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LETTERATURA CRISTIANA ANTICA

collana diretta da Enrico Norelli

Nuova serie
24

Strumenti

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LORENZO PERRONE

La preghiera secondo Origene


L’impossibilità donata

MORCELLIANA

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© 2011 Editrice Morcelliana
Via Gabriele Rosa 71 - 25121 Brescia

Prima edizione: maggio 2011

In copertina:
Figura di orante, V sec., San Pietro in Gallicantu, Gerusalemme

www.morcelliana.com

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ISBN 978-88-372-2494-3
Tipografia La Grafica s.n.c. - Vago di Lavagno (Vr)

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INTRODUZIONE

«La preghiera è uno degli argomenti più diffi-


cili sia per il filosofo che per il fedele»
(Emmanuel Levinas)*

1. L’«offerta più grande»

«Quale offerta più grande di una parola beneodorante di preghiera


può innalzare a Dio l’essere razionale, allorché essa è presentata da una
coscienza priva del cattivo odore che viene dal peccato?»1. Nel denso
––––––––––––––––––
* Difficile liberté. Essais sur le judaïsme. Troisième éd. revue et corrigée, Paris 1983,
p. 345.
1 Orat II, 2 (300, 13-15): poi'on ga;r qew'/ dw'ron ajpo; tou' logikou' mei'zon ajnapevmpe-
sqai duvnatai eujwvdou" lovgou eujch'", prosferomevnh" ajpo; suneidovto" mh; e[conto" dusw'-
de" ajpo; th'" aJmartiva"… CMtS 18 (33, 24-25) considera la preghiera, insieme a elemosina e
digiuno, come una delle possibili «offerte votive» sull’altare del cuore, visto di per sé come
l’elemento di maggior valore: «Ideo non potest honorabilius esse votum quam cor homi-
nis, ex quo transmittitur votum». Messa in relazione all’intermediazione degli angeli, l’of-
ferta di una preghiera diviene una liturgia celeste (cfr. Orat XI, 1 [321, 19-20]: ÔRafah;l
me;n prosfevronto" peri; Twbh;t kai; SavrjrJa" logikh;n iJerourgivan tw'/ qew'/). Solo in Orat
X, 2 (320, 20) l’immagine della preghiera come «offerta» è espressa con il termine prosfo-
rav : ajrciereu;" ga;r tw'n prosforw'n hJmw'n (sulla sua valenza eucaristica secondo Dial 4,
cfr. nota 781). Il riconoscimento della preghiera come «offerta» si fonda, in particolare, su
Ap 5, 8 (nota 2). Tuttavia, il tema dell’«offerta a Dio» può presentarsi in termini più gene-
rali, come ad esempio in HEx XIII, 2 (272, 10-11): «Omnia ergo haec offerantur Deo; et
sensus offeratur Deo et sermo et vox» (cfr. anche HNm XXII, 1; XXVI, 2-3: l’offerta degna
di Dio sono le opere e le virtù). Oppure può richiamare l’immagine dell’anima razionale
come «santuario» nel quale si compiono sacrifici mortificando le passioni, come in FrLam
49 (257, 7-9): yuch'" de; qusiasthvrion to; ejn hJmi'n logikovn, di∆ ou|per iJerourgei'tai ta;
pavqh nekrouvmena. Per HLv I, 2 l’offerta del genere umano, che non ha nulla di proprio da
presentare a Dio, è quella mandata dal cielo nel sacrificio di Cristo: «et quid tam accep-
tum (cfr. Lv 1, 3) quam hostia Christi, qui se ipsum obtulit Deo (Eb 9, 14)?». Secondo
HLv III, 5 l’intero regime dei sacrifici si compendia nell’unica offerta di Cristo (cfr. anche
HLv IV, 8; V, 2). Rafforzano questa prospettiva HNm XII, 3; XXIII, 1 (211, 12-14): «Nemo
suum aliquid offert Deo, sed quod offert, Domini est et non tam sua quis offert quam ipsi
quae sua sunt reddit»; e XXIV , 2 (230, 4-5): «Quid ergo magnum faciet homo, si semet
ipsum offerat Deo, cui ipse se prior obtulit (cfr. Eb 9, 14) Deus?». Si veda inoltre CIo X,
13, 76, dove «il Signore chiama doni suoi le offerte fatte a lui» (p. 398). Anche CRm II, 10
(14) (187, 224-230) sottolinea come ogni offerta dell’uomo sia un dono di Dio: «cogitavi
et quaesivi apud me ipsum quid pro hoc quod mihi Dominus praestitit scientiam veritatis
6 Introduzione
quanto vertiginoso prologo del Perì euchês (= Orat), mentre si sforza
preliminarmente di distinguere le «parole» (oiJ lovgoi) dall’«atteggiamen-
to» (hJ katavstasi") dell’orante, esemplificando quest’ultimo alla luce
dell’invito di Gesù alla riconciliazione fraterna (Mt 5, 23-24), Origene è
condotto a sottolineare l’importanza della preghiera con un riconoscimento
deciso che non sembra trovare eguali nel resto dei suoi scritti. L’intradu-
cibile gioco di parole con cui egli accosta l’orante come «essere razionale»
(tou' logikou') e la «parola di preghiera» (lovgou eujch'") quale espressione
più alta nel rapporto dell’uomo con Dio stride apparentemente con l’im-
possibilità sia di pregare «ciò che si deve» e «come si deve» (richiamata a
lungo con l’aiuto di Rm 8, 26) sia di comprendere adeguatamente la pre-
ghiera, tema dominante dello stesso prologo fin dalle sue battute iniziali.
Se è vero che il motivo del «profumo» è anche altrove associato alla pre-
ghiera dei santi, come per converso il «fetore» sta a connotare quella dei
peccatori2, la condizione dell’uomo che prega, lungi dal configurarsi come
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Domino responderem muneris; intellexi tamen quod natura illa aeterna et omnium domina
nullius indiget. Unum ergo inveni solum, quod me offerre oporteret Deo, id est ut crede-
rem de eo quod numquam possit ab homine aliquid accipere, sed semper dare». Sul marti-
rio come l’«offerta» più grande che l’uomo possa fare di sé in risposta ai benefici ricevuti
da Dio si veda EM 28 (nota 769) e CMt XVI, 6 (con analogo sfruttamento di Sal 115[116],
3-6). Sull’equazione preghiera = sacrificio, cfr. anche CC VIII, 21. In HNm XI, 5 (nota
2104) Origene esprime il desiderio che la sua esegesi sia offerta gradita al Sommo Sacer-
dote Gesù. Secondo Dibelius, l’Alessandrino opera una «Parallelisierung des Gebetes mit
dem Opfer» (p. 40), laddove questa appare solo occasionalmente in Clemente.
2 Come vedremo in seguito (in part. pp. 438-443), l’associazione era suggerita dal-
l’immagine biblica dell’«incenso» (qumivama) accostata alla preghiera in Sal 140(141), 2
(kateuqunqhvtw hJ proseuchv mou wJ" qumivama ejnwvpiovn sou, e[parsi" tw'n ceirw'n mou
qusiva ejsperinhv) e Ap 5, 8 (oiJ ei[kosi tevssare" presbuvteroi e[pesan ejnwvpion tou' ajr-
nivou e[conte" e{kasto" kiqavran kai; fiavla" crusa'" gemouvsa" qumiamavtwn, ai{ eijsin aiJ
proseucai; tw'n aJgivwn). In Orat XXXI, 4 la ritroviamo a partire da Mal 1, 11. Sull’equa-
zione qumivama = proseuchv si sofferma, in particolare, HIer XVIII, 10 (nota 1101); cfr. an-
che CC VIII, 17 (nota 476) e HNm XXIII, 3, 2 (nota 531). HGn XI, 1, riprende un’etimologia
di Filone per il nome di Chettura: qumivama interpretatur, quod est incensum vel bonus
odor (cfr. infra, nota 586). In HLv IX, 8 però l’«incenso» più che essere rappresentato
dalla «preghier» come tale si identifica con le «opere sante» in generale e con l’interpre-
tazione spirituale della Scrittura. Si ricordi anche la trattazione relativa all’«odorato» nel-
l’ambito della dottrina origeniana dei «sensi spirituali». L’immagine dell’«incenso» (qu-
mivama), già attestata da Ireneo (Adv. Haer. IV, 17, 6, con citazione di Mal 1, 11 e Ap 5, 8),
verrà ripresa da Evagrio Pontico (de orat. 1, 141, 147). Il motivo del «profumo di Cristo»
è presente nella letteratura martirologica (cfr. Atti dei martiri di Lione in Eusebio di Cesa-
rea, HE V, 1, 35), ma Origene lo ricollega anche a 2Cor 2, 15 («Noi siamo infatti dinanzi
a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono») – ad esem-
pio in CIo XX, 44, 415; HGn III, 6; o FrCt 33 (210, 6-212,7) –, in rapporto alle buone opere
e alla condotta del giusto, come per il discorso dei sensi spirituali in Dial 18 (13-16): kai;
oJ e[sw a[nqrwpo" ajntilambavnetai eujwdiva" dikaiosuvnh" kai; duswdiva" aJmarthmavtwn
a[lloi" mukth'rsin. Si noti anche il paragone con le «coppe di aroma» in FrCt 48 (228,
2-5) su Ct 5, 13a («Le sue guance sono come coppe di aroma che producono unguenti pro-
Introduzione 7
rapporto di reciprocità con la divinità secondo il modello della preghiera
greca basato sul «favore» che lega l’orante e il dio3 , è proposta semmai
da Origene come quella di chi partecipa di un dono: più che «offrire» a
Dio la «sua» preghiera, è dunque l’uomo ad essere reso capace di pregare
ad opera di colui a cui egli si rivolge.
Il paradosso della preghiera dunque si scioglie proprio se teniamo
presente che il modello di preghiera elaborato da Origene non può mai pre-
scindere dal sostegno divino all’orante, come egli ricava dal seguito del
problematico passo paolino, grazie alla presenza dello Spirito che prega
nei santi intercedendo per loro con «gemiti inenarrabili» (Rm 8, 26-27).
Pertanto l’affermazione sull’«offerta più grande» dell’uomo, anziché con-
traddire tale modello, lo presume necessariamente nel concreto manife-
starsi della preghiera. Al tempo stesso ci aiuta a capire, con una prospettiva
solo a prima vista differente, come l’argomento tocchi anche agli occhi
dell’Alessandrino il cuore e il cardine dell’esperienza religiosa dell’uomo.
Né potrebbe essere diversamente per una figura dalla saldissima tempra
spirituale, come Origene emerge con forza dall’insieme della sua opera,
senza neppure il bisogno di rifarsi al ritratto “agiografico” di Eusebio nel
VI libro della Storia ecclesiastica4 . In questo senso la preghiera ci appare
come una dimensione costitutiva del suo profilo religioso, che lo accom-
pagna lungo tutto il corso della vita5 . Come ha ben mostrato Henri Crou-
zel contro ogni tentativo vecchio e nuovo di semplificarne artificiosa-
mente lo spessore, in Origene lo spirituale è inseparabile dall’esegeta e
dal teologo6. Perciò la preghiera è chiamata a svolgere un ruolo fonda-
––––––––––––––––––
fumati»): Siagovna" Cristou' tou;" diakonoumevnou" lovgw/ qeou' kai; trofh/' pneumatikh/'
nohtevon: dia; me;n th;n plhrovthta th'" eujwdiva" tw'n kalw'n e[rgwn kai; lovgwn, ejoikovta"
fiavlai" tou' ajrwvmato". Cfr. inoltre FrLc 113 (273, 4), riguardo all’unzione della pecca-
trice in Lc 7, 37: doxavzetai ga;r oJ qeo;" dia; th'" eujwdiva" tou' bivou tw'n dikaivwn.
3 Per Pulleyn l’idea di cavri" come rapporto di reciprocità è fondamentale per la reli-
gione greca: «the feeling that the relationship between men and gods was essentially one
of give-and-take through sacrifice and prayer is very clear from the frequent association
in our surviving texts of the verbs quvein [...] and eu[cesqai» (p. 7), senza implicare peral-
tro un automatismo rigido del do ut des (ibi, pp. 12-13). Nella prospettiva origeniana la
“gradevolezza” dell’offerta assume rilievo soprattutto come indicatore della condizione
dell’orante.
4 Pur scontando l’interesse apologetico di Eusebio, si rammenti almeno l’aneddoto
sul giovane Origene che si astiene dal pregare insieme all’eretico Paolo sotto il suo stesso
tetto, sebbene costui fosse frequentato assiduamente da fedeli della chiesa alessandrina
(HE VI , 2, 14).
5 Cfr. Schütz, 137: «Beten ist für ihn die wichtigste Äußerung des christlichen Glau-
bens. [...] Das Gebet ist nicht nur ein wichtiger Gegenstand seiner Verkündigung und
Lehre, es ist eine Dimension seines ganzen Wirkens». Per una prima panoramica, si veda-
no Heither e Perrone 2000c.
6 La preghiera è un fattore determinante ai fini dell’esegesi e della riflessione teolo-
gica: «Le lieu propre de cette exégèse est la contemplation et la prière: de là elle redescend,
8 Introduzione
mentale, che si manifesta sia nell’esperienza personale sia nella rifles-
sione dell’Alessandrino. Non a caso egli la raccomanda, in particolare,
come requisito indispensabile per la comprensione delle Scritture, l’atti-
vità nella quale si compendia peraltro tutto il suo sforzo intellettuale7 .
Non solo Origene dedica ad essa il primo trattato autonomo fra gli autori
cristiani di lingua greca ma il tema ritorna frequentemente nelle omelie e
non è assente neppure nei commentari e nello stesso De principiis8 . Inol-
tre, data la centralità della preghiera fra le espressioni della vita religiosa,
anch’essa offre motivo di confronto polemico con il filosofo pagano Celso
nella grande apologia composta dall’Alessandrino per replicare al suo
Alêthês logos9 . Né si deve dimenticare il fatto che Origene non si limita a
riflettere sulla preghiera e ad invitare i suoi lettori o la comunità di Ce-
sarea a pregare, ma lo fa lui stesso10.

2. La sfida di un’indagine complessa

Si comprende allora come affrontare uno studio sulla preghiera in


Origene esiga, in linea di principio, un’indagine difficile e complessa sul
personaggio e la sua opera che sia capace ad un tempo d’illuminare l’in-
dole spirituale dell’autore, tracciandone per quanto possibile il profilo di
orante, e di dar conto in maniera adeguata della ricchezza di riflessioni
sulla preghiera disperse nel vasto corpus origeniano, al di là dello speci-
fico trattato consacrato all’argomento. Se il primo dei due aspetti solleva
però non pochi interrogativi circa la possibilità di perseguire con successo
l’obiettivo di ricostruire la personale esperienza religiosa dell’Alessandri-
no (basti solo accennare, per il momento, alla controversa questione della
“mistica” di Origene)11, il secondo attira il rischio di sistematizzare più di
––––––––––––––––––
comme Moïse de sa montagne, maintenant que Jésus a fait disparaître le voile, dans les
synthèses du théologien, l’enseignement du prédicateur et du professeur, les luttes de
l’apologiste, et surtout la vie chrétienne de tous ceux qui en vivent» (Crouzel 1987, 84).
7 È questa la raccomandazione rivolta ad un discepolo in EpGr 4 (192-194): Mh;
ajrkou' de; tw/' krouvein kai; zhtei'n: ajnagkaiotavth ga;r kai; hJ peri; tou' noei'n ta; qei'a eujchv:
ejf∆ h}n protrevpwn oJ Swth;r ouj movnon ei\pe tov: krouvete, kai; ajnoighvsetai uJmi'n: kai; tov:
zhtei'te, kai; euJrhvsete (Mt 7, 7): ajlla; kai; tov: aijtei'te, kai; doqhvsetai uJmi'n (Lc 11, 9).
Cfr. anche HGn XI, 3 (nota 1165).
8 Prin II , 9, 4 (cfr. inoltre III, 5, 8; IV, 1, 7; IV , 3, 14; infra, pp. 251-253). Per un esem-
pio nei commentari si veda CIo XX, 1, 1 (nota 861).
9 Perrone 2001d.
10 Ad esempio, cfr. HIs V, 2; Russell Christman.
11 Si veda, da un lato, la risposta negativa di Gessel 1980e, dall’altro, quella positiva
di Crouzel 1987, 162-164, nonché gli interventi raccolti in Pizzolato-Rizzi. Senza antici-
pare qui la trattazione ad hoc (infra, pp. 189-193 alla luce della «confessione» autobio-
grafica di Origene in HCt I , 7 risulta problematico il tentativo di negare in assoluto un
connotato «mistico» all’esperienza religiosa dell’Alessandrino.
Introduzione 9
quanto sia forse consentito un pensiero che ci si presenta come intrinse-
camente dinamico 12. Le discussioni sviluppatesi nella seconda metà del
Novecento intorno alla sua “sistematicità” o meno ci hanno resi cauti nel-
l’intraprendere tentativi di ricostruzione organica. Appare invece più con-
sigliabile tenere in considerazione le modalità con le quali Origene for-
mula le sue idee: in effetti queste, pur senza volerne negare la coerenza
ed omogeneità, possono assumere inflessioni diverse a seconda delle cir-
costanze13. Altro è, per dire, il destinatario dei trattati – da Prin a CC –,
identificabile normalmente con i lettori selezionati più prossimi all’auspi-
cata condizione di “perfetti”; altro è il pubblico delle omelie, composto in
prima istanza di fedeli “semplici” o tutt’al più di “progredienti”, per ser-
virci sia pure in maniera non rigida di due categorie prodotte dall’Ales-
sandrino. Ora, egli è chiaramente consapevole della necessità di rapportar-
si in maniera distinta a pubblici diversi14. Vi è poi da considerare anche il
contesto temporale, un elemento che si tende frequentemente a sottovalu-
tare, ma che forse può aiutarci a capire punti di vista differenziati espressi
da Origene presumibilmente anche a seguito di un’evoluzione personale15.
Può essere che questa prospettiva “asistematica” non piaccia troppo,
data anche la tradizione di studi che spesso insiste ancora nell’accostare
senza problemi passi di opere e periodi diversi evitando così d’interrogarsi
sull’effettiva continuità di pensiero. Da parte mia, mi sono lasciato guidare
via via, almeno come ipotesi di lavoro, dall’idea di un Origene molto più
ricco di polarità, se non di vere e proprie fratture, e pertanto molto meno
sistematico di quanto a volte si vorrebbe. Questo schema, a mio avviso,
rende meglio ragione di apparenti contraddizioni che emergono, ad esem-
pio, proprio riguardo alla teologia origeniana della preghiera. Non a caso
un interrogativo maggiore della ricerca concerne appunto il grado di rap-
presentatività, in generale, della visione espressa da Origene nel trattato
sulla preghiera. C’è chi l’ha messa in dubbio restringendo la portata del
––––––––––––––––––
12 Ho esaminato le caratteristiche dell’argomentazione origeniana nella voce Meto-
do di OD (Perrone 2000a).
13 Un esempio può essere tratto dal modo in cui affronta la preghiera dei peccato-
ri. Se per FrIer 71 (232, 25-27) le loro anime sono «come se non esistessero» (wJ" mhde;
ou\sai) agli occhi di Dio e in FrLam 83 Origene applica alla preghiera dei peccatori Lam
3, 44 («Ti sei avvolto in una nube così che la supplica non giungesse fino a te»), in altri
scritti troviamo una diversa apertura al riguardo (ad esempio, CIo XXVIII, 4-5 e H37Ps I, 5
[note 890, 1101]). È interessante che in Orat V, 5 l’argomento della preghiera di Giuda sia
attribuito agli avversari.
14 Sulla fisionomia religiosa e sociale del pubblico delle omelie e il modo di rappor-
tarsi ad esso del predicatore resta fondamentale Monaci Castagno. Una nuova discussione
al riguardo è stata proposta da Markschies. D’altra parte, Junod 1980 ha mostrato la con-
tinuità delle omelie con il resto degli scritti relativamente alla dottrina del libero arbitrio.
15 Cfr. Monaci Castagno 2004, che ha rinnovato l’esame del rapporto fra biografia
e opera letteraria a distanza di vari decenni dalla classica indagine di Nautin.
10 Introduzione
discorso tanto problematico ed esigente di Origene alle circostanze e ai
destinatari ravvicinati di Orat, ma altri hanno contestato questa conclusio-
ne insistendo viceversa sulla corrispondenza di idee, ad esempio, fra il
trattato e le omelie16. Fra breve, ricostruendo la storia dell’indagine su
Orat, vedremo come si dispongano tra loro i vari interventi degli studiosi
in questo dibattito, ma fin da adesso è lecito giustificare la scelta di fondo
da cui muove questo studio.
Esso nasce da una lunga frequentazione del trattato sulla preghiera,
uno scritto che continua ad apparirmi inesauribile per la ricchezza dei
motivi addotti da Origene e per ciò stesso suscettibile di sempre nuovi
approfondimenti, nonostante io me ne sia ormai occupato abbastanza re-
golarmente da più di un quindicennio17. Lo affianca peraltro il lavoro
preparatorio per una nuova edizione critica, anch’essa impresa di note-
vole impegno e difficoltà in presenza dell’unico codice pervenutoci dalla
tradizione manoscritta e come tale bisognoso di approfondite cure ecdoti-
che. L’attenzione rivolta in questo modo a Orat ha determinato di conse-
guenza l’interesse prioritario per le caratteristiche dello scritto e i temi
che Origene vi tratta, riservando alla futura edizione l’approfondimento
della trasmissione e ricezione del testo, la storia dell’edizione e le analisi
di critica testuale. Da ciò deriva l’articolazione principale del mio studio
che, nella Parte I, dopo una sommaria presentazione di Orat (Cap. 1) e una
rassegna introduttiva sullo stato della ricerca (Cap. 2) si sofferma, a mo’
di ouverture, sull’ “armonica” del testo e la sua struttura (Cap. 3). Segue
la ricostruzione dello sfondo filosofico entro cui emerge il «problema
della preghiera» e del modo in cui Origene lo risolve, sfruttando in parti-
colare il dato scritturistico, linfa vitale di tutta l’opera dell’Alessandrino
(Cap. 4). Un’ulteriore tappa dell’indagine è rappresentata dallo sforzo di
fare emergere globalmente l’ars orandi dalle riflessioni disseminate da
Origene lungo tutto il trattato, dal momento che per l’Alessandrino il di-
scorso non vuole restare meramente teorico ma rimanda ad una prassi ed
anzi si propone di inculcarla precisamente tramite la sua opera (Cap. 5).
Successivamente, ripercorrendo lo stesso andamento di Orat, verrà preso
in esame il commento al Padrenostro quale “manifesto” della preghiera
cristiana, analizzandolo nelle due sezioni principali in cui si distribuisce la
«Preghiera del Signore» (Cap. 6). Giunti al termine dello studio su Orat,
dovremmo allora essere in grado di stabilire, nella II Parte, un raffronto
con la riflessione origeniana come ci è attestata dagli scritti restanti, riper-
––––––––––––––––––
16 Per i due distinti approcci si vedano rispettivamente Völker e Lefeber (riassunto
in Lefeber 1999).
17 Per tale ragione condivido largamente il giudizio espresso da Bertrand, 474, che
insiste sulla diversità da EM notando che Orat «apparaît comme un écrit ambitieux: des
très nombreux aspects de la théologie, pour ne pas dire tous, sont pris en compte dans ces
pages. On est presque en droit d’y voir une sorte de condensé du PArch».
Introduzione 11
correndoli per gruppi omogenei e distinti: trattati, commentari e omelie
(Cap. 7). Dopo di ciò, invece di procedere ad una sistematizzazione delle
idee dell’Alessandrino, tenteremo di mostrare quali sono i nuclei scritturi-
stici che le ispirano e ne assicurano la continuità di fondo (Cap. 8). Con-
cluderemo con un esame comparativo dei diversi approcci al tema della
preghiera negli autori cristiani di lingua greca e latina fra II e V secolo, da
Tertulliano ad Agostino, che mostrerà consonanze e diversità con la pro-
spettiva dell’Alessandrino (Cap. 9). Infine, la conclusione generale si sfor-
zerà di tracciare l’immagine di Origene come uomo di preghiera.

Questo libro ha avuto una lunga gestazione, ma probabilmente non


sarebbe mai stato scritto se non fossero intervenute due circostanze partico-
larmente fortunate. Nel maggio-luglio 2007 un soggiorno come Visiting
professor nella Facoltà di Teologia dell’Università di Aarhus, su invito di
Anders-Christian Jacobsen, mi ha permesso d’impostare il lavoro ed ini-
ziare la stesura della prima parte. Oltre ad usufruire di una biblioteca ben
fornita e accessibile in permanenza, grazie al seminario per i dottorandi
tenuto insieme a Karla Pollmann ho ancora una volta riletto con loro Orat
traendone utili indicazioni per il lavoro. Desidero dunque manifestare, in
primo luogo, il mio vivo ringraziamento all’amico Anders-Christian Ja-
cobsen nonché ai colleghi e ai dottorandi che hanno reso il mio soggiorno
proficuo e stimolante, incoraggiandomi nell’impresa del libro.
La seconda circostanza favorevole è stata decisiva per proseguire il
lavoro, che languiva da vario tempo sommerso dai carichi abituali del-
l’insegnamento, e portarlo finalmente a termine. Dal settembre 2009 al-
l’agosto 2010 ho potuto usufruire di un anno sabbatico all’Institute for
Advanced Studies dell’Università Ebraica di Gerusalemme, in qualità di
coordinatore di un gruppo di ricerca insieme a Brouria Bitton-Ashkelony.
È stata un’esperienza unica, tra le più belle che uno studioso possa augu-
rarsi di fare, e per di più in quella che fin dalla prima visita nel 1985 ho
considerato la mia città d’elezione, dove del resto la preghiera fa parte
dello scenario di vita come in pochi altri posti al mondo. L’ambiente del-
l’IAS ha offerto così il clima ideale per lavorare con assiduità e profitto,
godendo di tutte le facilitazioni messe generosamente a disposizione dei
ricercatori. Provo un sentimento di profonda gratitudine verso il direttore
Eliezer Rabinovici, le direttrici aggiunte Pnina Feldman e Lea Prawer e
tutto lo staff dell’Istituto, sempre disponibile ed efficiente. Il mio ringra-
ziamento si estende ai colleghi del nostro gruppo di ricerca che mi hanno
sostenuto nella mia fatica durante l’anno di permanenza, spesso prenden-
dosi cura di me come uno di famiglia. In particolare, sento un enorme de-
bito di riconoscenza verso Brouria Bitton-Ashkelony: condividendo i miei
stessi temi di ricerca con un lavoro parallelo di vasto respiro sulla preghie-
ra dal pensiero antico alla tradizione cristiana siriaca (che mi auguro possa
12 Introduzione
vedere presto la luce), mi ha incoraggiato e stimolato non solo con innu-
merevoli indicazioni e suggerimenti ma soprattutto con la sua costante
stima e fiducia. Vorrei anche ringraziare caldamente Aryeh Kofsky, che
oltre a promuovere l’iniziativa del gruppo di ricerca insieme a Brouria, si
è preso cura del mio ebraico rivelandosi anche in questo un maestro
straordinariamente preparato quanto modesto e generoso. Insieme a loro
ricordo il debito contratto, sia per l’apporto d’idee che per l’amicizia
manifestatami giorno per giorno, con gli altri membri del gruppo Joëlle
Beaucamp, Oded Irshai, Derek Krueger, Hillel Newman, István Perczel,
Roger Scott nonché i colleghi Christian Julien Robin e Eugene Rogers.
Ringrazio anche il nostro assistente Yonatan Livneh per l’aiuto sempre
sollecito ed efficace.
Debbo infine una lunga serie di ringraziamenti ai molti colleghi ita-
liani e stranieri, agli allievi ed agli amici, che a Gerusalemme ed altrove,
nella mia prima sede universitaria a Pisa come nella seconda a Bologna,
ma specialmente da quasi un ventennio nell’ambito del «Gruppo Italiano
di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina» e dei «Colloquia Ori-
geniana», mi hanno stimolato ed incoraggiato aiutandomi in mille modi
nel corso di tanti anni di frequentazione e di iniziative comuni. Senza poter
menzionare tutti, vorrei almeno ricordare, con un pensiero particolare di
riconoscenza per ciascuno di loro: Monique Alexandre, Daniel Attinger,
Cordula Bandt, Harald Buchinger, Antonio Cacciari, Alberto Camplani,
Francesca Cocchini, Matteo Crimella, Davide Dainese, Maria Ignazia Da-
nieli, Leah Di Segni, Gilles Dorival, Gregor Emmenegger, Cristian Gas,par,
Alain Le Boulluec, Leonardo Lugaresi, Nicolò Maldina, Christoph Mark-
schies, Alberto Mello, Karin Metzler, Adele Monaci Castagno, Domenico
Pazzini, Emanuela Prinzivalli, Marco Rizzi, Guy G. Stroumsa, Daniele
Tripaldi, Andrea Villani, Martin Wallraff.
Dedico questo libro a mia moglie Christiane Böhme e a nostro figlio
Leonardo, che pure questa volta mi hanno sostenuto con il loro affetto e
l’abituale discrezione, accettando di buon grado anche una lunga separa-
zione dalla famiglia.

Gerusalemme, 10 agosto 2010


PARTE PRIMA

Il trattato sulla preghiera


CAPITOLO PRIMO

IL CONTESTO DEL PERI EUCHES


Lo sfondo remoto e l’occasione prossima

«Il pregare è nella religione ciò che il pensiero


è nella filosofia.
Il senso religioso prega come l’organo del pen-
siero pensa»
(Novalis)

1. Lo sfondo remoto: interrogativi filosofici e preoccupazioni catechetiche

Per accostarsi a Orat con un itinerario di avvicinamento graduale che


ci metta in grado di recepirne proficuamente il discorso e di cogliere così
la sua originalità conviene dapprima tracciare il contesto del trattato ori-
geniano, intendendo peraltro questo in un duplice senso: come scenario
remoto e come occasione prossima. In sintesi possiamo dire che lo scritto
sulla preghiera è la risultante, non solo in linea ideale ma anche come de-
terminazione di fatto più o meno diretta, di due distinte traiettorie concet-
tuali che in esso s’intrecciano: da un lato, l’interrogativo filosofico su le-
gittimità e utilità della preghiera da un punto di vista prettamente teorico;
dall’altro, la riflessione sviluppatasi nella prima letteratura cristiana sul-
l’esperienza del pregare, in un’ottica prevalentemente spirituale e cate-
chetica, che ha spinto a farla oggetto di ampie trattazioni, in qualche caso
autonome, come avviene prima di Origene con Clemente Alessandrino e
Tertulliano e successivamente con Cipriano. L’economia complessiva di
Orat risente quindi in maniera strutturale dei due scenari appena evocati,
dal momento che Origene dispone l’argomento – come osserveremo più
avanti – secondo due scansioni principali, la prima delle quali verte sul
«problema della preghiera», la seconda sulla spiegazione del Padrenostro
come il modello per eccellenza a cui deve attenersi l’orante cristiano. In
un certo senso, dunque, l’agenda tematica che l’Alessandrino si è propo-
sto di affrontare era già precostituita dal retroterra speculativo e letterario
dentro cui la sua opera si inserisce, ancorché nessun altro autore cristiano
dei primi secoli abbia fatto della preghiera l’oggetto di riflessioni di così
vasta portata18.
Né va dimenticato il fatto che Origene, diversamente da Tertulliano
e Cipriano, ed anche dallo stesso Clemente Alessandrino idealmente e
––––––––––––––––––
18 Simonetti 1997 mette in rilievo le due premesse per l’articolazione di Orat.
16 Parte prima, Capitolo primo
storicamente più vicino a lui, ha saputo dare un’inedita configurazione
unitaria a problematiche di natura molto diversa tra loro, alcune delle
quali risultano sconosciute, in tutto o in parte, agli altri autori, incluso lo
stesso «problema della preghiera», sia pure con l’eccezione di Clemente.
Così, il De oratione di Tertulliano, il modello più antico di trattato euco-
logico (scritto fra 200 e 206), può sì essere accostato a Orat per la sua
strutturazione, quantunque essa si presenti invertita rispetto allo scritto di
Origene. Infatti, il Cartaginese commenta prima il Padrenostro e passa
quindi ad esaminare la prassi della preghiera19. Ma è qui che la tratta-
zione assume una piega nettamente diversa da quella dell’Alessandrino,
perché essa è guidata soprattutto da considerazioni di carattere pratico e
disciplinare, rispondenti peraltro alla condizione dei candidati al battesi-
mo a cui il De oratione è diretto precipuamente20. Pur senza negare la
presenza di certe affinità con Origene e la sua concezione della «preghiera
spirituale», Tertulliano sembra ignorare del tutto la questione filosofica
riguardo alla preghiera o almeno non dà a vedere di tenerne conto. An-
cora più forte è la diversità con la prospettiva tracciata da Cipriano nel De
dominica oratione (fine 251-inizio 252), tendenzialmente sulla stessa li-
nea di Tertulliano, al quale si ispira certamente nel riproporre un com-
mento del Padrenostro. Anche nel vescovo di Cartagine non mancano co-
munque dei punti di contatto con Orat – come avremo modo di osservare
in seguito –, ma lo scritto di Cipriano neppure sfiora il problema della
preghiera e, concentrandosi quasi esclusivamente sugli esempi scritturisti-
ci e, in particolar modo, sul paradigma rappresentato dalla preghiera del
Signore, opera un’inflessione in senso fortemente comunitario dell’espe-
rienza cristiana di preghiera21.
Resta – come si è già detto – la maggiore vicinanza con Clemente
(Stromati VII), sullo sfondo più ampio della comune dipendenza dalla tra-
dizione alessandrina, che racchiude per entrambi sia l’eredità della Bibbia
greca dei LXX, e con essa del giudaismo ellenistico, sia anche il confronto
polemico con il fronte gnostico22. Questa affinità tra i due autori si può
––––––––––––––––––
19 Cfr. rispettivamente i capp. 2-9 e 10-27. Sulla struttura del De oratione tertullia-
neo si veda da ultimo Tertullian. De baptismo, De oratione. Von der Taufe, Vom Gebet,
übers. u. eing. v. D. Schleyer, Turnhout 2006, 20-21.
20 Come notato da Jay, «Tertullian’s doctrine of prayer [...] is severely practi-
cal» (p. 2). Circa la sua destinazione catechetica, Schleyer osserva: «Für De oratione sind
Tauf-Kandidaten als die zunächst gemeinten Adressaten indirekt zu erschließen» (p. 11).
Per un confronto con Origene cfr. Crouzel 1975 e infra, pp. 518-530.
21 Secondo Simonetti 1997, il significato della preghiera si riassume nell’«esigenza
dell’unità del corpo dei fedeli» (p. 84). Sulla visuale ciprianea si veda infra, pp. 545-554.
22 «Nella sistematica trattazione clementina [...] confluiscono, insieme a tutti i temi
emersi nel giudaismo ellenistico, gli apporti innovativi anche in questo ambito della nuova
letteratura cristiana, biblica e non biblica, in particolare di quella alessandrina a lui prece-
dente o coeva, in buona parte perduta ma nella quale importante deve essere stato anche il
Il contesto del Perì euchês 17
cogliere anche dallo sforzo che Clemente fa per superare la tensione fra
la preghiera dello «gnostico» e quella del cristiano comune. Se è vero che
il suo ideale di preghiera è quello di un «colloquio» costante con Dio, e
che pertanto il suo modello è segnato dalla preferenza riconosciuta alla
preghiera di lode e di ringraziamento, egli non ignora la preghiera di do-
manda e cerca di mostrarne il posto anche nella vita del perfetto23. In tal
modo, l’intera gamma dei quattro tipi di preghiera contemplati da Ori-
gene sulla scorta di 1Tm 2, 1 («domande, suppliche, preghiere e ringra-
ziamenti») ha la sua corrispondenza in Clemente. Ma in lui manca però
l’approfondimento esegetico e dottrinale derivante in Origene dal com-
mento del Padrenostro, mentre in generale la percezione del «problema
della preghiera» appare più attutita. D’altra parte, a giudicare da alcuni
raffronti significativi, è molto probabile che Origene conoscesse il VII li-
bro degli Stromati, cosa che invece non si può affermare del trattato di
Tertulliano e a fortiori di quello di Cipriano24. Se così fosse, risalterebbe
in ogni caso ancor più l’autonomia letteraria e dottrinale di Origene, che
ha dato vita ad un proprio modello distinto di trattato eucologico.

2. L’occasione prossima: la richiesta di Ambrogio

Lo sfondo remoto, descritto qui in prima approssimazione, incide a


diversi livelli sulla trattazione di Orat, come si potrà meglio rilevare in
seguito, aggiungendo ulteriori precisazioni circa i diversi elementi che
compongono lo scenario appena tracciato. Tuttavia, le circostanze pros-
sime dello scritto sono da ricondurre ad una precisa richiesta rivolta ad
Origene da Ambrogio25. Come appare dall’estratto riportato dall’Ales-
sandrino, la lettera del suo patrono doveva riguardare soprattutto la pro-
––––––––––––––––––
ruolo svolto dalle correnti gnostiche, che su questo tema tornano a porre con forza il pro-
blema dell’utilità della preghiera, con l’esito in ambito ortodosso di uno stimolo all’ap-
profondimento intellettuale della fede» (Vian, 81).
23 «La preghiera è un modo di comunicare con Dio, un Dio onnisciente e onnipre-
sente, che perciò conosce benissimo ciò di cui l’orante ha bisogno, conosce in anticipo ciò
di cui viene richiesto, e pure vuole essere richiesto con purità di cuore per potere esau-
dire» (Vian, 85).
24 Le Boulluec 2003 considera Orat come una risposta a Stromati VII . Il contrasto
fra la visione “possibilistica” della preghiera in Clemente e il riconoscimento della sua
“impossibilità” in Origene è tale che quest’ultimo deve averlo messo sul conto, quando ha
composto Orat. Un riesame delle distinte prospettive dei due scritti si trova infra, pp. 530-
545. Quanto al rapporto con Tertulliano, non si vede su quali basi poggi l’idea secondo
cui l’Alessandrino avrebbe conosciuto De orat., come sostenuto da Konstantinovksy, 175
(«which Origen may have consulted»).
25 Orat V, 1 (308, 3-4) ne parla come di un «ordine»: Eij crh; toivnun meta; tau'ta,
w{sper ejkeleuvsate, ejkqevsqai ta; piqana; prw'ton tw'n oijomevnwn mhde;n ajpo; tw'n eujcw'n
ajnuvesqai.
18 Parte prima, Capitolo primo
blematica di ordine speculativo in relazione alla preghiera. Essa prende
forma in due obiezioni di andamento sillogistico che vertono rispettiva-
mente sulla prescienza e sulla predeterminazione divine; alla luce di en-
trambe, la preghiera non può che risultare superflua26. Ma forse è ecces-
sivo ridurre a ciò la portata dell’esigenza manifestata da Ambrogio, non
solo perché lo conosciamo come persona di vasti interessi teologici ed
esegetici, ma ancor più per il fatto che egli non figura quale unico desti-
natario dello scritto. Il trattato, infatti, è indirizzato in contemporanea ad
una donna non altrimenti nota di nome Taziana. Non può trattarsi della
moglie di Ambrogio, poiché da una lettera di Origene a Giulio Africano
egli risulta sposato con una Marcella27. Si è allora supposto che abbiamo
a che fare con un’altra persona, magari una sorella del patrono di Ori-
gene28. Sebbene questa presenza appaia abbastanza discreta – dopo il
prologo (II, 1) Origene menziona ancora Taziana unicamente nel capitolo
conclusivo (XXXIV) –, essa lascia comunque delle tracce significative nel
discorso dell’Alessandrino. La problematica “al femminile”, che compare
a varie riprese nel trattato, riflette chiaramente lo sforzo di Origene per
commisurarsi più da vicino alla condizione e alle aspettative della sua de-
stinataria, da presumere anch’essa come donna sposata 29.
Se la relazione che Origene stabilisce con i destinatari lascia dunque
intravedere, da entrambe le parti, un interesse spirituale più vasto per la
preghiera come esperienza di vita, più delicata è la definizione della data
di Orat, dal momento che la nostra fonte principale per accertare la cro-
nologia delle opere di Origene – il VI libro della Storia ecclesiastica di
Eusebio di Cesarea – è al riguardo silenziosa. Possiamo però combinare
le indicazioni temporali offerte da Eusebio su altri scritti coevi con gli
accenni in proposito da parte dell’Alessandrino. Termine importante di
comparazione è, nel nostro caso, il Commento a Genesi, iniziato secondo
Eusebio ad Alessandria ed interrotto alla partenza dalla città, quando era
giunto al libro VIII, ma ripreso da Origene dopo l’insediamento a Cesarea
di Palestina (232-233), dove egli compose i libri IX -XII30. Se accettiamo
la ricostruzione fornita da Nautin – che indubbiamente si presenta come

––––––––––––––––––
26 Orat V, 6 (311, 8-9): keivsqw de; ejn toi'" parou'sin aujtai'" levxesin a{per dia; tw'n
prov" me grammavtwn e[taxa".
27 EpAfr 24. Sulla condizione di Ambrogio come uomo sposato, con moglie e figli,
insiste particolarmente EM, invitandolo a superare gli ostacoli dei legami di sangue alla
prova della testimonianza di fede.
28 È, ad esempio, l’ipotesi di Nautin, 181, nota 101.
29 Cfr. Orat II , 2; XXVIII, 4; XXXI, 4. Per Monaci Castagno 2003, 183, nota 97, «la
menzione di Taziana non è un episodico atto di cortesia: è pensando a lei che Origene
dedica un’attenzione particolare alla precettistica riguardante la preghiera delle donne e
all’esaltazione di alcune figure femminili dell’Antico Testamento».
30 Eusebio, HE VI , 24, 2.
Il contesto del Perì euchês 19
ben argomentata e persuasiva –, la composizione di Orat dovrebbe collo-
carsi fra la redazione dei tomi X e XI del Commento a Genesi e la successi-
va stesura degli scolî su Esodo, vale a dire intorno al 234-235. A sostegno
di ciò Nautin adduce, da un lato, Orat XXIII, 4, dove l’Alessandrino si ri-
chiama espressamente alla sua esegesi di Gn 3, 8-931, presumibilmente da
assegnarsi a CGn X o XI , dato che – come ricaviamo peraltro dalla Storia
ecclesiastica di Socrate – nel IX tomo Origene sviluppava il tema di Ada-
mo ed Eva come figure di Cristo e della Chiesa, presumibilmente in rap-
porto a Gn 2, 2232. Quanto al terminus ante quem, in Orat III, 3 si rimanda
l’esegesi approfondita di Es 9, 33 ad un futuro commentario33, un cenno –
secondo Nautin – agli Scoli su Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deute-
ronomio, che a suo giudizio sarebbero da datare agli anni 234-23534.

3. Uno scritto “singolare”?

Se tale è la cornice cronologica del trattato, esso s’inserisce in un pe-


riodo oltremodo fitto di impegni per l’Alessandrino. Lo precede infatti di
poco la stesura del VI libro del Commento a Giovanni, ricominciato da
Origene ex novo dopo il suo trasferimento a Cesarea, non senza la fidu-
ciosa consapevolezza di poter portare a termine in futuro quella che si sa-
––––––––––––––––––
31 Orat XXIII, 4 (352, 7-8): peri; touvtwn de; ejpi; plei'on dieilhvfamen, ejxetavzonte"
ta; eij" th;n Gevnesin. Un riferimento implicito a CGn si può forse ricavare anche dalla po-
lemica con Taziano circa l’interpretazione con valore di ottativo delle forme verbali all’im-
perativo adoperate in Gn 1, 3 ss. (cfr. Orat XXIV, 5).
32 Il contesto della menzione in Socrate è dato dalla polemica antiapollinarista:
∆Wrigevnh" de; pantacou' me;n ejn toi'" feromevnoi" aujtou' biblivoi" e[myucon to;n ejnanqrw-
phvsanta oi\den, ijdikw'" de; oJ eij" th;n Gevnesin aujtw/' peponhmevno" e{nato" tovmo" to; peri;
touvtou musthvrion ejfanevrwsen, e[nqa ∆Ada;m me;n to;n Cristovn, Eu[an de; th;n ejkklhsivan
ei\nai platuvteron kateskeuvasen. mavrture" touvtwn ajxiovpistoi o{ te iJero;" Pavmfilo"
kai; oJ ejx aujtou' crhmativzwn Eujsebio". a[mfw ga;r koinh/' to;n ∆Wrigevnou" paratiqevmenoi
bivon kai; pro;" tou;" ejk prolhvyew" ajpecqanomevnou" pro;" to;n a[ndra ajpantw'nte" ejn
o{loi" <e}x > biblivoi" ajpologivan uJpe;r aujtou' poiouvmenoi ouj prw'ton ∆Wrigevnhn ejpi; tauv-
thn th;n pragmateivan ejlqei'n fasin, ajlla; th;n th'" ejkklhsiva" mustikh;n eJrmeneu'sai pa-
ravdosin (Socrate, HE III, 7, 7-10 Hansen, GCS.NF 1, 198, 3-12). Dal passo si ricava dun-
que che Socrate conosceva CGn IX non direttamente, bensì dall’Apologia di Panfilo e Euse-
bio. Heine 2003 parla in proposito di un’esegesi a Gn 2, 7, ma il riferimento alla coppia
non può che rinviare a Gn 2, 22, come ha visto giustamente Nautin, 385. Sul profilo di
CGn si veda inoltre Heine 2005; Danieli, 187.
33 Orat III, 3 (305, 20-22): dia; tiv de; oujk ei[rhtai kai; hu[xato wJ" ejpi; tw'n protevrwn
ajll∆ ejxepevtase ta;" cei'ra" pro;" kuvrion, eujkairovteron ejn a[lloi" ejxetastevon. Origene
conclude così la rassegna della terminologia della preghiera condotta sistematicamente su
Es 7-9, dalla seconda fino alla settima piaga.
34 Heine 2003, 63, rifacendosi all’analisi di Koetschau (pp. LXXV-LXXVII), giunge a
conclusioni analoghe: «the treatise On Prayer can be dated in 233 or 234». Sui problemi,
ancora insoluti, posti dagli scholia origeniani si veda specialmente Junod 1995.
20 Parte prima, Capitolo primo
rebbe rivelata come la sua costruzione più ambiziosa35. In aggiunta a ciò,
oltre ad accompagnare Orat con diversi tomi del Commento a Genesi –
un lavoro che, secondo Nautin, l’avrebbe attirato al momento ancor più
del Commento a Giovanni36 – nel 235, allorché si scatena la persecuzione
di Massimino il Trace, l’Alessandrino redige di propria iniziativa l’Esor-
tazione al martirio, indirizzandola ad Ambrogio e al presbitero Protoc-
teto. La semplice menzione di questa serie di opere coeve non soltanto
segnala la fecondità letteraria di Origene nel suo nuovo ambiente – sia
pure secondo un programma dettato ancora in grande parte da Ambro-
gio37 –, ma invita anche ad esplorare eventuali paralleli o echi fra il trat-
tato e gli altri scritti più o meno contemporanei.
Sorprendentemente, come ci apparirà esaminando i diversi aspetti di
Orat, non ritroviamo analogie evidenti con gli scritti che lo affiancano,
fatta eccezione per le affinità tematiche con CGn, anche se forse la ricer-
ca di eventuali paralleli non ha sfruttato ancora tutti gli indizi ricavabili al
riguardo38. Anzi, lo stesso profilo dell’Esortazione al martirio, l’opera che
sulla carta sembra prestarsi meglio al confronto non solo per la vicinanza
temporale ma soprattutto per il suo rilievo di ordine spirituale (Koetschau
lo giudica come la testimonianza più intensa dell’ideale cristiano di Ori-
gene)39, risulta abbastanza diverso, come mostra già la semplice verifica
delle citazioni scritturistiche presenti nelle due opere; né vi si constatano
in apparenza tracce della riflessione origeniana sulla preghiera, benché il
tema non sia affatto ignorato 40. Semmai sorprende la ripresa pressoché
––––––––––––––––––
35 La «torre» che s’innalza gradualmente verso il cielo nel prologo al VI libro (CIo
VI, 1, 1; 2, 6-8) ricorda non a caso il celebre faro di Alessandria, come ho suggerito in Per-
rone 2001a, 44-45 (cfr. anche il mio successivo contributo: Perrone 2005b, passim).
36 Nautin, Origène, 431-432.
37 Secondo Heine 2003, 67, la trattazione di CGn limitata ai soli primi quattro capi-
toli deve essere stata richiesta da Ambrogio, trattandosi di un testo importante nella pro-
spettiva del suo passato di valentiniano.
38 Ad esempio, Nautin si è chiesto se Orat XV , 1 (334, 4-5: eij ga;r e{tero", wJ" ejn
a[lloi" deivknutai, kat∆ oujsivan kai; uJpokeivmenovn ejstin oJ uiJo;" tou' patro;") contenga una
allusione a CIo X, 37, 246: «Dans ce cas, le tome X sur Jean aurait été dicté dans la foulée
du tome VI , car le De orat. est postérieur de très peu au tome VI. [...] Mais la référence peut
aussi viser un autre passage où la question était exposée plus longuement» (p. 378, nota
45). Le affinità con CGn sono peraltro circoscritte al tema «provvidenza e libero arbitrio».
39 Koetschau, XIV-XV: «in keiner andern erhaltenen Schrift spiegelt sich so wie in
dieser das innerste Leben des Origenes wieder».
40 A riprova di tali differenze si veda, ad esempio, il ricorso del termine oJmiliva –
con ajnavbasi" una delle due definizioni tradizionali della preghiera (cfr. Méhat 1995) – in
EM 3 (4, 29-5, 2): blevpwn o{ti dia; th'" oJmiliva" rJusqei;" ajpo; tou' swvmato" tou' qanavtou
aJgivw" ajnafqevgxetai tov: cavri" tw'/ qew'/ dia; Cristou' ∆Ihsou' tou' kurivou hJmw'n. Con rife-
rimento a Rm 7, 24-25, il primo dei due versetti paolini («Sono uno sventurato! Chi mi li-
bererà da questo corpo votato alla morte?») è interpretato come una preghiera dell’Aposto-
lo, alla quale fa seguito il suo ringraziamento. In Orat Origene non impiega mai il voca-
bolo oJmiliva, benché in generale la sua concezione della preghiera contempli anche l’idea
Il contesto del Perì euchês 21
integrale – se scontiamo qualche piccola modifica e perfezionamento ul-
teriore della terminologia – della stessa trattazione sul libero arbitrio pro-
posta dall’Alessandrino nel III libro dei Principi qualche anno prima (se-
condo Nautin verso il 229-230), allorché egli difende nuovamente questa
dottrina in Orat VI collegandola adesso al discorso sulla preghiera41. È un
tratto di “riscrittura”, a dire il vero, piuttosto insolito per l’Alessandrino,
pur senza negare gli echi e le riprese di cui la sua opera è indubbiamente
ricca e il sovrapporsi dei diversi progetti che lo vedevano impegnato, non
solo all’epoca della composizione di Orat, ma anche prima e successiva-
mente. Come vedremo, la sua riproposizione è dovuta al fatto che Ori-
gene fa proprio un dato dottrinale della tradizione filosofica riconducibile
in sostanza alla fisica stoica. L’isolamento di Orat è in aggiunta aggra-
vato non solo dalla perdita pressoché completa dei commenti dedicati da
Origene alle pericopi evangeliche sul Padrenostro in Matteo e Luca, che
non ci permette di accertare eventuali paralleli o modificazioni della sua
esegesi, ma anche dal fatto che l’autore non rinvia mai a questo scritto.
Se è vero che le autocitazioni dell’Alessandrino si riferiscono in preva-
lenza agli scritti esegetici, talora includono anche i trattati teologici, ra-
gion per cui il suo silenzio non è forse privo di rilievo. Resta quindi, nel-
l’insieme, l’impressione di una certa “singolarità” di Orat, che sollecita
con ancora maggiore urgenza una sua valutazione distinta nel complesso
del corpus origeniano.

