à en restreindre l’usage tel que l’exposait Clément, plus attaché, lui, à ce
La costruzione di un modello 537
mente esemplifica alla maniera di Tertulliano la compenetrazione della
preghiera nella vita quotidiana dello gnostico: dalle «preghiere» e «inni»
che tramano in generale la sua giornata alle letture delle Scritture prima
dei pasti, ai salmi ed inni durante i pasti o prima di andare a letto, fino alle
preghiere durante la notte1711. Pur senza fare oggetto 1Ts 5, 17 di un com-
mento specifico – analogamente, del resto, a Tertulliano –, Clemente ar-
riva a disegnare una visione che converge di fatto con l’idea origeniana
della vita come un’unica grande preghiera, formata dall’intreccio di ora-
zioni e azioni1712. Tuttavia, la formulazione clementina risulta diversa,
nella misura in cui tende ad attribuire alla preghiera un rilievo, per così
dire, di contesto o atmosfera spirituale più che equiparare in senso stretto
l’«azione» all’«orazione»1713.
Ciò deriva anche dall’accezione predominante di «preghiera». La de-
finizione che Clemente fa propria è – come s’è visto – quella di oJmiliva,
«conversazione» o «colloquio» con Dio, anche se ammette una certa «ar-
ditezza» di tale rappresentazione1714. Su questo punto la sua sensibilità ci
appare molto diversa da quella di Origene, che praticamente non si serve
mai di tale nozione. Invece Clemente considera come mèta dell’ideale di
perfezione l’acquisire la familiarità del dialogo a tu per tu con Dio, lad-
dove l’espressione della preghiera si configura anzitutto nella lode e nel
ringraziamento; solo in subordine egli prende in considerazione la pre-
ghiera di richiesta. La vita dello gnostico, pertanto, in ogni luogo e in ogni
momento si svolge nel segno della gratitudine per la conoscenza donata
da Dio e per la forma di esistenza basata su di essa, nel passato, nel pre-
sente e nel futuro 1715. Nondimeno Clemente riconosce la legittimità della
preghiera di domanda, in polemica con le tesi dell’eretico Prodico, sia
pure vincolandola nei contenuti e nelle modalità alla condizione spirituale
del perfetto. Al dire dell’Alessandrino, l’esponente della gnosi ereticale
avrebbe sostenuto che «non si deve pregare», allineandosi con ciò alla tesi
formulata in antecedenza da Massimo di Tiro; ma noi non conosciamo
––––––––––––––––––
sujet, à défendre la sainteté du mariage» (con il rinvio rispettivamente a Orat II, 2 e XXXI,
4 e a Strom. III, 12, 79, 1 e 81, 1-82).
1711 Strom. VII, 7, 49, 4 (supra, nota 1705).
1712 Le Boulluec segnala un’allusione al luogo paolino in Strom. VII , 7, 35, 4 (130,
15-19): oJ sumparw;n ajei; dia; th'" gnwvsew" kai; tou' bivou kai; th'" eujcaristiva" ajdialeiv-
ptw" tw/' qew/'.
1713 Cfr. Strom. VII , 7, 49, 7 (168, 22-24): o} de; kai; peripavtw/ crwvmeno" kai; oJmiliva/
kai; hJsuciva/ kai; ajnagnwvsei kai; toi'" e[rgoi" toi'" kata; lovgon pavnta trovpon eu[cetai.
1714 Strom. VII, 7, 39, 6 (note 40, 1734).
1715 Strom. VII, 7, 35, 3 (130, 9-13): to;n pavnta bivon oJ gnwstiko;" ejn panti; tovpw/
[...] cavrin oJmologei' th'" gnwvsew" kai; th'" politeiva". Cfr. anche VII, 12, 79, 2 (242, 9-12):
To; de; ei\do" aujto; th'" eujch'" eujcaristiva ejpiv te toi'" progegonovsin ejpiv te toi'" ejnestw'sin
ejpiv te toi'" mevllousin, wJ" h[dh dia; th;n pivstin parou'sin: touvtou de; hJgei'tai to; eijlhfevnai
th;n gnw'sin.
538 Parte seconda, Capitolo nono
con precisione le sue idee, perché Clemente, dopo aver accostato Prodico
ai Cirenaici come suoi predecessori filosofici, rimanda ad altra occasione
una loro confutazione dettagliata1716. Invece si preoccupa di fissare con
precisione le condizioni alle quali la preghiera di richiesta è accettabile
agli occhi di Dio e trova ascolto presso di lui.
Nello gnostico la domanda (ai[thsi") è unita alla preghiera di ringra-
ziamento (eujcaristiva) e s’esprime come richiesta della salvezza per gli
altri uomini 1717. In generale, la domanda è ammessa purché sia indirizzata
ad ottenere beni spirituali, quelli che vanno a vantaggio dell’anima – una
preoccupazione condivisa sia da Tertulliano sia, in forma ancor più esclu-
siva da Origene, nonostante gli accenti risultino assai diversi tra loro. Anzi,
lo gnostico prega non soltanto per ottenere dei beni, che rimangono in
qualche modo esterni a lui, bensì per divenire buono egli stesso, concor-
rendo con il proprio impegno alla realizzazione di tale mèta1718. L’impat-
to della concezione filosofica della preghiera (quale era stata espressa,
ad esempio, da Pitagora) si avverte con chiarezza, allorché Clemente os-
serva che hanno titolo a rivolgere domande a Dio soprattutto coloro che
hanno la giusta nozione di lui e di ciò che conviene chiedergli, confor-
mandosi insieme a Dio per la loro virtù. Al tempo stesso, però, egli enun-
cia qui il duplice motivo «che cosa» e «come si debba chiedere» che avrà
grande rilievo in Origene alla luce di Rm 8, 26 1719. La prospettiva cle-
mentina invero non tradisce alcuna difficoltà al riguardo, dal momento
che lo gnostico sa bene come comportarsi nel formulare le sue richieste a
Dio. Anzi, in essa non sembrerebbe quasi affiorare la consapevolezza
dell’ineludibilità della preghiera di domanda come una necessità a cui
l’uomo, in quanto creatura sempre bisognosa dell’aiuto divino, non può
mai sfuggire. Lo gnostico di Clemente ci si presenta invece come chi già
possiede ciò che domanda per altri oppure domanda per mantenere e ac-
crescere il possesso del bene. Il confronto con gli oranti «malvagi» (mo-
cqeroiv ) non fa che sottolineare la condizione privilegiata dello gnosti-
co agli occhi di Clemente: essi pregano Dio per acquisire ciò che non
posseggono e domandano ciò che sembra loro buono, ma in realtà non è
––––––––––––––––––
1716 Strom. VII, 7, 41, 1-3 (supra, pp. 92-93 e note 262-264, 471).
1717 Strom. VII , 7, 41, 6 (146, 20-22): Aujtivka h{ te eujcaristiva h[ te tw'n pevla" eij"
ejpistrofh;n ai[thsi" e[rgovn ejsti; tou' gnwstikou'.
1718 Strom. VII, 7, 38, 4 (138, 16-20): <∆Aei;> toivnun oJ gnwstiko;" th;n eujch;n kai;
th;n ai[thsin tw'n o[ntw" ajgaqw'n tw'n peri; yuch'" poiei'tai, kai; eu[cetai sunergw'n a{ma
kai; aujto;" eij" e{xin ajgaqovthto" ejlqei'n, wJ" mhkevti e[cein ta; ajgaqa; kaqavper maqhvmatav
tina parakeivmena, ei\nai de; ajgaqovn; 44, 3 (152, 10-11): ta; de; o[ntw" ajgaqa; ta; peri; yu-
ch;n eu[cetai ei\naiv te aujtw/' kai; paramei'nai.
1719 Strom. VII, 7, 39, 1 (138, 1-4): Dio; kai; touvtoi" mavlista proshvkei eu[cesqai
toi'" eijdo;si te to; qei'on wJ" crh; kai; th;n provsforon ajreth;n e[cousin aujtw/', oi} i[sasi tivna
ta; o[ntw" ajgaqa; kai; tivna aijthtevon kai; povte kai; pw'" e{kasta.
La costruzione di un modello 539
tale1720. All’opposto, lo gnostico è «autosufficiente e non è bisognoso
degli altri», per cui «non prova neppure il desiderio delle cose assenti, ma
si accontenta delle presenti». Egli «non manca dei beni appropriati, es-
sendo già divenuto capace in forza della grazia e della conoscenza di-
vine»1721. In ogni caso, essendo ormai arrivato in alto, non si preoccupa di
ricevere da Dio beni materiali alla maniera dell’«uomo comune»1722. Tut-
tavia, l’ottimismo clementino sul cristiano perfetto non è così cieco da non
avvertire che egli sia suscettibile di cadere, com’è successo perfino agli
angeli; perciò anche lo gnostico continua ad affidarsi a Dio nella preghie-
ra, chiedendogli di non venir meno alla virtù1723. Con un’ulteriore appros-
simazione comparativa, Clemente dichiara che il pagano che si converte,
domanderà a Dio la fede, mentre colui che progredisce nella conoscenza
domanderà la perfezione dell’agape1724.
Al contrario di Origene, la visuale clementina non sembra lasciare
alcuno spazio alla preghiera del peccatore1725. Con un approccio che ri-
chiama nuovamente l’impostazione filosofica, nella fattispecie quella di
Platone, l’orante che si dispone al colloquio con Dio deve avere l’anima
«immacolata», essendosi reso «perfettamente buono», o deve comunque
essersi distaccato completamente dalle opere del male1726. Probabilmente
l’ottica di un orante già perfetto e come tale virtuoso spiega anche il fatto
che Clemente non si soffermi a prima vista sulle disposizioni preliminari
––––––––––––––––––
1720 Strom. VII, 7, 44, 2 (152, 5-7): Oi} me;n ga;r a} oujk e[cousin eu[contai kthvsa-
sqai, kai; ta; dokou'nta ajgaqav, ouj ta; o[nta, aijtou'ntai.
1721 Strom. VII, 7, 44, 4-5 (152, 11–154, 1): Tauvth/ oujde; ojrevgetaiv tino" tw'n ajpovn-
twn, ajrkouvmeno" toi'" parou'sin. Ouj ga;r ejlliph;" tw'n oijkeivwn ajgaqw'n, iJkano;" w]n h[dh
eJautw/' ejk th'" qeiva" cavritov" te kai; gnwvsew": ajlla; aujtavrkh" me;n genovmeno" ajnendehv"
te tw'n a[llwn, to; pantokratoriko;n de; bouvlhma ejgnwkwv", kai; e[cwn a{ma kai; eujcovmeno".
1722 Strom. VII, 7, 46, 4 (158, 9-11): Korufai'o" d∆ h[dh oJ gnwstiko;" qewrivan
eu[cetai au[xein te kai; paramevnein, kaqavper oJ koino;" a[nqrwpo" to; sunece;" uJgiaivnein.
1723 Strom. VII, 7, 46, 5 (158, 11-13): Nai; mh;n mhde; ajpopesei'n pote th'" ajreth'"
aijthvsetai, sunergw'n mavlista pro;" to; a[ptwto" diagenevsqai. Cfr. Strom. VII, 12, 79, 3
(242, 12-15): Kai; dh; kai; aijtei'tai ou{tw" zh'sai to;n wJrismevnon ejn th/' sarki; bivon, wJ"
gnwstikov", wJ" a[sarko", kai; tucei'n meta; tw'n ajrivstwn, fugei'n de; ta; ceivrona.
1724 Strom. VII, 7, 46, 3.
1725 Tuttavia in Strom. VII, 12, 73, 3-4 Clemente deve fare i conti con il fatto che
Dio può esaudire anche le preghiere dei peccatori (cfr. infra, nota 1739).
1726 Strom. VII, 7, 49, 1 (166, 1-5): Dio; kai; a[cranton th;n yuch;n e[cein crh; kai;
ajmivanton eijlikrinw'" to;n prosomilou'nta tw/' qew/', mavlista me;n ajgaqo;n televw" eJauto;n
ejxeirgasmevnon, eij dh; mhv, ka]n prokovptonta ejpi; th;n gnw'sin kai; ejfiemevnon aujth'", tw'n de;
th'" kakiva" e[rgwn tevleon ajpespasmevnon. Tuttavia in Strom. VI, 12, 102, 1 (264, 1-8) pre-
vede la richiesta del perdono dei peccati in un cammino ascendente di perfezione: Eu[ce-
tai toivnun oJ gnwstiko;" kai; kata; th;n e[nnoian pa'san th;n w{ran, di∆ ajgavph" oijkeiouvmeno"
tw/' qew/'. Kai; ta; me;n prw'ta a[fesin aJmartiw'n aijthvsetai, meta; de; to; mhkevti aJmartavnein
ejpi; to; eu\ poiei'n duvnasqai kai; pa'san th;n kata; to;n kuvrion dhmiourgivan te kai; oijkono-
mivan sunievnai, i{na dhv, kaqaro;" th;n kardivan genovmeno", di∆ ejpignwvsew" th'" dia; tou'
uiJou' tou' qeou' provswpon pro;" provswpon th;n makarivan qevan muhqh/'.
540 Parte seconda, Capitolo nono
all’atto della preghiera, come avviene invece con le raccomandazioni di
Tertulliano, Origene o Evagrio riguardo al perdono e alla riconciliazione
fraterna. Semmai lo gnostico prega per la remissione delle colpe altrui e
l’acquisizione della conoscenza1727, quantunque l’unica citazione del Pa-
drenostro riguardi proprio la quinta domanda come manifestazione di ajm-
nhsikakiva1728. Né Clemente si mostra interessato ad approfondire le cir-
costanze esteriori dell’atto orante, come avviene specialmente in Tertullia-
no, presumibilmente ancora in ragione del fatto che egli vede in primo
luogo la preghiera come oJmiliva. Non manca tuttavia una fugace descrizio-
ne dell’immagine dell’orante che rispecchia più direttamente l’afflato spi-
ritualistico della visuale di Clemente1729. Infatti, egli lo disegna con il capo
rivolto in alto e le mani protese verso il cielo, conformemente alla raffigu-
razione più tradizionale dell’orante, ma aggiunge un particolare inedito,
anch’esso simbolicamente espressivo dell’elevazione spirituale che si com-
pie nell’atto della preghiera: nel concludere questa con la consueta accla-
mazione, l’orante si solleva sulla punta dei piedi1730. Per il resto, Clemente
tace significativamente su altri gesti di preghiera, come la genuflessione o
il segno della croce1731. Egli precisa però la direzione: l’orante cristiano
––––––––––––––––––
1727 Strom. VII , 12, 79, 4 (242, 15-17): Aijtei'tai de; kai; ejpikoufismo;n peri; w}n
hJmarthvsamen hJmei'" kai; ejpistrofh;n eij" ejpivgnwsin.
1728 Strom. VII, 13, 81, 1 (244, 1-3): Oujdevpote tw'n eij" aujto;n aJmarthsavntwn mev-
mnhtai, ajlla; ajfivhsi. Dio; kai; dikaivw" eu[cetai, a[fe" hJmi'n levgwn: kai; ga;r hJmei'" ajfive-
men (Lc 11, 4; cfr. Mt 6, 12). Esaminando la presenza del Padrenostro in Clemente, Brown,
124 ignora questo passo (come le allusioni segnalate infra, p. 544). Senza avvertire la di-
pendenza dal passo lucano, osserva: «This language recalls the doctrine of God’s prov-
noia» (p. 152).
1729 Severus, 1216 sottolinea la corrispondenza fra atteggiamento interiore e dispo-
sizioni esteriori dell’orante: «Wenn wir auch von Clemens von Alexandrien kaum Proben
wirklichen Betens erhalten, [...] so verdanken wir ihm doch einen wichtigen Hinweis auf
die Einheit inneren Betens und äußerer Gebetshaltung, der für die Gebetsgebärde charakte-
ristisch ist».
1730 Strom. VII, 7, 40, 1 (140, 1-142, 4): Tauvth/ kai; prosanateivnomen th;n kefalh;n
kai; ta;" cei'ra" eij" oujrano;n ai[romen touv" te povda" ejpegeivromen kata; th;n teleutaivan
th'" eujch'" sunekfwvnhsin, ejpakolouqou'nte" th/' proqumiva/ tou' pneuvmato" eij" th;n nohth;n
oujsivan, kaiv, sunanafistavnein tw/' lovgw/ to; sw'ma th'" gh'" peirwvmenoi, metavrsion poih-
savmenoi th;n yuch;n ejpterwmevnhn tw/' povqw/ tw'n kreittovnwn, ejpi; ta; a{gia cwrei'n biazov-
meqa, tou' desmou' katamegalofronou'nte" tou' sarkikou'. Severus, 1216, mentre segnala
l’influsso platonico, nota anche la diversità da Origene: «Während Clemens hier von plato-
nischen Gedankengängen beeinflußt ist, finden sich die gleichen Anschauungen bei Ori-
genes ohne diese Bezugnahme». Quanto al gesto di sollevarsi sulla punta dei piedi, esso
tende a conferire carattere rituale alla preghiera, ma l’autore non aggiunge altri elementi
per meglio contestualizzarlo. Le motivazioni che spiegano l’atteggiamento dell’orante, im-
plicando il tema platonico del «volo dell’anima», suggeriscono un’analogia con Origene
soprattutto per CC VII, 44.
1731 Severus, 1217. L’accenno al «portare il segno (della croce)», inteso come ri-
nuncia al mondo, non sembra implicare la pratica del segno di croce nella preghiera.
La costruzione di un modello 541
prega verso l’oriente, rivolto al sole che sorge – inteso implicitamente co-
me simbolo della luce di Cristo che illumina il mondo – e mantenendo tale
orientamento verso il luogo della nascita della luce anche al tramonto1732.
Più che sulle modalità interiori od esteriori dell’atto orante, la rifles-
sione di Clemente privilegia il tema della preghiera silenziosa che – seb-
bene non sia affatto sconosciuto ad Origene e nemmeno a Tertulliano –
assume però in lui un rilievo speciale. Si tratta evidentemente della con-
seguenza più diretta della visuale clementina dell’orazione come oJmiliva,
«conversazione» con Dio. La giustificazione della preferenza per la pre-
ghiera silenziosa rispetto a quella orale nasce già, in chiave antropolo-
gica, dal riconoscimento della componente intellettuale nel processo sen-
soriale di audizione. Ma, a fortiori vale per Dio il fatto che egli, ancor
prima della voce, intenda i pensieri che essa manifesta; anzi, li conosce
senza che vi sia bisogno di alcuna loro manifestazione sensibile, essendo
«tutt’orecchio e tutt’occhio»1733. Perciò, anche se la nostra preghiera si
esprime con un mormorio o nel silenzio, è come se essa fosse interiormen-
te un «grido» di cui Dio è in ascolto senza posa1734. Anche su questo punto
è possibile misurare distinzioni e affinità tra Clemente e Origene: l’accen-
tuazione della preghiera silenziosa rimane indubbiamente caratteristica di
Clemente, ma l’associazione fra la preghiera silenziosa e il grido interiore
predispone di fatto lo schema di riferimento per l’elaborazione del tema
in Origene, dove il protagonista del grido diventa lo Spirito che prega nei
santi. Se è vero che anche in Clemente compare un cenno «pneumatologi-
co» a tale riguardo, esso sembra però risolversi unicamente in senso antro-
pologico-spirituale nella tensione «spirituale» (to; pneumatikovn) rivolta
ad esprimere la «voce intelligibile», in un atteggiamento di «conversione»
totale dell’intelletto a Dio1735. Nondimeno, altrove l’allusione a Rm 8, 26
––––––––––––––––––
1732 Strom. VII, 7, 43, 6 (150, 20-24): ∆Epei; de; geneqlivou hJmevra" eijkw;n hJ ajnatolh;
kajkei'qen to; fw'" au[xetai ejk skovtou" lavmyan to; prw'ton, ajlla; kai; toi'" ejn ajgnoiva/ ka-
lindoumevnoi" ajnevteilen gnwvsew" ajlhqeiva" hJmevra kata; lovgon tou' hJlivou, pro;" th;n eJw-
qinh;n ajnatolh;n aiJ eujcaiv. Wallraff 2001, 63-64 nota la diversità di Clemente rispetto a
Origene nel giustificare l’usanza: «Während Klemens bei seiner Deutung keinen spezifisch
christlichen Aspekt zur Erklärung der Gebetsostung herausarbeitet, begegnet bei Origenes
wenig später zum ersten Mal der Versuch, sowohl Abgrenzung als auch Anknüpfung an
pagane Bräuche durch das Motiv der Überbietung zusammenzuführen» (cfr. anche supra,
pp. 175-176, note 537-538). La direzione verso est per la preghiera della sera è suggerita
dalla citazione di Sal 140(141), 2.
1733 Strom. VII, 7, 36, 5-37, 6.
1734 Strom. VII, 7, 39, 6 (140, 17-21): “Estin ou\n, wJ" eijpei'n tolmhrovteron, oJmiliva
pro;" to;n qeo;n hJ eujchv: ka]n yiqurivzonte" a[ra mhde; ta; ceivlh ajnoivgonte" meta; sigh'"
proslalw'men, e[ndoqen kekravgamen: pa'san ga;r th;n ejndiavqeton oJmilivan oJ qeo;" ajdia-
leivptw" ejpai?ei.
1735 Strom. VII, 7, 43, 5 (150, 16-19): “Exestin ou\n mhde; fwnh/' th;n eujch;n parapevm-
pein, sunteivnonta movnon e[ndoqen to; pneumatiko;n pa'n eij" fwnh;n th;n nohth;n kata; th;n
ajperivspaston pro;" to;n qeo;n ejpistrofhvn.
542 Parte seconda, Capitolo nono
parrebbe essere più diretta, come vedremo esaminando fra breve i riferi-
menti scritturistici della riflessione clementina.
Occorre infatti considerare ancora un risvolto centrale della visuale
di Clemente che l’accomuna senz’altro sia a Tertulliano sia anche ad Ori-
gene, ma sempre facendo salva l’individualità della sua impostazione pe-
culiare. È il motivo dell’efficacia della preghiera, contestata dalla critica
filosofica ed ereticale, che Clemente esemplifica nelle posizioni di Prodico
da lui combattute. Ora, la sua idea al riguardo si avvicina ad una forma di
automatismo, per cui lo gnostico, in forza della condizione virtuosa di cui
partecipa e dell’orazione spirituale che egli formula, è certo dell’esaudi-
mento da parte di Dio1736. Clemente è costretto qui a trovare una soluzione
di compromesso fra spinte contrastanti. Da un lato, infatti, il cristiano per-
fetto è preparato a non ricevere, se non a lasciare all’iniziativa della prov-
videnza divina la concessione dei beni di cui ha bisogno, o a non esprime-
re neppure la domanda; o tutt’al più la formula unicamente con il pensiero,
alla maniera di Anna, come Clemente aveva già indicato nel VI libro1737.
Dall’altro lato, senza sopprimere in tal modo la necessità della preghiera
di richiesta, Clemente incoraggia la domanda dello gnostico a beneficio di
altri. In ogni caso, anche sotto questo profilo egli manifesta le conseguen-
ze a vasto raggio risultanti dalla sua nozione della preghiera come oJmiliva.
Non v’è in sostanza necessità di domandare, dove si è in relazione co-
stante con Dio: la purezza della condizione spirituale dello gnostico è già
di per sé una garanzia sufficiente perché la sua richiesta sia accolta e del
resto ciò che gli giova, lo riceverà all’istante1738. Clemente non può pe-
raltro evitare l’obiezione che anche i peccatori ottengono a volte ascolto
presso Dio, ma egli risponde che ciò avviene raramente e mira a fare sì che
altri ricevano aiuto. In questi casi, comunque, il dono non è da commisu-
rare alla persona dell’orante bensì al disegno provvidenziale di Dio1739,
––––––––––––––––––
1736 Strom. VII, 7, 41, 4 (146, 14-15): ”Wsper ga;r pa'n o} bouvletai, duvnatai oJ qeov",
ou{tw" pa'n o} a]n aijthvsh/, oJ gnwstiko;" lambavnei.
1737 Per Le Boulluec, «la prière parfaite, du gnostique, est celle qui se fait non plus
par demande, mais en pensée (Strom. VI 12, 101, 3), par le moyen de l’amour qui appa-
rente à Dieu (cfr. Strom. VI 12, 102, 1); 9, 77, 2 s.)» (p. 146, nota 1). Cfr. Strom. VI, 12,
101, 4 (262, 11-14): Aujtivka th/' “Annh/ ejnnohqeivsh/ movnon tou' paido;" ejdovqh suvllhyi" tou'
Samouhvl. Ai[thsai, fhsi;n hJ grafhv, kai; poihvsw: ejnnovhqhti kai; dwvsw (l’editore rinvia a
1Re 12, 24d LXX o Mt 7, 7).
1738 Strom. VII , 12, 73, 1 (228, 1-8): ÔO me;n ou\n gnwstiko;" di∆ uJperbolh;n oJsiovth-
to" aijtouvmeno" ma'llon ajpotucei'n e{toimo" h] mh; aijtouvmeno" tucei'n. Eujch; ga;r aujtw/' oJ
bivo" a{pa" kai; oJmiliva pro;" qeovn, ka]n kaqaro;" h\/ aJmarthmavtwn, pavntw" ou| bouvletai
teuvxetai. Levgei ga;r oJ qeo;" tw/' dikaivw:/ Ai[thsai, kai; dwvsw soiv: ejnnohvqhti, kai; poihvsw.
∆Ea;n me;n ou\n sumfevronta h\/, paracrh'ma lhvyetai: ajsuvmfora oujdevpote aijthvsetai, dio;
oujde; lhvyetai. Ou{tw" e[stai o} bouvletai. Il riferimento a Mt 7, 7 è sussunto qui nell’agra-
phon 14 Resch.
1739 Strom. VII, 12, 73, 3-4 (228, 9-14): Ka[n ti" hJmi'n levgh/ ejpitugcavnein tina;" tw'n
aJmartwlw'n kata; ta;" aijthvsei", spanivw" me;n tou'to dia; th;n tou' qeou' dikaivan ajgaqovth-
La costruzione di un modello 543
mentre per Clemente rimane decisivo il principio dell’orante «degno» di
ricevere come prerequisito e fattore determinante l’esaudimento, anche
senza che egli richieda1740.
A conclusione della nostra analisi non si può fare a meno di rilevare
anche nel caso di Clemente la compattezza della sua dottrina sulla pre-
ghiera, espressione di un pensiero «forte», quantunque diversamente orien-
tato rispetto non solo prevedibilmente a Tertulliano ma pure al suo stesso
«discepolo» Origene. Pur avendo di mira un orante «degno» o «santo» –
com’è tendenzialmente anche nell’impostazione del trattato di Origene –,
Clemente perviene a risultati sensibilmente diversi. O almeno si dovrà ri-
conoscere che la nota dominante è un’altra: in Clemente prevale infatti
l’accento ottimistico sulla possibilità della preghiera, sulla sua effettiva
attuazione nell’oratio continua come prassi di vita, sulla sua ineludibile
efficacia. Nella riflessione di Clemente insomma manca del tutto il regi-
stro problematico e drammatico1741, o meglio ancora quella «meravigliosa
forza dei sentimenti» che secondo Völker contraddistingue la riflessione
di Origene, al punto che è ragionevole pensare che questi abbia consape-
volmente rivisitato l’argomento differenziandosi dal suo predecessore1742.
Sarebbe però riduttivo considerare il pensiero di Clemente come «viziato»
dalle contaminazioni filosofiche, del resto perseguite appositamente dal-
l’autore in ragione delle proprie finalità apologetiche. Non solo occorre
riconoscere lo sforzo di modulare in chiave cristiana i temi ripresi dalla
tradizione filosofica, ma l’ideale di perfezione tracciato da Clemente trova
un suo radicamento nella cornice ecclesiale e all’occorrenza rivela anche
le sue fondazioni scritturistiche1743. A conferma della fondamentale «ispi-
––––––––––––––––––
ta, divdotai de; toi'" kai; a[llou" eujergetei'n dunamevnoi". ”Oqen ouj dia; to;n aijthvsanta hJ
dovsi" givnetai, ajll∆ hJ oijkonomiva tou' sw/vzesqai di∆ aujtou' mevllonta proorwmevnh dikaivan
pavlin poiei'tai th;n dwreavn.
1740 Strom. VII , 12, 73, 4 (228, 15-16): Toi'" d∆ o{soi a[xioi ta; o[ntw" ajgaqa; kai; mh;
aijtoumevnoi" divdotai.
1741 Völker 1952, 421 nota una tendenza ad assimilare lo gnostico al saggio stoico,
laddove Origene è più fedele alla Bibbia: «Origenes lenkt hier entschlossen zu biblischen
Vorstellungen zurück. Er ist davon fest überzeugt, daß alles innere Wachsen stets durch
die Versuchung bedroht ist, die sich ebenfalls steigert, er verlangt vom Vollkommenen
eine ständige Bußstimmung».
1742 Questa conclusione è puntualmente argomentata da Le Boulluec 2003. Völker
1952, 411, ritiene che la dottrina di Clemente «in manchen Zügen origenistische Anschau-
ungen vorwegnimmt, wenn sie auch dessen inneren Reichtum, Glut und Innigkeit bei wei-
tem nicht erreicht und, verglichen mit dessen wunderbarer Gefühlsstärke, fast kalt und
trocken wirkt».
1743 Secondo Jay, 34, «in spite of the tendency towards an intellectual mysticism in
Clement’s doctrine of prayer, he still regards it, for a great part of the time, as does the
“average” Christian, as the converse of the soul with God, expressing its wonder at God’s
greatness in praise, its gratitude for God's goodness in thanksgiving, its sense of unworthi-
544 Parte seconda, Capitolo nono
razione» biblica rivendicata all’inizio del VII libro, Clemente non ha na-
scosto alcune tracce significative al riguardo, configurando anch’egli un
dossier di citazioni in parte conforme al discorso protocristiano sulla pre-
ghiera. Così anche Clemente cita l’affermazione sull’onniscienza divina
dalla storia di Susanna (Sus 42 = Dn 13, 42), che figura tra i testimonia
degli avversari della preghiera in Orat V, 21744. Paradossalmente Clemente
si allinea in un certo senso sulle loro posizioni, poiché si serve del passo a
sostegno della preghiera silenziosa, senza bisogno di formulare la doman-
da a un Dio che è onnisciente. Al contrario, Origene collega strettamente
la prospettiva dell’onniscienza divina alla formulazione della preghiera di
domanda. Altro luogo veterotestamentario comune ai due alessandrini è
Sal 140(141), 2. L’unica citazione clementina, rispetto al suo uso intensivo
in Origene, interviene sorprendentemente non tanto a raffigurare l’orazio-
ne nell’immagine dell’«incenso», bensì a commento della preghiera rivolta
ad oriente, forse con un richiamo alla pratica della preghiera serale1745.
Più consistenti per numero risultano essere i riferimenti neotestamentari,
a cominciare dall’istruzione premessa al Padrenostro nel Vangelo di Mat-
teo: la messa in guardia di Mt 6, 7 dal «moltiplicare le parole» nell’ora-
zione deve ispirare anche per Clemente l’espressione verbale contenuta
da parte dell’orante come anche il suo ritegno in pubblico, secondo il pre-
cetto di Gesù in Mt 6, 5. Benché egli vi dedichi appena un cenno essen-
ziale, la preghiera vocale ha comunque il suo paradigma normativo nel
Padrenostro 1746. Tuttavia, è evidente che fra questi passi è soprattutto Mt
6, 8 a pesare nel quadro, perché concorre a sostenere l’idea dell’esaudi-
mento divino anche senza domanda1747. Non manca infine un’allusione
––––––––––––––––––
ness in confession, and its needs in petition». Tale giudizio è condiviso anche da Simonetti
1997, 85-86.
1744 Strom. VII, 7, 37, 5 (136, 15-17): Tivna kai; fwnh;n ajnamei'nai oJ kata; provqesin
to;n ejklekto;n kai; pro; th'" genevsew" tov <te> ejsovmenon wJ" h[dh uJpavrcon ejgnwkwv". Sul-
l’argomentazione in Orat V, 1, cfr. supra, nota 295.
1745 Strom. VII , 7, 43, 8 (supra, nota 1732). Per l’uso dell’immagine, a prescindere
dal passo biblico, cfr. Strom. VII, 6, 32, 5 (120, 18-20): bwmo;n de; ajlhqw'" a{gion th;n di-
kaivan yuch;n kai; to; ajp∆ aujth'" qumivama th;n oJsivan eujchvn; VII , 6, 34, 2 (supra, nota 1699).
1746 Strom. VII, 7, 49, 6 (168, 19-22): ∆Alla; th/' dia; stovmato" eujch/' ouj polulovgw/
crh'tai, para; tou' kurivou kai; a} crh; aijtei'sqai maqwvn. ∆En panti; toivnun tovpw/, oujk a[nti-
kru" de; oujde; ejmfanw'" toi'" polloi'" eu[xetai. Sull’interpretazione clementina del Padre-
nostro cfr. Walther, 1-4; Brown, 124-125, 153-159, le cui conclusioni peraltro sono inac-
cettabili. A suo giudizio Clemente non avrebbe menzionato il Padrenostro perché non
conforme al modello di preghiera elaborato in Strom. VII. Purtroppo, non solo sfuggono a
Brown i riferimenti evangelici, incluso il passo riportato sopra, ma egli sembra anche igno-
rare che la Preghiera del Signore poteva essere oggetto di un’interpretazione spirituale
compatibile con la visione clementina, come avverrà in Origene. Per un’allusione a Gv 17
si veda infra, nota 1757.
1747 Strom. VII, 7, 46, 1 (158, 3-4): pepeismevno" wJ" oJ ta; pavnta eijdw;" qeo;" o{ ti a]n
sumfevrh/ kai; oujk aijtouvmeno" toi`" ajgaqoi`" cwrhgei'.
La costruzione di un modello 545
alla «cameretta» di Mt 6, 6 unitamente a Rm 8, 26, luogo chiave della dot-
trina origeniana sulla preghiera: è un cenno troppo succinto per ricavarne
indicazioni più precise riguardo al ruolo dello Spirito, ma esso sembra
intervenire soprattutto a sostegno della preghiera silenziosa e della voce
interiore che essa manifesta1748. D’altra parte, il medesimo passo contiene
anche un richiamo a Is 58, 9, altro luogo sfruttato ripetutamente da Ori-
gene, in particolare per indicare l’immediato esaudimento della preghiera
del Figlio. Anche grazie a questo dossier scritturistico, quantunque assai
ridotto, Clemente mostra di inserirsi con il suo profilo inconfondibile nel
discorso protocristiano sulla preghiera.
––––––––––––––––––
1756 De dom. or. 3 (91, 30-35): «Amica et familiaris oratio est Deum de suo rogare,
ad aures eius ascendere Christi orationem. Agnoscat pater filii sui verba, cum precem fa-
cimus: qui habitat intus in pectore ipse sit et in voce, et cum ipsum habeamus apud patrem
advocatum pro peccatis nostris, quando peccatores pro delictis nostris petimus, advocati
nostri verba promamus». Cfr. anche Ep. 11, 5, 3 (62, 99–63, 104): «Habemus advocatum
et deprecatorem pro peccatis nostris Iesum Christum dominum et deum nostrum, si modo
nos in praeteritum peccasse paeniteat, et confitentes atque intellegentes delicta nostra qui-
bus nunc dominum offendimus, vel de cetero nos ambulare in viis eius et praecepta eius
metuere spondeamus». Sull’uso origeniano di 1Gv 2, 1 si veda supra, pp. 463-466.
1757 In Tertulliano emerge solo a conclusione (De orat. 29, 4 [274, 36-37]: «Quid
ergo amplius de officio orationis? Etiam ipse Dominus oravit»), mentre Clemente sfrutta
l’immagine di Gesù orante come esempio della preghiera dello gnostico alludendo a Gv 17
(Strom. VII , 7, 41, 7 [146, 22-27]: »H/ kai; oJ Kuvrio" hu[ceto, eujcaristw'n me;n ejf∆ oi|" ejte-
leivwsen th;n diakonivan, eujcovmeno" de; wJ" pleivstou" o{sou" ejn ejpignwvsei genevsqai, i{n∆
ejn toi'" sw/zomevnoi" dia; th'" swthriva" kat∆ ejpivgnwsin oJ qeo;" doxavzhtai kai; oJ movno" ajga-
qo;" kai; oJ movno" swth;r di∆ uiJou' ejx aijw'no" eij" aijw'na ejpiginwvskhtai).
1758 De dom. or. 29 (108, 536-538. 541-544): «Nec verbis tantum sed et factis Do-
minus orare nos docuit ipse orans frequenter et deprecans et quid nos facere oporteret
exempli sui contestatione demonstrans. [...] Quodsi ille orabat qui sine peccato erat,
quanto magis peccatores oportet orare».
1759 Da notare che Tertulliano si limita a citare Gv 17, 6 (De orat. 3, 1 [258, 3-259,
6, nel testo di Schleyer]: «Et quis enim filius non patris nomen est? Ego veni, inquit, in
nomine patris [Gv 5, 43], et rursus: Pater, glorifica nomen tuum [Gv 12, 28], et apertius:
Nomen tuum manifestavi hominibus [Gv 17, 6])», mentre Clemente vi allude soltanto
(supra, nota 1757). Per il suo impiego in Origene cfr. supra, pp. 475-488.