4. Sfortune e fortuna di Orat: condanna, sopravvivenza ed edizione

La “singolarità” di Orat sembra essere rafforzata dalle vicende della


tradizione del testo. Sorprendentemente assente nel prospetto cronologico
dell’attività letteraria fornitoci da Eusebio nel VI libro della Storia eccle-
––––––––––––––––––
del «colloquio» con Dio (come ho cercato di mettere in luce in Perrone 2001b); cfr. CMt
XII , 39 (156, 11-12), a proposito della preghiera di Gesù al Padre: i{na de; ou{tw qew/' oJmilh/'
kai; proseuvxhtai tw/' patriv. FrEph I , 3 (236) l’adopera invece in riferimento alla contem-
plazione: kai; th;n kardivan oujkevti e[cei ejpi; gh'" (Mt 6, 21), toutevstin ejn toi'" uJlikoi'"
kai; swmatikoi'" ajll∆ ejn oujranw/' (Mt 6, 20), th/' nohth/' fuvsei ajei; aujth/' oJmilw'n. Prima di
lui lo troviamo adoperato da Clemente Alessandrino, sia pure con qualche cautela, in
Strom. VII, 7, 39, 6 (140): e[stin ou\n, wJ" ei\pei'n tolmhrovteron, oJmiliva pro;" to;n qeo;n hJ
eujchv. Per l’uso del verbo oJmilevw ad indicare la preghiera silenziosa cfr. Atti dei martiri di
Lione, in Eusebio di Cesarea, HE V, 1, 51: tou' me;n ∆Alexavndrou mhvte stenavxanto" mhvte
gruvxantov" ti o{lw", ajlla; kata; kardivan oJmilou'nto" tw'/ qew/'. Alcuni studi contemporanei
sulla preghiera nella tradizione ebraico-biblica, che tendono a respingere l’idea della «con-
versazione con Dio» dalla sua definizione (si veda, da ultimo, Jonquière, 20-23), sembrano
ignorare la riflessione antica in proposito.
41 Si confronti Orat VI , 1 con Prin III, 1, 2. Circa il rapporto fra le due argomenta-
zioni si veda Van der Ejik.
22 Parte prima, Capitolo primo
siastica, il titolo non figura neppure nell’Epistola 33 di Gerolamo, con il
suo catalogo generale degli scritti dell’Alessandrino. Come ha dimostrato
Nautin, si tratta molto verosimilmente di un’omissione dovuta alla riela-
borazione operata da Gerolamo sull’elenco degli scritti di Origene inse-
rito da Eusebio nella perduta Vita di Panfilo42. Del resto, il vescovo di
Cesarea menziona il nostro trattato nell’Apologia per Origene scritta in-
sieme a Panfilo durante la detenzione di questi in carcere, nella persecu-
zione dioclezianea, e completata da Eusebio dopo la morte del suo mae-
stro (310)43. È questa la prima traccia di un’opera destinata a diventare
controversa, alla luce degli sviluppi della teologia trinitaria nel IV secolo,
soprattutto per la tesi della «preghiera» (indicata da Origene con il termi-
ne scritturistico per lui più pregnante di proseuchv) da indirizzare unica-
mente al Padre, con esclusione del Figlio come destinatario 44. Nella men-
zione successiva, a circa un secolo di distanza, l’opera è già oggetto della
condanna di Teofilo di Alessandria ed anche in seguito sembra riaffiora-
re nel contesto delle accuse di eresia rivolte ad Origene45. Così, nemmeno
quell’ “arca di salvezza” per i testi dell’Origene greco che è rappresentata
––––––––––––––––––
42  Nautin ipotizza che la lista di Eusebio fosse disposta, in base al contenuto, in (1)
scritti sul Nuovo Testamento, (2) sull’Antico Testamento, (3) di carattere miscellaneo.
Gerolamo volle modificarla anticipando gli scritti sull’Antico Testamento, ma distrattosi
iniziò a trascrivere di seguito gli scritti miscellanei, salvo interromperne l’elenco, allorché
volle aggiungere più coerentemente le opere dedicate al Nuovo Testamento: «C’est aussi
ce qui explique l’omission des trois traités De oratione, Contra Celsum et De naturis: ils
étaient inscrits à la fin des Divers, mais quand Jérôme s’est aperçu qu’il copiait ce groupe
à tort, il s’est arrêté au point où il en était et s’est mis à copier NT, en se proposant sans
doute d’inscrire les derniers Divers plus loin; puis, le moment venu, il les a oubliés» (pp.
230-231).
43 «Denique in tam multis et tam diversis eius libris nusquam omnino invenitur ab
eo liber proprie De anima conscriptus, sicut habet vel De martyrio, vel De oratione, vel
De resurrectione» (Apologia pro Origene 161 [146]). Dal modo della menzione Prinzi-
valli ricava che «l’opera non era ancora al centro dell’attenzione, perché nessuna delle
nove accuse della lista di Panfilo ne sfiora la tematica» (p. 144); né sembra aver suscitato
discussioni durante la controversia ariana.
44 Orat XV, 1 (333, 26-28). Koetschau, LXXXII ricorda tra i passi controversi anche
Orat XXXI, 3, dove compare l’idea di un corpo sferico degli esseri celesti.
45 La lettera del sinodo alessandrino del 400, convocato da Teofilo in occasione
della prima crisi origenista, registra così la condanna delle tesi di Orat: «Et in alio libro
qui De oratione scribitur: “Non debemus orare Filium, sed solum Patrem, nec Patrem cum
Filio”, obturavimus aures nostras, et tam Origenem quam discipulos eius consona voce
damnavimus» (Gerolamo, Ep. 92, 2; cfr. Nautin, 116, nota 43). Si veda anche Teofilo di
Alessandria, Fr. 12 Richard (Lettera a Attico): ouj dei' proseuvcesqai tw/' Cristw/' oujde; tw/'
Patri; meta; tou' Cristou' , e la Lettera festale del 401 (Gerolamo, Ep. 96, 2): (Origene)
«ausus est dicere non esse orandum filium neque cum filio patrem». Occorre anche ricor-
dare che la prima delle 15 accuse controbattute dall’anonima Apologia di Origene, di cui
Fozio ci parla in Bibl., Cod. 117, riguarda proprio Orat: mh; proseuvcesqai tw/' uiJw/'. Sulla
controversa ricezione del trattato in ambiente egiziano si veda Camplani (a proposito del
Contra Origenistas di Shenute) e Graumann.
Il contesto del Perì euchês 23
dalla raccolta antologica della Filocalia si è data premura di conservarce-
ne qualche pagina, come ha fatto invece per alcuni dei commentari e de-
gli altri trattati dell’Alessandrino. Quanto alla “fortuna” sotterranea dello
scritto origeniano nel monachesimo primitivo o presso i Padri di lingua
greca che si sono occupati del tema della preghiera, come ad esempio Eva-
grio Pontico, Gregorio di Nissa o Massimo il Confessore, è arduo riuscire
a metterla in luce con precisione, sebbene non manchino indizi per asserire
una conoscenza più o meno influente di Orat ad opera di questi autori,
come tenteremo di chiarire nel capitolo conclusivo46.
Non ha dunque torto Koetschau a parlare di un «caso fortunato», se
Orat è riuscito a sopravvivere nell’originale greco, benché questo ci sia
giunto in pratica grazie all’attestazione di un unico manoscritto 47. Si tratta
di un codice cartaceo, presumibilmente di origine costantinopolitana, da
datarsi al XIV- XV secolo, appartenuto per breve tempo alla Biblioteca Rea-
le di Stoccolma e perciò denominato Codex Holmiensis. Esso contiene
anche parte del Commento a Matteo (CMt X-XVII), l’ultimo grande com-
mentario esegetico al quale lavorò l’Alessandrino48. Attualmente il mano-
scritto è conservato presso il Trinity College di Cambridge, con la segna-
tura: Codex Cantabrigiensis Collegii S. Trinitatis B. 8. 10 (= T)49. Pierre
––––––––––––––––––
46 Già Koetschau, LXXXII avvertiva, a proposito di Gregorio Nisseno (ma anche del
Confessore) che «eine direkte Benutzung einzelner Stellen ist nirgends bei ihm nachzu-
weisen». Per una nuova verifica sul Nisseno, cfr. Penati Bernardini e Lozza; su Massimo
il Confessore, Cooper. Quanto ad Evagrio, tracce dell’influsso di Origene sono state
messe in luce da Bertrand. Tuttavia Prinzivalli ammette «una fortuna» di Orat, «un’onda
lunga di influenza pacata e avvolgente che stimolò la riflessione dei teologi, alimentò, di-
rettamente o attraverso mediazioni, la vita interiore di generazioni di cristiani alla ricerca
della perfezione, e condizionò la successiva produzione letteraria sull’argomento» (p. 139).
Anche Konstantinovksy non nutre dubbi al riguardo: «Therein he proved immensely influ-
ential and was the originator of a distinguished Christian literary and spiritual tradition,
counting among its exponents such as Gregory of Nyssa, Ambrose of Milan, Cyril of Je-
rusalem, John Chrysostom, and Maximus Confessor» (p. 175).
47 Sulla tradizione manoscritta e la storia dell’edizione si veda l’introduzione di
Koetschau (pp. LXXXII-XC ).
48 Il codice, appartenuto originariamente alla biblioteca della cattedrale di Worms,
fu portato in Svezia da Isaac Vossius (1616/1618-1689), umanista e teologo olandese. Que-
sti, rispondendo a una lettera di Huet, ne ricostruì così la storia: egli lo aveva acquistato
nel 1646 a L’Aja dal medico della regina Elisabetta di Boemia (1596-1662), che se l’era
procurato dopo la distruzione della biblioteca di Worms. Presolo con sé in Svezia, lo de-
positò presso la Biblioteca reale, ma dopo l’abdicazione di Cristina (1654), il manoscritto
fu portato ad Anversa con il resto della biblioteca. Successivamente Vossius, dopo es-
serne rientrato in possesso, lo mise a disposizione di Herbert Thorndike (1598-1672), che
aveva in progetto un’edizione di Origene, e da questi restò in lascito al Trinity College di
Cambridge. Sulla figura di Vossius e le circostanze qui rievocate cfr. Blok, 205-206.
49 Il testo di Orat è trascritto ai ff. 215r-252v. Il copista ha riprodotto un antigrafo
corrotto in più punti, lasciando in bianco gli spazi delle lacune, con l’evidente speranza di
poterle completare successivamente.
24 Parte prima, Capitolo primo
Daniel Huet (1630-1721), benemerito studioso di Origene, che ci aiuta a
ricostruire la storia del codice, ne effettuò una copia durante un soggiorno
a Stoccolma (1652) poi depositata presso la Bibliothèque Nationale di Pa-
rigi come Codex Parisinus Suppl. Gr. Nr. 534 (= Hu) 50. Nella stessa bi-
blioteca troviamo anche un secondo codice contenente la terza ed ultima
sezione di Orat (XXXI, 1–XXXIII, 3), designato come Codex Parisinus
Graecus 1788, olim Colbertinus 3607, del secolo XV (= Col), ma esso si
è dimostrato essere di scarsa o nulla utilità nella constitutio textus, dal
momento che sembra dipendere dal medesimo archetipo di T, se non
addirittura da questo stesso manoscritto51.
Purtroppo, T presenta numerose lacune che hanno dato parecchio filo
da torcere ad editori e traduttori. Tuttavia, a compensare le sfortune della
tradizione diretta (e soprattutto indiretta), Orat ha trovato fin dagli inizi
della moderna ricerca su Origene studiosi appassionati e critici spesso
acuti e brillanti, che si sono sforzati di migliorare il testo tradito con un
lavorio durato all’incirca dal XVII secolo fino ai primi decenni del secolo
scorso. Se l’editio princeps del 1686 pubblicata a Oxford (= Ox.) si limi-
tava ancora a trascrivere il manoscritto non senza varie difficoltà di lettu-
ra 52, quella stampata pochi anni dopo a Basilea (1694) per la cura di J.R.
Wetstein rappresentava già un piccolo miglioramento (= Wet.)53. Que-
sto diviene sostanziale con l’edizione londinese di W. Reading nel 1728
(= Lond.)54, non tanto per i meriti in sé dell’editore quanto per le osser-
vazioni critiche ed esegetiche di un anonimo studioso inglese (= Angl.),
che le mise generosamente a sua disposizione. L’acribia filologica di cui
lo sconosciuto critico dà prova, anche se le sue congetture non possono
essere accolte in ogni caso, ha continuato a rappresentare un termine di
riferimento indispensabile per il lavoro sul testo di Origene55.
––––––––––––––––––
50 Il testo di T vi è riprodotto alle pp. 1-87. Sull’importanza fondamentale di Huet
nella storia della ricerca origeniana si veda Lettieri 2000a, 316. Il suo ruolo nella vita in-
tellettuale del tempo è illuminato da Shelford (che tuttavia, a p. 36, segnala solo la trascri-
zione di CMt durante il viaggio a Stoccolma) e da Stroumsa 2010, 218 s.v.
51 È questa la conclusione a cui giunge Koetschau, LXXXV-LXXXVI: «Da aber Col
nirgends mehr, sondern an zahlreichen Stellen weniger bietet als T, so hindert uns nichts,
in T die Vorlage von Col zu sehen. [...] Der Schreiber von Col verfährt auch durchweg so
flüchtig und willkürlich, dass man, um seine vielen Fehler zu erklären, nicht noch ein
Zwischenglied zwischen T und Col einzuschieben braucht».
52 WRIGENOUS PERI EUCHS SUNTAGMA, editio princeps, ejn qeavtrw/ tou' SKHLDHNOU,
Oxford 1686.
53 Origenis de oratione libellus..., ed. J.R. Wetstenius, Basileae 1694.
54 WRIGENOUS PERI EUCHS BIBLION. Origenis de oratione liber... recognitus et emen-
datus... a Guilielmo Reading, Londini 1728.
55 Secondo Jay, 73, l’Anonimo potrebbe essere Herbert Thorndike (supra, nota 48).
Importante figura del Seicento inglese, egli fu tra l’altro collaboratore della Bibbia Poli-
glotta di B. Walton per i testi siriaci. Forse il silenzio sull’identità dell’anonimo si spiega
con il conflitto sull’ortodossia dell’Alessandrino, che accompagna in Inghilterra la Orige-
Il contesto del Perì euchês 25
Con analogo procedimento, Charles Delarue (1684-1740), pur ripren-
dendo il testo di Wetstein nel primo volume degli Opera Omnia dell’Ales-
sandrino, pubblicato a Parigi nel 1733 (= Del.) con l’aiuto del nipote Char-
les-Vincent (1707-1762), lo ha corredato con le intelligenti annotazioni
critiche di un princeps philologorum come Richard Bentley (1662-1742),
per quarant’anni Master del Trinity College a Cambridge (= Bent.)56. An-
che l’edizione degli scritti di Origene curata da Carl Heinrich Eduard Lom-
matzsch († 1882) farà a sua volta tesoro delle annotazioni dell’Anonimo
inglese riprodotte dal Reading (= Lomm.) 57. Da ultimo, Paul Koetschau,
insegnante di liceo a Jena, produrrà nel 1899 per gli «Origenes-Werke»,
nella serie berlinese dei «Griechische Christliche Schriftsteller», la prima
vera edizione critica di Orat (1899)58. Benché la vivace disputa filologica
suscitata dal testo prodotto da Koetschau riguardasse principalmente la
sua edizione del Contro Celso pubblicata nello stesso volume, l’editore
non dovette essere lui stesso interamente soddisfatto del proprio risulta-
to 59. Traducendo l’opera, a più di un venticinquennio di distanza per la
«Bibliothek der Kirchenväter» (Des Origenes Schriften vom Gebet und
Ermahnung zum Martyrium, 1926), egli ha rivisto in più punti il testo
edito ed ha apportato revisioni e miglioramenti che spesso sono ancora
ispirate dall’anonimo Anglus60.
Nel secolo passato, in piena rifioritura degli studi di Origene, l’edi-
zione di Koetschau è rimasta il testo di riferimento. Diversamente da altri
scritti editi, che sono stati ripubblicati, a volte con revisioni dell’apparato
testuale o perfino con nuove edizioni – come è avvenuto per ben due volte
con il Contro Celso –, il testo di Orat ha continuato ad essere letto nella
serie dei GCS, spesso senza tenere alcun conto delle modifiche apportate
successivamente da Koetschau al suo lavoro. A parte le numerose tradu-
zioni in varie lingue, nessuno si è più cimentato nell’impresa di una nuova
edizione critica. Conformemente a ciò, se si eccettuano occasionali contri-
––––––––––––––––––
nes-Renaissance del XVII secolo, portata avanti specialmente dai Platonici di Cambridge
(cfr. Lettieri 2000a, 316-318).
56 Origenis Opera Omnia, ed. C. Delarue, t. I, Parisiis 1733, 196-272 (ripresa in PG
11, 416-562). L’edizione, oltre a basarsi su una nuova collazione di terza mano su T, ag-
giungeva la testimonianza di Col. La traduzione che affiancava il testo era opera di Claude
Fleury (1640-1723), su cui si veda Stroumsa 2010, 56-58.
57 Origenis Opera Omnia, ed. C.H.E. Lommatzsch, t. XVII, Berolini 1844, pp. 82-297.
58 Essa uscì in contemporanea con l’edizione di EM e CC: Origenes Werke I, Die
Schrift vom Martyrium. Buch I-IV Gegen Celsus I , hrsg. v. P. Koetschau (GCS 2), Leipzig
1899; Origenes Werke II , Buch V -VIII Gegen Celsus, die Schrift vom Gebet, hrsg. v. P.
Koetschau (GCS 3), Leipzig 1899.
59 Sulla storia dell’edizione degli «Origenes-Werke» e gli echi polemici suscitati
dal lavoro di Koetschau come uno dei suoi editori principali, soprattutto da parte di Diels
e Wilamowitz, si veda Markschies 2002 e Markschies 2005.
60 BKV (ristampato a cura di Gregor Emmenegger nel 2009).
26 Parte prima, Capitolo primo
buti, anche la critica testuale ha evitato di applicarsi al trattato alessandri-
no, sebbene questo ne offra indubbiamente motivo61. Peraltro, singoli tra-
duttori come Jay o Oulton, alle prese con un testo non di rado abbastanza
ostico, non si sono astenuti dal proporre talora anche osservazioni di na-
tura testuale di cui una futura edizione potrà utilmente giovarsi.

––––––––––––––––––
61 Si veda, ad esempio, l’isolato intervento di Héring.
CAPITOLO SECONDO

PROSPETTIVE DELLA RICERCA


Il discorso sulla preghiera fra vita spirituale e teologia

«Una preghiera non è soltanto l’effusione di


un’anima, il grido di un sentimento: è un fram-
mento di religione dove si sente risuonare l’eco
di un’immensa sequenza di formule»
(Marcel Mauss)

1. Per un breve panorama storiografico: le indagini sulla storia della


preghiera

A giudizio di Marcel Mauss, il noto antropologo e sociologo delle


religioni francese, autore agli inizi del Novecento di un’opera rimasta in-
compiuta dal titolo La prière et les rites oraux, poche letture si rivelano
così utili come Orat per affrontare un discorso sulla preghiera 62. L’inte-
resse di Mauss era diretto ad acquisire, in sostanza, una prospettiva meto-
dologica per lo studio delle forme di preghiera, vista da lui eminente-
mente come un fatto sociale, passando dalle società primitive a quelle più
evolute. Benché questo obiettivo sia rimasto allo stato di abbozzo, egli
offre considerazioni molto stimolanti sulla tendenziale evoluzione storica
dalla preghiera collettiva a quella individuale, che egli credeva di poter
rintracciare anche nel mondo biblico e nel primo cristianesimo, senza
comunque sposare l’idea di un meccanismo evolutivo a senso unico.
D’altra parte, l’apprezzamento rivolto al trattato di Origene era accompa-
gnato in generale da una critica a teologi e filosofi, accusati da Mauss di
occuparsi non tanto della preghiera in sé quanto piuttosto dell’idea che
essi se ne fanno.
Non è fuori luogo partire da queste riflessioni per una breve pano-
ramica storiografica degli studi su Orat, nell’intento di meglio orientare il
cammino da percorrere in questa ricerca. È evidente infatti che l’opera di
Origene rientra a pieno titolo in quella che si dovrebbe chiamare una
«storia della preghiera cristiana», come si ricava del resto anche dai titoli
di alcuni tra i primi lavori dedicati ad essa. Grazie al vasto spettro tema-
tico che è oggetto del suo trattato, Origene non si limita a proporre un
modello di preghiera in astratto, cioè da un mero punto di vista dottrinale
o come elaborazione ideale, ma si richiama anche ad un’esperienza di pre-
––––––––––––––––––
62 Cfr. Mauss, 18, nota 33.
28 Parte prima, Capitolo secondo
ghiera vissuta, sia quella praticata a livello individuale sia anche quella
che si dà in forma comunitaria. In ogni caso, anticipando il tenore più
specifico dello scritto, Orat è un testimone prezioso per illustrare le dina-
miche di “spiritualizzazione” della preghiera apportate nella sua prassi
concreta in seguito all’affermarsi del cristianesimo63.
Come si è appena detto, tra gli studi del secolo passato che prendono
in esame Orat figurano, in particolare, indagini sulla storia della preghie-
ra agli albori del cristianesimo quali le opere di Eduard von der Goltz
(Das Gebet in der ältesten Christenheit, 1901)64 e Otto Dibelius (Vater-
unser. Umrisse zu einer Geschichte des Gebets in der Alten und Mittleren
Kirche, 1903) 65, in apparenza più fiduciosi di Mauss nel ricostruire le vi-
cende di un fenomeno che per la scarsa documentazione di cui disponiamo,
ma soprattutto per la sua stessa natura elusiva – almeno nelle manifesta-
zioni di carattere più individuale – tende a sottrarsi ad una ricognizione
storica66. D’altronde, bisognerà aspettare parecchi decenni, per vedere
riemergere in qualche articolo di dizionario dei tentativi parzialmente
analoghi, cioè volti anch’essi a tracciare un profilo evolutivo della pre-
ghiera biblica e cristiana67. Nel contesto degli studi di primo Novecento,
Orat è sfruttato, in particolare, da von der Goltz per ricavarne gli indizi di
una divaricazione fra la prospettiva filosofica e quella religiosa, ricondu-
cendo in sintesi alla prima il discorso elaborato da Origene. Benché que-
sto susciti l’ammirazione dello studioso per la profondità di pensiero
––––––––––––––––––
63 Per un primo orientamento storiografico si veda Berner, Origenes: dopo aver esa-
minato le interpretazioni sistematiche, egli tratta della ricerca su Origene come maestro di
vita spirituale («“Nicht-systematische” oder “mystische” Origenes-Deutungen», pp. 68-84).
La migliore sintesi sugli studi novecenteschi è offerta da Alexandre 2006, più specifica-
mente sulla spiritualità origeniana da Kannengiesser.
64 Goltz, 266-278.
65 Dibelius, 23-45.
66 Pur con l’intensificarsi recente degli studi sulla preghiera, la diagnosi di Mauss
non ha perso d’attualità: «Quanto alle religioni dell’antichità classica, la letteratura storica
sulla preghiera è carente, probabilmente per il fatto che i documenti sono scarsi. Soltanto
le religioni semitiche e il cristianesimo fanno eccezione, sia pure per poco. Sono state delle
necessità pratiche e di esegesi, nonché dei problemi di rituale e teologia, a stimolare ricer-
che sulla liturgia ebraica, giudaica, cristiana, ma, per quanto importanti, esse rimangono
sempre frammentarie» (pp. 17-18). Di tale consapevolezza metodologica non sembra es-
servi traccia in Hammerling 2008a (che del resto non cita neppure Mauss). Il curatore fidu-
ciosamente afferma: «The content of prayers reveals the true hearts of the lives and theol-
ogies of those who pray. [...] Hence there is a naked honesty about prayer in that it must
reveal the depth of the petitioners’ theological positions and religious world views» (p. 12).
67 Mi riferisco, in particolare, agli importanti contributi di Greeven-Herrmann, Se-
verus e Méhat 1986a e 1986b. Non si può peraltro dimenticare il lavoro condotto nella
prima metà del secolo scorso da Franz Joseph Dölger per esplorare diverse manifestazioni
della preghiera protocristiana e pubblicato principalmente nelle due raccolte enciclopedi-
che ICQUS e Antike und Christentum. Per un bilancio degli studi novecenteschi cfr. Ham-
man 1999; Freyburger-Pernot; Ostmeyer 2006, 1-29.
Prospettive della ricerca 29
mostrata dall’Alessandrino, von der Goltz arriva ad accusarlo di profes-
sare un «idealismo» lontano dal semplice evangelo; in definitiva, però,
deve ammettere che l’intento di rendere appetibile la preghiera da parte di
un pubblico colto è stato pienamente raggiunto da Origene68. Quanto a
Dibelius, egli sottolinea la dimensione ecclesiale della riflessione orige-
niana, che la renderebbe diversa da Clemente Alessandrino, come confer-
mato peraltro dall’importanza assegnata alla preghiera di domanda. Tale
riconoscimento rappresenta per Dibelius una concessione all’idea «volga-
re» di preghiera che urterebbe con lo sforzo di Origene per elaborare il
suo paradigma della preghiera spirituale 69.
Tende ad allinearsi in parte a questo approccio anche la prima inda-
gine specifica dedicata alla riflessione dell’Alessandrino in quello stesso
torno di anni, a cura di Daniel Genet (L’enseignement d’Origène sur la
prière, 1903), sebbene tenti di approfondire anche l’esperienza spirituale
di Origene, anticipando così l’impostazione di Walther Völker 70. Nella
prima parte dell’indagine Genet, invece di ripercorrere l’argomentazione
del trattato – uno scritto che considera composto «in fretta» –, si sforza di
ricostruire in maniera sistematica la visuale origeniana dell’atto orante71.
Affronta perciò i seguenti aspetti: 1. atteggiamento esteriore e disposizio-
ni interiori, 2. oggetto, 3. destinatari, 4. direzione della preghiera, senza
farsi scrupolo di utilizzare ugualmente altri scritti dell’Alessandrino al fine
di completare l’immagine di Orat. In particolare, fra i diversi tipi di pre-
ghiera evocati dal trattato, Genet dedica maggiore attenzione alla «sup-
plica» (e[nteuxi"), mentre tratta abbastanza fuggevolmente l’«orazione»

––––––––––––––––––
68 «Die Absicht des grossen Gelehrten, auch den Gebildeten das christliche Gebet
nahezubringen und es ihnen zu einem heiligen und geschätzten Mittel zu machen, gottähn-
licher zu werden und Gott näher zu kommen, ist für die Geistesrichtung jener Zeit erreicht
und so dürfen wir sagen, dass trotz aller Mängel und Einseitigkeiten Origenes die theolo-
gische Aufgabe, die hier für ihn lag, trefflich gelöst hat. Wir sind auch heute in den we-
sentlichen Punkten noch nicht weiter, als Origenes damals gewesen ist, wenn wir auch
eine andere Sprache reden» (Goltz, 278).
69 Dibelius, che rileva anche la preminenza della preghiera di richiesta nel ritratto
di Gesù orante (p. 36), ritiene che Origene, al pari del suo maestro Clemente, non riesca a
fondare adeguatamente la preghiera (p. 37).
70 Questo smilzo lavoro (una tesi presentata alla Faculté de Théologie Protestante
de Paris) non pare aver lasciato molte tracce nella letteratura origeniana, se si esclude l’uso
che ne ha fatto, in particolare, Völker. Ringrazio l’amico Harald Buchinger per avermene
gentilmente procurato una fotocopia.
71 Per il giudizio sulle caratteristiche letterarie si veda Genet, 5-6: «Le livre du doc-
teur alexandrin, assez court du reste, semble avoir été écrit à la hâte. Le style en est sou-
vent relâché: les obscurités, les répétitions, les longueurs ne font pas défaut». Egli ricon-
duce tali manchevolezze anche all’ “abuso” (!) delle citazioni scritturistiche: «cet emploi
vraiment abusif de l’Écriture sainte vient encore ajouter à la lourdeur naturelle du style
d’Origène et à l’obscurité de sa pensée» (pp. 66-67).
30 Parte prima, Capitolo secondo
(proseuchv)72. Nella seconda parte, poi, egli analizza nelle sue linee es-
senziali la teologia origeniana della preghiera. Procedendo nuovamente in
maniera sistematica, Genet la ricollega alla concezione di Dio come es-
sere trascendente, da ricondurre peraltro al patrimonio filosofico del suo
tempo. Tale concezione permea la cornice tracciata da Origene per l’atto
orante, laddove esso si esplica in linea di principio come ascensione del-
l’uomo a Dio. È anche a causa di ciò che Genet, nonostante l’ammira-
zione per l’Alessandrino, critica Origene per l’eccessivo «spiritualismo»
determinato dalla matrice filosofica del suo pensiero73. Ma l’autore stesso
sembra avvertire quanto tale conclusione risulti ingiusta nei confronti di
Origene. Infatti, Genet completa la sua ricostruzione della visuale orige-
niana con il riferimento, da un lato, alla Bibbia e, dall’altro, alla pietà per-
sonale dell’Alessandrino. Grazie al radicamento nella Scrittura l’Alessan-
drino è sfuggito al rischio di disfarsi della preghiera di domanda, come
sarebbe stato conforme ai suoi presupposti filosofici. A ciò va aggiunto il
fatto che Origene era lui stesso un uomo di preghiera, come Genet illustra
soprattutto a partire dalle preghiere che ricorrono nelle omelie. Del resto,
la spiritualizzazione perseguita dall’Alessandrino va vista anche come rea-
zione alla prassi di preghiera diffusa nelle comunità cristiane del tempo,
senza che essa sfoci in una rottura completa con essa74. In tal modo, la
breve dissertazione di Genet, non priva ancor oggi di motivi di interesse,
disegna un ritratto abbastanza mosso, che colpisce proprio per la moltepli-
––––––––––––––––––
72 Genet, 26-31. Pertanto, il privilegio accordato alla proseuchv rimane un po’ enig-
matico per l’autore che, a proposito di Orat XIV , 2. 4, osserva: «Il y a donc dans cette prière
un élément qui n’est pas une demande, la doxologie ne servant qu’à exalter les magnifi-
cences divines, à chanter les louanges du Très-Haut et à proclamer ses bienfaits. Origène
insiste au chapitre 14, 4 sur ce caractère doxologique. Par là cette prière se rapproche de la
prière d’adoration pure» (p. 26). Inoltre, egli relativizza ulteriormente l’importanza della
proseuchv e la distinzione di quattro tipi di preghiera, sforzandosi di raccogliere le tracce
di una «preghiera interiore»: «À côté des quatre formes de prières [...], à côté de la notion
de la prière qui se confond avec les actes pieux, il y a chez Origène l’idée d’une prière in-
térieure suivant laquelle le croyant entre directement en communion avec Dieu, sans avoir
besoin de lui exprimer verbalement ses désirs» (p. 36). Tuttavia, affrontando successiva-
mente la questione dei destinatari, si sforza di ripensare la natura della proseuchv preci-
sandola in questi termini: «au fond pour notre penseur la proseuchv seule est vraiment une
prière, un acte purement religieux et qui ne peut s’adresser qu’à l’Être divin par excel-
lence, à Dieu seul. Les autres prières sont bien au-dessous puisque, au besoin, elles peu-
vent s’adresser à de simples mortels» (pp. 45-46).
73 Genet, 64: «La notion de la prière a été entièrement transformée par un spiritua-
lisme extrême. La prière a une tendance à devenir une élévation mystique vers un Dieu
transcendant, la demande matérielle est exclue, l’exaucement réduit à l’exaucement spiri-
tuel s’accomplissant soit par l’ordre providentiel, soit par les êtres intermédiaires, la prière
se confondant finalement avec les actes pieux et la méditation intérieure».
74 Genet, 80: «Origène veut rester en contact avec le christianisme populaire de
son temps, sans aucune compromission, mais en l’élevant vers une notion plus haute de la
prière».
Prospettive della ricerca 31
cità dei suoi contrasti. Pur senza influire direttamente sulle ricerche suc-
cessive, l’autore anticipa alcuni dei problemi maggiori con cui la ricerca
posteriore doveva confrontarsi.

2. Ideale di perfezione e preghiera in Origene secondo Walther Völker

Il primo contributo di rilievo arriva quasi un trentennio più tardi con


la classica indagine di Walther Völker sull’ideale di perfezione in Orige-
ne (Das Vollkommenheitsideal des Origenes. Eine Untersuchung zur Ge-
schichte der Frömmigkeit und zu den Anfängen christlicher Mystik, 1931),
ricostruito dall’autore – come è segnalato dal sottotitolo – nell’ambito di
un più generale progetto di riscoperta della spiritualità o, per meglio dire,
della tradizione mistica (patristica e ortodossa) al quale Völker ha conti-
nuato in seguito a lavorare75. Si è già intravisto il giudizio di Völker circa
il rapporto fra Orat e i restanti scritti dell’Alessandrino, che concorre an-
ch’esso a rafforzare l’impressione di una certa sua «singolarità» 76. Ma
conviene anzitutto richiamare l’attenzione sul procedimento metodico
suggerito dall’autore per poter apprezzare con maggior precisione il posto
distinto del trattato nell’opera di Origene: uno studio adeguato dovrebbe
partire da una conoscenza approfondita dell’insieme dei suoi scritti, ca-
pace di avvertire lo «spostamento di accenti» che, ad avviso di Völker, si
sarebbe prodotto in Orat. Ugualmente, solo una familiarità con l’intima
spiritualità che Origene racchiude dentro di sé permetterebbe di situare in
maniera appropriata singole osservazioni che affiorano nel trattato77. Que-
ste indicazioni sono sicuramente giuste in linea di principio e senz’altro
condivisibili, ma non escludono – dal mio punto di vista – l’utilità di un
approccio circoscritto preliminarmente allo studio di Orat. Del resto, le
considerazioni che Völker formula in apertura circa gli esiti contraddittori
della ricerca moderna su Origene non tendono di necessità a scoraggiare
un’attenzione rivolta all’individualità dei suoi scritti, purché non si pre-
tenda di far valere globalmente i risultati acquisiti attraverso indagini più
settoriali78. Ma indubbiamente l’impostazione adottata da Völker intende
––––––––––––––––––
75 Un’ampia sintesi del volume si può trovare in Berner, Origenes, 70-74.
76 Cfr. supra, nota 16. L’osservazione riguarda in primis il rapporto fra il trattato e
le omelie.
77 Völker, 198: «Erst aus einer Kenntnis des gesamten origenistischen Schrifttums
heraus erkennt man diese Akzentverteilung, und erst aus einer Vertrautheit mit dem, was
Origenes als persönliche Frömmigkeit in sich geborgen hat, kann man vereinzelte Bemer-
kungen dieses kleinen Traktates einordnen, gewissermassen ihren geometrischen Ort be-
stimmen».
78 Il libro si apre con una rassegna storiografica di notevole interesse. Völker evi-
denzia i risultati contraddittori degli studi moderni, poiché da essi emergono profili e
giudizi sull’Alessandrino assai diversi tra loro. Tale contrasto non si spiega solo con la
32 Parte prima, Capitolo secondo
sottrarsi a tali rischi, sfruttando a fondo l’opera di Origene nel suo com-
plesso. Al tempo stesso egli cerca di disegnare il profilo del cristiano,
senza sacrificare il filosofo, nella convinzione che la sua dottrina possa
essere apprezzata più giustamente, solo nella misura in cui al di là di essa
emerge l’esperienza religiosa vissuta dall’autore79. Ora, la via che secondo
Völker permette di cogliere la personalità religiosa dell’Alessandrino,
dentro o dietro l’opera, è quella di uno studio sull’«ideale di perfezione»,
in concreto sull’imitatio Christi. È a partire da tale prospettiva che Völker,
avviandosi a concludere la sua indagine, tratta «l’ideale di perfezione e il
suo riflesso nella preghiera e nella “sequela” di Cristo». La preghiera
viene qui presentata come il «compendio della ricerca di perfezione»80,
ma – diversamente dal modo di procedere di von der Goltz e Dibelius – il
pensiero dell’Alessandrino non può essere approfondito adeguatamente,
se non si prende in esame anche la persona di Origene come orante. Pro-
prio sotto tale profilo Orat offre, a giudizio di Völker, una visione «ten-
denziosa» e parziale, dal momento che il trattato sarebbe troppo condi-
zionato da una problematica filosofica 81.
Muovendo dal suo spiccato interesse per la spiritualità di Origene e
servendosi dei cenni al tema della preghiera contenuti nelle omelie e nei
commentari, Völker illustra come prima tappa del cammino di perfezione,
comune sia alla preghiera che all’ascesa mistica, la lotta contro il pecca-
to 82. Secondo presupposto di un’autentica preghiera è la liberazione dalle
«passioni» (pavqh), che l’Alessandrino illustra particolarmente alla luce di
––––––––––––––––––
diversità dei punti di vista, bensì rimanda alla particolarità degli scritti di Origene: «Die
Gründe müssen in der Schwierigkeit der zu behandelnden Materie selbst zu suchen sein,
in der Eigenart des origenistischen Schrifttums. [...] Diese Verschiedenheit der origenisti-
schen Schriften hat man nicht immer genügend beachtet. Anstatt Gradunterschiede zu
machen, hat man vielmehr alles auf einer Fläche aufgetragen, und hat es vornehmlich
weithin an aller erforderlichen Quellenkritik fehlen lassen» (pp. 10-11).
79 Völker, 16: «Von entscheidender Bedeutung ist es nun [...] ob es möglich ist, die
religiös-ethischen Triebkräfte zu ermitteln, die hinter jeder Lehrbildung stehen, ja diese
überhaupt erst ermöglichen, ob es gelingt, das Innerste einer christlichen Persönlichkeit
freizulegen, um sie in ihrer Eigenart zu erfassen und in den Gang der Frömmigkeitsge-
schichte einzuordnen».
80 Völker, 197-215 («Das Gebet als Zusammenfassung des Strebens nach Vol-
lkommenheit»).
81 Völker, 198 segnala così i limiti dei contributi di von der Goltz e Dibelius: «sie
beschränken sich [...] in dem Abschnitt über Origenes auf eine Analyse von peri euchès,
die aber niemals einen Einblick in die Eigenart des Beters Origenes gewähren kann, da sie
als Schrift mit bestimmter Tendenz gewisse Gedanken in den Vordergrund schiebt, ge-
wisse geflissentlich zurücktreten lässt».
82 Oltre alle indicazioni offerte al riguardo da Genet, 18, Völker dà risalto a CC VIII
17, ove troviamo l’equazione bwmoiv = hJgemonikovn (tradotto da Genet con «cœur», una
resa che Völker giudica – a torto – come non corretta). Su questo punto egli vede la con-
vergenza con Orat VIII, 1: non si dà preghiera «senza una purificazione» (cwri;" kaqa-
reuvsew") preliminare.
Prospettive della ricerca 33
Mt 5, 22-2383, mentre il terzo requisito preliminare è rappresentato dalla
concentrazione interiore84. Se tali sono le disposizioni spirituali richieste
perché la preghiera arrivi ad essere esaudita da Dio, queste assicurano già
di per sé, nella visuale di Origene, un beneficio all’orante, a prescindere dal
fatto che la sua domanda sia accolta o meno. Infine, secondo l’intreccio fra
libertà e grazia tipico della visione origeniana, a queste disposizioni preli-
minari, che sono compito dell’uomo, si affianca l’aiuto di Dio mediante il
dono del suo Spirito. È questi infatti a pregare per l’uomo e a condurlo
nella sua ascesa, come Völker sottolinea con riferimento a CC VII, 44.
Se la preghiera è da mettere in rapporto con l’ascesi mistica, anch’es-
sa dovrebbe conoscere una serie di gradi successivi, com’è stato messo in
luce da Hugo Koch per lo Pseudo-Dionigi Areopagita85. Ma questa inda-
gine è per Völker del tutto insufficiente, perché non si misura in maniera
adeguata con i diversi tipi di preghiera illustrati da Origene86. Egli prende
allora come punto di partenza Orat XIV, 2, accostandovi però l’interpre-
tazione di 1Tm 2, 1 fornita dall’Alessandrino in un frammento su Sal
27(28)87. In questo passo, a differenza del trattato, compare una gerarchia
ascendente dei diversi tipi di orazione che culmina nel «ringraziamento»
(eujcaristiva). Völker respinge qui la tesi di Dibelius, per il quale Origene,
diversamente da Clemente, avrebbe privilegiato la preghiera di domanda.
Al contrario, tra i due autori vi sarebbero molti punti di convergenza e lo
si può dimostrare anche con il fatto che Origene, seguendo in ciò il pro-
prio «maestro», prende ugualmente le distanze dalla prassi di preghiera
della comunità88. Quali debbano essere i contenuti della preghiera di ri-
––––––––––––––––––
83 Völker rimanda qui a Orat IX, 1.3 e al motivo della ajmnhsikakiva.
84 Völker, 201: «Es handelt sich dabei um ein Doppeltes, um das Schliessen der
Augen vor dem Draussen, das Eingehen in das Kämmerlein und um das Ausschalten aller
dem Gebete widerstrebenden Gedanken im eigenen Inneren». Al riguardo, egli respinge
l’interpretazione di Dibelius su CC VII, 44: l’analogia con Celso (CC VII, 36) è solo nel
metodo, mentre diversi sono il contenuto, il modo in cui giungere alla concentrazione e
gli effetti. Il passo più ricco in Orat è XX , 2 (al quale Völker accosta FrPs 4, 4 [nota
1478]: th;n quvran tw'n aijsqhthrivwn ajpokleivsa").
85 Secondo Koch 1905 si può parlare tutt’al più di abbozzi in tal senso presso
l’Alessandrino (con riferimento a Orat IX , 2; X, 2). Nella sua precedente indagine sulla
«teoria della preghiera» dello Pseudo-Dionigi (cfr. Koch), egli aveva segnalato il fatto che
in Origene mancano «die bewusste Formulierung der Gebetsstufen, näherhin die Theorie
von den drei Etappen, in denen nach Ps.-Dionysius das Gebet fortschreitet» (p. 595).
86 Völker, 202: «Es kommt auf ein möglichst präzises Erfassen der einzelnen Ge-
betsformen an, die Origenes unterscheidet, auf ihre Anordnung und auf ihre Parallelisie-
rung mit dem mystischen Aufstieg».
87 FrPs 27 (28), 2 (PG 12, 1285A-C [nota 1353]).
88 A conferma del contrasto con le attese dei semplici fedeli, Völker, 204-205 cita
HIer XVII, 6 (infra, nota 1112), dove Origene condanna la richiesta che sia prolungata la
vita, perché estranea alla prospettiva dei beni spirituali: «Das Bittgebet hat also als Inhalt
die Befreiung von der Welt oder – positiv ausgedruckt – den Erwerb himmlischer Güter».
34 Parte prima, Capitolo secondo
chiesta Origene lo precisa in un frammento delle Omelie su Luca, dove
difende l’idea che la preghiera formulata correttamente verrà esaudita89.
Analogamente a Clemente, l’oggetto proprio della preghiera è quindi per
Origene l’acquisizione della gnw'si" e la crescita nelle virtù90.
Un altro aspetto che segnala la diversità di Orat è dato per Völker
dal fatto che tace riguardo alla preghiera silenziosa, oggetto invece di ri-
flessione per Origene in altri scritti, a partire da 1Cor 14, 15 («Pregherò
con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo spiri-
to, ma canterò anche con l’intelligenza»). Il «pregare con lo spirito» è in-
terpretato dall’Alessandrino come la preghiera vocale, per l’edificazione
degli altri, mentre il «pregare con l’intelligenza» rinvia alla preghiera si-
lenziosa91. Senza tener conto della giustificazione paolina – che aiuta a
comprendere come in Origene la preghiera silenziosa sia fondamental-
mente quella nello Spirito –, Völker insiste eccessivamente sulla sua di-
pendenza, anche in questo caso, dal «maestro» Clemente e soprattutto sul
fatto che ciò infirmerebbe nuovamente la rappresentatività di Orat: anzi-
ché prenderlo come un trattato sistematico sulla preghiera, esso va visto
semmai come «uno scritto di occasione» 92. D’altra parte, l’insistenza di
Völker sulla preghiera silenziosa si spiega in relazione all’idea che –
come «preghiera del cuore» – essa rappresenta un gradino ulteriore verso
l’esperienza mistica. Anzi quella conduce a questa, nella misura in cui la
«preghiera del cuore», operando un trascendimento del corpo e della re-
altà sensibile, sfocia nell’unio mystica. A sostegno di ciò, dopo avere
dapprima introdotto HNm XI , 9 e ancor più CC VII, 44, Völker non può
non richiamarsi soprattutto a due luoghi di Orat ( IX, 2 e X, 2), nel secon-
do dei quali riconosce, in particolare, il vertice della «vita di preghiera»
secondo Origene93 . A questo grado più elevato della preghiera viene
––––––––––––––––––
89 FrLc 183 su Lc 11, 9 (pp. 359-360 e note 1084-1086).
90 Egli mette qui a confronto Strom. VII, 7, 38, 4 con CC III, 64.
91 Völker si sofferma, in particolare, su HNm X , 3, 3 (nota 1113). Per altri passi
Völker rimanda a FrPs 4, 4 (note 1477-1478); HNm XI, 9 (nota 1094); ma si veda anche
HEz II, 3 (nota 1093). Anche su questo punto Origene avrebbe imparato dal suo maestro
Clemente (cfr. Strom. VII, 7, 39, 6; 7, 43, 5). Occorre comunque notare che in Clemente la
preghiera silenziosa non viene giustificata in riferimento a 1Cor 14, 15, mentre in Origene
la preghiera è tale, perché è lo Spirito che parla nei santi, come opportunamente richiamato
da Le Boulluec 2003, 402 (si veda anche infra, pp. 466-475).
92 Völker, 208, nota 1: «In peri euchès wird es [scil. la preghiera silenziosa] übri-
gens nicht erwähnt, bzw. undeutlich an zwei versteckten Stellen, ein Zeichen, wie wenig
es dem Origenes in dieser Gelegenheitsschrift darauf ankam, eine systematische Darstel-
lung seines Gebetslebens zu geben und wie vorsichtig man mit allen Urteilen sein muss,
die sich nur auf diese Schrift stützen».
93 Völker, 209: «Wir haben es also hier mit einer hoechsten Aufgipfelung des ori-
genistischen Gebetslebens zu tun, das Herzensgebet muendet in die unio mystica ein». Egli
accosta ai due luoghi del trattato origeniano Clemente Alessandrino, Strom. VII , 49, 4 (166):
Dia; touvtwn eJauto;n eJnopoiei' tw/' qeivw/ corw/', ejk th'" sunecou'" mnhvmh" eij" ajeivmnhston
Prospettive della ricerca 35
meno la preghiera di richiesta e si manifesta una preghiera di adorazione
insieme alla visione di Dio. Völker accosta così a Orat IX, 2 – dove Ori-
gene commenta 2Cor 3, 18 («E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come
in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella me-
desima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del
Signore») – il passo di CIo XXXII, 27, che introduce lo stesso versetto ri-
ferendolo analogamente alla visione deificante. Riunendo questi diversi
aspetti in una considerazione conclusiva sulla prospettiva, ad un tempo,
orante e mistica di Origene, Völker ritiene che egli abbia disegnato nei
suoi tratti costitutivi un’esperienza religiosa di trascendimento del mondo,
suscettibile di condurre, in questo senso, ad una vera e propria esperienza
«estatica»94.
Non sfugge la ricchezza dell’analisi proposta da Völker (che si sof-
ferma ancora su altri aspetti, ad esempio il tema della «preghiera ininter-
rotta» in conformità al precetto paolino di 1Ts 5, 17)95. Essa risulta però
troppo condizionata da un “pregiudizio” su Orat, salvo poi fare proprio del
trattato il cardine dell’argomentazione a sostegno dell’esito «mistico» del-
la preghiera, come sarebbe tracciata dalla prospettiva origeniana (benché
ci si possa chiedere fino a che punto l’asserito sbocco mistico e «deifico»
fuoriesca dai limiti della «mistica» neotestamentaria)96. Paradossalmente
l’interpretazione di Völker, preoccupato originariamente di riscoprire la
spiritualità specificamente cristiana di Origene, finisce, in un certo senso,
per rendere l’Alessandrino più «filosofico» e speculativo di quanto forse
egli desideri essere. Peraltro lo studioso tedesco non arriva a riconoscere
––––––––––––––––––
qewrivan ejntetagmevno"; ma in questo passo più che sull’unio mystica il discorso verte
semmai sulla preghiera ininterrotta.
94 Völker, 210: «Aus dem allen folgt, dass Origenes im inneren Gebet einen Zu-
stand andeuten wollte, in dem der Mensch, erhaben über den Leib und die störende Sin-
nenwelt, in völliger Konzentration auf das Göttliche, in schweigender Betrachtung der
Gnosis teilhaftig wird und die umgestaltende Wirkung dieser Schau an sich erfährt. Der
Gedanke, dass hier eine Parallele zur Ekstase vorliege, ist naheliegend, und er wird über
den Bereich einer blossen Vermutung durch die Parallele von Joh. Comm. XXXII 27 und
peri euchès 9, 2 hinausgehoben».
95 Secondo Völker, 218, Origene ha fornito al riguardo tre diverse spiegazioni:
«Zunächst deutet er das ständige Gebet auf das innere, wortlose Gebet, auf die mystische
Versenkung, sodann sieht er im übertragenen Sinne in den einzelnen Taten des Frommen
Gebete, so dass dieser auf diese Art die Forderung des Paulus erfülle»; inoltre, «eine dritte
Erklärung des ständigen Gebetes gibt Origenes ebenfalls in peri euchès, indem er eine
Kombination von mündlichen Gebet und Tat fordert» (p. 213). In tal modo, se l’ideale
origeniano di perfezione è caratterizzato dalla dualità di theòria e praxis, altrettanto va
detto della sua vita di preghiera.
96 È rivelatrice la precisazione contenuta in FrLc 174 (300, 13-14), su Lc 11, 2, a
proposito della condizione di «figli di Dio’ e della preghiera rivolta a lui come Padre: oujk
eij" fuvsin hJma'" ajnavgwn qeou', ajlla; cavrito" metadidou;" kai; to; eJautou' ajxivwma hJmi'n
carizovmeno".
36 Parte prima, Capitolo secondo
che gli elementi «filosofici» del trattato non sono dati unicamente dagli
aspetti speculativi, bensì anche da quei tratti che si configurano, secondo
studi più recenti, precisamente nella forma degli «esercizi spirituali» della
filosofia antica. In ogni caso, si tratta di una ricostruzione che sembra
attutire fortemente la dimensione «agonica», strettamente legata anche al-
l’immagine della preghiera in Origene, assimilandolo eccessivamente an-
che a causa di ciò all’approccio distinto di Clemente Alessandrino.