548 Parte seconda, Capitolo nono
derio di Gesù1760. Ma la dimensione comunitaria della preghiera cristiana
è iscritta fondamentalmente per Cipriano nel testo stesso dell’oratio domi-
nica. L’insegnamento di Gesù, «dottore della pace e maestro dell’unità»,
mira dunque a promuovere non una preghiera individuale e solitaria, bensì
un’orazione dal respiro comunitario, designata perciò, con l’incisività che
contraddistingue spesso le formulazioni del vescovo di Cartagine, come
publica et communis oratio1761. Per tale ragione Gesù ci chiama ad invo-
care «Padre nostro», anziché «Padre mio», e quando si domanda la remis-
sione dei debiti o di non essere indotti in tentazione e di essere liberati dal
male, non si prega solo per se stessi, bensì per tutti. Pertanto la preghiera
personale va sempre pensata come espressione del corpo ecclesiale, dal
momento che il singolo supplica Dio a nome di tutto il popolo, mentre il
popolo a sua volta costituisce un’unità; del resto, è sempre un’unità che si
basa su Cristo in quanto egli porta in sé l’intera umanità peccatrice1762. A
conferma dello spirito che contraddistingue l’oratio dominica, Cipriano
ritrova nell’Antico e nel Nuovo Testamento gli esempi di preghiere con-
cordi, espressioni di unità e pace e, in quanto tali, manifestazioni della
«preghiera spirituale» già nell’economia veterotestamentaria: da un lato, i
tre giovani nella fornace ardente (Dn 3, 51); dall’altro, la preghiera unani-
me della comunità primitiva (At 1, 14) – due paradigmi ben presenti alla
riflessione di Origene, anch’egli sensibile al tema della concordia orante
come condizione per l’efficacia della preghiera, che a sua volta considera
egualmente il cantico dei tre fanciulli una «preghiera spirituale»1763. In
––––––––––––––––––
1760 De dom. or. 30 (108, 555–109, 561): «Rogantis autem desiderium videte quod
fuerit. ut quomodo unum sunt pater et filius, sic et nos in ipsa unitate maneamus: ut hinc
quoque possit intellegi quantum delinquat qui unitatem scindit et pacem, cum pro hoc et
rogaverit Dominus volens scilicet plebem suam vivere, cum sciret ad regnum Dei discor-
diam non venire».
1761 De dom. or. 8 (93, 101-103): «Ante omnia pacis doctor atque unitatis magister
singillatim noluit et privatim precem fieri, ut quis cum precatur pro se tantum precetur».
Cfr. Ep. 11, 7, 3 (65, 137-141): «Unusquisque oret deum, non pro se tantum, sed pro om-
nibus fratribus, sicut dominus orare nos docuit, ubi non singulis privatam precem manda-
vit, sed oratione communi et concordi prece orantes pro omnibus iussit orare». Cuva se-
gnala il motivo della preghiera unanime anche in De cath. eccl. unit. 12, 25.
1762 De dom. or. 8 (93, 106-108): «Publica est nobis et communis oratio, et quando
oramus, non pro uno sed pro populo toto rogamus, quia totus populus unum sumus. Deus
pacis et concordiae magister qui docuit unitatem, sic orare unum pro omnibus voluit, quo-
modo in uno omnes ipse portavit». Grossi, 94, nota 7 segnala il parallelo con Ep. 63, 13
(406, 227): «quia nos omnes portabat Christus qui et peccata nostra portabat».
1763 De dom. or. 8 (93, 111-113.115–94, 120): «Hanc orationis legem servaverunt
tres pueri in camino ignis inclusi consonantes in prece et spiritus consensiones concordes.
[...] Loquebantur quasi ex uno ore, et nondum illos Christus docuerat orare. Et idcirco
orantibus fuit impetrabilis et efficax sermo, quia promerebatur Deum pacifica et simplex et
spiritalis oratio». Quanto al modello orante della comunità apostolica, ibi (94, 123-127):
«Perseverabant in oratione unanimes orationis suae et instantiam simul et concordiam de-
La costruzione di un modello 549
aggiunta, il vescovo di Cartagine commentando la quinta petizione sfrutta
nel medesimo senso il rinvio a due luoghi tradizionali come Mc 11, 25-26
e Mt 5, 23-24, che invitano entrambi a riconciliarsi con i fratelli prima di
pregare, ma facendo derivare più direttamente la pace e la concordia fra-
terna nella comunità ecclesiale dall’unità tra Padre, Figlio e Spirito in seno
alla Trinità: più ancora della preghiera in sé, la comunione pacifica della
chiesa è il «sacrificio più grande» offerto a Dio1764.
La ricchezza dei riferimenti vetero- e neotestamentari che accompa-
gnano la trattazione di Cipriano, con un corredo biblico paragonabile sep-
pure da lontano solo ad Origene, mette in evidenza un altro motivo che
egli ha ricavato dal De oratione di Tertulliano, sia pure modulandolo se-
condo la sua diversa sensibilità teologica e pastorale. È l’idea del Padreno-
stro come «compendio» della dottrina cristiana, che qualifica ulteriormen-
te la sua esemplarità per il fedele a partire dal retroterra scritturistico.
Non solo la Preghiera del Signore ricapitola in se stessa tutto ciò che è og-
getto delle richieste rivolte dai cristiani a Dio, ma essa riassume anche in
forma sintetica ed efficace gli insegnamenti del Verbo divino1765. Avanzan-
do ulteriormente nella direzione indicata dal suo predecessore, il vescovo
di Cartagine mette in evidenza l’aspetto didascalico che caratterizza l’in-
segnamento di Gesù. Rivolto ai dotti come agli indotti, esso mira a facili-
tare l’apprendimento dei precetti e la loro messa in pratica da parte di
tutti1766. La preoccupazione di natura catechetica ed ecclesiale torna qui a
farsi sentire con più forza, benché Cipriano non trascuri di segnalare anche
la profondità di significati racchiusi in una preghiera tanto essenziale, ac-
cennando all’esigenza di una comprensione spirituale del Padrenostro1767.
––––––––––––––––––
clarantes, quia Deus qui inhabitare facit unanimes in domo (Sal 68[69], 7) non admittit in
divinam et aeternam domum nisi apud quos est unanimis oratio». In Ep. 11, 3, 1-2 (60,
58-61) Cipriano si serve di Mt 18, 19 per unire il motivo della concordia orante a quello
dell’efficacia della preghiera: «Quod si duo unanimes tantum possunt, quid si unanimitas
apud omnes esset, quid si secundum pacem quam dominus nobis dedit universis fratribus
conveniret?».
1764 De dom. or. 23 (105, 445-449): «Sic nec sacrificium Deus recipit dissidentis et
ab altari revertentem prius fratri reconciliari iubet, ut pacificis precibus et Deus possit esse
pacatus. Sacrificium Deo maius est pax nostra et fraterna concordia et de unitate Patris et
Filii et Spiritus sancti plebs adunata.
1765 De dom. or. 28 (107, 513-515): «Quid mirum, fratres dilectissimi, si oratio
talis est quam Deus docuit, qui magisterio suo omnem precem nostram salutari sermone
breviavit?».
1766 De dom. or. 28 (107, 519-524): «Nam cum Dei sermo Dominus noster Iesus
Christus omnibus venerit et colligens doctos pariter et indoctos omni sexu atque aetati
praecepta salutis ediderit, praeceptorum suorum fecit grande compendium, ut in disciplina
caelesti discentium memoria non laboraret, sed quod esset simplici fidei necessarium ve-
lociter disceret».
1767 De dom. or. 9 (94, 128-132): «Qualia autem sunt, fratres dilectissimi, orationis
dominicae sacramenta, quam multa, quam magna, breviter in sermone collecta sed in
550 Parte seconda, Capitolo nono
L’impatto della dimensione ecclesiale sulla visione della preghiera
in Cipriano si avverte anche nella particolare inflessione alla quale egli
piega i suoi testi scritturistici. In questo senso, se non sorprende che il pa-
radigma veterotestamentario di Anna venga sfruttato per illustrare le mo-
dalità di un’orazione interiore «tacita e modesta», analogamente a quanto
avveniva in Clemente di Alessandria, è però significativo che la madre di
Samuele sia introdotta dal vescovo di Cartagine a titolo di «figura della
chiesa» (ecclesiae typus)1768. Anche l’istruzione che precede il testo del
Padrenostro in Matteo, luogo consueto di riflessioni per tutti gli autori
presi finora in esame, porta Cipriano ad applicare alla comunità cristiana
riunita in preghiera l’atteggiamento spirituale raccomandato dal passo
evangelico a un orante individuale1769. Allo stesso modo di colui che prega
nel segreto conformemente a Mt 6, 6, anche colui che lo fa nell’assem-
blea dei fratelli deve concentrarsi interiormente nella preghiera, sapendo
di essere alla presenza di Dio e assumendo un atteggiamento esteriore
controllato nei gesti e nella voce onde evitare ogni esibizionismo ed ecces-
so1770. D’altra parte, l’invito del sacerdote ad innalzare i cuori a Dio come
premessa alla preghiera ecclesiale concorre ad argomentare le modalità
dell’atto orante in generale, sottolineando l’esigenza dell’accordo fra la
voce e la mente di chi prega, in modo che i suoi pensieri siano rivolti uni-
camente a Dio1771. Applicando qui alla chiesa l’esegesi prosopologica di
––––––––––––––––––
virtute spiritaliter copiosa, ut nihil omnino praetermissum sit quod non in precibus atque
orationibus nostris caelestis doctrinae compendio comprehendatur?». Poirier sottolinea in
Cipriano la consapevolezza delle apparenti aporie del Pater.
1768 De dom. or. 5 (92, 61-66): «Quod Anna in primo Regnorum libro ecclesiae ty-
pum portans custodit et servat, quae Deum non clamosa petitione sed tacite et modeste
intra ipsas pectoris latebras precabatur. Loquebatur prece occulta sed manifesta fide, lo-
quebatur non voce sed corde, quia sic Dominum sciebat audire, et impetravit efficaciter
quod petit, quia fideliter postulavit». Sull’interpretazione clementina della figura di Anna
si veda supra, p. 542.
1769 De dom. or. 4 (91, 39-43): «Sit autem orantibus sermo et precatio cum disci-
plina quietem continens et pudorem, cogitemus nos sub conspectu Dei stare, placendum
est divinis oculis et habitu corporis et modo vocis. Nam ut impudentis est clamoribus stre-
pere, ita contra congruit verecundo modestis precibus orare».
1770 De dom. or. 4 (91, 52-57): «Et quando in unum cum fratribus convenimus et
sacrificia divina cum Dei sacerdote celebramus, verecundiae et disciplinae memores esse
debemus, non passim ventilare preces nostras inconditis vocibus nec petitionem commen-
dandam modeste Deo tumultuosa loquacitate iactare, quia Deus non vocis sed cordis audi-
tor est». Si noti la ripresa letterale di Tertulliano, De orat. 17, 3 (266, 6-9): «Sono etiam
vocis subiectos oportet, aut quantis arteriis opus est, si pro sono audiamur! Deus autem,
non vocis, sed cordis auditor est, sicut conspector». Tuttavia, come segnala Chapot, 110,
Cipriano argomenta diversamente, proponendo qui un ampio florilegio scritturistico.
1771 De dom. or. 31 (109, 562-565): «Quando autem stamus ad orationem, fratres
dilectissimi, invigilare et incumbere ad preces toto corde debemus. Cogitatio omnis carna-
lis et saecularis abscedat nec quicquam tunc animus quam id solum cogitet quod precatur».
Cfr. anche supra, nota 970.
La costruzione di un modello 551
Ct 5, 2 («Io dormo, ma il mio cuore veglia»), per cui essa è intenta a «ve-
gliare con il cuore, mentre dorme con gli occhi», Cipriano ne trae l’indica-
zione esemplare sulla vigilanza interiore che è sempre richiesta all’oran-
te1772. Pertanto il modello dell’orazione personale, tendenzialmente intima
e silenziosa, è trasferito senza problemi dal vescovo di Cartagine all’ora-
zione comunitaria e viceversa questa aiuta ad illuminare le sue manifesta-
zioni individuali. Egli lo ribadisce implicitamente nel commentare la para-
bola del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 10-14), che pregano insieme nel
tempio, riprendendo nuovamente quasi alla lettera Tertulliano1773.
Ma il richiamo al paradigma evangelico aiuta ad intravedere un altro
aspetto interessante della dottrina di Cipriano sulla preghiera. Infatti, la
preghiera umile e contrita del pubblicano lo spinge ad una considerazione
di portata più generale: se il pubblicano si riconosce colpevole, nessuno
di fatto è innocente1774. Così, la condizione dell’uomo in quanto peccato-
re davanti a Dio si presenta al vescovo di Cartagine come una ragione
fondamentale che giustifica la necessità di pregare, com’egli rileva in più
luoghi del suo scritto. Oltre a precisarla in relazione alla figura di Gesù
orante, come abbiamo visto in precedenza, egli l’approfondisce particolar-
mente nel commento al Padrenostro. Recitando quotidianamente l’oratio
dominica, il cristiano è istruito ogni giorno da Gesù a non presumere di
sé, confessando invece di peccare ogni giorno; perciò egli ha sempre bi-
sogno di richiedere a Dio il perdono delle proprie colpe e la sua santifica-
zione1775. Anche la domanda per non cadere nella tentazione ha lo scopo
––––––––––––––––––
1772 De dom. or. 31 (109, 580-585): «Hoc est ab hoste in totum non cavere, hoc est,
quando oras Deum, maiestatem Dei neglegentia orationis offendere, hoc est vigilare oculis
et corde dormire, cum debeat christianus et cum dormit oculis corde vigilare, sicut scriptum
est ex persona ecclesiae loquentis in Cantico Canticorum: Ego dormio et cor meum vigilat
(Ct 5, 2)».
1773 De dom. or. 6 (92, 73): «Adorans autem, fratres dilectissimi, nec illud ignoret,
quemadmodum in templo cum pharisaeo publicanus oraverit. Non allevatis in caelum im-
pudenter oculis nec manibus insolenter erectis, pectum suum pulsans et peccata intus inclu-
sa contestans divinae misericordiae implorabat auxilium». Origene ha approfondito l’ese-
gesi della parabola lucana soprattutto in CIo (cfr. supra, pp. 298-303). Cfr. Tertulliano,
De orat. 17, 1-2 (nota 1662).
1774 De dom. or. 6 (92, 77-81): «et cum sibi pharisaeus placeret, sanctificari hic
magis meruit qui sic rogavit, qui spem salutis non in fiducia innocentiae suae posuit, cum
innocens nemo sit, sed peccata confessus humiliter oravit, et exaudivit orantem qui humi-
libus ignoscit».
1775 De dom. or. 12 (96, 199-202): «Et hoc cotidie deprecamur. Opus est enim no-
bis cotidiana sanctificatio, ut qui cotidie delinquimus delicta nostra sanctificatione assidua
repurgemus»; 22 (104, 409): «Quam necessario autem, quam providenter et salubriter ad-
monemur quod peccatores sumus, qui pro peccatis rogare compellimur, ut dum indulgentia
de Deo petitur, conscientiae suae animus recordetur! Ne quis sibi quasi innocens placeat
et se extollendo plus pereat, instruitur et docetur peccare se cotidie, dum cotidie pro pec-
catis iubetur orare».
552 Parte seconda, Capitolo nono
di rammentare al fedele la sua debolezza costitutiva insieme al ricono-
scimento che l’aiuto decisivo nella prova può venirgli unicamente dalla
grazia divina1776. Con tali riflessioni Cipriano non solo coglie lucidamente
il contesto agonico dell’esistenza cristiana, che anche per Origene implica
il costante ricorso all’aiuto divino, ma apre inoltre la strada ad Agostino e
alla sua interpretazione del Padrenostro nell’ottica dell’uomo peccatore,
costantemente bisognoso di perdono.
Dalla consapevolezza circa la preghiera come necessità ineludibile
dell’uomo peccatore deriva un ulteriore aspetto significativo, che può es-
sere visto come sua conseguenza diretta: l’enfasi di Cipriano sulla quoti-
dianità e sulla continuità della preghiera. Quantunque neppure lui abbia
tematizzato la questione dell’oratio continua a partire da 1Ts 5, 17, in
pratica risponde alla stessa esigenza con il raccomandare la costanza e la
frequenza della preghiera. Mentre sottolinea più volte il fatto che il Pa-
drenostro è l’orazione quotidiana del fedele, sollecita a pregare in conti-
nuazione, notte e giorno, perché non cadiamo nel peccato e si compia la
nostra santificazione1777. Analogamente, bisogna pregare continuamente
per non essere esclusi dal regno dei cieli1778, come anche perché si compia
la volontà di Dio in cielo e in terra1779. La frequenza nella preghiera è in-
culcata anche per la notte con l’esempio di Gesù che la trascorre pregando
senza interruzione (Lc 6, 12) 1780. E quando Cipriano introduce l’esempio
––––––––––––––––––
1776 De dom. or. 26 (106, 491-500): «Quando autem rogamus ne in temptationem
veniamus, admonemur infirmitatis et imbecillitatis nostrae dum sic rogamus, ne quis se
insolenter extollat, ne quis sibi superbe atque arroganter aliquid adsumat, ne quis aut con-
fessionis aut passionis gloriam suam ducat [...] ut dum praecedit humilis et summissa con-
fessio et datur totum Deo quidquid suppliciter cum timore et honore Dei petitur ipsius
pietate praestetur». Anche De dom. or. 14 (98, 251-252) commentando la terza petizione
inculca l’idea che nessuno è in grado di fare la volontà di Dio senza il suo aiuto: «nemo
suis viribus fortis est sed Dei indulgentia et misericordia». Chapot, 112 mostra in propo-
sito la rielaborazione di un motivo di Tertulliano, de orat. 4, 2: «Ainsi la doctrine cypria-
nique de la grâce, sur laquelle Augustin s’est tant appuyé [...] s’est nourrie d’une distinc-
tion et d’une formule tertullianéennes».
1777 De dom. or. 12 (97, 210-215): «Haec sanctificatio ut in nobis permaneat ora-
mus, et quia Dominus et iudex noster sanato a se et vivificato comminatur iam non delin-
quere, ne quid ei deterius fiat, hanc continuis orationibus precem facimus, hoc diebus ac
noctibus postulamus ut sanctificatio et vivificatio quae de Dei gratia sumitur ipsius pro-
tectione servetur».
1778 De dom. or. 13 (97, 233-234): «Continua autem oratione et prece opus est, ne
excidamus de regno caelesti».
1779 De dom. or. 16 (100, 304-306): «Et idcirco cotidianis immo continuis oratio-
nibus hoc precamur et in caelo et in terra voluntatem circa nos Dei fieri».
1780 De dom. or. 29 (108, 542-544): «et si ille per totam noctem iugiter vigilans
continuis precibus orabat, quanto nos magis in frequentanda oratione debemus nocte vigi-
lare!». Cfr. anche Ep. 11, 5, 2 (62, 87-91): «Nam et apostoli orare diebus ac noctibus non
destiterunt, et dominus quoque ipse disciplinae magister et exempli nostri via frequenter
La costruzione di un modello 553
di Tobi, a sostegno della raccomandazione ad unire le preghiere alle opere,
evitando una sterilis oratio, lo descrive come intento perennemente a pre-
gare e ad operare1781. Sono quindi da considerare in tale prospettiva le in-
dicazioni fornite dal vescovo di Cartagine sui tempi di preghiera. La pras-
si delle tre ore tradizionali di terza, sesta e nona, ricondotta dapprima al
modello di Daniele e dei tre giovani oranti, è ormai giustificata tipologi-
camente, sulla linea tracciata da Tertulliano, come figura della Trinità1782.
Ma Cipriano nota subito che per i cristiani sono cresciuti «gli spazi e i sa-
cramenti della preghiera», per cui il fedele è ora chiamato a pregare anche
al mattino in ricordo della risurrezione di Cristo e così pure al tramon-
to, per domandare nuovamente la sua venuta in quanto «vero sole e vero
giorno». Proprio la fondazione cristologica che sostiene l’indicazione dei
tempi di preghiera, secondo la linea di tendenza che vediamo espressa si-
stematicamente nella Tradizione apostolica, conduce Cipriano a formulare
l’esigenza di una oratio continua:
«Se, dunque, nelle sante Scritture il giorno vero e il sole vero è Cristo, per i cri-
stiani non è esclusa nessun’ora per pregare Dio frequentemente e sempre. Perché
noi viviamo in Cristo, in Colui cioè che è il vero sole e il giorno vero, ci appli-
chiamo costantemente a pregare Dio durante tutto il giorno. Quando poi la legge
del tempo, per il suo vicendevole alternarsi fa seguire la notte al giorno, quelli che
pregano non temeranno alcun male dalle tenebre della notte, perché per i figli del-
la luce è giorno anche di notte. Mai infatti è senza luce chi ha nel cuore la vera
luce, e mai mancherà sole e luce a colui cui Cristo è sole e luce»1783.
––––––––––––––––––
et vigilanter oravit, sicut in evangelio legimus: exiit in montem orare et fuit pernoctans in
oratione dei (Lc 6, 12)».
1781 De dom. or. 33 (110, 603-605): «Cito orationes ad Deum ascendunt quas ad
Deum merita nostri operis imponunt. Sic et Raphael angelus Tobiae oranti semper et
semper operanti testis fuit».
1782 De dom. or. 34 (111, 633-636): «In orationibus vero celebrandis invenimus ob-
servasse cum Danihele tres pueros in fide fortes et in captivitate victores horam tertiam
sextam nonam, sacramento scilicet trinitatis quae in novissimis temporibus manifestari
habebat». Tuttavia, non solo la giustificazione trinitaria è più ampiamente sviluppata dal
vescovo di Cartagine, ma nell’argomentazione esegetica egli introduce anche la motiva-
zione cristologica dell’ora sesta e della nona, preludendo così allo sviluppo attestato dalla
Tradizione apostolica. In Trad. ap. 41 il nesso con la passione di Cristo offre la motiva-
zione per la preghiera all’ora terza, sesta e nona come anche al primo canto del gallo (cfr.
Jay, 41; Ruggiero).
1783 De dom. or. 35 (112, 671–113, 680): «Quodsi in scripturis sanctis sol verus et
dies verus est Christus, nulla hora excipitur christianis quominus frequenter ac semper
Deus debeat adorari, ut qui in Christo, hoc est in sole et in die vero, sumus instemus per
totum diem precibus et oremus: et quando mundi lege decurrens vicibus alternis nox revo-
luta succedit, nullum de nocturnis tenebris esse orantibus damnum potest, quia filiis lucis
et in noctibus dies est. Quando enim sine lumine est cui lumen in corde est? Aut quando
sol ei et dies non est cui sol et dies Christus est?».
554 Parte seconda, Capitolo nono
I cristiani, che sono perennemente nella luce di Cristo, non cessano
dunque di pregare neanche di notte1784. Questo costante atteggiamento
orante del cristiano è per il vescovo di Cartagine l’anticipazione sulla terra
della nostra futura condizione celeste, nella quale non cesseremo di pre-
gare e rendere grazia a Dio1785.
Senza essere affatto un “epigono” di Tertulliano, bensì sviluppando
un “controcanto” sempre intenso e creativo con il suo maestro, anche Ci-
priano arriva a disegnare un’idea forte della preghiera cristiana che occu-
pa un posto significativo nel discorso eucologico fra II e V secolo. La sua
visuale della preghiera come atto costitutivamente ecclesiale non è priva
di analogie anche con il pensiero di Origene, per il quale l’atto orante –
pure nelle sue manifestazioni più personali ed intime – è sempre un atto
di comunione dalla valenza sia cosmica che ecclesiale. Inoltre il vescovo
di Cartagine ha in comune con l’Alessandrino un ricco patrimonio di ri-
ferimenti scritturistici, a cominciare dai paradigmi veterotestamentari di
oranti. Non diversamente da Origene, anche Cipriano mostra con essi la
continuità della «preghiera spirituale» dall’Antico al Nuovo Testamento,
quantunque egli non ignori la novità apportata dal messaggio di Cristo. Un
altro punto di convergenza è dato dal motivo della preghiera concorde e,
come tale, destinata a trovare ascolto presso Dio. Anche la prospettiva di-
segnata da Cipriano per una preghiera che tende ormai ad essere un’oratio
continua, pur essendo più prossima a Tertulliano, si muove in una lun-
ghezza d’onda parallela alla concezione origeniana. Infine, l’acuta consa-
pevolezza che il vescovo di Cartagine manifesta riguardo alla condizione
peccatrice degli uomini e alla conseguente imprescindibilità della preghie-
ra fa emergere un’ulteriore affinità tra i due autori. Soprattutto, è proprio
l’insistenza pressoché esclusiva di Cipriano sull’orazione quale richiesta
dell’aiuto divino, a renderlo più vicino spiritualmente all’Alessandrino
che privilegia nettamente la preghiera come domanda.
––––––––––––––––––
1786 Circa la datazione e l’ambientanzione si veda Brock, 2-4. Il testo siriaco, a cura
di Parisot, si trova in Patrologia Syriaca, I, Paris 1894, 137-182. La traduzione italiana è
tratta da Pericoli Ridolfini (cfr. inoltre Pierre). Per un ritratto del «saggio persiano» nella
storia della spiritualità si veda Hausherr; sul motivo dell’oratio continua, Hausherr 1966,
262-266.
1787 Sulle concezioni pneumatologiche di Afraate cfr. Kofsky-Ruzer, 358-359, se-
condo cui «it can be plausibly argued that while Aphrahat envisioned the Holy Spirit, like
the Logos, as derived from the essence of the Father, yet unlike the Logos, the Spirit was
perceived by him as a particle of the Godhead diffused among many, possibly indicating
the subordinated status of the Spirit in relation to the Christ-Logos». In questo senso gli
asceti destinatari delle Dimostrazioni partecipano continuamente dello Spirito che dimora
556 Parte seconda, Capitolo nono
evidente che mediante la categoria di «preghiera pura» (sluthâ dhkithâ)
elabora anch’egli un modello normativo, rispetto ad una prassi ritenuta
problematica e bisognosa di orientamento. Afraate lo chiarisce in rapporto
all’alternativa fra orazione esteriore ed interiore o, più precisamente, fra
orazione vocale e silenziosa, laddove la «purezza del cuore» (dakhiuthâ
lebbâ) diventa un elemento discriminante per qualificare l’autenticità di
una preghiera fatta nell’intimo1788. Nel segno di tale spiritualizzazione, la
«preghiera pura» diventa per il cristiano l’equivalente del «sacrificio»,
anzi il sacrificio gradito a Dio per eccellenza. L’offerta bene accetta deter-
mina nel contempo la sua efficacia, assicurata dalla risposta divina alla
richiesta del fedele. Questo insieme di riflessioni manifesta subito come
Afraate si avvicini alle formulazioni degli autori esaminati in precedenza
per i quali – come abbiamo osservato specialmente in Tertulliano e Cle-
mente, ma anche in Origene – l’orazione sostituisce ormai il regime dei
sacrifici. D’altra parte Afraate argomenta la stessa tesi in maniera piutto-
sto originale, adducendo un’ampia elaborazione esegetica ispirata dal ri-
ferimento ai «Padri giusti e antichi».
L’encomio tracciato a conclusione del prologo ( IV, 1) per illustrare
la forza della preghiera pura anticipa globalmente i riferimenti scritturi-
stici all’Antico Testamento che Afraate introdurrà di seguito (IV, 2-9).
Egli accenna invero anche ad altri luoghi veterotestamentari sui quali poi
non si sofferma, ma fin d’ora esemplifica il suo modo di procedere. Più di
quanto abbiamo constatato negli altri interpreti – in particolare, Origene e
Cipriano –, Afraate trae spunto da una «paradigmatica biblica» che riepi-
loga le vicende della storia sacra in alcuni protagonisti esemplari, facen-
doli interloquire con l’argomento trattato. Il catalogo degli oranti veterote-
stamentari è ben più ricco nel «saggio persiano», dal momento che già in
prima battuta include le figure di Abele, Noè, Sara, Anna, Mosè, Giosuè,
Elia, Daniele, i Tre Giovani, Giona1789; ma nel prosieguo esso si arricchi-
––––––––––––––––––
in loro (pp. 374-375). Citando 1Cor 3, 16 (infra, nota 1798), Afraate dà rilievo al motivo
del «tempio di Dio» nel fedele attraverso Cristo, senza fare menzione dello Spirito.
1788 Dim. IV, 1 (137, 1-4): «La purezza di cuore è preghiera più valida di tutte le
preghiere che vengono fatte a voce alta, e il silenzio (shethkâ), quando è unito ad una
mente (re‘yânâ) pura, vale più della voce alta quando uno declama» (p. 99).
1789 Dim. IV , 1 (137, 9-17): «Con la preghiera infatti vengono accolte le offerte (qur-
bânê); ed essa poi fa ritrarre il diluvio, ed essa cura la sterilità, ed essa distrugge gli eserciti,
ed essa svela i misteri, ed essa divide il mare ed essa apre il Giordano e trattiene il sole e fa
fermare la luna; ed essa distrugge gli impuri e fa discendere il fuoco, ed essa trattiene i cie-
li, ed essa fa salire dalla fossa e fa uscire dal fuoco e salva dal mare». Brock, 26-27 segnala
la predilezione di Afraate per queste liste di esempi biblici e individua i seguenti riferimen-
ti, non senza qualche incertezza: «Gen 4:4 (Abel), 8:20-22 (Noah), 1Sam 1-2 (Hannah; or
Gen 18, Sarah), Josh 12, Ex 3:2 (or Dan 8:16), Ex 14, Josh 4, 10:12, Lev 10:2 or Num 16:
35, 1 Kgs 18:38 (or 2 Kgs 1:10), 1 Kgs 17:1, Dan 6, Dan 3 and Jon 2». Per altre esemplifi-
cazioni scritturistiche in forma di catalogo si veda Dim. I, 14-16; V, 2-3; IX, 3, 8-9; XIV, 10.
La costruzione di un modello 557
sce di altri protagonisti della storia biblica della preghiera. Colpisce nella
trattazione di Afraate non solo il numero degli esempi ma anche il caratte-
re diseguale dell’attenzione riservata agli oranti veterotestamentari. Così,
due protagonisti maggiori come Abramo (IV, 4) e Mosè (IV, 7), evidente-
mente perché più noti e consueti, vengono presentati in forma più sbriga-
tiva, mentre l’esposizione si focalizza su Abele (IV, 2), Giacobbe (IV, 5-6)
e Giosuè (IV , 7). Questi diversi livelli di approfondimento non vanno però
sopravvalutati, anche perché Afraate, a proposito della preghiera di Mosè,
dichiara che essa ha una «forza senza limite» ed è, «a narrarsi, più di quel-
la di Giacobbe», facendo suo di fatto il privilegio riconosciuto tradizional-
mente al profeta1790.
Non possiamo qui approfondire l’esegesi sviluppata da Afraate, che
si rifà anche a fonti extracanoniche e materiali midrashici, se non ad inter-
pretazioni peculiari dell’ambiente siriaco sfruttando largamente l’approc-
cio tipologico1791. Ci interessa invece mettere in luce i principi ordinatori
della rassegna paradigmatica che sono, da un lato, l’idea della «preghiera
pura» e, dall’altro lato, il riconoscimento che i sacrifici veterotestamentari
sono accolti da Dio proprio in forza di una preghiera siffatta. Cominciando
quindi dal primo esempio della serie, Afraate dichiara che «per la purezza
del cuore (dakhyuth lebbeh) di Abele la sua offerta fu accetta davanti a
Dio e quella di Caino fu respinta»1792. Precisando inoltre che proprio la
«purezza del cuore [...] fu la sua preghiera», egli sembra perfino prendere
le distanze da una formulazione espressa della domanda in nome di una
piena interiorizzazione della prassi orante1793. Tuttavia, Afraate – che
spesso si lascia attirare da excursus tematici – nel seguito tende a mettere
da parte i due criteri e ad imperniare tutto il ragionamento sul terzo, che
ne è il corollario principale: l’efficacia della preghiera in quanto tale, sot-
tintendendo ovviamente che si tratti sempre di «preghiera pura» e, come
apparirà fra breve, in linea di principio silenziosa. Sotto questo profilo il
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1790 Dim. IV, 7 (149, 25-152, 13): «Che cosa poi diremo della preghiera di Mosè
che non ha limite (lait lâh sakhâ)? La sua preghiera infatti lo liberò dalle mani del Fa-
raone, e gli mostrò l’abitazione del suo Dio; e con la sua preghiera fece venire dieci pia-
ghe al Faraone. Ed essa poi, la sua preghiera, divise il mare e rese dolci le acque amare e
fece discendere la manna e fece salire la quaglia e ruppe la pietra e fece fluire le acque e
vinse Amalec e dette forza a Giosuè e mise sossopra Hog e Sehon nella mischia e fece
scendere i cattivi nello Sheol e distornò l’ira del suo Dio dal suo popolo e fece a pezzi il
vitello del peccato e portò giù le tavole dal monte e rese splendente il suo aspetto; e la sua
preghiera è, a narrarsi, più di quella di Giacobbe» (p. 103).
1791 Si veda, ad esempio, Tripaldi-Stori.
1792 Dim. IV, 2 (p. 99). Basandosi su una tradizione extrabiblica, egli dichiara che il
fuoco disceso dal cielo a consumare il sacrificio è la conferma del gradimento divino. In
IV, 3 offre la prova scritturistica passando in rassegna le manifestazioni del fuoco divino
in relazione ai sacrifici. In proposito, cfr. Brock, 3, 27 nota 3.
1793 Dim. IV, 2 (p. 100).
558 Parte seconda, Capitolo nono
suo uso dei paradigmi degli oranti veterotestamentari non è molto dissi-
mile da quello che ne fa Origene nel trattato. Ma l’Alessandrino, per cor-
roborare l’esistenza di preghiere spirituali nell’Antico Testamento, non
s’accontenta di annettere valore alla lettera del testo biblico ed applica
pertanto la sua ermeneutica pneumatica come quella realmente persua-
siva, laddove Afraate non mostra alcuna preoccupazione in questo senso.
Perseguendo la sua linea argomentativa, tutt’al più si lascia andare ad an-
notazioni slegate dal contesto immediato quali la preghiera in silenzio di
Anna1794, o la mediazione di Gabriele che offre a Dio la preghiera di
Giona dalle profondità del mare 1795, o ancora la metamorfosi dei leoni in
oranti ad imitazione di Daniele 1796. Questo accattivante spunto esegetico
di natura midrashica permette se non altro di constatare che le riflessioni
di Tertulliano sulla preghiera degli animali non rimangono un fatto iso-
lato nella letteratura patristica. Il Leitmotiv della «potenza» insita nella
preghiera trova quindi una sanzione conclusiva nell’affermazione che
essa è l’«armatura» (zainâ) alla quale i Padri sono ricorsi nel momento
della tribolazione1797.
Il motivo iniziale, passato apparentemente in secondo piano nella pre-
sentazione degli esempi veterotestamentari, torna a guidare l’esposizione,
allorché Afraate trapassa al modello della preghiera insegnata dal Salva-
tore. Anche l’autore siriaco si richiama all’istruzione introduttiva al Pa-
drenostro, in particolare a Mt 6, 6 con il precetto a pregare in segreto. Ciò
equivale per lui ad inculcare la preghiera del cuore, nella forma della pre-
ghiera silenziosa (la porta da chiudere venendo a significare la bocca),
come quella che più si confà al cristiano in quanto tempio di Cristo1798.
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1794 Dim. IV, 8 (152, 19-20): «Andiamo ora alla preghiera che in silenzio (sluthâ
dh-shethqâ) pregò Anna, madre di Samuele» (p. 104).
1795 Dim. IV, 8 (153, 16-23): «E Giona pure pregò davanti a Dio dalle profondità
del mare e fu ascoltato e fu esaudito e (ne) uscì incolume. Infatti la sua preghiera perforò
gli abissi e superò i flutti e prevalse sulle tempeste e perforò la nube e volò nell’aere ed
aprì il cielo e si avvicinò davanti al trono della Maestà (divina), per mezzo di Gabriele che
offre la preghiera (mekarreb slawâthâ) davanti a Dio» (p. 104).
1796 Dim. IV, 9 (156, 10-12): «E quando Daniele si alzò nella fossa per pregare,
distesero le loro mani al cielo (pshat idhayhon la-shmâyâ), anche essi a somiglianza di
Daniele».
1797 Dim. IV, 9 (157, 6-9): «E ciascuno dei nostri Padri giusti quando avevano il
momento della tribolazione prendevano su di loro l’arma della preghiera e con essa erano
liberati dalla tribolazione» (p. 105). Circa la preghiera di tutte le creature in Tertulliano,
cfr. supra, nota 1678.
1798 Dim. IV, 10 (157, 19-26): «Prega infatti in segreto (cioè) nel tuo cuore, e chiudi
la porta (Mt 6, 6). E che cos’è la porta che ha detto di chiudere se non la tua bocca che è
proprio il tempio in cui abita Cristo, come disse l’Apostolo: Voi siete il tempio di Lui, del
Signore (1Cor 3, 16) che entra nell’uomo interiore, in questa casa, e la purifica da ogni
cosa che è immonda quando è chiusa la porta che è la tua bocca». Brock, XXVI segnala
l’affinità di Afraate ed Efrem (De fide XX, 6) con Origene (Orat XX, 2) e Ambrogio (De
La costruzione di un modello 559
Che si tratti di pregare nel proprio cuore è evidente dal seguito dell’ar-
gomentazione di Afraate, il quale ribadisce il significato del comando
evangelico con una considerazione paradossale: se esso fosse da prendere
alla lettera, come sarebbe possibile rispettarlo trovandosi in un campo o
su una montagna? Ma soprattutto è decisiva l’affermazione riguardo alla
presenza di Dio nel tempio dell’«uomo interiore», ricavata da Paolo ed ap-
poggiata ancora al testo evangelico con la citazione di Mt 6, 8, per cui il
Padre sa cosa ci è necessario prima ancora che noi lo chiediamo. L’idea
dell’onniscienza preveniente e provvidente di Dio nei confronti dei suoi
eletti è rafforzata dal rinvio a Is 65, 24 («Prima che mi invochino, io ri-
sponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati»), luogo
parallelo a Is 58, 9, frequentemente utilizzato da Origene per sostenere
l’immediatezza dell’ascolto divino, prevenendo la stessa domanda del-
l’orante come nel caso di Gesù1799.
Afraate poi rafforza la proposta della preghiera del cuore median-
te un’argomentazione originale a sostegno dell’orazione solitaria, ch’egli
trae da un passo a prima vista di segno contrario come Mt 18, 20. L’espres-
sione «due o tre riuniti nel nome di Cristo» non implica che i cristiani deb-
bano pregare in maniera pubblica e collettiva. Sarebbe assurdo pensare
che Cristo non sia presente in colui che prega individualmente. Non è il
numero a fare la bontà della preghiera, fossero anche mille riuniti nel suo
nome, bensì il fatto che egli dimora nel cuore del fedele. Ora, «quando uno
si raccoglie nel nome di Cristo, Cristo abita in lui, e Dio abita in Cristo:
dunque per sé quell’uomo è uno (costituito) da tre: la sua persona e Cristo
che abita in lui, e Dio che (è) nel Cristo (qnomeh wa-mshîchâ dh-‘âmar
beh w-alâhâ dh-ba-mshîchâ)»1800. In tal modo Afraate, procedendo sem-
pre su base scritturistica, con un approccio del tutto alieno da considera-
zioni filosofiche ispirate al modello degli esercizi spirituali, presenta una
visuale dell’interiorità orante che condivide significativamente con Orige-
ne l’idea paolina e giovannea dell’inabitazione di Dio nell’animo. D’altra
parte, l’autore siriaco si premura di provare la correttezza della sua pecu-
liare esegesi di Mt 18, 20 mediante una serie di riscontri sui «Padri giu-
––––––––––––––––––
mysteriis VI, 12-13): «the location where the offering of prayer should be made is likewise
identified as the heart, on the basis of Matthew 6:6». L’Alessandrino peraltro non tema-
tizza l’aspetto del silenzio in Orat XX , 2.
1799 Dim. IV, 10 (160, 6-13): «E questo (è ciò) che dimostrò il nostro Redentore che
Dio (cioè) conosce la volontà del cuore e della mente (b-sebhyânâ dh-lebbâ wa-dh-ma-
chshavtâ), come ha scritto Nostro Signore: Il Padre vostro conosce, prima che lo chie-
diate, che cosa vi è necessario (Mt 6, 8). E nel profeta Isaia (sta) scritto: Prima che (mi)
invochino quelli che per me (sono) eletti, (io) li ascolto e prima che gridino io rispondo
loro (Is 65, 24)». Sull’impiego di Is 58, 9 in Origene si veda supra, pp. 446-448.
1800 Dim. IV, 11 (161, 13-17 [p. 106]). L’enfasi cristocentrica non sembra confer-
mare la tesi di Kofsky-Ruzer, 371: «This amounts to constituting a psychological trinity
of sorts, likewise devaluing the uniqueness of the divine presence in Christ».
560 Parte seconda, Capitolo nono
sti» dell’Antico Testamento che sfocia in una nuova catalogazione para-
digmatica del tipo che già conosciamo. L’elenco degli oranti solitari, che
sono stati esauditi da Dio in quanto egli dimorava in loro, si focalizza su
Mosè, Elia, Giona ed Eliseo. In particolare, la figura di Elia si prestava
bene al ragionamento di Afraate, che ricorda come la preghiera solitaria
del profeta si sia opposta con successo alle inefficaci invocazioni collet-
tive degli adoratori di Baal1801.
Solo a questo punto viene alla luce l’esigenza polemica che muove
l’istruzione di Afraate, benché egli accenni molto genericamente al con-
testo. Riallacciandosi a Mt 6, 6, egli riepiloga l’esposizione precedente e
tratteggia ancora una volta l’atto orante come l’atto, solitario ed interiore,
di colui che porta il «cuore in alto» e gli «occhi in basso»1802. Ora però
esso è visto anche in antitesi a quei fedeli «che moltiplicano le preghiere
e prolungano la supplica e si curvano e tendono le loro mani», mentre «le
opere della preghiera sono lontane da loro»1803. Il discorso trapassa così
alla denuncia di una pratica di preghiera tutta esteriore e autocontraddit-
toria, perché priva di conseguenze pratiche. L’incoerenza fra orazione e
vita è esemplificata dal fatto che questi oranti, al dire di Afraate, recitano
il Padrenostro senza assecondarlo concretamente, com’egli rileva in parti-
colare per la richiesta del perdono nella Preghiera del Signore. Solo con-
formandosi al precetto di Gesù in Mt 5, 23-24, è possibile presentare a
Dio la domanda di perdono. Anche Afraate dunque vincola l’atto della
preghiera, sottolineato fin qui nel suo aspetto interiore ed individuale, alla
riconciliazione fraterna, in quello stesso spirito che Origene ha descritto
con il termine ajmnhsikakiva. La convergenza ideale con la prospettiva
dell’Alessandrino è ribadita dal richiamo alla parabola del debitore impie-
toso (Mt 18, 23-35), ma Afraate accompagna nuovamente l’identica piat-
taforma scritturistica con uno sviluppo esegetico peculiare: la preghiera
di colui che prega senza aver prima perdonato rimane priva di seguito,
perché «colui che porta a Dio le preghiere (mekarreb slawâthâ)» non la
––––––––––––––––––
1801 Dim. IV, 12 (164, 6-20): «Anche Elia sul monte Carmelo era soltanto lui, e(ppu-
re) la sua preghiera mostrò forze mirabili; con la sua preghiera infatti furono trattenuti i
cieli (cfr. 1Re 17, 1) e con essa ancora, con la sua preghiera, furono sciolti i loro legami
(cfr. 1Re 18, 42-45); e la sua preghiera strappò dalle mani della morte e liberò dallo Sheol
(cfr. 1Re 17, 17-24); e la sua preghiera inoltre estirpò la contaminazione da Israele; e la sua
preghiera fece scendere il fuoco tre volte: una sull’altare (cfr. 1Re 18, 36-38) e due sui prin-
cipi (cfr. 2Re 1, 9-15) e il fuoco fece per lui vendetta quando discese per la sua preghiera:
ed (egli) si piegò sulle ginocchia e pregò e fu esaudito subito. E quattrocento cinquanta
(uomini) che gridavano con voce alta non furono ascoltati poiché invocavano nel nome di
Baal, invece Elia, pur essendo da solo, fu assai ascoltato (cfr. 1Re 18, 19-50)» (p. 107).
1802 Dim. IV, 13 (165, 7-11): «nel momento in cui preghi porta il tuo cuore in alto e
i tuoi occhi in basso (habh lebbâkh l‘el w-‘ainaik l-tacht) ed entra in te, dentro l’uomo in-
teriore e prega in segreto il Padre tuo che (è) nei cieli» (p. 108).
1803 Dim. IV, 13 (p. 108).
La costruzione di un modello 561
solleva da terra1804. Afraate riprende così il motivo dell’angelo Gabriele
quale intermediario degli oranti, che compare più volte nella IV Dimostra-
zione1805. Benché il ministero angelico agli oranti, riassunto qui nel ruo-
lo attribuito a Gabriele, non sia messo specificamente a tema da questo
scritto (anche perché l’autore se n’era occupato trattando del digiuno nella
III Dimostrazione), l’insistenza di Afraate al riguardo lascia nuovamente
intravedere una consonanza specialmente con Origene. Anche per l’Ales-
sandrino, infatti, la mediazione degli angeli, compartecipi della preghiera
dei fedeli, riveste un’importanza strutturale.
Grazie allo spunto polemico verso la preghiera priva delle opere,
Afraate giunge anche a toccare indirettamente il tema dell’oratio continua.
In ogni caso egli propone un rapporto fra preghiera e opere che sfocia po-
tenzialmente nella preghiera ininterrotta. Infatti, l’autenticità della pre-
ghiera si manifesta nelle azioni conformi a Dio, specialmente nelle opere
di misericordia. Ora, con Is 28, 12, il «sollievo» degli afflitti è per l’auto-
re siriaco il «riposo di Dio»; pertanto, le azioni compiute a beneficio di
afflitti, malati e poveri sono da computarsi alla stregua di preghiere1806.
Afraate arriva a dire che quando si tratta di compiere un’azione conforme
al volere di Dio, essa ha priorità sulla stessa preghiera. Anche in questo
caso l’argomentazione scritturistica tende a forzare gli esempi tratti dal-
l’Antico Testamento per poter corroborare l’equivalenza fra azione e pre-
ghiera. Peraltro Afraate richiama anche le parole di Gesù nel giudizio fi-
nale sull’aiuto ai bisognosi (Mt 25, 35-36) nell’intento di ribadire che le
necessità dei fratelli hanno la precedenza sull’osservanza della preghie-
ra 1807. Dopo aver criticato le manifestazioni esteriori di preghiera, in nome
dell’autenticità interiore dell’orante, il «saggio persiano» mostra così di
voler prendere le distanze anche dal ritualismo sempre in agguato nelle
––––––––––––––––––
1804 Dim. IV, 13 (168, 11-15): «Nella tua mente immaginati così: che la tua pre-
ghiera è lasciata davanti all’altare e (che) colui che porta (a Dio) le preghiere non vuole
sollevarla da terra poiché esamina la tua offerta se è inquinata o no: se è pura, la fa salire
davanti a Dio» (p. 108).
1805 Dim. IV, 13 (pp. 108-109). Cfr. anche IV , 8 (nota 1795). In III, 14 Afraate ri-
corda l’aiuto prestato da Gabriele a Daniele (anche con il concorso di Michele) e ad altri
personaggi biblici (come Zaccaria, padre di Giovanni Battista, e Maria), osservando che è
l’angelo che accoglie le preghiere, le porta a Dio e comunica agli oranti l’esaudimento
della loro richiesta.
1806 Dim. IV, 14 (169, 17-21): «Opera dunque il riposo di Dio (nyâchâ dh-alâhâ), o
uomo, e non sarà a te necessario (dire): Perdonami. Fa riposare gli afflitti, visita i malati e
sostenta i poveri: e questa è preghiera» (p. 109).
1807 Dim. IV, 15 (172, 18-25): «Se ti capita di andare per una strada lontana e ti ca-
pita di avere sete per il caldo e ti imbatti in uno dei fratelli e dici a lui: “Sollevami dal tor-
mento della sete”, ed egli ti dice: “È il momento della preghiera: pregherò e poi verrò da
te” e mentre prega e viene da te tu muori per la sete, che cosa ti sembra meglio: che egli
vada a pregare o che sollevi il tuo tormento?» (p. 110).
562 Parte seconda, Capitolo nono
espressioni più consuete della preghiera come sono i tempi dedicati ad
essa. Non è forse un caso che nel preannunciare una spiegazione circa
i «momenti della preghiera» (‘edhâneih da-sluthâ), Afraate si soffermi
piuttosto sui diversi modi di essa riformulando implicitamente l’elenco di
1Tm 2, 1.
Egli indica tre forme dell’orazione: 1. La «supplica» (ba‘ûthâ), che ha
per oggetto la richiesta del perdono per i peccati; 2. Il «ringraziamento»
(tawdîthâ) al Padre che è nei cieli per i benefici da lui donati; 3. La «lo-
de» (teshbuchtâ) a celebrazione delle opere di Dio1808. La tripartizione di
Afraate, pur diversa dallo schema paolino a quattro termini (1Tm 2, 1)
come anche dalla sua ripresa in Origene, è assai significativa nella sua
scansione interna. La preghiera di domanda, che s’identifica tacitamente
con il concetto di «preghiera pura», si focalizza adesso sulla richiesta del
perdono, mentre con il ringraziamento e la lode sembra innescarsi una
dinamica spirituale che tende a trascendere, per così dire, la dimensione
della domanda. È sicuramente eccessivo forzare in questo senso la rifles-
sione del «saggio persiano», ma avviandosi a concludere egli introduce
espressamente la nozione della preghiera come «colloquio con Dio», fa-
cendo propria in pratica la sua definizione di oJmiliva. Se a prima vista
l’esortazione a praticare una «preghiera che parli per te a Dio (sluthâ
dha-memallelâ chlâphaik ‘am alâhâ)» punta ancora ad inculcare l’idea
della «preghiera pura» come il sacrificio perfetto1809, in seguito Afraate,
dall’esegesi del testo di Is 1 che critica la condotta del popolo d’Israele e i
suoi sacrifici, ricava la conclusione che l’unico modo di parlare rettamen-
te con Dio è proprio la preghiera1810. Tuttavia, l’ultima parola di Afraate
sul nostro argomento nelle esortazioni conclusive insiste ancora sulla ne-
cessità di coltivare la preghiera di domanda: «ama la preghiera pura e sii
impegnato nella supplica (ba‘ûthâ)»1811. Non solo, egli raccomanda –
come aveva fatto Tertulliano – l’esemplarità fondativa del Padrenostro
––––––––––––––––––
1808 Dim. IV, 17 (176, 4-12): «C’è infatti la domanda e la confessione e la lode. La
domanda c’è quando uno chiede misericordia per i suoi peccati; la confessione quando tu
rendi grazie al Padre tuo che (è) nei cieli; e la lode quando tu lo glorifichi per le sue opere;
quando hai tribolazione offri la supplica; e quando sei provvisto dei suoi beni, rendi grazie
al donatore; e quando (è) gioiosa la tua mente offri la lode» (pp. 110-111). Dei quattro
termini di 1Tm 2, 1 troviamo qui l’equivalente solo per devhsi" (ba‘ûthâ) e eujcaristiva
(tawdîthâ). Afraate non menziona infatti tachnantâ (= e[nteuxi"), mentre si serve abitual-
mente di sluthâ (= proseuchv).
1809 Dim. IV, 18 (177, 7-13): «una preghiera pura è migliore di tutte le offerte. Im-
pegnati dunque, mio caro, in una preghiera che parli per te con Dio come (sta) scritto nel
profeta Isaia quando fece conoscere ai figli di Israele i loro peccati e li chiamò principi di
Sodoma» (p. 111).
1810 Dim. IV, 18 (180, 18-20): «E come parleranno gli uomini con Dio se non con la
preghiera quando in essa non c’è macchia?» (p. 112).
1811 Dim. IV, 19 (181, 18-19 [p. 113]).
La costruzione di un modello 563
per ogni preghiera del cristiano: «all’inizio di tutte le tue preghiere, pro-
nuncia la preghiera del tuo Signore (slûtheh d-mârâkh)»1812.
Anche il «saggio persiano» offre dunque un contributo prezioso al di-
scorso eucologico nel cristianesimo dei primi secoli, testimoniando altresì
numerosi punti di contatto con gli apporti forniti in precedenza dagli autori
greci e latini, incluso lo stesso Origene, nonostante la diversità dei rispet-
tivi contesti culturali. Dalla sua riflessione emerge di nuovo un’immagine
fortemente caratterizzata della preghiera cristiana che Afraate disegna –
non senza analogie con l’Alessandrino anche sotto questo profilo – a par-
tire da una rilettura orientata della Bibbia, in primo luogo dell’Antico Te-
stamento. Al centro di essa sta l’idea della «preghiera pura», sostituto dei
sacrifici dell’antica alleanza, intesa essenzialmente come preghiera indi-
viduale e silenziosa. Questo modello di orazione, però, non sfocia in una
prospettiva intimistica nemmeno nel caso di Afraate, ma egli l’elabora in
vista di assicurare alla preghiera quella forza interiore capace di sottrarla
al ritualismo esteriore e spiritualmente sterile. Ciò che gli importa è assi-
curare l’autenticità della preghiera facendo in modo che trovi la sua veri-
fica e conferma in una prassi di vita conforme ad essa. Soltanto unendo
orazione e vita, si può essere certi dell’esaudimento divino che viene in-
contro alle richieste del giusto e testimonia sempre l’efficacia di una pre-
ghiera genuina. Pur essendo imperniato sulla richiesta, il paradigma dise-
gnato da Afraate conosce altre modulazioni che indirizzano la preghiera
verso il ringraziamento e la lode, mentre la condotta di vita che s’ispira al
vangelo viene ad essere connotata essa stessa come preghiera. Non sfug-
gono anche qui le analogie con gli autori precedenti, che appaiono parti-
colarmente evidenti – per i risvolti pratici – con autori come Tertulliano e
Cipriano. A somiglianza di Tertulliano, che si è fatto «poeta» della pre-
ghiera, anche Afraate ha saputo adottare i toni dell’«encomio» a sostegno
della propria istruzione, tracciando con essi un compendio eloquente
delle qualità costitutive dell’orazione:
«La preghiera è bella e le sue opere sono belle. E la preghiera è accetta quando in
essa c’è il sollievo (degli altri); e la preghiera è esaudita quando in essa si trova il
perdono; e la preghiera (è) gradita quando è pura da ogni inganno e la preghiera
è potente quando la forza di Dio si compie in essa. E questo che ti scrivo, mio
caro, che cioè quando si fa la volontà di Dio ciò è preghiera, a me sembra bello;
e non astenerti [...] ma ancor più applicati alla preghiera e non ti dia noia ciò che
è scritto che disse nostro Signore: Pregate e non desistete (Lc 18, 1); e nella vigi-
lanza sii impegnato e allontana da te la sonnolenza e la pigrizia, e sii vigilante di
giorno e di notte e non lasciarti sopraffare»1813.
––––––––––––––––––
1812 Dim. IV, 19 (181, 19-21 [p. 113]). Cfr. Tertulliano, De orat. 10.
1813 Dim. IV, 16 (173, 14–176, 3 [p. 110]).
564 Parte seconda, Capitolo nono
6. Evagrio Pontico: la «preghiera pura» come vertice dell’itinerario mo-
nastico di perfezione
––––––––––––––––––
pavqh ejnergou'nte" wJ" kthvnh kinou'ntai: oJrgizovmenoi de; kai; mnhsikakou'nte", wJ" daiv-
mone": eujcovmenoi de; kai; yavllonte" kai; qeologou'nte" kai; qewrou'nte", wJ" a[ggeloi.
1835 Come ricorda Géhin, «il est impossible de brûler les étapes et d’aller de l’im-
passibilité à la prière sans forme directement, sans passer par l’étape intermédiaire de la
contemplation naturelle» (SC 514, p. 144). Cfr. Capit. disc. 39 (144): ouj ga;r ejk prakti-
kh'" movnh" duvnatai katorqw'sai to; ajneivdeon ei\nai aujto;n ejn th/' proseuch/', eij mhv ti pro-
paraskeuasqh/' ejn th/' th'" qewriva" gnwvsei; 78 (174): Prokovptwn oJ nou'" ejn th/' praktikh/,'
kouvfa e[cei ta; nohvmata tw'n aijsqhtw'n: prokovptwn de; ejn th/' gnwvsei, poikivla e{xei ta;
qewrhvmata: prokovptwn de; ejn th/' proseuch/', lavmproteron kai; faidrovteron o[yetai to;
i[dion fw'"; 100 (190): Oujk e[sti parautivka yavllein kai; eu[cesqai ajperispavstw": pol-
lh'" ga;r proparaskeuh'" dei'tai kai; sterhvsew" pavntwn tw'n paqw'n, ejpiqumiva", qumou',
kenodoxiva" kai; tw'n loipw'n.
1836 Evagrio enuncia espressamente il paradigma ermeneutico di «lettera e allego-
ria» in De orat. Prol. (1165B): ∆All∆ ejpei; pavnta dissav, e}n kat∆ e[nanti tou' eJnov", kata;
to;n sofo;n ∆Ihsou'n (Sir 42, 24), devcou pro;" tw/' gravmmati kai; tw/' pneuvmati kai; suvne", wJ"
pavntw" tou' gravmmato" nou'" prohgei'tai: oujk o[nto" ga;r touvtou, oujde; gravmma e[stai.
1837 De orat. 1 (1168C): Ei[ ti" bouvloito eujw'de" qumivama skeuavsai, to;n diafanh'
livbanon, kai; th;n kassivan kai; to;n o[nuca, kai; th;n stavkthn ejxivsou sunqhvsei kata; to;n
La costruzione di un modello 571
e Origene1838. L’associazione di idee con l’Alessandrino sembrerebbe es-
sere suggerita anche dal modo in cui il Pontico elabora il motivo, ricor-
dando l’«incenso composto» secondo le indicazioni di Es 30, 34-37 o Lv
16, 12 (analogamente all’interpretazione fornita dall’Alessandrino nelle
Omelie su Geremia) e chiarendone il senso con il ricorso alla spiegazione
allegorica per cui la preghiera può risultare gradita a Dio solo con il con-
corso equilibrato delle virtù. Evagrio riformula così la raccomandazione
più volte attestata da Origene sul necessario rapporto fra prassi virtuosa
e manifestazione orante, accentuandone comunque l’implicazione agoni-
ca1839. L’immagine dell’«incenso» (qumivama) riappare nuovamente verso
la conclusione dell’opera, in due capitoli (141 e 147) che ribadiscono en-
trambi l’idea della preghiera come offerta e sacrificio che sale a Dio da un
intelletto capace di dominare le passioni1840.
Nei Capitoli sulla preghiera l’uso della metafora dell’«incenso» o
«profumo», anziché rifarsi direttamente a Sal 140(141), 2, come avveniva
per lo più in Origene, pare ispirarsi ad altri luoghi scritturistici, anch’essi
familiari all’Alessandrino quali Ap 5, 8 oppure Mt 5, 231841. Tuttavia, ne-
gli Scolii ai Salmi il commento a Sal 140(141), 2 dà luogo ad un’impor-
tante precisazione circa la «preghiera pura» sulla scia della sua rinnovata
definizione come oJmiliva:
«Si indirizza come incenso (Sal 140[141], 2) la preghiera di chi può dire: Siamo
soave odore di Cristo tra coloro che si salvano e tra coloro che si perdono (2Cor
2, 15). E v’è un’unica specie di preghiera, la conversazione dell’intelletto con
Dio che serba l’intelletto privo d’impronte. Dico poi privo d’impronte l’intelletto
che al momento della preghiera non si immagina alcunché di corporeo» 1842.
––––––––––––––––––
novmon. Tau'ta dev ejstin hJ tetra;" tw'n ajretw'n: eja;n ga;r plhrevstatai kai; i[sai tugcavnw-
sin, ouj prodoqhvsetai oJ nou'".
1838 Cfr. supra, pp. 438-441 e nota 2.
1839 «C’est-à-dire, sans métaphore, qu’il faut les quatre vertus cardinales et toutes
celles qui s’y ramènent pour arriver à l’oraison sans s’exposer à une attaque brusquée de
l’ennemi» (Hausherr 1960, 13).
1840 De orat. 141 (1197A): ejf∆ o{son oujk ajpetavxw toi'" pavqesin, ajll∆ oJ nou'" sou
ejnantiou'tai th/' ajreth/' kai; th/' ajlhqeiva/, oujk euJrhvsei" eujw'de" qumivama ejn tw/' kovlpw/
sou; 147 (1197 D): skovpei povsh" fulakh'" kai; diakrivsew" creiva, i{na eujprovsdekton
dw'men tw/' qew/' qumivama.
1841 Del resto, a parte De orat., nei testi tràditi in greco l’immagine figura solo in
De octo spir. con una applicazione in positivo e in negativo (2 [PG 79, 1148A]: ∆Atmi;"
qumiavmato" eujwdiavzei ajevra, kai; proseuch; ejgkratou'" o[sfrhsin Qeou'; 10 [1156A]:
Qumwvdou" proseuch; ejbdelugmevnon qumivama).
1842 Sch. in Ps. 140(141), 2 (PG 12, 1665A): Touvtou kateuquvnetai hJ proseuch;
wJ" qumivama, tou' dunamevnou eijpei'n: Cristou' eujwdiva ejsme;n ejn toi'" swzomevnoi" kai; ejn
toi'" ajpollumevnoi" (2Cor 2, 15). Kai; ejsti;n e}n ei\do" proseuch'" oJmiliva nou' pro;" Qeo;n
ajtuvpwton to;n nou'n diaswvzousa: ajtuvpwton de; levgw to;n nou'n mhde;n swmatiko;n kata;
to;n kairo;n th'" proseuch'" fantazovmenon: movna ga;r ejkei'na tw'n ojnomavtwn kai; rJhmavtwn
tupoi' to;n nou'n hJmw'n kai; schmativzei ta; shmaivnontav ti tw'n aijsqhtw'n: proseucovmenon
572 Parte seconda, Capitolo nono
Quanto ad Ap 5, 8, utilizzato significativamente da Origene, il suo ri-
lievo per Evagrio è rafforzato dal richiamo ad Ap 8, 3 («Poi venne un altro
angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati
molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi
bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono»)1843. Oltre a citare en-
trambi i passi nei Capitoli sulla preghiera, valorizzando particolarmente
il secondo per il sostegno offerto dagli angeli all’orazione «in spirito e
verità» (Gv 4, 23)1844, il Pontico si è servito di Ap 8, 3 anche negli Skem-
mata (Riflessioni), dove spiega l’«incensiere» come «l’intelletto che al
momento della preghiera non offre nulla di sensibile»1845. In tal modo
l’immagine dell’«incenso» o «profumo» è messa a frutto da Evagrio come
equivalente scritturistico più ravvicinato del suo modello di «preghiera
pura», non diversamente dalla sensibilità di Origene, ma con l’apporto di
una concettualità che – come si è detto più volte – trova nell’Alessandri-
no solo riscontri parziali.
Lo spettro dei rimandi scritturistici può essere esteso ad altri passi
che rivelano come Evagrio si collochi pienamente, da tale punto di vista,
nella corrente della tradizione esegetico-dottrinale sulla preghiera, affian-
cando il discorso di Origene e di altri autori dei primi secoli. Come ci mo-
strano i capitoli degli Skemmata, Evagrio fa proprio con 1Tm 2, 1 il pri-
mato assegnato dall’Alessandrino alla proseuchv come l’«orazione» per
eccellenza rispetto agli altri tipi di preghiera, sia pure elencando questi
parzialmente. Il suo catalogo infatti comprende nell’ordine solo: proseu-
chv («orazione»), devhsi" («richiesta»), eujchv («voto»), e[nteuxi" («interces-
sione»), senza includervi l’eujcaristiva; ma quel che più conta è che di
ciascuno di questi termini esso offre una definizione originale1846. Benché
––––––––––––––––––
de; nou'n pavnth dei' tw'n aijsqhtw'n ejleuvqeron ei\nai: to; de; tou' Qeou' novhma diaswvzei to;n
nou'n ajnagkaivw" ajtuvpwton: ouj gavr ejsti sw'ma (tr. it. in Evagrio Pontico. Per conoscere
lui, p. 178, nota 2). Si veda anche Guillaumont 2004, 298, nota 10 e 305.
1843 Cfr. rispettivamente De orat. 77 e 76.
1844 De orat. 76 (1183C): To; levgein ejn th/' ∆Apokaluvyei komivzesqai to;n a[ggelon
qumivama i{na dw/' eij" ta;" proseuca;" tw'n aJgivwn, oi\mai th;n cavrin ei\nai tauvthn dia; tou'
ajggevlou ejnergoumevnhn: gnw'sin ga;r ejmpoiei' th'" ajlhqou'" proseuch'", w{ste eJstavnai
loipo;n ejkto;" panto;" klovnou, ajkhdiva" te kai; ojligwriva" to;n nou'n. Hausherr 1960, 109
accosta De orat. 77 a Origene, FrEz 16, 18.
1845 Skemm. 6 (Muyldermans, 374): qumiathvriovn ejsti nou'" kaqaro;" kata; to;n
kairo;n th'" proseuch'", mh; ejfaptovmeno" pravgmato" aijsqhtou'. Ap 8, 3 non figura tra le
citazioni di Origene. Si veda anche Keph. Gnost. V, 53 (198-199): «Le sacrifice spirituel
est la conscience pure qui met sur l’état du nous comme sur un autel».
1846 Skemm. 26-30 (Muyldermans, 374-380). Cfr. Hausherr 1960, 55: «la devhsi",
c’est un commerce de l’intelligence avec Dieu, accompagné de supplication et dans lequel
se trouve une demande de secours au temps du combat, et une demande de bien, inspirée
par l’espérance». Cfr. anche Guillaumont 2004, 189. Evagrio non contempla il termine
eujcaristiva, presente nel passo paolino, di cui fa in generale un uso assai ristretto e con-
centrato soprattutto nel trattato Ad Eulogio. Nei Capitoli sulla preghiera compare una sola
La costruzione di un modello 573
qui la devhsi" sia designata anch’essa un po’ sorprendentemente come oJmi-
liva 1847, l’eccellenza della proseuchv è data non solo dalla sua doppia de-
finizione come «stato dell’intelletto», ma soprattutto dal fatto che essa, da
un lato, implica l’eliminazione di ogni «rappresentazione terrena» e, dal-
l’altro, è frutto della luce donata dalla Trinità1848. Quanto a eujchv ed e[nteu-
xi", Evagrio si ricollega alle definizioni origeniane del trattato, indicando
con il primo termine il «voto» e con il secondo la «supplica» di qualcuno
«più grande» per la salvezza di altri, con una riscrittura abbastanza traspa-
rente delle formulazioni di Orat1849. Oltre dunque a improntare il vocabo-
lario eucologico di Evagrio con una netta preferenza per il termine pro-
seuchv1850, la ripresa delle definizioni di Orat negli Scolii ai Salmi offre la
prova della conoscenza del trattato di Origene da parte del Pontico. Al
tempo stesso, però, la sua lettura selettiva, con la riformulazione in pro-
prio del significato dei termini negli Skemmata, sia pure accanto alla ripro-
posta del primato della proseuchv, conferma l’autonomia creativa del pen-
siero eucologico di Evagrio sotto il profilo lessicale e concettuale1851.
––––––––––––––––––
volta nella definizione della preghiera come «espressione di gioia e riconoscenza» in De
orat. 15 (1169D): proseuchv ejsti cara'" kai; eujcaristiva" provblhma.
1847 Skemm. 28 (Muyldermans, 377): Devhsiv" ejstin oJmiliva nou' pro;" Qeo;n meq∆
iJkesiva" bohvqeian h] ai[thsin ajgaqw'n perievcousa.
1848 Skemm. 26 (Muyldermans, 377): Proseuchv ejsti katavstasi" nou', fqartikh;
panto;" ejpigeivou nohvmato"; 27 (377): Proseuchv ejsti katavstasi" nou', uJpo; fwto;" movnou
ginomevnh th'" aJgiva" Triavdo". Sullo «stato dell’intelletto» si veda anche 2 e 4 (374) che ri-
chiamano la visione della luce come dono di Dio.
1849 Skemm. 29 (Muyldermans, 377): Eujchv ejstin uJpovscesi" ajgaqw'n eJkouvsio"; 30
(377): e[nteuxiv" ejsti paravklhsi" uJpo; meivzono" prosagomevnh tw/' Qew/' peri; swthriva"
eJtevrwn.
1850 Il dato statistico caratterizza specialmente De Orat., anche se non manca a
volte l’equivalenza semantica di eujchv con proseuchv. Evagrio impiega spesso eujchv al plu-
rale, come in Ad Eul. ([PG 79, 1104] ejpiqumivai ajpotucou'sai futeuvousi luvpa": eujcai;
de; kai; eujcaristivai maraivnousi tauvta"), Pract. Epil. ([712, 7] eujcai'" kai; presbeivai"
tou' dikaivou Grhgorivou), Schol. in Prov. 196, associandola alla proseuchv ([292, 2-3]
oujk aJgnai; eujcai; [...] ouj kaqarai; givnontai proseucaiv). In Rer. mon. rat. 11 (infra, nota
1881) la proseuchv è raccordata con devhsi" e iJkethriva. L’ultimo vocabolo figura solo in
questo scritto.
1851 Sch. in Ps. contiene tre citazioni di Orat, la prima delle quali si riferisce alla
devhsi", le altre due alla proseuchv: a) Schol. 1-2 ad Ps. 60 (61) [v. 2: eijsavkouson, oJ
qeov", th'" dehsewv" mou, provsce" th/' proseuch/' mou; v. 6: o{ti suv, oJ qeov", eijshvkousa" tw'n
eujcw'n mou; v. 9: tou' ajpodou'naiv me ta;" eujcav" mou hJmevran ejx hJmevra"]: devhsiv" ejstin
ejlleivpontov" tino" meq∆ iJkesiva" peri; tou' ejkeivnou tucei'n ajnapempomevnh eujchv (cfr. Orat
XIV, 2 [331, 4-5]: hJgou'mai toivnun devhsin me;n ei\nai th;n ejlleivpontov" tini meq∆ iJkesiva"
peri; tou' ejkeivnou tucei'n ajnapempomevnhn eujch;n); b) proseuch; dev ejstin hJ meta; do-
xologiva" peri; meizovnwn megalofuevsteron ajnapempomevnh uJp∆ aujtou' (cfr. Orat XIV , 2
[331, 5-7]: th;n de; proseuch;n th;n meta; doxologiva" peri; meizovnwn megalofuevsteron
ajnapempomevnhn uJpov tou); c) Schol. 1 ad Ps. 85 (86) [Rubrica: Proseuch; tw/' Dauid! Ma
anche passi importanti sulla terminologia della preghiera, come v. 6: ejnwvtisai, kuvrie, th;n
proseuchvn mou kai; provsce" th/' fwnh/' th'" dehvsewv" mou]: proseuchv ejstin hJ meta; doxo-
574 Parte seconda, Capitolo nono
Considerazioni analoghe possono valere per l’impiego dei paradigmi
di oranti, specialmente dell’Antico Testamento, così caratteristico della
visuale di Origene. Il Pontico tende a farne un uso molto più sobrio, seb-
bene egli non neghi affatto l’«istruzione» che può trarre dagli esempi bibli-
ci (sia in positivo che in negativo) colui che s’impegna sulla strada della
«pratica» ascetica mediante la preghiera1852. Tra le figure di oranti vetero-
testamentari rievocate dall’Alessandrino, a parte un accenno a Daniele1853,
l’unico ad essere menzionato nei Capitoli sulla preghiera è Mosè, il cui
gesto di togliersi i calzari è assunto simbolicamente da Evagrio come mo-
dello di colui che si è liberato da ogni rappresentazione passionale nel suo
colloquio con Dio1854. Altrove il profeta è lodato dal Pontico per la sua
mitezza, con riferimento a Nm 12, 3 («Ora Mosè era molto più mansueto
di ogni uomo che è sulla terra»), che lo spinge a intercedere presso Dio
per la salvezza del popolo ribelle ai comandi divini (Es 31, 32)1855. Colpi-
sce qui, nel confronto con l’Alessandrino, l’assenza di rinvii paradigma-
tici non solo alle altre figure di oranti più consuete (quali, ad esempio, nel
Nuovo Testamento, Paolo) ma soprattutto il mancato richiamo a Gesù co-
me modello di preghiera, sebbene Evagrio non ignori affatto la prospetti-
va dell’intercessione universale per le creature razionali legata alla funzio-
ne sacerdotale di Gesù, come emerge soprattutto dalla Lettera agli Ebrei,
e con essa la preghiera di Gesù per la salvezza finale in Gv 17, 211856.
L’apparente lacuna è rafforzata inoltre dalla minore incidenza della Pre-
––––––––––––––––––
logiva" peri; meizovnwn megalofuevsteron ajnapempomevnh uJp∆ aujtou' (Orat XIV, 2). Ambe-
due i salmi non figurano tra le citazioni bibliche di Orat, benché risultino particolarmente
ricchi per la terminologia della preghiera. Evagrio riporta i passi in forma leggermente
modificata.
1852 De orat. 104 (1189C) ricorda il prerequisito del perdono e della riconciliazione
alla luce della parabola del servo impietoso in Mt 18, 23-35: ÔO crewfeilevth" tw'n murivwn
talavntwn paideuevtw se, wJ", eij mh; ajfhvsh/" tw/' ojfeilevth/, oujde; aujto;" teuvxh/ th'" ajfevsew":
parevdwke gavr, fhsivn, aujto;" toi'" basanistai'".
1853 De orat. 80 (1184D): ∆Ea;n ajlhqw'" proseuvch/, pollh;n plhroforivan euJrhvsei",
kai; a[ggeloi suneleuvsontaiv soi wJ" kai; tw/' Danih;l kai; tou;" lovgou" tw'n ginomevmwn fw-
tiou'si. Come mostra anche Hausherr 1960, 123, Evagrio ha in mente l’arrivo di Gabriele
durante la preghiera del profeta e la sua istruzione da parte dell’angelo (Dn 9, 20-22).
1854 De orat. 4 (1167 D): Eij th/' ejpi; gh'" bavtw/ flegomevnh/ proseggivsai peiravsa"
Mwu>sh'" kwluvetai, a[cri" ou| luvsei to; uJpovdhma tw'n podw'n, pw'" aujto;" to;n uJpe;r pa'san
e[nnoian kai; ai[sqhsin ijdei'n boulovmeno", kai; sunovmilo" aujtw/' genevsqai, ouj luvei" ejk
sou pa'n novhma ejmpaqev"… D’altra parte, il valore del paradigma di Mosè è relativo:
«Moïse est souvent mentionné par Évagre [...] mais il n’est en général que le symbole de
la contemplation inférieure qui porte sur les créatures» (Hausherr 1960, 18).
1855 Cfr. Ep. 28 e il commento di Hausherr 1960, 40-43.
1856 Secondo Keph. Gnost. V, 46 (196-197), «le grand prêtre est celui qui adresse
des supplications à Dieu pour toutes les natures raisonnables». In Sch. in Eccl. 25 (100, 7-
10) troviamo il seguente rinvio a Gv 17, 21: dei' ga;r to;n qeo;n pavntw" genevsqai ta; pavnta
ejn pa'si kai; tou' Cristou' plhrwqh'nai th;n eujch;n th;n levgousan: do;" aujtoi'" i{na kai; auj-
toi; ejn hJmi'n w\sin e}n, kaqw;" kajgw; kai; su; e{n ejsmen, pavter.
La costruzione di un modello 575
ghiera del Signore sul discorso evagriano. Il Padrenostro è appena citato
nei Capitoli sulla preghiera, ma un testo raccolto presumibilmente dai di-
scepoli e tramandato in copto e in arabo ci ha conservato una breve spie-
gazione della versione matteana che tradisce la dipendenza dalla preceden-
te tradizione esegetica e si pone in continuità con il De oratione, special-
mente per quanto riguarda il commento della seconda petizione1857.
Stando a questo testo, Evagrio riconosce che altri «più grandi di lui»
hanno commentato la preghiera di Gesù – un’allusione che è quasi sicura-
mente da riferire ad Origene – e dichiara di volersi attenere al loro inse-
gnamento. L’affermazione trova invero diversi riscontri nell’interpretazio-
ne del Pontico, anche se la premessa contenente l’idea che il Padrenostro
«è adatto a condurre l’uomo alla natura primitiva (kata; fuvsin), se gli
prestiamo tutta l’attenzione» possibile, riflette più immediatamente la vi-
suale ascetico-dottrinale del Pontico1858. In linea con la tradizione è il
commento dell’invocazione iniziale e della prima domanda del Pater,
dove si accenna rapidamente al tema della figliolanza divina come condi-
zione e titolo per invocare il Padre e alla santificazione del Nome come
compito da attuare mediante le opere buone, a testimonianza di lui per le
nazioni. Invece, per la seconda domanda, pur commentando il testo di Mt
6, 10, Evagrio sembra seguire la variante di Lc 11, 2 («Venga il tuo Spirito
santo sopra di noi e ci purifichi»), analogamente a quanto vediamo in Gre-
gorio di Nissa1859. Infatti Evagrio introduce l’equivalenza «regno» = «Spi-
rito», per cui il senso della seconda domanda consiste nel chiedere a Dio
il dono dello Spirito. Quanto alla terza domanda, il Pontico torna ad ispi-
rarsi più immediatamente alla precedente esegesi, o per meglio dire ad
Origene stesso, ma nel contempo introduce una formulazione a prima vi-
sta più marcatamente “origenista”: con questa precisa che «la volontà di
Dio è la salvezza di ogni anima razionale» (swthriva th'" o{lh" ktivsew"
logikh'"), mentre ricorda l’Alessandrino l’idea per cui supplichiamo che
avvenga anche sulla terra ciò che avviene presso le potenze celesti
(dunavmei" noerai; ejn oujranw/'). Infine, Evagrio offre una suggestiva in-
terpretazione mistico-escatologica della quarta domanda: «Il nostro pane
di domani è l’eredità di Dio. Noi preghiamo adesso perché ce ne dia il
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1857 PG Suppl. 2461 = Catenae in Evangelia aegyptiacae quae supersunt, ed. P. de
Lagarde, Göttingen 1886, 13-14. Per Guillaumont 2004, 155-156, si tratterebbe di «une
sorte de lettre écrite spécialement à cette fin». Hausherr 1960, 83 riporta una traduzione
parziale, riscontrata nel copto con l’aiuto di Alberto Camplani, che desidero ringraziare
anche per la proposta di retroversione in greco.