3. Nuovi approfondimenti: preghiera e «immagine di Dio»

L’indagine di Völker è rimasta un punto di riferimento per quanti


come lui si sono sforzati di riproporre l’immagine di un Origene «misti-
co», ma essa ha suscitato anche reazioni e distinzioni di segno diverso97.
Pochi anni dopo Aloisius Lieske dedicava a sua volta una monografia alla
«mistica del Logos» nell’Alessandrino (Die Theologie der Logosmystik
bei Origenes, 1938). A Völker egli riconosce il merito di aver fatto ricorso
all’esperienza spirituale di Origene per illustrarne l’ideale di perfezione,
ma gli rimprovera al tempo stesso di essere rimasto troppo condizionato
da questo approccio sopravvalutando il dato esperienziale, senza includere
così un’adeguata considerazione dell’orizzonte dogmatico dell’Alessan-
drino98. Lieske rivaluta a tal punto l’ottica teologico-dogmatica della co-
munione mistica con il Logos, in quanto espressione coerente della «teolo-
gia trinitaria della grazia», da mettere in dubbio che si possano supporre
esperienze di natura estatica in Origene 99. La mistica del Logos è stretta-
––––––––––––––––––
97 Kannengiesser, 14 le riassume così, tenendo soprattutto presente la questione su
Origene “sistematico”: «Walter Völker’s remarkable essay [...] also reacted against de
Faye and other proponents of Origen’s system, but with a notion of spiritual perfection
filled with Lutheran piety and, as Urs von Balthasar would later observe, with a complete
lack of ecclesiology. Against Völker’s loose collection of spiritual attitudes and themes,
supposedly representing Origen’s thought, Hal Koch responded almost immediately in
1932 with his book, Pronoia und Paideusis, emphasizing Stoic and Middle Platonic struc-
tures in Origen’s systematic coherency. In 1949, Hans Jonas also responded to Völker
with a vigorous article on Origen’s mysticism, Die origenistische Spekulation und die
Mystik. In 1951, Endre von Ivanka added some complementary remarks, Zur geistesge-
schichtlichen Einordnung des Origenismus; and finally, in 1966, Franz Heinrich Kettler,
in a very original essay, claimed to have isolated the genuine principle of Origen’s thought,
Der ursprüngliche Sinn der Dogmatik des Origenes». Sugli sviluppi successivi si veda
anche Monaci Castagno 1997, 126-127.
98 Lieske, 9: «So überaus wertvoll nun Völkers Arbeit dadurch ist, daß sie Origenes’
Frömmigkeitsleben für die Beurteilung seiner Vollkommenheitslehre bewußt verwertet,
so gerät doch auch seine Darstellung gerade dadurch in eine nicht geringe Krise, daß sie
zu sehr beim Erlebnismäßigen stehenbleibt und vor lauter Zurückhaltung gegenüber al-
lem Dogmatischen Origenes zu wenig innerhalb seiner eigenen dogmatischen Theologie
wertet».
99 Berner, 75 ritiene che in tal modo Lieske si «sia spinto troppo in là».
Prospettive della ricerca 37
mente collegata in lui all’antropologia teologica e alla dottrina della grazia
che sono entrambe contraddistinte dall’idea dell’immagine di Dio nell’uo-
mo. Resta ad avviso di Lieske la tensione, se non la «crisi», del modello
elaborato da Origene in rapporto alla dimensione sociale, ma nonostante
questa polarità con la mistica individuale egli è disposto a riconoscere al-
l’Alessandrino lo sforzo per integrare fra loro l’aspetto personale e quello
comunitario. Coniugando in tal modo momento sistematico e prospettiva
della frattura, il lavoro di Lieske sembra fare da ponte tra le due diverse
impostazioni della ricerca origeniana, anticipando l’approccio «asistema-
tico» che si è andata diffondendo nel secondo dopoguerra 100 .
In effetti questa linea interpretativa è stata fatta propria dagli studiosi
francesi impegnati nel ressourcement patristico, tra i quali emergono so-
prattutto Henri de Lubac e Henri Crouzel. Il primo, nel fondamentale la-
voro sull’ermeneutica biblica origeniana (Histoire et Esprit. L’intelligence
de l’Écriture d’après Origène, 1950), simpatizza con la reazione di Völ-
ker all’interpretazione intellettualistica e sistematica dell’Alessandrino,
ma si avvicina maggiormente alle posizioni di Lieske, anche per effetto
del suo legame con Hans Urs von Balthasar, teologo svizzero che ha con-
corso in maniera decisiva alla riappropriazione teologica ed ecclesiale di
Origene nel corso del Novecento101 . Nell’approfondire a sua volta il rap-
porto tra fede e gnosi in Origene, Crouzel ha messo in luce la connota-
zione «mistica» della conoscenza nella quale la fede trova il suo perfe-
zionamento102. Di fatto il suo discorso verte, con de Lubac, più sul senso
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100 Pur vedendo in Lieske la «variante cattolica» di Völker, Berner, 75 apprezza la
sua posizione di sintesi: «Mit seinem Insistieren auf den logischen und dogmatischen Zu-
sammenhängen scheint Lieske der systematischen Origenes-Forschung näherzukommen.
Durch seine Abwendung von de Faye und Koch, durch die Betonung der kirchlichen Bin-
dung und die Berücksichtigung der Homilien bleibt er aber mit der Tendenz Völkers ver-
bunden und ordnet sich in die “nicht-systematische” Forschungstradition ein. Mit den Be-
griffen der “Krise” und der “Spannung” hat Lieske Beschreibungskategorien gefunden,
die vielleicht noch unausgeschöpfte Möglichkeiten implizieren, zugleich den hypotheti-
sch-wissenschaftlichen Charakter des origeneischen Systems, also den Geist seiner For-
schung, und seine ungebrochene Bindung an das kirchliche Christentum zu beschreiben».
101 Non a caso, tra i primi titoli di «Sources Chrétiennes», la collezione che sorregge
il programma di “ritorno alle fonti” dei Padri, figurano le Omelie sulla Genesi di Origene.
Nella Prefazione de Lubac vi ricostruiva, fra l’altro, le vicende della fortuna dell’Alessan-
drino fino all’età moderna (SC 7, 5-62). Sull’approccio di de Lubac, segnato dallo stretto
rapporto di Origene con il mistero cristiano e dalla sua appartenenza ecclesiale, cfr. Ber-
ner, 77-80; più in generale, sul ruolo avuto dai protagonisti del ressourcement nella risco-
perta di Origene, si veda Kannengiesser e Alexandre 2006.
102 Crouzel 1961, 450: «En quoi consiste donc la connaissance et en quoi est-elle un
progrès sur la foi? Dans une évidence plus grande, dans la perception directe des réalités
mystérieuses par les sens spirituels. L’âme sent la présence du Verbe et du Père en elle-
même. Les rapports de la foi avec la connaissance ne se comprennent que si cette dernière
est une véritable expérience de Dieu présent dans l’intelligence» (cfr. anche Crouzel).
Berner, 80 riconosce in questi termini l’apporto di Crouzel: «Sein eigenster positiver Bei-
38 Parte prima, Capitolo secondo
del mistero cristiano e sulla sua centralità in Origene, mentre approfon-
dendo l’approccio di Lieske considera il rapporto dell’uomo con Dio nella
visione dell’Alessandrino come determinato essenzialmente dalla «teolo-
gia dell’immagine» 103 . Tuttavia, proprio a causa del nesso tra fede e gnosi
si è preferito parlare, un po’ paradossalmente, a proposito di Origene – co-
me ha fatto, ad esempio, Jean Daniélou –, di una «mistica della luce» o di
una «mistica intellettuale»104 , laddove l’Idealtypus più vulgato dell’espe-
rienza mistica indurrebbe semmai a pensare all’unione dell’anima con Dio
come momento di «tenebra» o «oscuramento» dell’io. Ora, l’incongruenza
nell’applicare categorie che si rivelano problematiche sotto questo o quel-
l’aspetto ci invita a considerare piuttosto quegli apporti degli studi che si
sono concentrati sull’analisi del nostro trattato. I nuovi approfondimenti
sono venuti per lo più da singoli contributi circoscritti, fatta eccezione per
la traduzione di Eric George Jay (Origen’s Treatise on Prayer, 1954) e la
successiva monografia di Wilhelm Gessel (1975). Senza ripercorrere ades-
so nei dettagli la storia della ricerca più recente (a dire il vero, non troppo
abbondante di studi per Orat o, in generale, sul tema della preghiera nel-
l’Alessandrino), conviene menzionare almeno quei contributi che hanno
introdotto nuovi spunti di analisi o suggerito piste di ricerca meritevoli di
approfondimento.
Abbiamo già avuto modo di osservare come il lavoro di traduzione
si è spesso rivelato importante per comprendere un testo difficile quale è
Orat. Fra le numerose versioni in inglese, ciò vale in special modo per la
––––––––––––––––––
trag zu der durch Völker eingeleiteten Forschungsrichtung ist in dem Werk über Origenes
und die mystische Erkenntnis enthalten, in dem er die subjektiven Bedingungen des Er-
kennens, den moralischen und asketischen Aspekt beschreibt, nachdem er in seinem er-
sten großen Werk die Metaphysik des erkennenden Subjekts dargestellt hatte». Dillon
228-229 fa proprie le conclusioni di Crouzel, osservando che la visione di Dio, diversa-
mente da Plotino, non è possibile all’uomo finché è in vita: «The term which best expres-
ses the sort of direct intellectual contact envisaged by Origen for the beatific vision to be
enjoyed by the saints after death is prosbolhv, but the significant thing here is that this
same term is used by Plotinus, along with ejpibolhv and ejpafhv, for the sort of sopranoetic
contact which is attainable in the nou'" while still in the body. [...] I think, that for theolo-
gical reasons he denied that the human soul or mind, while still in the body, could achieve
the equivalent, in Platonic terms, of looking directly at the sun». Tra i luoghi origeniani
l’autore segnala Orat XXV , 2 (358, 11-12): oJ nou'" prosbavllei cwri;" aijsqhvsew" toi'"
nohtoi'" (cfr. infra, nota 657).
103 Cfr. Berner, 82: «Die Einheit im origeneischen Werk findet er nicht in einem ra-
tionalen System, sondern in einer theologischen und spirituellen Synthese, zentriert um das
Thema des Abbildes Gottes, einmal als Zentrum der Christologie, dann der Anthropologie».
104 Daniélou 1948, 287-301, in part. p. 291: «C’est plus une mystique spéculative
de l’illumination de l’esprit par la gnose qu’une mystique expérimentale de la présence du
Dieu caché saisi dans l’obscurité par le toucher de l’âme». La sua analisi si basa princi-
palmente su HNm XXVII e CCt nonché sul confronto con Gregorio di Nissa come l’autore
di derivazione origeniana che per primo ha fondato la teologia mistica. Cfr. anche Louth,
102-104; McGinn, 108-130.
Prospettive della ricerca 39
traduzione di Jay che è corredata da un ampio saggio introduttivo e da
sostanziose note di commento. L’intento del traduttore, conformemente
del resto alla tendenza sviluppatasi a partire da Völker, è stato di saldare
fra loro i punti di vista differenti che spesso accompagnano il giudizio sul
trattato facendo conoscere la figura di Origene come «uomo di preghiera»
accanto al «filosofo» e al «teologo». Per realizzare il suo obiettivo, Jay ri-
visita anzitutto la vicenda storica della preghiera dalle origini del cristia-
nesimo fino ad Origene105. In questo quadro sottolinea la continuità fra la
visione dell’Alessandrino e il dato neotestamentario, soprattutto per quan-
to riguarda due aspetti caratteristici dell’esperienza e della riflessione pri-
mitive sulla preghiera: l’assistenza dello Spirito all’orante e l’intermedia-
zione esercitata da Cristo 106 . Se all’interno del più ampio panorama dei
primi secoli spicca il profilo particolare delle elaborazioni alessandrine
sulla preghiera, grazie alle due trattatazioni di Clemente e Origene, Jay si
premura anche, in maniera a dir vero felice, d’illustrare le loro premesse
nella letteratura protocristiana. Ci aiuta così a ricollocare la riflessione di
Origene in una tradizione di pensiero che vede, fra l’altro, prima di lui il
significativo intervento di Giustino, il quale invita già a pregare, come poi
insisterà l’Alessandrino, anzitutto per i beni celesti107. Ma più dell’apolo-
gista è Ireneo a proporre una dottrina che prospetta l’intera vita del cristia-
no nel segno di una preghiera ininterrotta, in quanto consapevole della
presenza di Dio e della possibilità di comunione con lui. Anche le espres-
sioni pubbliche del culto nei momenti liturgici, per il vescovo di Lione,
––––––––––––––––––
105 La traduzione è preceduta da due ampie sezioni: I . «La preghiera nella chiesa
primitiva»; II. «Origene». Nel tracciare brevemente l’esperienza e la riflessione sulla pre-
ghiera nella chiesa primitiva Jay ricorda come il Nuovo Testamento «is the literature of a
community for whom prayer was an essential part of life» (pp. 3-4). In questi scritti pre-
vale comunque l’esperienza sulla riflessione, benché cominci a disegnarsi una teologia
della preghiera. Paolo ne fornisce un elemento importante indicando la novità della pre-
ghiera cristiana in forza della cooperazione dello Spirito (cfr. Gal 4, 4-7; Rm 8, 26-27). A
questo tema si aggiunge l’assistenza del Cristo risorto, un tema che la Lettera agli Ebrei
sviluppa particolarmente con il motivo di Gesù Cristo come Sommo Sacerdote.
106 Jay, 6: «The secret, then, of the joyous and confident prayer of Christians of the
first century is their faith that the Holy Spirit, the Spirit of Christ’s own Sonship, was in
their hearts, prompting their words, and their knowledge that Jesus Christ, risen, ascen-
ded, glorified, was praying with them».
107 Anche presso gli Apologisti non mancano riferimenti all’importanza della pre-
ghiera. Per le sue stesse caratteristiche di calma e semplicità, la preghiera dei cristiani è
presentata come superiore a quella delle altre religioni. Un ulteriore argomento apologetico
è offerto dal fatto che i cristiani pregano per i propri persecutori. Secondo Jay la concezio-
ne più profonda della preghiera è espressa da Giustino, che conosce la preghiera di lode,
ringraziamento, intercessione e petizione. Oltre ad indicare la necessità di pregare anzitutto
per i beni celesti, egli intravede anche il tema della correlazione fra preghiere e opere. Tut-
tavia, Giustino non arriva a proporre una vera e propria dottrina della preghiera, diversa-
mente da quanto avviene con Ireneo (cfr. al riguardo Perrone 2009b e infra, pp. 515-516).
40 Parte prima, Capitolo secondo
non fanno altro che rendere esplicita la struttura costitutiva della vita cri-
stiana in unione con Dio, nell’intreccio costante fra la preghiera personale
e la preghiera comunitaria108 . Quanto a Tertulliano, pur presentando lo
stesso ventaglio dei tipi di preghiera sui quali si articolerà la riflessione di
Origene, Jay sottolinea l’assenza di aperture mistiche paragonabili a quelle
di Clemente e Origene109.
La premessa più prossima a Orat nella prima letteratura cristiana è,
come sappiamo, la trattazione di Clemente Alessandrino nel VII libro degli
Stromati, che Jay considera la prima espressione organica di una dottrina
cristiana della preghiera. Egli traccia dunque anzitutto il quadro generale
dell’ideale cristiano di Clemente, caratterizzato da un forte intellettuali-
smo. Nondimeno, la dinamica insita in esso previene un esito troppo ri-
gido in tal senso, poiché il movimento dell’esistenza cristiana procede sì
dalla «fede» (pivsti") alla «conoscenza» (gnw'si"), ma per culminare pao-
linamente nell’«amore» (ajgavph). Nella visione di Clemente la preghiera
è in primo luogo la consapevolezza della «costante compagnia di Dio»110.
Egli tradisce invero qualche difficoltà a raccordare le proprie idee circa la
preghiera dello gnostico con quella del cristiano ordinario. Alcuni passi
fanno pensare ad un’arroganza, ad un senso di superiorità del «perfetto»,
ma Clemente ritiene comunque che lo gnostico debba condividere le de-
vozioni del cristiano comune, sia pure per spirito di condiscendenza. Ap-
profondendo i tratti caratterizzanti la preghiera dello gnostico Jay vi osser-
va come sue note dominanti la lode e il ringraziamento, mentre sono pochi
i cenni alla preghiera di confessione, un tratto peraltro scarsamente pre-
sente anche negli autori precedenti. Ciò dipende evidentemente dal pre-
supposto che lo gnostico abbia già raggiunto un grado di perfezione tale
da essere (per quanto è possibile nella carne) in uno stato di virtù. Quanto
poi alla preghiera d’intercessione e di petizione, si potrebbe dubitare che
una visione intellettualistica come quella di Clemente lasci ancora spazio
alla richiesta. Al contrario, Clemente non avverte contraddizioni in pro-
––––––––––––––––––
108 Jay, 17: «Irenaeus’s meaning appears to be that the offerings made by Christians
at the altar in the Eucharist must be thought of as particular and explicit expressions of
what is implicit in the whole Christian life, namely service of God, without intermission
directed to Almighty God in heaven. The life of the true Christian is a life in which prayer
and service are woven together, and in which specific acts of public worship, as in the
Eucharist, complete the pattern». Sull’idea ireneana di preghiera, in relazione al Padreno-
stro, si veda adesso Prudhomme.
109 Jay, 25: «we find none of the mysticism which we are to meet in certain formes
in the Christian Platonists of Alexandria». Per un riesame del rapporto con Origene, si
veda infra, pp. 516-530.
110 Traendo spunto da Protr. X, 100, 3-4, Jay, 28 rileva, fra l’altro, il suo statuto di
preghiera silenziosa: «true prayer [...], according to Clement, is a constant intercourse
with God. But God is a God who knows and perceives all things, and thoughts as well as
words. [...] Thus prayer is expressed in the Gnostic’s thoughts rather than by words».
Prospettive della ricerca 41
posito e le dedica ampio spazio. Se in ciò si avvicina alla preghiera tradi-
zionale, egli se ne allontana nuovamente in seguito alla convinzione, giudi-
cata da Jay un poco «ingenua», che la preghiera dello gnostico sia sempre
esaudita111 . Peraltro Clemente si è posto anche il problema delle preghiere
degli indegni, prendendo atto che talvolta esse vengono ascoltate da Dio.
A chi gli obietta ciò replica, ricordando che queste preghiere non procu-
rano reali vantaggi agli empi, o che esse vengono accolte a beneficio di
altri. La conclusione di Jay smorza comunque ancora una volta l’accusa
di «intellettualismo», avvicinando maggiormente l’esperienza di preghiera
di Clemente a quella del comune cristiano112 .
La successiva presentazione di Origene si commisura da vicino al ri-
tratto di Clemente, sforzandosi di stabilire i punti di contatto e le distinzio-
ni fra i due autori. Jay rileva preliminarmente due tratti caratteristici della
dottrina origeniana: da un lato, Origene si presenta ai suoi occhi come il
fedele continuatore di Clemente e al pari di questi fa professione di un mi-
sticismo intellettualistico; dall’altro lato, però, egli appare più attento alle
esigenze del cristiano comune e in Orat vi è un buon numero di consigli
che un principiante potrebbe trovare pratici e giovevoli per la sua vita di
devozione. Anche Jay discute ampiamente in che misura sia possibile ac-
cettare la tesi di Völker sul misticismo di Origene, ricordando però con
Daniélou come al terzo stadio della conoscenza, prefigurato dall’Alessan-
drino specialmente nel Commento al Cantico dei Cantici – vale a dire la
theologia, dopo l’etica e la fisica –, manchi del tutto la componente del-
l’oscurità divina già presente in Filone e sviluppata ampiamente da Gre-
gorio di Nissa, che sarebbe a suo giudizio il vero iniziatore della mistica
cristiana. Origene resta insomma sempre legato alla prospettiva di un rap-
porto con Dio mai separabile dalla «gnosi». Coerente con questo atteggia-
mento è l’assenza di tratti panteistici o della quiete mistica: l’anima è sem-
pre dotata del libero arbitrio e, come tale, può decidersi sia per il bene
che per il male. La miglior conferma di ciò viene, del resto, dal testo di
Orat, dove Origene si basa poco su temi mistici; anzi, Jay parla espressa-
mente del «carattere non mistico» del trattato e ne apprezza le sue qualità
pratiche che lo rendono come tale una preziosa guida all’ars orandi 113 .
––––––––––––––––––
111 Jay, 32: «The success which invariably attends the prayer of the true Gnostic
depends on the refined nature of his prayer».
112 Jay, 34: «Enough has been said to show that in spite of the tendency towards
an intellectual mysticism in Clement’s doctrine of prayer, he still regards it, for a great
part of the time, as does the “average” Christian, as the converse of the soul with God, ex-
pressing its wonder at God’s greatness in praise, its gratitude for God’s goodness in thanks-
giving, its sense of unworthiness in confession, and its needs in petition». Sulla dottrina
eucologica di Clemente si veda infra, pp. 530-545.
113 Jay, 68: «This treatise is a thoroughly practical guide to the practice of prayer,
setting forth instruction on the proper disposition of the mind in preparation, the division
42 Parte prima, Capitolo secondo
4. Retorica e teologia nell’interpretazione di Wilhelm Gessel

L’accresciuto interesse per il trattato origeniano durante gli ultimi tre


decenni è testimoniato anzitutto dalla bella monografia di Wilhelm Gessel
(Die Theologie des Gebetes nach «De Oratione» von Origenes, 1975), il
quale ha accompagnato questo primo studio organico, dopo l’operetta di
Genet agli inizi del secolo, con altri contributi destinati a discutere singoli
aspetti dello scritto114 . L’organicità dello studio di Gessel è conseguenza
del suo sforzo di rintracciare a tutto campo la «teologia della preghiera»
di Orat, con esclusione tendenziale dei restanti scritti di Origene, o me-
glio evitando di ricorrere specialmente alle omelie nella convinzione che
Orat costituisca una «grandezza autonoma» 115 . Questa scelta – legittima
ma, a mio avviso, non interamente sostenibile – è accompagnata da una
importante dichiarazione di metodo che prefigura, per così dire, una riag-
gregazione sistematica del materiale sparso nello scritto origeniano ai fini
di enuclearne la logica interna116 . Sebbene l’autore sia di formazione un
teologo, egli offre nel primo capitolo un’analisi particolarmente interes-
sante e innovativa circa gli aspetti «formali e letterari» dello scritto, dai
quali trae peraltro una conferma cruciale per l’assunto dell’individualità
di Orat. Tale approccio, meritorio anche solo per la rarità delle indagini a
questo livello, ci aiuta a capire l’impegno particolare che Origene ha pro-
fuso nel comporre la sua opera. L’Alessandrino vi adotta tendenzialmente,
secondo Gessel, un registro stilistico alto, reso evidente dalla maggiore
ricercatezza formale dello scritto in tono con il suo contenuto difficile ed
elevato e con le aspettative di un pubblico scelto. Più che i tratti di stile
riconducibili al genere epistolare – che appaiono meno persuasivi, anche
per il fatto che la «lettera» come genere rinvia ad una categoria inevita-
bilmente troppo vaga117 –, Gessel indica semmai una pista di ricerca su-
––––––––––––––––––
of prayer into praise, thanksgiving, confession, and intercession, the proper posture, place,
and times for prayer, as well as a detailed commentary on the Lord’s Prayer».
114 Cfr. Gessel 1977; Gessel 1980; e Gessel 1981.
115 Gessel, 10: «Zur Rechtfertigung dieser Beschränkung auf den Gebetslogos sei
zunächst darauf hingewiesen, daß das Gebetswerk eine eigenständige Größe darstellt, die
nicht leichtfertig in die sonstigen Äußerungen des Origenes zum Thema Gebet und vor al-
lem nicht in den Rahmen der zahlreich überlieferten origeneischen Gebete hineingepreßt
werden sollte».
116 Gessel, 10: «Danach ist das Werk “Vom Gebet” sorgfältig zu sezieren. Die so
eruierten Teile müssen gesammelt, nach logischen Gesichtspunkten geordnet und in ein
System gebracht werden. Es muß dabei der Blick auf das Ganze des Autors und auf den
Zusammenhang gerichtet sein, dem der Teil entstammt».
117 Lascia perplessi il fatto che l’indirizzo a Taziana con l’allusione a Gn 18, 11
(Orat II, 1) sia interpretato alla lettera (sic!) e venga così paragonato alla formula valetudi-
nis della topica epistolare: «Gerade in der lebhaften Anteilnahme des Origenes am körper-
lichen Wohlsein der Adressatin, an den Dingen, die sie ganz persönlich betreffen, zeigt
sich der philophronetische Charakter der formula valetudinis» (ibi, 74). Il suo significato
Prospettive della ricerca 43
scettibile di sviluppo con il suo tentativo di assegnare il trattato al genus
deliberativum. Quantunque il modello del discorso politico davanti al-
l’assemblea, secondo i dettami dell’antica retorica, possa a prima vista
sconcertare, il suggerimento di Gessel si presta utilmente ad intendere
Orat come «discorso protrettico»: infatti, se nel genus deliberativum si
trattava di persuadere o sconsigliare da un’azione futura, in Orat l’Ales-
sandrino cerca appunto d’inculcare la pratica della preghiera liberandosi
così di un atteggiamento critico nei suoi confronti118 .
Restando ancora sul piano dell’analisi letteraria, si deve apprezzare
lo sforzo di Gessel per porre in luce la struttura del trattato, argomento che
ha suscitato in genere molti interrogativi e attirato anche di recente vari in-
terventi. Analogamente ad altri critici Gessel prende dapprima atto della
natura apparentemente disordinata e composita del trattato, a prescindere
dalle indicazioni fornite da Origene quanto alle sue intenzioni letterarie.
In questo senso Orat offre l’impressione di due, se non tre, saggi distinti
accorpati in un’unica opera. Tuttavia, la fisionomia unitaria dello scritto
emerge con più chiarezza per via indiretta, nella misura in cui, oltrepas-
sando le stesse indicazioni compositive dell’autore (che mostra comun-
que di voler realizzare, almeno in linea di principio, un’opera coerente e
compatta), si arriva a cogliere il dinamismo concettuale che conferisce
unità al trattato. Da questo punto di vista Gessel, introducendo nuovamen-
te uno spunto di riflessione di notevole interesse, parla dell’argomentazio-
ne di Origene come di un procedimento condotto non tanto attraverso una
costruzione sistematica bensì per associazione di idee che si polarizzano
attorno a nuclei concettuali119. Egli giunge allora a proporre un profilo più
––––––––––––––––––
è ben illustrato da Monaci Castagno 1997, 118, nota 7: «Sullo sfondo della frase è presen-
te quell’esegesi origeniana che vede in Sara la figura della virtù di cui l’uomo saggio deve
ascoltare sempre i consigli (HGn VI, 1); in quanto virtuosa, Taziana si è spogliata degli
elementi femminili e si è “virilizzata”». Cfr. anche HGn VIII, 10 (85, 18-20): «Si ergo de-
ficiant muliebria fieri in anima tua, generas filium de coniuge tua, virtute et sapientia, gau-
dium ac laetitiam».
118 In proposito si veda Perrone 1997. È sorprendente come Gessel non avverta mai
il bisogno di richiamare termini di confronto della tradizione filosofica, ma egli avrebbe
potuto servirsi anche di scritti cristiani come l’Ad martyras di Tertulliano, che è ad un
tempo una lettera e un protrettico.
119 Gessel, 45: «Freilich wäre es verfehlt, bei Origenes’ Ausführungen den strengen
Maßstab und das klare Ordnungsprinzip der auf Aristoteles zurückgehenden und im 12.
Jahrhundert entwickelten Methode der scholastischen Quaestio disputata voraussetzen zu
wollen. Vielmehr schätzt Origenes die Assoziationsmethode, die dem entgegenkommt,
der seine Gedanken in kurzer Zeit niederzulegen sich veranlaßt sieht». L’osservazione
coglie indubbiamente nel segno, senza dimenticare però come Origene a volte dia prova
di saper argomentare in maniera ben più strutturata dal punto di vista formale (si veda, ad
esempio, Perrone 1992a). Del resto, basta mettere a confronto EM con Orat per capire
dove effettivamente il «metodo associativo» lascia la sua impronta maggiore, come avvie-
ne precisamente nel primo dei due trattati.
44 Parte prima, Capitolo secondo
integrato ed armonico di Orat dando risalto alle «cristallizzazioni concet-
tuali» che, in tale logica associativa, costituiscono l’ossatura dell’opera120 .
Sono molti altri gli spunti di analisi che si potrebbero ancora ricavare
dall’opera di Gessel e che avremo comunque modo di sfruttare ripetuta-
mente in seguito. Essa è una prova di quante e svariate riflessioni possano
scaturire dall’analisi approfondita condotta su un testo dalla densità con-
cettuale di Orat. Vorrei solo menzionare, per concludere la sua presenta-
zione, l’attenzione che l’autore dedica, da un lato, al nutrimento scritturi-
stico della riflessione di Origene e, dall’altro, alla sua contestazione (ri-
badita anche in un articolo) dell’interpretazione mistica di Orat proposta
da Völker e dai critici allineati sulla sua impostazione. Pur senza consa-
crare un esame specifico all’uso della Bibbia da parte dell’Alessandrino –
tema che sarà affrontato successivamente, da un lato, da Ramòn Trevija-
no Etcheverria e Francesca Cocchini e, dall’altro, da Maria-Barbara von
Stritzky con lo studio dell’interpretazione del Padrenostro121 –, Gessel
coglie con molta finezza il criterio ultimo dell’auctoritas scritturistica in
Origene, ancorché la sua lingua rimanga immune dal greco biblico della
koinè122 . Quanto al secondo aspetto, egli s’interroga sulla forma della pre-
senza di Dio nell’orante: se questa non può certo essere messa in dubbio
per Origene, non implica però un’unione con Dio di natura estatica diver-
samente da quanto sostenuto da Völker, in particolar modo riguardo a
Orat IX, 2 e X, 2. Il primo dei due passi, se ricondotto al suo contesto, non
mira affatto a presentare il culmine mistico dell’esperienza di preghiera,
bensì rispecchia il motivo del beneficio spirituale nella preparazione ad
essa; inoltre, si presta ad essere letto sullo sfondo della dottrina origenia-
––––––––––––––––––
120 Gessel, 48: «Um diese Gliederungskerne oder Kristallisationspunkte bewegen
sich die einzelnen “Schalen” der Gedankenreihen. Dabei wirken die Gliederungskerne als
Integrationszentren. Es wäre möglich, den Inhalt der Gliederungskerne in seiner integrie-
renden Funktion mit dem Inhalt von Wort- und Begriffsfeldern zu vergleichen. Als die
hauptsächlichsten Kristallisationspunkte in sinngemäßer Abfolge können stichwortartig
genannt werden: Absolute Prädestination und deren Widerlegung – freie Selbstbestim-
mung – göttliche Vorsehung – proseuchv – Nutzen des Gebetes – Gebet um das Himmli-
sche und Große – praktische Ratschläge». Anche tenendo conto di ciò (e richiamando il
modo più autonomo di procedere da parte di Jay nella sua traduzione) Gessel suggerisce
di operare una revisione della divisione tradizionale in capitoli nel caso di una nuova edi-
zione (p. 46, nota 142).
121 Cfr. rispettivamente Trevijano Etcheverria; Cocchini 1997b; e Stritzky.
122 Gessel, 77: «Origenes vertraut auf die unmittelbare Kraft des menschlichen
Wortes. Höher aber steht das Wort der göttlichen Offenbarung. Sein ausgeprägtes Verant-
wortungsgefühl zeigt sich insbesondere in der Fülle der Zitate aus dem AT und NT . Nicht
seine Autorität als Lehrender, sondern die Autorität der Hl. Schrift möchte er als die Le-
gitimationsinstanz schlechthin in den Vordergrund stellen. Er tritt als wissenschaftlich
Schaffender auf, der untersucht, darlegt und im Einklang mit der Autorität des geoffenbar-
ten Wortes seine Ergebnisse vorträgt». Sulla mancata compenetrazione linguistica con il
greco scritturistico, pur con l’altissimo tasso di citazioni, cfr. le pp. 21-22.
Prospettive della ricerca 45
na dell’«immagine di Dio» nell’uomo, assicurata dalla sua presenza nello
hJgemonikovn. Ma in questo caso la categoria per indicare la presenza di
Dio non è tanto l’unio mystica, bensì piuttosto quella di «partecipazione»
(metochv)123 . Le formulazioni origeniane indicano qui nell’orante un pro-
cesso di «spiritualizzazione» in atto, che include fra l’altro il perdono dei
torti subiti124. Anche per Orat X , 2, se è lecito parlare in questo passo di
una «divinizzazione», essa non comporta affatto il dissolversi dell’esi-
stenza personale nell’unione con Dio, bensì l’elevazione dell’intelletto
nella comunione di preghiera con lui. È dunque fuori luogo, per Gessel,
ricercare nell’autore di Orat un «mistico della preghiera».
È fuori dubbio che l’indagine di Gessel abbia contribuito a sviscerare
a fondo i contenuti di Orat, benché gli echi di cui essa ha goduto siano
forse stati inferiori a quanto si potrebbe immaginare. Il suo limite consiste
ai miei occhi nel suo stesso punto di forza. L’ “anatomia” condotta dall’au-
tore sul testo di Origene, in vista di estrapolarne un pensiero organico sulla
preghiera, rischia di far perdere, pur non volendolo, il contatto più imme-
diato con lo scritto e il suo profilo, come si vede già da una semplice scor-
sa dell’indice: Gessel non si è attenuto cioè alle grandi articolazioni del
trattato, ma le ha rimescolate e ridisposte secondo quella che ha ritenuto
essere la sua logica di fondo. Confrontando il libro con Orat, si direbbe
che risulta difficile ritrovarvi in filigrana lo scritto di Origene, sebbene lo
studioso abbia fatto tanto seriamente i conti con esso come nessun altro
prima di lui 125 . In aggiunta a ciò, la decisione di prescindere dal materiale
––––––––––––––––––
123 Gessel, 208-209: «Die Relation zwischen Gott und dem Hegemonikon kann da-
her nicht mit dem Begriff einer unio im Sinne der unio mystica beschrieben werden, son-
dern muß unter dem Begriff der Metoche (participatio), der Anteilhabe bzw. Anteilnahme
erfaßt werden. [...] Somit ist gesagt, der Ort der Gottbegegnung im Gebet ist das Hegemo-
nikon, weil es von vornherein als Sitz der Gottebenbildlichkeit konzipiert ist. Im Verbor-
genen des Menschen, ein anderer Ausdruck für das Hegemonikon, sind auch die Gebete».
Sul concetto di «partecipazione», imperniato sulla visione trinitaria, si veda la bella con-
clusione di EpGr 4 (194, 95-99): Eij d∆ eu\ e[cei ta; tetolmhmevna h] mhv, Qeo;" a]n eijdeivh,
kai; oJ Cristo;" aujtou' kai; oJ metevcwn pneuvmato" Qeou' kai; pneuvmato" Cristou'. Metev-
coi" de; suv, kai; ajei; aujxoi" th;n metochvn, i{na levgh/" ouj movnon tov: mevtocoi tou' Cristou'
gegovnamen (Eb 3, 14), ajlla; kaiv: mevtocoi qeou' gegovnamen.
124 Gessel, 209-210: «Der in der Gebetsvorbereitung, bzw. während des Gebetsak-
tes erfolgende Chorismos der Seele vom Soma, bedeutet keineswegs eine ekstatische Ein-
grenzung der Seele, sondern eine Ausgrenzung und Abgrenzung des Hegemonikons, bzw.
des Nus oder des Herzens, also des oberen Seelenteiles gegenüber dem belastenden so-
matischen Bereich der Seele. Das Geistigwerden der Seele, ihre Vergeistigung, die unter
anderem die Verzeihung des erlittenene Bösen miteinschließt, ist an unserer Stelle nicht
absolutes, für sich bestehendes Ziel, sondern benennt das Ergebnis eines Läuterungs- und
Reinigungsvorganges, der die Gottebenbildlichkeit des Beters voll zur Wirkung bringt
und so die Voraussetzung für eine ungetrübte und ungestörte Gottbegegnung durch das
Gebet schafft».
125 Così, dopo gli aspetti letterari (1: «Der formal-literarische Charakter der Ge-
betsschrift»), tratta «i tipi di preghiera» (2), «Dio Padre» (3), «l’intercessione dello Spi-
46 Parte prima, Capitolo secondo
comparativo fornito dalle omelie non poteva non attirarsi critiche, com’è
avvenuto soprattutto ad opera di P.S.A. Lefeber126. Tuttavia, l’interesse
manifestato da Gessel per il modo dell’argomentazione e la sua configu-
razione formale trova un riscontro nell’esame condotto da Éric Junod
(L’impossible et le possible. Étude de la déclaration préliminaire du De
oratione, 1980) sul testo così impegnativo e problematico del prologo. Lo
studioso svizzero lo ha confrontato con altre prefazioni di Origene (CPs
1-25, CGn, CIo e CC), rilevando anche sotto questo profilo la singolarità
di Orat. Nel medesimo tempo ha notato anche delle affinità, nella misura
in cui si può rilevare un dato comune ai vari prologhi: essi ruotano tutti in-
torno al problema se sia possibile scrivere delle cose divine, sondare i mi-
steri di Dio127. Per Junod, comunque, la dichiarazione preliminare appare
come una sorta di «blocco erratico», un poco enigmatico rispetto al resto
del trattato, ma in realtà il prologo (come cercherò di mostrare nel prossi-
mo capitolo) ne offre precisamente la chiave di lettura fondamentale128 .
Due interventi degli ultimi anni hanno richiamato l’attenzione sul
rapporto fra Orat e le omelie. Daniel Sheerin (The Role of Prayer in Ori-
gen’s Homilies, 1988), partendo dall’assunto che il trattato contenga una
prospettiva distinta, se non propriamente «distorta», si è proposto di appro-
fondire il posto della preghiera nelle omelie. Benché non arrivi a proporre
una riflessione sull’asserita discrasia, l’articolo si rivela utile sia come in-
ventario di materiali, sia anche come proposta di ulteriori piste di indagi-
ne, fra le quali l’autore segnala anche l’opportunità di analizzare se e come
la teoria della preghiera esposta in Orat trovi conferma nelle omelie129.
––––––––––––––––––
rito» (4), «la preghiera come si conviene» (5), «preghiera e provvidenza» (6), «contenuti e
scopo della preghiera di domanda» (7), «il giovamento della preghiera» (8), «l’esaudimen-
to della preghiera» (9), «la “preghiera ininterrotta”» (10).
126 Lefeber, 14-18.
127 L’accento posto sulla grazia per risolvere l’antinomia impossibile/possibile
comporta «une critique implicite de ceux qui croient que la raison humaine, livrée à elle-
même, est en mesure d’appréhender ce qui n’appartient pas au monde des hommes»
(Junod, 89). Anche Osborn sottolinea il legame fra la preghiera e la conoscenza di Dio.
128 Lo intende giustamente così anche Monaci Castagno 1997, 125: «se l’indagine
non si limita al prologo, risulta evidente che impossibile non è soltanto la conoscenza di
Dio, ma la preghiera in quanto conoscenza di Dio [...] e in quanto culto e forma di vita».
Si noti comunque che Junod 2009 riconosce l’importanza del prologo come la chiave per
intendere il «problema della preghiera».
129 Sheerin, 213: «I have been able to give only a brief account of the important
role of prayer in these homilies and a sketchy catalogue of the kinds of prayer. Detailed
study of these phenomena, both in their broader ramifications (relationship of theory of
De oratione to practice of homilies, sacerdotal role of preacher, role of prayer in herme-
neutics), and in the interactions within the homilies of prayers and calls-to prayer which
have, in some case, been artificially sundered from one another in this treatment for the
sake of classification, remains to be done, but it is hoped that this sketch may provide a
first step in these directions».
Prospettive della ricerca 47
L’invito formulato da Sheerin ha trovato seguito nella dissertazione olan-
dese di Pieter Sietze Adrianus Lefeber (Keuze en verlangen. Een onder-
zoek zin en functie van het gebed in Origenes’ preken en zijn tractaat
Over het gebed, 1997), dedicata precisamente ad approfondire i rapporti
delle omelie con il trattato mediante un confronto serrato130. Le sue con-
clusioni sono diametralmente opposte alle tesi di Völker e, in parte nella
scia di questi, anche a quelle di Gessel, al quale Lefeber contesta fra l’al-
tro il giudizio su Orat come scritto malamente strutturato. A l contrario,
è possibile notare come le riflessioni esposte nella prima sezione abbiano
una corrispondenza con la seconda, nel commento al Padrenostro131. Senza
dunque isolare Orat e senza sistematizzare eccessivamente il trattato con
l’obiettivo di ricostruire la «teologia della preghiera» dell’Alessandrino,
l’approccio di Lefeber vuole invece caratterizzarsi per la ripresa delle
idee stesse di Origene132 . Nel contempo egli dà significativamente rilievo,
forse più di quanto si fosse fatto precedentemente, alla componente «ago-
nica» che contraddistingue la visione della preghiera anche nelle omelie133 .
Lefeber disegna così la situazione dell’orante a partire dalla condizione di
fragilità e peccato dell'uomo. Se Völker non dava spazio nella sua visione
di Origene alla preghiera del peccatore, al contrario Lefeber la vede come
caratterizzante la stessa condizione esistenziale dell’uomo. A suo giudizio
nemmeno Gessel è stato capace di tenerla adeguatamente in considerazio-
––––––––––––––––––
130 Il titolo inglese recita: In Want for God. About the Meaning and Function of
Prayer in Origen’s Sermons and His Treatise On Prayer. Oltre a riassumere i risultati alle
pp. 196-200, l’autore li ha ricapitolati in Lefeber 1999. La dissertazione comprende due
parti. La prima tratta la preghiera nelle omelie con i seguenti capitoli: 1. Preghiera e pec-
cato («Gebed en zonde»); 2. Preghiera come appello all’azione di Dio («Het appel op het
handelen van God»); 3. Preghiera e Scrittura («Gebed en Schrift»); 4. Preghiera come
comunione ininterrotta con Dio («Bidden als voortdurende omgang met God»); 5. La
forza della preghiera («De kracht van het gebed»). La seconda parte analizza Orat (6.
«Het tractaat Over het gebed»).
131 Lefeber 1999, 34: «The ideas Origen developed in the first half of his treatise,
come back in his explanation of the Lord’s Prayer, the most eminent prayer ever given. It
puts man in the right position before God». Peraltro, il giudizio dell’autore si dimostra un
poco semplicistico, allorché sostiene che a conclusione del suo lavoro Origene avrebbe
espresso una valutazione senz’altro positiva – un punto di vista che non può certo essere
suffragato dal tenore di Orat XXXIV!
132 Lefeber, 196: «Contrary to what earlier writers have done, this study does not
aim to provide a “theology of prayer” in Origen. Such a theology would be a reconstruc-
tion of something not of his design, whereas this study aims to show how he himself wrote
about prayer».
133 Lefeber, 197: «Man therefore finds himself caught between the goodness of
God on the one hand and the danger of his inner temptation on the other, a situation in
which he must consciously seek out the countenance of God. His longing for God is the
driving force here, as his inclination towards temptation compels him to do so. This causes
tension in his life of prayer, tension from which he cannot escape, however much progress
he may make towards recovery during his earthly existence».
48 Parte prima, Capitolo secondo
ne, offrendo un’immagine troppo «armoniosa» della relazione fra Dio e
l’uomo, che è invece insidiato perennemente dall’esperienza del pecca-
to 134 . Consapevole di ciò, egli si rivolge a Dio preso dal rimorso della pro-
pria colpa e dal desiderio di espiarla. In tal modo dichiara di avere biso-
gno del sostegno di Dio per non cadere più nel peccato135. Inoltre, quanto
più cresce lo stupore per la gloria di Dio, tanto più forte si fa il desiderio
di ricevere il suo aiuto136. In sintesi, per Lefeber è proprio la costitutiva
dimensione agonica a evidenziare la continuità di idee fra le omelie e il
trattato: ambedue le prospettive convergono nel riconoscere che la pre-
ghiera si attua quando Dio fa dono all’uomo della sua grazia, grazie alla
quale soltanto è in grado di superare il conflitto che lo lacera e ascendere
così verso il mondo divino137.

5. Nuovi indirizzi di studio: il paradigma degli «esercizi spirituali»

L’ultima fase degli studi è stata caratterizzata, in special modo, dal-


l’apporto dei due convegni organizzati dal «Gruppo Italiano di Ricerca su
Origene e la Tradizione Alessandrina», rispettivamente nel 1996 a Chieti
e nel 1999 a Milano, essendo dedicato il primo appunto ad Orat e il se-
condo al tema strettamente correlato «Origene maestro di vita spiri-
tuale»138 . Dell’importanza di questi volumi si è già avuto un riflesso nel-
l’esposizione precedente ed esso non mancherà di affiorare ampiamente
in quella che segue. Non mi soffermerò naturalmente su un bilancio cri-
tico dei loro risultati, dal momento che come membro del Gruppo e come
autore sono io stesso parte in causa. Nondimeno, anche alla luce di essi,
mi sembra giusto prospettare alcune riflessioni conclusive sull’itinerario
degli studi ripercorso in questo capitolo, sempre nell’intento di meglio
orientare la direzione di marcia del presente lavoro.
Ad una valutazione sommaria, il quadro odierno non sembra aver ac-
cantonato completamente i vecchi interrogativi, mentre se ne affacciano
––––––––––––––––––
134 Lefeber, 200: «Gessel is right to situate prayer within the broad framework of
God’s divine providence but the way in which he does this is too colourless and too gener-
al to do justice to the intensity and to the existential suspense which is natural to prayer in
Origen».
135 Lefeber, 198: «Prayer in Origen is above all characterised by a struggle to escape
from this sinful existence to the reality of God. It is its very essence because in prayer
willingness and unwillingness to turn to God are in mutual conflict».
136 Lefeber, 198: «The sinner yearns to be initiated into the great mysteries of Heav-
en; he loses interest in insignificant earthly matters».
137 Lefeber 1999, 38: «Only when God makes himself known to him in the fullness
of grace so that man’s longing for God is aroused and only when man concentrates his en-
tire attention on God and chooses communion with him, does he discover the way upward».
138 Si vedano rispettivamente Cocchini 1997a e Pizzolato-Rizzi.
Prospettive della ricerca 49
di nuovi sul tappeto. L’esigenza di esaminare a fondo i rapporti fra Orat e
gli altri scritti di Origene – al di là del meritorio contributo di Lefeber,
per quanto riguarda le omelie – sembra ancora lungi dall’essere stata sod-
disfatta. È sintomatico che, mentre si è sempre valorizzato il Commento
al Cantico dei Cantici (con le Omelie) per ricostruire il profilo della «mi-
stica» origeniana, si sia prestata poca attenzione alla figura di orante che
è forse oggetto della descrizione più plastica in tutta l’opera dell’Alessan-
drino: la sposa che, secondo la sua originale «interpretazione drammatica»
del Cantico, fa il suo ingresso in atteggiamento di preghiera nella prima
scena di Ct 1, 2139.
Se la storia della ricerca tende a suffragare in buona parte quella im-
pressione di “singolarità” del trattato che abbiamo constatato in apertura,
ciò non esime dallo sforzo di ricollocarlo nel più ampio contesto della
produzione origeniana e della riflessione e prassi di preghiera dell’Ales-
sandrino. Né d’altra parte l’individualità del trattato – pur con la sostan-
ziosa proposta interpretativa di Gessel, che comunque pecca forse di un
approccio un po’ unilaterale e schematico – è stata ancora riconosciuta,
come sarebbe opportuno, sotto il profilo letterario e formale del testo. A
parte l’analisi del prologo fatta da Junod, in generale si tratta di un’im-
postazione che ha avuto scarso seguito. Ma, come ha ricordato Bertrand
con una metafora suggestiva, per ottenere un progresso nella conoscenza
delle idee, bisogna saper «auscultare» le loro espressioni letterarie140 . Ora,
proprio in questo campo c’è stato un certo rinnovamento nell’indagine
origeniana, che ha riscoperto di recente l’importanza di riesaminare le
forme e i modi dell’argomentazione dell’Alessandrino, quantunque par-
tendo soprattutto dai prologhi ai commentari biblici, più facilmente uti-
lizzabili come termini di comparazione con gli altri commentari antichi,
in primis quelli filosofici141 .
Al medesimo ambito della tradizione filosofica rinvia però, in ma-
niera ben più ricca di conseguenze per il nostro testo, la nuova direzione
d’indagine portata avanti soprattutto da Pierre Hadot con i suoi studi sugli
«esercizi spirituali» nella filosofia antica142 . Egli si riallaccia così al tema
della Seelenführung, la «direzione spirituale» – già affrontato da Paul
Rabbow all’indomani della seconda guerra mondiale143 –, proponendo
una ricostruzione complessiva della filosofia dell’antichità, specialmente
nella sua fase tarda, come forma di vita che coniuga teoria e prassi in vista
––––––––––––––––––
139 Cfr. Perrone 2006 e infra, pp. 306-312.
140 Bertrand 1999, 363: «Pour progresser dans la connaissance des idées, il est bon
de passer par leur expression littéraire, à ausculter avec précision. Des chemins inédits
peuvent alors s’offrir à l’interpretation».
141 A titolo esemplificativo, si veda soprattutto Hadot e Heine.
142 Cfr. Hadot 1993; Hadot 1997a; Hadot 1997b.
143 Seelenführung. Methodik der Exerzitien in der Antike (1954).
50 Parte prima, Capitolo secondo
di un perfezionamento morale dell’individuo. In particolare, Adele Mona-
ci Castagno, sfruttando anche il tema della «cura del sé» approfondito da
Michel Foucault, ha proposto una nuova lettura di Orat che innesta il trat-
tato nel solco di questi «esercizi spirituali» di matrice prevalentemente
stoica, quali ad esempio la praemeditatio mortis o il «ritirarsi» (ajnacwv-
rhsi") dal mondo sensibile per coltivare un’interiorità non più esposta
alle passioni. In tal senso, Orat poteva essere recepito dai suoi destinatari
come espressione di una «direzione spirituale» allo stesso modo dei Ricor-
di di Marco Aurelio o del Manuale di Epitteto per un pubblico pagano144.
Questa tesi, che supera la distinzione e/o contrapposizione in Origene fra
il «filosofo» e lo «spirituale» della ricerca anteriore, è argomentata met-
tendo in luce, da un lato, una serie di tecniche di concentrazione capaci di
attuare una terapia dell’animo e propiziare la prassi di preghiera e, dal-
l’altro lato, la sua rispondenza ai bisogni e alle aspettative spirituali di
ambienti socialmente elevati145 . L’analogia suggerita in questo approccio
non ignora le distinzioni fra la visione cristiana della preghiera in Origene
e gli ideali del «perfezionamento spirituale» che circolavano presso le
scuole filosofiche, anche se a volte sembra prevalere l’impressione di una
assimilazione molto stretta fra i due orizzonti spirituali. Occorre tra l’al-
tro ricordare come la concezione della preghiera in ambiente sia stoico ed
epicureo che anche platonico sia in realtà profondamente diversa da
quella espressa in Orat. Si tratta in ogni caso di un approccio innovativo
e fecondo, come avremo modo di verificare più avanti ricostruendo l’ars
orandi di Origene, anche se la categoria di «esercizio spirituale» rende
solo in parte ragione della sua visuale della preghiera.

––––––––––––––––––
144 Monaci Castagno 1997, 134: «La concezione origeniana della preghiera è, nella
forma della katavstasi" richiesta all’orante, una cura del sé; un esercizio che deve essere
sempre rinnovato e che, per quanto sostenuto e descritto con citazioni bibliche, rivela l’alta
radice degli esercizi spirituali delle filosofie ellenistiche; sotto tale profilo, PE poteva es-
sere recepito dai suoi destinatari come una vera e propria Seelenführung, come l’equiva-
lente cristiano di scritti quali I Ricordi di Marco Aurelio, il Manuale di Epitteto e, nella
generazione successiva, la Lettera a Marcella di Porfirio».
145 Monaci Castagno 2006, 221 nota la continuità del paradigma sino a Giovanni
Crisostomo: «Sia Origene, sia Giovanni si rivolgono ad un segmento preciso della società
tardo-imperiale: il ceto superiore costituito da persone che ricoprono o che sono destinate
a ricoprire ruoli pubblici importanti e il cui cristianesimo si aggiunge ad una buona base
di preparazione retorica e filosofica. Questo spiega il livello alto di questa direzione che,
sia pure nella diversità delle situazioni, pone al centro esercizi che riguardano la lettura, la
meditazione, il ragionamento mediante il quale è possibile salvaguardare la propria tran-
quillità interiore e neutralizzare l’urto della molteplice, contraddittoria, dolorosa, realtà
contingente. In tutti i testi, per quanto declinata in modo diverso, è presente la tradizione
degli esercizi spirituali».
CAPITOLO TERZO

IN ASCOLTO DEL TESTO


Dall’ ouverture alla struttura armonica

«Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta,


e io non la comprendo»
(Sal 138[139], 6) *

1. Il prologo come chiave di lettura

La singolarità che connota in partenza Orat e la diversità dei punti di


vista cui ha dato luogo negli studi impongono prima di tutto che ci si metta
in attento ascolto del testo. L’esigenza non è nuova, ma essa ha trovato
finora risposte o auspici di carattere vario e non sempre persuasivo, che
sollecitano adesso una rilettura del trattato nel suo complesso. Non mi at-
tira l’«anatomia» invocata da Gessel come percorso metodico in vista di
una susseguente ricomposizione sistematica, perché temo che l’esito di
tale approccio conduca ad un’estrapolazione troppo organica di contenuti,
in ultima analisi svincolandoli forzosamente dal tessuto vivo del testo.
Più convincente mi appare semmai la sua idea di «nuclei concettuali» che
funzionano in Orat come momenti di aggregazione o come «cristallizza-
zioni» di un pensiero in movimento. Anche Bertrand si mostra sensibile a
tale indicazione, invitando opportunamente ad «auscultare» il testo e
suggerendo a sua volta di «scardinare» le articolazioni di fondo, indicate
dallo stesso autore e recepite per lo più dalla critica, in modo da mettere
in luce le grandi sequenze tematiche che sorreggono l’esposizione146. En-
trambe le strade mi incoraggiano a percorrere, a mia volta, un itinerario
di lettura che – per una consuetudine di lavoro con gli scritti dei Padri
condizionata dall’impegno d’insegnamento – riflette piuttosto la preoc-
cupazione di captare la «voce» che si esprime in un testo. So bene che
questo punto di vista può invocare una sua giustificazione non secondaria
nella stessa produzione dei testi nel mondo antico, per il diverso rapporto
––––––––––––––––––
* Cfr. Sal 138, 6 LXX : ejqaumastwvqh hJ gnw'siv~ sou ejx ejmou': ejkrataiwvqh, ouj mh;
duvnwmai pro;~ aujthvn, «Troppo mirabile è la tua scienza per me, / troppo elevata, non potrò
raggiungerla» (tr. Mortari, 303).
146 Cfr. Bertrand. Egli vi si richiama negli stessi termini anche in Bertrand 1999,
233: «Rappelons que ces questions tournent autour de l’utilité de la prière, du lieu où se
trouve Dieu, de la justification de l’homme à travers le combat spirituel, enfin de l’attitude
corporelle de l’orant».
52 Parte prima, Capitolo terzo
fra orale e scritto che essa implicava. Origene era solito dettare i suoi
scritti e l’impronta di questo modo di procedere – con le varie fasi che
comportava fino all’edizione finale dei testi – si lascia certamente intrave-
dere anche nel nostro trattato. Ma sono purtroppo assai pochi gli studi de-
dicati a investigare questo aspetto e volendolo approfondire adeguatamen-
te in relazione a Orat, si richiederebbero interessi e competenze diverse da
quelle che mi guidano147. Invece, l’idea che nel testo parli una «voce» mi
porta ad associarlo (di nuovo per idiosincrasia personale, ma spero non
troppo arbitraria) a un’espressione di tipo «musicale»: per usare un’imma-
gine, che forse non è del tutto impropria, si potrebbe pensare a Orat come
ad un’orchestrazione di temi prossima al «concerto» o alla «sinfonia» e in
tal caso studiare quali siano le sue note o motivi dominanti e se da essi si
arrivi a ricavare un’idea dell’«armonica» complessiva del testo. È ovvio
che questo approccio non può non sfruttare a fondo quella che, non solo
in metafora, è l’ouverture del trattato, cioè il prologo (Orat I-II).
Questi due capitoli «vertiginosi» (non paia eccessivo definirli nuova-
mente così!) porgono indubbiamente la chiave di lettura fondamentale per
il nostro scritto, anziché presentarsi come un’apertura un poco enigmatica
e sorprendente148 . Chiaramente delimitato rispetto al resto dell’opera149 ,
anche se purtroppo costellato da fastidiose lacune, il prologo sembra vo-
ler sfruttare a fondo le possibilità offerte da una sede proemiale per
istruire il lettore su contenuti e modi dell’esposizione che seguirà, quasi
affastellando le indicazioni al riguardo 150 . Proprio l’abbondanza di tali
segnali rischia di confondere il pubblico designato e non a caso l’autore
stesso se ne mostra preoccupato interpellando direttamente i due destina-
tari, Ambrogio e Taziana ( II, 1)151. Egli lo fa dopo che ha già introdotto
––––––––––––––––––
147 Un tentativo di ripensare il problema, tenendo fra l’altro conto degli esigui studi
sulla stenografia agli inizi del Novecento (in particolare E. Preuschen), è stato fatto da
Pozzi (cfr. «Adamantius» 5[1999], pp. 162-166).
148 È la tesi sostenuta nell’analisi, peraltro pregevole, di Junod, 83: la dichiarazione
preliminare «se présente comme une sorte de bloc erratique dont la présence au seuil du
De oratione est quelque peu énigmatique» (cfr. anche supra, p. 46). Tuttavia Junod 2009
giunge, pur con diversa argomentazione, ad una conclusione analoga alla mia. Come si
vedrà, porre il lettore dinanzi ad un “enigma” – anche nel senso profondo che il termine
possiede nella sua ermeneutica biblica – sembra essere una tecnica voluta di Origene per
rapportarsi al suo pubblico.
149 Si veda la conclusione in Orat II, 6 (304, 1-2): ajrktevon ou\n h[dh tou' peri; th'"
eujch'" lovgou.
150 Troviamo lacune in ben tre passi: Orat I (298, 2-6); II , 1 (299, 3-8). 4 (302, 16-
18). Solo la prima di esse ha dato luogo a tentativi, tutto sommato, abbastanza soddisfa-
centi di ricostruzione testuale. Quanto ai materiali profusi in via introduttiva, basti ricorda-
re la quantità di citazioni scritturistiche riguardanti il tema della preghiera (sia le “parole”
che l’ “atteggiamento” dell’orante) che verranno riprese successivamente.
151 Orat II, 1 (298, 18-23): ∆All∆ eijko;", ∆Ambrovsie qeosebevstate kai; filoponwv-
tate kai; Tatianh; kosmiwtavth kai; ajndreiotavth [...] uJma'" ajporei'n tiv dhvpote, peri; eujch'"
In ascolto del testo 53
più di una «variazione» sul motivo iniziale del prologo, secondo cui ciò
«che è impossibile agli uomini» – cioè «comprendere» (katalabei'n) le
realtà trascendenti – «diventa possibile per grazia di Dio»152 . L’enunciato
di partenza, che elabora retoricamente e dottrinalmente la dialettica fra
impossibile e possibile – contrapponendo in maniera insistita l’umano al
divino e vedendo quest’ultimo dentro un’ottica trinitaria articolata con
precisione – viene infatti declinato per ben quattro volte, con ampio cor-
redo di riferimenti scritturistici. Davanti a questa insistenza, non si può
fare a meno di pensare che Origene abbia optato di proposito per un av-
vio «sconcertante», allo scopo di suscitare l’interrogativo dei suoi lettori
sul senso dell’argomentazione e orientarli così fin dal principio verso la
nota che più gli sta a cuore.
A conforto di ciò si potrebbero addurre esempi da altri proemii del-
l’Alessandrino – non soltanto per riscontrarvi, quasi come una sorta di
motivo unitario, l’interrogativo ricorrente sulla conoscenza delle cose di-
vine153 –, ma anche per riflettere sulla modalità a prima vista «straniante»
con cui l’autore si rapporta al suo lettore (primo fra tutti Ambrogio, ma
non solo). Più che il parallelo con l’attacco dell’Esortazione al martirio,
––––––––––––––––––
prokeimevnou hJmi'n tou' lovgou, tau'ta ejn prooimivoi" peri; tw'n ajdunavtwn ajnqrwvpoi" du-
natw'n cavriti qeou' ginomevnwn ei[rhtai.
152 Nella prima formulazione l’impossibilità dell’uomo a conoscere le cose di Dio è
ribadita tre volte, quasi a fare da pendant con l’enunciazione trinitaria della sua possibilità,
che si dà con l’effusione della grazia da Dio (Padre) tramite la mediazione di Gesù Cristo
e la cooperazione dello Spirito. Cfr. Orat I (297, 1-6): Ta; dia; to; ei\nai mevgista kai; uJpe;r
a[nqrwpon tugcavnein eij" uJperbolhvn te uJperavnw th'" ejpikhvrou fuvsew" hJmw'n ajduvnata
tw'/ logikw'/ kai; qnhtw'/ gevnei katalabei'n ejn pollh'/ de; kai; ajmetrhvtw/ ejkceomevnh/ ajpo;
qeou' eij" ajnqrwvpou" cavriti qeou' dia; tou' th'" ajnuperblhvtou eij" hJma'" cavrito" uJphrevtou
∆Ihsou' Cristou' kai; tou' sunergou' pneuvmato" boulhvsei qeou' dunata; givnetai. Da notare
che la conclusione del prologo ripropone simmetricamente l’enunciato trinitario come il
presupposto che solo abilita l’autore alla sua trattazione (Orat II, 6 [303, 17-20]: ejpei; toiv-
nun thlikou'tovn ejsti to; peri; th'" eujch'" dialabei'n, wJ" dei'sqai tou' kai; eij" tou'to fwtiv-
zonto" patro;" kai; aujtou' tou' prwtotovkou lovgou didavskonto" tou' te pneuvmato" ejner-
gou'nto" eij" to; noei'n kai; levgein ajxivw" tou' thlikouvtou problhvmato"). Qualche eco del-
l’inizio del prologo affiora in Phil 1, 28 (200, 1-7), dove Origene considera la conoscenza
dei «doni di Dio» nella Scrittura come frutto della venuta del Logos nell’anima: w{sper de;
pavnta ta; tou' qeou' dwrhvmata eij" uJperbolh;n meivzonav ejsti th'" qnhth'" uJpostavsew", ou{tw
kai; oJ ajkribh;" lovgo" th'" peri; pavntwn touvtwn sofiva", para; tw/' qew/' tw/' kai; oijkonomhv-
santi tau'ta grafh'nai tugcavnwn, qevlonto" tou' patro;" tou' lovgou, gevnoito a]n ejn th/'
a[krw" meta; pavsh" filotimiva" kai; sunaisqhvsew" th'" ajnqrwpivnh" ajsqevneia" th'" peri;
th;n katavlhyin th'" sofiva" kekaqarmevnh/ yuch/'. In Fr1Cor 49 (176) Origene offre un’in-
teressante definizione di uJperbolhv (uJperbolh; toivnun ejstivn, wJ" kai; ”Ellhne" <wJ>rivsan-
to, lovgo" ejmfavsew" e{neken uJperaivrwn th;n ajlhvqeian), mentre Fr1Cor 84 (206) accenna
agli ajduvnata commentando il discorso sulla resurrezione in 1Cor 15, 20-23: Tiv ga;r wJ" ejn
ajdunavtoi", i{n∆ ou{tw" ei[pw, ajdunatwvteron to; zwopoihqh'nai to; sw'ma h] oujrano;n ejx oujk
o[ntwn genevsqai h} h{lion h[ ta; loipa; tw'n ktismavtwn…
153 Come ha notato giustamente Junod, 83 ss.
54 Parte prima, Capitolo terzo
quantunque non privo di analogie, si rivela pertinente il confronto con il
proemio al I libro del Commento a Giovanni, contraddistinto anch’esso
dall’ampia orchestrazione del motivo iniziale (qui tratto subito da una ci-
tazione biblica, come avviene anche in EM 1) e dall’interrogativo sul pre-
sumibile sconcerto del destinatario154. Come in Orat il testo opera un cre-
scendo che focalizza l’attenzione del lettore sul tema, secondo il registro
voluto dall’autore e sorretto dal riferimento vincolante all’auctoritas scrit-
turistica155. Se nel Commento a Giovanni, al primato del quarto vangelo
corrisponde da parte di Origene la priorità dell’impresa esegetica su di
esso, in Orat egli vuole instillare la particolare difficoltà del compito a cui
si accinge156. Questa difficoltà va ben oltre i dettami della retorica proe-
miale, con la convenzionale captatio benevolentiae in nome di un compito
presentato come arduo, per insinuare piuttosto l’idea di un’impossibilità
radicale dell’uomo, sì di tipo conoscitivo ma per ciò stesso anche «esisten-
tiva», rispetto alla preghiera. Si tratta insomma non solo di una difficoltà
di discorso, ma prima ancora di una difficoltà di esperienza.
Questa stessa nota, variamente cadenzata, riecheggia dall’inizio fino
alla conclusione del prologo (Orat II, 6), dove Origene ritrova l’articola-
zione trinitaria da cui aveva preso le mosse, sola condizione per sciogliere
l’impossibilità di trattare adeguatamente il «discorso della preghiera» (tou'
peri; th'" eujch'" lovgou). Senza l’ausilio dello Spirito, egli non sarebbe in
grado di affrontarlo, come del resto non si dà autentica preghiera in assen-
za del suo soccorso all’orante. È questo l’unico momento, in un trattato
dedicato interamente a tale tema, in cui Origene formula una preghiera in
prima persona, anzi «pregando come uomo» (eujxavmeno" wJ" a[nqrwpo"),
come dice con una formulazione a prima vista paradossale. Ma essa è ad
un tempo confessione e richiesta: ammissione d’impotenza appunto «come
uomo», che non è ancora divenuto uno «spirituale», e invocazione perciò
del soccorso dello Spirito, perché gli sia donato «un discorso il più com-
pleto possibile, un discorso spirituale»157. Che si tratti di un’impresa dif-
––––––––––––––––––
154 CIo I, 2, 9 (5, 9-11): Tiv dh; pavnta tau'q∆ hJmi'n bouvletai… ejrei'" ejntugcavnwn toi'"
gravmmasin, ∆Ambrovsie, ajlhqw'" qeou' a[nqrwpe, kai; ejn Cristw'/ a[nqrwpe kai; speuvdwn
ei\nai pneumatikov", oujkevti a[nqrwpo".
155 L’avvio mediante una citazione scritturistica, a prima vista enigmatica, caratte-
rizza anche EM 1, ma Origene trapassa immediatamente dal passo citato (Is 28, 9-11) al-
l’applicazione ai due destinatari Ambrogio e Protocteto.
156 Ho trattato del prologo di CIo I in Perrone 2005b; cfr. anche Bastit.
157 Orat II, 6 (303, 17-23): ejpei; toivnun thlikou'tovn ejsti to; peri; th'" eujch'" diala-
bei'n, wJ" dei'sqai tou' kai; eij" tou'to fwtivzonto" patro;" kai; aujtou' tou' prwtotovkou lov-
gou didavskonto" tou' te pneuvmato" ejnergou'nto" eij" to; noei'n kai; levgein ajxivw" tou' th-
likouvtou problhvmato", eujxavmeno" wJ" a[nqrwpo" (ouj gavr pou ejmautw'/ divdwmi cwrei'n th;n
proseuch;n) tou' pneuvmato" pro; tou' lovgou tucei'n th'" eujch'" ajxiw', i{na lovgo" plhrev-
stato" kai; pneumatiko;" hJmi'n dwrhqh'. Pregare «come uomo» significa ammettere di non
essere ancora giunto alla condizione di «spirituale» (si veda CIo I, 2, 9 alla nota 154).
In ascolto del testo 55
ficile ed esigente è segnalato da una spia linguistica che appare significa-
tiva: nel dichiarare la sua incapacità, senza riserve (ouj gavr pou ejmautw'/
divdwmi cwrei'n th;n proseuch;n)158, Origene si serve di un verbo – cwrevw,
«fare spazio a», «contenere», «essere capace di», «comprendere» – che ri-
torna, non a caso, nell’epilogo del trattato (Orat XXXIV), dove l’autore si
mostra più che propenso ad un bilancio autocritico dei risultati raggiunti;
al tempo stesso, egli non dispera, con l’aiuto delle preghiere di Ambrogio
e Taziana, di poter «accogliere» in futuro «contenuti più abbondanti e più
divini» dal «Dio che dona»159 .
Nel linguaggio dell’Alessandrino poco sembra essere lasciato al caso
e l’utilizzo, diremmo, “strategico” dello stesso verbo a chiusura del pro-
logo come dell’epilogo è indice ancora una volta di quella nota che segna
in profondità il trattato. Nutrito com’è della linfa vitale delle Scritture,
l’impiego di cwrevw da parte di Origene richiama alla mente il suo uso bi-
blico, in particolare nel Nuovo Testamento, dove non poteva sfuggire pro-
prio quella stessa connessione problematica con lov g o" che compare i n
Orat160 . Né sorprende che il termine lasci tracce significative nel Commen-
to a Giovanni, non solo in relazione ai versetti che lo contemplano espres-
samente (Gv 8, 37 e 21, 25), ma anche perché esso viene adoperato per
esprimere l’accoglienza o meno di Dio, del Cristo e dello Spirito da parte