1858 «Elle est apte à conduire l’homme à la nature primitive, si nous lui prêtons toute
notre attention» (Hausherr 1960, 83).
1859 Gregorio di Nissa, De or. dom. III (39, 15 ss. [cfr. Fritz; Lozza, 216-217; Ale-
xandre 2008]). La dossologia ribadisce l’identificazione del «regno» con lo Spirito: «Tua
è la potenza, cioè il Figlio, e il regno, cioè lo Spirito santo».
576 Parte seconda, Capitolo nono
pegno oggi, cioè affinché la sua dolcezza si faccia sentire in noi in questo
secolo, suscitando una sete ardente». Sono infine in piena continuità con
la tradizione esegetica le brevi spiegazioni della quinta e della sesta do-
manda, con l’esortazione rispettivamente a praticare l’ajmnhsikakiva e ad
evitare di finire in tentazione senza il volere di Dio.
La paternità evagriana di questo frammento, quantunque assai succin-
to, è suscettibile di essere rafforzata dal punto di contatto più significativo
con i Capitoli sulla preghiera, che registrano anch’essi una spiegazione
analoga per la seconda domanda del Padrenostro. Anche in questo caso il
testo (cap. 59) è connotato da un’estrema brevità, ma ciò non toglie che
aiuti ad intravedere un nucleo concettuale molto importante1860. La prima
formulazione fa propria in termini sintetici un’idea che è fondamentale
per Origene, e che s’incontra del resto anche in altri protagonisti del di-
scorso cristiano sulla preghiera, soprattutto in relazione al modello della
Preghiera del Signore: chi vuole pregare ha bisogno dell’aiuto divino; è
Dio stesso che dona la grazia della preghiera e lo fa già offrendone il para-
digma esemplare nel Padrenostro. Evagrio pertanto raccomanda di pregare
secondo questo modello, invocando il sostegno del Padre con la recita
della preghiera insegnata da Gesù. Poi lo esemplifica con la prima e la
seconda petizione, precisando che quest’ultima ha per oggetto la richiesta
della venuta dello Spirito e del Figlio unigenito, senza cioè riproporre
l’equivalenza più ristretta del «regno» con lo «Spirito». Infine Evagrio ri-
badisce il valore esemplare del Padrenostro, ricordando che questo è l’in-
segnamento stesso di Gesù e accosta Mt 6, 9-10 a Gv 4, 23-24: pregare
il Padrenostro equivale in tal modo ad «adorare in spirito e in verità». Il
luogo giovanneo offre così la chiave di lettura del Padrenostro, come
conferma anche il testo del capitolo successivo (cap. 60), dove il Pontico
afferma che «colui che prega in spirito e verità non trae più dalle creature
le lodi che dona al Creatore, ma loda Dio da Dio stesso»1861.
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1860 De orat. 59 (1180A-B): eij proseuvxasqai bouvlei, Qeou' creiva tou' didovnto"
eujch;n tw/' eujcomevnw/: oujkou'n ejpikalou' aujto;n levgwn, ÔAgiasqhvtw to; o[nomav sou, ejlqevtw
hJ basileiva sou (Mt 6, 9-10), toutevsti to; a{gion Pneu'ma, kai; oJ monogenhv" sou UiJov":
ou{tw ga;r ejdivdaxe, levgwn, ejn Pneuvmati kai; ajlhqeiva/ proskunei'sqai (Gv 4, 23) to;n
Qeovn, toutevsti to;n Patevra, ejpei; kai; ta; triva Qeov". Hausherr 1960, 82, nota 12 ritiene
una glossa toutevsti... Qeov", ma l’implicazione trinitaria sembra del tutto naturale. In altri
testi evagriani citati da Hausherr, il dono di Dio consiste nello «stato di orazione», cioè la
contemplazione della Trinità (ibi, 82-83, con riferimento a Keph. gnost. V, 79 [210]).
1861 De orat. 60 (1180 B): ÔO ejn pneuvmati kai; ajlhqeiva/ proseucovmeno" oujkevti ejk
tw'n ktismavtwn to;n Dhmiourgo;n geraivrei, ajll∆ ejx aujtou' aujto;n ajnumnei'. Altre allusioni
a Gv 4, 23-24 compaiono in De orat. 78 (1184C): fiavlhn de; uJpolhptevon th;n pro;" Qeo;n
filivan, h[toi th;n teleivan kai; pneumatikh;n ajgavphn, ejn h/| proseuch; ejnergei'tai ejn pneuv-
mati kai; ajlhqeiva/; 141 (1197D): hJ th'" ejn pneuvmati kai; ajlhqeiva/ fobera'" kai; uJper-
fuou'" proseuch'" ajnatuvpwsi".
La costruzione di un modello 577
Vi è ancora un altro passo in cui i Capitoli sulla preghiera richiama-
no espressamente l’esemplarità del Padrenostro per la prassi orante. Si
tratta del cap. 31 che, unitamente ai capp. 32-34, tratta la questione del
contenuto della preghiera, della sua rispondenza alla volontà di Dio e del
suo esaudimento. Colui che prega deve sempre ispirarsi all’indicazione
racchiusa nella terza domanda – «Sia fatta la tua volontà» (Mt 6, 10) –
senza aspettarsi di veder realizzato il proprio volere, che in genere non
s’accorda con il volere di Dio1862. Evagrio non menziona la preghiera di
Gesù nel Getsemani (Mt 26, 39.42), ma la sua riflessione sembra impli-
carla, non senza associarvi indirettamente un’allusione alla provvidenza
onnisciente di Dio in Mt 6, 8. Conformemente alla riserva sull’adeguatez-
za dei contenuti delle domande, già formulata in antico da Pitagora, Eva-
grio dichiara che colui che prega non è in grado di riconoscere ciò che è
veramente bene per lui, ma egli sa anche che Dio vuole sempre quanto è
«buono e utile all’anima». Come Gesù nella scena del Getsemani, l’orante
deve quindi rimettersi al volere di Dio su di lui, senza pretendere di indi-
rizzarlo in alcun modo. A rafforzare l’idea interviene anche una confes-
sione personale sulla sua esperienza di orante: il Pontico ammette di aver
voluto talora “forzare la mano” a Dio, insistendo nella richiesta e doman-
dandogli di attuare le proprie volontà anziché rimettersi al suo volere
provvidenziale, salvo poi rendersi conto che l’esaudimento non poteva
non risultare diverso dalle attese 1863. In realtà, come precisa il cap. 33,
l’unico vero bene è Dio e noi non dobbiamo far altro che affidarci inte-
ramente al suo disegno provvidenziale 1864. Osservata integralmente, que-
sta indicazione finirebbe per sopprimere la necessità della preghiera di
domanda, che sta tanto a cuore alla riflessione di Origene. Non è questo
però l’obiettivo di Evagrio, come appare anche dal capitolo conclusivo di
questa sezione (cap. 34), dove egli si misura con il problema del ritardo
nell’esaudimento. Ciò si verifica perché Dio vuole realizzare un beneficio
più grande con chi persevera nella preghiera e tale beneficio – sembra
suggerire il Pontico – consiste proprio nel protrarre il dialogo orante con
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1862 De orat. 31 (1173B-C): Mh; proseuvcou ta; sa; qelhvmata genevsqai: oujde; ga;r
pavntw" sumfwnou'si tw/' qelhvmati tou' Qeou', ajlla; ma'llon kaqw;" ejdidavcqh", proseuv-
cou levgwn: Genhqhvtw to; qevlhmav sou ejn ejmoiv: kai; ejpi; panti; pravgmati ou{tw" aujto;n
ai[tei i{na to; aujtou' gevnhtai qevlhma. qevlei ga;r to; ajgaqo;n kai; sumfevron th/' yuch/', su; de;
ouj pavntw" tou'to zhtei'". Per la forma del testo si veda Hausherr 1960, 50.
1863 De orat. 32 (1173C): Pollavki" proseucovmeno" h/jthsavmhn genevsqai moi o}
e[doxa kalo;n ei\naiv moi, kai; ejpevmenon tw/' aijthvmati, ajlovgw" biazovmeno" to; qevlhma tou'
Qeou', kai; mh; ajpodidou;" aujtw/', i{na o} oi\de sumfevron aujto;" ma'llon oijkonomhvsh/, kai;
mevntoi labwvn, u{steron hjcqevsqhn livan, diovti ma'llon to; bouvlhma eJautou' h/jthsavmhn ge-
nevsqai: ouj ga;r toiou'tovn moi ajphvnthse to; pra'gma, oi|on ejnovmizon.
1864 De orat. 33 (1173D): Tiv a[llo ajgaqovn, ajll∆ h] Qeov"… Oujkou'n aujtw/' ajpodw'men
pavnta ta; kaq∆ hJma'", kai; eu\ hJmi'n e[stai: oJ ga;r ajgaqo;" pavntw", kai; ajgaqw'n ejsti paro-
ceu;" dwrew'n.
578 Parte seconda, Capitolo nono
lui 1865. È vero che qui ritorna il tema dell’orazione come oJmiliva, ma il col-
legamento con la «domanda» (ai[thma) non viene meno (chiarendo meglio
così il nesso fra devhsi" e oJmiliva, che abbiamo incontrato negli Skemma-
ta)1866. Semmai la considerazione per cui il protrarre la preghiera è accom-
pagnato dal beneficio unico del colloquio con Dio richiama alla memoria
le analoghe riflessioni di Clemente Alessandrino ed Origene sui vantaggi
dell’atto orante in quanto tale1867. Nondimeno, come evidenzia ancora il
cap. 88, dove Evagrio cita la parabola di Lc 18, 2-6 che inculca la perseve-
ranza nella preghiera, egli esorta ad insistere nella richiesta a Dio senza
disperare di essere esauditi da lui, perché Dio alla fine lo concederà1868.
Come non ha affatto ignorato il Padrenostro, ma anzi ne ha tratto
spunti importanti per la dottrina sull’orazione, allo stesso modo Evagrio
non poteva trascurare l’istruzione preliminare alla Preghiera del Signo-
re in Mt 6, 5-8, che in Origene ci è apparsa come la fonte d’ispirazione
scritturistica più ravvicinata per descrivere l’atto orante. L’avvertimento
di Gesù contro il modo appariscente di pregare degli «ipocriti», vogliosi
del riconoscimento altrui (Mt 6, 5), pare riecheggiare, in particolare, nel
cap. 41. Il Pontico invita qui all’autoanalisi per considerare se nel modo
di pregare ci si lasci vincere dall’aspettativa di essere lodati. È il pericolo
della vanagloria denunciato negli scritti pratici come l’ultimo e più insi-
dioso ostacolo sul cammino verso l’ajpavqeia insieme alla superbia1869. Il
rischio è collegato in Evagrio anche all’altra ammonizione evangelica, che
invita ad astenersi da un eccesso di parole (Mt 6, 7), come vediamo dalla
raccomandazione del cap. 148 a non compiacersi né delle proprie parole
né della lode che esse attirano, onde evitare di divenire preda degli scherni
dei demoni al momento della preghiera1870. Del resto, Evagrio cita espres-
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1865 De orat. 34 (1173D): Mh; wJ" ejn dunavmei komizovmeno", eujqevw" to; ai[thma zhv-
tei: bouvletai gavr se ejpi; plevon eujergeth'sai proskarterou'nta aujtw/' ejn th/' proseuch/':
tiv ga;r ajnwvteron tou' tw/' Qew/' prosomilei'n, kai; th/' pro; aujto;n sunousiva/ perispa'sqai…
1866 Cfr. nota 1847.
1867 Cfr. p. 160.
1868 De orat. 68 (1185D): Eujquvmei toigarou'n proskarterw'n ejmpovnw" th/' aJgiva/
proseuch/'.
1869 De orat. 41 (1176B): ”Ora, eja;n ajlhqw'" Qew/' parevsthka" ejn th/' proseuch/' sou,
h] ejpaivnw/ ajnqrwvpwn hJtta'sai, kai; touvtwn qhra/'n ejpeivgh/, w{sper ejpikaluvmmati cecrhmev-
no" th/' paratavsei th'" proseuch'". Hausherr 1960, 61 adotta la lezione paratavsei invece
di parastavsei. Si veda anche ibi, 146 per l’interpretazione del tamei'on di Mt 6, 6 in Let-
tera 4 come la «science divine [...] où nous verrons le Père saint et caché» (Evagrio Pon-
tico. Lettere dal deserto, 23, nota 18). Se in Antirrh. VII, 31 Mt 6, 5 è opposto alla vanaglo-
ria, De octo spir. 16 (PG 79, 1161A) la contrasta con Mt 6, 5-6: ∆En plateivai" proseuvce-
sqai sumbouleuvei kenodoxiva, oJ de; polemw'n tauvth/ proseuvcetai eij" tamiei'on aujtou'.
1870 De orat. 148 (1199A): Mh; e[so logocarh;" mhde; doxocarhv". Evagrio attesta
per primo i due aggettivi, se non li ha creati lui stesso. Anche Ad virg. 15 (147) esorta ad
astenersi dal «multiloquio»: “Anoige so;n stovma lovgw/ qeou', kai; kwvlue ajpo; polulogiva"
th;n glw'ssan sou. De cogit. 14 (200, 4-8) riconduce l’abbondanza di parole all’azione del
La costruzione di un modello 579
samente Mt 6, 7 al cap. 151, osservando che non la «quantità» bensì la
«qualità» è decisiva nella preghiera, e in quanto tale è meritevole di plauso,
adducendo come prova, insieme al versetto evangelico, la testimonianza
della parabola del fariseo e del pubblicano1871. Con quest’ultimo riferi-
mento incrociamo di nuovo un luogo scritturistico cruciale per il discorso
eucologico dei primi secoli, che ha lasciato una seconda traccia significa-
tiva in un altro passo dei Capitoli sulla preghiera, dove il Pontico esorta
a pregare sull’esempio del pubblicano1872. In ogni caso, la matrice evan-
gelica della riflessione di Evagrio si evidenzia più di tutto nell’importanza
accordata all’insegnamento di Mt 5, 23, anche indipendentemente dalla
citazione diretta del passo, che comanda di compiere l’offerta a Dio solo
dopo essersi riconciliati con il prossimo1873. Il rigetto della mnhsikakiva è
fondamentale per l’immagine dell’atto orante nel Pontico, che ha dedicato
particolare attenzione alle manifestazioni dell’ira e alle conseguenze nega-
tive di questo vizio che compromette la purezza della preghiera. Così al
cap. 104 accenna al requisito del perdono e della riconciliazione fraterna
in base alla parabola del servo malvagio (Mt 18, 23-35)1874, mentre nello
scritto Sui pensieri trae la medesima indicazione da 1Tm 2, 8, richiaman-
dosi di nuovo ad un luogo tradizionale1875.
Come emerge da questa rassegna, sia pure focalizzata attorno ai Ca-
pitoli sulla preghiera, l’elaborazione scritturistica del modello della «pre-
ghiera pura» o «preghiera spirituale» in Evagrio rivisita in sostanza alcuni
dei nuclei esegetici più significativi, presenti in Origene ed in altri autori,
riproponendoli in maniera autonoma all’interno di una distinta visuale
eucologica. Benché a scorrere le pagine del Pontico le citazioni o allu-
sioni esplicite a passi biblici possano risultare relativamente poche, spe-
cie se messe a confronto con l’abbondanza di riferimenti in Origene, esse
non hanno comunque valore accessorio perché toccano nodi essenziali
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demone della vanagloria: pavnu tapeinoi' tou' ajnacwrou'nto" to;n nou'n pollw'n lovgwn auj-
to;n plhrw'n kai; ta;" proseuca;" aujtou' lumainovmeno", di∆ w|n pavvnta ta; th'" yuch'" aujtou'
trauvmata qerapeuvein spoudavzei.
1871 De orat. 151 (1199B): Proseuch'" e[paino" oujc aJplw'" hJ posovth", ajll∆ hJ
poiovth", kai; tou'to dhlou'sin oiJ ajnabavnte" eij" to; iJero;n (cfr. Lc 18, 10) kai; to; ÔUmei'"
proseucovmenoi, mh; battologhvshte (Mt 6, 7) kai; ta; eJxh'".
1872 De orat. 102 (PG 79, 1189C): Mh; farisai>kw'", ajlla; telwnikw'" proseuvcou
ejn tw/' iJerw/' tovpw/ th'" proseuch'", i{na kai; su; dikaiwqh/'" uJpo; Kurivou. Evagrio risulta es-
sere il primo ad avere usato l’avverbio telwnikw'", adoperato poi solo in epoca medievale.
1873 Mt 5, 23 è citato in De orat. 21 (PG 79, 1172B): “Afe" sou to; dw'ron, fhsivn,
e[mprosqen tou' qusiasthrivou, kai; ajpelqw;n provteron diallavghqi tw/' ajdelfw/' sou, kai;
tovte proseuvxh/ ajtaravcw": hJ ga;r mnhsikakiva ajmauroi' to; hJgemoniko;n tou' proseucomev-
nou kai; skotivzei touvtou ta;" proseucav". Cfr. anche De orat. 147 (1197D).
1874 Cfr. supra, nota 1852.
1875 De cogit. 5 (166, 17–168, 19): ∆All∆ ejgw; to;n toiou'ton makra;n kaqara'" pro-
seuch'" peivqomai ei\nai, lumew'na to;n qumo;n th'" toiauvth" eujch'" ejpistavmeno".
580 Parte seconda, Capitolo nono
della sua concezione della preghiera. Né la selezione operata apparente-
mente da Evagrio rispetto all’ampio fascio di coordinate scritturistiche at-
testate nel discorso origeniano si rivela inadeguata a cogliere pienamente
la portata delle premesse bibliche. Riandando all’indicazione del cap. 59
riguardo alla necessità di Dio stesso onde attuare la preghiera spirituale,
possiamo ancora osservare come l’invocazione del dono dello Spirito, ol-
tre ad appoggiarsi alla variante lucana della seconda domanda del Pater,
si riallacci poco oltre (cap. 63) a Rm 8, 26-27, luogo decisivo – come s’è
visto – per tutta l’impostazione di Origene. Con l’Alessandrino, anche il
Pontico riconosce il concorso dello Spirito, «che compatisce la nostra de-
bolezza»: anche «quando siamo impuri», egli sovviene all’intelletto che si
sforza di pregarlo in modo veritiero liberandolo dall’assedio di «pensie-
ri» e «rappresentazioni» e guidandolo così alla «preghiera spirituale»1876.
D’altra parte, bisogna supporre che il Pontico sfrutti il rinvio al luogo
paolino senza porsi in contraddizione con se stesso, dal momento che la
sua concezione è imperniata costitutivamente proprio sulla «necessità
della purezza assoluta per l’orazione e la contemplazione». Pertanto è le-
cito pensare con Hausherr che Evagrio abbia in mente qui la condizione
di un intelletto che non acconsente più al male, ma rimane ancora preda
del turbamento dei «pensieri»1877. Sebbene una tale idea non contrasti di
certo con la visuale «sinergica» dell’Alessandrino sul rapporto fra sforzo
umano e sostegno divino all’orazione alla luce del nesso fra virtù e preghie-
ra, l’appropriazione evagriana di Rm 8, 26-27 non sembra rivestire quel
rilievo fondamentale che ha per Origene, soprattutto per la nota dramma-
tica che accompagna la sua ripresa nel trattato, se non forse in un passo
degli Scolii all’Ecclesiaste dove il Pontico accenna all’incapacità umana
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1876 De orat. 63 (PG 79, 1180C): To; a{gion Pneu'ma sumpavscon th/' hJmetevra/ ajsqe-
neiva/, kai; ajkaqavrtoi" ou\sin ejpifoita/' hJmi'n, kai; eij eu{roi to;n nou'n hJmw'n filalhvqw"
aujtw/' proseucovmenon, ejpibaivnei aujtw/' kai; a{pasan th;n kuklou'san aujto;n tw'n logismw'n
h] tw'n nohmavtwn favlagga ejxafanivzei, protrepovmenon aujto;n eij" e[rga pneumatikh'"
proseuch'". Bettiolo (Evagrio Pontico. Per conoscere lui, 178, nota 2) accosta a questo
capitolo De orat. 70 (PG 79, 1181C) identificando «colui che compatisce» nello Spirito
anziché in Cristo come sommo sacerdote: Sth'qi ejpi; th'" fulakh'" sou fulavttwn to;n nou'n
sou ajpo; nohmavtwn kata; to;n kairo;n th'" proseuch'", sth'nai ejpi; th/' oijkeiva/ hjremiva,/ i{na oJ
sumpavscwn toi'" ajgnoou'si (Eb 5, 2), kai; soi ejpifoithvsh/, kai; tovte lhvyh/ dw'ron proseu-
ch'" eujkleevstaton.
1877 Hausherr 1960, 88 commenta così: «C’est ici peut-être le chapitre le plus diffi-
cile à interpréter. Il semble en effet renverser tout le système, dont c’est une des maîtres-
ses pièces que la nécessité de la pureté absolue pour l’oraison et la contemplation. Bien
entendu, nous sommes loin de la doctrine messalienne affirmant la possibilité d’une pré-
sence simultanée dans l’âme du Saint-Esprit et du démon ou du péché. L’impureté dont il
s’agit ici c’est [...] la simple existence de pensées troublantes dans une âme déjà libre de
tout consentement au mal, mais encore en butte aux harcèlements intérieurs qui empê-
chent l’ “état paisible” requis pour la prière véritable».
La costruzione di un modello 581
di «parlare con Dio» (qeologei'n)1878. Inoltre Evagrio, a differenza di
Origene, non pare disposto ad ammettere uno spazio per la preghiera del
peccatore che è ancora irretito in qualche modo nella propria colpa1879.
Sotto entrambi gli aspetti riscontriamo quindi ancora una volta la dipen-
denza ed insieme l’autonomia del Pontico rispetto all’Alessandrino.
Senza soffermarci adesso su prerequisiti e condizioni della preghie-
ra, se non per notare di passaggio che la dottrina di Evagrio affina e arric-
chisce l’insegnamento tradizionale con dovizia di considerazioni psico-
logiche e ascetiche tratte specialmente dell’esperienza monastica (quali,
ad esempio, l’importanza della preghiera delle lacrime, d’altronde già av-
vertita da Origene, e il ruolo distinto riconosciuto alla salmodia)1880, con-
viene piuttosto esaminare la messa in luce dell’orizzonte agonico della
preghiera che rappresenta uno dei suoi contributi più peculiari. Infatti,
se è vero che già Origene aveva descritto l’atto orante sullo sfondo di uno
scenario cosmico in cui si fronteggiano angeli e demoni, Evagrio ne ap-
profondisce particolarmente la componente demonologica sforzando-
si di mettere in luce come le potenze malvage tentino di sabotare in tutti
i modi la ricerca della «preghiera pura». Si tratta per lui di un tema ricor-
rente, come prova il fatto che lo accenni concludendo con un’esortazione
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1878 Sch. in Eccl. 35 (116, 1-6) ad Qo 5, 1-2 («Non essere precipitoso con la bocca
e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei
sulla terra; perciò le tue parole siano parche, poiché dalle molte preoccupazioni vengono i
sogni e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto»): To; ga;r tiv proseuxwvmeqa kaqo;
dei' oujk oi[damen (Rm 8, 26). ‘H tavca nu'n ouj tou'to bouvletai levgein, prostavssei de; mh;
ajperiskevptw" qeologei'n: ouj ga;r dunato;n to;n ejn aijsqhtoi'" o[nta kai; ajpo; touvtwn lam-
bavnonta ta; nohvmata peri; tou' o[nto" ejn toi'" nohtoi'" qeou' kai; pa'san diafeuvgousan
ai[sqhsin ajptaivstw" dialecqh'nai. La seconda citazione di Rm 8, 26-27 compare in Ad
Eul. 30 (nota 1890).
1879 Si veda, ad esempio, in De orat. 145 (PG 79, 1197C) la singolare esegesi di
1Cor 11, 10 («Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a
motivo degli angeli»), inteso come rimprovero per colui che voglia accostarsi alla preghie-
ra essendo ancora preso dai propri peccati (oJ ejn aJmartivai" ejnecovmeno").
1880 Anche per lui una vita virtuosa rappresenta la precondizione necessaria per una
preghiera che voglia essere autentica. Ciò implica, fra l’altro, rammentare costantemente i
propri peccati e piangere per essi (De orat. 5-8). Sotto tale profilo Evagrio si fa interprete
dei temi del pevnqo" e delle lacrime, nello spirito del monachesimo primitivo, ma mettendo
anche in guardia dagli eccessi (8). Sul pregare con lacrime si veda, in particolare, De orat.
6 (PG 79, 1169A): Kevcrhso toi'" davkrusi pro;" panto;" aijthvmato" katovrqwsin: livan
ga;r caivrei sou oJ Despovth" ejn davkrusi proseuch;n decovmeno"; cfr. anche 78 e Ad virg.
25 (148): Davkrusin ejn nukti; parakavlei to;n kuvrion, kai; mhdei;" ai[sqhtai proseucomev-
nh" sou kai; euJrhvsei" cavrin. Evagrio inculca così un atteggiamento di umiltà nell’orante
con la confessione delle colpe (De orat. 43) e il costante ricordo di esse (144). Quanto alla
salmodia, che per Evagrio si affianca alla preghiera vera e propria come espressione dotata
di sue caratteristiche, si veda Dysinger. Un posto a sé l’occupa infine la preghiera «antir-
retica», di cui Evagrio è il teorizzatore per eccellenza con l’Antirretico, come mostra Ber-
nardini.
582 Parte seconda, Capitolo nono
alla preghiera lo scritto programmatico che s’intitola Basi della vita mo-
nastica:
«prega in timore, tremore, fatica, sobrietà e veglia. Così si deve pregare, soprat-
tutto a motivo dei nemici invisibili, dai mali modi e dalle male occupazioni, che
[proprio] in quest’[ora] ci vogliono ingiuriare. Infatti, quando costoro ci vedono
dediti alla preghiera, allora essi pure ci attaccano con sollecitudine, suggerendo
all’intelletto quel che non si deve pensare né considerare, per condurre via prigio-
niero il nostro intelletto e rendere oziose, vane e inutili l’invocazione e la supplica
che procedono dalla preghiera. Realmente vane e inutili sono infatti la preghiera,
l’invocazione e la supplica, quando non sono portate a termine in timore e tremo-
re, in sobrietà e veglia, come si è detto. Se uno, accostandosi a un uomo [che sia]
re, lo invoca così – in timore, tremore e sobrietà –, non ci si deve presentare in
modo simile tanto più a Dio, il Padrone di tutto, e al Cristo, re di quanti regnano
e principe dei principi, e fare così la nostra invocazione e supplica?»1881.
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1930 Conl. IX, 3, 4 (253, 6-11): «Et idcirco quidquid orantibus nobis nolumus ut inre-
pat, ante orationem de adytis nostri pectoris extrudere festinemus, ut ita illud apostolicum
possimus inplere: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17), et: In omni loco levantes puras
manus sine ira et disceptatione (1Tm 2, 8)». L’abbinamento ritorna anche in Conl. IX, 6, 5
(257, 17-22): «Cumque mens tali fuerit tranquillitate fundata vel ab omnium carnalium
passionum nexibus absoluta, et illi uni summoque bono tenacissima adhaeserit cordis in-
tentio, apostolicum illud inplebit: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17) et: In omni loco le-
vantes puras manus sine ira et disceptatione (1Tm 2, 8)». Il primo passo è citato ancora in
Conl. IX, 7, 3 (258, 19-21): «praesertim cum nullo tempore nos ab ea cessare beatus apo-
stolus moneat dicens: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17); X, 14, 2 (307, 26–308, 2): ut
ita illud apostolicum mandatum: sine intermissione orate (1Ts 5, 17) possimus inplere»;
XXIII, 5, 9: «Quis tam familiaris deo tamque coniunctus, qui apostolicum illud imperium,
quo sine intermissione orare nos praecipit, vel uno die se gaudeat executum?». L’impor-
tanza di 1Ts 5, 17 è già segnalata dall’accenno nella prefazione e dai rinvii contenuti in
Inst. Cfr. Conl. Praef. 5 (4, 15-17): «de canonicarum orationum modo ad illius quam apo-
stolus praecipit orationis perpetuae iugitatem ascendat eloquium»; Inst. II, 1 (18, 2-5): «de
qualitate vero earum vel quemadmodum orare secundum apostoli sententiam sine inter-
missione (cfr. 1Ts 5, 17) possimus, suis in locis, cum seniorum conlationes coeperimus
exponere, quantum dominus donaverit, proferemus»; VIII , 13 (160, 3-5): «praecipitur ab
apostolo: sine intermissione orate (1Ts 5, 17), et: in omni loco levantes manus pura sine
ira et disceptatione (1Tm 2, 8)».
1931 Conl. IX, 2, 1 (250, 19-22): «Omnis monachi finis cordisque perfectio ad iugem
atque indisruptam orationis perseverantiam tendit, et quantum humanae fragilitati conce-
ditur, ad inmobilem tranquillitatem mentis ac perpetuam nititur puritatem».
1932 Conl. IX, 3, 1 (252, 5-13): «Et idcirco ut eo fervore ac puritate qua debet emitti
possit oratio, haec sunt omnimodis observanda. Primum sollicitudo rerum carnalium gene-
raliter abscidenda est, deinde nullius negotii causaeve non solum cura, sed ne memoria
quidem penitus admittenda, detractationes, vaniloquia seu multiloquia (cfr. Mt 6, 7), scur-
rilitates quoque similiter amputandae, irae prae omnibus sive tristitiae perturbatio funditus
598 Parte seconda, Capitolo nono
stretto raccordo intravisto da Cassiano fra lotta ai vizi, pratica delle virtù
e orazione1933, si noterà però una minore insistenza sul superamento della
mnhsikakiva, inculcato peraltro anche da 1Tm 2, 8, sebbene egli non igno-
ri affatto tale raccomandazione. Come mostra, fra l’altro, un commento a
Mt 5, 23-24 nell’ottavo libro degli Instituta, il precetto evangelico della
riconciliazione fraterna è vincolante per l’orante e la sua mancata osser-
vanza compromette gravemente la possibilità di realizzare la preghiera
ininterrotta1934. In ogni caso, a prescindere dalla purificazione preliminare
e dalla condotta virtuosa che l’orante è chiamato ad attuare nella propria
vita, le disposizioni interiori che devono sempre accompagnare le mani-
festazioni della preghiera sono riassunte nell’invito di Gesù a ritirarsi
nella propria «cameretta» (Mt 6, 6), inteso anche da Cassiano (sulle
tracce più direttamente di Evagrio) come il disfarsi di ogni pensiero e sol-
lecitudine esteriori1935.
Quando il discorso passa a illustrare le forme della preghiera, ciò av-
viene nuovamente a partire da un riferimento normativo come 1Tm 2, 1,
anche in ragione del fatto che per Cassiano è impossibile descrivere ade-
guatamente la grande varietà delle esperienze di preghiera nella vita di un
individuo, un’osservazione che concorre insieme ad altre nel tracciare sia
una certa psicologia sia anche una visione pedagogica della preghiera
meglio abbozzata che altrove1936. Diversamente da Evagrio, che si è ispi-
––––––––––––––––––
eruenda, concupiscentiae carnalis ac filargyriae noxius fomes radicitus evellendus». Ben-
ché Mt 6, 7 non sia mai citato, è lecito coglierne un’eco nell’avvertenza contro i «vanilo-
quia seu multiloquia». Un’ulteriore allusione alla catechesi matteana sulla preghiera po-
trebbe venire dall’espressione: «de adytis nostri pectoris» (Conl. IX, 3, 4), qualora essa
rinvii implicitamente al termine tamei'on di Mt 6, 6. Tuttavia, Conl. IX , 35, 1 lo rende
come cubiculum (nota 1935).
1933 Conl. IX, 2, 1 (251, 3-6): «nam sicut ad orationis perfectionem omnium tendit
structura virtutum, ita nisi huius culmine haec omnia fuerint conligata atque conpacta,
nullo modo firma poterunt vel stabilia perdurare»; IX, 3, 4 (253, 11-14): «alias namque
mandatum istud perficere non valebimus, nisi mens nostra ab omni vitiorum purificata
contagio virtutibus tantum velut naturalibus bonis dedita iugi omnipotentis dei contem-
platione pascatur».
1934 Inst. VIII, 13 (160, 5-11): «superest igitur, ut aut numquam oremus huiusce-
modi virus retinentes in cordibus nostris et apostolico huic praecepto sive evangelico, quo
indesinenter et ubique iubemur orare, simus obnoxii, aut, si nosmet ipsos circumvenientes
precem fundere contra eius interdictum praesumimus, non orationem domino, sed rebellio-
nis spiritu contumaciam nos eidem noverimus offerre». Cfr. anche Conl. XVI, 6, 6-7; 6, 15.
1935 Conl. IX, 35 (282, 25-28): «intra nostrum cubiculum supplicamus, cum ab
omnium cogitationum sive sollicitudinum strepitu cor nostrum penitus amoventes secreto
quodammodo ac familiariter preces nostras domino reseramus».
1936 Conl. IX, 8, 1 (259, 3-7): «Universas orationum species absque ingenti cordis
atque animae puritate et inluminatione sancti spiritus arbitror comprehendi non posse. Tot
enim sunt quot in una anima, immo in cunctis animabus status queunt qualitatesque gene-
rari». L’accenno alla necessità dell’aiuto dello Spirito per un discorso adeguato sulla pre-
ghiera mostra analogie con l’impostazione di Origene.
La costruzione di un modello 599
rato solo in parte alla terminologia suggerita dal passo paolino (mante-
nendo comunque con Origene il primato della proseuchv), Cassiano la
sfrutta ampiamente sia per esemplificare la diversità delle tipologie, sia
per istituire un rapporto ad un tempo dinamico e gerarchico fra di loro1937.
In seguito ricondurrà sia l’uso separato delle singole forme di orazione sia
la loro sintesi o fusione al paradigma fondativo di Gesù orante. Sotto tale
profilo non può non colpire la sintonia con Origene, quantunque la dipen-
denza dal trattato sia difficile da provare, fatta eccezione forse per una
precisazione terminologica che riguarda l’oratio come «voto» 1938. D’altra
parte, l’Alessandrino è l’unico fra gli altri interpreti antichi ad aver ten-
tato di valutare le distinzioni terminologiche di 1Tm 2, 1 come riflesso di
condizioni o stati spirituali diversificati, tracciando grazie ad esse un mo-
dello di perfezionamento spirituale, come anche Cassiano si sforza di fare
con un approccio più organico1939. Egli elenca dapprima i quattro tipi di
preghiera secondo il tenore del passo paolino, fornendo una spiegazione
di ciascuno di essi in base alla seguente classificazione:
1. obsecratio (= devhsi")
2. oratio (= proseuchv)
3. postulatio (= e[nteuxi")
4. gratiarum actio (= eujcaristiva)
L’obsecratio è una «supplica» (imploratio) o richiesta (petitio) di per-
dono per i peccati1940, mentre l’oratio equivale in questo caso al «voto»1941.
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1937 Il debito verso Origene più che verso Evagrio è riconosciuto anche da Stewart,
107: «Cassian, like Origen, did not view the four varieties as simple alternatives. He linked
them to stages of progress in monastic life and prayer. Although some of his interpreta-
tions were based on those of Evagrius, the greater part of this section does not appear to
be based on Evagrian material».
1938 Secondo Alexandre, 194-195, «Cassien connaît Origène, en particulier le traité
Sur la prière, mais il n’en dépend pas étroitement. [...] Certainement il se souvient du dé-
veloppement d’Origène au début de son traité sur euchê, prière/voeu, et l’applique à l’ora-
tio mécaniquement, puisque le mot latin, lui n’a pas ce sens de vœu. Mais les valeurs qu’il
donne aux termes pauliniens [...], leur hiérarchisation monastique, diffèrent des remarques
d’Origène».
1939 Cfr. FrPs 27 (28), 6 (nota 1353), dove il culmine è rappresentato ugualmente
dall’eujcaristiva .
1940 Conl. IX, 11 (261, 4-6): «obsecratio inploratio est seu petitio pro peccatis, qua
vel pro praesentibus vel pro praeteritis admissis suis unusquisque conpunctus veniam de-
precatur».
1941 Conl. IX, 12, 1 (261, 7-8): «Orationes sunt quibus aliquid offerimus seu vove-
mus deo, quod Graece dicitur eujchv , id est votum». Per Alexandre, 177, nota 40, «son inter-
prétation d’oratio repose sur le grec euchê, suivant une remarque d’Origène, Perì Euchês 3,
sur les deux sens du mot: prière/vœu». Cfr. anche Stewart 2003, 206, nota 102: «though
strained, it does allow him to follow Origen, who distinguished between two kinds of eujchv
and Evagrius, who distinguished between eujchv and proseuchv». Fatta eccezione per que-
600 Parte seconda, Capitolo nono
A sua volta la postulatio è da intendere come l’«intercessione» a benefi-
cio di altri1942, laddove la gratiarum actio indica il «ringraziamento» per i
beni passati, presenti e futuri ad opera di Dio 1943.
La specifica funzione assegnata a ciascuno dei tipi di preghiera si
compone poi per Cassiano con l’idea della «preghiera di fuoco», che già
qui comincia a fare sentire il suo peso nell’argomentazione, come lo sboc-
co più alto fra le diverse manifestazioni oranti. Infatti, in linea di principio,
ogni singola tipologia può dare adito alla preghiera ardente, confermando
così l’utilità insita in ognuna di esse per i singoli individui che le pratica-
no1944. Ma questo schema iniziale lascia subito il posto ad una classifica-
zione di tipo gerarchico e progressivo, per cui l’obsecratio compete più
specificamente ai principianti nella vita ascetica1945, mentre l’oratio è pro-
pria di coloro che sono progrediti nell’osservanza delle virtù e nell’ele-
vatezza dei pensieri1946. Al terzo posto della scala ascendente si situano
quanti hanno titolo alla postulatio, grazie alla loro corrispondenza fra im-
pegni di vita e condotte personali1947. Infine, la gratiarum actio si colloca
al vertice del cammino spirituale, venendo ora a coincidere di fatto con il
trapasso alla preghiera di fuoco1948. A riprova del carattere volutamente
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sta distinzione terminologica, oratio ha sempre il valore generico di «orazione», ricondotto
invece qui al termine supplicatio (cfr. nota 1944).
1942 Conl. IX, 13 (262, 6-11): «Tertio loco ponuntur postulationes, quas pro aliis
quoque, dum sumus in fervore spiritus constituti, solemus emittere, vel pro caris scilicet
nostris vel pro totius mundi pace poscentes, et ut ipsius apostoli verbis eloquar cum pro
omnibus hominibus, pro regibus et omnibus qui in sublimitate sunt supplicamus».
1943 Conl. IX, 14 (262, 12-16): «Quarto deinde loco gratiarum actiones ponuntur,
quas mens, vel cum praeterita dei recolit beneficia vel cum praesentia contemplatur, seu
cum in futurum quae et quanta praeparaverit deus his qui diligunt eum prospicit, per inef-
fabiles excessus domino refert».
1944 Conl. IX, 15, 1 (262, 20–263, 4): «Ex quibus quattuor speciebus licet nonnum-
quam soleant occasiones supplicationum pinguium generari (nam et de obsecrationis spe-
cie quae de compunctione nascitur peccatorum, et de orationis statu quae de fiducia obla-
tionum et consummatione votorum pro conscientiae profluit puritate, et de postulatione
quae de caritatis ardore procedit, et de gratiarum actione quae beneficiorum dei et magni-
tudinis ac pietatis eius consideratione generatur, ferventissimas saepissime novimus preces
ignitasque prodire, ita ut constet omnes has quas praediximus species omnibus hominibus
utiles ac necessarias inveniri, ut in uno eodemque viro nunc quidem obsecrationum, nunc
autem orationum, nunc postulationum puras ac ferventissimas supplicationes variatus
emittat affectus)».
1945 Conl. IX, 15, 1 (263, 4-5): «tamen prima ad incipientes videtur peculiarius per-
tinere, qui adhuc vitiorum suorum aculeis ac memoria remordentur».
1946 Conl. IX, 15, 1 (263, 6-8): «secunda ad illos qui in profectu iam spiritali adpeti-
tuque virtutum quadam mentis sublimitate consistunt».
1947 Conl. IX, 15, 1 (263, 8-11): «tertia ad eos qui perfectionem votorum suorum
operibus adinplentes intercedere pro aliis quoque consideratione fragilitatis eorum et cari-
tatis studio provocantur».
1948 Conl. IX, 15, 1 (263, 11-16): «quarta ad illos qui iam poenali conscientiae spina
de cordibus vulsa securi iam munificentias domini ac miserationes, quas vel praeterito tri-
La costruzione di un modello 601
non sistematico dell’insegnamento, Cassiano introduce ancora un terzo
schema, secondo il quale le varie tipologie possono combinarsi fra loro, a
seconda dello stato di perfezione della mens, e generare allora preghiere
ferventissime le quali arrivano a coincidere con i «gemiti inenarrabili»
emessi in noi dallo Spirito (Rm 8, 26-27)1949. Il richiamo al passo paolino
tradisce nuovamente la piena appartenenza di Cassiano alla linea di pen-
siero esemplificata al meglio da Origene. Forse nessun altro, a parte l’Ales-
sandrino (e, come vedremo di seguito, Agostino), è stato capace di dare
tanto risalto al ruolo dello Spirito nella «preghiera spirituale», ma Cassia-
no aggiunge alla prospettiva origeniana la visuale indubbiamente nuova
ed originale della preghiera di fuoco.
I diversi schemi proposti sin qui trovano la loro giustificazione scrit-
turistica nel modello di Gesù orante: con la sua prassi di preghiera il Sal-
vatore esemplifica ciascuna delle tipologie, a cominciare dall’obsecratio,
che per Cassiano è rappresentata ad esempio dall’orazione di Gesù al
Getsemani, non senza un’evidente forzatura interpretativa rispetto alla
definizione avanzata inizialmente1950. Più che per le corrispondenze, in
parte problematiche, con le sue distinzioni terminologiche (come mostra
anche il caso dell’oratio o la ripartizione di Gv 17 fra diversi tipi di pre-
ghiere)1951, è importante notare in Cassiano la preoccupazione di trovare
la loro sanzione scritturistica nella condotta stessa di Gesù. D’altra parte,
il suo modello, oltre a sancire la possibilità e l’utilità di ciascuna singola
forma di preghiera, contempla anche la loro combinazione in una suppli-
––––––––––––––––––
buit vel in praesenti largitur vel praeparat in futuro, mente purissima retractantes ad illam
ignitam et quae ore hominum nec comprehendi nec exprimi potest orationem ferventis-
simo corde raptantur».
1949 Conl. IX, 15, 2 (263, 16-26): «Nonnumquam tamen mens, quae in illum verum
puritatis proficit adfectum atque in eo iam coeperit radicari, solet haec omnia simul pari-
terque concipiens atque in modum cuiusdam inconprehensibilis ac rapacissimae flammae
cuncta pervolitans ineffabiles ad deum preces purissimi vigoris effundere, quas ipse spiri-
tus interpellans gemitibus inenarrabilibus ignorantibus nobis emittit ad deum (cfr. Rm 8,
26-27), tanta scilicet in illius horae momento concipiens et ineffabiliter in supplicatione
profundens, quanta non dicam ore percurrere, sed ne ipsa quidem mente valeat alio tem-
pore recordari».
1950 Conl. IX, 17, 1 (264, 20-24): «Nam obsecrationis genus adsumit cum dicit: Pa-
ter, si possibile est, transeat a me calix iste (Mt 26, 39), vel illud quod ex persona eius
cantatur in psalmo: Deus deus meus respice me: quare me dereliquisti? (Sal 21[22], 2)
aliaque his similia». Tuttavia, in Conl. IX, 34, 10 (281, 13-19) la preghiera del Getsemani è
intesa più generalmente come la forma orandi: «Quem sensum dominus etiam noster orans
ex persona hominis adsumpti, ut formam quoque orandi nobis quemadmodum cetera suo
praeberet exemplo, ita cum oraret expressit: Pater, si possibile est, transeat a me calix iste:
verumtamen non sicut ego volo sed sicut tu (Mt 26, 39), cum utique eius a patris voluntate
non discreparet voluntas».
1951 Conl. IX, 17 esemplifica l’oratio con Gv 17, 4 e 17, 19; la postulatio con Gv
17, 24.
602 Parte seconda, Capitolo nono
catio perfecta, indicata da Cassiano in Gv 171952. Allargando la sua base
scritturistica, egli trova un’ulteriore illustrazione della preghiera che fonde
tra loro i singoli tipi e dà vita all’orazione ardente in Fil 4, 6 («Non angu-
stiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste,
con preghiere, suppliche e ringraziamenti»)1953. Come mostra anche l’uti-
lizzo di questa citazione, è innegabile che il paradigma elaborato gradual-
mente da Cassiano sia connotato da una tensione dinamica che punta sem-
pre verso l’esito più alto della preghiera di fuoco, senza che questo nasca
necessariamente da un itinerario ascendente1954. Con un affondo successi-
vo egli disegna tale orizzonte attraverso la formula dominicae orationis.
Il Padrenostro racchiude per Cassiano la richiesta di poter giungere a quel
«colloquio» più alto con Dio che si compie nella contemplazione amoro-
sa di lui1955. In tal modo Cassiano fa propria la definizione della preghiera
come oJmiliva, saldandola però più strettamente alla visuale della paternità
divina e alle manifestazioni della preghiera ardente.
La spiegazione che segue del Padrenostro (Conl. IX, 18-23) conferma
nuovamente la dipendenza di Cassiano dall’agenda più consueta delle
trattazioni eucologiche. Anche se tradisce qualche influsso del commento
evagriano, egli sviluppa però accenti che gli sono peculiari1956. Al pari di
Origene egli vede la Preghiera del Signore come l’espressione per eccel-
lenza della preghiera spirituale, tutta imperniata sulla richiesta dei beni
eterni come l’oggetto che si confà alla natura di Dio1957. Se l’invocazione
––––––––––––––––––
1952 Conl. IX, 17, 3 (265, 10-18): «Quae tamen quattuor supplicationum genera licet
singillatim ac diverso tempore secundum illum quem comprehendimus modum idem do-
minus noster distinxerit offerenda. Tamen etiam simul ea in supplicatione perfecta com-
prehendi posse identidem suis ostendit exemplis, per illam scilicet orationem quam ad fi-
nem evangelii secundum Iohannem legimus eum copiosissime profudisse. Ex cuius textu
quia longum est universa percurri, diligens inquisitor haec ita esse lectionis ipsius serie
poterit edoceri».
1953 Conl. IX, 17, 4 (265, 18-22): «Quem sensum apostolus quoque in epistula ad
Philippenses has quattuor supplicationum species aliquantum immutato ponens ordine
evidenter expressit ostenditque debere eas nonnumquam simul sub ardore unius supplica-
tionis offerri».
1954 Cfr. Alexandre, 180: «Par l’apparition de la prière de feu, non seulement au
sommet contemplatif de la vie solitaire, mais en des formes plus quotidiennes – action de
grâces, supplications, Oraison dominicale, occasion de psalmodie commune – Cassien
montre, de façon disséminée, sans souci de systématisation, la présence du feu en toute
expérience de prière, de degré en degré».
1955 Conl. IX, 18, 1 (265, 27–266, 3): «Haec itaque supplicationum genera subli-
mior adhuc status ac praecelsior subsequetur, qui contemplatione dei solius et caritatis ar-
dore formatur, per quem mens in illius dilectionem resoluta atque reiecta familiarissime
deo velut patri proprio peculiari pietate conloquitur. Quem statum debere nos diligenter
expetere formula dominicae orationis instituit».
1956 Stewart, 109. Cfr. anche Schnurr, 168-183.
1957 Conl. IX, 24 (272, 9-11): «Nihil enim caducum vult a se, nihil vile, nihil tem-
porale aeternitatum conditor inplorari».
La costruzione di un modello 603
al «Padre» che è «nei cieli» suscita anche in Cassiano l’idea della vita ter-
rena come esilio – analogamente a quanto abbiamo osservato in Gregorio
di Nissa –, la prima petizione è vista anzitutto come l’espressione della
pietas dei figli, ai quali sta a cuore in primo luogo la gloria di Dio1958. Net-
tamente subordinata appare invece l’altra spiegazione, più tradizionale, per
cui la nostra perfezione di vita equivale alla santificazione del Nome1959.
L’invocazione del regno, oggetto della seconda petizione, è intesa da Cas-
siano sia in senso spirituale – come la sovranità attuata da Dio nei santi,
secondo un’interpretazione di ascendenza origeniana – sia in senso esca-
tologico, come l’attesa del mondo futuro. Quanto alla terza petizione, Cas-
siano dichiara che non vi è preghiera più grande di quella che auspica l’as-
similazione delle realtà terrene alle realtà celesti, rielaborando in maniera
autonoma un’idea che era stata anche di Origene, cioè l’auspicio che la
condotta degli uomini sia esemplata su quella degli angeli 1960. Con Eva-
grio e Gregorio di Nissa, egli accoglie peraltro anche la spiegazione per
cui la «volontà di Dio» è la salvezza universale. D’impronta origeniana
sembra essere anche il commento della quarta petizione, rivolto unica-
mente all’idea di un nutrimento spirituale che ci viene da Dio e di cui si
deve fare richiesta a lui ogni giorno. In questo punto, anche per Cassiano
emerge più nettamente l’idea della condizione precaria dell’uomo in
quanto bisognoso dell’aiuto divino1961. Riguardo poi alla quinta petizione,
egli sembra voler puntare ad un’esegesi in parte affine a quella di Grego-
rio di Nissa, riconoscendo anche lui come Dio ci conceda di “vincolarlo”
mediante l’esercizio del perdono1962. Infine, l’esegesi della sesta petizione
––––––––––––––––––
1958 Conl. IX, 18, 3 (266, 15-18): «In quem filiorum ordinem gradumque provecti
illa continuo quae est in bonis filiis pietate flagrabimus, ut iam non pro nostris utilitatibus,
sed pro nostri patris gloria totum inpendamus affectum».
1959 Conl. IX, 18, 5 (267, 17-19): «Potest autem congrue satis istud quod dicitur
sanctificetur nomen tuum etiam taliter accipi: sanctificatio dei nostra perfectio est».
1960 Conl. IX, 20 (268, 18-23): «Non potest esse iam maior oratio quam optare, ut
terrena mereantur caelestibus coaequari. Nam qui est aliud dicere fiat voluntas tua sicut in
caelo et in terra quam ut sint homines similes angelis, et sicut voluntas dei ab illis inpletur
in caelo, ita etiam hi qui in terra sunt non suam, sed eius universam faciant voluntatem?».
1961 Conl. IX, 21, 2 (269, 20-23): «Omnique nos tempore hanc orationem debere
profundere indigentia eius cotidiana commoneat, quia non est dies quo non opus sit nobis
huius esu ac perceptione cor interioris nostri hominis confirmare».
1962 Conl. IX, 22, 1 (270, 5-14): «O ineffabilis dei clementia, quae non solum nobis
orationis tradidit formam et acceptabilem sibi morum nostrorum instituit disciplinam ac
per necessitatem traditae formulae, qua se praecepit a nobis semper orari, irae pariter ac
tristitiae evellit radices, sed etiam occasionem rogantibus tribuit eisque reserat viam, qua
clemens ac pium erga se provocent dei iudicium promulgari, et quodammodo potestatem
tribuit qua iudicis nostri possimus sententiam temperare, ad veniam delictorum nostrorum
exemplo eum nostrae remissionis artantes». Si noti il ricorrere dei termini forma e disci-
plina che ricordano il linguaggio di Tertulliano e Cipriano. Cfr. ancora Conl. IX, 24 (272,
6): «orationis [...] modulus et forma proposita».
604 Parte seconda, Capitolo nono
sembra riflettere più di tutte le altre una conoscenza di Orat da parte di
Cassiano: non solo perché egli accenna in chiave aporetica alla non mi-
nima quaestio riguardo al suo significato, ma anche perché riconosce poi
che il senso della richiesta è di non soccombere alla tentazione, legando
ad essa la settima petizione come la domanda perché il diavolo non ci
tenti sopra le nostre forze1963.
Benché il Padrenostro sia da considerarsi come la preghiera perfetta,
Cassiano lo subordina ad una forma più elevata di orazione alla quale esso
dinamicamente conduce: si tratta nuovamente della preghiera di fuoco o
preghiera silenziosa, conformemente all’interpretazione offerta dei tipi di
preghiera in 1Tm 2, 11964. Cassiano rafforza così la trasformazione del
paradigma della preghiera spirituale in senso monastico. Infatti, questa
forma superiore di preghiera appare come il riflesso più diretto dell’espe-
rienza monastica, sebbene Cassiano si premuri d’esemplificarla ancora
una volta tramite il modello di Gesù orante1965. Egli insiste sull’impossi-
bilità di descriverla a parole, ma lascia intendere che questo «stato» rin-
via ad un’esperienza in senso stretto «estatica» o «mistica», che prescinde
dall’uso di parole e concetti e trascende perciò lo stesso orizzonte dell’in-
telletto orante secondo il modello della «preghiera pura» di Evagrio. Non
a caso Cassiano cita a sua illustrazione un detto, non altrimenti noto, di
Antonio, assunto come paradigma della preghiera estatica («in excessu
mentis frequenter orant»), secondo cui «non è perfetta quella orazione
nella quale il monaco comprende se stesso o ciò per cui prega»1966. In-
vece, questo stato supremo, sia pure di natura momentanea, si caratterizza
per l’irruzione nell’animo dell’orante di una forza divina che rifluisce
come un fiume nell’intensissimo fervore della sua preghiera al di là dei
––––––––––––––––––
1963 Conl. IX, 23, 1 (271, 15-20): «Deinde sequitur: et ne nos inducas in temptatio-
nem, de quo non minima nascitur quaestio. Si enim oramus ne permittamur temptari, et
unde erit in nobis virtus constantiae conprobanda secundum illam sententiam: omnis vir
qui non est temptatus, non est probatus (Sir 34, 11), et iterum: beatus vir qui suffert temp-
tationem (Gc 1, 22)?».
1964 Conl. IX, 25 (272, 16-24): «Haec igitur oratio licet omnem videatur perfectionis
plenitudinem continere, utpote quae ipsius domini auctoritate vel initiata sit vel statuta,
provehit tamen domesticos suos ad illum praecelsiorem quem superius commemoravimus
statum eosque ad illam igneam ac perpaucis cognitam vel expertam, immo ut proprius
dixerim ineffabilem orationem gradu eminentiore perducit, quae omnem transcendens
humanum sensum nullo non dicam sono vocis nec lingua motu nec ulla verborum pronun-
tiatione distinguitur».
1965 Conl. IX, 25 (273, 1-5): «Quem statum dominus quoque noster illarum suppli-
cationum formula, quam vel solus in monte secedens vel tacite fudisse describitur, simili-
ter figuravit, cum in orationis agonia constitutus etiam guttas sanguinis inimitabili intentio-
nis profudit exemplo» (cfr. Lc 22, 44).
1966 Conl. IX , 31 (277, 7-10): «Cuius etiam haec quoque est super orationis fine
calestis et plus quam humana sententia: non est, inquit, perfecta oratio, in qua se mona-
chus vel hoc ipsum quod orat intellegit».
La costruzione di un modello 605
limiti del linguaggio umano1967. Sembra essere un cenno velato all’azione
dello Spirito descritta da Rm 8, 26-27. Benché Cassiano non lo menzioni
espressamente, il suo modello di preghiera «estatica» trova sicuramente
in esso un appiglio scritturistico fondamentale se non il parallelo più
prossimo, anche per l’insistenza sull’ineffabilità e i gemiti interiori1968.
Tuttavia, per mettere meglio in luce la sua fenomenologia, egli richiama
diversi stati d’animo che possono fungere da trampolino di lancio verso
la preghiera di fuoco come il trasporto interiore per il canto di un salmo,
l’ascolto di una fervida istruzione spirituale oppure la notizia della morte
di un fratello o di un proprio caro. Questi stati d’animo si focalizzano per
Cassiano nella compunctio del cuore e nella preghiera delle lacrime che
scaturisce da essa, insieme peraltro alle manifestazioni straordinarie di
gioia spirituale, anche se egli evita di fornirne una casistica troppo rigida
e schematica (Conl. IX, 26-31)1969.
La conclusione del discorso di Abba Isacco nella IX conferenza ritor-
na in un alveo più consueto, trattando il problema dell’esaudimento della
preghiera (Conl. IX, 32-34). Ancora una volta, la dipendenza di Cassiano
da una problematica tradizionale si accompagna a una novità di formula-
zioni, con un ventaglio di spiegazioni piuttosto articolato in risposta alla
––––––––––––––––––
1967 Conl. IX, 25 (272, 24–273, 1): «sed quam mens infusione caelestis illius lumi-
nis inlustrata non humanis atque angustis designat eloquiis, sed conglobatis sensibus velut
de fonte quodam copiosissimo effundit ubertim atque ineffabiliter eructat ad deum, tanta
promens in illo brevissimo temporis puncto, quanta nec eloqui facile nec percurrere mens
in semet ipsam reversa praevaleat».
1968 Ne abbiamo la prova più eloquente in Conl. IX, 27 (274, 3-8), dove Cassiano il-
lustra due diverse manifestazioni della compunctio, vocale e silenziosa; di quest’ultima
osserva: «Nonnumquam vero tanto silentio mens intra secretum profundae taciturnitatis
absconditur, ut omnem penitus sonum vocis stupor subitae inluminationis includat omnes-
que sensus adtonitus spiritus vel contineat intrinsicus vel amittat ac desideria sua gemitibus
inenarrabilibus effundat ad deum». Si veda anche Conl. X, 11, 6 (305, 27–306, 3): «per
ineffabilem cordis excessum inexplebili spiritus alacritate profertur, quamquam mens extra
omnes sensus ac visibiles effecta materies gemitibus inenarrabilibus atque suspiriis pro-
fundit ad deum». Anche per Stewart, 220, nota 169, «this phrase from Rom. 8:26 is found
in Cassian’s descriptions of ecstatic prayer in Conf. 9.15.2, 9.27, 10.11.6». Per Alexandre,
193, il nesso della preghiera di fuoco con lo Spirito rimane implicito: «Certes Cassien
évoque parfois “le feu céleste du Saint-Esprit”; le thème de l’inhabitation de l’Esprit dans
le cœur de l’homme est présent en son œuvre; et même les réminiscences des “gémisse-
ments inénarrables” de l’Esprit, intercédant pour nous selon Rm 8, 26, peuvent faire pen-
ser au feu de l’Esprit. Mais rien n’est explicite en ces passages sur un lien entre Esprit et
prière de feu».
1969 L’importanza accordata alla compunctio e alla preghiera delle lacrime, molto
più centrale per Cassiano rispetto ad Evagrio, rispecchia l’influsso della letteratura ascetica
siriana. Cfr. Stewart, 115: «Cassian certainly prized the Evagrian contemplative tradition
of “pure” (or imageless) prayer. But his emphasis on conpunctio indicates that he was also
drawn to a more affective and ecstatic mysticism akin to that of the Syrian tradition of the
Pseudo-Macarian writings and kindred texts such as the Syriac Book of Steps».
606 Parte seconda, Capitolo nono
quaestio. Preoccupato di fornire, per così dire, una certezza psicologica
all’orante, egli assicura che chi prega senza alcuna esitazione e con piena
fiducia non deve dubitare che la sua preghiera abbia effetto presso Dio.
Ma soprattutto raccoglie un ampio dossier di testimonianze scritturistiche
sulla preghiera esaudita, in relazione alla diversità di condizioni spirituali.
L’importanza dei riferimenti biblici è sottolineata dal fatto che Cassiano
non si limita a riproporre i luoghi evangelici già noti – come Mc 11, 24;
Mt 18, 19; Mt 17,19; Lc 11, 8 – ma vi aggiunge vari passi veterotestamen-
tari in genere poco considerati dagli autori precedenti, con l’eccezione di
Is 58, 9, che segnala un nuovo punto di contatto con Origene1970. Richiama
in parte accenti caratteristici dell’Alessandrino anche l’invito di Cassiano
ad insistere nella preghiera, nonostante non si abbia alcun “titolo” ad es-
sere esauditi, perché l’insegnamento di Gesù è esplicito riguardo alla ne-
cessità di supplicarlo instancabilmente1971. Originale è, da questo punto di
vista, lo sfruttamento del paradigma tradizionale di Daniele, perché Cas-
siano lo utilizza per spiegare come l’esaudimento della preghiera possa
combinarsi con il ritardo nella manifestazione dei suoi effetti1972. La per-
severanza è la condizione per l’efficacia della domanda, ma Cassiano ne
illustra ancor più acutamente i requisiti allorché introduce un nuovo rife-
rimento scritturistico, in genere poco usuale nelle trattazioni sulla pre-
ghiera: 1Gv 5, 14 («Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa
gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta»)1973. Il passo gio-
vanneo gli offre la chiave di volta per risolvere la quaestio dell’esaudi-
mento: condizione fondamentale per ottenere ascolto da Dio è chiedere
conformemente alla sua volontà. Egli rafforza l’idea rammentando a que-
sto punto l’incapacità di pregare secondo Rm 8, 26, che ribadisce a sua
volta l’orizzonte tradizionale della riflessione di Cassiano1974. Ma anche
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1970 Conl. IX, 34, 2-3 (278, 16-21): «Habes in emendatione vitae et operibus mise-
ricordiae secundum illud: Dissolve conligationis inpietatis, solve fasciculos deprimentes
(Is 58, 6). Et post pauca quibus infructuosi ieiunii sterilitas castigatur: tunc, inquit, invo-
cabis, et dominus exaudiet te: clamabis, et dicet: ecce adsum (Is 58, 9)».
1971 Conl. IX, 34, 5 (279, 11-16): «Hortatur enim nos dominus volens ea quae sunt
aeterna caelestiaque praestare, ut eum inportunitate nostra quodammodo coartemus, qui in-
portunos non modo non despicit nec refutat, sed etiam invitat et laudat, eisque praestitu-
rum se quidquid perseveranter speraverint benignissime pollicetur».
1972 Conl. IX, 34, 6 (279, 27–280, 3): «Quod autem infatigabiliter sit domino sup-
plicandum, etiam illo beati Danihelis docemur exemplo, quod exauditus a prima die quo
coepit orare post primum et vicensimum diem consequitur suae petitionis effectum».
1973 Conl. IX, 34, 8 (280, 18-22): «Retractare namque nos convenit illam beati
evangelistae Iohannis sententiam, qua ambiguitas huius quaestionis evidenter absolvitur:
Haec est, inquit, fiducia quam habemus ad eum, quia quidquid petierimus secundum vo-
luntatem eius, audit nos (1Gv 5, 14)».
1974 Conl. IX, 34, 9 (281, 2-7): «Si enim et illud apostoli recordemur, quoniam quid
oremus secundum quod oportet nescimus, intelligimus nos nonnumquam saluti nostrae
La costruzione di un modello 607
in questo caso il monaco di Marsiglia perviene ad un risultato originale:
servendosi nuovamente del modello di Gesù orante, assunto adesso come
esemplificazione del rapporto di comunione tra il Figlio e il Padre, egli
invita ad accompagnare sempre la domanda a Dio con il fondamentale
corollario del rispetto della sua volontà. Sull’esempio della preghiera del
Getsemani, ogni supplica dovrà concludersi con le parole di Gesù: «Però
non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26, 39)1975.
Suggerendo questa conclusione formulare Cassiano sembra predi-
sporre l’argomento che sta al centro della X conferenza, anticipato del re-
sto al termine della IX anche dalla raccomandazione «a pregare frequente-
mente, ma brevemente»1976. È la risposta tecnica di natura più squisita-
mente monastica, mediante il ricorso alla «preghiera monologica», all’in-
terrogativo sull’oratio continua, che generalizza manifestazioni antece-
denti di natura analoga, come l’uso della preghiera antirretica da parte di
Evagrio1977. Del resto Cassiano trasmette questa formula pietatis come un
«segreto» ricevuto dai Padri del monachesimo egiziano. In questo senso,
per assicurare la costante memoria Dei, egli propone la recita ininterrotta
di Sal 69(70), 2: «Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiu-
vandum me festina» («O Dio, vieni a salvarmi, Signore vieni presto in
mio aiuto»)1978. La giustificazione del privilegio accordato a tale versetto
sottolinea il fatto che proprio per la genericità del suo contenuto è suscet-
tibile di applicarsi alle esigenze e alle situazioni più diverse1979, mentre
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contraria postulare et commodissima nobis ab eo qui utilitatis nostras rectius quam nos ac
veracius intuetur ea quae poscimus denegari».
1975 Conl. IX, 34, 13 (282, 14-18): «Et idcirco his quae praediximus exemplis do-
minicis eruditi cunctas obsecrationes nostras simili nos quoque debemus oratione conclu-
dere et hanc vocem cunctis petitionibus nostris semper adiungere: Verumtamen non sicut
ego volo sed sicut tu».
1976 Conl. IX , 36, 1 (283, 12-14): «Ob quod frequenter quidem, sed breviter est
orandum, ne inmorantibus nobis inserere aliquid nostro cordi insidiator possit inimicus».
1977 Con ciò Cassiano diviene l’antesignano della «preghiera di Gesù» cara alla
tradizione ortodossa. La sua importanza fondamentale è riconosciuta da Stewart, 113:
«Cassian has given us the fullest exposition of monologistic prayer to be found in the
early monastic sources. His synthesis of biblical meditatio and both antirrhetic and mono-
logistic prayer, describes a method of unceasing prayer paralleled later by Diadochus and
the Sinai tradition of the Jesus Prayer». Sugli inizi egiziani cfr. Regnault.
1978 Conl. X, 10, 2 (297, 22-26): «Erit itaque ad perpetuam Dei memoriam possi-
dendam haec inseparabiliter proposita vobis formula pietatis: Deus in adiutorium meum
intende: domine ad adiuvandum mihi festina (Sal 69[70], 2). Hic namque versiculus non
inmerito de toto scripturarum exceptus est instrumento».
1979 Conl. X, 10, 3 (297, 26–298, 6): «Recipit enim omnes adfectus quicumque in-
ferri humanae possunt naturae et ad omnem statum atque universos incursus proprie satis
et competenter aptatur. Habet siquidem adversus universa discrimina invocationem dei,
habet humilitatem piae confessionis, habet sollicitudinis ac timoris perpetui vigilantiam,
habet considerationem fragilitatis suae, exauditionis fiduciam, confidentiam praesentis
semper adstantisque praesidii».
608 Parte seconda, Capitolo nono
richiama la costante dipendenza dell’uomo dall’aiuto di Dio, anche quan-
do le cose volgono al meglio per lui1980. Dopo aver illustrato la sua fun-
zione di «prontuario» multiuso in relazione agli attacchi dei vizi, Cassia-
no insiste sulla frequenza della sua ripetizione, fino a farlo diventare un
esercizio automatico che non abbandona l’orante nemmeno nel sonno1981.
In tal modo arriva ad essere per il monaco l’equivalente dello Shema‘ 1982,
ricordandogli sempre nel contempo la sua condizione di «povero», confor-
memente alla beatitudine evangelica1983. In realtà, anche questa «preghie-
ra monologica» – di cui Cassiano traccia qui un elogio appassionato – va
vista in relazione con lo stato più elevato dell’orazione. Anch’essa, in-
fatti, vuole concorrere al manifestarsi della preghiera di fuoco, che è per
Cassiano la preghiera silenziosa e la preghiera dello Spirito, quantunque
essa sia destinata a restare per sua natura un’esperienza-limite1984. Né va
dimenticato che la «preghiera monologica» rimanda al contesto orante
della vita dei monaci, nutrito quotidianamente della recita dei salmi e della
loro meditazione insieme ad altri testi scritturistici. Tenendo presente que-
sto orizzonte Cassiano suggerisce un’iniziazione ermeneutica tra le più
suggestive, prefigurando un’intima assimilazione dei salmi che fa di essi
una oratio propria, formulata per così dire ex parte auctoris1985.
––––––––––––––––––
1980 Conl. X, 10, 5 (298, 24-27): «Nam qui se semper atque in omnibus desiderat
adiuvari, manifestat quod non tantum in rebus duris ac tristibus, sed etiam in secundis ac
laetis pari modo deo egeat adiutore».
1981 Conl. X, 10, 14 (302, 3-9): «Huius igitur versiculi oratio in adversis ut eruamur,
in prosperis ut servemur nec extollamur incessabili iugitate fundenda est. Huius, inquam
versiculi meditatio in tuo pectore indisrupta volvatur. Hunc in opere quolibet seu ministe-
rio vel itinere constitutus decantare non desinas. Hunc et dormiens et reficiens et in ulti-
mis naturae necessitatibus meditare».
1982 Conl. X, 10, 15 (302, 23-28): «Hunc scribes in limine et ianuis oris tui, hunc in
parietibus domus tuae ac penetralibus tui pectoris conlocabis, ita ut haec ad orationem
procumbenti sit tibi adclinis decantatio et exinde consurgenti atque ad omnes usus vitae
necessarios incedenti fiat erecta et iugis oratio».
1983 Conl. X , 11, 2 (303, 10-16): «quae maior aut sanctior potest esse paupertas
quam illius, qui nihil se praesidii, nihil virium habere cognoscens de aliena largitate coti-
dianum poscit auxilium, et vitam suam atque substantiam singulis quibusque momentis
divina ope intellegens sustentari verum se mendicum domini non inmerito profitetur».
1984 Conl. X, 11, 6 (cfr. nota 1968).
1985 Conl. X , 11, 4 (304, 16-23): «Quorum iugi pascuo vegetatus omnes quoque
psalmorum adfectus in se recipiens ita incipiet decantare, ut eos non tamquam a propheta
conpositos, sed velut a se editos quasi orationem propriam profunda cordis conpunctione
depromat vel certe ad suam personam aestimet eos fuisse directos, eorumque sententias
non tunc tantummodo per prophetam aut in propheta fuisse conpletas, sed in se cotidie geri
inplerique cognoscat». Il rapporto della preghiera monologica con il più ampio contesto
orante è ben chiarito da Stewart, 112: «the key to understanding Cassian’s insistence on
the formula is to realize that although prayer is anchored in this single verse, psalms are
still chanted in the “canonical” prayer of the hours, biblical lessons are read at the liturgy,
and meditatio of other biblical texts continues. The formula is an undercurrent in the river
La costruzione di un modello 609
L’esito ultimo della riflessione di Cassiano sulla preghiera è dunque
ben più ricco e complesso dell’innovativa proposta della «preghiera mo-
nologica». Come abbiamo visto, egli presenta numerosi punti di contatto
con le problematiche affrontate da Origene e da altri autori di trattati sulla
preghiera. In un certo senso, se escludiamo i testi di Tertulliano e Cipria-
no, Cassiano offre addirittura il termine di confronto più ravvicinato per
Orat, sia per l’agenda tematica affrontata nella IX conferenza, che per il
significativo corredo di testimonianze scritturistiche ed anche per singoli
motivi di riflessione. La continuità del discorso cristiano sulla preghiera
spirituale è dunque ampiamente testimoniata anche da Cassiano. Al tempo
stesso, però, egli segnala una svolta molto profonda, conseguenza diretta
della nuova esperienza di preghiera del monachesimo. Se la preghiera di
fuoco – pur con qualche analogia con la preghiera pura di Evagrio – in-
troduce una prospettiva in gran parte inedita (anche se non priva di antece-
denti, grazie soprattutto al riferimento a Rm 8, 26-27 e all’interpretazione
offertane, in particolare, da Origene), la formula pietatis rafforza a sua
volta la destinazione monastica, con una fruizione essenzialmente pratica,
del pensiero di Cassiano. Ciò non toglie che anche operando a questo li-
vello “tecnico” egli riesce a dare un’espressione particolarmente efficace
e attuale alla grande tradizione dell’interpretazione spirituale della Bibbia
di matrice alessandrina.
––––––––––––––––––
1987 La lettera è datata in genere al 411-412. Rifugiata a Cartagine, Proba aveva
dato vita ad una comunità religiosa. Per uno studio approfondito del personaggio e del te-
sto si veda Cacciari (La preghiera. Epistola 130 a Proba).
1988 Benché manchi una datazione precisa dei quattro sermoni, il loro arco crono-
logico pare essere abbastanza ravvicinato. Così, se Serm. 56 viene collocato perlopiù fra
410 e 412, Serm. 57 è datato a prima del 410; a loro volta, Serm. 58 risalirebbe agli anni
412-416 e Serm. 59 al 410 o al periodo fra 412 e 415. Per un riepilogo dei dati cronologici
si veda Grossi, 126.
1989 Il De sermone Domini in monte (ca. 393-396) approfondisce l’introduzione al
Padrenostro in Mt 6, 5-8, mentre intreccia la spiegazione delle sette petizioni con quella
delle beatitudini (anch’esse ricondotte ad un settenario) e dei sette doni dello Spirito. A
sua volta, l’Enchiridion (421 ca.), oltre ad aggiungere una spiegazione del testo lucano a
quello di Matteo, collega l’esegesi del Padrenostro allo schema delle tre virtù teologali.
La costruzione di un modello 611
ghiera di Cristo e della Chiesa. Si può insomma constatare una fonda-
mentale continuità della riflessione agostiniana sull’orazione che, in ag-
giunta, si accompagna all’esperienza personale dell’autore, spesso affi-
data allo scritto ed esemplificata nella sua forma più alta e meglio nota
dalla dimensione orante costitutiva delle Confessioni1990. Se anche questa
seconda caratteristica, dopo la presenza diffusa del nostro tema, avvicina
la figura dell’Ipponate all’Alessandrino, non mancano punti di contatto
significativi fra i due autori a livello dottrinale, frutto di una convergenza
ideale se non a seguito di una conoscenza diretta di Origene da parte di
Agostino, come ci si è sforzati di dimostrare, ad esempio, nel caso del Di-
scorso del Signore sulla montagna1991.
Le considerazioni iniziali della Lettera a Proba, pur attentamente ca-
librate in relazione alla condizione sociale della destinataria, una vedova
facoltosa al centro di legami familiari importanti, tracciano già nettamen-
te l’orizzonte della preghiera come esperienza dell’uomo e del cristiano
chiarendo con quali disposizioni d’animo si debba pregare1992. Se l’orazio-
ne è per sua natura l’espressione del bisogno dell’uomo sotto lo sguardo
di Dio, per l’«anima cristiana» essa nasce dall’acuta consapevolezza del-
l’esilio nel mondo, lontano dalla casa del Padre. L’invito ripetuto a Proba
perché si senta «derelitta» (desolata) in questa vita riflette più in generale
l’idea agostiniana dell’itinerario di conversione: l’uomo, rientrando in se
stesso dalla sua dispersione e dissipazione nel mondo esteriore, risponde
al richiamo della vera patria che Dio stesso suscita in lui mediante la voce
del Maestro interiore1993. Di conseguenza la dinamica che trama alla base
le manifestazioni della preghiera è innescata dal desiderium. Attesa della
«vita beata» nella sua espressione più autentica, esso può volgersi ad
obiettivi di natura inferiore che rischiano di distogliere l’anima dalla sua
fondamentale aspirazione, come i beni terreni posseduti in abbondanza da
––––––––––––––––––
1990 A cominciare dall’infanzia, come attesta Conf. I, 9, 14 (24, 14-16): «Nam puer
coepi rogare te, auxilium et refugium meum, et in tuam invocationem rumpebam nodos
linguae meae». Fra gli altri, Madec, 78 ha ben colto il rilievo strutturale della preghiera
nelle Confessioni come interlocuzione con Dio: «La conversion restaure la création, en
réorientant l’esprit vers Dieu et cette orientation se concrétise dans la prière, l’allocution
constante à Dieu».