––––––––––––––––––
158 Il passo ha procurato difficoltà ai traduttori, benché lo si possa comprendere se
lo si legge come inciso, alla maniera di Koetschau. Egli lo rende così: «ein Mensch, der
sich nicht wohl anmaßt, das Gebet zu begreifen» (BKV, 15). Invece Jay, 88 ne dà una ver-
sione un po’ diversa: «for it is not indeed to myself that I attribute my capacity for prayer».
Egli non ha torto ad indicare l’incapacità umana di pregare autenticamente, anche se qui
si tratta anzitutto dell’incapacità di esporre l’argomento della preghiera in maniera ade-
guata. Così intendono, ad esempio, con soluzioni più o meno felici, Oulton, 243 («for I do
not hold that I am able of my own self to treat of prayer») e Greer, 86 («in no way attri-
bute an understanding of prayer to myself») e Antoniono, 37 («poiché non mi riconosco il
diritto di definire la preghiera»).
159 Orat XXXIV (403, 4-9): oujk ajpoginwvskw de;, toi'" e[mprosqen uJmw'n ejpekteino-
mevnwn kai; tw'n o[pisqen ejpilanqanomevnwn (cfr. Fil 3, 14) eujcomevnwn te ejn touvtoi"
o[ntwn peri; hJmw'n, pleivona kai; qeiovtera eij" pavnta tau'ta dunhqh'nai cwrh'sai ajpo; tou'
didovnto" qeou' kai; labw;n pavlin peri; tw'n aujtw'n dialabei'n megalofuevsteron kai;
uJyhlovteron kai; tranovteron. Non mancano peraltro analogie con la chiusa dell’Esorta-
zione al martirio (EM 51; cfr. infra, nota 774).
160 Si veda rispettivamente Mt 19, 11 con il significato di «comprendere» (ouj
pavnte" cwrou'sin to;n lovgon ajll∆ oi|" devdotai) e G v 8, 37 con quello di «trovar posto,
spazio» (oJ lovgo" oJ ejmo;" ouj cwrei' ejn uJmi'n). Al primo dei due luoghi sembra alludere
Orat XXXIV (403, 7-8): cwrh'sai ajpo; tou' didovnto" qeou' . Nel significato di «contenere» il
verbo figura ancora in Gv 21, 25, ripreso da CIo XIII, 5, 27 (230, 3-8): Kai; ga;r ta; kuriwv-
tera kai; qeiovtera tw`n musthrivwn tou` qeou` e[nia me;n ouj kecwvrhken grafhv, e[nia de;
oujde; ajnqrwpivnh fwnh; kata; ta; sunhvqh tw`n shmainomevnwn h] glw`ssa ajnqrwpikhv: ∆Estin
ga;r kai; a[lla pollav, a} ejpoivhsen oJ ∆Ihsou`~, a{tina eja;n gravfhtai kaq∆ e{n, oujde; aujto;n
oi\mai to;n kovsmon cwrhvsein ta; grafovmena bibliva .
56 Parte prima, Capitolo terzo
dell’uomo161. Esso sembra dunque racchiudere in positivo la chance del-
l’apertura alle realtà divine come per converso, in negativo, la chiusura ad
––––––––––––––––––
161 Si vedano, senza pretesa di completezza, i seguenti luoghi di CIo (I , 7, 38 [12, 9]:
toi'" mevllousi cwrei'n aujtou' th;n qeovthta ajnqrwvpoi" qeou'; I , 10, 62 [15, 26-28]: Ou|to"
gavr ejstin oJ ajpo; tou' ajgaqou' patro;" to; ajgaqa; ei\nai labwvn, i{na e{kasto" o} cwrei' h] a}
cwrei' dia; ∆Ihsou' labw;n ejn ajgaqoi'" tugcavnh/; I , 20, 124 [25, 16-20]: Kai; makavrioiv ge
o{soi deovmenoi tou' uiJou' tou' qeou' toiou'toi gegovnasin, wJ" mhkevti aujtou' crhvz/ ein ijatrou'
tou;" kakw'" e[conta" qerapeuvonto" mhde; poimevno" mhde; ajpolutrwvsew", ajlla; sofiva"
kai; lovgou kai; dikaiosuvnh", h] ei[ ti a[llo toi'" dia; teleiovthta cwrei'n aujtou' ta; kavlli-
sta dunamevnoi"; I, 25, 166 [31, 25-28]: Toi'" de; mh; cwrou'si ta;" hJliaka;" Cristou' ajkti'-
na" oiJ a{gioi diakonou'nte" parevcousi fwtismo;n pollw'/ tou' proeirhmevnou ejlavttona,
movgi" kai; tou'ton cwrei'n dunamevnoi" kai; uJp∆ aujtou' plhroumevnoi"; I, 34, 246 [43, 30-
33]: ”Ekasto" de; tw'n sofw'n kaq∆ o{son cwrei' sofiva", tosou'ton metevcei Cristou', kaq∆
o} sofiva ejstivn ; II, 3, 22 [55, 25-29]: ’O" ga;r ouj cwrei' tou'ton to;n lovgon, to;n ejn ajrch'/
pro;" to;n qeovn, h[toi aujtw'/ genomevnw/ sarki; prosevxei, h] meqevxei tw'n meteschkovtwn tino;"
touvtou tou' lovgou, h] ajpopesw;n tou' metevcein tou' meteschkovto" ejn pavnth ajllotrivw/ tou'
lovgou <lovgw/> e[stai kaloumevnw/; II , 18, 127 [75, 25-26], detto dello Spirito: Eij de; maqh-
teuovmenon pavnta cwrei', a} ejnatenivzwn tw'/ patri; ajrcovmeno" oJ uiJo;" ginwvskei, ejpime-
levsteron zhthtevon; VI, 3, 15 [109, 19-22]: Kai; to; ∆Ek tou' plhrwvmato" de; aujtou' hJmei'"
pavnte" ejlavbomen kai; to; Cavrin ajnti; cavrito" (Gv 1, 16) [...] dhloi' kai; tou;" profhvta"
ajpo; tou' plhrwvmato" Cristou' th;n dwrea;n kecwrhkevnai; VI, 42, 220 [151, 27–152, 2]:
∆Iordavnhn mevntoi ge nohtevon <to;n > tou' qeou' lovgon to;n genovmenon savrka kai; skhnwv-
santa ejn hJmi'n, ∆Ihsou'n de; to;n klhrodothvsanta o} ajneivlhfen ajnqrwvpinon, o{per ejsti;n
kai; ajkrogwniai'o" livqo", o}" kai; aujto;" ejn th'/ qeovthti tou' uiJou' tou' qeou' genovmeno" tw'/
ajneilh'fqai uJp∆ aujtou' louvetai, kai; tovte cwrei' th;n ajkevraion kai; a[dolon peristera;n
tou' pneuvmato", sundedemevnhn aujtw'/ kai; mhkevti ajpopth'nai dunamevnhn; VI, 43, 225 [152,
29-31]: eujtrepizevsqwsan pro;" to; dunhqh'nai dia; th'" proetoimasiva" cwrh'sai to;n pneu-
matiko;n lovgon ejgginovmenon dia; tou' fwtismou' tou' pneuvmato"; X, 6, 26 [176, 21-26]: ÔW"
ga;r di∆ eJno;" ajnqrwvpou oJ qavnato", ou{tw" kai; di∆ eJno;" ajnqrwvpou hJ th'" zwh'" dikaivwsi":
oujk a]n cwri;" tou' ajnqrwvpou cwrhsavntwn hJmw'n th;n ajpo; tou' lovgou wjfevleian, mevnonto"
oJpoi'o" h\n th;n ajrch;n pro;" to;n patevra qeovn, kai; mh; ajnalabovnto" a[nqrwpon, to;n pavntwn
prw'ton kai; pavntwn timiwvteron kai; pavntwn ma'llon kaqarwvteron aujto;n cwrh'sai du-
navmenon; X, 8, 36 [178, 16-19]: Tiv" d∆ ou{tw" sofo;" kai; ejpi; tosou'ton iJkano;" wJ" pavnta
to;n ∆Ihsou'n ajpo; tw'n tessavrwn eujaggelistw'n maqei'n, kai; e{kaston ijdiva/ cwrh'sai noh'-
sai, kai; pavsa" aujtou' ta;" kaq∆ e{kaston tovpon ijdei'n ejpidhmiva" kai; lovgou" kai; e[rga…
XIII, 5, 27 (cfr. supra, nota 160); XX, 6, 40 [333, 29-31]: ∆Eoivkasin de; ou|toi, pro;" ou}" oJ
lovgo", mh; cwrei'n to;n lovgon, ouj dunavmenon eij" aujtou;" di∆ uJperbolh;n megevqou" ijdivou
tou' uJpe;r aujtou;" cwrei'n). Cfr. ancora VI, 18, 98; X, 15, 85; X, 29, 179; X, 41, 286; XIII,
18, 112; XIX , 10, 59; XIX, 12, 72. Per l’idea di un’incapacità o, al contrario, della capacità
sul piano della prassi, cfr. rispettivamente VI, 19, 105 (128, 17-18): Au{th de; <hJ> oJdo;" ste-
nh; mevn, tw'n pollw'n ouj cwrouvntwn oJdeuvein aujth;n kai; megalosavrkwn; e VI, 44, 230
(153, 29-30): toi'" cwrou'sin th;n peri; aJgneiva" ejntolhvn. Invece, per la dinamica della
conoscenza parziale ma sollecitata dinamicamente ad una partecipazione più grande, cfr.
VI, 36, 183 (145, 20-22): ”Osa de; eja;n cwrhvswmen, e[ti uJpoleivpetai ta; mhdevpw nenoh-
mevna, ejpei; ”Otan suntelevsh/ a[nqrwpo" tovte a[rcetai, kai; o{tan pauvshtai tovte ajporh-
qhvsetai (Sir 18, 6). Per esprimere la capacità di comprendere in senso spirituale, Origene
si serve anche dell’aggettivo cwrhtov" (X, 41, 286 [219, 7-10]: th'" ejn musthrivw/ ajpoke-
krummevnh" deovmeqa sofiva", cwrhth'" tugcanouvsh" movnw/ tw'/ dunamevnw/ eijpei'n: ÔHmei'"
de; nou'n Cristou' e[comen (1Cor 2, 16), i{na kata; to; bouvlhma tou' oijkonomhvsanto" tau'ta
grafh'nai pneumatikw'" ejklavbwmen e{kaston tw'n eijrhmevnwn). Cfr. inoltre FrRe IV ad
In ascolto del testo 57
esse, ma dentro la prospettiva di un sostanziale dinamismo di partecipa-
zione alle realtà divine che dalla Trinità si trasmette agli esseri razionali.
Origene lo chiarisce bene nel prosieguo del trattato, con un terzo utilizzo
strategico del verbo, all’inizio della seconda sezione di Orat (XVIII- XXX).
Egli dichiara di aver argomentato «a sufficienza» la sua risposta al «proble-
ma della preghiera», nella misura in cui egli è stato in grado di «compren-
dere» (wJ" kecwrhvkamen) con l’ausilio della grazia donatagli da Dio me-
diante Cristo e, spera, anche dallo Spirito. Se sia avvenuto effettivamente
così anche per quest’ultimo aspetto – cioè con una piena partecipazione al
dinamismo trinitario –, lo lascia prudentemente al giudizio dei lettori162 .
L’eco della nota iniziale può essere ancora colta, proprio nel trapasso
dalla prima alla seconda sezione, tramite un ulteriore risvolto di natura
lessicale, che ci fa capire nuovamente il senso d’inadeguatezza dichiarato
in partenza e la sfida che il discorso sulla preghiera rappresenta per l’Ales-
sandrino. Annunciando l’esposizione a cui si accinge, destinata a com-
mentare il Padrenostro, egli la prefigura nei termini di un secondo «com-
battimento» (to;n eJxh'" a\qlon)163. Più che la metafora sportiva dell’atleta e
della gara coronata dal premio, anche in questo uso singolare del voca-
bolo, privo cioè di riscontri nel resto degli scritti di Origene, si avverte
semmai la costante consapevolezza di un arduo compito, affrontato non
senza una tensione drammatica o, come spiegheremo meglio fra poco,
«agonica». Di segno analogo è del resto il verbo che designa retrospetti-
vamente lo sforzo intrapreso in quest’opera, quando concludendo il suo la-
voro l’autore ribadisce l’idea di «essersi impegnato in un combattimento»
(dihvqlhtai), senza per nulla tradire la consapevolezza di meritare il pre-
––––––––––––––––––
1Sam 15, 9-11 (296, 6-10): swmatikwvteron toi'" barutavtoi" th;n diavnoian e[dei peri; tou'
qeou' tou;" profhvta" oJmilei'n, i{na cwrhqh/:' oiJ ga;r ajgavlmata a{per e[glufon kai; ejcwv-
neuon qeou;" nomivzonte", h[dh de; kai; a[loga, pw'" a]n ejcwvrhsan dia; pneumatikw'n noh-
mavtwn te kai; rJhmavtwn ta; peri; qeou' legovmena. Sul valore del termine nel lessico orige-
niano si veda Crouzel 1961, 468.
162 Orat XVIII, 1 (340, 3-6): Aujtavrkw" dh; ejn touvtoi", kata; th;n dedomevnhn cavrin,
wJ" kecwrhvkamen, uJpo; qeou' dia; tou' Cristou' aujtou' (ajll∆ ei[qe kai; ejn aJgivw/ pneuvmati,
o{per eij ou{tw" e[cei, krinei'te ejntugcavnonte" th'/ grafh'/) hJmi'n eijrhmevnoi", ejxetavsante"
to; peri; eujch'" provblhma. Per le altre occorrenze in Orat, cfr. XVII, 2 (339, 10-11): to; ga;r
kurivw" kavllo" sa;rx ouj cwrei', pa'sa tugcavnousa ai\sco"; XVII, 2 (339, 21-22): wJ" cw-
rei' oJ e[ti dedemevno" swvmati ajnqrwvpino" nou'" ; XXV, 2 (358, 8-9): ejk mevrou" ginwvskwn
me;n o{sa pot∆ a]n cwrh'sai ejpi; tou' parovnto" dunhqh'/; XXVI , 3 (360, 26-28): eu[cesqai
dei'n e{kaston tw'n ajpo; th'" ejkklhsiva" ou{tw cwrh'sai to; patriko;n qevlhma, o}n trovpon
Cristo;" kecwvrhken; XXVII, 8 (368, 16): oJ ga;r sunw;n aujth'/ tovno" kai; di∆ o{lwn kecw-
rhkwv"; XXVII, 9 (369, 3-4): w{sper oJ swmatiko;" a[rto" ajnadidovmeno" eij" to; tou' trefo-
mevnou sw'ma cwrei' aujtou' eij" th;n oujsivan; XXVIII, 8 (380, 9-11): wJ" cwrhvsa" to; pneu'ma
to; a{gion kai; genovmeno" pneumatiko;" tw'/ uJpo; tou' pneuvmato" a[gesqai.
163 Orat XVIII, 1 (340, 9): h[dh kai; ejpi; to;n eJxh'" a\qlon ejleusovmeqa, th;n uJpogra-
fei'san uJpo; tou' kurivou proseuch;n, o{sh" dunavmew" peplhvrwtai, qewrh'sai boulovme-
noi. Cfr. Junod 2009, 434, 436.
58 Parte prima, Capitolo terzo
mio che spetta a chi gareggia164 . Al contrario, come si è intravisto, egli fa
trapelare un sentimento d’insoddisfazione per un esito che ritiene inevita-
bilmente inadeguato all’oggetto dell’impresa.

2. L’argomentazione della preghiera come paradosso

Se la nota avvertita in apertura ci ha dato modo di scorgere provviso-


riamente un’ “armonica” del testo compenetrata in profondità da essa, pos-
siamo adesso tornare al prologo e ripercorrerne il profilo per trovare le ri-
sonanze più vicine a cui questa nota dà luogo. La struttura dei due capitoli
si presenta abbastanza lineare: essa svolge in maniera, tutto sommato, ben
concatenata lo spunto da cui trae avvio il discorso mostrandone le diverse
implicazioni. Le esemplificazioni di ciò che è «impossibile» (ajduvnaton)
all’uomo concernono successivamente:
1. Il «possesso della sapienza» (sofiva" kth'si", con il richiamo a Sal
103[104], 24).
2. La «conoscenza del piano di Dio» (boulh;n qeou', con citazione di Sap
9, 13).
3. La «conoscenza della mente del Signore» (tou` kurivou nou'n, con il ri-
chiamo a Rm 11, 34 e 1Cor 2, 16).
4. La «conoscenza delle cose di Dio» (ta; tou` qeou', con citazione di 1Cor
2, 11).
In tutti e quattro i casi, diversamente dalla tesi esposta in principio,
l’enunciazione dell’impossibilità è fatta con il ricorso ad uno o più passi
––––––––––––––––––
164 Orat XXXIV (403, 1-3): Tau'ta kata; duvnamin ejmh;n eij" to; th'" eujch'" provblhma
kai; eij" th;n ejn toi'" eujaggelivoi" eujch;n tav te pro; aujth'" para; tw'/ Matqaivw/ eijrhmevna
hJmi'n dihvqlhtai. Gessel, ignorando a\qlo", dà un’interpretazione di diaqlevw che non tiene
troppo conto del lato «agonico», nel senso di drammatico e conflittuale, che contraddistin-
gue lo sforzo di Origene. L’utilizzo del verbo «mag eine gewisse Übertreibung darstellen,
zeigt aber den Ernst und die Energie, mit der Origenes das gestellte Problem abhandeln
wollte» (p. 60). Si veda specialmente p. 76: «Vor dem geistigen Auge des Lesers ersteht
mit dieser metaphorischen Behauptung der Athlet in der Arena, der angesichts eines kriti-
schen Publikums inmitten der Schar der Mitkämpfer den Sieg zu erringen gewillt ist. Das
Publikum erlebt den Sieg mit und belohnt diesen Sieg durch seinen Beifall. Ähnlich mag
Origenes am Ende seines Werkes empfunden haben, da er nunmehr in der Lage ist, den
Lesern die “erkämpften” Ergebnisse seiner Auseinandersetzung mit den angeschnittenen
Problemen vorzulegen». Più che la performance riuscita, come intende Gessel, il verbo
sembra voler ancora inculcare l’idea di una «lotta disperata». Cfr. LSJ 395, s.v.: «struggle
desperately», «struggle through» (con riferimento a bivon e ajgw'na"). Ovviamente l’imma-
gine dell’atleta non poteva mancare in Orat, come vediamo dalla spiegazione del Padre-
nostro, alla quarta domanda (XXVII, 4 [365, 13]: ajqlhtikh;n teleiotevroi" aJrmovzousan
trofhvn; 9 [369, 9]: ajqlhtai'" aJrmozouvsh") e alla sesta (XXIX, 2 [382, 18]: wJ" diabebhkovsi
kai; telewtevroi" ajqlhtai'" ; XXX , 2 [394, 20-21]: nenikhmevno" uJpo; tou' th'" ajreth'"
ajqlhtou'; cfr. in proposito Rosa).
In ascolto del testo 59
scritturistici, ripresi esplicitamente o allusi, ai quali fanno da pendant le
citazioni che corroborano il secondo polo della dialettica «impossibile-
possibile»: l’impossibilità donata e risolta mediante l’aiuto della grazia.
Forse si potrebbe ancor meglio distinguere questo secondo versante, con
il notare che il dunatovn è indicato ora mediante il riferimento personale a
Cristo165 , ora più genericamente con il rinvio alla grazia divina e al dono
dello Spirito166 . Ma questo rinvio appare meno generico, se si osserva che
nel secondo caso il testimone è Paolo, sia in quanto beneficiario lui stesso
della grazia (2Cor 12, 2-4), sia in quanto colui che dà espressione al rico-
noscimento del dono di grazia per l’uomo. Nel mosaico di riferimenti scrit-
turistici che orchestrano la coppia antitetica «impossibile-possibile» domi-
nano non a caso i passi paolini e il riferimento paradigmatico all’esperien-
za spirituale dell’Apostolo. In tal modo Origene, a conclusione di Orat I,
fa già emergere il “filo rosso” di Rm 8, 26-27, contraddistinto da una po-
larità non soltanto analoga, ma verosimilmente anche “archetipica” per il
discorso dell’Alessandrino 167 .
Questo luogo paolino comincia a governare l’esposizione a partire
da Orat II, 1. Senza accennare dapprima all’intervento dello Spirito, che
compensa l’umana debolezza, Origene adduce Rm 8, 26 nella sua formu-
lazione in negativo, a testimonianza dell’impossibilità dell’uomo, che pro-
prio alla luce dell’estratto citato si palesa come duplice: non è solo l’ajduv-
naton rappresentato dal «discorso sulla preghiera» – quale è quello a cui
Ambrogio ha sollecitato l’Alessandrino –, ma è anche in generale un’in-
capacità umana a pregare il «che» e il «come si conviene» 168 . Origene
inoltre introduce l’auctoritas scritturistica in modo da intensificarne mag-
giormente la pointe paradossale, dal momento che la dichiarazione d’im-
potenza in Rm 8, 26 è fatta precedere ancora una volta dal richiamo pro-
prio a quel Paolo che era stato «rapito fino al terzo cielo» (2Cor 12, 2) es-
––––––––––––––––––
165 Orat I (297, 8-9): dunato;n ejx ajdunavtou givnetai dia; tou' kurivou hJmw'n ∆Ihsou'
Cristou', seguito da 1Cor 1, 30, luogo importante perché racchiude tre delle ejpivnoiai di
Cristo (sofiva, aJgiasmov", ajpoluvtrwsi"), di cui Origene aveva trattato abbondantemente
in CIo I-II (per il loro impatto strutturale si veda Perrone 2005b, 74-75).
166 Orat I (297, 17-18): tou'to to; ajduvnaton th'/ uJperballouvsh/ cavriti tou' qeou' du-
nato;n givnetai.
167 Rm 8, 26-27: «26Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra de-
bolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito
stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; 27 e colui che scruta i
cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo
Dio». Il passo è citato a più riprese: Rm 8, 26 in Orat II, 1 (299, 11) e II, 2 (300, 3); Rm 8,
26-27 in Orat II, 3 (301, 4) e XIV, 5 (332, 21). Per Junod 2009, 445 Rm 8, 26 «exprime le
“problème relatif à la prière” qui se situe au cœur de la réflexion d’Origène».
168 Orat II , 1 (299, 11-13): o} ga;r dei' proseuvxasqai, fhsiv, kaqo; dei' oujk oi[damen.
ajnagkai'on de; ouj to; proseuvcesqai movnon ajlla; kai; to; proseuvcesqai kaqo; dei' kai;
proseuvcesqai o} dei'.
60 Parte prima, Capitolo terzo
sendo fatto oggetto di una «sovrabbondanza di rivelazioni» (2Cor 12, 7).
In aggiunta a ciò, non sfugga neppure il modo in cui Origene estrapola dal
passo, per così dire, un terzo motivo di paradossalità, poiché l’ignoranza
o incapacità dell’uomo a pregare si manifesta, secondo l’Apostolo, in una
doppia forma: rispetto sia alle «parole» (oiJ lovgoi) sia all’«atteggiamento»
(katavstasi") della preghiera. La successiva elencazione di esempi delle
prime e specialmente del secondo (Orat II, 2) sembrerebbe attenuare il
peso dell’aporia che è andata emergendo, quasi fosse un excursus espli-
cativo non strettamente indispensabile. Ma, a parte il fatto che, per chia-
rire quali debbano essere i contenuti della preghiera, Origene inserisce un
agraphon da vedersi anch’esso come un altro “filo nascosto” del trattato,
in quanto raccomanda di chiedere unicamente «le cose grandi e cele-
sti»169 , in pratica l’esemplificazione scritturistica risulta funzionale ad
aggravare l’interrogativo paradossale suscitato dall’asserzione paolina.
Non a caso, tra gli esempi del modo in cui bisogna pregare, si cita 1Tm 2,
8-10170 , luogo deputato nel pensiero dell’Alessandrino a sorreggere la sua
riflessione sull’atto della preghiera; 1Cor 7, 5, dove Paolo dà istruzioni
sulla preghiera nella vita matrimoniale (non senza cavarne spunti collate-
rali di riflessione, a beneficio della coppia dei destinatari); e infine 1Cor
11, 4-5, sulla preghiera a capo scoperto dell’uomo e quella della donna
con il capo velato.
L’accumulo di citazioni bibliche, in primis paoline, sfocia così nella
riproposizione di Rm 8, 26: sebbene Paolo fosse a conoscenza di tutto ciò
e sebbene fosse in grado di produrre molti altri passi analoghi «dalla
Legge, dai Profeti e dalla pienezza evangelica» a sostegno di un discorso
sulla preghiera, egli si lascia andare invece a confessare la propria impo-
tenza (Orat II, 3). Ora, Paolo è notoriamente il testimone chiave dell’er-
meneutica di Origene – come si può del resto sospettare già dalla sem-
––––––––––––––––––
169 Orat II, 2 (299, 19-21: aijtei'te ta; megavla, kai; ta; mikra; uJmi'n prosteqhvsetai,
kai; aijtei'te ta; ejpouravnia, kai; ta; ejpivgeia uJmi'n prosteqhvsetai (cfr. Resch, Agrapha,
pp. 111-112 = nr. 86; Pesce, 326-329). Già attestato da Clemente Alessandrino nella prima
parte (Strom. I, 24, 158, 2-159, 1; IV , 6, 34), esso ricompare come citazione esplicita in
CMt XVI, 28 nonché in FrPs 4, 4 (PG 12, 1141C); e in forma allusiva nel cruciale passo
sulla preghiera in CC VII, 44 (196, 4-6), dove Origene oppone la preghiera «spirituale» dei
cristiani a quella dei pagani: l’orante cristiano ajnapevmpei ouj peri; tw'n tucovntwn th;n
eujch;n tw'/ qew'/: e[maqe ga;r ajpo; tou' ∆Ihsou' mhde;n mikrovn, toutevstin aijsqhtovn, zhtei'n
ajlla; movna ta; megavla kai; ajlhqw'" qei'a. In Orat è citato in II, 2; XIV, 1; XVI , 2; XVII, 2;
XXI, 1; XXVII, 1; XXXIII, 1. Sull’importanza dell’agraphon per la visione origeniana della
preghiera si veda Cocchini 1997b, 100-103.
170 1Tm 2, 8-10: «8 Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino,
alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese. 9 Alla stessa maniera facciano le
donne, con gli abiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e orna-
menti d’oro, di perle o di vesti sontuose, 10ma di opere buone, come conviene a donne che
fanno professione di pietà».
In ascolto del testo 61
plice abbondanza di riferimenti tratti qui dal suo epistolario171 –; eppure
l’Alessandrino arriva a sottolineare l’inadeguatezza di questa stessa inter-
pretazione, nonostante la sua ricchezza e varietà (meta; poikilovthto" th'"
eij" e{kaston dihghvsew"), davanti al compito «impossibile» che la preghie-
ra sembra rappresentare ai suoi occhi, sia come esperienza che come ri-
flessione172 . È vero che a questo punto Origene completa Rm 8, 26 con la
citazione di 8, 27, sciogliendo in positivo la dialettica fra impossibile e
possibile, ma neanche adesso viene meno la linea dell’argomentazione
introdotta dall’inizio. Infatti l’azione dello Spirito in colui che prega, de-
scritta anche con il ricorso a 1Cor 14, 15 (Orat II, 4), si staglia sullo sfon-
do della debolezza ed incapacità dell’uomo a pregare. Ed è proprio dalla
coscienza di questa «umana debolezza» che nasce la richiesta rivolta a Ge-
sù da un discepolo: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni
ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11, 1)173. Anche in questo caso l’Ales-
sandrino, senza accontentarsi di richiamare il contesto della versione lu-
cana del Padrenostro, si preoccupa di fare emergere la dimensione apore-
tica del passo: è mai possibile che «un uomo allevato nell’istruzione le-
gale e nell’ascolto dei profeti, e che certo non mancava di sinagoghe, non
sapesse come pregare?» Ma egli, che pregava sì alla maniera giudaica,
aveva in realtà bisogno di un nuovo modo di pregare, di una «scienza più
grande riguardo al tema della preghiera», giungendo a quella «preghiera
spirituale» di cui peraltro la Scrittura, a sviscerarne il senso profondo, è
testimone (Orat II, 5)174.
Con la prospettiva, al momento appena accennata, di alcune di queste
«preghiere veramente spirituali» (eujcai; aiJ o[ntw" pneumatikaiv ) – che so-
––––––––––––––––––
171 Sul modello paolino dell’ermeneutica origeniana si vedano de Lubac, 69-77 e
Cocchini. Per una statistica delle citazioni scritturistiche in Orat, da cui risalta il peso del
corpus Paulinum, cfr. Bertrand 1995.
172 Orat II, 3 (300, 30-301, 5): ajlla; tau'ta pavnta ejpistavmeno" Pau'lo" kai;
touvtwn pollaplasivona ajpo; novmou kai; profhtw'n tou' te eujaggelikou' plhrwvmato" pa-
raqevsqai dunavmeno", meta; poikilovthto" th'" eij" e{kaston dihghvsew", ajpo; diaqevsew"
ouj metriazouvsh" movnon ajlla; kai; ajlhqeuouvsh" fhsivn (oJrw'n de; kai; meta; tau'ta pavnta
o{son ajpoleivpetai tou' eijdevnai proseuvxasqai tiv dei' kaqo; dei'): to; de; o{ ti proseuvxa-
sqai dei' kaqo; dei' oujk oi[damen. Ci si potrebbe interrogare se l’asserita duplice incapacità
di pregare sia ridotta al «come si conviene», presupponendo il «che cosa conviene» in
base agli esempi biblici appena riportati. Ma il contesto dell’argomentazione di Origene
suggerisce che l’insufficienza è vista sia quanto ai contenuti che per il modo di pregare.
173 Orat II, 4 (302, 6-12): ejgw; de; oi[omai sunaisqovmenovn tina tw'n tou' ∆Ihsou'
maqhtw'n th'" ajnqrwpivnh" ajsqeneiva", ajpoleipomevnh" tou' o}n trovpon eu[cesqai dei', kai;
mavlista tou't∆ ejgnwkovta, o{te ejpisthmovnwn kai; megavlwn lovgwn h[kouen ajpaggellomev-
nwn uJpo; tou' swth'ro" ejn th'/ pro;" to;n patevra eujch'/, pausamevnw/ tou' proseuvcesqai tw'/
kurivw/ eijrhkevnai: kuvrie, divdaxon hJma'" proseuvcesqai, kaqw;" kai; ∆Iwavnnh" ejdivdaxe
tou;" maqhta;" aujtou' .
174 Cfr. Orat II, 4 (302, 22-24): hu[ceto me;n ga;r kata; ta; ∆Ioudaivwn e[qh, eJwvra de;
meivzono" ejpisthvmh" eJauto;n deovmenon eij" to;n peri; th'" eujch'" tovpon.
62 Parte prima, Capitolo terzo
no tali perché «lo Spirito prega nel cuore dei santi» –, il discorso sembra
finalmente dischiudere un orizzonte diverso, che va oltre l’insistita pro-
blematicità caratteristica di tutto quanto il prologo. Ma, come si capirà dal
successivo esame dei paradigmi biblici della preghiera, lo sviluppo positi-
vo non è da intendersi come facile e scontato. Se tali preghiere sono ricol-
me della «sapienza di Dio» – conclude Origene – «quale è il sapiente che
può comprenderle»? (Os 14, 10).

3. La motivazione antropologica: l’«umana debolezza»

Aggiungiamo qualche corollario che aiuti ulteriormente a compren-


dere per quale ragione Origene sentisse il bisogno d’insistere tanto a lungo
sulla dialettica antitetica «impossibile-possibile», anziché sviscerare rapi-
damente il suo superamento con un esito positivo. Traiamo di nuovo spun-
to da una spia linguistica che invita a disegnare lo sfondo antropologico
dentro cui prende forma la visione della preghiera in Orat. Esso appare
dominato dall’idea di una «debolezza» (ajsqevneia) costitutiva dell’uomo.
Nel prologo il vocabolo ricorre due volte e in entrambi i casi il suo signi-
ficato rinvia ad un limite della condizione umana come tale. In Orat II, 1
l’Alessandrino giustifica la martellante serie di ajduvnata nel primo capi-
tolo, dichiarando che anche l’esporre «in maniera precisa e conforme a
Dio il discorso sulla preghiera» rientra appunto fra tali impossibilità «in
ragione della nostra debolezza»175 . Che Origene non pensi solo alla diffi-
coltà del proprio compito, ma abbia in vista una situazione più generale, lo
si capisce meglio, allorché lo stesso vocabolo è addotto a spiegare il mo-
tivo della richiesta del discepolo in Lc 11, 1 (Orat II, 4): egli interviene
presso Gesù, perché si rende conto dell’«umana debolezza», la quale è ben
«lungi dal sapere in quale modo bisogna pregare»176 . Non è forse irrile-
vante che le occorrenze successive del termine siano pressoché sempre
accompagnate dal qualificativo ajnqrwpivnh, così da far pensare alla «fragi-
lità dell’uomo» come ad un vero e proprio connotato ontologico 177 . Del
––––––––––––––––––
175 Orat II , 1 (298, 23-299, 1): e}n tw'n ajdunavtwn o{son ejpi; th'/ ajsqeneiva/ hJmw'n peiv-
qomai tugcavnein tranw'sai to;n peri; th'" eujch'" ajkribw'" kai; qeoprepw'" pavnta lovgon.
176 Si veda supra, nota 173.
177 Cfr. Orat XI, 2 (322, 16-17): tou;" ejn th'/ ajnqrwpivnh/ ajsqeneiva/ tugcavnonta";
XXIX, 19 (393, 1): to; ga;r ejllei'pon dia; th;n ajnqrwpivnhn ajsqevneian. Che si tratti, in un
certo senso, di un dato “originario”, lo si può ricavare in XXIX, 18 (392, 12-13) dall’esem-
pio di Eva, della cui debolezza approfitta il serpente: tou' o[few" dia; tou'to aujth'/ pro-
selhluqovto", ejpei; th'/ ijdiva/ fronimovthti ajntelavbeto th'" ajsqeneiva" aujth'". Cfr. anche
XV, 4 (335, 22) con il rinvio a Cristo «sommo sacerdote» e «intercessore» di Eb 4, 15: du-
namevnou sumpaqei'n tai'" ajsqeneivai" uJmw'n. Se per HNm XVI, 4 la «fragilità» contraddi-
stingue l’uomo come essere mutevole rispetto a Dio immutabile, secondo H36Ps III, 8
(138, 3-5), l’umana debolezza è determinata dalla predisposizione a peccare: «Omnis au-
In ascolto del testo 63
resto, dietro questa parola è facile intravedere il suo utilizzo da parte di
Paolo, non solo in 2Cor 12 (un passo richiamato più volte nel prologo), ma
soprattutto nel testo chiave di Rm 8, 26, anche se in quella parte del verset-
to che Origene evita di citare, perché introduce già l’azione dello Spirito178 .
Dalla spiegazione che leggiamo al riguardo nel Commento a Romani com-
prendiamo quale spessore semantico racchiuda per Origene il termine
ajsqevneia, poiché egli collega l’infirmitas del passo paolino alle parole
evangeliche sulla debolezza della carne (Mt 26, 41), insinuando la dimen-
sione agonica dell’esistenza attraverso il suo conflitto con lo spirito 179 .
––––––––––––––––––
tem homo, quantum ad humanam fragilitatem spectat, et infirmus est et promptus ad lap-
sum». Cfr. anche H37Ps I , 1 (246, 1-4): «Creator humanorum corporum Deus sciebat
quod talis esset fragilitas humani corporis, quae languores diversos posset recipere et vul-
neribus aliisque debilitatibus esset obnoxia». Ciò è ribadito anche da CMtS 81 (192, 26-
193, 4): «Qui autem nondum perfectus est, dubitat de se ipso quasi possit et cadere, se-
cundum quam infirmitatem humanam scribens Corinthiis Paulus dicebat: Sed castigo cor-
pus meum et in servitutem redigo, ne forte cum aliis praedicaverim ipse reprobus efficiar
(1Cor 9, 27)». Per FrCt 84 su Ct 8, 9 («Se è un muro, costruiremo su di lei fortificazioni
d’argento; se poi è una porta, disegneremo su di lei un’asse di cedro») lo Spirito sostiene
la debolezza dell’uomo (th;n ajnqrwpivnhn ajsqevneian): «La porta significa una saldezza
che viene disegnata non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente (2Cor 3, 3).
Così essi dicono che sulla porta fisseranno anche un’asse, adattata a perfezionare la porta;
e l’asse di cedro significa l’incorruttibile manto dello Spirito: questo infatti consolida la
debolezza umana» (tr. Barbàra, 281). HLc XI, 3 (68) dichiara, con Mt 26, 41, la costitutiva
debolezza dell’uomo che abbisogna dell’aiuto dello Spirito: ÔH ajnqrwpivnh fuvsi" ajsqenhv"
ejsti kaiv, i{na gevnhtai ijscurav, creivan e[cei bohqeiva" kreivttono". Tivno" ou\n creiva, i{na
krataiwqh/'… Pneuvmato". D’altra parte, CMt X, 24 (33, 23-25) distingue con 1Cor 11, 30
fra «deboli» e «malati»: OiJ me;n ga;r ojlisqhrw'" dia; th;n th'" yuch'" ajdunamivan pro;" to;
oJtipotou'n aJmartavnein e[conte" [...] ajsqenei'" eijsi movnon. Secondo CMtS 72 (170, 14-15),
Cristo nell’incarnazione fa propria la «debolezza dell’uomo»: «Ipse enim ex infirmitate est
crucifixus (2Cor 13, 4) propter misericordiam, et ipse infirmitates nostras portat (Is 53,
4)». Al riguardo Prin II, 6, 2 (141, 5-7) osserva: «quaedam in eo ita videamus humana, ut
nihil a communi mortalium fragilitate distare videantur». Cfr. anche Fr1Cor 33.
178 Rm 8, 26a: ÔWsauvtw" de; kai; to; pneu'ma sunantilambavnetai th/' ajsqeneiva/ hJmw'n.
L’importanza del termine nel vocabolario paolino si percepisce specialmente in 2Cor 12, 5
(ouj kauchvsomai eij mh; ejn tai'" ajsqeneivai") e 12, 9 (hJ ga;r duvnami" ejn ajsqeneiva/ telei'-
tai). Il nesso fra 2Cor 12 e Rm 8, 26 è stabilito espressamente da CRm VII, 4 (578, 18-23),
dove Origene rileva anzitutto l’incapacità dell’uomo a pregare come si conviene a causa
della sua infirmitas: «Interdum enim, quae contraria saluti sunt, cupimus infirmitate co-
gente [...] ita et nos in huius vitae infirmitate languentes interdum a Deo petimus, quod
non expedit nos». Poi egli introduce 2Cor 12, 9 come premessa dell’esegesi di Rm 8, 26
(579, 27-30): «et ideo quia nesciebam secundum quod oportet orare, non me audivit Do-
minus, sed dixit mihi: Sufficit tibi gratia mea, nam virtus in infirmitate perficitur. Sic ergo
quid oremus, secundum quod oportet, nescimus; sed ipse spiritus interpellat». Secondo
FrLc 129 (280, 1-2), ajsqevneia indica un «peccato dell’anima», distinto dal «peccato per
la morte» (1Gv 5, 16) e dalla aJmartiva yuch'" zhmiva, con riferimento a 1Cor 3, 15. Invece
HIud VI, 6 associa l’humana fragilitas all’aiuto divino, conformemente a Rm 8, 26.
179 CRm VII, 6 (580, 51-59): «Quae autem sit infirmitas nostra, ipse Dominus docet,
cum dicit: Spiritus promptus, caro autem infirma. Igitur infirmitas nostra ex carnis infir-
64 Parte prima, Capitolo terzo
L’idea di questa «debolezza» è richiamata indirettamente anche con
l’ampia citazione da Sap 9, 13-16 (Orat I)180. L’uomo – che Origene, av-
viando il suo discorso, definisce come «la stirpe razionale e mortale» (tw'/
logikw'/ kai; qnhtw'/ gevnei) – vi compare in tutta la sua precarietà ontolo-
gica di essere limitato, mortale e corruttibile, tanto più incapace di cono-
scere le realtà celesti quando riesce a stento a penetrare le cose che gli stan-
no vicine. Spicca in particolare il motivo della pesantezza del corpo che
grava sull’anima, esemplificato dall’immagine della «tenda di argilla» (to;
gew'de" skh'no"). Ad un attento lettore di Paolo – come era l’Alessandri-
no – non poteva certo sfuggire che questo passo, più precisamente Sap 9,
15, riecheggia in 2Cor 5, 4 (kai; ga;r oiJ o[nte" ejn tw/' skhvnei stenavzomen
barouvmenoi). Peraltro, al motivo della pesantezza del corpo si aggiunge
in Paolo quello del «gemito», che si rivela determinante in Origene per
introdurre l’intercessione dello Spirito a partire da Rm 8, 26. È infatti la
condizione di sofferenza manifestata con i loro «gemiti» da «coloro che
sono nella tenda», che spinge lo Spirito ad intercedere per essi facendo-
sene carico a sua volta con «gemiti inenarrabili»181 . Abbiamo così una
saldatura fra l’orizzonte antropologico e la prospettiva del soccorso dello
Spirito – secondo i due poli dialettici che sorreggono tutto il procedere
del prologo –, ma intorno ai tre passi scritturistici appena richiamati Ori-
gene, con il suo ineguagliabile intarsio di citazioni e allusioni, ne raduna
altri per confermare in sostanza l’accento tratto da Sap 9, 15.
Se con Gal 4, 6 («lo Spirito che grida nei cuori dei beati “Abba, Pa-
dre”») egli può ancora ribadire l’azione dello Spirito che interviene a so-
stegno della debolezza dell’uomo, nel contempo sembra volere insistere,
per contrasto, sulla condizione di sofferenza dell’anima nel corpo serven-
dosi rispettivamente di Sal 43(44), 26 e Fil 3, 21: nel primo passo l’anima
ci appare «umiliata nella polvere», nel secondo è «rinchiusa in un corpo
––––––––––––––––––
mitate descendit. Ipsa est enim, quae concupiscit adversus spiritum; et dum concupiscen-
tias suas ingerit, puritatem spiritus impedit et sinceritatem orationis offuscat. Sed ubi vi-
derit spiritus Dei laborare spiritum nostrum, in adversando carni et adhaerendo sibi, por-
rigit manum et adiuvat infirmitatem eius».
180 «13Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa
vuole il Signore? 14I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni,
15perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai
molti pensieri. 16A stento ci raffiguriamo le cose terrene, scopriamo con fatica quelle a
portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo?»
181 Orat II, 3 (301, 10-19): to; de; ejn tai'" kardivai" tw'n makarivwn kra'zon ajbba oJ
path;r pneu'ma (Gal 4, 6), ejpistavmenon ejpimelw'" tou;" ejn tw'/ skhvnei stenagmouv", ajxivou"
tugcavnonta" eij" to; baru'nai tou;" peptwkovta" h] parabebhkovta", stenagmoi'" ajlalhv-
toi" uJperentugcavnei tw'/ qew'/, tou;" hJmetevrou" dia; th;n pollh;n filanqrwpivan kai; sumpav-
qeian ajnadecovmenon stenagmouv": kata; de; th;n ejn aujtw'/ sofivan oJrw'n th;n tapeinwqei'-
san eij" cou'n (Sal 43[44], 26) yuch;n hJmw'n kai; ejn tw'/ swvmati th'" tapeinwvsew" (Fil 3, 21)
kaqeirgmevnhn, ouj toi'" tucou'si stenagmoi'" crwvmenon uJperentugcavnei tw'/ qew'/ ajllav
tisin ajlalhvtoi", ejcomevnoi" tw'n ajrrhvtwn lovgwn, w|n oujk e[stin ajnqrwvpw/ lalei'n.
In ascolto del testo 65
di umiliazione». Ci si può forse spingere oltre nell’analisi di questa formu-
lazione così densa di implicazioni, coll’osservare il paradossale accosta-
mento fra i «beati» (makarivwn), nei cui cuori lo Spirito prega invocando
il Padre e i lamenti che nascono da «coloro che sono caduti o hanno tra-
sgredito» (tou;" peptwkovta" h] parabebhkovta"): è dunque assicurata per
essi la prospettiva di una trasformazione in positivo, grazie all’«amore per
l’uomo e alla compassione» (dia; th;n pollh;n filanqrwpivan kai; sumpav-
qeian) dello Spirito, ma la sorte degli uomini si presenta in partenza come
segnata dalla condizione di esseri peccatori. Come troviamo più chiara-
mente espresso nel Commento a Romani, dove Origene interpreta Rm 6,
5-7 con un corredo di luoghi scritturistici, includendovi in posizione cen-
trale i nostri due, nessun uomo è fin dalla nascita esente dal peccato182 .
Che l’immagine del corpo come «tenda», associata in special modo
ai passi paolini appena indicati, fosse particolarmente cara ad Origene è
evidente anche dal richiamo ad essa in due passi della pressoché contem-
poranea Esortazione al martirio. In EM 3 coloro che sono gravati dal
peso del «corpo di umiliazione» (Fil 3, 21) e gemono sotto di esso (2Cor
5, 4) anelano ad esserne liberati facendo proprie le parole dell’Apostolo
in Rm 7, 24: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?»183 . È
––––––––––––––––––
182 I due passi, posti entrambi significativamente in relazione alla «Sapienza divi-
na», sono accostati anche in CRm V, 9 (439, 146-157) per ben due volte di seguito: «Sic
ergo Paulus per ineffabilem Dei sapientiam, quae data est ei, arcanum nescio quid intuens
et reconditum corpus nostrum “corpus peccati” et “corpus mortis” et “corpus humilitatis”
appellat. Sed et David eodem spiritu secretorum caelestium gnarus dicebat de corpore: Et
in pulverem mortis deduxisti me (Sal 21[22], 16), et iterum: Humiliata est in pulvere ani-
ma nostra (Sal 43[44], 26). Hieremias quoque similis mysterii per Dei spiritum conscius
in Lamentationibus suis dicit, quia vincti terrae sint omnes homines corporis scilicet causa
et ait: ut humiliet sub pedibus eius omnes vinctos terrae, quia declinaverunt iudicium viri
in conspectu Altissimi et condemnaverunt hominem in iudicando (Lam 3, 34-36)». Su
questa base Origene arriva a giustificare anche la prassi ecclesiastica del battesimo degli
infanti, poiché nemmeno essi sono immuni dalle sordes peccati (440, 169-177): «Sciebant
enim illi, quibus mysteriorum secreta commissa sunt divinorum, quia essent in omnibus
genuinae sordes peccati, quae per aquam et spiritum ablui deberent, propter quas etiam
corpus ipsum corpus peccati nominatur, non [...] pro his, quae in alio corpore posita anima
deliquerit, sed pro hoc ipso, quod in corpore peccati et corpore mortis atque humilitatis
effecta sit; et sicut ille dixit, quia humiliasti in pulverem animam nostram (Sal 43[44],
26)». Anche CRm VII, 4 ripropone la connessione fra i due luoghi biblici, mentre HLc XIV,
3 (86, 1-2) distingue le sordes dai peccata, in rapporto a Gb 14, 4 («nemo mundus a sorde,
nec si unius quidem diei fuerit vita eius»), confermando su tale base la prassi del battesimo
degli infanti: ejrruvpwtai ou\n pa'sa yuch; ejndedumevnh sw'ma ajnqrwvpinon.
183 EM 3 (4, 19-5, 1): ”Olh/ de; yuch'/ nomivzw ajgapa'sqai to;n qeo;n uJpo; tw'n ajpo-
spwvntwn kai; dii>stavntwn aujth;n dia; pollh;n th;n pro;" to; koinwnh'sai tw'/ qew'/ proqumivan
ouj movnon ajpo; tou' ghi?nou swvmato" ajlla; kai; ajpo; panto;" swvmato": oi|" oujde; meta; pe-
rispasmou' kai; perielkusmou' tino" givnetai to; ajpoqevsqai «to; » «th'" tapeinwvsew~»
«sw'ma» (cfr. Fil 3, 21), o{tan kairo;" didw'/ dia; tou' nomizomevnou qanavtou ejkduvsasqai to;
sw'ma «tou' qanavtou» kai; ejpakousqh'nai ajpostolikw'" eujxavmenon kai; eijpovnta: talaiv-
66 Parte prima, Capitolo terzo
interessante notare come questa citazione sia assente in Orat e ciò appare
tanto più sorprendente, se teniamo presente che nell’Esortazione al marti-
rio Origene invita a trasformare il «gemito di coloro che sono nella tenda»
in una «preghiera», proprio sull’esempio di Rm 7, 24. Infatti, la domanda
di Paolo è intesa dall’Alessandrino come una «supplica», cui segue però
immediatamente – quasi più per distinzione logica che non per effettiva
successione temporale – il «ringraziamento» di Rm 7, 25: «Siano rese
grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!». Condizionato
dalla particolare situazione parenetica di EM, Origene tende a conferire
un accento diverso alle sofferenze dell’uomo nella carne rispetto ad Orat,
insistendo soprattutto sul trapasso ad un atteggiamento di preghiera che –
nel caso esemplare dell’Apostolo – giunge senza soluzione di continuità
dalla supplica al ringraziamento, a seguito proprio del suo «colloquio»
(oJmiliva) orante con Dio. La diversità di tono fra i due scritti è rafforzata
inoltre proprio dall’assenza di quest’ultimo termine nel discorso sulla pre-
ghiera184. Di tenore analogo è il secondo passo in EM 47: Origene avvian-
dosi a concludere esorta Ambrogio e Protocteto a non esitare a disfarsi
del corpo, questa volta descritto direttamente con l’ausilio di Sap 9, 15,
ma riproposto in un contesto che ci appare ripieno dell’anelito paolino a
morire per essere con Cristo185 .

––––––––––––––––––
pwro" ejgw; a[nqrwpo": tiv" me rJuvsetai ejk tou' swvmato" tou' qanavtou touvtou (Rm 7, 24)…
tiv" ga;r tw'n «ejn tw'/ skhvnei» (2Cor 5, 4) stenazovntwn dia; to; barei'sqai uJpo; tou' fqartou'
swvmato" oujci; kai; eujcaristhvsei provteron eijpwvn: tiv" me rJuvsetai ejk tou' swvmato" tou'
qanavtou touvtou… blevpwn o{ti dia; th'" oJmiliva" rJusqei;" ajpo; «tou' swvmato" tou' qanavtou»
aJgivw" ajnafqevgxetai tov: cavri" tw'/ qew'/ dia; Cristou' ∆Ihsou' tou' kurivou hJmw'n (Rm 7, 25).
184 Cfr. supra, nota 40. Un’analoga combinazione di Sap 9, 15 e 2Cor 5, 4 figura in
CC V , 19, allorché Origene respinge il paragone di Celso sugli uomini come «vermi»:
noei' hJ memelethkui'a th;n sofivan kata; to; stovma dikaivou melethvsei sofivan diafora;n
ejpigeivou oijkiva", ejn h|/ ejsti to; skh'no", kataluomevnh" kai; skhvnou", ejn w|/ oiJ o[nte"
divkaioi stenavzousi barouvmenoi. Si veda anche CC VII, 32, dove Origene considera il
motivo della «tenda» dell’anima nella prospettiva della dottrina della resurrezione; CIo I,
26, 177 (33, 8): oiJ o[nte" ejn tw'/ skhvnei stenavzousin. In CIo VI, 42, 217 (151, 17-18) la
«tenda d’argilla» ritorna a proposito delle «figlie degli uomini» (Gn 6, 1-2), considerate
da alcuni (cioè, Filone Alessandrino) come simbolo dei corpi unite alle «anime» (to;
ghvi>non skh'no" levgesqai uJpeilhfovte"). FrLam 10 (239, 18-22) riprende 2Cor 5, 4 inter-
pretando il lamento di Lam 1, 2 in nesso con Lc 6, 21 («Beati voi che ora piangete, perché
riderete»): oJ toivnun stenavzwn dia; to; ei\nai ejn tw/' skhvnei, w{sper oJ ajpovstolo" dedhv-
lwken eijpwvn: kai; ga;r oiJ o[nte" ejn tw/' skhvnei stenavzomen barouvmenoi, to;n ejn ejpagge-
liva/ gevlwta poqw'n kai; th;n qeivan iJlarovthta, klauqmo;n klaivei trofimwvtaton kai; wjfe-
lou'nta th;n yuchvn.
185 EM 47 (43, 8-12): tiv toivnun ojknou'men kai; distavzomen ajpoqevmenoi to; ejmpodiv-
zon «fqarto;n sw'ma», baru'non yuch;n, bri'qon «nou'n polufrovntida» «gew'de" skh'no"»,
ajpoluqh'nai tw'n desmw'n kai; ajnalu'sai ajpo; tw'n meta; sarko;" kai; ai{mato" kumavtwn…
i{na su;n Cristw'/ ∆Ihsou' th;n oijkeivan th'/ makariovthti ajnavpausin ajnapauswvmeqa.
In ascolto del testo 67
4. Nell’agone del mondo: fra libertà e responsabilità

Accanto all’idea della costitutiva «debolezza» dell’uomo e del lega-


me conflittuale con il «corpo terrestre» come fattore determinante di essa,
Origene può ancora insinuare in altri modi il pensiero di una distanza in-
colmabile con Dio che risulta inibente ai fini della preghiera. A dire il
vero, l’espressione più nitida dell’inferiorità ontologica dell’uomo, che si
rende esplicita proprio nell’atto di pregare, viene posta in bocca agli av-
versari della preghiera, quale giustificazione speciosa dell’invito a non
rivolgere suppliche a Dio: gli uomini non saprebbero infatti cosa e come
pregare, perché «sono lontani da Dio ben più di bambini in piccolissima
età dalla mente di coloro che li hanno generati» (Orat V, 2)186. Ma con ciò
Origene, pur opponendosi al paternalismo implicito nella posizione degli
avversari, non fa altro che attribuire loro una riflessione di cui egli per
primo è consapevole. Lo testimoniano non solo l’invito a domandare le
«cose grandi e celesti» (secondo il criterio regolativo della preghiera fre-
quentemente riproposto), ma specialmente l’analogo modo di esprimere
la richiesta fatta dal discepolo a Gesù in Lc 11, 1187 . Tuttavia, più che in-
sistere direttamente su tale motivo, l’Alessandrino fa riecheggiare la nota
“drammatica” del prologo nella più ampia trama del trattato soprattutto
con l’inculcare la dimensione agonica dell’esistenza umana, strettamente
connessa alla visione della sua precarietà ontologica. La prospettiva an-
tropologica trapassa allora in quella etica e soteriologica, illuminando
nuovamente da questi diversi punti di vista il paradosso e la sfida della
preghiera.
Come illustra ampiamente la spiegazione del Padrenostro, in partico-
lare nel commento alla quinta e alla sesta petizione, l’intera vita dell’uomo
è segnata agli occhi di Origene dal peso della sua responsabilità morale,
che si dispiega nella miriade di «doveri» (kaqhvkonta) di cui è intessuto il
suo “quotidiano”, e al tempo stesso dal continuo vaglio della prova a cui
egli è sottomesso per tutto il tempo dell’esistenza terrena. Quanto tali
aspetti pesino nella visione della preghiera sviluppata dall’Alessandrino
in Orat lo si può misurare anche solo in base al loro rilievo quantitativo.
––––––––––––––––––
186 Orat V, 2 (309, 10-11): ajpoleipovmeqa de; oiJ a[nqrwpoi plei'on tou' qeou' h[per
ta; komidh'/ paidiva tou' nou' tw'n gegennhkovtwn. Con il medesimo verbo CC IV, 29 (298,
18-20) designa la distanza ontologica degli uomini in rapporto agli angeli, ma essa può
essere colmata dallo sforzo virtuoso dell’uomo che lo porta ad assimilarsi ad essi: kai;
oJrw'men o{ti polu; touvtwn hJmei'" oiJ a[nqrwpoi ajpoleipovmenoi ejlpivda" e[comen ejk tou'
kalw'" biou'n kai; pavnta pravttein kata; to;n lovgon ajnabaivnein ejpi; th;n touvtwn pavntwn
ejxomoivwsin. In HIer XIX, 15 (174, 5-6) Origene assimila in generale ai «bambini» la con-
dizione degli uomini dinanzi a Dio: pavnte" ejsme;n paidiva tw/' qew/' kai; deovmeqa ajgwgh'"
paidivwn.
187 Cfr. Orat II, 4 (supra, nota 173).
68 Parte prima, Capitolo terzo
Non è certo casuale che proprio alle petizioni che mettono in luce la con-
dizione dell’uomo del mondo – dopo le tre che riguardano più da vicino il
rapporto con Dio e la sua iniziativa di salvezza – l’Alessandrino dedichi
uno spazio tanto abbondante. In tal modo, la vicenda dell’uomo si compie
nell’orizzonte di bisogni, di obblighi e responsabilità, di colpe e prove188.
Nel tracciare questo scenario teso ed impegnativo Origene, da un lato, è
incline a presentare l’uomo come «debitore» al cospetto dell’intero co-
smo più che soffermarsi a considerarlo anche come «creditore», per rie-
quilibrare in un certo senso la sua prospettiva drammatica con la reci-
procità dei doveri; dall’altro, generalizza l’esperienza della prova richia-
mando ad ampio raggio le varie modalità in cui essa può manifestarsi
come a voler sottolineare la necessità di restare sempre in allerta.
L’intensità radicale dell’agone nel quale l’uomo è chiamato a realiz-
zare la propria vocazione spirituale viene ulteriormente sottolineata dallo
sfondo cosmico entro cui questo impegno s’inserisce. Fra l’altro, Origene,
richiamandosi espressamente all’immagine paolina di 1Cor 4, 9, secondo
cui gli Apostoli «come condannati a morte [...] sono diventati spettacolo
al mondo, agli angeli e agli uomini», raffigura la preghiera come un atto
che si dispiega sulla scena di un “teatro” ben più vasto dello stesso mondo.
Infatti, anche nel chiuso della sua «cameretta» (Mt 6, 6), l’orante è consi-
derato alla stregua di un attore che deve assicurare la sua performance al
meglio di sé, pena il rischio di scontentare i propri spettatori189 . Ora, que-
sto pubblico è composto di uomini, angeli e demoni, diversamente parte-
cipi della sua sorte di salvezza, anche se sotto lo sguardo amoroso ed esi-
gente dello spettatore divino. Aggiungendo così un’ulteriore polarità alle
molte di cui è permeato il trattato, mentre esso esalta la responsabilità del-
l’individuo, con la convinta difesa del libero arbitrio di cui anche la pre-
ghiera è espressione (Orat VI -VII), al tempo stesso insiste sul suo rappor-
tarsi agli altri come un tratto inscindibile e in qualche modo vincolante.
In aggiunta a ciò, il mondo terreno, visto questa volta sotto l’ottica
della sua consistenza metafisica, tende a presentarsi in Orat come una par-
venza della vera realtà, essendo in sostanza contraddistinto dalla fram-
mentazione dei «molti» rispetto all’«uno» divino, come troviamo espres-
so, in particolar modo, nell’introduzione al commento del Padrenostro. È
in questa luce che l’Alessandrino spiega la messa in guardia evangelica
contro il moltiplicare le parole nella preghiera: per Origene non v’è realtà
––––––––––––––––––
188 Cfr. Orat XXVII-XXX. Diversamente da Bertrand, 477 – che ricollega il cap. XXVII
alla prima parte del commento origeniano sotto il titolo «La preghiera al Padre», mentre
accomuna XXVIII-XXX nel tema «La giustificazione dell’uomo» –, questi capitoli vertono
tutti sulla vita nel mondo nel segno di Dio. Si veda Perrone 2002b, in part. le pp. 282 ss.
189 Si veda rispettivamente Orat XXVIII, 3 (377, 11): ejn qeavtrw/ ejsme;n kovsmou kai;
ajggevlwn kai; ajnqrwvpwn; e XX, 2 (344, 18-19): ejn tw'/ panto;" tou' proeirhmevnou qeavtrou
kaq∆ uJperbolh;n meivzoni. In proposito, cfr. Lugaresi 2003b; Lugaresi 2008, 514-518.
In ascolto del testo 69
appartenente alla materia e ai corpi che non vada soggetta a separarsi e
dividersi, mentre il bene e la verità sono «uno» (Orat XXI, 2). Pertanto,
l’inveramento della preghiera sollecita come una reductio ad unum, che
si identifica con il pensare secondo il «concetto di Dio», sola garanzia di
autentica preghiera. Ma lo sguardo umano sembra lasciarsi attrarre so-
prattutto dai beni terreni che nella migliore delle ipotesi sono solo l’«om-
bra» dei beni celesti. Per questo motivo la prima petizione del Padreno-
stro trova la sua giustificazione nella necessità di pregare perché le nostre
nozioni su Dio, affatto deboli e imperfette, si conformino al «santo pen-
siero» su di lui (Orat XXIV , 2).

5. La costruzione del trattato: dal provblhma al lovgo"

Se Origene, dunque, ha conferito alla sua esposizione un accento in-


confondibile, tale da manifestare la preghiera come un atto ben più pro-
blematico ed esigente, se non quasi come gesto “estremo”, di quanto ap-
paia dalla sua prassi e consapevolezza diffuse, una causa non secondaria
di ciò va ricercata nelle stesse circostanze della composizione di Orat.
Come sappiamo, l’Alessandrino redasse il trattato in risposta ad una ri-
chiesta di Ambrogio che – secondo l’estratto della lettera di questi ripor-
tato in Orat V, 6 – conteneva fondamentali obiezioni destinate a togliere
qualunque legittimità alla preghiera come domanda a Dio per ottenere
benefici, in ragione della prescienza e predeterminazione divine190. Nella
costruzione complessiva la trattazione della quaestio occupa all’apparenza
solo tre capitoli (Orat V-VII ), ma è lecito interrogarsi se il suo peso non
sia da valutare come assai più rilevante e rivesta così un carattere struttu-
rale. A sostegno di ciò possiamo fare riferimento ai modi in cui l’autore
designa la propria opera e chiarisce le intenzioni che lo muovono, a volte
con indicazioni abbastanza circoscritte riguardo all’articolazione dello
scritto. Affrontiamo così la dibattuta questione della struttura di Orat, che
vede i critici disputare sul suo profilo unitario o meno, spesso approdando
alla conclusione che si tratti di un’opera eterogenea o comunque dall’im-
pianto miscellaneo.
Origene peraltro non ha mancato di segnalare al lettore il contenuto
e la struttura intenzionale di Orat, in particolare fornendo tali indicazioni
in alcuni momenti “strategici” della sua composizione: 1. al termine del
prologo (II, 6); 2. all’inizio della seconda sezione ( XVIII, 1); 3. all’inizio
della terza sezione (XXXI , 1); 4. a conclusione dell’opera (XXXIV). È in
sostanza grazie a queste precisazioni che possiamo distinguere le parti
principali, disegnando così la sua griglia essenziale, anche se essa è lungi
––––––––––––––––––
190 Si veda supra, p. 17 e le note 25-26.
70 Parte prima, Capitolo terzo
dal soddisfare gli interrogativi suscitati dall’organizzazione e dai conte-
nuti dello scritto. In ogni caso, si può partire preliminarmente da questo
dato, strutturando il trattato come segue:
– Prologo ( I-II)
– Prima sezione: il «problema della preghiera» (III- XVII)
– Seconda sezione: il commento del Padrenostro (XVIII- XXX)
– Terza sezione: supplemento al «problema della preghiera» (XXXI -XXXIII)
– Epilogo (XXXIV) 191
Ripercorrendo le “dichiarazioni programmatiche” dell’autore si nota,
in particolare, la frequenza di due termini che sembrano, sia pure a titolo
diverso, ricapitolare il contenuto di Orat e designarne il profilo letterario:
provblhma e lovgo". La precedenza di provblhma nell’elencazione è giusti-
ficata dal fatto che questo vocabolo ricorre con maggiore frequenza, es-
sendo attestato in tutti e quattro i passi di interesse strutturale. I due termi-
ni compaiono insieme a conclusione del proemio, dove peraltro Origene
sembrerebbe voler distinguere, oltre a provblhma e lovgo" della preghiera
in generale, l’illustrazione delle preghiere riportate nei vangeli (intenden-
do evidentemente le due versioni del Padrenostro, secondo Mt e Lc)192. In
tal modo s’insinua provvisoriamente l’idea di una bipartizione del trattato,
laddove la prima parte si configura tendenzialmente come un’esposizione
più o meno organica (lovgo") che si sviluppa a partire da un nucleo proble-
matico (provblhma), mentre la seconda parte si presenta come una tratta-
zione esegetica sulle «preghiere dei vangeli» (aiJ ejn toi'" eujaggelivoi"
ajnagegrammevnai [...] eujcaiv). Pertanto nel prologo lovgo" si propone, al-
meno in apparenza, come Oberbegriff rispetto a provblhma, anche a giu-
dicare dalla frequenza non accidentale del termine nel pronunciamento
conclusivo e dalla sua associazione esplicita con eujchv ripetuta per ben
due volte: rispettivamente pro; tou' lovgou [...] th'" eujch'" e tou' peri; th'"
eujch'" lovgou193.
All’inizio della seconda sezione (Orat XVIII, 1) Origene accenna re-
trospettivamente alla prima come un esame del «problema riguardo alla
preghiera» (to; peri; eujch'" provblhma), mentre annuncia la successiva
––––––––––––––––––
191 Cfr. Koetschau, LXXVIII ss.; Gessel, 35 ss.; Junod 2009.
192 Orat II, 6 (303, 17-304, 2): ejpei; toivnun thlikou'tovn ejsti to; peri; th'" eujch'"
dialabei'n, wJ" dei'sqai tou' kai; eij" tou'to fwtivzonto" patro;" kai; aujtou' tou' prwtotovkou
lovgou didavskonto" tou' te pneuvmato" ejnergou'nto" eij" to; noei'n kai; levgein ajxivw" tou'
thlikouvtou problhvmato", eujxavmeno" wJ" a[nqrwpo" (ouj gavr pou ejmautw'/ divdwmi cw-
rei'n th;n proseuch;n) tou' pneuvmato" pro; tou' lovgou tucei'n th'" eujch'" ajxiw', i{na lovgo"
plhrevstato" kai; pneumatiko;" hJmi'n dwrhqh'/, kai; aiJ ejn toi'" eujaggelivoi" ajnagegrammev-
nai safhnisqw'sin eujcaiv. ajrktevon ou\n h[dh tou' peri; th'" eujch'" lovgou.
193 La stessa espressione compare del resto già in Orat II, 1 (298, 21): peri; eujch'"
prokeimevnou hJmi'n tou' lovgou.
In ascolto del testo 71
analisi sulla «preghiera-modello del Signore» (th;n uJpografei'san uJpo; tou'
kurivou proseuch;n)194 . L’espressione adoperata per designare la prima
parte di Orat tende adesso ad assimilare in pratica il termine provblhma a
lovgo". In ogni caso si comprende che il significato del primo dei due vo-
caboli ha una portata più vasta dei tre capitoli dedicati alla quaestio sulla
preghiera ed investe la totalità dell’esposizione di carattere generale. D’al-
tro canto, la preferenza accordata d’ora in avanti a provblhma su lovgo" in-
vita a chiedersi se Origene se ne serva proprio con l’intento di sottolineare
precisamente quegli aspetti “problematici” che caratterizzano in maniera
decisiva la sua visione della preghiera.
Questa conclusione tende ad imporsi, se si guarda alle due successi-
ve precisazioni strutturali. In Orat XXXI, 1 la terza sezione è presentata
come un «complemento» della prima, indicata nuovamente da Origene
mediante l’espressione «il problema riguardo alla preghiera» (to; peri; th'"
eujch'" provblhma)195 . Ora, il contenuto della terza sezione consiste, per
esplicita ammissione dell’autore, in un breviario essenziale circa l’ars
orandi. Da questo punto di vista si riallaccia ad un passo del prologo
(Orat II, 1), ma in quel caso i contenuti concreti dell’ars orandi sembre-
rebbero, per così dire, essere oggetto di una distinzione concettuale ri-
spetto al «discorso sulla preghiera» in senso stretto, inteso alla stregua di
«problema della preghiera»196. Tuttavia, proprio questo luogo ci aiuta a
capire meglio la generalizzazione dell’uso di provblhma, dal momento che
Origene riconduce alla categoria di ajduvnaton non soltanto una trattazione
della preghiera che sia «esatta e conforme a Dio», ma pure le istruzioni
pratiche riguardo ai modi e ai tempi del pregare. Del resto, anche l’epilogo
(Orat XXXIV) attribuisce a provblhma il valore di categoria riassuntiva per
tutto ciò che concerne l’esposizione generale (to; th'" eujch'" provblhma),
con esclusione della trattazione esegetica a commento della «preghiera
nei vangeli» e dell’introduzione al Padrenostro in Mt 6 197 .
Considerando l’insieme dei passi programmatici sembra dunque im-
porsi l’idea che agli occhi di Origene il trattato si presentasse in sostanza
come un dittico composto di due parti: a) il «problema della preghiera»;
––––––––––––––––––
194 Orat XVIII, 1 (340, 6-9): ejxetavsante" to; peri; eujch'" provblhma, h[dh kai; ejpi;
to;n eJxh'" a\qlon ejleusovmeqa, th;n uJpografei'san uJpo; tou' kurivou proseuch;n, o{sh" du-
navmew" peplhvrwtai, qewrh'sai boulovmenoi.
195 Orat XXXI, 1 (395, 13-14): Dokei' dev moi meta; tau'ta oujk a[topon ei\nai uJpe;r
tou' plhrwqh'nai to; peri; th'" eujch'" provblhma.
196 Cfr. Orat II , 1 (298, 23-299, 3): e}n tw'n ajdunavtwn o{son ejpi; th'/ ajsqeneiva/ hJmw'n
peivqomai tugcavnein tranw'sai to;n peri; th'" eujch'" ajkribw'" kai; qeoprepw'" pavnta lov-
gon kai; to;n peri; tou' tivna trovpon eu[cesqai dei', kai; tivna ejpi; th'" eujch'" levgein pro;"
qeo;n, kai; poi'oi kairoi; poivwn kairw'n pro;" th;n eujchvn eijsin ejpithdeiovteroi.
197 Orat XXXIV (403, 1-3): Tau'ta kata; duvnamin ejmh;n eij" to; th'" eujch'" prov-
blhma kai; eij" th;n ejn toi'" eujaggelivoi" eujch;n tav te pro; aujth'" para; tw'/ Matqaivw/
eijrhmevna hJmi'n dihvqlhtai.
72 Parte prima, Capitolo terzo
b) il commento di Mt 6 e Lc 11. In ogni caso, la seconda era di fatto inqua-
drata, al dire dell’autore, in una trattazione in due tempi dedicata precisa-
mente al «problema della preghiera», rispettivamente da un punto di vista
«teorico» ed uno «pratico». Sembra insomma inevitabile dedurne, come
si è già messo in risalto, la preoccupazione di sottolineare la dimensione
«problematica» rispetto al vocabolo alternativo e, in un certo senso, più
onnicomprensivo e neutrale, di lovgo". La preferenza accordata dall’Ales-
sandrino a provblhma può risultare ancora più significativa, se teniamo
presente che nei Frammenti su Luca egli designa l’insegnamento rispetti-
vo di Matteo e Luca sulla preghiera precisamente con il termine lovgo"198.
In questo testo è evidente la preoccupazione di estrapolare dal Vangelo di
Luca, in positivo, una «dottrina» (didaskaliva) sulla preghiera e di mo-
strare la sua conformità con quella consegnata in Mt 6, 5-13199. Ora, la
trattazione matteana è presentata come il «discorso sulla preghiera» (to;n
peri; th'" proseuch'" lovgon) che segue a quello delle Beatitudini200 . Diver-
samente dal primo vangelo, dove tale insegnamento è impartito alla folla
dei presenti, in Lc 11 è diretto ai discepoli, ai quali dunque Gesù stesso
chiarisce anche in questo caso il «discorso sulla preghiera» (to;n th'" eujch'"
lovgon) 201 . La distinzione terminologica non è dunque priva di interesse,
ma concorre a sostenere da parte sua quella caratterizzazione del trattato
che abbiamo ricavato in precedenza da una pluralità di altri indizi202.

––––––––––––––––––
198 Cfr. FrLc 174 (300, 18.22) su Lc 11, 2: to;n peri; th'" proseuch'" lovgon [...] to;n
th'" eujch'" lovgon.
199 Si veda l’introduzione al commento di Lc 11, 1 in FrLc 172 (299, 1-6): Ei\ta
i{na deivxh/ e[ti aujto;n protrevpein ejpi; th;n peri; th'" eujch'" didaskalivan, toiauvthn prosfev-
rei ajxivwsin, o{ti kai; ∆Iwavnnh", peri; ou| hJma'" ejdivdaxa", o{ti meivzwn ejn gennhtoi'" gunai-
kw'n aujtou' oujdeiv" ejstin (Lc 7, 28), th'" peri; th;n eujch;n oujk hjmevlei didaskaliva": kai;
o{ti: to; pw'" proseuvxasqai, kaqo; dei', oujk oi[damen (Rm 8, 26): kai; o{ti: ejneteivlw hJmi'n
aijtei'n ta; megavla kai; ta; aijwvnia: povqen ou\n hJmi'n ejstin eijdevnai tau'ta h] ajpo; sou' tou'
qeou' kai; swth'ro" hJmw'n…
200 FrLc 174 (300, 15-18): ei\ta Matqai'o" me;n ejpifevrei tw'/: pavter hJmw'n tov: ej n
toi'" oujranoi'", a{te peri; basileiva" dialegovmeno" oujranw'n kai; pavnta" tou;" parovnta"
didavskein dihgouvmeno" to;n swth'ra meta; tou;" makarismou;" kai; to;n peri; th'" proseu-
ch'" lovgon.
201 FrLc 174 (300, 18-22): Louka'" de; peri; basileiva" didavskwn qeou' ejn o{lw/ tw'/
kat∆ aujto;n eujaggelivw/ ejsiwvphse to; ejn toi'" oujranoi'", wJ" uJyhlovteron kai; tovpou krei't-
ton to; qei'on ei\nai didavskwn kai; ijdiva/ toi'" maqhtai'" wJ" uJyhlotevroi" tw'n loipw'n to;n
Cristo;n uJfhgouvmenon to;n th'" eujch'" lovgon.
202 Per un approfondimento di tale aspetto rimando al mio contributo in Perrone
1994b. La conclusione Gessel, 59, secondo cui «die Überschrift des Werkes muß also
gelautet haben: oJ peri; (th'") eujch'" lovgo"» non tiene conto di questi elementi che richie-
dono un giudizio più sfumato. Pur con qualche semplificazione, si può invece convenire
con Löhr 1999, 90, per il quale la discussione del «problema della preghiera» sta al centro
di Orat, in risposta alle due domande su «che» e «come» pregare: «die Widerlegung der
christlichen Gebetsgegner ist für Origenes kein bloß preliminärer oder nebensächlicher
In ascolto del testo 73
Pur contraddistinto in maniera strutturale dalla sua natura di prov-
blhma, Orat suscita tra gli studiosi l’impressione di essere una composi-
zione disordinata ed eterogena. Nonostante le grandi articolazioni indicate
dall’autore, e ammesse in generale dalla critica, il trattato risulterebbe
privo di unità203 . Origene si sarebbe lasciato guidare dal proposito di una
panoramica ad ampio raggio, inseguendo un po’ confusamente diverse
tematiche, ma di fatto senza riuscire ad imprimere al proprio discorso una
configurazione unitaria204 . Giudizi come questi richiamano alla mente
analoghe valutazioni critiche sulle manchevolezze della composizione in
taluni autori e scritti della tarda antichità (l’esempio maggiore in questo
senso è notoriamente Agostino). Nel caso di Origene, forse si è tenuto
poco conto, in via preliminare, delle condizioni di produzione della sua
opera, che sappiamo essere stata caratterizzata da una fecondità creativa
senza eguali. Inoltre, solo negli ultimi anni si è dato il giusto riconosci-
mento all’impatto dell’ambiente scolastico al cui interno Origene operava
non solo come maestro a contatto con i discepoli, ma anche come auto-
re 205 . In questa cornice, pur tenendo in debito conto la singolarità di Orat
accertata in precedenza, una valutazione contestuale può aiutarci a co-
gliere meglio sia la consapevolezza “autoriale” sia l’esito effettivo delle
intenzioni letterarie dichiarate. Se l’impronta della “scuola” non pare av-
vertirsi direttamente in questo testo, la sua stesura è stata accompagnata
dalla redazione di un grande commentario come il Commento a Giovanni
e seguita, probabilmente a ruota, da uno scritto breve come l’Esortazione
al martirio. Nel caso del capolavoro esegetico di Origene, un’analisi at-
tenta al profilo letterario, pur nella varietà di circostanze e modalità di
composizione, fa risaltare il proposito di una costruzione il più possibile
organica, preoccupazione tanto più significativa dato il genere del com-
mentario esegetico atto invece di per sé a determinare un’inevitabile fram-
mentazione del discorso, anche in relazione allo Sitz im Leben scolasti-
co206. Quanto all’Esortazione al martirio, è evidente la difficoltà di discer-
nere una qualche strutturazione del testo: Origene sembrerebbe procedere
per associazione di idee, o prima ancora per dossiers successivi di cita-
––––––––––––––––––
Gedankengang, sondern sie wird von ihm so vorgenommen, daß sie ins Zentrum seiner
Gebetslehre führt, die auf eben diese beiden Hauptfragen zentriert ist».
203 È sintomatico il giudizio di Méhat 1986b, 2255, secondo cui Orat «est assez
confus et manque d’unité. Il porte la marque d’une époque de transition: antérieur à la
fixation des dogmes comme à l’essor de la grande liturgie d’un coté, du monachisme de
l’autre, il a été presque effacé de la mémoire par la postérité».
204 Per Junod, 86-87, l’autore si rivela incapace di trovare un “filo di Arianna” con
cui legare fra loro i diversi temi, specialmente nella prima parte. Quanto a Gessel, 44, Orat
sembra consistere di due, se non tre saggi distinti, riuniti in un’unica opera.
205 Questo aspetto, segnalato a più riprese da M. Simonetti, è stato approfondito in
particolare da Bendinelli.
206 Ho argomentato questa tesi in Perrone 2005b.
74 Parte prima, Capitolo terzo
zioni bibliche. I tentativi di estrapolare un piano dell’opera si arrestano
praticamente al prologo ed all’epilogo come entità più chiaramente circo-
scrivibili sul piano formale, mentre l’articolazione del corpo di EM appare
assai labile. Si è tentati di concludere che ci troviamo di fronte a una serie
di “variazioni sul tema”, probabilmente scritte di getto e in ogni caso senza
un piano prestabilito.
Ben diverso è dunque l’impegno che riscontriamo in Orat sotto il
profilo formale e letterario, già a partire dal piano della lingua e dello
stile207. Verosimilmente neppure qui è da escludere che la configurazione
finale risenta dell’occasionalità, determinando un assemblaggio di temi e
prospettive variegate, frutto, per così dire, dalla messa a punto in corso
d’opera. Forse Origene è partito originariamente dal provblhma “commis-
sionatogli” per inquadrarlo successivamente in un lovgo" e sfociare in tal
modo in un’esposizione “in positivo” sulla preghiera. Considerando che
per lui la piattaforma dell’argomentazione non può mai prescindere dalla
Scrittura, questo lovgo" doveva come tale integrare la «dottrina» sulla pre-
ghiera attraverso il confronto esegetico con le testimonianze evangeliche
sul Padrenostro e gli insegnamenti connessi ad esso. Sembra insomma
lecito supporre che Origene, nel rispondere ad Ambrogio, abbia voluto
estrapolare le diverse implicazioni dello spunto iniziale offrendo peraltro
la risposta che appare più consona al suo profilo caratterizzante di inter-
prete della Scrittura, cioè con uno specifico apporto esegetico sul tema.
Fornendo al lettore delle indicazioni compositive negli snodi principali
della trattazione, ed esplicitando così l’agenda tematica prescelta, l’autore
ha voluto aiutarlo a ricuperare un profilo unitario dell’opera. Da questo
punto di vista, le dichiarazioni programmatiche non possono essere igno-
rate o scardinate, come ha fatto Bertrand, in vista di ricavare una diversa
organizzazione tematica che rifletterebbe meglio la dinamica del pensiero
di Origene208. Senza disarticolare la ripartizione indicata espressamente
dall’autore, è infatti possibile mettere in luce l’ispirazione unitaria del
trattato anche attraverso altri indizi. Se la prima sezione (Orat III- XVII)
soffre a prima di vista di una certa eterogeneità, anche qui Origene sembra
prefigurare un’esposizione strutturata metodicamente: non a caso avvia il
discorso preliminarmente (prw'ton) da un’analisi del vocabolario della pre-
ghiera nella Bibbia209 , alla luce dei due termini principali euchv e proseu-
––––––––––––––––––
207 Come rilevato attentamente da Gessel, 44.
208 Lo schema alternativo del trattato è così ricostruito da Bertrand, 477: I-II : prolo-
go; III-XXI: utilità della preghiera; XXII-XXVII: la preghiera al Padre; XXVIII-XXX: la giusti-
ficazione dell’uomo; XXXI-XXXIII : il ruolo del corpo; XXXIV: congedo.
209 Più che dall’inizio di Orat III, 1 (304, 3-4: Prw'ton dh; to; o[noma th'" eujch'" o{son
ejpi; parathrhvsei th'/ ejmh'/ euJrivskw keivmenon), il prw'ton dell’indagine sulla semantica bi-
blica della preghiera è dichiarato da IV, 1 (307, 4-5: Oujk a[logon dhv moi ejfavnh to; kata;
ta;" grafa;" shmainovmenon prw'ton diasteivlasqai).
In ascolto del testo 75
chv (Orat III- IV), per introdurre successivamente (meta; tau'ta) la quaestio
sulla preghiera (Orat V-VII )210, marcando peraltro più indistintamente il
passaggio alla parte residua della prima sezione (Orat VIII- XVII)211.
Ciò però invita a pensare che Origene la consideri alla stregua di un
ampio e variegato “corollario” del motivo emerso in positivo dalla confu-
tazione delle obiezioni sulla preghiera: la necessità di rivolgere preghiere
a Dio, in quanto estrinsecazione fondamentale del rapporto di libertà che
l’uomo intrattiene con Lui. Relativamente poi al legame fra la prima e la
seconda sezione (Orat XVIII- XXX), anche qui si può forse rintracciare un
legame non meramente esterno, sia pure di natura dialettica. Una volta
giustificata la legittimità dell’atto del pregare e dimostrate le sue condizio-
ni di possibilità ed i suoi vantaggi – il che è appunto il tema della prima
sezione –, l’esegesi delle pericopi evangeliche di Mt e Lc nella seconda
ha lo scopo di sviscerare il significato del Padrenostro come paradigma
normativo della preghiera e per ciò stesso come manifesto di una vita spi-
rituale. Si istituirebbe in tal modo fra le due sezioni una correlazione
analoga a quella che osserviamo nel «Trattato di ermeneutica biblica», ri-
spettivamente fra Prin IV, 1 (dimostrazione del carattere ispirato della
Scrittura) e IV , 2-3 (attuazione di un procedimento ermeneutico conforme
alla natura ispirata del testo sacro)212 . Quanto poi alla terza sezione (XXXI-
XXXIII), benché a prima vista sia più difficile recuperare un filo unitario
(e del resto Origene parla espressamente di un «complemento» alla prima),
si potrebbe comunque invocare uno schema “consequenziale” dettato dal
riferimento esemplare a Rm 8, 26. Se Origene, nell’introduzione program-
matica del prologo, estrapola dal passo paolino la duplice difficoltà del
pregare, in ordine rispettivamente sia alle «parole» (lovgoi = o} dei') che
all’«atteggiamento» (katavstasi" = kaqo; dei'), la sua risposta quanto allo
o} dei' si dà nell’esegesi del Padrenostro e per il kaqo; dei' si completa nel
supplemento finale, quantunque alcuni aspetti cruciali relativi alle disposi-
zioni interiori siano, a dire il vero, già anticipati nella prima sezione213.
Infine, si dovrebbe ancora discutere la questione dell’unitarietà dello
scritto in rapporto alle finalità espresse dall’autore. Globalmente è lecito
––––––––––––––––––
210 Orat V, 1 (308, 3-5): Eij crh; toivnun meta; tau'ta, w{sper ejkeleuvsate, ejkqevsqai
ta; piqana; prw'ton tw'n oijomevnwn mhde;n ajpo; tw'n eujcw'n ajnuvesqai kai; dia; tou'to fa-
skovntwn perisso;n ei\nai to; eu[cesqai.
211 Cfr. Orat VIII, 1 (316, 20-22): “Eti de; oujk a[logon kai; toiouvtw/ tini; paradeivg-
mati crhvsasqai pro;" to; protrevyasqai ejpi; to; eu[xasqai kai; ajpotrevyasqai tou' ajme-
lei'n th'" eujch'".
212 Per un approfondimento su questo punto di vista, cfr. Perrone.
213 Ad esempio, cfr. i numerosi riferimenti al trovpo" della preghiera in Orat VIII, 2
(317, 5-6): wjfevleian de; ejggivnesqai tw'/ o}n dei' trovpon eujcomevnw/ h] ejpi; tou'to kata; to;
dunato;n ejpeigomevnw/ pollacw'" hJgou'mai sumbaivnein; XIII, 2 (326, 12-13): tou;" dia; tou'
o}n dei' trovpon proseuvxasqai; XVI, 1 (336, 6-7): mhde; peri; tou' trovpou th'" eujch'" scizov-
menoi.
76 Parte prima, Capitolo terzo
definirle, per comodità, come intenzioni di natura “protrettica” (anche sen-
za voler risolvere con ciò la questione del genere letterario), anche perché
è Origene stesso a servirsi in più occasioni di tale terminologia. In uno
dei passi più espliciti al riguardo egli mostra come la trattazione che sta
sviluppando in merito all’utilità della preghiera sia sorretta dall’obiettivo
di «esortare a pregare e dissuadere dal trascurare di pregare»214 . Ma tale
obiettivo può, ai suoi occhi, essere realizzato pienamente solo se la prassi
orante si dà nel rispetto del modello della «preghiera spirituale» da lui
tracciato lungo tutto lo scritto. Motivo conduttore al riguardo è l’agra-
phon già ricordato, che invita a «domandare le cose grandi e celesti»215.
Rivolgendosi direttamente ai futuri lettori Origene considera il suo com-
pito come “dissuasivo” da una prassi di preghiera “in tono minore” in vi-
sta di pervenire ad un traguardo spirituale più alto: la «vita spirituale» in
Cristo216 . In questo passo le due dimensioni dello scritto – per semplifi-
cazione, quella “critica” e quella “propositiva” – vengono chiaramente
indicate e intrecciate fra di loro (ajpotrevponti [...] kai; parakalou'nti) a
testimonianza dell’ispirazione di fondo del trattato che si può ben riepilo-
gare nei termini di un «invito alla vita perfetta«217 . Sempre nel solco dello
stesso agraphon, questa duplice intenzione è richiamata in via riepiloga-
tiva a conclusione della prima sezione, con l’esortazione, ripetuta enfatica-
mente due volte, a «pregare», cioè a «pregare per le cose che sono in via
––––––––––––––––––
214 È significativo che Origene lo dichiari in Orat VIII, 1 (316, 21-22), cioè nel tra-
passo dalla quaestio sulla preghiera alla parte restante della prima sezione: pro;" to; pro-
trevyasqai ejpi; to; eu[xasqai kai; ajpotrevyasqai tou' ajmelei'n th'" eujch'". Si veda l’ana-
loga formulazione in Fr1Cor 39 (156) su 1Cor 7, 25-28a: ou{tw" ou\n kai; ejnqavde ajpev-
treye me;n tou' luvein to;n gavmon, protrevpetai de; pavlin kaqareuvein.
215 Cfr. supra, nota 169.
216 Orat XIII, 4 (328, 3-7): tau'ta dev moi ajnagkaiovtata meta; to;n katavlogon tw'n
wjfelhqevntwn dia; proseuch'" eijrh'sqai nomivzw, ajpotrevponti th;n pneumatikh;n kai; th;n
ejn Cristw'/ zwh;n poqou'nta" ajpo; tou' peri; tw'n mikrw'n kai; ejpigeivwn eu[cesqai kai; pa-
rakalou'nti ejpi; ta; mustika;, w|n tuvpoi h\san ta; proeirhmevna moi, tou;" ejntucovnta" th'/de
th'/ grafh'/. Si noti l’espressione «vita spirituale»: il termine zwhv è molto frequente, ma
solo qui è caratterizzato dall’aggettivo pneumatikov", che assume grande rilievo nel lin-
guaggio di Orat, e dal legame con Cristo. In EM 11 (11, 15-18) la «vita in Dio» e in co-
munione con il Cristo rappresenta l’orizzonte del cristiano che è pronto a testimoniare la
propria fede nella rinuncia totale alle cose del mondo: o{la tau'ta ajpostrafevnte" o{loi
genoivmeqa tou' qeou' kai; th'" met∆ aujtou' kai; par∆ aujtw'/ zwh'" wJ" koinwnhvsonte" tw'/ mo-
nogenei' aujtou' kai; toi'" metovcoi" aujtou'. In CIo zwhv riveste un’importanza essenziale fra
le ejpivnoiai di Cristo, ma non è attestato il nesso con pneumatikov".
217 Secondo la formula proposta da Monaci Castagno 1997. Del resto, il carattere
integrale della «pietà» richiamato dall’autrice per la prospettiva di EM vale anche per
Orat, senza operare una riduzione “intellettualistica” del pregare, come vorrebbe Bertrand
1999, che focalizza la sua attenzione sul ruolo del nou'". Come vediamo da CC II, 51 (nota
1441), Origene arriva addirittura a riconoscere un ruolo del sw'ma nell’atto del pregare,
coinvolto anch’esso nel dinamismo spirituale che conduce yuchv e pneu'ma alla comunione
con Dio. Cfr. anche Volp, 498-501.
In ascolto del testo 77
eminente e veritiera grandi e celesti»218. È anche il preludio opportuno per
la sezione che seguirà, dove l’alternativa fra il pregare per i «beni celesti»
o i «beni terreni» sarà illustrata nuovamente alla luce del Padrenostro, mo-
dello per eccellenza della preghiera dei cristiani219 . Ancora una volta, dun-
que, pur nella ricchezza di motivi sviluppata da Origene, non mancano gli
spunti per ricuperare la sostanziale caratterizzazione unitaria del trattato,
sia pure nella dialettica attuantesi fra le sue diverse parti.

––––––––––––––––––
218 Orat XVII, 2 (339, 28-340, 2): eujktevon toivnun, eujktevon peri; tw'n prohgou-
mevnw" kai; ajlhqw'" megavlwn kai; ejpouranivwn, kai; ta; peri; tw'n ejpakolouqousw'n skiw'n
toi'" prohgoumevnoi" qew'/ ejpitreptevon, tw'/ ejpistamevnw/ w|n creivan dia; to; ejpivkhron sw'ma
e[comen pro; tou' hJma'" aijth'sai aujtovn (Mt 6, 8). Si noti, da un lato, la riappropriazione del
versetto matteano da parte di Origene, laddove esso in V, 2 fondava la critica degli avver-
sari della preghiera; dall’altro, l’integrazione della visione antropologica sulla precarietà
ontologica dell’uomo (to; ejpivkhron sw'ma), con l’utilizzo dello stesso aggettivo adottato
in apertura per enfatizzarla (cfr. Orat I, supra, nota 152).
219 Presupposto per una «preghiera spirituale» è, come vedremo analizzando in se-
guito il commento del Padrenostro, la trasformazione in senso spirituale delle nozioni su
Dio (cfr. Orat XXIII , 1-2).
CAPITOLO QUARTO

LA CRITICA DELLA PREGHIERA


Quaestio e solutio

«Non importuno Iddio con le mie piccole preoc-


cupazioni, i particolari non mi affannano, ho gli
occhi fissi soltanto sul mio amore, la cui fiamma
virginale io serbo pura e luminosa; la fede è sicu-
ra che Iddio si prende cura delle minime cose»
(Søren Kierkegaard)*