1991 Per Heidl, 223-235, Agostino, nel comporre il De serm. Dom. in monte, avrebbe
tenuto presente l’esegesi origeniana di Mt 6 conosciuta attraverso Orat o una traduzione
latina di CMt.
1992 La prima parte della trattazione riguarda l’atteggiamento dell’orante, la secon-
da il contenuto della preghiera (Ep. 130, 2 [213, 27]: «quonammodo tibi esset orandum»;
9 [218, 158]: «Audisti qualiter ores, audi et quid ores»; 24 [230, 449-450]: «non solum
qualis ores, verum etiam quid ores»). Se ne veda il sommario in Cacciari, 76-79.
1993 Ep. 130, 5 (215, 80-82): «In his igitur vitae huius tenebris, in quibus peregri-
namur a Domino, quamdiu per fidem ambulamus, non per speciem (2Cor 5, 6-7), desola-
tam debet se anima christiana deputare, ne desistat orare».
612 Parte seconda, Capitolo nono
Proba 1994. Tuttavia, proprio la sollecitudine per l’orazione testimoniata
dalla vedova, che aveva chiesto ad Agostino indicazioni su come attuare
una vita di preghiera, dimostra che Proba non solo avverte la precarietà
dell’esistenza, ma ripone anche la sua speranza in Dio e nei beni eterni
che ci vengono da lui. In tal modo, l’orazione ci appare legata al tempo
del bisogno e della prova, laddove la vita beata – con una formulazione
che richiede però di essere compresa alla luce della visione complessiva
di Agostino – ne sopprime del tutto la necessità: passato il tempo della
«tentazione», giunge ormai quello della «contemplazione»1995. Ora, nel-
l’esistenza terrena solo con il desiderium è possibile realizzare il precetto
apostolico di pregare senza interruzione (1Ts 5, 17); quand’esso viene
meno, tace anche la preghiera 1996. Perciò Agostino vede la vita del cri-
stiano essenzialmente come «esercizio di desiderio» nell’attesa dei beni
che lo colmeranno di beatitudine, laddove questo stesso desiderio lo pre-
para ad accoglierli1997. Applicando questa concezione alla preghiera, essa
si presenta come la via maestra per disporsi interiormente a ricevere la
visione di Dio, che per l’Ipponate equivale alla «vita beata».
Pertanto la vita beata è l’oggetto fondamentale dell’orazione secondo
Agostino, il quid ores in risposta alla richiesta che Proba gli aveva rivolto
più specificamente alla luce di Rm 8, 26 con il suo fondamentale interro-
gativo sulla capacità dell’uomo a domandare a Dio il vero bene1998. Essa
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1994 Sulla preghiera come desiderium si veda Van Bavel, 59-73. Anche la preghiera
per la pioggia è fatta con «desiderio» secondo Serm. 57, 3 (179, 44-45): «videtis cum
quanto gemitu, cum quanto desiderio pluviam petamus».
1995 Ep. 130, 5 (215, 91-96): «illa vita eximet animam nostram de morte, et illud
solacium oculos nostros a lacrymis (Sal 114[115], 8-9) et, quoniam ibi iam non erit ulla
temptatio. [...] Porro si nulla tentatio, iam nulla oratio; non enim adhuc promissi boni
exspectatio, sed redditi contemplatio». Come osservato da Antoni, 156, «l’évidence béati-
fique de la fruitio Dei rendrait caduque la prière, tout au moins la prière de demande, celle
qui enveloppe l’incomplétude de l’homme en son chemin, son angoisse subjective et son
inachèvement ontologique».
1996 En. in Ps. 37, 14 (392, 4-12): «Sit desiderium tuum ante illum; et Pater qui vi-
det in occulto, reddet tibi (Mt 6, 6). Ipsum enim desiderium tuum, oratio tua est: et si
continuum desiderium, continua oratio. Non enim frustra dixit Apostolus: Sine intermis-
sione orantes (1Ts 5, 17). Numquid sine intermissione genu flectimus, corpus prosterni-
mus, aut manus levamus, ut dicat: Sine intermissione orate? Aut si sic dicimus nos orare,
hoc puto sine intermissione non possumus facere. Est alia interior sine intermissione ora-
tio, quae est desiderium». Cfr. anche Serm. 80, 7 (PL 38, 498): «Desiderium semper orat,
etsi lingua taceat. Si semper desideras, semper oras. Quando dormitat oratio? Quando fri-
guerit desiderium».
1997 Tr. in Ep. Io. 4, 6 (230): «Tota vita christiani boni, sanctum desiderium est.
Quod autem desideras, nondum vides; sed desiderando capax efficeris, ut cum venerit
quod videas, implearis».
1998 Ep. 130, 9 (218, 162–219, 166): «Ora beatam vitam; hanc enim habere omnes
homines volunt; nam et qui pessime et perdite vivunt, nullo modo ita viverent, nisi eo
modo se vel esse beatos putarent. Quid igitur aliud oportet orare, nisi id, quod cupiunt et
La costruzione di un modello 613
dovrà allora assecondare l’indicazione del vescovo d’Ippona facendo pro-
prie nella sua esperienza orante le parole del Salmista, voce di Cristo e del-
la Chiesa suo corpo, con il dichiarare anche lei la «sete di Dio» (Sal 62[63])
e l’auspicio di abitare perennemente nella sua dimora (Sal 26[27], 4)1999.
Sebbene Agostino sembri disposto ad ammettere la domanda di beni terre-
ni – quali il necessario per vivere, l’incolumità e l’amicizia – più di quanto
lo fosse Origene con la sua insistenza sul primato dei beni celesti, questi
beni terreni sono però da considerarsi correlati e insieme subordinati al-
l’unico bene autentico, la partecipazione alla vita stessa di Dio2000. In que-
sto senso l’Ipponate converge di fatto con l’Alessandrino nel sottolineare
anch’egli con forza la necessità della preghiera per i beni spirituali, espres-
si qui mediante la nozione di «vita beata». Com’è noto, questo concetto
ispira Agostino fin dall’epoca precedente la conversione, a seguito della
lettura dell’Hortensius ciceroniano, ma dopo di essa è andato connotando-
si in senso più genuinamente cristiano, a un tempo biblico e cristologico,
mediante l’identificazione del Verbo quale beatitudo e sapientia, non sen-
za accompagnarla con le implicazioni trinitarie inerenti ad essa. Perciò
Agostino designa come «Vita Beata» lo stesso Cristo in quanto maestro
di preghiera2001, mentre al termine della spiegazione del Padrenostro ne
ricapitola il contenuto ancora una volta precisamente attraverso questa
espressione2002. Altrove, sviluppando l’istanza critica racchiusa nel discor-
so cristiano sulla preghiera rispetto all’inadeguatezza della pratica diffusa,
egli constata come nella maggior parte dei casi il desiderium dell’orante
s’indirizzi all’acquisizione di una grande varietà di beni materiali, mentre
dovrebbe rivolgersi al Signore stesso; o peggio ancora, la preghiera è di-
storta ancor più gravemente dal vero fine, essendo spesso accompagnata
dall’odio per i nemici2003. Se ciò è del tutto inammissibile per il cristiano,
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mali et boni, sed ad quod perveniunt non nisi boni?». Sul tema agostiniano della ricerca
della felicità, alla luce del nostro testo, cfr. Cacciari, 57-67.
1999 Cfr. Ep. 130, 5. 15.
2000 Ep. 130, 14 (222, 248-250): «Ad illam ergo unam vitam, qua cum Deo et de
Deo vivitur, cetera, quae utiliter et decenter optantur, sine dubio referenda sunt». Per Vin-
cent, Agostino esprime una posizione perfettamente equilibrata: «Elle fait une juste part
aux nécessités du corps, mais elle invite à rechercher, bien au-dela des biens temporels,
d’autres biens qui sont l’objet de la prière» (p. 177).
2001 Ep. 130, 15 (223, 266-267): «Propter hanc adipiscendam beatam vitam ipsa
vera Vita orare nos docuit».
2002 Ep. 130, 24 (230, 451): «Beata vita quaerenda est, haec a Domino Deo petenda».
2003 En. in Ps. 76, 2 (1052, 1–1053, 10): «Sed multi clamant ad Dominum pro divi-
tiis acquirendis damnisque devitandis, pro suorum salute, pro stabilitate domus suae, pro
felicitate temporali, pro dignitate saeculari; postremo pro ipsa etiam salute corporis, quae
patrimonium est pauperis. Pro his atque huiusmodi rebus multi clamant ad Dominum; vix
quisquam propter ipsum Dominum. Facile quippe homini est quodlibet desiderare a Domi-
no, et ipsum Dominum non desiderare; quasi vero suavius esse possit quod dat, quam ipse
qui dat». Agostino denuncia in più occasioni le deformazioni della preghiera, in special
614 Parte seconda, Capitolo nono
la piena attuazione della «preghiera spirituale» – categoria che accomuna
Agostino al discorso eucologico precedente – si dà nel momento in cui il
dono richiesto dall’orante coincide con la persona stessa del Donatore 2004.
Anche per Agostino, non diversamente da Origene e altri autori prima
di lui, Cristo è per eccellenza il maestro della preghiera nonché il tramite
per il suo esaudimento2005. Grazie a Gesù apprendiamo a pregare non solo
con le parole del Padrenostro e le altre istruzioni tramandateci dai testi
evangelici, ma anche con la condotta esemplare di colui che sulla croce ha
pregato per il perdono dei nemici. Alla luce di tale comportamento occor-
re comprendere anche il significato dei salmi imprecatori, da intendersi
secondo il Sermone 56 con valore di profezie, senza che il cristiano sia te-
nuto in alcun modo a maledire qualcuno2006. Il dossier dei luoghi scritturi-
stici racchiuso nella Lettera a Proba è suscettibile di essere confrontato
non solo con Origene, ma più direttamente con gli esponenti della mede-
sima tradizione africana, Tertulliano e Cipriano; in particolare, l’Ipponate
conosceva bene il De dominica oratione del vescovo di Cartagine, che cita
ampiamente, fra l’altro, nello scritto antipelagiano Il dono della perseve-
ranza2007. Tuttavia, come constatatiamo in generale per la sua opera, Ago-
stino non manca neppure qui di elaborare in maniera originale il materia-
le tradizionale. Ne è prova, accanto al richiamo al modello della vedova
molesta in Lc 18, 1 – addotto abitualmente per inculcare la necessità di
non venire meno alla preghiera, perché possa essere efficace2008 –, la ripre-
sa con identica finalità dell’altra parabola lucana sull’amico importuno in
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modo quando è dissociata dal perdono e dalla riconciliazione fraterna, come in Serm. 211, 6
(172, 177-180 Poque): «Scio cottidie venire homines, genua figere, frontem terrae concu-
tere, aliquando lacrimis lotum vultum suum rigare et in ista tanta humilitate ac perturbatio-
ne dicere: “Domine, vindica me, occide inimicum meum”». A questo proposito in Serm.
56 Agostino richiama l’esempio negativo di Sal 108(109), 7, ma senza approfondirlo.
2004 Cfr. Antoni, 135: «Toute prière spirituelle fait coïncider dans son désir le don
et le donateur, c’est-à-dire l’objet de la demande et le destinataire de celle-ci».
2005 Come precisa anche Serm. dom. m. II, 3, 12 (103, 263): «unus et verus magi-
ster»; II, 4, 15 (104, 298-300): «Sed iam considerandum est, quae nos orare ille praecepe-
rit per quem et discimus quid oremus et consequimur quod oramus».
2006 Serm. 56, 3 (155, 60-63): «Ecclesia Dei, quae didicerat a Domino suo, qui
pendens in cruce dixit: Pater, ignosce illis, quia nesciunt quid faciunt (Lc 23, 34), talia
precabatur pro Paulo, immo adhuc pro Saulo, ut hoc in illo fieret quod et factum est».
Sullo sforzo di Agostino per comprendere la preghiera dei salmi alla luce del vangelo, cfr.
Vincent, 125-154.
2007 De dono persev. 2, 4 (PL 45, 996) cita lo scritto di Cipriano in funzione antipe-
lagiana: «Legite aliquanto intentius eius expositionem in beati Cypriani martyris libro,
quem de hac re condidit, cuius est titulus: De dominica oratione: et videte ante quot an-
nos, contra ea quae futura erant Pelagianorum venena, quale sit antidotum praeparatum».
Sull’uso di Cipriano nella controversia pelagiana si veda Chapot, 105 e nota 105.
2008 Ep. 130, 15 (223, 277-289): «ut hinc admoneremur, quam certius nos exaudiat
misericors et iustus Dominus Deus sine intermissione (1Ts 5, 17) orantes».
La costruzione di un modello 615
Lc 11, 5-13, raccordata però in chiave allegorica alla triade paolina di fede,
speranza e carità, che rappresenta uno degli assi concettuali del pensiero
agostiniano sulla vita cristiana 2009. Soprattutto, Agostino si sofferma sul-
l’introduzione al Padrenostro in Mt 6, 5-8 sia per descrivere anch’egli tra-
mite questo passo l’atteggiamento interiore dell’orante, sia per affrontare
quello che già per Origene costituiva il «problema della preghiera». Senza
dubbio, pure con questa riflessione l’Ipponate manifesta delle affinità con
la visuale dell’Alessandrino, specialmente per la sua piena consapevolezza
del dato aporetico e paradossale dell’orazione come tale. Egli l’approfon-
disce in relazione a Mt 6, 8, che di primo acchito pare sopprimere la ne-
cessità di pregare, dato che il Padre onnisciente conosce in anticipo il con-
tenuto delle nostre richieste.
Unico fra gli interpreti che abbiamo preso in esame, Agostino si ri-
collega così all’impostazione problematica tracciata da Origene in Orat a
partire dalle obiezioni degli avversari della preghiera2010. Tuttavia, anzi-
ché inserire la quaestio nel quadro concettuale dell’Alessandrino, che è
imperniato principalmente sul problema del rapporto fra libero arbitrio
dell’uomo e provvidenza divina, egli ne ricava una riflessione di natura
prettamente pedagogica e spirituale, legandola nuovamente al motivo del
desiderium. Secondo l’Ipponate, Dio non ha ovviamente bisogno d’essere
informato su ciò di cui sentiamo l’esigenza di chiedergli, ma siamo noi
che necessitiamo di sperimentare la nostra dipendenza dal volere di Dio
attraverso l’esercizio della preghiera. Traendo ispirazione, in particolare,
dalla messa in guardia contro il multiloquio contenuta in Mt 6, 7, l’Ippo-
nate introduce così considerazioni originali sul freno da porre alla «reto-
rica orante» o meglio ancora su diritti e limiti del regime della parola nella
prassi di preghiera2011. Infatti, se nella Lettera a Proba la soluzione del-
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2009 Cfr. Ep. 130, 16 e il commento di Cacciari, 105, note 75-76, che segnala i rin-
vii parziali in Tertulliano, De orat. I, 1.2.3 e in Origene, Orat X, 2.
2010 Cfr. Orat V, 2 (supra, p. 100). Uno spunto analogo è accennato da Giovanni Cri-
sostomo in Hom. in Matth. XIX , 8 (PG 57, 278): Kai; eij oi\de, fhsivn, w|n creivan e[comen,
tivno" e{neken eu[cesqai dei'… Oujjc i{na didavxh/", ajll∆ i{na ejpikavmyh/": i{na oijkeiwqh/'" th/'
suneceiva/ th'" ejnteuvxew", i{na tapeinwqh/'", i{na ajnamnhsqh/'" tw'n aJmarthmavtwn tw'n sw'n.
2011 Si veda, ad esempio, l’enunciazione della quaestio a commento di Mt 6, 5-8 in
Serm. dom. m. II , 3,12 (102, 255–103, 270): «Sicut hypocritarum est praebere se spectan-
dos in oratione, quorum fructus est placere hominibus, ita ethnicorum, id est gentilium, in
multiloquio se putare exaudiri. Et re vera omne multiloquium a gentilibus venit, qui exer-
cendae linguae potius quam mundando animo dant operam. Et hoc nugatorii studii genus
etiam ad Deum prece flectendum transferre conantur, arbitrantes sicut hominem iudicem
verbis adduci ad sententiam. Nolite itaque similes esse illis, dicit unus et verus magister;
scit enim Pater vester quid vobis necessarium sit, antequam petatis ab eo (Mt 6, 8). Si
enim verba multa ad id proferuntur, ut instruatur et doceatur ignarus, quid eis opus est ad
rerum omnium cognitorem, cui omnia quae sunt eo ipso quo sunt loquuntur seseque indi-
cant facta? Et ea quae futura sunt eius artem sapientiamque non latent, in qua sunt et quae
transierunt et quae transitura sunt omnia praesentia et non transeuntia».
616 Parte seconda, Capitolo nono
l’aporia rimanda all’esercizio del desiderium nell’orazione (tendenzial-
mente di tipo verbale) come condizione per ricevere il dono che Dio si
appresta a concedere, nel Discorso del Signore sulla montagna Agostino
la motiva più estesamente dal punto di vista della critica del linguaggio.
In primo luogo, richiama la distinzione fra res e verba, che sorregge la sua
concezione gnoseologico-ontologica, per raccomandare le prime mediante
una formulazione tutta concettuale ed interiore. Quanto all’espressione
verbale, la sua norma vincolante è stata tracciata dal Signore all’insegna
della brevità mediante le succinte parole del Padrenostro. Esse servono a
rammentarci le res, i contenuti che debbono essere fatti oggetto dell’ora-
zione. L’una e l’altra spiegazione riflettono la dottrina agostiniana sull’i-
nadeguatezza inerente al linguaggio, per lo scarto tra i verba e le res, al
quale sopperisce in parte il paradigma della Preghiera del Signore e più
fondamentalmente il Verbo stesso in quanto Maestro interiore dell’anima.
Agostino però sembra voler fondere i due tratti della sua risposta nella
terza e più ampia spiegazione, in base alla quale l’orazione implica la
quiete e la purificazione del cuore mediante la sua «conversione» (conver-
sio cordis) a Dio, predisponendolo pertanto a partecipare del suo dono, la
«vita beata» 2012. Anche la Lettera a Proba riprende a sua volta il tema del
«cuore», chiamato ad ascendere a Dio nel continuo desiderio della beatitu-
dine e tramite la pratica delle tre virtù teologali – fede, speranza e carità –
alle quali l’orante è sollecitato a conformarsi2013. Del resto, il «cuore» è la
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2012 Serm. dom. m. II, 3, 13-14 (103, 271–104, 297): «Sed quoniam, quamvis pauca,
tamen verba et ipse dicturus est, quibus nos doceat orare, quaeri potest, cur vel his paucis
verbis opus sit ad eum qui scit omnia antequam fiant, et novit, ut dictum est, quid nobis sit
necessarium antequam petamus ab eo. Hic primo respondetur non verbis nos agere debere
apud Deum, ut impetremus quod volumus, sed rebus quas animo gerimus et intentione
cogitationis cum dilectione pura et simplici affectu sed res ipsas verbis nos docuisse Do-
minum nostrum, quibus memoriae mandatis eas ad tempus orandi recordemur. Sed rursus
quaeri potest – sive rebus sive verbis orandum sit –, quid opus sit ipsa oratione, si Deus
iam novit quid nobis sit necessarium, nisi quia ipsa orationis intentio cor nostrum serenat
et purgat, capaciusque efficit ad excipienda divina munera, quae spiritaliter nobis infun-
duntur. Non enim ambitione precum nos exaudit Deus, qui semper paratus est dare suam
lucem nobis non visibilem sed intellegibilem et spiritalem; sed nos non semper parati su-
mus accipere, cum inclinamur in alia et rerum temporalium cupiditate tenebramur. Fit
ergo in oratione conversio cordis ad eum qui semper dare paratus est, si nos capiamus
quod dederit, et in ipsa conversione purgatio interioris oculi, cum excluduntur ea quae
temporaliter cupiebantur, ut acies simplicis cordis ferre possit simplicem lucem divinitus
sine ullo occasu aut immutatione fulgentem, nec solum ferre sed etiam manere in illa, non
tantum sine molestia sed etiam cum ineffabili gaudio, quo vere ac sinceriter beata vita
perficitur». Ancora una volta Antoni, 96 commenta felicemente: «Il s’agit de se poser en
être intégralement transi de désir sous le regard de Dieu. La prière n’est donc pas langa-
gière, elle est l’âme, l’esprit et le corps en tant qu’ils se placent dans toute la tension de
leur désir en présence de Dieu».
2013 Ep. 130, 17-18 (225, 324-326): «quia cor hominis illuc debet ascendere, su-
memus capacius, quanto id et fidelius credimus et speramus firmius et desideramus arden-
La costruzione di un modello 617
«cameretta» di Mt 6, 6, secondo un’interpretazione che allinea nuovamen-
te Agostino alla tradizione antecedente2014. Da notare ancora che neppure
nei Sermones ad competentes l’Ipponate si astiene dall’enunciare l’inter-
rogativo sulle ragioni di pregare, in considerazione della paternità provvi-
dente di Dio dichiarata da Gesù in Mt 6, 8. In tal senso il Sermone 56, pur
riproponendo egualmente il motivo del desiderium a giustificazione della
preghiera, lo declina in maniera originale, grazie alla ripresa di un tema
caratteristico della pedagogia della fede e dell’ermeneutica scritturistica di
Agostino: Gesù ci insegna il modo di pregare affinché non solo trovi ali-
mento il nostro desiderio che lui stesso insinua in noi, ma anche non «si
svilisca» ai nostri occhi il dono di Dio evitando ogni banalizzazione2015.
Se la la preghiera concorre ad intensificare costantemente l’ardore del
desiderio, la condizione orante del cristiano rappresenta di necessità una
sua caratteristica permanente, in conformità con il precetto di 1Ts 5, 17 a
pregare senza interruzione. Ciò comporta – come l’Ipponate ribadisce an-
cora una volta – non venire mai meno al desiderio della vita beata anche
nel mezzo di tutte le attività in cui ci troviamo ad essere impegnati. Inol-
tre, quando tali incombenze siano conformi alla condotta autentica del
cristiano, tutta quanta la vita giunge a trasformarsi in preghiera attraverso
le opere, conformemente all’idea di oratio continua quale accordo tra il
pregare e l’agire che era stata di Origene e di altri autori. Specialmente
nelle Enarrationes in Psalmos Agostino prospetta la preghiera ininterrotta
come «lode» di Dio e «salmo» innalzato a Lui nel pieno della propria
vita2016. D’altra parte, in analogia con il ricorso ai verba, che attivano la
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tius. In ipsa ergo fide et spe et caritate continuato desiderio semper oramus». La triade
paolina ritorna anche in 24 (230, 458-461): «Fides ergo et spes et caritas (1Cor 13, 13) ad
Deum perducunt orantem, hoc est credentem, sperantem, desiderantem, et quae petat a
Domino in dominica oratione considerantem». Si veda inoltre come Agostino argomenta
l’implicazione delle tre virtù nella prassi orante in Enchir. 2, 7 (51, 1-11): «Nam ecce tibi
est symbolum et dominica oratio. Quid brevius auditur aut legitur? Quid facilius memo-
riae commendatur? Quia enim de peccato gravi miseria premebatur genus humanum, et
divina indigebat misericordia, gratiae Dei tempus propheta praedicens ait: Et erit: omnis
qui invocaverit nomen Domini salvus erit (Gl 2, 32). Propter hoc oratio. Sed Apostolus
cum ad ipsam gratiam commendandam hoc propheticum commemorasset testimonium,
continuo subiecit: Quomodo autem invocabunt in quem non crediderunt? (Rm 10, 14).
Propter hoc symbolum. In his duobus tria illa intuere: fides credit, spes et caritas orant.
Sed sine fide esse non possunt, ac per hoc et fides orat».
2014 Cfr. Vincent, 68; Van Bavel, 55-56, che fra l’altro rimanda a En. in Ps. 34, II, 3.
2015 Serm. 56, 4 (156, 74-78): «Sed ne forte hic aliquis dicat: “Si novit quid nobis
sit necessarium, ut quid vel pauca verba dicimus, ut quid oramus? Ipse scit: det quod scit
nobis necessarium!”. Sed ideo voluit ut ores, ut desideranti det, ne vilescat quod dederit:
quia et ipsum desiderium ipse insinuavit».
2016 En. in Ps. 146, 2 (163, 6–164, 19): «Vis ergo psallere? Non sola vox tua sonet
laudes Dei, sed opera tua concordent cum voce tua. Cum ergo voce cantaveris, silebis ali-
quando: vita sic canta, ut numquam sileas. Negotium agis, et fraudem cogitas? Siluisti a
618 Parte seconda, Capitolo nono
coscienza di colui che prega, giova alla continuità dell’esperienza concreta
di preghiera poter contare su momenti particolari consacrati ad essa. Ov-
viamente, anche questi tempi fissi della preghiera non sono richiesti da
Dio, ma servono ad assicurare la piena consapevolezza personale del-
l’orante e ad impedire che l’ardore del suo desiderio s’intiepidisca2017. A
margine di questa interpretazione, che costituisce la linea principale di
riflessione sulla valenza antropologica dell’orazione, Agostino accenna di
passaggio ed in via ipotetica all’utilità della preghiera vocale perché gli
angeli facciano da tramite presso Dio assicurandone l’esaudimento. In li-
nea con la tradizione, l’Ipponate ricava il paradigma scritturistico dalla
storia di Tobia con l’intervento dell’arcangelo Raffaele (Tb 12, 12)2018. In
ogni caso, testimone principale della prassi orante come esperienza con-
tinuata non può non essere anche secondo Agostino lo stesso Gesù2019.
Ma l’Ipponate precisa ulteriormente il proprio pensiero circa i limiti
della preghiera vocale, coerentemente con l’avvertenza contro il multilo-
quio in Mt 6, 7, nell’introdurre la testimonianza della prassi orante del mo-
nachesimo egiziano. Si tratta del celebre, quantunque unico, accenno della
Lettera a Proba sull’uso delle «giaculatorie», secondo il termine suggeri-
to dalla stessa formulazione agostiniana (invocazioni «come lanciate al
volo»), che sembrerebbe rimandare alla consuetudine della «preghiera mo-
nologica» o «preghiera di Gesù» attestataci da Cassiano. Anche Agostino
ne coglie l’aspetto della frequenza, ma più che insistere sulla ripetizione
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laude Dei, et quod gravius est, non solum a laude siluisti, sed in blasphemiam perrexisti.
Cum enim Deus laudatur de bono opere tuo, opere tuo laudas Deum, et cum blasphematur
Deus de malo opere tuo, opere tuo blasphemas Deum. Itaque ad aurium exhortationem
canta voce, corde ne sileas, vita ne taceas. Non cogitas in negotio fraudem? Psallis Deo.
Cum manducas et bibis, psalle, non intermiscendo sonorum suavitates ad aures aptas, sed
modeste et frugaliter et temperanter manducando et bibendo: quia hoc dicit Apostolus: Sive
manducatis, sive bibitis, sive quid facitis; omnia in gloriam Dei facite (1Cor 10, 31)».
2017 Ep. 130, 18 (225, 328–226, 341): «Sed ideo per certa intervalla horarum et
temporum etiam verbis rogamus Deum, ut illis rerum signis nos ipsos admoneamus, quan-
tumque in hoc desiderio profecerimus, nobis ipsis innotescamus, et ad hoc augendum nos
ipsos acrius excitemus. Dignior enim sequetur effectus, quem ferventior praecedit affec-
tus. Ac per hoc et quod ait Apostolus: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17), quid est aliud
quam beatam vitam, quae nulla nisi aeterna est, ab illo, qui eam dare solus potest, sine
intermissione desiderate? Semper ergo hanc a Domino Deo desideremus, et semper ore-
mus. Sed ideo ab aliis curis atque negotiis, quibus ipsum desiderium quodammodo tepe-
scit, certis horis ad negotium orandi mentem revocamus verbis orationis nos admonentes
in id, quod desideramus, intendere, ne quod tepescere coeperat, omnino frigescat, et peni-
tus exstinguatur, nisi crebrius inflammetur». In generale (come mostra Vincent, 64-67),
Agostino non dedica molta importanza al problema delle ore di preghiera, ma si preoc-
cupa sempre dei risvolti interiori.
2018 Ep. 130, 18 (226, 346-347): «Aut forte innotescant etiam angelis, qui sunt apud
Deum, ut quodammodo eas offerant Deo et de his consulant».
2019 Ep. 130, 19 (226, 357-358): «Nam et de ipso Domino scriptum est quod per-
noctaverit in orando (Lc 6, 12) et quod prolixius oraverit (cfr. Lc 22, 44)».
La costruzione di un modello 619
di queste formule di preghiera, rileva il loro carattere istantaneo che pre-
viene l’allentamento della concentrazione interiore di colui che prega2020.
È la tensione spirituale dell’orante ciò che preme di più ad Agostino, sen-
za privilegiare il ricorso alla preghiera formulare in quanto tale. Infatti di-
chiara che non v’è ragione d’interrompere l’orazione nel caso in cui la ten-
sione orante non mostri segni di cedimento. Tuttavia, egli ha sempre in
mente una forma di preghiera che non abbonda di parole e trova la sua
sede più congeniale nell’interiorità dell’anima o meglio del cuore. Il tra-
scendimento della preghiera vocale, suggerito dallo stesso carattere com-
pendioso della Preghiera al Signore, si manifesta per Agostino anche nella
preghiera delle lacrime e nei gemiti, che assumono un rilievo particolare
anche in riferimento a Rm 8, 26, come vedremo più avanti. La sua esorta-
zione a Proba, con la distinzione fra «parlare molto» e «pregare molto»,
punta essenzialmente ad incoraggiare l’articolazione delle suppliche me-
diante la preghiera del cuore evitando così l’eccesso di parole:
«Sia ben lungi dalla preghiera un’eccessiva quantità di parole, ma non venga
meno l’abbondanza di suppliche, se perdura una tensione fervida. Parlare molto,
infatti vuol dire, nel caso della preghiera, compiere una cosa necessaria con pa-
role inutili. Pregare molto, invece, è bussare con costante e devota mozione del
cuore presso colui che preghiamo. In effetti questo si fa generalmente più con i
lamenti che con i discorsi, con il pianto più che con le parole. Egli d’altra parte
pone le nostre lacrime al proprio cospetto; il nostro lamento non è nascosto a co-
lui che fece ogni cosa per mezzo del Verbo e che non cerca parole umane»2021.
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2029 La sintetica formulazione di Ep. 130, 21 (227, 378-381) può valere a titolo rap-
presentativo: «Cum ergo dicimus: Sanctificetur nomen tuum, nos ipsos admonemus desi-
derare ut nomen eius, quod semper sanctum est, etiam apud homines sanctum habeatur,
hoc est non contemnatur; quod non Deo, sed hominibus prodest». Cfr. Serm. dom. m. II, 5,
19; Serm. 56, 5 (157, 94-97): «Intellege: et pro te rogas. Hoc enim rogas, ut quod semper
sanctum est in se, sanctificetur in te. Quid est sanctificetur? Sanctum habeatur, non con-
temnatur».
2030 Ep. 130, 21 (228, 383-384): «desiderium nostrum ad illud regnum excitamus, ut
nobis veniat, atque nos in eo regnare mereamur». Per l’interpretazione di Serm. dom. m.
II , 6, 20 cfr. Raikas.
2031 Ep. 130, 21 (228, 385-387): «nobis ab illo precamur ipsam oboedientiam, ut
sic in nobis fiat voluntas eius, quemadmodum fit in caelestibus ab angelis eius».
2032 Cfr. ad esempio Serm. 57, 6 (181, 90-91): «Multis enim modis haec petitio in-
tellegi potest, et multa sunt cogitanda in ista petitione».
2033 Serm. dom. m. II, 6, 21 (111, 449-455): «sicut est in angelis, qui sunt in caelis,
voluntas tua, ut omnimodo tibi adhaereant teque perfruantur, nullo errore obnubilante sa-
pientiam eorum, nulla miseria impediente beatitudinem illorum, ita fiat in sanctis tuis, qui
in terra sunt, et de terra quod ad corpus attinet facti sunt, et quamvis in caelestem habita-
tionem atque immutationem, tamen de terra assumendi sunt».
2034 Questa spiegazione considera in aggiunta due eventualità, recuperando il mo-
tivo ciprianeo della preghiera per i nemici (Cipriano, De dom. or. 17, citato da De dono
persev. 3, 6). Cfr. Serm. dom. m. II , 6, 22 (112, 479-483): «faciant voluntatem tuam sicut
iusti ita etiam peccatores, ut ad te convertantur; sive ita: Fiat voluntas tua sicut in caelo et
in terra, ut sua cuique tribuantur; quod fiet extremo iudicio, ut iustis praemium peccatori-
bus damnatio retribuatur, cum agni ab haedis separabuntur».
2035 Cfr. Serm. dom. m. II, 6, 23 (113, 503-508), che risente più direttamente del-
l’orizzonte escatologico della vita beata: «Sed id orandum est, ut sicut in caelo et in terra
fiat voluntas Dei, id est ut quemadmodum condelectamur legi Dei secundum interiorem
hominem, ita etiam corporis immutatione facta huic nostrae delectationi nulla pars nostra
terrenis doloribus seu voluptatibus adversetur». De dono persev. 3, 6 (PL 45, 997) ri-
chiama la spiegazione di Cipriano, De dom. or. 16: «Vult autem ille doctor et martyr, cae-
La costruzione di un modello 623
interpretazioni trovano ampi riscontri in Tertulliano, Origene e Cipriano,
con l’ultima Agostino si ricollega di fatto all’interpretazione origeniana,
anche se per il tramite distinto del tema sponsale con la coppia «uomo e
donna»2036. Il punto di contatto con l’Alessandrino risulta più nettamente
avvertibile, perché negli ulteriori commenti Agostino privilegia la sola
chiave ecclesiologica «Chiesa e nemici»2037.
Anche nel secondo gruppo di domande notiamo una preferenza signi-
ficativa dell’Ipponate, più direttamente rivelatrice del suo modo di guarda-
re alla preghiera. Infatti, nella maggior parte dei casi è rivolta alla quinta
petizione, in quanto implica un requisito essenziale per l’atto stesso di pre-
gare. Da questo punto di vista, la spiegazione della quarta domanda è, in
un certo senso, meno rilevante, sebbene Agostino si sia sforzato di offrire
più di un’interpretazione. Senza interrogarsi sul pane supersubstantialis,
dato che commenta la forma più comune con quotidianus, egli riprende
nelle linee essenziali l’interpretazione fornita da Tertulliano e Cipriano
con il riconoscere due livelli di significato: materiale e spirituale. Nella
Lettera a Proba, con il primo intende la domanda del «pane» come richie-
sta della sufficientia, cioè quanto è strettamente necessario per vivere;
con il secondo, rinvia alla richiesta del pane eucaristico secondo la prassi
della comunione quotidiana in vigore nella chiesa d’Africa2038. Altrove
egli aggiunge però un’ulteriore spiegazione di natura spirituale, recependo
il «pane» come la Parola di Dio. Questa sembra essere l’interpretazione
preferita dall’Ipponate che ci fa così intravedere un ulteriore punto di con-
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lum et terram intellegi spiritum et carnem, et hoc nos orare ut voluntatem Dei re utraque
concordante faciamus».
2036 Serm. dom. m. II , 6, 24 (113, 509-514): «Nec illud a veritate abhorret, ut acci-
piamus Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra: sicut in ipso Domino Iesu Christo ita et
in Ecclesia, tamquam in viro, qui Patris voluntatem implevit, ita et in femina, quae illi de-
sponsata est. Caelum enim et terra convenienter intellegitur quasi vir et femina, quoniam
terra caelo fecundante fructifera est». Cfr. Orat XXVI, 3 (supra, nota 660). Anche Serm.
56, 8 (159, 145-149) attesta le diverse spiegazioni, insistendo sulla piena attuazione della
volontà di Dio come il passaggio dalla concupiscentia alla caritas: «cum ergo hoc bellum
transierit, omnisque concupiscentia in caritate fuerit commutata, nihil in corpore remane-
bit quod spiritui resistat, nihil quod dometur, nihil quod frenetur, nihil quod calcetur, sed
totum per concordiam perget ad iustitiam, fit voluntas tua in caelo et in terra».
2037 Cfr. Serm. 56, 8 (159, 155-157): «Est et alius sensus pius valde. Moniti enim
sumus orare pro inimicis nostris. Ecclesia, caelum est; inimici Ecclesiae, terra sunt»; Serm.
57, 6 (182, 100-102): «Ecclesia Dei coelum est, inimici eius terra sunt. Bene optamus
inimicis nostris, ut credant et ipsi, et fiant christiani»; Serm. 58, 4 (202, 64-66): «Etiam sic
bene intellegi potest: Fiat voluntas tua, sicut in coelo, ita et in terra: ut coelum ponamus
Ecclesiam, quia portat Deum; terram vero infideles».
2038 Ep. 130, 21 (228, 387-393): «Cum dicimus: Panem nostrum quotidianum da
nobis hodie; per id, quod dicitur hodie, significatur hoc tempore, ubi vel sufficientiam il-
lam petimus a parte, quae excellit, id est nomine panis totam significantes vel sacramen-
tum fidelium, quod in hoc tempore necessarium est, non tamen ad huius temporis, sed ad
illam aeternam felicitatem assequendam».
624 Parte seconda, Capitolo nono
tatto dottrinale con l’Alessandrino2039. Esso è tanto più significativo nella
misura in cui Agostino l’elabora con maggiore ampiezza proprio nel Di-
scorso del Signore sulla montagna, lo scritto che sembra riecheggiare più
da vicino l’impostazione di Orat. Un tratto «origeniano« affiora anche nel-
l’approccio problematico proposto dall’Ipponate in questa sede. La quae-
stio è suscitata dalle prime due spiegazioni: da un lato, la richiesta di beni
terreni contraddice in apparenza l’invito di Gesù a non darsi pena del cibo
e del vestito (Lc 12, 22), mentre il modello di preghiera da lui inculcato
esige invece un forte coinvolgimento interiore (Mt 6, 6)2040; dall’altro lato,
la prassi eucaristica quotidiana non è condivisa dalle chiese orientali, lad-
dove il Padrenostro è vincolante per tutti come regula orandi; inoltre, am-
messa l’identificazione con il pane eucaristico, paradossalmente non si do-
vrebbe più pregare il Padrenostro dopo aver comunicato 2041. Dunque, solo
la terza spiegazione, in relazione al nutrimento spirituale della Parola di
Dio – con i suoi precetti da meditare e attuare quotidianamente nell’esi-
stenza terrena – risulta essere la più adeguata2042. In tal modo Agostino
ricupera la visuale interamente spirituale della quarta domanda che era
tipica di Origene, sia pure ammettendo da ultimo la possibilità di servirsi
delle altre due spiegazioni in collegamento con la terza2043. Se in seguito
l’Ipponate lascia cadere tale richiesta, non trascura però di ribadire il pri-
mato dell’accezione spirituale di «pane quotidiano» anche nei Sermones
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2039 La preferenza è riconosciuta, fra gli altri, da Courtray, 42-43.