1. Le aporie filosofiche: esperienza orante e riflessione critica

Il discorso di Origene sulla preghiera è cresciuto attorno ad un nu-


cleo originario – le aporie sottoposte da Ambrogio al proprio protetto ed
amico –, senza mai perdere interamente quel connotato “problematico”
del suo particolare avvio (come ho cercato di dimostrare nel capitolo pre-
cedente). La formulazione rigorosamente speculativa delle aporie, sorret-
ta dalla stringenza logica dell’argomentazione sillogistica, farebbe pensa-
re, in prima istanza, ad un retroterra filosofico quale loro presumibile Sitz
im Leben.
Le obiezioni vertono su due temi strettamente collegati fra loro, ma
distinti in due enunciati successivi che riguardano rispettivamente: 1. la
prescienza di Dio; 2. la sua predeterminazione. Secondo la prima aporia,
se Dio conosce in anticipo il futuro ed esso deve attuarsi, la preghiera è
vana. La seconda giunge alla medesima conclusione partendo dalla pre-
messa che tutto avviene secondo la volontà di Dio, ragion per cui – es-
sendo i suoi voleri fermi ed immutabili – anche sotto questo punto di vi-
sta la preghiera non può che risultare inutile220 . In entrambi i casi, dun-
que, la critica della preghiera muove dall’assunto che l’azione di Dio, sia
in quanto egli preconosce sia in quanto predetermina l’ordine delle cose,
––––––––––––––––––
* «Jeg besværer ikke Gud med mine Smaa-Sorger, det Enkelte bekymrer mig ikke,
jeg stirrer kun paa min Kjœrlighed, og holder dens jomfruelige Flamme reen og klar; Troen
er overbevist om, at Gud bekymrer sig om det Mindste» (S. Kierkegaard, Frygt og Bœven,
in Samlede Vœrker, III, Kjøbenhavn 1901, p. 85).
220 Orat V , 6 (311, 8-13: keivsqw de; ejn toi'" parou'sin aujtai'" levxesin a{per dia;
tw'n prov" me grammavtwn e[taxa", ou{tw" e[conta: «prw'ton: eij prognwvsth" ejsti;n oJ qeo;"
tw'n mellovntwn, kai; dei' aujta; givnesqai, mataiva hJ proseuchv. deuvteron: eij pavnta kata;
bouvlhsin qeou' givnetai, kai; ajrarovta aujtou' ejsti ta; bouleuvmata, kai; oujde;n traph'nai
w|n bouvletai duvnatai, mataiva hJ proseuchv».
80 Parte prima, Capitolo quarto
sopprima la necessità di domandargli ciò che sa in anticipo o che ha già
prestabilito.
L’una e l’altra aporia sembrano compendiare interrogativi radicali
sulla preghiera che possiamo considerare come ricorrenti nella storia del
pensiero. In parte li ha riproposti di recente, fra gli altri, il grande esegeta
e teologo riformato Oscar Cullmann (1902-1999). Nel suo ultimo libro La
preghiera nel Nuovo Testamento (1994) – che, come dichiara il sottotitolo,
vorrebbe essere «un tentativo di rispondere alle questioni odierne» sulla
base dei dati neotestamentari – riassume anch’egli le obiezioni alla preghie-
ra in due ordini di problemi: 1. a che scopo pregare, se le preghiere non
vengono esaudite?; 2. perché pregare, se Dio conosce tutto in anticipo?221
Andando a ritroso nel tempo, prima di analizzare le critiche antiche,
si potrebbe ancora ricordare come la filosofia moderna, in particolare con
il Kant de La religione nei limiti della semplice ragione, si sia spesso
espressa in termini critici nei confronti della preghiera di domanda atti-
rando nella sua scia anche la riflessione teologica222. È in tale prospettiva,
ad esempio, che il teologo liberale Albrecht Ritschl (1822-1889) guarda
al Padrenostro non più come preghiera di domanda, bensì unicamente di
lode e ringraziamento. A sua volta Gerhard Ebeling (1912-2001), uno dei
più noti teologi contemporanei, denunciando la «crisi della preghiera» ai
nostri giorni, ha osservato come il fenomeno della preghiera sia stato
tradizionalmente uno dei «territori di caccia» più ricchi per la critica della
religione, laddove la debolezza intellettuale che accompagna la prassi del
pregare costituirebbe un fattore essenziale per tale crisi 223 . Non meno de-
terminante è però il sospetto, non nuovo ma avvertito con particolare ur-
genza dalla modernità, che la preghiera sia un alibi per astenersi dall’azio-
ne e dalla conseguente assunzione di responsabilità personale.
A discapito di tali riserve ed interrogativi, anche il pensiero filosofico
in un modo o nell’altro è costretto a prendere atto di un fatto ineludibile:
nessun’altra esperienza religiosa può pretendere al pari della preghiera di
collocarsi al centro stesso del rapporto dell’uomo con Dio, mettendo così
a nudo la sua situazione fondamentale di creatura bisognosa di aiuto224.
Nonostante la grande varietà di forme con cui gli uomini hanno sperimen-
tato ed espresso il loro legame con il sacro, solo la preghiera ha costituito
storicamente, in connessione o meno con il sacrificio, l’elemento fonda-
––––––––––––––––––
221 Cullmann, 8-23.
222 Heiler ricorda fin dalla prefazione alla prima edizione l’antitesi kantiana fra pre-
ghiera ed etica: «Derjenige, welcher schon Fortschritte im Guten gemacht hat, hört auf zu
beten» (p. VII).
223 Cfr. Ebeling.
224 La preghiera «è una situazione in cui» l’uomo «si incontra con la sua situazione
fondamentale. Soltanto così egli entra veramente nella propria situazione – il pregare
mette spesso in luce dove e come propriamente ci si trovi» (tr. it. Ebeling, 37).
La critica della preghiera 81
mentale o – come si esprime Friedrich Heiler nella sua classica opera Das
Gebet (1918) – il «focolaio» stesso dell’esperienza religiosa 225 . Nell’ot-
tica dell’uomo antico Omero dà voce all’imprescindibilità della preghiera
per il mondo greco, allorché afferma che «gli uomini han tutti bisogno
dei numi»226.
Ora, le riserve di natura filosofica espresse nell’antichità riguardo
alla preghiera, intesa specialmente come richiesta di aiuto alla divinità,
preludono certo alle obiezioni moderne; ma al pari di queste, esse affian-
cano criticamente un fenomeno che non ne risulta scalfito in maniera so-
stanziale. Anche in considerazione di ciò il pensiero antico, eccezion fatta
per alcune posizioni radicali di rifiuto, si sforza in generale di elaborare
piuttosto un proprio ideale di preghiera concepito come paradigma nor-
mativo 227 . Se l’esperienza orante in ambito ellenico è sorretta originaria-
mente dalla consapevolezza che l’aiuto degli dèi può modificare il destino
dell’uomo e garantirne la salvezza, quantunque all’apparenza con un’in-
cidenza non estendibile a tutte le sfere di vita228, in seguito con il diffon-
––––––––––––––––––
225 «Religiöse Menschen und Religionsforscher, Theologen aller Konfessionen und
Richtungen stimmen in dem Gedanken überein, daß das Gebet das zentrale Phänomen der
Religion, der Feuerherd aller Frömmigkeit sei» (Heiler, 1). La sua definizione è stata ri-
presa da Severus, 1135, che segnala però il mutevole impatto della preghiera in relazione
ai diversi contesti storico-religiosi: «Mit der Entwicklung kosmologischer, politischer und
sozialer Ordnungssysteme und der ihnen entsprechenden Riten und sakralrechtlichen
Normen kann das Gebet in der Verflechtung religiöser Erscheinungen stärker hervortreten
und immer mehr zum “zentralen Phänomen der Religion, dem Feuerherd aller Frömmig-
keit” werden oder aber zurücktreten [...] ohne jedoch jemals völlig zu verschwinden». Se
nella religione greca la preghiera è associata tendenzialmente al sacrificio, nella tradizione
biblica il nesso preghiera-sacrificio sembra essersi determinato secondariamente rispetto
alla Torah (Jonquière, 36; 45: «The practice of praying during the sacrifice was still un-
known at the time of the final redaction of Torah, but by beginning of the second century
BCE it appears to have become a regular part of the rite»; cfr. anche Pulleyn, 7-8).
226 Pavnte" de; qew'n catevous∆ a[nqrwpoi (Od. III, 48), citato in Greeven-Herrmann,
1218 e commentato da Chapot-Laurot, 57-58. Severus, 1140 mostra come con Omero
emergano ormai precise esigenze di carattere etico per l’orante, senza che ci si accontenti
più dei soli requisiti rituali: «den Betenden darf nicht nur kein Verbrechen und keine Blut-
schuld belasten, sondern er muß darüber hinaus in Gehorsam zur Gottheit stehen».
227 La critica alla prassi di preghiera tradizionale si manifesta già con Senofane ed
Eraclito (cfr. Severus, 1145-1147; Des Places). Si veda, ad esempio, Eraclito, fr. 5 (Diels-
Kranz): kai; toi'" ajgavlmasi de; toutevoisin eu[contai, oJkoi'on ei[ ti" dovmoisi lhschneuv-
oito, ou[ ti ginwvskwn qeou;" oujd∆ h[rwa" oi{tinev" eijsi.
228 Per ricostruire l’immagine della preghiera nel periodo delle origini bisogna ri-
farsi a Omero, testimone delle «prime preghiere formulate con una certa compiutezza»
(Greeven-Herrmann, 1218). Pur senza escludere il loro uso come mezzo stilistico, «esse
danno tuttavia un quadro vivido del significato, dei motivi, del contenuto della preghiera»
(1218-1219). Gli eroi omerici, consapevoli di «dipendere totalmente dagli dèi» (1219), si
rivolgono ad essi alla stregua di «principi possenti». L’oggetto della preghiera riguarda in
genere «un intervento benigno che liberi da una data difficoltà», quasi sempre nell’ambito
del successo bellico e della sorte degli uomini (ibidem). È raro invece che s’invochi l’azio-
82 Parte prima, Capitolo quarto
dersi dell’idea sempre più pervasiva di un «fato» onniavvolgente (eiJmar-
mevnh), lo spazio per la preghiera come domanda di soccorso divino ten-
derà a farsi più problematico229 . Con l’epoca classica assistiamo ad un
“perfezionamento” in senso spirituale della preghiera, che porta a far emer-
gere maggiormente come suo contenuto appropriato la richiesta di beni
morali e spirituali230 . Insieme al ritegno nell’assillare gli dèi con le proprie
domande si manifesta a tratti un senso di fiducioso abbandono al volere
imperscrutabile della divinità231 . È soprattutto nella riflessione filosofica
che questa “spiritualizzazione” della preghiera giunge al culmine – come
vediamo specialmente dalla preghiera conclusiva del Fedro in Platone232 –,
––––––––––––––––––
ne della divinità sul cuore umano. Dal tipo di benefici richiesti nelle preghiere dagli eroi
omerici si comprende come vi siano ancora ambiti della vita sottratti all’azione degli dèi.
Cfr. inoltre Des Places 1967.
229 Greeven-Herrmann, 1220: «Quanto più, procedendo nella storia, la vita intera
veniva sottoposta sempre più integralmente al concetto di Fato, l’eiJmarmevnh soppianta in
modo sempre più deciso gli dèi dell’Olimpo che si compiacciono di sacrifici».
230 Greeven-Herrmann, 1222-1223: «Nella Medea di Euripide il coro definisce la
swfrosuvnh come il dono più bello degli dèi, e le donne pregano di essere preservate dalla
penosa passione della gelosia [Eur., Med. 635 ss.]. L’intercessione delle Danaidi per l’o-
spite Argo non concerne soltanto pace e ricchezza, ma anche onorabilità e timor di Dio,
che figurano fra i doni invocati dagli dèi [Aesch., Suppl. 625 ss.]. Sussiste, naturalmente,
pure la preghiera che invoca vendetta, ma si tratta sempre di vendetta meritata, giusta. [...]
Un’intima familiarità con la divinità spira da queste parole di Ippolito: soi; kai; xuvneimi
kai; lovgoi" ajmeivbomai,/ kluvwn me;n aujdhvn, o[mma dæ oujc oJrw`n to; sovn “vivo e converso con
te, e, se anche non scorgo il tuo volto, percepisco la tua voce” [Eur., Hipp. 85-86]». Su
questi testi si veda anche Chapot-Laurot, 103-106, 125-130.
231 L’esempio più calzante è indicato da Greeven nella chiusa delle Supplici di
Eschilo: «i cori, che si alternano rispondendosi, contrappongono all’imperscrutabilità del
volere degli dèi l’invito: mevtrion nu`n e[po" eu[cou – tivna kairovn me didavskei"… – ta; qew`n
mhde;n ajgavzein – “Preghiera tu innalzi di sensi modesti –, Quale norma di questa misura
m’insegni? – Non indagare profondo entro il volere dei Numi” (tr. Untersteiner). In que-
sta fiduciosa umiltà la preghiera trova la sua forma più congeniale; anche nei rapporti fra
l’uomo e la divinità la compiuta perfezione è metrivw" eu[cein [cfr. Plat., Phaedr. 279c:
ejmoi; me;n ga;r metrivw" hu\ktai]» (Greeven-Herrmann, 1223-1224).
232 Phaedr. 279b-c (cfr. Gaiser e Chapot-Laurot, 163-165). Al termine del dialogo
Socrate chiede a Pan e agli dèi del luogo di ricevere la sapienza, il vero bene che dà la
felicità. Clemente Alessandrino (Strom. V, 14, 97, 2-5) collega alla preghiera del Fedro
passi del Protagora e della Repubblica, in cui «la sapienza o virtù dell’anima» è definita
«come vera bellezza» (Gaiser, 36). La preghiera di Socrate è un riconoscimento del-
l’inadeguatezza umana: «Già il fatto che Socrate, alla fine, prega gli dèi, indica che il filo-
sofo non crede di poter raggiungere da se medesimo, in maniera autonoma, la verità, ma
che è consapevole di dipendere dalla benevolenza di forze che stanno più in alto di lui»
(Gaiser, 59). Jackson 1971, 30 sottolinea l’articolazione delle domande e con esse lo sta-
tuto paradigmatico del buon modo di pregare: «The prayer divides into a petition concern-
ing the inner man, for beauty, and three petitions concerning the outer man, first in rela-
tion to his inward self, for harmony, second in relation to other persons, for veneration of
the wise, and third in relation to possessions, for temperance. The speeches earlier in the
dialogue are meant to illustrate good speaking. We may infer that the prayer to Pan illus-
La critica della preghiera 83
benché una tendenza del genere rischi di creare alla lunga una certa di-
scrasia con il vissuto religioso, che continua a sperimentare una diversa
immediatezza nel rapporto con i Numi, rispetto all’ideale filosofico di pre-
ghiera233. Insieme all’impulso paradigmatico verso una preghiera impe-
gnata a richiedere benefici d’ordine spirituale si fa strada un orientamento
più rigidamente normativo della prassi orante come vediamo dall’atteg-
giamento che la tradizione attribuisce a Pitagora: questi, essendo consa-
pevole della difficoltà dell’uomo a domandare ciò che è il vero bene agli
occhi della divinità, avrebbe sconsigliato di pregare per se stessi e racco-
mandato di chiedere genericamente solo «le cose buone»234 .
In età ellenistica, con la messa in discussione degli dèi tradizionali e
l’affermarsi di una religiosità più personale ispirata dalle religioni miste-
riche, anche la preghiera conosce nuove espressioni, ma il pensiero filo-
sofico tende sempre più a prendere le distanze dalle forme del vissuto
orante. Se già Aristotele nel suo perduto scritto Peri; eujch'" aveva messo
in discussione l’utilità della preghiera di domanda indirizzata ad un Dio
che è pensato come «motore immobile» 235 , la critica si fa più acuta prima
––––––––––––––––––
trates good praying, in form as well as content». Per Dorival 2000, 92, Socrate attesta la
persistenza della preghiera di domanda, sia pure trasformata in senso spirituale.
233 Tale è almeno l’opinione di Greeven: «Naturalmente in questo modo la preghie-
ra perde gradualmente la sua immediatezza, vivacità e freschezza; si va svuotando, fino
ad annullarsi» (Greeven-Herrmann, 1225). Nonostante la loro componente di letterarietà,
ciò non sembra essere ancora il caso delle preghiere di Platone, a giudicare da quanto os-
serva Jackson 1971, 36: «for him the primary motive of prayer is not gratitude, awe, or
praise, but need. Platonic prayers do not, however, express need in the language of struggle
and uncertainty as, for example, do the prayers of Jeremiah». Tuttavia, secondo Chapot-
Laurot, 17, «chez Platon, la moralisation ira de pair avec l’intellectualisation». Fra i nu-
merosi luoghi platonici dedicati alla preghiera, Severus, 1147 segnala, in particolare, Leg.
IV, 716d. Des Places, 254, oltre a Leg. X 887d-e, menziona Epinom. 986c5–d4 come te-
stimonianza «dans les dernières œuvres surtout, pour une élévation du cœur vers Dieu,
une adoration, une contemplation intime». Cfr. anche Motte.
234 Secondo Diogene Laerzio (Vit. VIII, 9), Pitagora avrebbe proibito di pregare
per sé, perché non sappiamo ciò che ci è utile (oujk eja/` eu[cesqai uJpe;r auJtw`n dia; to; mh;
eijdevnai to; sumfevron), mentre per Diodoro Siculo (Bibl. X, 9, 8) avrebbe raccomandato di
«pregare semplicemente per buone cose» (aJplw'" eu[cesqai tajgaqav), ciò peraltro di cui
solo i «saggi» (frovnimoi) sono capaci. Greeven, proseguendo nella sua valutazione critica
dell’ideale filosofico della preghiera (affine peraltro alle riserve manifestate da Heiler),
accusa anche Pitagora di promuovere una versione fredda e astratta della prassi orante:
«Frequente è il consiglio di pregare per il bene; al tempo stesso si nota che l’esaudimento
di questa richiesta implica il non-esaudimento di altri, stolti desideri. Pitagora avrebbe ap-
punto indicato come compito dei savi il pregare per il bene, in favore degli stolti che non
lo conoscono. In tal modo siamo già passati dalla preghiera viva alla fredda sfera della
meditazione filosofica sulla preghiera; ma ci troviamo pure nella sfera della skepsis, che
da Senofane in poi non è più mancata» (Greeven-Herrmann, 1225-1226).
235 Fr. 49 Rose (cfr. Laurenti, II , 696-740). Severus, 1148-1149 osserva in propo-
sito: «Das einzige Fragment seiner verlorenen Schrift “Über das Gebet” [...] belehrt uns,
dass Gott reiner nous (Geist) oder sogar epekeina ti tou nou (etwas, was sogar noch jen-
84 Parte prima, Capitolo quarto
con i Cirenaici (del cui rigetto della preghiera ci ha conservato il ricordo
Clemente Alessandrino)236 e poi in linea di principio con lo stoicismo, sia
per la visione fatalistica di questa scuola filosofica sia per la stessa enfasi
posta ciononostante sull’agire morale con l’obiettivo di assecondare la
provvidenzialità del fato stesso237 . Per Seneca, ad esempio, neppure la for-
ma superiore di preghiera rivolta ad ottenere beni etici e spirituali sembra
più avere ragion d’essere, ma essa rimanda piuttosto alla responsabilità
dell’individuo e, quale sua radice, all’azione provvidenziale del Logos
divino nell’ordine collettivo come in quello personale238. Tuttavia, questo
modello filosofico neanche per Seneca riesce ad assorbire interamente la
preghiera tradizionale, né egli può ignorare le forme diffuse di culto, come
del resto anche Platone aveva fatto a suo tempo 239 . Egli anzi si sforza di
elaborare una visione in cui, pur senza mettere in discussione la nozione
––––––––––––––––––
seits des Geistes ist) sei. Damit vermittelt nur die reine noetische Tätigkeit des Menschen,
jedoch kein irgendwie geartetes Handeln und auch kein Bitten oder Fordern den Zugang
zum Göttlichen». Per Rist, 202 «Aristotle’s God, as described in the Metaphysics, is un-
concerned with mortals altogether – he affects the world solely as a final cause, as the
object of desire, and there would certainly be no point in praying to him!».
236 Strom. VII, 7, 41, 2 (infra, nota 263); Aristippo, fr. 132 (Giannantoni, 235):
kaqovlou to; eu[cesqai ta; ajgaqa; kai; ajpaitei'n ti para; tou' qeou' e[fh geloi'on ei\nai: ouj
ga;r tou;" ijatrou;" o{tan a[rrwsto" aijth/' ti brwto;n h] potovn, tovte didovnai, ajll∆ o{tan aujtoi'"
dokhvsh/ sumfevrein. Cfr. Pépin; Dorival 2000, 89.
237 Greeven ricorda che «l’impossibilità di ottenere qualcosa con la preghiera viene
formalmente provata da Seneca nel de nat. qu. II , 35 ss. Non si può insomma parlare più
di preghiera vera e propria, poiché il suo solo contenuto diventa l’ “abbandono al Fato”»
(Greeven-Herrmann, 1228). A riprova di ciò cita il verso di Cleante, ripreso da Epitteto:
a[gou dev m∆, w\ Zeu`, kai; suv g∆ hJ Peprwmevnh, o{poi poq∆ uJmi`n eijmi diatetagmevno",
«conducimi, o Zeus, e tu anche, o Destino, là dov’è il fine che m’avete assegnato» – dove
Zeus equivale al Fato.
238 Greeven-Herrmann, 1227: «Poiché l’idea di Dio resta, in ultima analisi, imper-
sonale, anche la preghiera è priva di tratti personali, che presuppongano un essere perso-
nale al quale si rivolga colui che prega. Salta agli occhi che allo stoico è impossibile una
vera e propria supplica. [...]. Che una preghiera di questo genere non sia più una vera sup-
plica, traspare da una frase di Seneca, il quale afferma che è da stolto chiedere in pre-
ghiera rettitudine di sentimenti, se la si può raggiungere da soli; che bisogno c’è di levare
le mani al cielo, accostarsi alle immagini degli dèi? “Dio ti è vicino, è accanto a te, è in
te!” [Sen. E p. 41, 1]». Rifacendosi allo stesso passo senecano Stritzky, 72-73 nota:
«Daher ist es auch nicht notwendig, der Gottheit Tempel aus Stein zu errichten, denn
schließlich ist die von den Göttern durchwaltete Welt ein Tempel, dessen wahre Götter-
bilder, Weisheit und Erkenntnis, sie dem Geist schauen läßt».
239 Se da un lato l’uomo attivando il Logos – l’elemento divino presente in sé – può
giungere alla beatitudine, dall’altro Seneca non nega del tutto il diritto delle forme tradi-
zionali di culto, ma le fa proprie in forma più spiritualizzata: «Der cultus deorum äußert
sich, wie Seneca zusammenfassend sagt, im Glauben an die Götter, der in dem Wissen um
ihre durch Güte bestimmte Lenkung der Welt und des Menschen besteht» (Stritzky, 74).
La seconda forma del culto a Dio consiste nella imitatio Dei, dottrina sviluppata origina-
riamente da Platone e ripresa da Seneca attraverso Posidonio.
La critica della preghiera 85
di «fato», ci sia comunque ancora spazio per una preghiera di richiesta,
anche se in un ambito di contingenza limitato e previsto come tale dal
destino provvidenziale240 .
D’altronde, quanto la stessa tradizione stoica fosse suscettibile di dare
luogo ad un’esperienza autentica di preghiera possiamo vederlo dall’atteg-
giamento religioso di Epitteto, improntato – si direbbe – ad una spiritualità
«eucaristica»: agendo nella profonda convinzione di una provvidenzialità
che investe sia il cosmo che l’individuo, egli si preoccupa soprattutto di
lodare e ringraziare la divinità per i beni della vita e in special modo per
il dono della ragione241 . In questa prospettiva l’orante si dispone fonda-
mentalmente alla resa incondizionata al volere divino242 . A sua volta, l’im-
peratore-filosofo Marco Aurelio (121-180), discepolo di Epitteto, si rial-
laccia al proprio maestro, riconoscendo lo spazio per una preghiera di
richiesta espressa in forma semplice e immediata, anche se non mancano
spunti di segno diverso tendenti piuttosto a configurare la preghiera alla
stregua di una meditazione interiore243.
––––––––––––––––––
240 Secondo Stritzky, 76, mentre in Nat. quaest. II, 35, Seneca si attiene al concetto
più rigoristico di eiJmarmevnh, in II, 38 si sforza di riconoscere il diritto d’esistenza alla
preghiera di domanda: «Die Lösung dieses Problems ergibt sich aus der stoischen Philo-
sophie, die heimarmenê (Kausalnexus) und pronoia als zwei Wirkweisen der Gottheit be-
trachtet, die einander nicht ausschließen. So kann Seneca behaupten, daß die Götter eini-
ges in der Schwebe gelassen haben, das nur auf die Gebete der Menschen hin eintritt».
241 Stritzky, 79: «Mit der Eindringlichkeit, mit der er zum ständigen Gebet als der
gebührenden Antwort des Menschen auf die in allen Dingen spürbare Güte Gottes auffor-
dert, will er deutlich machen, daß der Mensch erst zum Menschen wird, d.h. seiner Natur
als geistbegabtem Wesen gerecht wird, wenn er erkennt, daß er sich nicht selbst, sondern
der Gottheit verdankt. Aus dieser Erkenntnis erwächst die Verehrung Gottes, die zum
Menschen ebenso gehören sollte, wie der jeweils der Nachtigall oder dem Schwan eigene
Gesang, der ihr Wesensmerkmal darstellt». L’autrice ricorda inoltre che Epitteto è con-
vinto fautore del culto tradizionale e della preghiera, purché accompagnati da genuine di-
sposizioni di spirito; in caso contrario, questi gesti ed atti rischiano la profanazione. Il suo
atteggiamento è conforme alla spiritualità apollinea di Delfi, secondo la quale «derjenige,
der sich dem Gott naht, seiner würdig sein muß, d.h. daß der Mensch in seinem Innern
ethisch wie intellektuell dem Gott ähnlich werden muß, so daß auf dieser Ebene eine sug-
gevneia zwischen Gott und Mensch herrscht. So kann nur der sittlich Gute ohne Wider-
spruch zu sich selbst den Kult der Götter ausüben» (p. 78).
242 Heiler, 206 vede Epitteto come l’esponente più eccelso dell’ideale filosofico di
preghiera: «Das Anheimstellen aller Einzelwuensche an Gott leitet zu jener Form des phi-
losophischen Gebets über, die in der Stoa ihre höchste Vollendung erreichte: zur Ausspra-
che der vollen Wunschlosigkeit und Gelassenheit, der restlosen Ergebung in die Hände
des Schicksals».
243 Si veda I ricordi V , 7: «“Piovi, piovi, amico Zeus, sui campi e sui prati degli
Ateniesi”. O non bisogna pregare affatto, o solamente così: con semplicità e franchezza».
Ma da un altro passo (IX, 40) si vede che respinge una richiesta del genere, mentre apprez-
za la «richiesta di progresso interiore, come la sola che si addica al savio» (Greeven-Herr-
mann, 1229). Per Stritzky, 80, «dabei gerät er in Konflikt mit dem stoischen Schuldogma,
nach dem der Mensch seinen sittlichen Fortschritt seiner eigenen Leistung verdankt. So
86 Parte prima, Capitolo quarto
Le riserve che il pensiero filosofico greco era andato esprimendo
verso le forme tradizionali della preghiera e, alla radice, verso l’idea stessa
di una domanda rivolta alla divinità, specialmente nella prospettiva, da un
lato, della scuola peripatetica (e, con diverso accento, di quella epicurea),
dall’altro della tradizione stoica, trovano una sintesi nel retore-filosofo
medioplatonico Massimo di Tiro (ca. 125-185 d.C.), autore di un’orazio-
ne dall’eloquente titolo Eij dei' eu[cesqai244 . La storia del re Mida – che
prima prega perché la terra si trasformi in oro e poi si pente di averlo fatto,
chiedendo aiuto agli dèi in senso contrario – è assunta da Massimo come
parabola iniziale dell’inutilità della preghiera, riproponendo dapprima
l’argomento tradizionale dell’incapacità dell’uomo a domandare i veri
beni. Infatti, quelli per i quali Mida prega sono «frutti del caso»; non rap-
presentano cioè i beni autentici, quei beni di cui Dio soltanto fa dono al-
l’uomo245 . Il fatto di pregare poi rinvia ad una nozione errata della divini-
tà, dato che essa non cambia idea né si pente, analogamente al modo in cui
si comporta il saggio nelle alterne vicissitudini della vita. Massimo espone
quindi un sofisma (non troppo remoto dal linguaggio delle aporie trasmes-
se da Ambrogio ad Origene) per cui o colui che prega è degno di ricevere,
e allora riceverà comunque, anche se non prega; oppure non è degno, e
allora è inutile che si sforzi di pregare246. Così Dio non darà a chi prega,
se l’esaudimento della richiesta contrasta con il requisito della dignità, ma
neppure eviterà di dare a chi non prega, se egli è degno di ottenere.
Dopo queste precisazioni preliminari Massimo argomenta più in ge-
nerale la sua critica alla preghiera di domanda. Tutto ciò per cui l’uomo
prega rientra nell’ambito di alcuni fattori essenziali che influenzano la vita
degli uomini: a) la provvidenza (provnoia); b) il destino (eiJmarmevnh); c) la
sorte (tuvch); d) l’arte (tevcnh). Per ciascuno di questi ambiti è possibile
dimostrare come sia inutile pregare. Infatti, relativamente al primo fatto-
––––––––––––––––––
gibt Marc Aurel seiner Überzeugung Ausdruck, daß das Gebet selbst bei den Dingen sinn-
voll ist, die in unserer Macht stehen. Einwänden gegen diese Meinung begegnet er mit
dem Hinweis, die Mithilfe der Götter werde dann sichtbar, wenn der Mensch anfange, da-
rum zu beten». A proposito di IX , 40, Des Places, 240 parla di un “ideale di libertà”: «il ne
s’agit pas de solliciter tel bien ou la délivrance de tel mal, mais l’état d’âme qui nous ren-
dra indépendant de ces besoins; les dieux ne demandent qu’à nous aider (IX 40, 5); seule-
ment, il faut nous rendre dignes de leur secours (XII 14, 3)». Dorival 2000, 95 sostiene che
l’aporia stoica di libertà e destino può essere riconciliata, se il saggio fa proprio il punto di
vista degli dèi.
244 Massimo di Tiro, Diss. 5 (Eij dei` eu[cesqai), ed. Trapp, 37-45. Cfr. Van der
Horst 1996 e Förster 2007, 286-291.
245 Massimo di Tiro, Diss. 5, 1 (38, 23-24): oujde;n ga;r tw`n mh; kalw`n divdwsin
qeov", ajll∆ e[stin tau`ta dwrea; tuvch".
246 Massimo di Tiro, Diss. 5, 3 (39, 60-40, 2): kai; ga;r h[toi oJ eujcovmeno" a[xio" tu-
cei`n w\vn hu[xato, h] oujk a[xio": eij me;n ou\n a[xio", teuvxetai kai; mh; eujxavmeno": eij de; oujk
a[xio", ouj teuvxetai, oujde; eujxavmeno".
La critica della preghiera 87
re, ciò vale sia che la provvidenza si limiti all’ordine generale del cosmo
sia anche quando si estende fino all’individuo. Nel caso di una provvi-
denza generale, per analogia con il rapporto fra il corpo e le membra, le
sofferenze dei singoli non vanno a scapito del bene del tutto e Dio, a so-
miglianza di un medico, si preoccupa in questa evenienza del benessere
del tutto sacrificando all’occorrenza il membro malato. Quando invece la
provvidenza si interessa del singolo, a fortiori Dio-medico provvederà lui
stesso il farmaco di cui l’uomo ha bisogno senza che questi glielo richie-
da247. Ancor più assurdo è pregare per ciò che è di dominio del destino:
non si può pensare di convincere un tiranno248. Stesso discorso va fatto
per quanto riguarda la tuvch: è impossibile dialogare con un «despota scioc-
co», essendo la sorte del tutto imprevedibile. Infine, non si prega per ciò
che concerne la tevcnh, poiché chi ne è dotato non ne ha bisogno e chi non
ce l’ha deve procurarsela da sé. In conclusione Massimo respinge un’obie-
zione derivante dalla preghiera dei filosofi (Socrate, Pitagora, Platone):
non si trattava per loro di una richiesta di qualcosa che mancava, bensì di
un «colloquio e dialogo con gli dèi» riguardo a beni presenti e una «dimo-
strazione di virtù»249 .
––––––––––––––––––
247 Stritzky, 86 nota che la visione della provvidenza in Massimo fonde elementi
platonici (dal Timeo e dalle Leggi) con quelli stoici, che tuttavia sembrano prevalere, come
lascia intendere lo stesso paragone del medico che amputa l’arto avendo in vista il bene di
tutto il corpo, già presente in Seneca e in Epitteto: «Aus der eklektischen Argumentation
resultiert für Maximos, daß Vorsehung und Gebet einander ausschließende Gegensätze
sind. Da er aber an der Vorsehung als wesentlicher Wirkweise Gottes festhält, muß er das
Gebet ablehnen».
248 Massimo di Tiro, Diss. V , 5 (41, 113-42, 114): turanniko;n de; hJ eiJmarmevnh,
kai; ajdevspoton, kai; ajmetavstrepton. È evidente l’affinità con la visuale stoica di Seneca,
Nat. quaest. II, 35: «Fata aliter ius suum peragunt nec ulla commoventur prece. Non mi-
sericordia flecti, non gratia sciunt». Cfr. Van der Horst 1996, 332.
249 Massimo di Tiro, Diss. V, 8 (44, 188–45, 190): ajlla; su; me;n hJgei` th;n tou` filo-
sovfou eujch;n ai[thsin ei\nai tw`n ouj parovntwn, ejgw; de; oJmilivan kai; diavlekton pro;" tou;"
qeou;" peri; tw`n parovntwn kai; ejpivdeixin th`" ajreth`". Stritzky, 88 commenta: «Das Gebet
des Sokrates erfleht keine äußeren Güter [...], sondern erbittet von den Göttern das, was
der Mensch mit ihrer Zustimmung durch sich selbst erlangen kann, Werte wie Tugend,
ein untadeliges Leben und einen Tod ohne Hoffnungslosigkeit. Diese Werte sind wirklich
als Geschenke der Götter zu betrachten». A giudizio di Van der Horst 1996, 336, la defi-
nizione di Massimo, ispirata da Platone, Symp. 203a3, «has striking parallels in the writ-
ings of his Christian contemporary, Clement of Alexandria, who has a number of similar
or almost identical definitions of prayer in the 7th book of his Stromateis. [...] There are
also some strong agreements with Origen’s treatise» (egli si basa qui sulla pista suggerita
da Daniélou). Per Förster 2007, 290-291 l’elemento decisivo, che differenzia Massimo
dalla prospettiva cristiana della preghiera di domanda è l’idea per cui Dio è immutabile,
laddove ad esempio in Luca è proposto come Padre: «Ein solches Gottesbild schließt es
daher sogar ausdrücklich als Grundbestimmung des göttlichen Wesens ein, daß Gott sich
zum Wohl der Menschen umstimmen läßt. Der Mensch soll ihn sogar eindringlich und
unnachgiebig bitten, wie es die Witwe tut» (p. 291, con riferimento a Lc 18, 1-8). Per
88 Parte prima, Capitolo quarto
L’esito negativo del discorso di Massimo sulla preghiera sembrerebbe
suggerire di individuare proprio in questo ambiente platonico, ma con
forti elementi stoicheggianti, il retroterra filosofico più prossimo delle
aporie dibattute da Origene. Del resto, anche guardando al seguito di
questa stessa tradizione, con il neoplatonismo, non è difficile avvertire
alcune consonanze con le posizioni degli avversari della preghiera com-
battuti dall’Alessandrino250. È interessante, ad esempio, riscontrare che il
suo contemporaneo Plotino esautora la preghiera quale richiesta assimi-
landola in certo senso alla magia, mentre nega la collaborazione degli
astri alle preghiere degli uomini – tema sul quale Origene, come risulterà
fra breve, è invece molto sensibile. Al contrario dell’Alessandrino, che
esalta il libero arbitrio degli astri a servizio del piano provvidenziale di
Dio, per Plotino i corpi celesti non partecipano di memoria e percezione;
pertanto, ciò che può apparire come un esaudimento delle richieste degli
uomini ad opera di essi, è piuttosto frutto di quella simpatia cosmica che
si dà nell’azione di una parte su un’altra251 . Più ampia è l’attestazione del
tema in Porfirio, con il quale riscontriamo nuovamente punti di confronto
meritevoli d’attenzione. Nella Lettera ad Anebo il filosofo di Tiro intro-
duce una serie di obiezioni in merito alla possibilità che gli dèi ascoltino
le preghiere degli uomini, con un approccio critico che non può non richia-
mare l’argomentazione aporetica di Orat252 . Ampie riserve verso le sup-
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Dorival 2000, la posizione di Massimo resta ambigua: egli finisce per seguire l’esempio
di Socrate «qui demandait aux dieux des biens spirituels» (p. 96).
250 Si veda Des Places e specialmente Bendinelli 1997. Cfr. anche Löhr 1999, 91 ss.
251 Plotino, Enn. IV, 4, 30; IV, 4, 41. Questi capitoli, secondo Rist, 207, «strengthen
the impression that prayer is on the same level as magic». Cfr. anche Förster 2007, 292-
293: «Das Gebet wurzelt folglich in dem Wissen um die Sympathiegesetze der Natur und
wirkt nicht etwa durch die Gnade Gottes, sondern durch die magischen Manipulationen
der Menschen». Anche per Severus, 1152 la posizione di Plotino si distacca dagli altri
esponenti della sua stessa scuola: «Plotin versteht dagegen das Gebet als Vorbereitung für
die philosophische Reflexion auf das Wesen Gottes (5, 1, 6) und betont, daß es den Welt-
lauf nicht ändern kann». Hadot 1997a, 35 ha parlato di una «prière naturelle» in Plotino,
utilizzando un’espressione di Malebranche per designare la “conversione dell’attenzione”
nel pensatore neoplatonico. Anche sotto questo profilo risalta la diversità dalla prospettiva
origeniana messa in luce da Crouzel 1992, 112. Non manca però in Plotino – analogamente
a quel che vediamo in Origene – l’invocazione a Dio preliminare alla trattazione di una
questione; cfr. Enn. V , 1, 6, 9-10: »Wde ou\n legevsqw qeo;n aujto;n ejpikalesamevnoi" ouj
lovgw/ gegwnw/', ajlla; th/' yuch/' ejkteivnasin eJautou;" eij" eujch;n pro;" ejkei'non, eu[cesqai
tou'ton to;n trovpon dunamevnou" movnou" pro;" movnon. Al riguardo Penati Bernardini, 175
osserva che questo «è forse l’unico indizio di una concezione spirituale della preghiera in
Plotino»; ma Rist, 212 sottolinea la continuità con la preghiera comune: «The higher
prayer, like the lower, is a recognition by man of what the universe is like. The One is
always turned towards us; in the highest act of prayer we turn again towards him».
252 Ep. ad Aneb. 1.2c.3 (4, 11-5, 3): eij de; oiJ me;n ajpaqei`~, oiJ de; ejmpaqei`~ [...], mav-
taiai aiJ qew`n klhvsei~ e[sontai, prosklhvsei~ aujtw`n ejpaggellovmenai kai; mhvnido~ ejxi-
lavsei~ kai; ejkquvsei~, kai; e[ti ma`llon aiJ legovmenai ajnavgkai qew`n. ajkhvlhton ga;r kai;
La critica della preghiera 89
pliche alle divinità come verso i sacrifici compaiono poi nella Lettera a
Marcella, qualora non siano accompagnati dalla consapevolezza filosofica
che contraddistingue il saggio: solo questi è in grado di pregare autentica-
mente, secondo il modello riconducibile all’ideale pitagorico della pre-
ghiera253. Come aveva indicato Platone, solo la preghiera «accompagnata
da buone azioni» è accetta a Dio254 . Anche un frammento del Commento
al Timeo introduce spunti di natura diversa, distinguendo tra i filosofi
dell’antichità le posizioni di coloro che hanno respinto la preghiera da
quelle di quanti l’hanno accolta. La caratterizzazione dei critici della
preghiera – gli “atei” tout court, i negatori della provvidenza, i sostenitori
del fato – lascia di nuovo intravedere significativi contatti con le tesi com-
battute da Origene. Collocandosi nel secondo gruppo, Porfirio accoglie da
un lato la nozione di provvidenza, dall’altro annette alla preghiera il valore
di un apporto positivo in vista di acquisire la virtù255 .
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ajbivaston kai; ajkatanavgkaston to; ajpaqev~, «Ma se alcuni [degli dèi] sono impassibili, al-
tri passibili [...] vane saranno le preghiere agli dèi, le invocazioni rivolte ad essi, le propi-
ziazioni della loro ira e i riti espiatori e vieppiù [vane saranno] le cosiddette necessità degli
dèi. Infatti, inflessibile, inviolabile e non soggetto ad alcuna violenza [è] l’impassibile».
253 L’influsso della tradizione pitagorica, non senza echi di Massimo di Tiro, è av-
vertibile in Ep. ad Marc. 12 (58, 16-60, 5): «eujktevon qew/` ta; a[xia qeou`». kai; «aijtwvmeqa,
a} mh; lavboimen a]n par∆ eJtevrou»: kai; «w\n hJgemovne~ oiJ met∆ ajreth`~ povnoi, tau`ta eujcwv-
meqa genevsqai meta; tou;~ povnou~»: «eujch; ga;r rJa/quvmou mavtaio~ lovgo~». «a} de; kthsav-
meno" ouj kaqevxei~, mh; aijtou` para; qeou`: dw`ron ga;r qeou` pa`n ajnafaivreton: w{ste ouj
dwvsei, o} mh; kaqevxei~». «w\n dh; tou` swvmato~ ajpallagei`sa ouj dehqhvsh/, ejkeivnwn kata-
frovnei: kai; w\n a]n ajpallagei`sa devh/ eij" tau`ta su; ajskoumevnh to;n qeo;n parakavlei ge-
nevsqai sullhvptora». ou[koun «dehvsh/ oujdenov~, w\n kai; hJ tuvch dou`sa pollavki~ pavlin
ajfairei`tai». Si veda anche il cap. 16 (64, 14): «a[nqrwpo~ de; ajmaqh;~ kai; eujcovmeno~ kai;
quvwn miaivnei to; qei`on. movno~ ou\n iJereu;~ oJ sofov~, movno~ qeofilhv~, movno~ eijdw;~ eu[xa-
sqai». Per l’analisi di questi ed altri passi (ad esempio 19 e 21) cfr. Sodano (Porfirio. Van-
gelo di un pagano), in part. p. 97, nota 62. In relazione specialmente alla pratica dei sacri-
fici, «la concezione della preghiera, come mezzo per piegare la volontà dell’eterno, mostra
[...] tutta la sua assurdità, in quanto rappresenterebbe un atto di ingiustizia» (Bendinelli
1997, 29-30). Per Des Places, 269 la lettera propone «l’idéal moral d’une âme étroitement
unie à la divinité».
254 Ep. ad Marc. 24 (74, 2-4): eujch; hJ me;n meta; fauvlwn e[rgwn ajkavqarto~ kai; dia;
tou`to ajprovsdekto~ uJpo; qeou`: hJ de; meta; kalw`n e[rgwn kaqarav te oJmou` kai; eujprovsde-
kto~. Jackson 1971, 26 commentando la seconda preghiera del Fedro (257a-b), ricorda
che Platone (nella Repubblica e nelle Leggi) non accoglie la domanda di perdono, dal mo-
mento che la preghiera è ammessa solo per coloro che sono buoni.
255 Bendinelli 1997, 40: «Al secondo gruppo appartengono coloro che “affermano
l’esistenza degli dèi e che questi sono provvidenti e che tra gli eventi che si producono ve
ne è un gran numero di contingenti” (CTim 208, 3-5). Da parte di costoro è riconosciuta la
sua validità, soprattutto in vista del riordinamento morale (aj n orqou' n) dell’esistenza
umana. In questo senso essa viene quindi intesa in stretta connessione con la crescita mo-
rale e conviene massimamente [...] all’uomo virtuoso». Secondo Löhr 1999, 95, «anders
als für Origenes ist für Porphyrios das Problem der Providenz Gottes nicht das systemati-
sche Zentrum; hier begnügt er sich mit der Minimallösung, die besagt, daß die Providenz
90 Parte prima, Capitolo quarto
Se in Porfirio permangono così elementi di contraddizione, nei suc-
cessivi autori neoplatonici come Giamblico e Proclo il problema filoso-
fico della preghiera troverà una soluzione più coerentemente convinta,
anche perché la prassi orante è adesso caratterizzata dalla sua dimensione
teurgica, teorizzata in particolar modo da Giamblico nel De Mysteriis256.
Quanto a Proclo, la preghiera dà attuazione alla virtù della pietà religiosa
nei confronti degli dèi e concorre al ritorno dell’anima a Dio, le cui tappe
successive scandiscono un articolato itinerario di avvicinamento. Siamo,
da questo punto di vista, ormai lontani da Origene che – come si è intra-
visto precedentemente – non ha elaborato una dottrina dei gradi della
preghiera 257 .

2. Gli echi cristiani del dibattito filosofico e gli avversari di Origene

La parabola storica dei rapporti tra pensiero filosofico e preghiera,


per quanto descritta succintamente, ci aiuta a comprendere meglio i ter-
mini della problematica discussa da Origene in Orat V -VII. Si deve però
aggiungere subito che, stando anche all’esplicita testimonianza dell’Ales-
sandrino, essa li rispecchia solo in parte. Ai motivi di critica formulati
dalla filosofia antica vanno aggiunti gli sviluppi in atto nella riflessione
cristiana, ai quali Origene accenna di proposito, sia pure genericamente,
nel preambolo introduttivo alla trattazione della quaestio (Orat V , 1). Pri-
ma di esaminare le sue affermazioni può essere utile ricuperare le tracce
del dibattito in corso presso pensatori cristiani di varia estrazione dottri-
nale. Non è un caso che il «problema della preghiera» si annunci per la
prima volta nella storia del pensiero cristiano con l’apologista Giustino.
Sebbene il passo compaia nel Dialogo con Trifone, uno scritto destinato
––––––––––––––––––
Gottes zulassen muß, daß die Dinge in der Welt auch anders sein könnten, wenn das Gebet
nicht sinnlos sein soll». Invece Förster 2007, 293-294 ignora le polarità del pensiero
porfiriano sulla preghiera, mentre dà risalto alla giustificazione della domanda sulla falsa-
riga del rapporto tra figli e genitori.
256 Riallacciandosi alla Lettera ad Anebo di Porfirio, Giamblico vi riprende siste-
maticamente le aporie sulla preghiera all’interno di uno scritto che appartiene al genere
delle quaestiones et responsiones. Alla domanda su come sia possibile che la divinità
ascolti le richieste dell’uomo Giamblico risponde che «la preghiera non si configura [...]
come dialogo di una persona nei confronti di un’altra, bensì come colloquio che si compie
all’interno del divino» (Bendinelli 1997, 43). In questo caso si tratta in primis della pre-
ghiera del filosofo che per syngeneia partecipa in sé della divinità.
257 Per Des Places, 272, la dottrina procliana sulla preghiera si ricollega diretta-
mente a Platone. Ancor più di Porfirio egli conserva uno spazio per la preghiera di do-
manda, restando in tal modo fedele allo spirito delle Leggi: «L’origine divine de toutes
choses, la sympathie universelle [...], la procession et conversion ou retour à Dieu, voilà
le fondement théologique de la prière, “ouvrière de persuasion divine, qui unit ceux qui
prient à ceux qu’ils prient”». Cfr. anche Dorival 2000, 97.
La critica della preghiera 91
al confronto polemico con il giudaismo, il celebre esordio di questa stessa
opera ci introduce la figura dell’autore nella prospettiva tipica della ricerca
filosofica. È attraverso il confronto con le diverse scuole di pensiero che
Giustino, dopo l’ultimo stadio provvisorio rappresentato dall’adesione al
platonismo, approderà infine al cristianesimo. Parte di questo confronto
intellettuale con le varie tradizioni filosofiche è anche la disputa in merito
alla provvidenza e al rapporto fra questa e la preghiera. In particolare,
Giustino critica la posizione della scuola aristotelica, che afferma la
provvidenza generale, mentre nega quella individuale e paradossalmente
ne trae la prova dal fatto che l’uomo si rivolga giorno e notte alla divinità
chiedendole aiuto: gli aristotelici, infatti, «si sforzano di convincerci che
Dio si prende sì cura dell’universo e dei vari generi e specie, ma non di
me e di te e di ognuno in particolare, altrimenti non lo pregheremmo notte
e giorno»258 .
Se in tal modo troviamo già una prima enunciazione del dilemma su
come conciliare provvidenza e preghiera che Origene sarà chiamato a ri-
solvere in Orat, anche nell’Apologia Giustino lascia intravedere una con-
sapevolezza delle tematiche suscitate dal pensiero filosofico intorno alla
preghiera. Si tratta di una serie di spunti che tradiscono affinità piuttosto
evidenti con l’ideale di preghiera elaborato specialmente in sede filoso-
fica. Proseguendo nella stessa linea dell’Apologia di Aristide, che aveva
proposto un modello di preghiera caratterizzato come suo tratto domi-
nante dalla lode e dal ringraziamento, laddove la richiesta doveva vertere
su cose convenienti da domandare per l’uomo e da concedere per Dio259,
Giustino sviluppa ulteriormente il paradigma della preghiera cristiana
come «preghiera spirituale». Anch’egli insiste sull’idea della preghiera
come lode a Dio e ringraziamento per i benefici concessi all’umanità. Nel
contempo ribadisce la preghiera di domanda a partire da un atteggia-
mento di fede e la colloca su di un piano tendenzialmente ancor più ele-
vato di quanto avesse fatto Aristide, dal momento che egli indica come
suo oggetto la richiesta dell’«incorruttibilità» 260 . L’Apologista sembre-
rebbe dunque condividere la preoccupazione di indirizzare la preghiera
preferenzialmente verso l’ottenimento dei beni celesti, demandando in-
vece all’iniziativa provvidenziale di Dio la concessione dei beni terreni –
un’esigenza che anche Origene si sforzerà d’inculcare ripetutamente.

––––––––––––––––––
258 Giustino, Dial. 1, 4 (186): ajlla; kai; hJma`~ ejpiceirou`si peivqein wJ~ tou` me;n
suvmpanto~ kai; aujtw`n tw`n genw`n kai; eijdw`n ejpimelei`tai qeov~, ejmou` de; kai; sou` oujk e[ti
kai; tou` kaq∆ e{kasta, ejpei; oujd∆ a]n hujcovmeqa aujtw/` di∆ o{lh~ nukto;~ kai; hJmevra~ (tr. it.
Visonà, 87). Si veda l’approfondita analisi di Pépin.
259 Aristide, Apol. 15, 8-9; 16, 1 (cfr. infra, pp. 515-516).
260 Giustino, I Apol. 13, 2 (nota 1617). Munier, 160, nota 1 ad loc. segnala affinità
con il pensiero stoico, in particolare con l’Inno a Zeus di Cleante.
92 Parte prima, Capitolo quarto
Gli orientamenti presenti in forma ancora episodica nella riflessione
degli Apologisti si configurano in una dottrina più organica, capace di te-
nere insieme le manifestazioni del culto, la preghiera e la vita del cri-
stiano nell’Adversus Haereses di Ireneo261. Tuttavia, nella grande opera
eresiologica del vescovo di Lione non troviamo indizi di una messa in di-
scussione della preghiera come quella che ci attesta Clemente Alessan-
drino negli Stromati agli inizi del III secolo. Nel VII libro egli evoca en
passant la tesi sostenuta da un gruppo ereticale che si autodefinisce come
«gnostico», guidato da un maestro di nome Prodico, fautore della tesi che
«non si deve pregare» (peri; tou' mh; dei'n eu[cesqai) 262 . Se la “parola d’or-
dine” riferitaci da Clemente assimila di fatto la setta all’esito negativo di
Massimo di Tiro, nulla sappiamo circa le motivazioni a suo sostegno.
Clemente si limita a ricordare che non si tratta affatto di un’idea nuova,
poiché era già sostenuta dai filosofi della scuola cirenaica263 . Abbiamo
comunque un’asserita parentela filosofica – anche se dichiaratamente di
natura polemica e in ogni caso diversa dal nostro riferimento contempo-
raneo più immediato –, ma dopo aver messo in luce tale affinità compro-
mettente Clemente rimanda ad altro momento una discussione approfon-
dita: si tratta di un compito «non da poco», al dire dell’autore degli Stro-
mati, che è restio ad una digressione così impegnativa, mentre nel proprio
«trattato sulla preghiera» mira a dimostrare come solo lo gnostico che si
attiene al «canone ecclesiastico» possa considerarsi «pio» e come egli sia
dedito ad una «richiesta secondo il volere di Dio»264 . Leggendo questa
––––––––––––––––––
261 Si veda, in particolare, Ireneo, Adv. Haer. IV, 17; e supra, nota 108.
262 Clemente Alessandrino, Strom. VII, 7, 41, 1 (144): ∆Entau'qa genovmeno" uJpemnhv-
sqhn tw'n peri; tou' mh; dei'n eu[cesqai prov" tinwn eJterodovxwn, toutevstin tw'n ajmfiv th;n
Prodivkou ai{resin, pareisagomevnwn dogmavtwn. Clemente accenna a questa setta anche
in Strom. III, 4, 29, 3-32, 2. Secondo Le Boulluec (p. 144, nota 3), le «rejet de la prière
trouve une semi-confirmation dans certains textes gnostiques de Nag-Hammadi». Gessel,
151-152 rimanda a Vangelo di Filippo 7 e Vangelo di Tommaso 14 (cfr. infra, nota 274).
Per Segelberg 55, aderendo Prodico presumibilmente alla dottrina delle nature fisse, egli
avrebbe soppresso il bisogno di pregare; resta comunque problematico asserire una piena
coincidenza di vedute fra Prodico e i due vangeli gnostici (p. 68).
263 Strom. VII, 7, 41, 2 (144): ”Ina ou\n mhde; ejpi; tauvth/ aujtw'n th/' ajqevw/ sofiva/ wJ"
xevnh/ ojgkuvllwntai aiJrevsei, maqhvtwsan proeilh'fqai me;n uJpo; tw'n Kurhnai>kw'n lego-
mevnwn filosovfwn. Löhr 1999, 89-90, ricollegandosi alle altre notizie fornite da Clemente
sulla scuola di Prodico ne traccia così l’ipotetico profilo: «Vielleicht meinten die Prodi-
kianer, daß sie als die natürlichen Söhne Gottes und als “königliche Kinder” kein Bitt-
gebet an ihn, den Vater, richten sollten. Stimmt diese Vermutung, so unterschiede sich die
Gebetskritik der Prodikianer charakteristisch von der von Origenes rekonstruierten chri-
stlichen Gebetskritik, die gerade den Abstand zwischen den Menschen und Gott den Vater
betont». Per gli antecedenti «cirenaici» si veda Roukema, 57, nota 37, che richiama in
particolare Teodoro (Diogene Laerzio, Vit. II, 86; 97).
264 Strom. VII, 7, 41, 3 (143-144): ajntirrhvsew" d∆ o{mw" teuvxetai kata; kairo;n hJ
tw'n yeudwnuvmwn touvtwn ajnovsio" gnw'si", wJ" mh; nu'n pareisduomevnh to; uJpovmnhma, oujk
ojlivgh ou\sa hJ touvtwn katadromh; diakovpth/ to;n ejn cersi; lovgon, deiknuvntwn hJmw'n movnon
La critica della preghiera 93
dichiarazione e tenendo presente le modalità del rapporto un poco “elu-
sivo” che Origene intrattiene con il suo predecessore, non si può fare a
meno di pensare che l’ “agenda” di Orat contempli anche il compito la-
sciato inevaso da Clemente. Ne fosse o meno consapevole Ambrogio,
Origene si è ispirato al trattato in vari punti e il rigetto della preghiera ad
opera di Prodico non può certo essergli passato inosservato265.
Origene precisa così nel preambolo alla discussione delle aporie
(Orat V, 1) che egli «non esiterà» ad esporre le obiezioni degli avversari
– sia pure assecondando la richiesta di Ambrogio e Taziana –, mentre rin-
traccia il loro contesto dottrinale invertendo, per così dire, l’ordine di
Clemente. In un primo tempo, infatti, ricorda che si tratta di un problema
tipico della tradizione filosofica, ma successivamente aggiunge che la
critica della preghiera ha contagiato anche gli ambienti cristiani, sia pure
in una variante ereticale. Il retroterra della filosofia è alluso rapidamente
secondo un essenziale approccio dossografico alle diverse posizioni, senza
fare qui menzione di scuole distinte. Origene afferma dunque che in gene-
rale, tra i filosofi, quanti ammettono l’esistenza di Dio e la provvidenza
accettano anche la preghiera, mentre il suo rifiuto è professato viceversa
da coloro che negano la divinità o la riconoscono in pratica soltanto di
nome, cioè privandola della sua azione provvidenziale266 .
Questa messa a punto del contesto, viziata peraltro da una lacuna
nella parte iniziale, suscita di primo acchito perplessità quanto alla defi-
nizione dei «fautori» della preghiera, poiché anche coloro che accolgono
Dio e la sua provvidenza possono respingere la preghiera di domanda,
come si è visto per lo stoicismo e per il medioplatonico Massimo di Tiro.
È vero che Origene è disposto a riconoscere delle eccezioni, ma esse sa-
rebbero pressoché inesistenti e inoltre mancherebbero di esponenti «degni
di rilievo». Può essere che l’enunciazione sia viziata polemicamente, an-
che perché gli avversari effettivi con i quali l’Alessandrino si misurerà di
seguito (Orat V, 2-6) sono proprio coloro che si oppongono alla preghiera
––––––––––––––––––
o[ntw" o{sion kai; qeosebh' to;n tw/' o[nti kata; to;n ejkklhsiastiko;n kanovna gnwstikovn, w/|
movnw/ hJ ai[thsi" kata; th;n tou' qeou' bouvlhsin ajponenemevnh givnetai kai; aijthvsanti kai;
ejnnohqevnti.
265 Le Boulluec 2003, 397 si è sforzato di provare come «en répondant aux ques-
tions d’Ambroise et de Tatiana, Origène se réfère à l’exposé de Clément». Ciò vale anche
per l’enunciazione delle aporie: «sa réfutation cependant identifie les adversaires d’une
façon qui fait écho à la manière dont Clément introduit la difficulté» (p. 398).
266 Orat V, 1 (308, 10-15): ou{tw dh; oJ lovgo" ejsti;n a[doxo" kai; mh; tucw;n ejpishvmwn
tw'n proi>stamevnwn aujtou', w{ste mhde; pavnu euJrivskesqai, o{sti" pote; tw'n provnoian pa-
radexamevnwn kai; qeo;n ejpisthsavntwn toi'" o{loi" eujch;n mh; prosivetai. e[sti ga;r to; dovgma
h[toi tw'n pavnth/ ajqevwn kai; th;n oujsivan tou' qeou' ajrnoumevnwn h] tw'n mevcri" ojnovmato"
tiqevntwn qeovn, th;n provnoian de; aujtou' ajposterouvntwn. Da notare l’espressione analoga,
per i fautori delle credenze astrologiche, in CGn III = Phil 23, 1 (136, 41-42): oiJ tw'n gen-
naivwn proi>stavmenoi touvtwn lovgwn (Origène. Philocalie 21-27, Sur le libre arbitre).
94 Parte prima, Capitolo quarto
in nome della provvidenza divina267 . Più trasparente è semmai la caratte-
rizzazione degli avversari più consueti della preghiera: il cenno a coloro
che negano l’esistenza di Dio rinvia chiaramente agli epicurei, la scuola
che l’antichità cristiana (e non solo) taccia abitualmente di “ateismo”,
come vediamo bene in Origene dalla sua polemica con Celso 268 . Riguardo
poi a quelli che affermano Dio a parole, perché lo privano della provvi-
denza, si tratta di un’allusione agli aristotelici, per i quali l’azione prov-
videnziale non si estendeva alla sfera sublunare. La distinzione e il colle-
gamento tra queste due scuole trovano un parallelo nel Contro Celso (CC
II, 13), sebbene qui il rimprovero mosso agli epicurei tocchi la loro nega-
zione della provvidenza e quello rivolto agli aristotelici la denuncia del-
l’inutilità di preghiere e sacrifici 269 . In Orat Origene menziona le loro tesi
per completezza dossografica – dato che poi non ingaggerà un dibattito
con essi – oppure per aggravare l’accusa nei confronti dei suoi più diretti
interlocutori associandoli a due posizioni notoriamente compromettenti270 .
Del resto la denuncia della perniciosità di tale dottrina la riconduce
all’iniziativa della potenza dell’Avversario, nel momento in cui Origene
trapassa dal contesto filosofico all’ambiente cristiano. La forza demonia-
ca, che tenta sempre di stravolgere l’«insegnamento del Figlio di Dio» at-
torniandolo con «le dottrine più empie» è riuscita a persuadere anche al-
cuni cristiani che non si deve pregare. Neanche in questo caso ci vengono
dati dei nomi, ma l’Alessandrino si sforza almeno di caratterizzare con
qualche dettaglio il volto di questi eretici, affermando che essi rigettano
qualunque elemento sensibile, evidentemente nell’esercizio del culto, poi-
ché – come si precisa di seguito – non fanno uso né del battesimo né del-
––––––––––––––––––
267 Orat V, 2 (308, 23-25): ei\en d∆ a]n oiJ lovgoi tw'n ajqetouvntwn ta;" eujca;" ou|toi
(dhlonovti qeo;n ejfistavntwn toi'" o{loi" kai; provnoian ei\nai legovntwn: ouj ga;r provkeitai
nu'n ejxetavzein ta; legovmena uJpo; tw'n pavnth/ ajnairouvntwn qeo;n h] provnoian).
268 Cfr. Cacitti; Markschies 2000. Diversamente dallo stereotipo negativo dei po-
lemisti cristiani Des Places, 259 osserva che l’attaccamento alla religione tradizionale
manifestato da Platone lo si ritrova anche in Epicuro; testimonianza della sua devozione
agli dèi è il fr. 13 Usener: «En effet, dit-il, prier est propre à la sagesse, non que les dieux
doivent s’irriter si nous ne le faisons pas, mais parce que nous percevons combien la na-
ture des dieux l’emporte sur nous en puissance et en excellence». Si veda anche Festu-
gière, 98-99; e Hadot 1995, 190: «Pour les sages, le bien le plus haut, c’est de contempler
la splendeur des dieux. Ils n’ont rien à leur demander, et pourtant ils les prient d’une prière
de louange».
269 CC II, 13 (142, 7-9): ∆Epikoureivou", tou;" pavnth/ provnoian ajnairou'nta", ajlla;
kai; tou;" ajpo; tou' Peripavtou, mhde;n favskonta" ajnuvein eujca;" kai; ta;" wJ" pro;" to; qei'on
qusiva". CRm III, 1 (200, 182–202, 202) ripropone la critica all’epicureismo e all’aristote-
lismo, ma senza accennare alla visuale dei secondi riguardo alla preghiera.
270 Le Boulluec 2003, 398-399: «Ce renvoi d’une partie des philosophes, les athées
au sens plein et les épicuriens, peut être perçu comme une généralisation et une diversifi-
cation du grief formulé par Clément». L’accostamento con CC II, 13 suggerisce di identi-
ficare in Orat V, 1-2 lo stesso abbinamento.
La critica della preghiera 95
l’eucarestia. A suffragare il rifiuto della preghiera concorre un’interpre-
tazione “mistificatrice“ delle Scritture, che agli occhi di tali eretici avreb-
bero inteso dire qualcosa di diverso, quando parlano di «pregare»271 . Pur
con tali precisazioni non è facile identificare il gruppo che Origene ha in
mente, anche se dobbiamo naturalmente pensare che si tratti nuovamente
di esponenti di qualche setta gnostica. Dal modo in cui l’Alessandrino ne
parla si direbbe che non ricavi questo contesto direttamente dalla lettera
di Ambrogio, ma ne estrapoli semmai le diverse implicazioni filosofiche
e teologiche alla luce dello sfondo più vasto al quale vuole ricondurre il
problema 272 . In ogni caso, sfruttando la testimonianza di Ireneo, si è pro-
posto di identificare gli eretici qui evocati con un gruppo appartenente alla
gnosi marcosiana, anche se ciò sembrerebbe contraddetto dalle notizie
sulla prassi cultuale di questa scuola conservateci nell’Adversus haere-
ses273. Tuttavia, i tentativi per accertare il profilo degli eretici combattuti
da Origene devono prendere atto che l’Alessandrino mette in scena un
dibattito in cui intervengono entrambe le prospettive disegnate fin qui: il
riferimento alla tradizione filosofica ed una sua ricezione e distinta for-
mulazione cristiana274 . Nello stesso tempo l’Alessandrino imposta la di-
scussione secondo i termini dettati in buona parte dai riferimenti scrittu-
ristici, con il ricorso ad una serie di passi che – come possiamo verificare
anche in altre circostanze analoghe (ad esempio, nel «Trattato sul libero
arbitrio» di Prin III, 1) – non necessariamente doveva trarre dagli argo-
––––––––––––––––––
271 Orat V, 1 (308, 15-22): h[dh mevntoi ge hJ ajntikeimevnh ejnevrgeia, ta; ajsebevstata
tw'n dogmavtwn peritiqevnai qevlousa tw'/ ojnovmati tou' Cristou' kai; th'/ didaskaliva/ tou'
uiJou' tou' qeou', kai; peri; tou' mh; dei'n eu[cesqai deduvnhtai pei'saiv tina": h|" gnwvmh"
proi?stantai oiJ ta; aijsqhta; pavnth/ ajnairou'nte" kai; mhvte baptivsmati mhvte eujcaristiva/
crwvmenoi, sukofantou'nte" ta;" grafav", wJ" kai; to; eu[cesqai tou'to ouj boulomevna" ajll∆
e{terovn ti shmainovmenon para; tou'to didaskouvsa".
272 È di questo avviso anche Le Boulluec 2003, 399. L’allargamento della visuale
polemica (filosofi ed eretici) va visto anch’esso come indizio della modificazione appor-
tata da Origene all’impostazione clementina.
273 Cfr. Ireneo, Adv. Haer. I , 21, 4 (SC 264, 303): a[lloi de; tau'ta pavnta parai-
thsavmenoi favskousi mh; dei'n to; th'" ajrrhvtou kai; ajoravtou Dunavmew" musthvrion di∆
oJratw'n kai; fqartw'n ejpitelei'sqai ktismavtwn, kai; tw'n ajnennohvtwn kai; ajswmavtwn di∆
aijsqhtw'n kai; swmatikw'n. Sulle dottrine di questo gruppo si veda Förster, 7-13, che pro-
pone piuttosto di vedervi il riferimento ad un altro gruppo valentiniano, distinto dai mar-
cosiani veri e propri, che al contrario praticano forme rituali (si veda Adv. Haer. I, 13, 2-4).
274 Per Gessel, 151, «diese Häretiker dürften in den Reihen derer zu suchen sein,
die man allgemein als Gnostiker bezeichnen kann, wie z.B. Prodikos und die Cyrenaiker
(sic!), Doketen, Askodruten, Archontiker, Markioniten, Valentinianer, aber auch solche
Gruppen, denen das koptisch-gnostische Thomasevangelium und das Philippusevange-
lium Grundlage ihrer Religiosität war». Da parte sua Pépin riscontra analogie con le po-
sizioni di Massimo di Tiro, anche se gli avversari di Origene sono cristiani, più precisa-
mente degli gnostici marcosiani. Anche per Trevijano Etcheverria, 117, si tratterebbe di
eretici gnosticizzanti. Punta invece alla matrice della tradizione filosofica (con Massimo
come suo testimone principale e in seguito Porfirio) Stritzky, 112-113.
96 Parte prima, Capitolo quarto
menti prodotti dai suoi avversari275 . Occorre insomma riconoscere che
Origene si appropria in maniera organica e sostanzialmente originale dello
spunto offertogli da Ambrogio con le sue aporie, sviluppando la propria
replica su un piano che intreccia strettamente gli aspetti più propriamente
speculativi (filosofici e teologici), i riferimenti scritturistici e il richiamo
all’esperienza (psicologica e morale).