2040 Serm. dom. m. II, 7, 25 (114, 523-536): «Sed horum trium quid sit probabilius,
considerari potest. Nam forte quispiam moveatur, cur oremus pro his adipiscendis quae
huic vitae sunt necessaria, veluti est victus et tegumentum, cum ipse Dominus dicat: No-
lite solliciti esse quid edatis vel quid induamini (Lc 12, 22). An potest quisque de ea re pro
qua adipiscenda orat non esse sollicitus, cum tanta intentione animi oratio dirigenda sit, ut
ad hoc totum illud referatur quod de claudendis cubiculis dictum est (cfr. Mt 6, 6), et illud
quod ait: Quaerite primum regnum Dei, et haec omnia apponentur vobis (Mt 6, 33)? Non
ait utique: Quaerite primum regnum Dei, deinde ista quaerite, sed: haec omnia, inquit, ap-
ponentur vobis, scilicet etiam non quaerentibus. Quomodo autem recte dicatur non quae-
rere aliquis quod ut accipiat intentissime Deum deprecatur, nescio utrum inveniri queat».
2041 Serm. dom. m. II, 7, 26 (115, 546-554): «Sed ut de istis, ut dictum est, nihil in
aliquam partem disseramus, illud certe debet occurrere cogitantibus, regulam nos orandi a
Domino accepisse, quam transgredi non oportet vel addendo aliquid vel praetereundo.
Quod cum ita sit, quis est qui audeat dicere semel tantum nos orare debere orationem
dominicam, aut certe, etiam si iterum vel tertio, usque ad eam tamen horam qua corpori
Domini communicamus, postea vero non sic orandum per reliquas partes diei?».
2042 Serm. dom. m. II , 7, 27 (115, 557-559): «Restat igitur ut cotidianum panem ac-
cipiamus spiritalem, praecepta scilicet divina, quae cotidie oportet meditari et operari».
Calderone, 64 rileva giustamente in Agostino la precedenza dell’interpretazione orige-
niana, cioè la spiegazione «intellettuale», sulla «materiale» e sull’«eucaristica».
2043 Serm. dom. m. II , 7, 27 (116, 578-583): «Si quis autem etiam [illa quae] de
victu corporis necessario vel de sacramento dominici corporis istam sententiam vult acci-
pere, oportet ut coniuncte accipiantur omnia tria, ut scilicet cotidianum panem simul pe-
tamus et necessarium corpori et sacratum visibilem et invisibilem Verbi Dei».
La costruzione di un modello 625
ad competentes. Fra l’altro, commentando la quarta domanda del Pater
nel Sermone 56, egli vi introduce l’idea di una costitutiva «mendicità»
dell’uomo al cospetto di Dio, motivo già presente in Gregorio di Nissa e
Cassiano, a dimostrazione dell’imprescindibilità dell’oratio2044 . A sua
volta, il Sermone 57, mentre estende il significato spirituale all’insegna-
mento impartito da Agostino con la sua predicazione e alla vita di preghie-
ra della chiesa, rafforza la dimensione terrena della richiesta del «pane quo-
tidiano» rispetto alla condizione oltremondana che si contraddistinguerà
per la fruizione diretta del Verbo nella contemplazione di lui. Qui, come
pure nel Sermone 59, Agostino lascia intravedere più chiaramente il supe-
ramento del regime della parola, che condiziona l’espressione della pre-
ghiera nell’orizzonte della vita terrena2045.
Il rilievo della quinta petizione agli occhi dell’Ipponate emerge so-
prattutto nei Sermones ad competentes e nell’Enchiridion, dal momento
che la Lettera 130 annota brevissimamente come essa ci istruisca a un tem-
po sul contenuto della preghiera e sul modo in cui possiamo ottenerlo2046.
Anche nel Discorso del Signore sulla montagna la trattazione risulta ab-
breviata, poiché nell’economia dello scritto Agostino ha già affrontato il
tema della vendetta e del perdono, quantunque egli si premuri di segnalare
l’importanza della quinta domanda a conclusione della sezione sulla pre-
ghiera2047. Invece, nei Sermoni 56-59 l’esegesi della quinta domanda è la
dominante, al punto che essa tende a condizionare anche la spiegazione
delle due restanti petizioni, come avviene in particolare nel Sermone 56 2048.
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2044 Serm. 56, 9 (160, 171-173): «Quando dicis: Panem nostrum quotidianum da
nobis hodie, profiteris te mendicum Dei. Sed noli erubescere: quantumlibet sit quisque di-
ves in terra, mendicus Dei es». Il motivo ricorre spesso; ad esempio, in Serm. 123, 5 (PL
38, 686): «Qui panem quotidianum petis, pauper es, an dives?». Sulla sua presenza in Gre-
gorio di Nissa e Cassiano cfr. rispettivamente note 1902 e 1983.
2045 Serm. 57, 7 (184, 146-154): «Hic enim sunt necessaria peregrinationi nostrae.
Numquid, illuc quando venerimus, codicem sumus audituri? Ipsum Verbum visuri, ipsum
Verbum audituri, ipsum manducaturi, ipsum bibituri, quomodo angeli modo. Numquid
angelis codices sunt necessarii, aut disputatores, aut lectores? Absit! Videndo legunt: vi-
dent enim ipsam Veritatem, et illo fonte satiantur, unde nos inroramur. Dictum est ergo de
pane quotidiano; quia in ista vita nobis est necessaria haec petitio». La stessa idea compare
in Serm. 59, 6 (224, 78-87): «Cum autem vita ista transierit nec panem illum quaeremus
quem quaerit fames, nec sacramentum altaris habemus accipere, quia ibi erimus cum Chri-
sto cuius corpus accipimus, nec verba ista nobis dici habent quae dicimus vobis nec codex
legendus est, quando ipsum videbimus quod est Verbum Dei, per quem facta sunt omnia,
quo pascuntur angeli, quo inluminantur angeli, quo sapientes fiunt angeli, non quaerentes
verba locutionis anfractuosae sed bibentes unicum Verbum et inde impleti ructant laudes
et non deficiunt in laudibus».
2046 Ep. 130, 21 (228, 394-395): «nos admonemus et quid petamus, et quid facia-
mus, ut accipere mereamur».
2047 Serm. dom. m. II, 8, 28.
2048 Agostino vi accorpa la sesta e la settima domanda come postilla della quinta.
Cfr. Serm. 56, 18 (170, 415-420): «Propter illa quae iam facta sunt, ista tibi sententia cu-
626 Parte seconda, Capitolo nono
Propiziata dal contesto di una catechesi prebattesimale, essa verte sull’idea
che la richiesta della remissione dei peccati costituisce la quotidiana mun-
datio, la «purificazione» di cui il cristiano ha bisogno giorno per giorno
dopo il battesimo. Infatti, nessuno rimane immune dal peccato, grande o
piccolo che sia, anche dopo il lavacro battesimale. Così, la preghiera ci
ricorda sempre la nostra condizione di peccatori, bisognosi del perdono di
Dio, mentre ci impegna a nostra volta al perdono e all’amore dei nemici.
Con una metafora di facile comprensione per il suo uditorio, Agostino
descrive l’azione purificatrice della preghiera come lo svuotamento quo-
tidiano della sentina di una nave onde evitare che affondi, unendo altresì
orazione ed elemosina nel segno di una vita cristiana pienamente coe-
rente2049. Come l’Ipponate osserva ancora nell’Enchiridion, Gesù stesso è
testimone dell’importanza della quinta domanda: dopo averla insegnata
nel Padrenostro, egli è tornato ad inculcarla con un rinnovato invito – che
suona come un «tuono» – a perdonare i peccati altrui, pena il mancato per-
dono dei propri da parte di Dio (Mt 6, 14-15)2050. A sua volta, il Discorso
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rationis subvenit: Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris.
Propter illa quae potes incidere, quid facies? Ne nos inferas in tentationem, sed libera nos
a malo. Ne nos inferas in tentationem, sed libera nos a malo: hoc est, ab ipsa tentatione».
In Serm. 57, 11-12, la spiegazione della sesta riprende il motivo della quinta grazie al-
l’idea che la magna tentatio da evitare sia la vendetta e il mancato perdono dei nemici.
2049 Serm. 56, 11 (162, 222-226): «qui autem baptizantur et tenentur in hac vita, de
fragilitate mortali contrahunt aliquid, unde, etsi non naufragatur, tamen oportet ut sentine-
tur, quia, si non sentinatur, paulatim ingreditur unde tota navis mergatur. Et hoc orare sen-
tinare est. Non tantum autem debemus orare, sed et eleemosynam facere, quia, quando
sentinatur ne navis mergatur, et vocibus agitur et manibus». Il motivo figura anche nel testo
più o meno contemporaneo (410-412 ca.) del Serm. 213, 9 (PLS II, 542): «Sed quoniam
vivituri sumus in isto saeculo, ubi quis non vivit sine peccato, ideo remissio peccatorum
non est in sola ablutione sacri baptismatis, sed etiam in oratione dominica et quotidiana,
quam post octo dies accepturi estis. In illa invenietis quasi quotidianum baptismum ve-
strum». Basandosi su ciò Hammerling 2008b, 197, giunge ad attribuire un valore sacramen-
tale alla Preghiera del Signore: «the Lord’s Prayer was a sacramental prayer for Augus-
tine, a prayer of hope and forgiveness, grace and salvation, and the very extension of
baptism into the everyday lives of believers». La necessità di una purificazione quotidiana
era già stata inculcata da Cipriano, De dom. or. 12, in relazione però alla prima domanda.
2050 Enchir. 19, 74 (89, 69-75): «Qui cum docuisset orationem, hanc in ea positam
sententiam vehementer commendavit dicens: Si enim dimiseritis hominibus peccata eo-
rum, dimittet et vobis Pater vester caelestis peccata vestra; si autem non dimiseritis homi-
nibus, nec Pater vester dimittet peccata vestra (Mt 6, 14-15). Ad tam magnum tonitruum
qui non expergiscitur, non dormit sed mortuus est: et tamen potens est ille etiam mortuos
suscitare». Lo stesso spunto si ritrova in Serm. 57, 12 (189, 258-261): «Magister et Salvator
noster, cum doceret nos in hac oratione sex vel septem petitiones, nullam sibi assumpsit
unde tractaret, et quam nobis vehementius commendaret, nisi hanc unam». Per un elenco
dei numerosi sermoni in cui Agostino ha affrontato l’argomento cfr. Hammerling 2008b,
187. Il motivo è presente anche in Giovanni Crisostomo, Hom. in Matth. XIX, 6 (PG 57,
281), che rinvia ugualmente a Mt 6, 14: dei'xai boulovmeno" o{shn uJpe;r tou' pravgmato"
poiei'tai th;n spoudhvn, kai; ijdikw'" aujto; tivqhsi, kai; meta; th;n eujch;n oujdemia'" a[llh"
La costruzione di un modello 627
del Signore sulla montagna, riecheggiando un motivo di Gregorio di Nis-
sa, osserva che la quinta è l’unica fra tutte le domande a istituire una sorta
di «patto» con Dio2051. In seguito Agostino la sfrutterà anche nella pole-
mica con i pelagiani per ricordare la costante confessione terrena della
sua colpevolezza da parte della chiesa2052.
Quanto alla sesta e alla settima petizione, l’una e l’altra ci inculca-
no anch’esse, secondo la Lettera a Proba, la consapevolezza del bisogno
dell’aiuto divino2053. In particolare, Agostino vi dà valore alla settima do-
manda come la formulazione capace di compendiare al meglio la condi-
zione e i sentimenti dell’orante cristiano, al punto di raccomandare il suo
utilizzo come inizio, centro e clausola di ogni invocazione a Dio2054. Se
ciò ricorda l’analoga indicazione di Cassiano, sia pure riferita alle parole
di Gesù nel Getsemani2055, si noti però come con questa spiegazione la
preghiera vocale tenda di nuovo a trapassare in una forma di orazione di-
versa, che si affida ormai ai «gemiti» e alle «lacrime». Ben più analitica è
l’esposizione che l’Ipponate dedica alla sesta petizione nel Discorso del
Signore sulla montagna dove non mancano ancora una volta sorprendenti
analogie con la trattazione di Orat. Enunciato il problema della duplice
resa latina del verbo greco eijsenevgkh/" («ne inducas» o «ne nos patiaris
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ejntolh'" mevmnhtai h] tauvth". Il Crisostomo nota anche come Paolo, descrivendo il modo di
pregare in 1Tm 2, 8, si preoccupi soprattutto del precetto di amare i nemici: oujde;n ou{tw"
ejxezhvthsen wJ" th'" ejntolh'" tauvth" th;n fulakhvn (Hom. in Matth. XIX, 8 [PG 57, 284]).
2051 Serm. dom. m. II, 11, 39 (130, 867-875): «Sane non neglegenter praetereundum
est, quod ex omnibus his sententiis, quibus nos Dominus orare praecepit, eam potissimum
commendandam esse iudicavit quae pertinet ad dimissionem peccatorum in qua nos mise-
ricordes esse voluit, quod unum est consilium miserias evadendi. In nulla enim alia senten-
tia sic oramus, ut quasi paciscamur cum Deo; dicimus enim: Dimitte nobis, sicut et nos
dimittimus. In qua pactione si mentimur, totius orationis nullus est fructus». Anche qui si
cita Mt 6, 14-15. Sulla presenza del tema nel Nisseno, che però rimarca il “condizionamen-
to” di Dio ad opera di chi perdona, cfr. De or. dom. V (61, 12 ss.).
2052 Serm. 181, 7 (PL 38, 982): «Ubi es ergo, haeretice Pelagiane vel Caelestiane?
Ecce tota Ecclesia dicit: Dimitte nobis debita nostra. Habet ergo maculas et rugas. Sed
confessione ruga extenditur, confessione macula abluitur. Stat Ecclesia in oratione, ut
mundetur confessione; et quamdiu hic vivitur, sic stat».
2053 Ep. 130, 21 (228, 396-400): «Cum dicimus: Ne nos inferas in tentationem, nos
admonemus hoc petere, ne deserti eius adiutorio alicui temptationi vel consentiamus de-
cepti, vel cedamus afflicti. Cum dicimus: Libera nos a malo, nos admonemus cogitare,
nondum nos esse in eo bono ubi nullum patiemur malum».
2054 Ep. 130, 21 (228, 400-404): «Et hoc quidem ultimum quod in oratione domi-
nica positum est, tam late patet, ut homo christianus in qualibet tribulatione constitutus in
hoc gemitus edat, in hoc lacrimas fundat, hinc exordiatur, in hoc immoretur, ad hoc ter-
minet orationem». Agostino lo ribadisce in Ep. 130, 23 (230, 445-448), per i contenuti
che non si confanno al Padrenostro: «Quamobrem pudeat saltem petere, quae non pudet
cupere; aut si et hoc pudet, sed cupiditas vincit, quanto melius hoc petitur, ut etiam ab isto
cupiditatis malo liberet, cui dicimus: Libera nos a malo!» (si veda anche nota 2059).
2055 Cfr. supra, nota 1975.
628 Parte seconda, Capitolo nono
induci») 2056, anche Agostino chiarisce al pari di Origene come non si tratti
di pregare per non essere tentati, bensì per non soccombere alla tentazio-
ne2057. Infatti, senza la «tentazione» intesa come «prova» nessuno può es-
sere vagliato e questa prova assume per chi l’affronta un valore diagnosti-
co, analogamente a quanto aveva sostenuto l’Alessandrino 2058.
Nella Lettera a Proba lo sguardo retrospettivo, che spesso accompa-
gna la conclusione dei commenti agostiniani sul Padrenostro, mette anco-
ra in risalto la Preghiera del Signore come il paradigma e la norma della
preghiera cristiana. Essa è il metro di giudizio e la sintesi vincolante per
qualunque altra espressione orante. Non è tanto questione di forma per
l’Ipponate, a parte la compendiosità sempre raccomandata, quanto piutto-
sto dei contenuti che vi sono riassunti in maniera esemplare. Come tale, il
Padrenostro costituisce il modello per eccellenza della «preghiera spiritua-
le»; chiunque si discosti da esso non può non pregare «in modo carnale»
(carnaliter), all’opposto di coloro che, rinati nello Spirito, sono invece
chiamati a pregare «in modo spirituale» (spiritaliter)2059. In questa rifles-
sione troviamo non solo l’ulteriore conferma della piena adesione di Ago-
stino al discorso eucologico fra II e V secolo, sempre impegnato ad appro-
fondire la preghiera cristiana come «preghiera spirituale», ma – come si
vedrà fra breve – anche la premessa per un’implicazione essenziale sulla
natura «pneumatica» dell’autentica orazione che avvicina ancor di più
l’Ipponate all’Alessandrino. Inoltre Agostino si riallaccia alla tradizione
precedente anche per il fatto che riformula l’idea tertullianea del Padre-
nostro come compendio non solo del vangelo ma in generale di tutta quan-
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2056 Serm. dom. m. II, 9, 30 (119, 638-642): «Nonnulli codices habent inducas, quod
tantundem valere arbitror; nam ex uno graeco quod dictum est eijsenevgkh/" utrumque
translatum est. Multi autem in precando ita dicunt: Ne nos patiaris induci in tentationem,
exponentes videlicet, quomodo dictum sit inducas». In proposito si veda Courtray, 51-59.
2057 Serm. dom. m. II, 9, 32 (120, 671–121, 674): «Non ergo hic oratur ut non temp-
temur, sed ut non inferamur in temptationem; tamquam si quispiam cui necesse est igne
examinari non oret ut igne non contingatur, sed ut non exuratur».
2058 Serm. dom. m. II , 9, 31 (120, 655-661): «Quod itaque scriptum est: Tentat vos
Dominus Deus vester, ut sciat si diligitis eum (Dt 13, 3), illa locutione positum est: Ut
sciat, pro eo quod est: ut scire vos faciat; sicut diem laetum dicimus, quod laetos faciat, et
frigus pigrum, quod pigros faciat, et innumerabilia huiusmodi, quae sive in consuetudine
loquendi sive in sermone doctorum sive in Scripturis sanctis repperiuntur». Anche Serm.
57, 9 distingue fra tentatio e probatio e richiama l’utilità diagnostica della prova.
2059 Ep. 130, 22 (228, 406-229, 413): «Nam quaelibet alia verba dicamus, quae af-
fectus orantis vel praecedendo format ut clareat, vel consequendo attendit ut crescat, nihil
aliud dicimus, quam quod in ista dominica oratione positum est, si recte et congruenter
oramus. Quisquis autem id dicit quod ad istam evangelicam precem pertinere non possit,
etiamsi non illicite orat, carnaliter orat, quod nescio quemadmodum non dicatur illicite,
quando quidem spiritu renatos non nisi spiritaliter deceat orare». Come ricorda Hammer-
ling, 184, la normatività delle domande del Padrenostro ricollega Agostino a Cipriano, De
dom. or. 9.
La costruzione di un modello 629
ta la Scrittura. Egli si sforza di provarlo grazie ad un confronto sinottico
fra passi dell’Antico Testamento – tratti dai libri sapienziali o dai salmi –
e le singole petizioni dell’oratio dominica: anche se le formulazioni vete-
rotestamentarie possono apparire diverse, in essa vi si si ritrovano tutti i
loro contenuti2060.
L’epilogo del commento nel Discorso del Signore sulla montagna svi-
luppa considerazioni in parte diverse. Dopo aver ripetuto la distinzione fra
le prime tre petizioni e le quattro restanti in base allo schema consueto
«vita eterna/vita terrena», Agostino ne trae una delle riflessioni più espli-
cite sul trascendimento del regime della parola e di altri «segni temporali»
nella contemplazione eterna di Dio. A questo fine sfrutta in senso allegori-
co la differenza fra «cibo» e «bevanda»: il primo, anche se riferito al pane
quotidiano come nutrimento spirituale, richiede l’esercizio della mandu-
cazione tramite parole e segni rinviando all’esistenza presente nella sua
scansione temporale e con tutte le altre limitazioni inerenti ad essa; la se-
conda simboleggia al contrario la fruizione priva di lentezze e ostacoli che
è propria della visione di Dio, percepibile dalla mente in tutta la sua im-
mediatezza2061. Così, il desiderio della vita beata che alimenta e sostiene
le manifestazioni della prassi orante prefigura in nuce l’approdo finale
della preghiera al silenzio, che s’intravede peraltro sia nella spiegazione
del Padrenostro come testo normativo per i contenuti (res) più che per le
sue parole (verba) sia nelle forme d’orazione che l’Ipponate sembra cal-
deggiare particolarmente. Infatti, sebbene l’oratio dominica sia la pre-
ghiera quotidiana della chiesa – come Agostino ricorda ai catecumeni nel
Sermone 58, invitandoli a recitarla ogni giorno una volta battezzati2062 –,
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2060 Ep. 130, 22 (229, 430-434): «si per omnia precationum sanctarum verba di-
scurras, quantum existimo, nihil invenies, quod non ista dominica contineat et concludat
oratio. Unde liberum est aliis atque aliis verbis, eadem tamen in orando dicere, sed non
esse debet liberum alia dicere». Al c. 29 la difficoltà a raccordare la preghiera di Anna
con il paradigma dell’oratio dominica è risolta mediante l’applicazione ad essa della set-
tima domanda (235, 570-573): «Sed oratio eius quomodo ad orationem illam dominicam
pertineat, non facile reperitur, nisi quia in eo, quod ibi positum est: Libera nos a malo, non
parvum malum videtur, et nuptam esse, et fructum carere nuptiarum».
2061 Serm. dom. m. II, 10, 37 (127, 805-818): «non quia spiritalis cibus non est
sempiternus, sed quia iste, qui cotidianus dictus est in Scripturis, sive in strepitu sermonis,
sive quibusque temporalibus signis exhibetur animae, quae omnia tunc utique non erunt,
cum erunt omnes docibiles Deo et ipsam ineffabilem lucem veritatis non motu corporum
significantes sed puritate mentis haurientes. Nam fortasse propterea et panis dictus est non
potus, quia panis frangendo atque mandendo in alimentum convertitur, sicut Scripturae
aperiendo et disserendo animam pascunt, potus autem paratus sicuti est transit in corpus,
ut isto tempore panis sit veritas, cum cotidianus panis dicitur, tunc autem potus, cum la-
bore nullo disputandi et sermocinandi quasi frangendi atque mandendi, opus erit sed solo
haustu sincerae ac perspicuae veritatis».
2062 Serm. 58, 12 (212, 273-277): «Oratio vobis cotidie dicenda est, cum baptizati
fueritis. In ecclesia enim ad altare Dei cotidie dicitur ista dominica oratio, et audiunt illam
630 Parte seconda, Capitolo nono
il modo di pregare trova in ogni caso la sua illustrazione emblematica,
anche per il Padrenostro, nell’istruzione premessa ad esso da Gesù (Mt 6,
5-8). In conformità con questa, nel Discorso del Signore sulla montagna
l’Ipponate ha tracciato un’immagine dell’atto orante che accentua forte-
mente il suo processo di interiorizzazione.
Mediante la corrispondenza già evocata fra i cubicula e i corda in
base a Mt 6, 6, la preghiera è chiamata ad estrinsecarsi nella sua modalità
più adeguata come «esercizio spirituale», con l’attivazione di un’«anacore-
si» sensoriale ed un intimo raccoglimento della mente in Dio. È il model-
lo ben noto agli autori precedenti, primo fra tutti Origene, che ancora una
volta fa capolino attraverso questo scritto agostiniano. Designata espressa-
mente come oratio spiritalis, la preghiera s’indirizza al Padre, il quale si
manifesta all’orante nell’intimità del cuore2063. In tal modo Agostino sem-
bra parafrasare da vicino il testo matteano, ma in realtà l’iscrive nella sua
visione di un’interiorità animata dalla presenza del Verbo, a immagine
stessa del modello di Cristo orante che a propria volta è inabitato dal Pa-
dre2064. Ne abbiamo una testimonianza particolarmente eloquente nella de-
cima omelia dei Tractatus in Ioannem (406-407), che allude a Mt 6, 6 con
l’immagine della «stanza del cuore»:
«Pregate senza esitazione, c’è chi ascolta: chi vi ascolta è dentro di voi. Non do-
vete levare gli occhi verso un determinato monte, non dovete levare lo sguardo
alle stelle, al sole, alla luna. Non crediate di essere ascoltati se pregate rivolti al
mare: dovete anzi detestare preghiere simili. Purifica piuttosto la stanza del tuo
cuore; dovunque tu sia, dovunque tu preghi, è dentro di te colui che ti ascolta,
dentro nel segreto, che il salmista chiama “seno” dicendo: La mia preghiera si ri-
percuoteva nel mio seno (Sal 34,13). Colui che ti ascolta non è fuori di te. Non
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fideles. Non ergo timemus, ne minus diligenter eam teneatis: quia et si quis vestrum non
poterit tenere perfecte, audiendo cotidie tenebit».
2063 Serm. dom. m. II , 3, 11 (101, 233–102, 247): «vos autem cum oratis, inquit, in-
troite in cubicula vestra (Mt 6, 6). Quae sunt ista cubicula nisi ipsa corda, quae in psalmo
etiam significantur, ubi dicitur: Quae dicitis in cordibus vestris, et in cubilibus vestris
compungimini (Sal 4, 5)? Et claudentes ostia orate, ait, Patrem vestrum in abscondito. Pa-
rum est intrare in cubicula, si ostium pateat importunis, per quod ostium ea quae foris sunt
improbe se immergunt et interiora nostra appetunt. Foris autem esse diximus omnia tem-
poralia et visibilia, quae per ostium, id est per carnalem sensum, cogitationes nostras pene-
trant et turba vanorum fantasmatum orantibus obstrepunt. Claudendum est ergo ostium, id
est carnali sensui resistendum est, ut oratio spiritalis dirigatur ad Patrem, quae fit in intimis
cordis, ubi oratur Pater in abscondito. Et Pater, inquit, vester, qui videt in abscondito, red-
det vobis» (Mt 6, 6).
2064 En. in Ps. 34, II, 5 (316, 24-30): «In se habebat quem deprecaretur: non erat ab
illo longe, quia ipse dixerat: Ego in Patre, et Pater in me est (Gv 14, 10). Sed quia oratio
ad ipsum magis hominem pertinet: secundum enim quod Verbum est Christus, non orat,
sed exaudit; et non sibi subveniri quaerit, sed cum Patre omnibus subvenit: quid est: Ora-
tio mea in sinum meum convertetur (Sal 34[35], 13), nisi, in meipso humanitas, in meipso
interpellat divinitatem?».
La costruzione di un modello 631
andare lontano, non levarti in alto come se tu dovessi raggiungerlo con le mani.
Più t’innalzi, più rischi di cadere; se ti umili, egli ti si avvicinerà. Questo è il Si-
gnore Dio nostro, Verbo di Dio, Verbo fatto carne, Figlio del Padre, Figlio di Dio
e Figlio dell'uomo, eccelso come Creatore e umile come Redentore; che ha cam-
minato tra gli uomini, sopportando la debolezza umana, tenendo nascosta la po-
tenza divina» 2065.
L’interiorizzazione dell’atto orante trova inoltre conferma nel forte
ridimensionamento delle sue circostanze esteriori, il che fornisce un ulte-
riore parallelo con il pensiero di Origene. Anche Agostino relativizza la
loro importanza, come vediamo dal Discorso del Signore sulla montagna,
allorché riflette sull’usanza di pregare rivolti a oriente. Lungi dal restringe-
re la presenza di Dio ad un luogo particolare, il gesto ha per lui un valore
simbolico che è strettamente collegato a una finalità pedagogica. Infatti,
la preghiera in direzione del luogo dove sorge il sole illustra il processo
interiore di conversione all’essere trascendente di Dio, con il passaggio
graduale dalle realtà terrene alle realtà celesti fino ad acquisire una nozio-
ne interamente spirituale della divinità nello specchio dell’anima2066. Iden-
tica preoccupazione affiora nella risposta ad una delle questioni poste da
Simpliciano, che concerneva precisamente l’atteggiamento del corpo al
momento di pregare. Per l’Ipponate non fa differenza che uno preghi
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2065 Tr. in Io. 10, 1 (100, 20–101, 33): «Est qui exaudiat, ne dubitetis orare: qui au-
tem exaudit, intus manet. Non in montem aliquem oculos dirigatis, non faciem in stellas
aut solem aut lunam levetis. Non tunc exaudiri vos arbitremini, quando super mare oratis:
imo detestamini tales orationes. Munda tantum cubiculum cordis; ubi fueris, ubicumque
oraveris, intus est qui exaudiat, intus in secreto, quem sinum vocat cum ait: Et oratio mea
in sinu meo convertetur (Sal 34[35], 13). Qui te exaudit, non est praeter te. Non longe va-
das, nec te extollas, ut quasi attingas illum manibus. Magis si te extuleris, cades: si te
humiliaveris, ipse appropinquabit. Hic Dominus Deus noster Verbum Dei, Verbum caro
factum, Filius Patris, Filius Dei, Filius hominis: excelsus ut nos faceret, humilis ut nos re-
ficeret, ambulans inter homines, patiens humana, abscondens divina» (tr. Gandolfo-Ta-
rulli, 233-235).
2066 Serm. dom. m. II , 5, 18 (108, 382-402): «Cuius rei significandae gratia, cum ad
orationem stamus, ad orientem convertimur, unde caelum surgit; non tamquam ibi habitet
Deus, quasi ceteras mundi partes deseruerit qui ubique praesens est, non locorum spatiis,
sed maiestatis potentia; sed ut admoneatur animus ad naturam excellentiorem se conver-
tere, id est ad Deum, cum ipsum corpus eius, quod terrenum est, ad corpus excellentius, id
est ad corpus caeleste, convertitur. Convenit etiam gradibus religionis et plurimum expe-
dit, ut omnium sensibus et parvulorum et magnorum bene sentiatur de Deo. Et ideo qui
visibilibus adhuc pulchritudinibus dediti sunt nec possunt aliquid incorporeum cogitare,
quoniam necesse est caelum praeferant terrae, tolerabilior est opinio eorum, si Deum, quem
adhuc corporaliter cogitant, in caelo potius credant esse quam in terra, ut cum aliquando
cognoverint dignitatem animae caeleste etiam corpus excedere, magis eum quaerant in ani-
ma quam in corpore etiam caelesti, et cum cognoverint, quantum distet inter peccatorum
animas et iustorum, sicut non audebant, cum adhuc carnaliter saperent, in terra eum col-
locare sed in caelo, sic postea meliore fide vel intellegentia magis eum in animis iustorum
quam in peccatorum requirant».
632 Parte seconda, Capitolo nono
stando seduto o in piedi, coricato o prostrato. Quel che conta è la tensione
interiore della mente al colloquio con Dio, tanto più che questa si crea da
sé in qualunque situazione la solitudine di cui ha bisogno, spesso dimen-
ticandosi della posizione del corpo o del luogo, specie quando le soprag-
giunge d’improvviso qualcosa che suscita in lei «l’intenzione di pregare
con gemiti ineffabili»2067.
La trasparente allusione a Rm 8, 26 ci riconduce per finire alla Lette-
ra 130, dove l’Ipponate conclude la sua trattazione proprio commentando
il fondamentale passo paolino, che a questo punto giunge a dispiegare un
influsso decisivo sull’immagine agostiniana della preghiera, mettendo in
luce un suo tratto costitutivo. Le affermazioni dell’Apostolo dovettero
creare difficoltà a Proba, come mostra l’iniziale spunto aporetico di Ago-
stino. Ma è impensabile, a suo avviso, che Paolo o i destinatari ignorasse-
ro l’oratio dominica; semmai, l’«ignoranza» dichiarata dall’Apostolo ri-
guarda l’incapacità a comprendere il valore provvidenziale delle tribola-
zioni, come mostra la richiesta di essere liberato dalla «spina nella carne»
in 2Cor 12, 72068. In situazioni del genere il modello da seguire sempre è
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2067 La questione riguardava l’interpretazione di 2Sam 7, 18. Cfr. De div. quaest. ad
Simpl. II , 4 (87, 8-31): «Sive ergo propter Arcam Testamenti sive propter secretum locum,
quod remotus ab arbitris, sive propter intimum cordis, ubi erat orantis affectus, convenien-
ter dictum est: Sedit ante Dominum nisi forte quod sedens oravit hoc movet, cum et sanctus
Elias hoc fecerit, quando pluviam orando impetravit (1Re 18, 42-45). Quibus ammonemur
exemplis non esse praescriptum, quomodo corpus constituatur ad orandum, dum animus
Deo praesens peragat intentionem suam. Nam et stantes oramus, sicut scriptum est: Publi-
canus autem de longinquo stabat (Lc 18, 13), et fixis genibus, sicut in Actibus Apostolo-
rum legimus (cfr. At 7, 59; 20, 36), et sedentes, sicut ecce David et Elias. Nisi autem etiam
iacentes oraremus, non scriptum esset in Psalmis: Lavabo per singulas noctes lectum
meum, in lacrimis meis stratum meum rigabo (Sal 6, 7). Cum enim quisque orationem
quaerit, collocat membra, sicut ei occurrerit accommodata pro tempore positio corporis ad
movendum animum. Cum autem non quaeritur sed infertur appetitus orandi, cum aliquid
repente venit in mentem quo supplicandi moveatur affectus gemitibus inenarrabilibus (cfr.
Rm 8, 26), quocumque modo invenerit hominem, non est utique differenda oratio, ut quae-
ramus quo secedamus aut ubi stemus aut ubi prosternamur. Gignit enim sibi mentis inten-
tio solitudinem et saepe etiam obliviscitur, vel ad quam caeli partem vel in qua positione
corporis membra illud tempus invenerit». Vincent commenta così il ridimensionamento
dei gesti di preghiera: «En face de la minutie parfois tatillonne d’un Origène ou d’un
Tertullien, combien Augustin nous apparaît plus dégagé de la lettre et plus préoccupé de
l’esprit!» (p. 67). Ma se ciò è vero di Tertulliano, non vale certo per Origene che invece
condivide in larga misura l’impostazione agostiniana (cfr. supra, pp. 167 ss.).
2068 Ep. 130, 25 (231, 471–232, 485): «Cur ergo putamus hoc eum dixisse quod
nec temere potuit nec mendaciter dicere, nisi quia molestiae tribulationesque temporales
plerumque prosunt, vel ad sanandum tumorem superbiae vel ad probandam exercendamve
patientiam, cui probatae et exercitatae clarior merces uberiorque servatur, vel ad quae-
cumque flagellanda et abolenda peccata, tamen nos nescientes, quid ista prosint, ab omni
optamus tribulatione liberari? Ab hac ignorantia nec se ipsum Apostolus ostendit alienum,
nisi forte quid oraret, sicut oporteret, sciebat, quando magnitudine revelationum ne extol-
leretur datus est illi stimulus carnis, angelus satanae, qui eum colaphizaret. Propter quod
La costruzione di un modello 633
Gesù, che nella preghiera al Getsemani si rimette interamente al volere del
Padre (Mt 26, 39)2069. Tuttavia, con un ampliamento di riflessione, il luo-
go paolino viene ad esemplificare in generale la difficoltà dell’orante, che
non è in grado di farsi un’immagine adeguata della «vita beata», oggetto
precipuo del suo desiderium. In rapporto a tale bene, che trascende ogni
comprensione umana, egli non può non confessare l’impossibilità di do-
mandare «ciò per cui» e «nel modo in cui conviene» pregare2070. In realtà,
quella dell’Apostolo, di cui anche l’orante partecipa sul suo esempio, è una
docta ignorantia, dal momento che essa è ammaestrata dallo Spirito2071.
In tal modo l’Ipponate ripropone la risposta data da Paolo stesso alla sua
«aporia» sul pregare, grazie all’idea di un intervento dello Spirito in aiuto
dell’uomo e all’intercessione in suo favore «con gemiti ineffabili» (Rm 8,
26-27). Ciò non significa che lo Spirito stesso soffra intercedendo per i
santi, bensì egli opera in modo che i santi invochino Dio con gemiti inef-
fabili, ispirando in loro il desiderio della vita beata2072.
Dunque, per il tramite del luogo paolino, Agostino svela la radice
più profonda dell’orazione cristiana, che in questa luce si evidenza ancor
più come la risposta dell’uomo all’iniziativa preveniente di Dio. Egli fa
propria così, pur con tutta la diversità del suo distinto quadro concettuale,
l’idea origeniana dell’orazione come «impossibilità donata», tanto più ur-
gentemente rivendicata dall’Ipponate con lo sviluppo della dottrina sulla
––––––––––––––––––
ter Dominum rogavit ut eum auferret ab eo, utique sicut oportet nesciens quid oraret. De-
nique Dei responsum cur non fieret quod vir tantus orabat, et quare fieri non expediret,
audivit: Sufficit tibi gratia mea; nam virtus in infirmitate perficitur» (2Cor 12, 9).
2069 Ep. 130, 26 (232, 506–233, 514): «In talibus ergo quid oremus, sicut oportet,
nescimus. Unde si aliquid, contra quod oramus, acciderit, patienter ferendo et in omnibus
gratias agendo, hoc potius oportuisse, quod Dei non quod nostra voluntas habuit, minime
dubitare debemus. Nam et huius modi exemplum praebuit nobis ille mediator, qui cum
dixisset: Pater, si fieri potest, transeat a me calix iste, humanam in se voluntatem ex ho-
minis susceptione transformans, continuo subiecit: Verum non quod ego volo, sed quod tu
vis, Pater» (Mt 26, 39).
2070 Ep. 130, 27 (234, 531-537): «Verumtamen, quoniam ipsa est pax quae prae-
cellit omnem intellectum (Fil 6, 7), etiam ipsam in oratione poscendo, quid oremus, sicut
oportet, nescimus. Quod enim, sicuti est, cogitare non possumus, utique nescimus, sed
quicquid cogitanti occurrerit, abicimus, respuimus, improbamus, non hoc esse, quod quae-
rimus, novimus, quamvis illud nondum quale sit noverimus».
2071 Ep. 130, 28 (234, 538-539): «Est ergo in nobis quaedam, ut ita dicam, docta
ignorantia, sed docta spiritu Dei, qui adiuvat infirmitatem nostram». Secondo Antoni, 127,
nella docta ignorantia «l’âme se reconnaît posée sous un regard qui la transcende et qu’elle
est elle-même appelée à fixer».
2072 Ep. 130, 28 (234, 551-556): «Interpellare itaque sanctos facit gemitibus inenar-
rabilibus, inspirans eis desiderium etiam adhuc incognitae tantae rei quam per patientiam
exspectamus. Quomodo enim narretur, quando desideratur, quod ignoratur? Nam utique,
si omnimodo ignoraretur, non desideraretur et rursus, si videretur, non desideraretur nec
gemitibus quaereretur».
634 Parte seconda, Capitolo nono
grazia in risposta alle tesi di Pelagio e dei suoi seguaci2073. Come argo-
menta la Lettera 194 (417), la preghiera non è un merito dell’uomo, bensì
è da annoverare tra i «doni di Dio», essendo suscitata dall’intervento dello
Spirito in colui che prega. A sostegno di ciò, Agostino ritorna sul luogo
paolino ripresentando il motivo per cui non lo Spirito di per sé geme, ma
coloro nei quali egli agisce2074. I loro «gemiti» danno espressione al biso-
gno fondamentale che l’uomo ha di Dio, ma è solo grazie al soccorso del-
lo Spirito che egli arriva a pregare rettamente; pertanto Agostino aggiun-
ge qui la preghiera all’elenco dei doni dello Spirito 2075. Essendo suscitato
dallo Spirito, il «gemito» dell’orazione è inteso positivamente come l’ane-
lito amoroso dell’anima alla visione di Dio. Così, nella sesta omelia del
Commento al Vangelo di Giovanni (406-407), dove l’Ipponate spiega il
motivo per cui lo Spirito è raffigurato mediante una colomba, il «gemito»
dell’orante diventa la voce amorosa dell’anima-colomba che patisce la
sua condizione di esule ed arde per il desiderio di abitare la patria cele-
ste2076. Commentando da ultimo la Preghiera del Signore nello scritto an-
tipelagiano Il dono della perseveranza (428-429) e sfruttando qui la lex
orandi della chiesa a sostegno della lex credendi, ancora una volta Ago-
––––––––––––––––––
2073 Cfr. ad esempio De dono persev. 7, 13 (PL 45, 1001): «Si ergo alia documenta
non essent, haec dominica oratio nobis ad causam gratiae, quam defendimus, sola suffice-
ret: quia nihil nobis reliquit, in quo tamquam in nostro gloriemur. Siquidem et ut non di-
scedamus a Deo, non ostendit dandum esse nisi a Deo, cum poscendum ostendit a Deo».
2074 Ep. 194, 16 (188, 7-19): «Si dixerimus meritum praecedere orationis, ut donum
gratiae consequatur: impetrando quidem oratio quidquid impetrat, evidenter ostendit do-
num Dei esse, ne homo existimet a seipso sibi esse, quod si in potestate haberetur, non
utique posceretur. Verum tamen ne saltem orationis putantur praecedere merita, quibus
non gratuita daretur gratia – sed iam nec gratia esset, quia debita redderetur –, etiam ipsa
oratio inter gratiae munera reperitur. Quid enim oremus, ait doctor gentium, sicut oportet,
nescimus; sed ipse Spiritus interpellat pro nobis gemitibus inenarrabilibus (Rm 8, 26).
Quid est autem, interpellat, nisi, interpellare nos facit? Indigentis enim certissimum indi-
cium est interpellare gemitibus. Nullius autem rei esse indigentem fas est credere Spiri-
tum sanctum.»
2075 Ep. 194, 18 (189, 23–190, 8): «Sicut ergo nemo recte sapit, recte intellegit,
recte consilio ac fortitudine praevalet, nemo scienter pius est, vel pie sciens, nemo timore
casto Deum timet, nisi acceperit Spiritum sapientiae et intellectus, consilii et fortitudinis,
scientiae et pietatis et timoris Dei (Is 11, 2-3), nec habet quisquam virtutem veram, carita-
tem sinceram, continentiam religiosam, nisi per Spiritum virtutis, et caritatis, et continen-
tiae (2Tm 1, 7), ita sine Spiritu fidei non est recte quispiam crediturus, nec sine Spiritu
orationis salubriter oraturus. Non quia tot sunt spiritus, sed omnia haec operatur unus at-
que idem Spiritus dividens propria unicuique prout vult» (1Cor 12, 11).
2076 Tr. in Io. 6, 2 (53, 11-17): «Non ergo Spiritus Sanctus in semetipso apud seme-
tipsum in illa Trinitate, in illa beatitudine, in illa aeternitate substantiae gemit; sed in nobis
gemit, quia gemere nos facit. Nec parva res est, quod nos docet Spiritus sanctus gemere:
insinuat enim nobis quia peregrinamur, et docet nos in patriam suspirare, et ipso desiderio
gemimus». Cfr. anche Serm. 210, 7 (PL 38, 1051): «Huius enim spei tam gratum et gratui-
tum etiam pignus Spiritum Sanctum accepimus (2Cor 1, 22), qui in cordibus nostris ine-
narrabiles gemitus (Rm 8, 26) operatur sanctorum desideriorum».
La costruzione di un modello 635
stino ricava dal passo paolino l’indicazione sulla preghiera come dono di
Dio nello Spirito:
«E qui comprendiamo che anche questo è un dono di Dio, il fatto che noi invo-
chiamo Dio con cuore sincero e spiritualmente. Si rendano conto dunque di come
s'ingannano quelli che pensano che deriva da noi, e non che ci viene dato, l’im-
pulso di chiedere, di cercare, di bussare; essi dicono che in questo senso la grazia
è preceduta dal nostro merito, mentre essa segue quando chiedendo riceviamo,
cercando troviamo, bussando ci viene aperto. E non vogliono capire che è un dono
divino anche il fatto che noi preghiamo, cioè chiediamo, cerchiamo, bussiamo.
Infatti abbiamo ricevuto lo Spirito di adozione a figli, nel quale chiamiamo: Abba,
Padre (Rm 8, 15)»2077.
La parabola conclusiva della riflessione agostiniana conferma la so-
stanziale compattezza della visuale della preghiera. Essa fa perno su alcu-
ni motivi che ritornano costantemente nell’opera dell’Ipponate: da un lato,
la dialettica dinamica fra desiderium e vita beata; dall’altro, la tensione
ricorrente fra la parola e il silenzio. Nell’una e nell’altra prospettiva il ri-
lievo antropologico dell’esperienza orante è sussunto nella dimensione
teologica, che è insieme trinitaria, cristologica e pneumatologica e deter-
mina lo scenario essenziale della prassi di preghiera. Infatti, al fondo del
desiderium in tutte le sue diverse e contraddittorie manifestazioni, prima
che esso si orienti verso l’unica mèta in Dio, c’è l’iniziativa preveniente
del Padre creatore per il tramite del Verbo e nello Spirito, che instilla nel-
l’uomo la brama della dimora in Lui. Come tale, la preghiera dell’uomo è
sempre una risposta all’appello di Dio, sebbene essa possa assumere con-
figurazioni erronee o inadeguate e necessiti perciò di conformarsi al para-
digma della «preghiera spirituale» che Agostino fa proprio con gli inter-
preti che l’hanno preceduto, non senza significative convergenze con Ori-
gene. Questa risposta orante si serve a sua volta di parole – traendo il suo
modello vincolante dal Padrenostro, la preghiera insegnataci da Gesù –,
ma il contenuto ultimo dell’orazione non può non sfuggire alla presa del
discorso umano: la res per eccellenza di cui l’uomo è chiamato a «godere»
(frui), Dio Trinità, si sottrae alla presa dei verba. Nel suo intimo dinami-
smo la preghiera è dunque chiamata per Agostino ad operare il trascendi-
mento dalle parole della domanda al silenzio della contemplazione ado-
rante. Ma nel disegnare la condizione dei risorti nella vita beata in Dio –
––––––––––––––––––
2077 De dono persev. 23, 64 (PL 45, 1032): «Ubi intellegimus, et hoc ipsum esse
donum Dei, ut veraci corde et spiritaliter clamemus ad Deum. Attendant ergo quomodo
falluntur, qui putant esse a nobis, non dari nobis, ut petamus, quaeramus, pulsemus: et hoc
esse dicunt, quod gratia praeceditur merito nostro, ut sequatur illa, cum accipimus peten-
tes, et invenimus quaerentes, aperiturque pulsantibus: nec volunt intellegere etiam hoc di-
vini muneris esse, ut oremus, hoc est, petamus, quaeramus, atque pulsemus. Accepimus
enim Spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus: Abba, Pater (Rm 8, 15)». Anche
Serm. 348/A attesta la polemica con i pelagiani sull’interpretazione del Padrenostro.
636 Parte seconda, Capitolo nono
come fa nel Discorso 362 (410) – l’Ipponate ritrova lo spazio della pre-
ghiera interiore: tutto quanto l’agire dei risorti sarà allora un «Amen» e un
«Alleluia», cantati però non «con i loro suoni fuggevoli, ma con il moto
interiore dell’amore»2078. Non è comunque solo un’orazione ininterrotta
fatta di lode e ringraziamento ma, si direbbe, anche di continua invocazio-
ne a Dio nell’attesa senza tempo che nasce dalla «sazietà insaziabile»della
vita beata2079. Se l’uomo è anche per Agostino nella sua esistenza terrena
un animal orans, continua ad esserlo nella vita ultraterrena in intima unio-
ne con il Verbo2080.
––––––––––––––––––
2091 Il tema di De Trin. VIII-XV è analizzato lucidamente in rapporto alla preghiera
da Antoni, 182-197 («La prière comme cogitatio Dei: ouverture sur le mystère trinitaire»).
2092 Basti ricordare nuovamente l’interpretazione agostiniana della preghiera dei
Salmi come voce di Cristo e della chiesa nelle Enarrationes in Psalmos, su cui si veda
Fiedrowicz.
La costruzione di un modello 643
tizione del Pater uno degli assi della sua spiegazione della Preghiera del
Signore, specie nelle catechesi ai candidati al battesimo.
Se pochi sembrano condividere la singolare apertura che Origene di-
mostra verso la preghiera del peccatore e le condizioni alle quali essa può
darsi, ciò dipende dal fatto che l’interesse è rivolto primariamente a trac-
ciare il profilo di un orante virtuoso e potenzialmente santo, esigenza che
peraltro l’Alessandrino condivide senza incertezze, specie in Orat. L’ethos
dell’orante interviene poi come via per risolvere il problema fondamen-
tale del rapporto tra preghiera e vita, in conformità con il precetto paolino
a «pregare ininterrottamente» (1Ts 5, 17). Pure su questo punto la rispo-
sta formulata dall’Alessandrino acquista un valore emblematico dei diver-
si modelli elaborati dalla dottrina eucologica del primo cristianesimo in
vista di assicurare un’oratio continua. L’idea origeniana di una preghiera
che s’intreccia con le opere, superando la distinzione se non la frattura tra
i tempi dedicati all’orazione e la vita ordinaria per attuare un’esistenza in
costante rapporto con Dio, appare in continuità con la visuale clementina
della devozione del cristiano perfetto2093, mentre si combina con lo svilup-
po in atto delle ore di preghiera come la cornice quotidiana delle espres-
sioni oranti del fedele, già evidenziato dagli scritti di Tertulliano e Cipria-
no2094. Se i due autori africani lasciano già intravedere l’espandersi di un
orizzonte onnicomprensivo di preghiera nella vita di ogni giorno, questo è
per eccellenza l’obiettivo degli interpreti monastici come Evagrio e Cas-
siano, interessati entrambi a garantire la continuità di una prassi orante
nella condizione monastica, che per il secondo sfocia più direttamente in
una tecnica apposita2095. Diversa è la risposta di Agostino, seppure conver-
gente con il fine auspicato, poiché l’Ipponate richiama l’attivazione del
desiderium come alimento perenne della manifestazione della preghiera.
In definitiva, l’insieme delle consonanze ideali mostra come la rifles-
sione di Origene sia iscritta in profondità nella trama del discorso cristia-
no sulla preghiera fra II e V secolo. Pur senza farne il “codice genetico”
delle dottrine eucologiche del cristianesimo antico, essa contempla am-
piamente i loro motivi principali. Questi emergono, come si è visto, da
un’agenda tematica che è dettata in primo luogo dal “manifesto scritturi-
stico” della preghiera cristiana, inteso particolarmente da Origene in tutta
la sua articolazione comprensiva dei testi dell’Antico e del Nuovo Te-
stamento, con al centro il paradigma del Padrenostro. Sotto tale aspetto
l’apporto dell’Alessandrino rimane ineguagliato, pur considerando la ric-
chezza degli sviluppi successivi sia nei singoli autori sia anche nel loro
––––––––––––––––––
2093 Lo gnostico per Clemente vive sempre alla presenza di Dio (cfr. supra, p. 536).
2094 Sull’orizzonte di preghiera che contraddistingue la vita del cristiano secondo
Tertulliano e Cipriano, si veda rispettivamente pp. 527 e 552.
2095 Cassiano sembra essersi confrontato con il problema dell’oratio continua an-
cor più di Evagrio (cfr. supra, p. 597).
644 Parte seconda, Capitolo nono
complesso. Se la dimensione pastorale del pensiero di Origene risulta a
prima vista meno immediatamente percepibile, diversamente da quel che
vediamo in figure come Tertulliano o Cipriano, Gregorio di Nissa o Ago-
stino, la sua riflessione ci appare comunque sempre ispirata dalla preoc-
cupazione di comprendere ed attuare l’atto orante nella sua forma più
autentica, evitando il rischio di ogni banalizzazione concettuale o pratica.
Benché Agostino si associ più di tutti gli altri interpreti all’Alessandrino
nel riconoscere con lui la preghiera fondamentalmente quale dono di Dio
e frutto della grazia, Origene rimane per eccellenza il testimone della pre-
ghiera come “problema”, vista cioè come esperienza sempre paradossale
ed agonica, accessibile nella sua espressione genuina solo in quanto divie-
ne un’«impossibilità donata».
CONCLUSIONE
LA PREGHIERA DI ORIGENE
––––––––––––––––––
2127 HIos XXIV, 3: «Ego si possem bonus fieri, dabam locum filio Dei in me et ac-
ceptum a me locum in anima mea Dominus Iesus aedificabat eum et adornabat et faciebat
in eo muros inexpugnabiles et turres excelsas, ut aedificaret in me mansionem, si mererer,
dignam se et patre, et ita adornabat animam meam, ut capacem eam suae sapientiae ac
scientiae et totius sanctitatis efficeret in tantum, ut etiam faceret Deum patrem secum in-
trare et in ea facere mansionem et coenare etiam apud talem animam cibos, quos ipse do-
naverat». Sull’uso di Gv 14, 23 e Ap 3, 20, cfr. rispettivamente note 1276 e 684.
2128 Cfr. supra, pp. 181-188.
ABBREVIAZIONI
1. Opere di Origene
CC Contro Celso
CCt Commento al Cantico
CGn Commento a Genesi
CIo Commento a Giovanni
CMt Commento a Matteo
CMtS Serie (lat.) del Commento a Matteo
CPs Commento ai Salmi
CRm Commento alla Lettera ai Romani
Dial Dialogo con Eraclide
EM Esortazione al martirio
EpAfr Lettera a Giulio Africano
EpCar Lettera agli amici di Alessandria
EpGr Lettera a Gregorio
Fr1Cor Frammenti sulla I Lettera ai Corinti
FrCt Frammenti sul Cantico dei Cantici
FrEph Frammenti sulla Lettera agli Efesini
FrEz Frammenti su Ezechiele
FrIer Frammenti su Geremia
FrIo Frammenti su Giovanni
FrIob Frammenti su Giobbe
FrIos Frammenti su Giosuè
FrLam Frammenti sulle Lamentazioni
FrLc Frammenti su Luca
FrPr Frammenti sui Proverbi
FrPs Frammenti sui Salmi
FrQo Frammenti su Qoelet
FrRe Frammenti sui Regni
FrRm Frammenti sulla Lettera ai Romani
HCt Omelie sul Cantico dei Cantici
HEx Omelie su Esodo
HEz Omelie su Ezechiele
HGn Omelie su Genesi
HIer Omelie su Geremia
HIos Omelie su Giosuè
HIs Omelie su Isaia
HIud Omelie su Giudici
658 Abbreviazioni
HLc Omelie su Luca
HLv Omelie su Levitico
HNm Omelie su Numeri
HReG Omelie greche sul I Libro dei Regni
HReL Omelie latine sul I Libro dei Regni
H36,37,38Ps Omelie sui Salmi 36, 37, 38
Orat La preghiera
Pas La Pasqua
Phil Filocalia
Prin I principi
2. Altre abbreviazioni
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TLG Thesaurus Linguae Graecae.
3. Avvertenza bibliografica
Le opere di Origene sono citate di norma nel testo greco o latino in base al-
l’edizione degli Origenes-Werke (GCS), indicando fra parentesi pagina e linea,
qualora si riporti un passo. I testi ripresi da altre edizioni sono indicati nella bi-
bliografia. I passi forniti in traduzione rimandano alle versioni italiane elencate
anch’esse fra i testi di riferimento.
Le citazioni da altri autori antichi sono riportate secondo le edizioni elen-
cate nella bibliografia.
Le traduzioni della Bibbia sono tratte dalla versione della CEI, quando non
sia indicato diversamente.
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1 Giovanni
Tito 1, 3 426n
1, 14 175n 2, 1 139 e n, 185 e n, 464n,
3, 5 519n 466n, 547n
2, 1-2 252n, 395, 396n, 397 e
Ebrei n, 463n, 463-466, 547
2, 17 137n, 138n, 184n 2, 2 138n, 281n, 422n, 464
3, 14 45n n, 465
4, 12 319, 379n, 469n 3, 22 226n
4, 14 397, 533 3, 8 210n
4, 15 62n, 343n, 464n 3, 9 210 e n
5, 1 258 4, 7 303, 304n
5, 2 580n 5, 1 287n
5, 7 582n 5, 14 606 e n
6, 20 445n, 497n 5, 16 63n
8, 3 258
9, 8 253n Apocalisse
9, 14 5n 1, 6 419
9, 24 396 e n 3, 20 225, 226n, 656 e n
9, 26 228 5, 8 5n, 6n, 156n, 366, 367n,
9, 28 397, 464n 386 e n, 439-440, 441-
10, 1 227 443, 571-572
10, 4 258 6, 9 258
10, 12 258 8, 3 572 e n
11 140n 14, 3 141n
12, 23 328 20, 4 258
INDICE DEI LUOGHI ORIGENIANI
Afraate 123, 145 e n, 158n, 446n, 513, 547n, 550, 554, 556, 564, 568n,
554-564, 590, 637-639, 640 e n, 569-570, 578, 584n, 591, 637, 639-
641 e n 641, 643n
Agostino 11, 73, 280, 318, 328n, 511, Cromazio di Aquileia 420
513, 514n, 552, 593-594, 601,
609-645 Damaso 245n, 302n
Alessandro di Afrodisia 115, 116n Didimo il Cieco 202n, 343n
Ambrogio di Milano 263n, 514n, 558n Diodoro Siculo 83n
Aristide 91 e n, 515 e n, 516 Diogene Laerzio 83n, 92n
Aristippo di Cirene 84n Dionigi Areopagita (Pseudo-) 33 e n,
Aristotele 83, 96 e n, 98 e n, 99, 152n 594
Atenagora 516 e n, 518n
Efrem 558n
Barnaba (Pseudo-) 166n, 500n Epicuro 94n
Basilide 211n Epifanio di Salamina 280n, 646n
Epitteto 50, 84n, 85 e n, 87n
Carneade 115 Eracleone 106n, 301 e n
Celso 8, 33n, 66n, 98n, 99, 102n, 171, Eraclito 81n
189, 211n, 221n, 264-281, 431, Erma 354n, 526
437, 443, 459, 483, 491, 504 Eschilo 82n
Cipriano 15-17, 125n, 141, 145 e n, 151, Euripide 82n
197n, 210n, 283n, 296n, 299n, 322 Eusebio di Cesarea 6n, 7 e n, 18 e n,
e n, 513, 519-520, 545-554, 556, 19n, 21-22 e n, 96, 140n, 169n,
563, 603n, 609, 614 e n, 621, 622n, 202n, 246, 282n, 302n, 329n
623, 626n, 628n, 637-638, 640- Evagrio Pontico 6n, 23 e n, 190, 195,
644 206 e n, 213, 216n, 255 e n, 257n,
Cirillo di Alessandria 514n 276n, 295, 322 e n, 401, 435 e n,
Cirillo di Gerusalemme 514n 438n, 499n, 500 e n, 506, 512n,
Cleante 84n, 91n 513, 524, 540, 564-587, 588n,
Clemente di Alessandria 6n, 15-16, 17 590-592 e n, 594-598, 599n, 603-
e n, 21n, 29 e n, 33, 34 e n, 36, 39- 604, 605n, 607, 609, 637-638,
40, 41 e n, 60n, 82n, 84, 92 e n, 93, 640-643 e n
109n, 114n, 145n, 151, 154n, 155
e n, 156 e n, 160-162, 167 e n, 171, Filone di Alessandria 6n, 41, 66n,
173 e n, 176 e n, 192n, 197n, 213n, 132n, 167n, 179n, 192n, 520n
280n, 296 e n, 360n, 435 e n, 441n, Flavio Giuseppe 132n
459n, 460, 494, 500 e n, 511 e n, Fozio di Costantinopoli 22n
513, 515, 516n, 519, 521, 530-546,
734 Indice degli autori antichi
Gerolamo 22 e n, 104n, 244, 245 e n, Porfirio 50n, 88-89, 90 e n, 95n, 215n
246-247, 282n, 302, 313, 372n, Posidonio 84n
378n, 411, 422-424, 427, 472n, Proclo 90
486n, 489n, 501n, 514n Prodico 92 e n, 93, 155n, 537-538, 542
Giamblico 90 e n
Giovanni Cassiano 322n, 513, 587, Quintiliano 97n
595-609, 618, 625 e n, 627, 637- Quodvultdeus 514n
641, 643 e n
Giovanni Crisostomo 50n, 514n, 594n, Rufino di Aquileia 113n, 138, 182n,
615n, 626n 214n, 302, 305, 312, 314 e n, 327,
Giulio Africano 18 328 e n, 377n, 378n, 406n, 411 e n,
Giustino 39 e n, 90, 91 e n, 166n, 515- 412 e n, 420 e n, 422, 424-425, 427
516, 518
Gregorio di Nazianzo 568n Sedulio 514n
Gregorio di Nissa 23 e n, 38n, 41, 513, Seneca 84 e n, 85n, 87n, 159n
575 e n, 587-595, 603, 625 e n, Senofane 81n
627, 637, 640, 641n, 644 Shenute 22n
Simmaco 403n
Ippolito (Pseudo-) 173n, 197n, 489n Socrate 82n, 83n, 87, 88n
Ireneo di Lione 6n, 39 e n, 92 e n, 95 e Socrate Scolastico 19 e n
n, 132n
Isacco di Ninive 429n Taziano 19n, 173, 200n, 351, 494
Teodoro Ateo 92n
Macario Alessandrino 564 e n Teodoro di Mopsuestia 514n
Macario (Pseudo-) 596 Teofilo di Alessandria 22 e n
Marcione 211n, 227n, 494 Teofilo di Antiochia 500n, 516 e n,
Marco Aurelio 50, 85, 159n 518n
Massimo di Tiro 86-88, 89n, 92-93, Teofrasto 534n
95n, 280n, 514n, 532, 537 Tertulliano 11, 15-16, 17 e n, 40, 43n,
Massimo il Confessore 23 e n, 511 e n 123 e n, 125n, 141, 145 e n, 147 e
n, 151, 157n, 166n, 167, 168 e n,
Omero 81 e n, 96 173n, 176 e n, 188n, 197n, 198-
199, 210n, 221n, 299n, 459n, 511,
Palladio 564 e n 513-530, 533 e n, 536-538, 540-
Panfilo 19n, 22 e n 543, 545-547, 549, 550n, 551 e n,
Pietro Crisologo 514n 552n, 553-554, 556, 558 e n, 562,
Pitagora 83 e n, 87, 277n, 538, 577 563 e n, 590, 603n, 609, 614, 615n,
Platone 82 e n, 83n. 84 e n, 87 e n, 89 619n, 620n, 621 e n, 623, 632n,
e n, 90n, 94n, 109 e n, 157n, 215n, 637-644
277n, 278 e n, 539 Tommaso d’Aquino 96
Plotino 38n, 88 e n, 97, 161n, 279 e n
Policarpo di Smirne 206n Valentino 211n
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Van Bavel T.J. 609n, 612n, 617n Wallraff M. 12, 76n, 541n
Van der Ejik P. 21n, 108n, 109n, 110n, Walther G. 514n, 544n
111n, 113n, 114n, 117n Walton B. 24n
Van der Horst P.W. 86n, 87n, 520n Wendland P. 192n
Van Winden J.C.M. 132n Wetstein J.R. 24-25, 257n
Vian G.M. 17n Wilken R.L. 171n
Vigne D. 514n
Villani A. 12, 98n Zamagni C. 96n
SOMMARIO
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1. L’«offerta più grande», 5 - 2. La sfida di un’indagine complessa, 8
PARTE PRIMA
Il trattato sulla preghiera
Capitolo primo
Il contesto del Perì euchês. Lo sfondo remoto e l’occasione
prossima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1. Lo sfondo remoto: interrogativi filosofici e preoccupazioni cate-
chetiche, 15 - 2. L’occasione prossima: la richiesta di Ambrogio,
17 -3. Uno scritto “singolare”?, 19 - 4. Sfortune e fortuna di Orat:
condanna, sopravvivenza ed edizione, 21
Capitolo secondo
Prospettive della ricerca. Il discorso sulla preghiera fra vita
spirituale e teologia . . . . . . . . . . . . . . . 27
1. Per un breve panorama storiografico: le indagini sulla storia della
preghiera, 27 - 2. Ideale di perfezione e preghiera in Origene se-
condo Walther Völker, 31 - 3. Nuovi approfondimenti: preghiera e
«immagine di Dio», 36 - 4. Retorica e teologia nell’interpretazione
di Wilhelm Gessel, 42 - 5. Nuovi indirizzi di studio: il paradigma
degli «esercizi spirituali», 48
Capitolo terzo
In ascolto del testo. Dall’ ouverture alla struttura armonica . . . 51
1. Il prologo come chiave di lettura, 51 - 2. L’argomentazione
della preghiera come paradosso, 58 - 3. La motivazione antropolo-
gica: l’«umana debolezza», 62 - 4. Nell’agone del mondo: fra liber-
tà e responsabilità, 67 - 5. La costruzione del trattato: dal provblhma
al lovgo~, 69
742 Sommario
Capitolo quarto
La critica della preghiera. Quaestio e solutio . . . . . . . 79
1. Le aporie filosofiche: esperienza orante e riflessione critica, 79 -
2. Gli echi cristiani del dibattito filosofico e gli avversari di Orige-
ne, 90 - 3. La replica alle aporie: un esercizio di quaestiones et re-
sponsiones, 96 - 4. La quaestio: inconciliabilità della preghiera con
prescienza e predeterminazione divine, 100 - 5. La responsio: il
presupposto del libero arbitrio, 108 - 6. La preghiera fra prescienza
e provvidenza: iniziativa umana e risposta divina, 116
Capitolo quinto
L’atto della preghiera. Abbozzi di un’ ars orandi . . . . . . 123
1. Uno sguardo prospettico: dal fondamento scritturistico alla pras-
si orante, 123 - 2. L’indagine sulla terminologia biblica: il primato
della proseuchv, 125 - 3. La proseuchv come preghiera al Padre,
133 - 4. L’immagine biblica della preghiera: gli oranti dell’Antico
Testamento, 140 - 5. Istruzioni per la preghiera: un atto con l’anima
e con il corpo, 151 - 6. Le disposizioni preliminari: purificazione
dal peccato e riconciliazione fraterna, 155 - 7. Lo sforzo di con-
centrazione interiore e la memoria di Dio, 158 - 8. Il ruolo del corpo
come immagine dell’anima, 165 - 9. Lo spazio per pregare: un con-
trappeso alla spiritualizzazione, 170 - 10. Dall’orazione individuale
a quella comunitaria: pregare nella chiesa, 176 - 11. L’atto orante
come atto di comunione, 181 - 12. Una postilla sullo «sbocco misti-
co» dell’atto orante: la contemplazione, 189
Capitolo sesto
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano. L’interpretazione
del Padrenostro . . . . . . . . . . . . . . . . 196
1. Preghiera e vita: un modello per l’oratio continua, 195 - 2. Il
Padrenostro e il paradigma della «preghiera spirituale», 198 - 3. Un
compito difficile: la «via stretta» del cristiano, 200 - 4. La vocazio-
ne alla santità dei figli di Dio, 207 - 5. «Come in cielo, così in ter-
ra»: le prime tre petizioni, 212 - 6. La vita dell’uomo nell’orizzonte
di Dio: la domanda del «pane», 219 - 7. Nella trama dei doveri re-
ciproci: la domanda per la remissione dei «debiti», 229 - 8. Il pas-
saggio obbligato della prova: la richiesta per non soccombere alla
tentazione, 234
Sommario 743
PARTE SECONDA
Il discorso origeniano sulla preghiera
e le trattazioni eucologiche
del primo cristianesimo (II-V secolo)
Capitolo settimo
«Come incenso al tuo cospetto» (Sal 140[141], 2). L’immagine
della preghiera nell’opera di Origene . . . . . . . . . . 243
1. Un tentativo di sintesi: fra rassegna e ricostruzione organica,
243 - 2. Il profilo distinto delle fonti e la loro utilizzazione, 244
3. La mappa dei luoghi sulla preghiera, 251 - 3.1. I trattati, 251 -
3.1.1. I Principi, 251 - 3.1.2. Esortazione al martirio, 253 - 3.1.3.
Dialogo con Eraclide, 260 - 3.1.4. Contro Celso, 264 - 3.1.4.1.
Esperienze di preghiera: l’incidenza del paradigma di Orat, 265 -
3.1.4.2. La preghiera di Gesù nel Getsemani, 269 - 3.1.4.3. La pre-
ghiera nel confronto tra paganesimo e cristianesimo, 271 - 3.1.4.4.
La dimensione politica della preghiera, 273 - 3.1.4.5. La preghiera
come ascensione della mente in Dio, 276
3.2. I commentari, 281 - 3.2.1. Commento a Giovanni, 282 - 3.2.1.1.
L’invocazione a Dio per la venuta del Logos come «maestro dei
misteri», 283 - 3.2.1.2. Il modello di Gesù orante: la preghiera al
Padre, 290 - 3.2.1.3. L’esempio del pubblicano: la preghiera del-
l’uomo peccatore, 298 - 3.2.2. Commento al Cantico dei Cantici,
302 - 3.2.2.1. La preghiera per l’intelligenza spirituale: dall’autore
al lettore, 303 - 3.2.2.2. Sponsa orans, 306 - 3.2.3. Commento a
Romani, 312 - 3.2.3.1. La preghiera tra legge della carne e legge
dello spirito, 314 - 3.2.3.2. Lo Spirito maestro di preghiera, 323 -
3.2.3.3. Pregare il Padre e il Figlio, 326 - 3.2.4. Commento a Mat-
teo, 329 - 3.2.4.1. «Esegesi orante»: la conoscenza del mistero e i
limiti dell’interprete, 331 - 3.2.4.2. La preghiera di Gesù: l’inter-
cessione per gli uomini e l’adesione alla volontà di Dio, 339 -
3.2.4.3. La forza della preghiera: concordia orante, prassi di vita ed
esaudimento, 349
3.3. Le omelie, 358 - 3.3.1. Trattazioni specifiche nel corpus omi-
letico, 359 - 3.3.2. L’omelia come momento orante: la preghiera
del predicatore e della comunità per la venuta del Logos, 371 -
3.3.3. Linguaggio e immagini della preghiera: i modelli di oranti,
385 - 3.3.4. Dimensione comunitaria e aspetti individuali: la pre-
ghiera e il combattimento spirituale, 398 - 3.3.5. La preghiera del
peccatore e la confessione di colpa, 403 - 3.3.6. Conclusione in
forma di preghiera: parenesi e dossologia, 410
744 Sommario
Capitolo ottavo
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera . 429
1. Una costellazione di luoghi biblici come fonte di ispirazione,
429 - 2. Le citazioni “normative”: illustrazioni e modelli dell’atto
orante, 430 - 2.1. 1Tm 2, 8 (9): atteggiamento esteriore e disposi-
zioni interiori, 430 - 2.2. 1Tm 2, 1(-2): tipi di preghiere e loro gerar-
chia, 435 - 2.3. Sal 140(141), 2: preghiera come offerta di una vita
santa, 438 - 2.4. Ap 5, 8: postilla sulla preghiera come «profumo dei
santi», 441 - 2.5. 1Ts 5, 17: vita come preghiera continua, 443 -
2.6. Is 58, 9: promessa di esaudimento e sue condizioni, 446 - 2.7.
Sal 108(109), 7: un modello in negativo – la preghiera del peccato-
re, 449 - 2.8. Es 17, 11: la preghiera e la lotta spirituale, 451 - 3. Le
citazioni collaterali: complementi di riflessione su modalità e signi-
ficato della preghiera, 454 - 3.1. Sal 122(123), 1: gli occhi del corpo
e gli occhi dell’anima, 454 - 3.2. At 10, 9: la preghiera come “asce-
sa” – nell’unione di corpo, anima e spirito, 458 - 3.3. 1Gv 2, 1(-2):
Gesù Cristo come intercessore presso il Padre, 463 - 4. Nuovi af-
fondi: prospettive inedite su dottrina e prassi della preghiera, 466 -
4.1. 1Cor 14, 15: preghiera vocale, preghiera silenziosa, 466 - 4.2.
Gv 17: la preghiera di Gesù «sommo sacerdote» per l’unità in Dio
di tutti gli uomini, 475 - 4.3. Mt 18, 19: la necessità della preghiera
concorde, in Cristo e nello Spirito, 488 - 4.4. 1Cor 7, 5: sessualità e
preghiera, 492 - 4.5. Mt 5, 44: la preghiera per i nemici e l’univer-
salità dell’amore, 499 - 5. Conclusione: l’universo scritturistico del-
la preghiera e le sue rifrazioni in Origene, 505
Capitolo nono
La costruzione di un modello. Origene e il discorso cristiano
sulla preghiera da Tertulliano ad Agostino . . . . . . . . 511
1. Origene e la riflessione sulla preghiera fra II e V secolo, 511 - 2.
Tertulliano: la novità dell’oratio christiana come preghiera spiri-
tuale, 514 - 3. Clemente Alessandrino: la pietà del cristiano come il
vero «gnostico», 530 - 4. Cipriano: la preghiera del Maestro nella
comunione della chiesa, 545 - 5. Afraate: la forza della preghiera
del cuore in accordo con le opere, 554 - 6. Evagrio Pontico: la «pre-
ghiera pura» come vertice dell’itinerario monastico di perfezione,
564 - 7. Gregorio di Nissa: la preghiera come confessione della crea-
turalità e memoria della patria celeste, 587 - 8. Cassiano: la trasfor-
mazione monastica del paradigma della preghiera spirituale, 595 -
9. Agostino: la preghiera come gemito dello Spirito nel desiderio
della Vita Beata, 609 - 10. Epilogo: le consonanze origeniane del
discorso eucologico fra II e V secolo, 636
Sommario 745
Conclusione
La preghiera di Origene . . . . . . . . . . . . . . 645
1. Le confessioni di un uomo di preghiera, 645 - 2. L’auspicio di
una fecondità spirituale, 648 - 3. La necessità di una purificazione,
651 - 4. L’attesa della venuta del Verbo, 654
Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 657
1. Opere di Origene, 657 - 2. Altre abbreviazioni, 658 - 3. Avver-
tenza bibliografica, 659
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 661
I. Edizioni e traduzioni, 661 - 1. Opere di Origene, 661 - 1.1. Edi-
zioni e traduzioni di Orat, 661 - 1.2. Edizioni di altri scritti, 661 -
1.3. Traduzioni, 664 - 2. Opere di altri autori antichi, 664 - 3. Edi-
zioni e traduzioni della Bibbia e di fonti extracanoniche, 667 - 4. Re-
pertori, strumenti e raccolte, 667 - II. Studi, 667
Precedentemente pubblicati:
Strumenti
C. Moreschini - E. Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e lati-
na: vol. II: Dal concilio di Nicea agli inizi del Medioevo, 2 tomi inseparabili
(2a ed.)
Studi
L. Canfora - N.G. Wilson - C. Bevegni, Fozio. Tra crisi ecclesiale e magistero
letterario, a cura di G. Menestrina
G. Casadio, Vie gnostiche all’immortalità, (2a ed.)
G. Lettieri, L’altro Agostino. Ermeneutica e retorica della grazia dalla crisi alla
metamorfosi del De doctrina christiana
M. Marin - C. Moreschini, Africa cristiana. Storia, religione, letteratura
G. Menestrina, Bibbia liturgia e letteratura cristiana antica
C. Moreschini, Storia dell’ermetismo cristiano
E. Norden, Agnostos Theos - Dio Ignoto. Ricerche sulla storia della forma del
discorso religioso, a cura di C.O. Tommasi Moreschini
G. Sfameni Gasparro, Agostino tra etica e religione
S. Taranto, Agostino e la filosofia dell’Amore
R. Uglione, Tertulliano. Teologo e scrittore
Testi
Origene, Contro Celso, a cura di P. Ressa
Pseudo Giustino, Sulla resurrezione. Discorso cristiano del II secolo, a cura di A.
D’Anna
Alano di Lilla, Sulle tracce di Dio. Regulae caelestis iuris. Sermo de sphaera
intelligibili, a cura di M. Rossini
Vigilio di Tapso, Contro Eutiche, a cura di S. Petri