3. La replica alle aporie: un esercizio di quaestiones et responsiones

La compattezza della trattazione origeniana è assicurata dalla precisa


cornice letteraria che s’ispira ad un procedimento metodico altamente for-
malizzato, e al quale Origene si attiene anche in altri scritti. In Orat V-VII
ci troviamo infatti davanti ad un esercizio di quaestiones et responsiones
ben articolato nelle sue due parti principali: 1. l’elaborazione delle aporie
(Orat V); 2. la soluzione di esse (Orat VI-VII). Con l’argomentazione svi-
luppata in questo tratto l’Alessandrino assume così i panni dello zhthti-
kov", cui compete l’enunciazione approfondita del problema, e nello stesso
tempo quelli del lutikov", che sfoggia a sua volta la propria acribia nel ri-
spondere punto per punto alle questioni sollevate. Benché Origene non ci
abbia lasciato opere appartenenti al genere letterario delle quaestiones et
responsiones – che in pratica fa il suo ingresso nella letteratura cristiana
antica soltanto con le Quaestiones Evangelicae di Eusebio di Cesarea276 –,
egli conosce molto bene la tecnica e la pratica in più di uno scritto277. Anzi,
si è fatto notare come in generale l’impresa esegetica di Origene sui singoli
testi biblici sia sorretta abitualmente dall’introduzione di una quaestio278.
Applicato principalmente in sede filologica ed esegetica, il metodo delle
quaestiones et responsiones si è esteso ad una pluralità di ambiti, incluso
ovviamente quello filosofico (dove peraltro Aristotele fornisce per tempo
una sistematizzazione della topica di quaestiones et responsiones sul testo
di classici come Omero)279 . Pertanto già nella storia del pensiero antico,
senza dover giungere fino ad un Tommaso d’Aquino, la riflessione filo-
––––––––––––––––––
275 Si veda il dossier dei luoghi biblici addotti contro il libero arbitrio in Prin III, 1
e la mia analisi in proposito (Perrone 1992b).
276 Cfr. l’introduzione di Zamagni alla nuova edizione (Eusèbe de Césarée. Ques-
tions évangéliques), 33-64.
277 Ne ho tracciato una panoramica in Perrone 1994c.
278 È l’indicazione, come sempre meditata e autorevole, di Manlio Simonetti (ad
esempio, in Simonetti 2004b, 179: «Procedimento prediletto per operare questo appro-
fondimento [...] è, analogamente a quanto si faceva nelle scuole di filosofia, l’utilizza-
zione della quaestio, che [...] scaturisce per lo più dall’accostare al passo in esame uno o
più altri di significato in qualche modo affine, per esaminarne somiglianze e, soprattutto,
divergenze»).
279 Aristotele, Poetica 25.
La critica della preghiera 97
sofica si enuclea assai spesso a partire da un elemento aporetico, come
vediamo ben esemplificato – in fedeltà alla tradizione originaria della
scuola – dal neoplatonico Plotino.
Ma nella trattazione di Origene dobbiamo considerare l’adozione del
metodo di quaestio et responsio anche alla luce della prassi retorica. L’im-
medesimazione aporetica di cui l’Alessandrino dà prova nella pars de-
struens della sua argomentazione, alla quale in un secondo momento si
contrappone simmetricamente la pars construens, richiama da vicino an-
che l’esercizio di ajnaskeuhv e kataskeuhv in uso nelle scuole di retorica.
Questa affinità è suggerita, fra l’altro, dal cenno iniziale di Origene alla
necessità di esporre preliminarmente ta; piqanav dei critici della preghiera
(Orat V, 1)280. Ora, l’esercizio retorico consisteva per l’appunto nel veri-
ficare dapprima criticamente o «distruggere» (ajnaskeuhv) la piqanovth",
cioè la «verosimiglianza» di un mito o di una storia, per poi dimostrarla o
«ricostruirla» (kataskeuhv) susseguentemente281 . Origene si serve di que-
sto stesso metodo nell’argomentazione di natura “storico-critica“ condotta
sui testi biblici282 . Tale metodo, come si può ricavare anche dall’applica-
zione che egli ne fa, doveva rispettare determinati requisiti; in particolare,
l’ajnaskeuhv era tenuta a provare la mancanza di piqanovth" con il mettere
in luce gli aspetti problematici, vuoi per la loro «impossibilità» o «oscuri-
tà», vuoi per la mancanza di «consequenzialità» (ajkolouqiva)283. È eviden-
te qui la contiguità fra il metodo retorico e la tecnica delle quaestiones et
responsiones che verteva anch’essa, a partire dalla teorizzazione aristote-
lica, sugli elementi del testo individuabili come «impossibili» (ajduvnata),
«assurdi» (a[topa), «irragionevoli» (a[loga) o «disdicevoli» (ajpreph').
A rafforzare ulteriormente la componente retorica dell’esercizio ori-
geniano di quaestio et responsio concorre nella solutio l’abbondante ricor-
so al metodo della «prosopopea» (Orat VI, 4-5). Sebbene la teorizzazione
al riguardo nei manuali antichi di retorica presenti difficoltà, quanto alla
sua esatta definizione (sovrapponendosi spesso con l’«etopea»), Origene
si serve largamente di questa tecnica della «personificazione», per tradurre
un discorso impersonale di principio o un’argomentazione astratta in un
intervento diretto e personale conferendogli così un’immediatezza collo-
––––––––––––––––––
280 Cfr. supra, nota 210.
281 Quintiliano, Inst. or. II , 4, 18 lo ricorda tra i primi esercizi della scuola di retorica:
«Narrationibus non inutiliter subjungitur opus destruendi confirmandique eas, quod ajna-
skeuhv et kataskeuhv vocatur. Id porro non tantum in fabulosis et carmine traditis fieri po-
test, verum etiam in ipsis annalium monumentis» (Rahn, I, 180-182). Cfr. Neuschäfer, 28.
282 Grant, 40-49, 50-78.
283 Neuschäfer, 243: «Der Unwahrscheinlichkeitserweis eines Mythos (ajnaskeuhv)
erfolgt unter mindestens drei Gesichtspunkten: ejk tou' ajdunavtou, ejk tou' ajsafou'", ejk
tou' ajnakolouvqou». Come esempio di applicazione del metodo segnala l’esegesi della
purificazione del tempio (Gv 2, 12-22) in CIo X.
98 Parte prima, Capitolo quarto
quiale particolarmente efficace284 . Con notevole «audacia» l’Alessandrino
fa intervenire la prosopopea ragionando ex parte Dei: Dio stesso, dunque,
argomenta in prima persona la soluzione esposta teoricamente da Origene
per conciliare libero arbitrio e preghiera dell’uomo con la prescienza e
provvidenza divine 285 .
La percezione di una porzione di testo così strutturata sotto il profilo
formale non è sfuggita ai lettori antichi di Orat. Nel margine del codice T –
in corrispondenza con ogni successiva argomentazione aporetica della
quaestio a partire da Orat V, 2 (e con la sola eccezione di V, 5) – trovia-
mo una nota che segnala la presenza di un ejpiceivrhma286 . Come il termine
piqanav , anche ejpiceivrhma ha una sua configurazione logico-formale.
Aristotele lo definisce nei Topici come un «sillogismo dialettico», distin-
guendone il rilievo argomentativo rispetto al «sillogismo apodittico» (fi-
losovfhma), nonché al «sillogismo contenzioso» (sovfisma) e al «sillogi-
smo aporetico» (ajpovrhma)287 .
Ci si potrebbe domandare perché le obiezioni di Orat V, 2-5 siano
state indicate con il termine ejpiceivrhma anziché con ajpovrhma. Ma s’in-
tuisce che le elaborazioni aporetiche, in quanto fanno parte di un percorso
argomentativo finalizzato a provare la tesi, contestata solo in via provvi-
soria, siano state qualificate non a torto come ejpiceirhvmata proprio per
la loro funzione dialettica “in positivo”. Origene non adopera il vocabolo
in Orat, preferendogli piqanav come categoria riassuntiva delle obiezioni
(Orat V, 1), ma esso compare in altre opere. Di particolare interesse è il
––––––––––––––––––
284 L’uso della proswpopoiiva, attestato in numerosi scritti, è particolarmente signi-
ficativo nel dibattito con Celso. Il filosofo pagano se ne serve per argomentare la sua po-
lemica con i cristiani, affidando inizialmente il suo attacco alla prosopopea di un Ebreo, e
Origene gli obietta di non applicare correttamente tale tecnica. In proposito, oltre a Pi-
chler e Neuschäfer, si veda specialmente Villani.
285 Löhr 1999, 95: «Der kühne Gebrauch der Prosopopoië zeigt, daß Origenes –
nachdem er in einem ersten Schritt die spezifische Freiheit rationaler Wesen skizziert hat –
das Problem konsequent von dem Gott her durchdenkt, der die Welt als eine Schule freier
rationaler Wesen eingerichtet hat und an jedem einzelnen dieser Wesen bis in die Veräste-
lungen der jeweiligen Biographie hinein wirkt».
286 Nel primo caso, in Orat V, 2, la lezione del ms. (f. 218v), di difficile lettura, è
stata così ricostruita da Koetschau: <ejpic>eivrhma tw'n <ajqet>ouvntwn to; <eu[cesqai>.
La nota ricompare due volte in V, 3; una in V, 4. Analoghe indicazioni figurano nel cod. H
(XIV secolo) a margine di CMt XII , 15. 23 (GCS 40, pp. 103, 120) ove troviamo segnalate
rispettivamente ajporiva e luvsi".
287 Aristotele, Top. VIII, 11: “Esti de; filosovfhma me;n sullogismo;" ajpodeiktikov",
ejpiceivrhma de; sullogismo;" dialektikov", sovfisma de; sullogismo;" ejristikov", ajpov-
rhma de; sullogismo;" dialektiko;" ajntifavsew", «A philosopheme is a demonstrative in-
ference, an epichereme is a dialectical inference, a sophism a contentious inference, and
an aporeme is a contentious inference of contradiction» (Aristotle, Topica, by E.S. Forster,
LCL, Cambridge-London 1966, p. 725). Cfr. LSJ 672, s.v.: «in the logic of Aristotle, at-
tempted, i.e. dialectical proof, opp. a demonstrative syllogism (filosovfhma)».
La critica della preghiera 99
suo utilizzo nel Contro Celso, dove l’Alessandrino lo applica alle «obie-
zioni di poco conto» prodotte dal filosofo pagano nel suo attacco al cri-
stianesimo, assegnandogli apparentemente il semplice valore “distruttivo”
che corrisponderebbe ad ajpovrhma nella classificazione aristotelica288.
Più ampio è però il ricorso a vocaboli come l’aggettivo piqanovn, il
sostantivo piqanovth" o l’avverbio piqanw'", che in generale sembrano rin-
viare ad argomentazioni speciose, ma dotate di un’apparenza di verità o
credibilità. Nel prologo del Contro Celso Origene introduce piqanav, a
commento di Col 2, 8 («Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia
e con i vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi
del mondo e non secondo Cristo»), per denunciare con l’Apostolo
l’«inganno» della filosofia, che spesso ammanta i suoi sofismi con una
sembianza di vero289. In altri luoghi dell’apologia piqanov" o piqanovth"
può rinviare ad una «plausibilità» non contraffatta o, per così dire, ragio-
nevole290. Tuttavia, nel corso del lungo confronto con il filosofo pagano
Origene designa con il vocabolo piqanav le critiche pretestuose di Celso
alle quali egli si sforza di replicare291 . A tale significato sembra avvici-
narsi l’uso del termine in Orat V, 1, che è confermato indirettamente dalle
altre occorrenze dello stesso gruppo di vocaboli292 . Ciò non toglie che Ori-
gene si cali con grande intensità nell’orizzonte degli avversari della pre-
ghiera fornendo loro, almeno temporaneamente, un aspetto di rigore logico
e di persuasività293.
––––––––––––––––––
288 CC II, 20 (148, 18-20): Kai; pro;" tau'ta dev, ejpei; bouvlei kai; toi'" ejmoi; fainomev-
noi" eujtelevsi tou' Kevlsou ejpiceirhvmasin ajpanta'n, toiau'ta fhvsomen. Cfr. anche II , 53
(177, 18-19): Pleivona d∆ eij" taujto;n levgwn, i{na dovxh/ au[xein to; ejpiceivrhma. D’altra parte,
in CGn III = Phil. 23 (184), 16 ejpiceivrhma equivale invece ad «argomento» (a favore) di
una tesi: “Idwmen kai; deuvteron ejpiceivrhma, pw'" ouj duvnantai oiJ ajstevre" ei\nai poihtikoiv,
ajll∆ eij a[ra shmantikoiv (Metzler, 95 ad loc.: «in einem zweiten Argumentationsgang»).
289 CC Prol. 5 (54, 9-11): ÔO me;n ou\n Pau'lo" sunidw;n o{ti e[stin ejn filosofiva/ eJl-
lhnikh'/ oujk eujkatafrovnhta toi'" polloi'" piqanav, paristavnta to; yeu'do" wJ" ajlhvqeian.
290 In questi casi Origene sembra servirsene nell’accezione originaria (cfr. LSJ 1403,
s.v.: «“persuasive, plausible” especially of popular speakers») testimoniata, ad esempio,
da Aristotele, Rhet. 1395b 27: piqanwvteroi oiJ ajpaivdeutoi tw'n pepaideumevnwn ejn toi'"
o[cloi".
291 CC IV, 89 (361, 6-8): Ou{tw ga;r a]n pro;" ta; piqana; aujtou', ejpideixamevnou fi-
lovsofon peri; tw'n thlikouvtwn e{xin, kata; to; dunato;n hJmi'n ejnevsthmen. Cfr. anche V, 1
(2, 4-5): ta; piqana; tou' Kevlsou kata; to; dunato;n hJmi'n lu'sai. Da notare in CC anche
l’uso dei contrari ajpivqano" e ajpiqanovth".
292 Cfr. Orat VI, 2 (312, 18), dove ci si appella per contrasto al criterio dell’espe-
rienza: ka]n muriavki" <ti"> aujta; kataskeuavzh/ euJresilogw'n kai; piqanoi'" lovgoi" crwv-
meno"; XIII, 3 (327, 15-18), con un’interpretazione del cantico di Giuditta: ajlla; kai; to;n
ajrcistrathgo;n tou' ajntikeimevnou <to;n> [BKV, 47 n. 2] ajpathlo;n kai; piqano;n lovgon,
katapthvssein poiou'nta pollou;" kai; tw'n pepisteukevnai nomizomevnwn, oJ tw'/ pro;" qeo;n
ai[nw/ pepoiqw;" diakovptei pollavki".
293 A testimonianza dell’immedesimazione argomentativa da parte di Origene si
veda l’inizio di Orat V , 2 (308, 18): ei\en d∆ a]n oiJ lovgoi tw'n ajqetouvntwn ta;" eujca;"
100 Parte prima, Capitolo quarto
4. La quaestio: inconciliabilità della preghiera con prescienza e predeter-
minazione divine

Prescienza e predeterminazione di Dio, l’una e l’altra strettamente


intrecciate con i concetti di provvidenza e di elezione, sono i pilastri su
cui poggia l’argomentazione e contrario degli avversari della preghiera.
Le obiezioni, ricondotte al loro nocciolo aporetico, si possono riassumere
per comodità come segue, avvertendo però che non bisogna perdere di
vista la dialettica complessiva dell’argomentazione (evidenziata, fra l’al-
tro, dalla parziale ripresa delle stesse citazioni scritturistiche):
1. Prescienza e provvidenza divine rendono superflua la preghiera (Orat
V, 2).
2. Se Dio ha stabilito tutto in anticipo, è assurdo pregare perché il suo
piano per gli uomini non si realizzi (Orat V, 3)294 .
3. L’elezione ad opera di Dio, testimoniata da numerosi esempi nella
Bibbia, sopprime la possibilità di pregare (Orat V, 4-5).
4. L’assurdità della preghiera è evidente anche perché presuppone una
nozione di Dio come essere mutevole (Orat V , 5).
Punto di partenza è dunque l’idea che Dio conosce ogni evento in
anticipo, ancor prima che esso si verifichi, suffragata dal riferimento ad
un passo della storia di Susanna (Sus 42 Q), già usato come prima prova
scritturistica nella discussione sulla prescienza divina nel terzo libro del
Commento a Genesi295 , ma richiamato di frequente da Origene, in parti-
colar modo quando elabora la sua visione dell’economia provvidenziale
di salvezza296 . Anche qui si istituisce tale nesso, sia pure nell’ottica degli
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ou|toi. Per l’analogo procedimento nel «Trattato sul libero arbitrio», cfr. Prin III, 1, 15
(222, 7): Tau'ta me;n ejrei' oJ ajpo; tw'n yilw'n rJhtw'n to; ejf∆ hJmi'n ajnairw'n.
294 Il lettore antico che ha individuato due aporie in Orat V, 3 (309, 18), segnalando
un secondo ejpiceivrhma in corrispondenza di pavlin te au\ ktl., opera un sezionamento
non necessario. Quello che è indicato come terzo ejpiceivrhma riflette uno sviluppo interno
alla seconda obiezione. Si tratta di formulazioni che adoperano entrambe l’esempio del
sole per insinuare l’idea che è assurdo voler modificare l’ordine stabilito da Dio ricor-
rendo alla preghiera.
295 In CGn III = Phil 23, 4 (142) la preghiera di Susanna è citata ai vv. 42-43, pre-
ceduta dalla seguente premessa: ”Oti me;n ou\n e{kaston tw'n ejsomevnwn pro; pollou' oi\den
oJ qeo;" genhsovmenon, kai; cwri;" me;n grafh'" aujtovqen ejk th'" ejnnoiva" th'" peri; qeou' dh'-
lon tw/' sunievnti ajxivwma dunavmew" nou' qeou'. Eij de; dei' kai; ajpo; tw'n grafw'n tou'to pa-
rasth'sai, plhvrei" mevn eijsin aiJ profhteivai toiouvtwn paradeigmavtwn.
296 Orat V , 2 (308, 26-309, 1): oJ qeo;" oi\de ta; pavnta pro; genevsew" aujtw'n (Sus 42 =
Dn 13, 42), kai; oujde;n ejk tou' ejnesthkevnai o{te ejnevsthke prw'ton aujtw'/ ginwvsketai wJ"
pro; touvtou mh; gnwsqevn. Origene se ne serve in Prin III, 1, 12, dove l’apparente abbando-
no delle creature a loro stesse è giustificato con il motivo che prendano coscienza di sé e
dei propri limiti, mentre a Dio non sono certo ignoti. Un identico ragionamento è ripropo-
sto con l’ausilio dello stesso versetto in III, 1, 17 (225, 18-226, 4): diovper ejpi; tw'n toiouv-
La critica della preghiera 101
avversari, sfruttando di rincalzo Mt 6, 8: «il Padre vostro sa di quali cose
avete bisogno ancor prima che gliele chiediate»; a che scopo dunque rivol-
gersi a Lui nella preghiera?297 L’obiezione è insidiosa, anche perché sfrutta
a prima vista quella stessa concezione di Dio, padre premuroso ed econo-
mo provvidenziale per i propri figli, che sta al centro del pensiero di Ori-
gene. Lo “sdoppiamento esegetico” è davvero paradossale, anche perché
più avanti nel trattato l’Alessandrino farà proprio lui stesso il motivo di
Mt 6, 8 (Orat XVII, 2), sia pure inquadrandolo nella prospettiva di una
preghiera di richiesta per i «beni grandi e celesti». Così, concludendo la
prima sezione, si farà forte del passo matteano per inculcare l’idea di la-
sciare all’iniziativa provvidenziale del Padre celeste la concessione dei
beni terreni e materiali298 . Anche nel preambolo al commento del Padre-
nostro (Orat XXI, 2), interpretando direttamente il versetto in questione,
Origene giustificherà nuovamente la necessità della preghiera, legandola
ancora più apertamente alla sola richiesta dei beni celesti e soprattutto alla
nozione di un Padre che è «Dio dei santi»299. Come teorizzato espressa-
mente da questo passo, l’autentica preghiera può darsi solo sul presupposto
di una retta nozione di Dio, pena il fatto di domandare da parte dell’orante
qualcosa che non conviene alla santità divina.
Ora, a scapito delle evidenti somiglianze e del comune utilizzo di Mt
6, 8, gli avversari della preghiera si rifanno in realtà a una nozione di Dio
diversa da quella di Origene. È vero che l’Alessandrino, a rafforzare l’im-
magine di un Creatore provvidente e amoroso, pone loro in bocca le parole
del libro della Sapienza sul “Signore, amante della vita”: «tu ami tutte le
cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato» (Sap 11, 24), altro
luogo scritturistico che trova significativi echi negli scritti origeniani300.
––––––––––––––––––
twn oJ qeo;" oJ aijwvnio", oJ tw'n kruptw'n gnwvsth", oJ eijdw;" ta; pavnta pri;n genevsew" aujtw'n,
kata; th;n crhstovthta aujtou' uJpertivqetai th;n tacutevran pro;" aujtou;" bohvqeian kaiv, i{n∆
ou{tw" ei[pw, bohqw'n aujtoi'" ouj bohqei', touvtou aujtoi'" lusitelou'nto". Come precisa
CMt XIII, 1, per Origene la prescienza divina dei «possibili», e con essa la profezia, può
darsi solo a condizione di non pensarli come infiniti. Cfr. anche CRm I, 3; HIer XVIII, 6.
297 Orat V , 2 (309, 1-7): tiv" ou\n creiva ajnapevmpesqai eujch;n tw'/ kai; pri;n eu[xa-
sqai ejpistamevnw/ w|n crhv/zomen… oi\de ga;r oJ path;r oJ oujravnio" w|n creivan e[comen pro;
tou' hJma'" aijth'sai aujtovn (Mt 6, 8). eu[logon de; patevra kai; dhmiourgo;n aujto;n o[nta tou'
panto;", ajgapw'nta ta; o[nta pavnta (cfr. Sap 11, 24) kai; mh<de;n> bdelussovmenon w|n pe-
poivhke, swthrivw" ta; peri; e{kaston kai; cwri;" tou' eu[xasqai oijkonomei'n divkhn patevro".
298 Cfr. supra, nota 218.
299 Orat XXI, 2 (346, 3-10): oi\de ga;r oJ tw'n aJgivwn qeo;", path; r w]n, w|n creivan
e[cousin oiJ uiJoi; aujtou', ejpei; a[xia tugcavnei th'" patrikh'" gnwvsew". eij dev ti" ajgnoei' to;n
qeo;n, kai; ta; tou' qeou' ajgnoei', ajgnoei' de; [kai; BKV, 72 n. 1] ta; w|n creivan e[cei:
dihmarthmevna gavr ejsti kai; ta; w|n creivan e[cein nomivzei: oJ de; teqewrhkw;" w|n ejstin
ejndeh;" kreittovnwn kai; qeiotevrwn, ginwskomevnwn uJpo; qeou' teuvxetai w|n teqewvrhke
kai; ejgnwsmevnwn tw'/ patri; kai; pro; th'" aijthvsew".
300 Orat V, 2 (nota 297). Sap 11, 24 ricorre in CIo XX, 17, 148; Prin II , 6, 3; CC I,
71; CC IV, 28; CCt III, 7, 23. Di particolare rilievo l’utilizzo del passo nella risposta al-
102 Parte prima, Capitolo quarto
Tuttavia, non può sfuggire il diverso rapporto che gli avversari istitui-
scono fra l’uomo e Dio con il sopprimere la preghiera: gli uomini suoi
«figli» si trasformano di fatto in «bambini» (nhvpioi) e il Padre celeste in
un «genitore» troppo umano301 . In ultima analisi, se assecondata fino in
fondo, la prospettiva dei critici finirebbe per portare ad una sorta di “pater-
nalismo” divino che deresponsabilizza l’uomo, all’opposto dell’insistenza
di Origene sia sul libero arbitrio sia sul bisogno di chiedere l’aiuto di Dio.
Anche se egli è drammaticamente consapevole dello scarto fra l’uomo e
Dio – ben più grande di quello che c’è tra i figli e la mente dei loro geni-
tori, per usare le parole degli «avversari» –, diversamente da costoro il ri-
conoscimento dell’«ignoranza» (a[gnoia) delle cose di Dio da parte del-
l’uomo non è paralizzante per l’Alessandrino. Al contrario, proprio essen-
do consapevoli di tale ignoranza e dell’incapacità umana a domandare ciò
di cui abbiamo realmente bisogno, bisogna rivolgersi a Dio nella preghie-
ra, chiedendo – con la prima petizione del Padrenostro – di pervenire alla
«santificazione del Suo nome», cioè a quella cognizione di Dio che è con-
forme al suo essere e alla vocazione di santità cui Egli chiama l’uomo302.
La seconda obiezione (Orat V , 3) trapassa dall’idea della prescienza
provvidente di Dio al motivo della prederminazione divina dell’ordine
delle cose303 . Il paradigma entro cui ricomprendere le vicende umane è
fornito non a caso dall’ordine regolare del cosmo, esemplificato dal sor-
gere del sole: sarebbe da sciocchi pregare perché il sole sorga, ma non
meno stolto è pensare di intervenire con la propria preghiera sul corso
delle cose; sia che preghiamo o no, Dio lo ha stabilito in anticipo. L’ar-
gomentazione dal sapore stoicheggiante (con il suo accento deterministi-
co-provvidenziale) si colora poi di una nota comica, che tradisce ancora
una volta l’impatto retorico sul discorso di Origene: colui che prega per
intervenire sul disegno preordinato di Dio è da considerarsi alla stregua di
un “lunatico” che, soffrendo il caldo dell’estate, si mettesse a pregare per-
ché il sole ritorni nelle più temperate costellazioni primaverili. Il parados-
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l’accusa di Celso ai cristiani di credersi al centro del mondo (CC IV, 28). È da notare che
in Prin II, 6, 3 Sap 11, 24 è detto del Figlio in quanto Demiurgo.
301 Si veda supra, nota 186. Pur scontando lo “sdoppiamento” dialettico, l’annota-
zione è rivelativa non solo dell’interesse per il rapporto di paternità fra Dio e l’uomo ma
anche dell’umanità concreta di Origene. Fra i molti esempi, le si può accostare un passo
folgorante sull’amore materno in EM 27 (23, 22-24): drovsoi ga;r eujsebeiva" kai; pneu'ma
oJsiovthto" oujk ei[wn ajnavptesqai ejn toi'" splavgcnoi" aujth'" to; mhtriko;n kai; ejn pollai'"
ajnaflegovmenon wJ" ejpi; barutavtoi" kakoi'" pu'r.
302 Cfr. Orat XXIV , 2 (354, 14-15): eujlovgw" didaskovmeqa th;n ejn hJmi'n e[nnoian
peri; qeou' aJgivan [<dei'n > BKV, 83 n. 3] genevsqai, i{n∆ i[dwmen aujtou' th;n aJgiovthta. An-
che FrEph I, 8 richiama il concetto della «sana nozione» di Dio: w{sper pavnte" teqhvpasi
to;n Qeovn, sfavllontai de; oiJ ajpopivptonte" th'" uJgiou'" ejnnoiva" peri; tou' Qeou'.
303 Orat V, 3 (309, 12-13): eijko;" <de;> tw'/ qew'/ ouj movnon proegnw'sqai ta; ejsovmena
ajlla; kai; prodiatetavcqai, kai; mhde;n para; ta; aujtw'/ prodiatetagmevna givnesqai.
La critica della preghiera 103
so introdotto abilmente dall’Alessandrino non è da prendere solo come
segno della sua perizia retorica304 . Con il riferimento, sia pure capzioso,
ai corpi celesti s’introduce anche uno scenario cosmologico della preghie-
ra che non soltanto avrà una sua incidenza significativa nel seguito del-
l’argomentazione di questa parte del trattato, ma è conforme alla visione
«cosmica» della preghiera proposta più in generale dal trattato305. Del re-
sto, Origene è in generale molto attento all’astronomia ed anche all’astro-
logia, della quale combatte la superstiziosa influenza nella vita religiosa
del suo tempo306 . Ora, il ragionamento aporetico di Orat V, 3 suona quasi
come un contrappunto all’obiezione mossa da Origene ai fautori del deter-
minismo astrologico nell’ampia trattazione sui «luminari del firmamento»
(Gn 1, 14) nel III libro del Commento alla Genesi. Precedendo verosimil-
mente di poco tempo il nostro scritto, esso pare anticipare molti spunti
esegetici posti qui in bocca agli avversari della preghiera. L’Alessandrino
vi contestatava, fra l’altro, la diffusione delle credenze astrologiche anche
fra i cristiani obiettando che, qualora fossero vere, renderebbero assurde
le preghiere307.
Con la successiva obiezione (Orat V, 4) l’argomentazione critica svi-
luppa una terza implicazione aporetica, deducendola conseguentemente
dal motivo della predeterminazione divina, che ora è precisata con le ca-
tegorie bibliche di «predestinazione» ed «elezione». Ritorna così la linea
di ragionamento basata sulla Scrittura ed essa domina ormai l’elabora-
zione origeniana delle aporie fino alla conclusione (Orat V , 5). L’inte-
resse di questo tratto è dato dal fatto che vi troviamo riuniti alcuni luoghi
cruciali, in primis paolini, sui quali Origene ha avuto occasione di tornare
ripetutamente nelle sue opere. Sappiamo che la loro rilevanza per l’Ales-
sandrino è stata, almeno in parte, determinata dalla polemica contro gli
––––––––––––––––––
304 Peraltro illustrata dalla sapiente costruzione del periodo (309, 18-24), con la sua
struttura a chiasmo e la corrispondenza fra l’inizio e la fine (inclusa la variatio fra maniva e
melagcoliva ): pavlin te au\ w{sper pa'san manivan uJperbavllei oJ dia; to; ejnoclei'sqai uJpo;
tou' hJlivou genomevnou ejn qerinai'" tropai'" kai; kausou'sqai oijovmeno" dia; th'" eujch'" me-
tasthvsesqai to;n h{lion ejpi; ta; ejarina; shmei'a, i{na eujkravtou ajpolauvh/ tou' ajevro":
ou{tw" ta; ajnagkaivw" sumbaivnonta peristatika; tw'/ tw'n ajnqrwvpwn gevnei ei[ ti" oi[oito
dia; to; eu[cesqai mh; peivsesqai, pa'san <a]n> uJperbavloi melagcolivan.
305 È emblematica al riguardo, fin dal titolo, l’interpretazione attualizzante di Dyck-
hoff. Sulla creazione degli astri e la loro funzione provvidenziale si veda Prin II, 9, 7 (171,
15-18): «aliqui ex his, qui melioribus meritis sunt, ad exornandum mundi statum “conpati”
(cfr. 1Cor 12, 26) reliquis et officium praebere inferioribus ordinentur, quo per hoc et ipsi
participes existant patientiae creatoris».
306 Cfr. Scott.
307 CGn III = Phil 23, 2 (138-140): Pro;" de; toi'" eijrhmevnoi" kai; eujcai; parevlkousi
mavthn paralambanovmenai: eij ga;r kathnavgkastai tavde tina; genevsqai, kai; oiJ ajstevre"
poiou'sin, oujde;n de; para; th;n touvtwn pro;" ajllhvlou" ejpiplokh;n duvnatai genevsqai,
qeo;n ajlogivstw" ajxiou'men tavde tina; hJmi'n dwrei'sqai. Junod (p. 139, nota 3) vi accosta
come parallelo FrIer 49 (223, 13): eij ga;r ajstevre" tuco;n ejnergou'si, mavthn eujcovmeqa.
104 Parte prima, Capitolo quarto
gnostici valentiniani e contro i marcioniti, ma in ogni caso proprio su tali
riferimenti biblici Origene ha fondato alcune delle sue convinzioni più ra-
dicate. Il motivo della predestinazione viene dapprima introdotto, a nome
degli avversari, per i peccatori come per i giusti, con il ricorso rispettiva-
mente a Sal 57(58), 4 («sono traviati gli empi fin dall’utero»)308 ed a Gal
1, 15 («il giusto è prescelto fin “dal ventre materno”»). La predestinazione
è quindi proposta come «elezione» alla luce di Rm 9, 11-12 e insieme del-
l’episodio di Gn 25, 23 – la scelta di Giacobbe a preferenza di Esaù – ri-
chiamato dall’Apostolo nello stesso passo. È dunque vano domandare «il
perdono dei peccati o la forza dello Spirito»: che siamo peccatori o che
siamo giusti, anche pregando non possiamo influire in alcun modo sulla
nostra sorte. Ribadendo l’idea dell’elezione divina nel senso di «predesti-
nazione» l’obiezione insiste sulla storia dei due gemelli, la cui sorte nel
bene e nel male è segnata prima del nascere, per finire con il paradosso di
Mosè orante, secondo Sal 89(90): per quale motivo il profeta prega Dio,
se Egli è per lui un «rifugio [...] prima che nascessero i monti e la terra e
il mondo fossero generati» (Sal 89[90], 1-2)?309
Eccezion fatta per l’ultimo riferimento, il dossier scritturistico è as-
sortito con una conformazione caratteristica che ritroviamo anche in altre
opere dell’Alessandrino, a riprova dell’importanza assunta ai suoi occhi
da questi passi. Sal 57(58), 4 si prestava ovviamente a suffragare la tesi
valentiniana sulle «nature fisse», ragion per cui quando Origene interpreta
il salmo si sforza di contrastare il punto di vista degli avversari e di affer-
mare il ruolo del libero arbitrio. Ad esempio, nel Dialogo con Eraclide,
sviluppando il discorso sui sensi spirituali, sottolinea che «diventare sordi
d’udito» (Sal 57[58], 5) dipende dall’esercizio del libero arbitrio310 . Pro-
prio il nesso con il libero arbitrio fa sì che questo salmo figuri spesso in-
sieme ai luoghi paolini sopra ricordati. Nel Commento a Romani 1, 1
l’Alessandrino associa come in Orat V, 4 Gal 1, 15 e Sal 57(58), 4 in po-
lemica con i valentiniani che si richiamano ai due passi per asserire la
––––––––––––––––––
308 Orat V, 4 (309, 25) riporta appositamente, ai fini dialettici, solo Sal 57(58), 4a:
eij de; kai; hjllotriwvqhsan aJmartwloi; ajpo; mhvtra". Ma nella sua interpretazione si deve
leggerlo unitamente ai versetti che seguono: «Sal 57(58) 4 Sono traviati gli empi fin dal
seno materno, si pervertono fin dal grembo gli operatori di menzogna. 5 Sono velenosi
come il serpente, come vipera sorda che si tura le orecchie, 6 per non udire la voce dell’in-
cantatore, del mago che incanta abilmente».
309 L’inserimento di Sal 89(90) non è casuale. In Orat II, 5 (303, 4-5) figura tra
le preghiere che lo Spirito pronuncia «nel cuore dei santi», peplhrwmevnai ajporjrJhvtwn
kai; qaumasivwn dogmavtwn. Ora, come mostra Gerolamo, Apol. contra Ruf. I, 22, 15 ss.
(= FrEph I , 4 [238]), Origene considerava Sal 89(90) fra i testimonia della preesistenza,
collegandolo a Ef 1, 4: «Quod scilicet antequam mundus fieret, et universa generatio prin-
cipium sumeret, sanctis suis Deus refugium fuerit».
310 Cfr. Dial 17 (21-22): o{ti ejf∆ hJmi'n ejstin to; kwfwqh'nai kat∆ ejkeivna" ta;" ajkoav",
a[koue tou' profhvtou levgonto" (cit. di Sal 57[58], 4-6).
La critica della preghiera 105
predestinazione dei giusti e quella dei peccatori311 . In questo caso Origene
rinfaccia agli avversari di estrapolare il versetto dal suo contesto più ampio
e lo rilegge perciò alla luce di questo, per mostrare come il «traviamento»
dei peccatori fin dal seno materno non sia da addebitare ad un giudice
iniquo. La medesima indicazione compare anche nel frammento greco
tramandatoci dalla Filocalia (Phil 25)312 , operando così una confutazione
per absurdum, anche se l’esegesi più puntuale di Sal 57(58), 4 è rinviata
ad un futuro commentario313. In sostanza, però, diversamente dai luoghi
paolini ampiamente commentati, l’Alessandrino non sembra essere andato
oltre queste indicazioni, né la ripresa del salmo nelle Omelie sui Numeri
realizza di fatto l’esegesi promessa, poiché anche questa volta l’interpre-
tazione mira decisamente a sottolineare l’insostenibilità della lettera314 .
La collocazione di Sal 57(58), 4 in testa al dossier scritturistico su
predestinazione ed elezione come argomenti contro la preghiera non è
dunque casuale. Benché il versetto non appaia tra i passi discussi nei Prin-
cipi, da esso muove, come nodo emblematico della quaestio, anche l’am-
pia trattazione dedicata al tema di prescienza e predestinazione nel fram-
mento greco del Commento a Romani in Phil 25: partendo dall’esegesi di
Rm 1, 1 Origene vi unisce Gal 1, 15-16 e Rm 8, 28-30. Senza anticipare la
solutio, che conviene considerare quale termine di confronto esaminando
più avanti la risposta di Origene alle aporie, si può ancora notare come la
concettualizzazione emergente nel commento rifletta le categorie intro-
dotte in Orat V, 3, in particolare il legame fra prescienza e predetermina-
zione (o predestinazione). Da ultimo, quanto a Gn 25, 23 (specie in con-
nessione con Rm 9, 11 ss.), la diversa sorte dei due gemelli Giacobbe ed
Esaù era stata discussa da Origene in varî luoghi dei Principi, premuran-
dosi ad ogni riesame di ribadire l’idea della piena compatibilità fra la
dottrina del libero arbitrio e l’elezione ad opera di Dio attestataci dalla
Scrittura (per Giacobbe come per Paolo e gli altri giusti), anche sullo sfon-

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311 CRm I, 5 (51, 6-9): «Quod tamen heretici ad calumniam vocant dicentes eum
segregatum esse ab utero matris suae ob hoc, quod in eo naturae bonitas inerat; sicut e
contrario de his, qui malae naturae sunt, dicatur in psalmis: quia segregati sunt peccatores
ex utero».
312 CRm I = Phil 25, 1 (212-214): Pro;" me;n ou\n tou'to eujcerw'" e[stin ajpanth'sai,
ejrwtw'nta" peri; th'" eJxh'" levxew": gevgraptai gavr: ∆Aphllotriwvqhsan ktl. (citazione di
Sal 57[58], 4-5).
313 CRm I = Phil 25, 4 (230-232): Nu'n de; ajpodidovnai eij" to; ajpo; tou' yalmou'
rJhto;n oujk h\n eu[kairon, parekbatiko;n ga;r h\n: dio; eij" th;n oijkeivan tavxin qeou' didovn-
to" ajpodoqhvsetai, o{tan to;n yalmo;n dihgwvmeqa.
314 HNm III, 4 (18, 9-13): «Quomodo enim quis errare potuit a via Dei statim ut de
ventre matris exivit? Aut quomodo potuit falsa loqui nuper editus puer, vel qualemcumque
proferre sermonem? Cum ergo impossibile sit vel errare a ventre vel loqui falsa, neces-
sarium erit et ventrem et vulvam talem requiri cui conveniri possit dictum hoc».
106 Parte prima, Capitolo quarto
do del postulato della preesistenza delle anime315 . Proprio la quaestio de
Esau et Iacob assume infatti agli occhi dell’Alessandrino un valore para-
digmatico per arrivare a comprendere la diversità delle condizioni fra gli
esseri creati316.
L’ultima argomentazione aporetica (V, 5), pur in sostanziale conti-
nuità concettuale con quanto precede, pone l’accento sul motivo dell’ele-
zione, con ulteriore arricchimento del corredo di passi biblici a sostegno,
prima di concludere con una ripresa della critica più prettamente filosofica
della preghiera che le contesta il presupposto ingenuo di un Dio mute-
vole. Dagli iniziali riferimenti paolini (Ef 1, 4-5 e Rm 8, 29-30) si passa a
luoghi veterotestamentari che riguardano rispettivamente la figura del re
Giosia e quella dell’apostolo-traditore Giuda. Ancora una volta il dossier
così accorpato offre numerosi motivi di interesse. Se i luoghi tratti dal
corpus Paulinum (soprattutto il secondo) tendono a confermare la nota
antivalentiniana e/o antimarcionita che già conosciamo, i due esempi ri-
cavati dalla sorte opposta di Giosia e di Giuda ci portano a meglio conte-
stualizzare l’esercizio di quaestio et responsio del nostro trattato317 . Non
sembra che Origene si sia particolarmente soffermato ad analizzare la fi-
gura del re Giosia, imitatore di Davide e zelante nella fede, di cui ci par-
lano il terzo e quarto libro dei Regni (rispettivamente 1Re 13 e 2Re 22).
L’Alessandrino lo menziona occasionalmente o come esempio di re giu-
sto318 , o come figura che è oggetto di una profezia319. Invece lo cita am-
piamente nel terzo libro del Commento a Genesi, ricordato più volte in
precedenza, adducendo 1Re 13 come seconda prova scritturistica, dopo
Susanna 42-43, per sostenere l’idea della prescienza di Dio320. La vici-
nanza fra Orat e il commentario biblico, iniziato ad Alessandria e conti-
nuato a Cesarea, è confermata anche dal secondo riferimento veterote-
––––––––––––––––––
315 In Prin I, 7, 4 l’esempio di Giacobbe ed Esaù è addotto a conforto dell’an-
teriorità della creazione dell’anima rispetto al corpo.
316 Prin II, 9, 7 (170, 27-29): «Eadem namque, ut mihi videtur, quae de Esau et Ia-
cob quaestio proponitur, haberi etiam de caelestibus omnibus et de terrestribus creaturis et
de infernis potest». Riprendendo l’esame della quaestio in Prin III, 1, 22, Origene stesso
rinvia alla trattazione sull’anima in II, 9, 7.
317 In Ef 1, 4-5 l’attenzione di Origene è attratta in particolar modo dall’espressione
pro; katabolh'" kovsmou, che – come spiega in Prin III, 5, 4 (630, 14-16) – è da porre in re-
lazione alla caduta delle anime: «Ex hoc ergo communiter omnium per hanc significan-
tiam, id est per katabolhvn, a superioribus ad inferiora videtur indicari deductio». Cfr. an-
che FrEph I, 4 (supra, nota 309). Quanto a Rm 8, 29-30, si veda rispettivamente Phil 25 e
CRm VII, 7-8.
318 HEz XII, 2, dove Giosia è associato ad Ezechia come iustus rex.
319 Il motivo è sfruttato nella polemica con Eracleone in CIo VI, 118. Cfr. anche
HNm VI , 3.
320 CGn III = Phil 25, 4 (144): Safevstata de; ejn th/' trivth/ tw'n basileiw'n kai;
o[noma basileuvonto" kai; pravxei" ajnegravfhsan pro; pleiovnwn ejtw'n tou' genevsqai
profhteuovmena ou{tw".
La critica della preghiera 107
stamentario. Si tratta di Sal 108(109), 7, letto come profezia di Giuda già
a partire dall’utilizzo di questo salmo negli Atti degli Apostoli (At 1, 16-
20) e particolarmente adatto in questo contesto per il ricorso del termine
proseuchv: «la sua preghiera si trasformi in peccato». Origene ha spiegato
il versetto in parecchie occasioni, fra l’altro richiamandolo in una signifi-
cativa riflessione sulla preghiera del peccatore opposta alla preghiera del
giusto nella XVIII Omelia su Geremia321 . Nel testo latino del Commento a
Romani il passo è adoperato piuttosto come messa in guardia per non tra-
dire la vocazione di santità a cui il fedele è chiamato322 . Ora, della figura
di Giuda Origene si è occupato ripetutamente nei suoi scritti, anche a pre-
scindere dalla citazione del salmo in questione. D’altronde sapeva bene
che altri passi della Scrittura – e, ovviamente, in primis i racconti evange-
lici – offrivano indicazioni riguardo all’apostolo-traditore. Egli lo dichiara
esplicitamente nel Commento a Genesi, dove ricorda che «nelle profezie
riguardo a Giuda si trovano trascritti rimproveri ed accuse» a suo biasimo,
che non avrebbero ragione di essere se egli fosse stato predestinato di ne-
cessità a tradire il suo maestro 323 . Anche se Origene non riporta il nostro
versetto, cita di seguito un’altra porzione dello stesso salmo (Sal 108[109],
12. 16-17). Quel che più importa è però il fatto che qui troviamo una di-
scussione su prescienza, predestinazione e libero arbitrio, imperniata este-
samente sulla figura di Giuda, da considerarsi molto probabilmente come
il retroterra più prossimo dell’argomentazione aporetica di Orat V, anche
per l’effetto cumulativo dei vari indizi che siamo venuti raccogliendo.
––––––––––––––––––
321 HIer XVIII, 10 (164, 22-24): peri; ∆Iouvda gevgraptai: Genhqhvtw hJ proseuch; auj-
tou' eij" aJmartivan. ∆Ekei'no" kata; to; proseuvcesqai eij" keno;n ejqumivase. Sulla vicenda
di Giuda come tema di Sal 108(109), si veda Orat XXIV, 5: o{lo" ga;r oJ yalmo;" ai[thsiv"
ejsti peri; ∆Iouvda, i{na tavde tina; aujtw'/ sumbh'/. Cfr. anche CMtS 104 (224, 30-225, 1): «Et
in centesimo octavo Psalmo forte pleraque invenies convenientia istis, qui venerunt cum
Iuda comprehendere Iesum, sicut et alia de Iuda in eodem dicta sunt Psalmo»; CC II, 11
(nota 1400); CC II, 20 (nota 1401). Sull’uso, in particolare, di Sal 108(109), 7 nel discorso
origeniano sulla preghiera si veda infra, pp. 449-451.
322 Cfr. CRm VII, 8 (599, 36-37) su Rm 8, 33-34: «ne tibi contingat illud, quod de
quodam scriptum est: Cum iudicatur, exeat condemnatus (Sal 108[109], 7)»; CRm X , 5
(796, 43-46) su Rm 14, 22-23, a proposito delle opere degli eretici: «ne forte etiam si quid
boni operis apud illos geri videtur, quia non fit ex fide, convertatur in peccatum, sicut et
de quodam dictum est: Fiat oratio eius in peccatum (Sal 108[109], 7)».
323 CGn III = Phil 23, 8 (156, 25–158, 29): ∆En gou'n tai'" peri; tou' ∆Iouvda pro-
fhteivai" mevmyei" kai; kathgorivai tou' ∆Iouvda ajnagegrammevnai eijsi; panti; tw/' parista'-
sai to yekto;n aujtou'. Oujk a]n de; yovgo" aujtw/' proshvpteto, eij ejpanagke;" prodovth" h\n,
kai; mh; ejndevceto aujto;n o{moion toi'" loipoi'" ajpostovloi" genevsqai. Ne è un altro esempio
la spiegazione di Sal 40(41), 10 («E infatti l’uomo della mia pace, colui nel quale sperai,
colui che mangia i miei pani, esaltò la sua astuzia verso di me»), a commento di Gv 13,
16-18, in CIo XXXII, 14, 156-168. Oltre a riprendere lo stesso passo, CIo XXXII, 19, 247-
249 aggiunge Sal 54(55), 13a-b («Se fosse stato un nemico a insultarmi, l’avrei sopporta-
to», «Se si fosse alzato ad accusarmi uno che mi odiava, mi sarei forse sottratto a lui») e
14 («Ma tu, uomo che hai lo stesso mio animo, mia guida, mio familiare!»).
108 Parte prima, Capitolo quarto
5. La responsio: il presupposto del libero arbitrio

Se la posizione del problema è scandita così da un ampio ventaglio


di argomentazioni, non meno ricca, articolata e retoricamente vivace è la
responsio alla quaestio (Orat VI -VII). La trattazione si lascia disporre per
comodità in tre momenti principali:
1. Difesa del libero arbitrio come presupposto della preghiera (Orat VI, 1-2).
2. Conciliazione di libero arbitrio e preghiera con prescienza, predetermi-
nazione e provvidenza divine (Orat VI , 3-5).
3. Il libero arbitrio degli astri (Orat VII).
Come appare dal sommario, Origene sviluppa la replica in contrap-
punto dialettico alle aporie, ma senza lasciarsi condizionare in maniera
simmetrica per il proprio discorso, ch’egli tende piuttosto ad organizzare
per nuclei tematici324 . Lo s’intuisce subito dal fatto che, prima di ribattere
alle aporie, procede ad una messa a punto di carattere ontologico dichia-
randola «utile» ai fini della luvsi"325 . Egli estrapola in tal modo dalla cri-
tica della preghiera il suo postulato inespresso, ma intimamente collegato
all’ottica deterministica delle obiezioni, dimostrandone l’insostenibilità
prima teorica (Orat VI, 1) e poi pratica (Orat VI, 2). Questo presupposto
implicito consiste nella negazione del libero arbitrio, di cui anche la pre-
ghiera è una manifestazione326. Origene pertanto indirizza in un primo
momento la sua riflessione verso l’analisi ontologica degli esseri con i
loro movimenti rispettivi, ripresentando in una nuova versione la tratta-
zione che aveva proposto al riguardo nel «Trattato sul libero arbitrio»
(Prin III, 1), sebbene là fosse collocata entro un diverso iter argomenta-
tivo, quale premessa all’enunciazione della quaestio 327 . L’inconsueta ri-
presa di un testo in gran parte affine – un fatto che non conosce analogie
paragonabili nel resto degli scritti di Origene – risulta di fatto giustificata
da una tacita revisione dell’esposizione di Prin, che a giudizio dei critici
––––––––––––––––––
324 In questo senso la trattazione di quaestio et responsio in Prin III, 1 ci appare più
scolastica, come ho cercato di mostrare in Perrone 1992b.
325 Orat V ,6 (311, 13-15): crhvsima de;, wJ" oi\mai, tau'ta pro;" luvsin tw'n ajponarka'n
pro;" to; eu[cesqai poiouvntwn prodialhptevon. Trattandosi di un’indicazione metodica
preliminare per la responsio sarebbe opportuno modificare la divisione in capitoli e inse-
rirla all’inizio di Orat VI, 1. Si noti l’uso paradigmatico di un verbo come ajponarka'n , per
designare paradossalmente l’esito “paralizzante” della critica. Insieme ad altri verbi rari
(cfr. ad esempio, Orat XIX, 2 [341, 30]: ejnabruvnesqai; Orat XXI, 1 [345, 4]: mwmosko-
pou'nte") offre un indizio interessante della ricercatezza linguistica di Origene. Ci si può
però anche chiedere se ajponarka'n alluda indirettamente all’argomento dell’ajrgo;" lovgo",
che di fatto sottende il modo di ragionare delle aporie.
326 Van der Ejik, 340-341 osserva giustamente come nelle aporie il libero arbitrio
non sia mai messo a tema.
327 Prin III, 1, 1 (196, 1-2): i{na de; nohvswmen tiv to; aujtexouvsion, th;n e[nnoian auj-
tou' ajnaptuvxai dei', i{na tauvth" safhnisqeivsh" ajkribw'" parastaqh'/ to; zhtouvmenon.
La critica della preghiera 109
porta l’autore non solo ad organizzare più chiaramente il contenuto, ma
anche ad intervenire più autonomamente sulla fonte da cui dipende328 .
Si tratta in proposito di materiale di provenienza stoica, anche se non
è assegnabile a un testo o autore preciso, ma rispecchia la tradizione dos-
sografica della scuola, utilizzata paradossalmente dall’Alessandrino per
combattere un esito deterministico in linea con essa. Se Origene condivide
l’idea già espressa da Platone per cui la diversità di movimento è indizio
della peculiarità dell’essere e in particolare, quando procede da sé, riman-
da all’anima e all’esercizio della ragione329 , la concettualità di Orat VI , 1
risente essenzialmente dell’analisi stoica della scala degli esseri. Come
riscontriamo anche da altre testimonianze, questa scala procede per vari
gradi, in ordine ascendente, dalla realtà inorganica ed inanimata fino al-
l’essere animato e razionale 330 . In Orat VI , 1 lo schema proposto prevede
tendenzialmente tre tipi di movimento, non senza che manchino elementi
di complicazione o disturbo, perché il ragionamento complessivo porte-
rebbe semmai ad indicarne quattro, in conformità con la categorizzazione
stoica (esseri inanimati, piante, animali, esseri razionali)331 .
––––––––––––––––––
328 Per analisi recenti di Orat VI, oltre a Van der Ejik, si veda Benjamins, 58 ss. (VI,
1-2), 99 ss. (VI , 3-5).
329 La relazione movimento-esseri è subito introdotta dalla prima enunciazione di
Orat VI, 1 (311, 16-19): Tw'n kinoumevnwn ta; mevn tina to; kinou'n e[xwqen e[cei w{sper ta;
a[yuca kai; uJpo; e{xew" movnh" sunecovmena kai; ta; uJpo; fuvsew" kai; yuch'" kinouvmena,
oujc h|/ toiau'ta e[sq∆ o{te kinouvmena ajll∆ oJmoivw" toi'" uJpo; e{xew" movnh" sunecomevnoi".
Per le fonti platoniche della dottrina, in relazione al passo parallelo di Prin III, 1, 2, Görge-
manns-Karpp, 465, nota 3 indica Phaedr. 245e4-6; Leg. X , 894b-c. Tuttavia, il primo
passo deve essere esteso fino a comprendervi la sezione precedente, con la riflessione su
anima, immortalità e movimento: Yuch; pa'sa ajqavnato". To; ga;r ajeikivnhton ajqavnaton:
to; d∆ a[llo kinou'n kai; uJp∆ a[llou kinouvmenon, pau'lan e[con kinhvsew", pau'lan e[cei
zwh'". movnon dh; to; auJto; kinou'n, a{te oujk ajpolei'pon eJautov, ou[pote lhvgei kinouvmenon,
ajlla; kai; toi'" a[lloi" o{sa kinei'tai tou'to phgh; kai; ajrch; kinhvsew" (Phaedr. 256c5-9).
Il parallelo più prossimo con la distinzione origeniana fra movimenti indotti «dall’esterno»
(e[xwqen) e «in se stessi» sta comunque nel passo che segue: pa'n ga;r sw'ma, w/| me;n e[xwqen
to; kinei'sqai, a[yucon, w/| de; e[ndoqen aujtw/' ejx auJtou', e[myucon, wJ" tauvth" ou[sh" fuvsew"
yuch'" (245e4-6). Per Scott, 126, «Origen follows Plato in seeing movement as a sign of
the presence of rationality, but (like Plato in the Laws) Origen realizes that rationality can
be present in different ways» (con il rinvio a Leg. X, 898e8–899a4).
330 Ad esempio, cfr. Clemente Alessandrino, Strom. II, 20, 110-111 (= SVF II , 205):
tw'n ga;r kinoumevnwn a} me;n kaq∆ oJrmh;n kai; fantasivan kinei'tai, wJ" ta; zw/'a, ta; de; kata;
metavqesin, wJ" ta; a[yuca. kinei'sqai de kai; tw'n ajyuvcwn ta; futa; metabatikw'" fasin eij"
au[xhsin, ei[ ti" aujtoi'" a[yuca ei\nai sugcwrhvsei ta; futav. ”Exew" me;n ou\n oiJ livqoi, fuv-
sew" de; ta; futav, oJrmh'" te kai; fantasiva", tw'n te au\ duoi'n tw'n proeirhmevnwn kai;
ta; a[loga metevcei zw/'a. hJ logikh; de; duvnami" ijdiva ou\sa th'" ajnqrwpeiva" yuch'" oujc
wJsauvtw" toi'" ajlovgoi" zw/voi" oJrma'n ojfeivlei, ajlla; kai; diakrivnein ta;" fantasiva" kai;
mh; sunapofevresqai aujtai'". In generale, circa le fonti di Origene si veda Jackson.
331 La tripartizione è indotta a prima vista dalle seguenti formulazioni: (1) ta; mevn
tina; (2) deuvtera de; para; tau'tav ejsti kinouvmena; (3) trivth dev ejsti kivnhsi". Scott, 126
individua di conseguenza tre categorie di movimento: (1) dall’esterno; (2) «soul in a lesser
110 Parte prima, Capitolo quarto
Il primo tipo di movimento, al livello più basso della scala, è quello
delle realtà che sono mosse dall’esterno (to; kinou'n e[xwqen e[cei). Sor-
prendentemente Origene si sofferma ad esemplificarne le modalità più a
lungo che per i gradi superiori, ma ciò dipende dall’intento di evidenziare
polemicamente le conseguenze assurde della posizione da lui combattuta.
Sono infatti mosse «dal di fuori» non solo le cose inanimate (a[ y uca),
quelle cioè tenute insieme dalla sola «consistenza» (e{xi") o costituzione
naturale332, ma anche gli esseri dotati di fuvsi" e yuchv quando si ritrovino
nella condizione degli esseri inanimati333 . Al regno della fuvsi" sono ricon-
dotte, a titolo di esempio, le pietre in quanto originariamente materiali
estratti dai metalli o la legna, privata della capacità naturale di crescere
(to; fuvein); infatti, in entrambi i casi la loro condizione non differisce
dalla cose tenute insieme dalla sola e{xi"334 . Ma l’assimilazione agli esseri
inanimati vale anche per gli animali (zw/'a) o per le piante (futav ), quando
siano soggetti ad un movimento dall’esterno, allo stesso modo delle pietre
e della legna, essendo trasportati da un luogo ad un altro. È inoltre assimi-
lato ad un movimento indotto dall’esterno anche il flusso derivante dalla
consunzione dei corpi 335 .
Più breve e meglio organizzata ci appare la presentazione degli altri
tipi di movimento, ognuno dei quali è contraddistinto tecnicamente da
––––––––––––––––––
sense, such as the growth of plants, or the movement of elements (as in fire’s upward mo-
tion, earthquakes, winds, and water currents»; (3) «soul in its higher sense». Tuttavia, né
in Prin III, 1, 2 né in Orat VI, 1 sembra che si possa assimilare i movimenti uJpo; fuvsew"
(ad esempio, le piante) e uJpo; yuch'".
332 Per Jay, 97, nota 3, se il termine e{xi", applicato agli esseri razionali, equivale a
un habitus più o meno permanente, «by analogy [...] can be used of the more or less per-
manent condition in which inanimate things like stones exist».
333 «Die Stoiker nahmen auf den verschiedenen Stufen des Seins verschiedene zu-
sammenhaltende Kräfte an: beim Anorganischen die “Konsistenz” (hexis), bei den Pflan-
zen den “Wuchs” (physis), bei den Tieren die Seele (psyche), beim Menschen die Ver-
nunft (logos)» (Görgemanns-Karpp, 465, nota 4; cfr. supra, nota 329).
334 Orat VI, 1 (311, 19-21): livqoi ga;r kai; xuvla, ta; ejkkopevnta tou' metavllou h] to;
fuvein ajpolwlekovta, uJpo; e{xew" movnh" sunecovmena to; kinou'n e[xwqen e[cei. Si confronti
il passo parallelo in Prin III, 1, 2 (196, 8-11), più esplicito nel riconoscere il movimento
vitale di metalli, fuoco e fonti: ejn eJautoi'" de; e[cei th;n aijtivan tou' kinei'sqai zw'/a kai;
futa; kai; aJpaxaplw'" o{sa uJpo; fuvsew" kai; yuch'" sunevcetai: ejx w|n fasin ei\nai kai; ta;
mevtalla, pro;" de; touvtoi" kai; to; pu'r aujtokivnhtovn ejsti, tavca de; kai; aiJ phgaiv. La tra-
dizione stoica alla quale Origene implicitamente si riferisce (fasivn) sembra essere Posi-
donio. Cfr. Görgemanns-Karpp, 465, nota 6 (che rinviano a W. Theiler, Die Vorbereitung
des Neuplatonismus, Berlin 1930, p. 74).
335 Orat VI, 1 (311, 24-312, 1): ka]n kinh'tai kai; tau'ta tw'/ rJeusta; ei\nai pavnta ta;
swvmata fqivnonta, parakolouqhtikh;n e[cei th;n ejn tw'/ fqivnein kivnhsin. Per Van der Ejik,
342 anche questa precisazione risponde alla strategia argomentativa: «Origenes’ Absicht
scheint auch hier zu sein, die Fälle, in denen man von ‘Bewegung von aussen her’ redet,
zuerst aufzuführen, damit die Zuweisung der menschlichen Bewegung an diese Gattung,
was ja die Implikation der gegnerischen Ausgangsposition ist, lächerlich machen wird».
La critica della preghiera 111
una preposizione diversa. Con la seconda categoria Origene trapassa or-
mai dal regno inanimato al regno animato: si tratta di quegli esseri che si
muovono «da se stessi» (ejx eJautw'n) in forza della «natura o anima» che è
presente in loro. L’Alessandrino si riferisce presumibilmente alle piante –
anche se risulta problematico fino a che punto si possa per esse parlare di
un’«anima» piuttosto che di un «principio vitale»336 –, mentre considera
come terzo movimento quello degli animali, i quali si muovono «a partire
da se stessi» (ajf∆ eJautw'n ). La numerazione si arresta all’indicazione del
terzo, ma Origene precisa che il movimento proprio dell’essere razionale
è quello «mediante se stessi» (di∆ eJautw'n), con il che abbiamo di fatto un
quarto movimento. Da notare che se la distinzione dei movimenti operata
mediante diverse preposizioni è attribuita alla fonte o materiale di parten-
za, la formulazione relativa all’essere razionale è proposta in proprio da
Origene337. A questo punto può essere utile mettere a confronto le due
versioni della dottrina dei movimenti in Prin III, 1, 2 e in Orat VI, 1 per
meglio cogliere la specificità del nostro trattato.

Prin III, 1, 2 Orat VI, 1


(196, 3-197, 1) (311, 16–312, 10)
Tw'n kinoumevnwn ta; mevn tina ejn Tw'n kinoumevnwn ta; mevn tina to; ki-
eJautoi'" e[cei th;n th'" kinhvsew" aijtivan, nou'n e[xwqen e[cei w{sper ta; a[yuca
e{tera de; e[xwqen movnon kinei'tai. kai; uJpo; e{xew" movnh" sunecovmena
e[ x wqen me;n ou\n movnon kinei'tai ta; kai; ta; uJpo; fuvsew" kai; yuch'" kinouv-
forhtav, oi|on xuvla kai; livqoi kai; pa'- mena, oujc h|/ toiau'ta e[sq∆ o{te kinouvme-
sa hJ uJpo; e{xew" movnh" sunecomevnh na ajll∆ oJmoivw" toi'" uJpo; e{xew" movnh"
u{lh. sunecomevnoi": livqoi ga;r kai; xuvla,
ta; ejkkopevnta tou' metavllou h] to; fuv-
ein ajpolwlekovta, uJpo; e{xew" movnh"
sunecovmena to; kinou'n e[xwqen e[cei,
ajlla; kai; ta; tw'n zwv/wn swvmata kai; ta;
––––––––––––––––––
336 L’imbarazzo al riguardo si percepisce anche dalle traduzioni. Per esempio, Jay
rende: «those that are moved by the nature or life that is in them». Van der Ejik, 334 rileva
la difficoltà con la fonte di riferimento (cfr. supra, nota 330), dal momento che gli stoici
non attribuiscono alle piante una yuchv e propende per una «Bezeichnung für alle lebenden
Dinge»; il movimento ejx auJtw'n varrebbe insomma generalmente degli esseri viventi
(piante, animali, uomini) ma più specificamente delle piante. Invece secondo Scott anche
per le piante si può parlare di un’ “anima” (cfr. supra, nota 331), come del resto Origene
stesso attesta in CMt XVI, 26 (561, 22-24), in relazione a Mt 21, 19-20: eijt∆ ejpei; e[myuco"
h\n au{th hJ sukh', dia; tou'to levgei wJ" ajkouvsh/ th;n prevpousan aujth/' ajravn.
337 Si confronti rispettivamente levgetai para; toi'" kuriwvteron crwmevnoi" toi'"
ojnovmasi con oi\mai e soprattutto con ejpei; tou'to di∆ eJautou' kinei'sqai wjnomavsamen.
Come osserva Van der Ejik, 344, «Origenes [...] ergänzt also selbständig die stoische
Klassifikation der Bewegungen, was auch dadurch bestätigt wird, daß die uns erhaltenen
stoischen Zeugnisse keine terminologisch separate Kategorie für die Bewegung von Ver-
nunftwesen finden lassen».
112 Parte prima, Capitolo quarto

forhta; tw'n pefuteumevnwn, uJpov tino"


metatiqevmena, oujc h|/ zw'/a kai; futa; me-
tativqetai ajll∆ oJmoivw" livqoi" kai; xuv-
loi" toi'" to; fuvein ajpolwlekovsi:
uJpexh/rhvsqw de; nu'n tou' lovgou to; kiv- ka]n kinh'tai kai; tau'ta tw'/ rJeusta; ei\-
nhsin levgein th;n rJus v in tw'n swmavtwn, nai pavnta ta; swvmata fqivnonta, para-
ejpei; mh; creiva touvtou pro;" to; prokeiv- kolouqhtikh;n e[cei th;n ejn tw'/ fqivnein
menon. kivnhsin.
ejn eJautoi'" de; e[cei th;n aijtivan tou' ki- deuvtera de; para; tau'tav ejsti kinouvme-
nei'sqai zw'a / kai; futa; kai; aJpaxaplw'" na ta; uJpo; th'" ejnuparcouvsh" fuvsew"
o{sa uJpo; fuvsew" kai; yuch'" sunevce- h] yuch'" kinouvmena,
tai: ejx w|n fasin ei\nai kai; ta; mevtal-
la, pro;" de; touvtoi" kai; to; pu'r aujto-
kivnhtovn ejsti, tavca de; kai; aiJ phgaiv.
tw'n de; ejn eJautoi'" th;n aijtivan tou' ki- a} kai; ejx eJautw'n kinei'sqai levgetai
nei'sqai ejcovntwn ta; mevn fasin ejx eJ- para; toi'" kuriwvteron crwmevnoi" toi'"
autw'n kinei'sqai, ta; de; ajf∆ eJautw'n: ojnovmasi.
ejx eJautw'n me;n ta; a[yuca, ajf∆ eJautw'n Trivth dev ejsti kivnhsi" hJ ejn toi'" zwvo/ i",
de; ta; e[myuca. kai; ajf∆ eJautw'n kinei'- h{ti" ojnomavzetai hJ ajf∆ eJautw'n kivnh-
tai ta; e[myuca fantasiva" ejgginomevnh" si": oi\mai de; o{ti hJ tw'n logikw'n kivnh-
oJrmh;n prokaloumevnh". si" di∆ eJautw'n ejsti kivnhsi". eja;n de;
perievlwmen ajpo; tou' zwvo / u th;n ajf∆ eJ-
autou' kivnhsin, oujde; zw'/on e[ti o]n uJpo-
nohqh'nai duvnatai, ajlla; e[stai o{moion
h[toi futw'/ uJpo; fuvsew" movnh" kinoumev-
nw/ h] livqw/ uJpov tino" e[xwqen feromev-
nw/. eja;n de; parakolouqh'/ ti th'/ ijdiva/ ki-
nhvsei, ejpei; tou'to di∆ eJautou' kinei'-
sqai wjnomavsamen, ajnavgkh tou'to ei\-
nai logikovn.

Come appare dal confronto sinottico tra i due testi, sono relativamente
poche le espressioni identiche o analoghe che ricorrono in entrambi (e che
sono qui evidenziate in grassetto). Origene ha riscritto ampiamente il testo
di partenza, sostituendo lo schema generale di Prin III, 1, 2 con uno nuovo.
Nel «Trattato sul libero arbitrio» si opera subito la distinzione prelimina-
re fra movimenti «in se stessi» (ejn eJautoi'") e movimenti «dal di fuori»
(e[xwqen), laddove in Orat VI , 1 si presuppone implicitamente uno schema
di tre (quattro) movimenti come principio ordinatore. Da questo punto di
vista è innegabile che l’esposizione di Prin III, 1, 2 risulti di primo acchito
semplificata ma anche più chiara, se teniamo presenti le difficoltà che su-
scita la precisa qualificazione della seconda categoria di kinouvmena in
Orat VI, 1. È vero poi che il ductus dell’esposizione procede in entrambi i
testi dall’inanimato all’animato, ma la rispettiva esemplificazione dei mo-
vimenti «dal di fuori» tanto è concisa e perspicua in Prin III, 1, 2, quanto
La critica della preghiera 113
è complicata e quasi ridondante in Orat VI, 1. Origene così espande deci-
samente il primo punto per indicare tutte le condizioni assimilabili a ciò
che – secondo la catalogazione di Prin III, 1, 2 – è oggetto di trasporto (ta;
forhtav ) come pietre o legna, in una parola ciò che è tenuto insieme solo
dalla e{xi". Significativamente, nel «Trattato sul libero arbitrio» non è
presa nemmeno in considerazione l’eventualità che «esseri viventi» (zw/'a)
e «vegetali» (futav) possano ridursi nella condizione di pietre o legna. La
spiegazione più verosimile dell’ampliamento di Orat VI, 1 sembra essere
data – come si è detto – dall’intendimento polemico che insiste su un esito
paradossale delle aporie.
Anche la postilla al primo punto segnala la diversità fra i due testi: in
Prin III, 1, 2 Origene non ritiene necessario soffermarsi sul problema se la
rJuvsi", cioè il «flusso» dei corpi soggetti a corruzione, possa essere consi-
derato un movimento o no338 . Invece in Orat VI, 1, la condizione dei corpi
che decadono e si corrompono è vista senza incertezza come una forma
di movimento assimilabile a quelli dall’esterno, poiché la rJuvsi" risulta
essere indotta o derivata dallo stesso processo di corruzione339 . Ancora
una volta si può pensare che la nuova precisazione concorra anch’essa al-
l’obiettivo polemico di estrapolare tutte le conseguenze estreme delle tesi
combattute340 .
Al punto successivo dell’esposizione, passando dall’inanimato al-
l’«animato», Prin III, 1, 2 richiama la seconda categoria generale intro-
dotta all’inizio (i movimenti ejn eJautoi'") e ne specifica i diversi tipi di es-
seri ch’essa ricomprende e che consistono di fuvsi" e yuchv: non solo gli
esseri del regno vegetale e animale, ma anche altre realtà come i metalli,
il fuoco e (con un dubbio residuo) le fonti. Assai più generica è al con-
trario la formulazione della seconda categoria di movimenti in Orat VI, 1,
sebbene l’idea di Prin III, 1, 2 riguardo al principio vitale dei metalli lasci
tracce anche nel testo del trattato sulla preghiera, nel punto dedicato ai
movimenti indotti dal di fuori. Tuttavia, la trattazione di Prin III, 1, 2 sem-
bra rispecchiare meglio, anche se pure essa in maniera sommaria, la ric-
chezza della riflessione origeniana sui movimenti degli esseri creati di cui
troviamo tracce sparse nell’insieme degli scritti 341 .
––––––––––––––––––
338 Si veda anche la traduzione di Rufino: «Omittenda sane nunc est illa quaestio,
quae etiam illum motum putat esse, cum per corruptelam corpora dissolvuntur; nihil enim
haec nunc ad propositum conducunt» (per il confronto tra testo greco e latino in Prin III, 1,
cfr. Rist 1975).
339 Per Van der Ejik, 343, la rJuvsi" è «eine der Verwesung inhärente, d.h. äusserli-
che Bewegungsart». Si veda anche la qualificazione dei corpi in Orat XXVII, 8 (367, 16-
17): peri; a} givnetai hJ au[xh kai; hJ fqivsi" para; to; ei\nai aujta; rJeustav.
340 Di una «diversa strategia argomentativa», anche in relazione alla rJuvsi", parla
giustamente Roselli, 81 nota 52.
341 Insiste particolarmente su questo aspetto Scott, 127. Egli ricorda la convinzione
filosofica secondo cui gli elementi hanno un’anima (cfr. CC VIII, 31), inclusa all’apparenza
114 Parte prima, Capitolo quarto
Se in Orat VI, 1 manca la distinzione dei movimenti ejn eJautoi'", vi
ritroviamo le due categorie in cui Prin III, 1, 2 distribuisce i movimenti
«dall’interno di se stessi»: ejx eJautw'n e ajf∆ eJautw'n. In entrambi i luoghi
l’enunciazione è essenziale, ma non si può non notare un «elemento di
perturbazione», nel discorso più lineare del «Trattato sul libero arbitrio»,
dove Origene caratterizza il movimento ejx eJautw'n come appartenente
agli «esseri inanimati» (a[yuca), mentre quello ajf∆ eJautw'n è proprio degli
e[myuca. Ciò sembra infatti contrastare con l’enunciato di Orat VI, 1 sugli
esseri designati come ta; uJpo; th'" ejnuparcouvsh" fuvsew" h] yuch'" kinouv-
mena, cui pertiene appunto il movimento ejx eJautw'n. Si può sanare la con-
traddizione nel senso che abbiamo ricordato precedentemente, ma si po-
trebbe anche pensare che Origene – tenendo conto di una questione dibat-
tuta – abbia inteso adesso segnalare che il movimento delle piante non è
semplicemente riducibile alla condizione degli a[yuca342 ; ma questa ipo-
tesi risulta meno convincente, se consideriamo il seguito dell’argomenta-
zione343 . La revisione e/o integrazione rispetto a Prin III, 1, 2 è poi atte-
stata specialmente dall’introduzione dell’ulteriore distinzione di∆ eJautw'n
per il movimento degli esseri razionali, il cui significato viene valorizzato
con le riflessioni conclusive. Origene torna, con un’insistenza che è carat-
teristica di tutto il paragrafo, a ipotizzare l’assimilazione con il movimento
degli esseri inanimati, non senza una certa “estremizzazione” indotta dalla
polemica344. Infine, diversamente da Prin III, 1, 2, nel trattato sulla pre-
ghiera non viene approfondita la modalità in cui si dà il movimento degli
esseri razionali, riepilogato qui in termini essenziali con l’idea che asse-
condare il «proprio movimento» è lo specifico di essi. Negare il libero
arbitrio dell’uomo equivarrebbe, in conclusione, a negare non solo il suo
statuto di «essere vivente» («animale») ma anche la sua razionalità345 .
––––––––––––––––––
la terra (cfr. HEz IV, 1). Il nesso fuvsew" kai; yuch'" è spiegato con il motivo che l’anima è
sempre da considerarsi (platonicamente) come fattore del movimento: «Moving up from
elemental movements to higher forms of life, the same principle holds true: self-move-
ment and life do not arise from body but from soul» (p. 127, con il rinvio a CC VI, 48).
342 Oltre al testo di CMt XVI, 26 citato alla nota 336, si ricordi la riserva formulata
da Clemente Alessandrino (supra, nota 330): ei[ ti" aujtoi'" a[yuca ei\nai sugcwrhvsei ta;
futav.
343 Privando gli animali del movimento ajf∆ eJautw'n ne deriva che e[stai o{moion
h[toi futw'/ uJpo; fuvsew" movnh" kinoumevnw/.
344 Si spiega così, mi sembra, la problematica equiparazione fra le piante e le pietre
(h] livqw/ uJpov tino" e[xwqen feromevnw/).
345 Per il problema logico-argomentativo di questa conclusione si veda Van der
Ejik, 346-347: «Dass die Verneinung der kinêsis aph’hautôn eine Verneinung des Wesens
des zôion impliziert, sowie die Verneinung der kinêsis di’hautôn eine Verneinung des
Wesens des logikon zôion impliziert, zeigt sich erst dann, wenn der einfache Unterschied
zwischen innerer und äusserer Bewegung modifiziert und präzisiert worden ist in der Wei-
se, in der Origenes dies in 6, 1 getan hat. Die Gliederung des prôton und deuteron ist also
motiviert durch den Parallelismus mit dem Aufbau der Bewegunskategorien ex hautôn,
La critica della preghiera 115
Dall’inflessione in senso polemico-paradossale, impressa alle consi-
derazioni ontologiche rispetto all’impostazione più “scolastica” di Prin III,
1, 2, Origene prosegue, ancora sulla stessa nota, la sua fondazione del
libero arbitrio adducendo un altro ordine di argomentazioni. Da un lato,
troviamo il richiamo all’esperienza diretta dei propri moti (accennato pe-
raltro anch’esso già nel Trattato sul libero arbitrio, sia pure con diversa
focalizzazione), che non può non confermarci nella convinzione di essere
noi stessi ad agire personalmente, cioè di propria iniziativa, come compete
ad esseri dotati della ragione346 . Dall’altro lato, Origene deduce dall’espe-
rienza personale di libertà, quale sorta di postulato implicito di common
sense, l’idea che l’uomo in pratica non può mai agire come se egli stesso
o gli altri non fossero responsabili dei propri comportamenti347. Si tratta
di un motivo introdotto da Alessandro di Afrodisia nella polemica contro
il fatalismo di matrice stoica, in continuità con l’obiezione formulata da
Carneade rispetto alla prospettiva di un destino vincolante per l’uomo e
come tale distruttivo del suo agire morale 348 . Nel De fato, scritto fra il
198 e il 209, Alessandro aveva confutato per assurdo la tesi deterministi-
ca, sostenendo l’impossibilità pratica di vivere secondo questo principio e
l’imprescindibilità di un agire sorretto dal principio della lode o del bia-
––––––––––––––––––
aph’hautôn und di’hautôn». La spiegazione non dà però conto dell’aspetto problematico
che ho segnalato alla nota 344. Per Muraru (vsi veda «Adamantius» 15[2009], p. 547)
Orat VI sarebbe in contraddizione con Prin III, 1, perché riconoscerebbe il logos anche al
regno animale, ma l’aggiunta di∆ eJautw'n serve precisamente a tracciare meglio la distin-
zione. Sul problema della «razionalità» degli animali si veda Lekkas, 76-83.
346 Il confronto sinottico permette nuovamente di misurare l’innovazione apportata
da Orat rispetto al Trattato sul libero arbitrio. Diversamente dall’attenzione posta in Prin
all’esercizio dello hJgemonikovn, Origene si concentra sull’immediatezza dell’esperienza
personale, di cui cui la funzione giudicante è parte. Si osservi anche l’alternativa piqanov-
thta" /dogmavtwn. Il primo dei due termini è peraltro riecheggiato da piqanoi'" lovgoi".
Prin III, 1, 4 (198, 12-199, 1) Orat VI , 2 (312, 14-18)
Eij dev ti" aujto; to; e[xwqen levgoi ei\nai toiovn- a[llw" te kai; toi'" ijdivoi" pavqesin ejpi-
de, w{ste ajdunavtw" e[cein ajntiblevyai aujtw'/ sthvsa" ti" oJravtw, eij mh; ajnaidw'" ejrei' mh;
toiw'd/ e genomevnw/, ou|to" ejpisthsavtw toi'" aujto;" qevlein kai; mh; aujto;" ejsqivein kai; mh;
ijdivoi" pavqesi kai; kinhvmasin, eij mh; eujdov- aujto;" peripatei'n mhde; aujto;" sugkatativ-
khsi" givnetai kai; sugkatavqesi" kai; rJoph; qesqai kai; paradevcesqai oJpoi'a dhv pote
tou' hJgemonikou' ejpi; tovde ti dia; tavsde ta;" tw'n dogmavtwn mhde; aujto;" ajnaneuvein pro;"
piqanovthta". e{tera wJ" yeudh'.
347 Orat VI, 2 (312, 27-30): biavzetai ga;r hJ ajlhvqeia kai; ajnagkavzei, ka]n muriavki"
ti" euJresilogh'/, oJrma'n kai; ejpainei'n kai; yevgein, wJ" throumevnou tou' ejf∆ hJmi'n, kai; touv-
tou ejpainetou' h] yektou' ginomevnou par∆ hJma'". Koetschau (BKV, 28) legge, sulla scorta
di Plat., Leg. I, 639c, ejpainevtou h] yevktou e traduce: «und dieser [scil. il libero arbitrio]
bei uns zum “Lobredner oder Tadler” wird».
348 È il motivo del cosiddetto ajrgo;" lovgo", un argomento a cui Origene si rifà più
volte. Cfr. Amand.
116 Parte prima, Capitolo quarto
simo e per ciò stesso dell’irrinunciabilità della preghiera di richiesta o di
ringraziamento agli dèi349 .

6. La preghiera fra prescienza e provvidenza: iniziativa umana e risposta


divina

Sul presupposto ormai assodato del libero arbitrio (e fondato, si noti,


mediante un’argomentazione, sia teorica che pratica, unicamente raziona-
le) Origene può proporre il suo modello per conciliare la preghiera con pre-
scienza, predeterminazione e provvidenza divine (Orat VI , 3-5). Egli lo
aveva già elaborato nel Commento a Genesi e nei Principi, ma – se esclu-
diamo un breve cenno nel primo dei due scritti350 – la trattazione non aveva
coinvolto direttamente la questione della preghiera come estrinsecazione
del libero arbitrio. La soluzione esposta adesso, a mo’ di assioma prelimi-
nare, conferma dunque l’idea argomentata in precedenza secondo cui la
prescienza di Dio non è la causa degli eventi futuri, bensì Dio li conosce
in quanto essi avvengono. Per sventare ulteriormente l’implicazione deter-
ministica nel discorso avverso alla preghiera Origene precisa che Dio co-
nosce infallibilmente ciò che peraltro avverrà in maniera contingente351,
alludendo così rapidamente alla sottile distinzione operata nel Commento
a Genesi sulla prescienza divina come conoscenza dei «possibili»352 .
––––––––––––––––––
349 De fato 20 (Thillet 41, 12-19): tw/` ga;r tou`to pepisteumevnw/ oujk ejpitimh`saiv
tini, oujk ejpainevsai tina, ouj sumbouleu`saiv tini, ouj protrevyasqaiv tina, oujk eu[xasqai
qeoi`~, ouj cavrin aujtoi`~ gnw`nai periv tinwn, oujk a[llo ti poiei`n oi\ovn te tw`n ojfeilomev-
nwn eujlovgw~ givnesqai uJpo; tw`n kai; tou` poiei`n e{kaston w\n poiou`sin th;n ejxousivan
pepisteukovtwn. ajlla; mh;n e[xw touvtwn ajbivwto~ oJ tw`n ajnqrwvpwn <bivo~> kai; oujde; th;n
ajrch;n ajnqrwvpwn e[ti. Cfr. Stritzky, 83: «Alexander will den Determinismus ad absurdum
führen, indem er die, die ihn vertreten, aufruft, nur eine kurze Zeit nach deterministischen
Prinzipien zu leben. Sie sähen dann selbst ein, daß ein solches Leben weder lebbar noch
menschlich ist. Zu den Werten, die das menschliche Leben erst menschenwürdig machen,
gehören für Alexander Lob, Tadel und Rat ebenso wie das Bitt- und Dankgebet an die
Götter, da allein die Anerkennung ihrer Möglichkeit die Gewähr für die Entscheidungs-
freiheit bietet». Per Förster 2007, 292, in Alessandro di Afrodisia la preghiera «ist sogar
ein besonderes Kennzeichnen der Willensfreiheit und setzt voraus, daß kein allmächtiges
Schicksal alles vorherbestimme, sondern daß die Götter den Gang aller Ereignisse beein-
flussen können».
350 Cfr. supra, nota 307.
351 Orat VI , 4 (314, 4-10): eja;n dev ti" taravtthtai dia; to; mh; ouj yeuvsasqai to;n
qeo;n ta; mevllonta proegnwkovta, wJ" tw'n pragmavtwn kathnagkasmevnwn, lektevon pro;"
to;n toiou'ton o{ti aujto; tou'to tw'/ qew'/ e[gnwstai ajrarovtw", to; mh; ajrarovtw" tovnde tina;
to;n a[nqrwpon kai; bebaivw" bouvlesqai ta; kreivttona h] ou{tw qelhvsein ta; ceivrona, w{ste
ajnepivdekton aujto;n e[sesqai metabolh'" th'" ejpi; ta; sumfevronta.
352 CGn III = Phil. 23, 8 (158, 40-42): to;n me;n ga;r qeo;n oujk ejndevcetai yeuvsa-
sqai, ejndevcetai de; peri; tw'n ejndecomevnwn genevsqai kai; mh; genevsqai fronh'sai to; ge-
nevsqai aujta; kai; to; mh; genevsqai.
La critica della preghiera 117
In Orat però, diversamente dal Commento a Genesi, l’enunciazione
teorica è ben presto affiancata, se non quasi interamente sostituita, da una
modalità di presentazione della dottrina che sfrutta ripetutamente la tecnica
retorica della prosopopea353. Aspetti speculativi e presentazione retorica
s’intrecciano a questo punto con il dossier dei passi biblici messi avanti
dai critici della preghiera, sia pure con una loro diversa aggregazione354.
Lo si nota subito, in apertura, dalla ripresa allusiva di Ef 1, 4 (Orat VI, 3),
che risponde all’ultima argomentazione aporetica (Orat V, 3) con l’idea
che Dio dalla «creazione del mondo» (katabolh'" kovsmou) conosce in an-
ticipo gli eventi futuri e perciò li preordina secondo il piano di salvezza
dando luogo all’intervento conseguente della sua provvidenza355 . Incon-
triamo dunque nuovamente la distinzione concettuale contenuta nell’argo-
mentazione della quaestio fra prescienza, predeterminazione (o predesti-
nazione) e provvidenza, ma senza l’ipoteca deterministica che accompa-
gnava la formulazione delle aporie356. Per illustrare meglio la sua idea
––––––––––––––––––
353 In CGn III = Phil. 23, 8 (come avviene anche in Prin III, 1), Origene sembra pre-
ferire l’argomentazione paradigmatica. Per negare la causalità della prescienza divina fa
l’esempio della vista di un uomo che si avvii su una strada sdrucciolevole e che prevedibil-
mente scivolerà, senza pertanto essere noi la causa della sua caduta: ou{tw nohtevon to;n
qeo;n proewrakovta oJpoi'o" e[stai e{kasto" kai; ta;" aijtiva" tou' toiou'ton aujto;n e[sesqai
kaqora/'n kai; o{ti aJmarthvsetai tavde h] katorqwvsei tavde (156, 11-14). Tuttavia, anche qui
riscontriamo l’utilizzo della prosopopea almeno in Phil. 23, 9, dove sembra comunque di
avvertire qualche cautela nel far parlare Dio in discorso diretto: kai; levgoi a]n hJ gnw'si" tou'
qeou' o{ti ejndevcetai me;n tovnde tovde poih'sai, ajlla; kai; to; ejnantivon: ejndecomevnwn de;
ajmfotevrwn, oi\da o{ti tovde poihvsei: ouj ga;r w{sper oJ qeo;" ei[poi a[n, oujk ejndevcetai tovnde
tina; to;n a[nqrwpon pth'nai, ou{tw crhsmo;n fevre eipei'n, periv tino" didou;" ejrei' o{ti oujk
ejndevcetai tovnde swfronh'sai. Duvnami" me;n ga;r pavnth oujk e[sti tou' pth'nai oujdamw'" ejn
tw/' ajnqrwvpw/, duvnami" de; e[stai tou' swfronh'sai kai; tou' ajkolasth'sai (160, 10-17).
354 Fra l’altro, non vi ritroviamo il rinvio alla quaestio de Iacob et Esau suscitata da
Rm 9, 11-12 e Gn 25, 23 (cfr. supra, nota 316).
355 Orat VI , 3 (313, 1-11): eij dh; to; ejf∆ hJmi'n swv/zetai, muriva" o{sa" ajponeuvsei"
e[con pro;" ajreth;n h] kakivan kai; pavlin h] pro;" to; kaqh'kon h] pro;" to; para; to; kaqh'kon,
ajnagkaivw" tou'to meta; tw'n loipw'n, pri;n gevnhtai, tw'/ qew'/ e[gnwstai ajpo; ktivsew" (cfr.
Rm 1, 20) kai; katabolh'" kovsmou, oJpoi'on e[stai: kai; ejn pa'sin, oi|" prodiatavssetai oJ
qeo;" ajkolouvqw" w/| eJwvrake peri; eJkavstou e[rgou tw'n ejf∆ hJmi'n, prodiatevtaktai kat∆
ajxivan eJkavstw/ kinhvmati tw'n ejf∆ hJmi'n to; kai; ajpo; th'" pronoiva" aujtw'/ ajpanthsovmenon e[ti
de; kai; kata; to;n eiJrmo;n tw'n ejsomevnwn sumbhsovmenon, oujci; th'" prognwvsew" tou' qeou'
aijtiva" ginomevnh" toi'" ejsomevnoi" pa'si kai; ejk tou' ejf∆ hJmi'n kata; th;n oJrmh;n hJmw'n ejner-
ghqhsomevnoi". Per chiarire l’idea di una «concatenazione degli eventi futuri» (eiJrmo;" tw'n
ejsomevnwn) si veda Phil. 23, 8.
356 L’importanza della distinzione concettuale, ai fini della soluzione proposta dal-
l’Alessandrino, è messa in luce da Van der Ejik, 339: «Es ergibt sich [...], dass Origenes
eine Lösung gefunden zu haben meinte, indem er einen Unterschied zwischen Gottes Vor-
herwissen (provgnwsi"), seiner Vorsehung (provnoia) und seiner Prädestination (prodia-
tavttein) machte. Nach seiner Auffassung ist Gottes Vorherwissen nicht die Ursache der
menschlichen Handlungen und Willensakten, sondern dies ist auf diesen Willensakten
basiert: das Vorherwissen ist zwar temporal (und vom Menschen aus gesehen) primär,
118 Parte prima, Capitolo quarto
della conciliazione fra libertà dell’uomo e iniziativa divina Origene si
serve di una serie di esemplificazioni in discorso diretto: con un’ “arditez-
za” che sorprende solo chi non ha confidenza con gli scritti dell’Alessan-
drino (dove questa tecnica è attestata in abbondanza)357, egli fa parlare di-
rettamente Dio, ragionando senza imbarazzo apparente ex parte Dei. La
risposta divina alla domanda dell’uomo, sia essa di esaudimento o di ri-
fiuto, è esemplificata prima in generale e poi in rapporto agli esempi bibli-
ci addotti dagli avversari della preghiera.
a) Piano divino in risposta ai diversi tipi di oranti
(Orat VI, 4 [313, 20-314, 22])
– ejn th'/ diatavxei tetavxetai, o{ti tou'de me;n ejpakouvsomai sunetw'" eujxomevnou di∆
aujth;n th;n eujch;n, h}n eu[xetai, tou'de de; oujk ejpakouvsomai h[toi dia; to; ajnavxion
aujto;n e[sesqai tou' ejpakousqhvsesqai h] dia; to; tau'ta aujto;n eu[xasqai, a} mhvte
tw'/ eujcomevnw/ lusitelei' labei'n mhvte ejmoi; prevpon parascei'n.
– kai; kata; thvnde me;n th;n eujch;n, fevre eijpei'n, tou' dei'no" oujk ejpakouvsomai
aujtou' kata; thvnde de; ejpakouvsomai.
– kai; pavlin tavde mevn tina poihvsw tw'/de eujxomevnw/.
– tw'/de de; ejpi; poso;n eujxomevnw/ uJperekperissou' w|n aijtei'tai h] noei' dwrhvsomai.
– kai; tw'/de mevn tini toiw'/de ejsomevnw/ tovnde to;n a[ggelon leitourgo;n ejpipevmyw.
– tou'de dev tino", meta; to; ejpidedwkevnai eJauto;n lovgoi" toi'" diafevrousin uJpek-
luqhsomevnou kai; palindromhvsonto" ejpi; ta; uJlikwvtera, ajposthvsw tovnde to;n
kreivttona sunergovn.
b) Piano divino in risposta all’agire di Giosia, Giuda e Paolo
(Orat VI, 5 [314, 26-315, 14])
– ou{tw" ou\n h[dh oiJonei; ejrei' oJ prodiatassovmeno" ta; o{la o{ti ∆Amw;" gennhvsei
to;n ∆Iwsivan, o{sti" ouj zhlwvsei ta; tou' patro;" ptaivsmata.
– oi\da de; kai; ∆Iouvdan, ejpidhmhvsantov" mou tou' uiJou' tw'/ tw'n ajnqrwvpwn gevnei,
kata; me;n ta;" ajrca;" ejsovmenon kalo;n kai; ajgaqo;n u{steron de; ejktraphsovmenon.
– eijdw;" de; ta; mevllonta, kai; oJpoi'on tovnon e{xei pro;" th;n qeosevbeian oJ Pau'lo",
ejn ejmautw'/ mevn, pri;n ktivsai to;n kovsmon ejpiballovmeno" th'/ ajrch'/ th'" kosmo-
poii?a", aujto;n ejpilevxomai kai; tai'sde sunergouvsai" ajnqrwvpwn swthriva/ dunav-
mesin a{ma tw'/ gennhqh'nai paraqhvsomai.
––––––––––––––––––
logisch aber sekundär hinsichtlich der Willensakten, die frei und indeterminiert sind. Auf
dem Vorherwissen gründet sich dann Gottes Vorherbestimmung, wobei die Vorsehung
das auf das endgültige Heil des Menschen zielendes Prinzip ist, hinsichtlich dessen Gott
die menschlichen Willensakten belohnt oder bestraft» (p. 339). Da notare l’assenza del ter-
mine proorismov", presente invece in Phil 25, 1-2 (= CRm I, 1, 24; 2,5.7) e anche altrove,
in coppia con provgnwsi" (cfr. CMt XIII, 27 [254, 19-20]).
357 In Orat la ritroviamo ancora riferita a Dio (XXIX, 10) e a Gesù (XV, 4). Cfr. anche
Prin III, 1, 10-11, dove Origene si serve ad un tempo di argomento paradigmatico e proso-
popea, ma lo fa più succintamente rispetto a Dio (§ 10) e più direttamente per il sole (§ 11):
”Wsper de; eij kai; oJ h{lio" e[lege fwnh;n proi>evmeno" o{ti ejgw; thvkw kai; xhraivnw (212, 1-2).
La critica della preghiera 119
L’utilizzo sistematico di questo espediente retorico (segnalato in
grassetto per il verbo riferito al soggetto divino), a scapito di un approccio
più teorico, risponde alla “situazione dialogica” che è insita costitutiva-
mente nell’esperienza della preghiera. Ma, con impostazione originale,
Origene considera il rapporto fra orante e Dio proprio dalla prospettiva
che non è immediatamente accessibile a chi prega ed è tuttavia necessa-
riamente presupposta nell’atto di pregare. L’orante, infatti, s’immagina un
Dio che ascolta e risponde a lui nel momento in cui l’invoca 358 . Per tale
motivo la finalità esplicativa di questa modalità colloquiale è senza dub-
bio animata anche da un intento pedagogico ed esortativo, conforme alle
preoccupazioni protrettiche del trattato. Ma sarebbe riduttivo intendere la
personificazione origeniana soprattutto come un espediente retorico e stru-
mentale, poiché essa riflette meglio delle affermazioni teoriche la visione
di un Dio provvidente, Padre amorevole di tutte le creature, prospettiva
alla quale secondo Origene deve guardare anche l’orante. Inoltre, si do-
vrebbe tenere presente che forse più ancora della prassi retorica tout court
la tecnica della prosopopea può essere vista anche come un calco o una
riscrittura del linguaggio della Bibbia. Come Dio parla in prima persona
attraverso i profeti, così l’interprete delle Scritture lo fa parlare nella sua
esegesi dei passi biblici che implicano un intervento divino diretto nei
confronti dell’uomo359. L’Alessandrino non ricade insomma inevitabil-
mente nell’immagine di un Dio “troppo umano”, perché con la sua argo-
mentazione asseconda semmai la manifestazione di un Dio che chiama
l’uomo alla salvezza e instaura il suo colloquio con lui senza mai dere-
sponsabilizzarlo.
Ne abbiamo la prova evidente nei contenuti dei discorsi messi in
bocca a Dio da parte di Origene che riguardano tutti la condotta di colui
che si accosta a Dio nella preghiera. Ripercorrendo le successive “personi-
ficazioni” si nota l’insistenza sull’ethos degli oranti, con le loro scelte e
condotte di vita, nel bene e nel male. Vi si può ricavare in un certo senso
anche un compendio dell’ars orandi, riguardante sia le condizioni o l’at-
teggiamento di chi prega (il kaqo; dei'), sia i contenuti (lo o} dei') della pre-
ghiera. Dio è detto infatti accogliere la preghiera di colui che prega «con
intelligenza» (sunetw'" ), mentre non esaudisce la richiesta di chi è «inde-
gno» (ajnavxion) di ricevere o gli chiede cose che non giovano all’orante
né si addice a Dio concedere. Con ciò Origene non prefigura un automa-
––––––––––––––––––
358 Apprezzando come «classica» la «profonda apologia» della preghiera rappre-
sentata da Orat, Heiler, 217 osserva: «Seine Lösung will einerseits die Unveränderlichkeit
Gottes unangetastet lassen, andererseits den dem naiven Beten zugrundeliegenden Glau-
ben an eine reale Einwirkung auf Gott festhalten».
359 La continuità fra la prosopopea e il linguaggio biblico è ben evidenziata da CGn
III = Phil. 23, 10, dove Origene commenta le parole divine trasmesse dal profeta: i[sw"
ajkouvsontai kai; metanohvsousin (Ger 33, 3).
120 Parte prima, Capitolo quarto
tismo di scambio fra richiesta e dono, poiché Dio può decidere di conce-
dere liberalmente i suoi benefici ben più di quanto gli venga domandato.
Oppure può assecondare l’agire dell’uomo con il sostegno dei suoi an-
geli, commisurando l’aiuto prestato al diverso stato spirituale del singolo,
ma può anche privarlo di tale ausilio se egli si volga al male, lasciandolo
allora preda della potenza avversa che ha attirato verso di sé nel peccare.
Anche i tre personaggi biblici, nei quali Origene riunisce i luoghi
scritturistici addotti dagli avversari dalla preghiera rispecchiano la situa-
zione morale dell’uomo posto dinanzi alla scelta fra il male e il bene. Gio-
sia e Giuda prendono strade opposte, pur essendo possibile ad entrambi
di vivere da kaloi; kai; ajgaqoiv, come si esprime l’Alessandrino, facendo
proprio l’ideale morale della paideia greca dentro l’orizzonte biblico360.
Infine Origene presenta in Paolo il modello più complesso dell’interazio-
ne fra libero arbitrio dell’uomo e iniziativa di salvezza, riunificando nella
prosopopea più sviluppata i diversi passi sfruttati dagli avversari ed ora
composti in un magnifico intarsio a caratterizzare la personalità morale
dell’Apostolo. La sua elezione avviene in mente Dei «prima della creazio-
ne del mondo», con un’eco sia di Ef 1, 4 sia di un’analoga formulazione di
carattere generale circa la prescienza divina nel Commento a Genesi361.
La predestinazione, conseguente a prescienza ed elezione e menzionata
con Gal 1, 15, è contraddistinta anche dall’attribuzione a Paolo di «potenze
che cooperano alla salvezza degli uomini». Questo aiuto non lo preserva
però dall’agire come persecutore della chiesa (assistendo all’uccisione
di Stefano secondo At 7, 58), prima di volgersi nuovamente al bene con
l’aiuto della grazia divina. In compenso, l’esperienza giovanile lo impedirà
di vantarsi delle rivelazioni di cui egli è stato fatto oggetto in abbondanza
(2Cor 12, 7)362 .
Non è un caso che questo ritratto dell’Apostolo fatto di luci ed ombre
segni in pratica la conclusione del serrato confronto con i critici della pre-
ghiera, almeno per quanto riguarda la prospettiva dell’uomo orante, dotato
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360 Orat VI , 5 fa così da pendant a Orat V, 5, alludendo nel succinto ritratto di Giosia,
re giusto e fedele, a 2Re 21, 24; 22, 2; 23, 4-25. Riguardo a Giuda, Origene associa a Dio
anche il Figlio di Dio nella prescienza dei misteri riguardo all’apostolo traditore, prean-
nunciando profeticamente la sua sorte con Sal 108(109), 1: w{ste meta; katalhvyew" aujto;n,
kai; pri;n genevsqai to;n ∆Iouvdan, dia; tou' Daui÷d eijrhkevnai: oJ qeo;", th;n ai[nesivn mou mh;
parasiwphvsh/" kai; ta; eJxh'" (315, 8-10).
361 Si confronti Orat VI, 5 ([315, 11-12] pri;n ktivsai to;n kovsmon ejpiballovmeno"
th'/ ajrch'/ th'" kosmopoii?a") con CGn III = Phil. 23, 8 ([154, 1-2] ejpibavllwn oJ qeo;" th/' ajrch/'
th'" kosmopoii?a" [Origène. Philocalie 21-27, Sur le libre arbitre).
362 Orat VI, 5 (315, 21-26): kai; aijsqovmeno" th'" ejsomevnh" mou eij" aujto;n eujerge-
siva" meta; ta; ejn neovthti profavsei qeosebeiva" ptaivsmata ei[ph/: cavriti de; qeou' eijmi o{
eijmi (1Cor 15, 10): kai; kwluovmeno" de; uJpo; tou' suneidovto" dia; ta; uJpo; neanivou aujtou'
e[ti tugcavnonto" pepragmevna kata; Cristou' oujc uJpereparqhvsetai th'/ uJperbolh'/ tw'n
ejp∆ eujergesiva/ fanerwqhsomevnwn aujtw'/ ajpokaluvyewn (2Cor 12, 7).
La critica della preghiera 121
del libero arbitrio (aspetto che – come sappiamo – viene esteso in Orat VII
ai corpi celesti, intenti pure essi alla preghiera)363. Con l’immagine di Pao-
lo tracciata qui da Origene l’accento etico che predominava nelle prece-
denti personificazioni trapassa in una consapevolezza più acuta della vi-
cenda umana come segnata drammaticamente dall’esperienza del peccato,
sia pure in un protagonista vittorioso, quale è appunto l’Apostolo. I doni
di grazia di cui Dio lo ricolma non gli fanno perdere di vista le colpe pre-
cedenti, mentre lo aiutano a riconoscere la trasformazione della sua vita
come conseguenza dell’intervento divino. In filigrana, anche nel ritratto
di colui che è fin da principio il testimone-chiave per il discorso orige-
niano sulla preghiera si può ritrovare la nota drammatica che lo percorre
intimamente e che al tempo stesso determina la sua concreta attuazione in
un’esperienza orante. Anche per tale percezione questa esperienza risulta
ben diversa dallo stesso modello proposto dall’ideale filosofico della pre-
ghiera364. Risolte le aporie sulla preghiera, nel seguito del trattato, fino al
termine della prima sezione (Orat XVII), Origene si sforzerà di riflettere
sui modi in cui può darsi precisamente la sua prassi effettiva.

––––––––––––––––––
363 Il riconoscimento del libero arbitrio negli astri, in stretto legame con la preghie-
ra, è motivato a partire dall’invito rivolto loro a lodare Dio in Sal 148, 3. Cfr. Orat VII
(316, 9-10): kai; eij peri; tou' ejf∆ hJmi'n eJtevrou mh; mavthn eu[comai, pollw'/ plevon peri; tou'
ejf∆ hJmi'n tw'n ejn oujranw'/ swthrivw" tw'/ panti; coreuovntwn ajstevrwn.
364 Heiler, 208 ne riepiloga così contenuti e limiti: «Die Bitte um das sittlich Gute,
die Ergebung ins Schicksal, die Anbetung der Grösse Gottes. [...] Und doch ist dieses Ge-
bet dem Philosophen nicht eine Notwendigkeit wie dem Frommen, der ohne Gebet nicht
leben kann, sondern etwas entbehrliches. Das sittliche Ideal laesst sich auch verwirkli-
chen, ohne dass man im Gebet den Gnadenbeistand Gottes erfleht».
CAPITOLO QUINTO

L’ATTO DELLA PREGHIERA


Abbozzi di un’ ars orandi

«Ora, mio caro, dammi il tuo cuore e il tuo


pensiero e ascolta la forza della preghiera pura
e guarda come i nostri padri giusti antichi si
siano resi illustri con la loro preghiera davanti
a Dio e come essa fu per loro un’offerta pura»
(Afraate)

1. Uno sguardo prospettico: dal fondamento scritturistico alla prassi


orante

Sarebbe ingenuo pensare di estrarre dal discorso di Origene un “bre-


viario” dell’ars orandi, sebbene la parola fosse “nell’aria” già con Tertul-
liano ed egli stesso non abbia esitato a servirsi di espressioni analoghe nel
giustificare il supplemento di riflessione sul «problema della preghiera»
(Orat XXXI-XXXIII)365 : questa sezione conclusiva circa le disposizioni in-
teriori, l’atteggiamento esteriore, i tempi e i luoghi della preghiera, al dire
dell’autore, vuole infatti procedere «in maniera più sommaria» o «manua-
listica» (eijsagwgikwvteron)366 . L’Alessandrino dunque non era per princi-
pio refrattario all’idea di un “compendio introduttivo”, ma bisogna ricono-
scere che solo nel complemento finale si è dato premura di procedere in
maniera sistematica e, per così dire, “enciclopedica”, senza peraltro atte-
nervisi rigorosamente367 . Nel resto del trattato le cose sono molto più com-
plicate e non è facile cogliere con precisione un ordine tematico o uno svi-
luppo organico di pensiero, anche per la grande varietà e la profondità
degli spunti enunciati via via. Ciò non toglie che, sciolto il nodo teorico
della critica della preghiera, l’argomento unificante sia in fin dei conti pro-
prio l’atto del pregare nella più ampia articolazione delle sue espressioni,
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365 Per Tertulliano, De orat. 1, 6, il Padrenostro è un breviarium totius evangelii
(cfr. infra, nota 1640).
366 Orat XXXI, 1 (395, 13-17): Dokei' dev moi meta; tau'ta oujk a[topon ei\nai uJpe;r
tou' plhrwqh'nai to; peri; th'" eujch'" provblhma dialabei'n eijsagwgikwvteron peri; th'" ka-
tastavsew" kai; tou' schvmato" [...] kai; tovpou [...] kai; klivmato" [...] kai; crovnou. Cfr. su-
pra, p. 71. Per l’intenzione “enciclopedica” si veda Perrone 2007 (in part. p. 57 e nota 35
sull’uso del termine eijsagwgikov").
367 Manca, infatti, la preannunciata trattazione dei tempi della preghiera (Orat
XXXI, 1 [395, 17]: crovnou eij" eujch;n ejpithdeivou kai; ejxairevtou).
124 Parte prima, Capitolo quinto
dai modelli biblici cui s’ispira fino ai molteplici fattori che l’accompagna-
no, in positivo e in negativo, e alle modalità che rendono possibile il suo
compimento nella forma più piena. Pertanto, pur procedendo in gran parte
sul filo del testo – secondo l’opzione originaria di questa indagine –, oc-
corre guadagnare uno sguardo prospettico che componga insieme i diversi
elementi senza disconoscere nel contempo la loro natura di “abbozzi”.
Per tracciare il nostro quadro dobbiamo in ogni caso unire nella presen-
tazione la prima sezione (Orat III-XVII) alla terza (Orat XXXI-XXXIII). Ciò
darà modo di approfondire inizialmente il linguaggio biblico della pre-
ghiera, quindi i paradigmi di oranti nelle Scritture, per passare da ultimo
ad esaminare l’atto orante nei suoi vari aspetti.
È scontato che la presentazione si avvii con l’analisi della terminolo-
gia della preghiera nella Bibbia, non solo perché questa è l’indicazione
che ci viene direttamente dal testo – già con i due capitoli preliminari al-
l’esame della quaestio e aventi per oggetto la sua semantica biblica (Orat
III- IV), senza considerare al momento il modello del Padrenostro commen-
tato nella seconda sezione (Orat XVIII-XXX) –, ma soprattutto perché il ri-
ferimento al testo ispirato possiede sempre un valore essenziale per Ori-
gene: dalle Scritture egli trae la fonte principale, il fondamento e la
norma del suo pensiero. Non è diverso per il discorso sulla preghiera, ma
si potrebbe ancora aggiungere che nella riflessione dell’Alessandrino al
riguardo c’è una profonda corrispondenza “simmetrica” fra la lettura
della Bibbia e l’esperienza della preghiera368. L’una e l’altra si presentano
come due operazioni contrassegnate da un medesimo dinamismo spiri-
tuale: la prima coll’impegno a passare dalla «lettera» del testo biblico allo
«spirito», cioè al suo significato nascosto e conforme alla natura di uno
scritto divinamente ispirato; la seconda con l’invito a non domandare a
Dio le «cose piccole e terrene» bensì le «cose grandi e celesti», attenen-
dosi alle parole stesse di Gesù369. Questa corrispondenza fra l’intelligenza
della Scrittura e la prassi orante risulta specialmente evidente nella spie-
gazione in senso spirituale dei benefici ottenuti dagli oranti dell’Antico
Testamento370, ma essa ricompare nell’interpretazione del Padrenostro,
dove la preghiera per la «santificazione del nome» di Dio segna nuova-
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368 Sull’importanza della Bibbia in Orat si vedano Trevijano Etcheverría e Cocchini
1997b. Cfr. anche Perrone 1997, 17-21 («Un discorso dalla Bibbia e sulla Bibbia: argo-
mentazione scritturistica e operazione esegetica»). Sulla corrispondenza fra esegesi biblica
e interpretazione della preghiera e/o del rito si veda Studer.
369 Si ricordi l’agraphon assunto da Origene come indicazione normativa (cfr. su-
pra, nota 169).
370 Orat XIV, 1 (330, 6-11): Touvtwn de; hJmi'n eJrmhneuqevntwn eij" ta;" dia; tw'n pro-
seucw'n gegenhmevna" toi'" aJgivoi" eujergesiva", katanohvswmen to; aijtei'te ta; megavla, kai;
ta; mikra; uJmi'n prosteqhvsetai: kai; aijtei'te ta; ejpouravnia, kai; ta; ejpivgeia uJmi'n proste-
qhvsetai. pavnta ge ta; sumbolika; kai; tupika; sugkrivsei tw'n ajlhqinw'n kai; nohtw'n mi-
krav ejsti kai; ejpivgeia. Da ricordare anche XIII, 4 (cfr. infra, nota 449).
L’atto della preghiera 125
mente l’incontro fra le due prospettive: la prima petizione ha infatti per
oggetto proprio l’acquisizione di quel concetto di Dio che meglio com-
pete alla sua realtà di essere spirituale e trascendente371 . Di conseguenza,
l’autentica preghiera, in tutto corrispondente alla «lettura spirituale» della
Bibbia, non può essere altro che questo tipo di domanda, definibile an-
ch’essa per analogia come la «preghiera spirituale», secondo un’espres-
sione che del resto è adoperata dallo stesso Alessandrino372.

2. L’indagine sulla terminologia biblica: il primato della proseuchv

Dalla terminologia scritturistica Origene ha cercato di trarre il termine


più calzante per qualificare il proprio modello di preghiera nel suo profilo
distinto e conferirgli così un rilievo esemplare. Fin dalla rassegna intro-
duttiva sul vocabolario della preghiera (Orat III-IV) egli mostra di voler
privilegiare l’espressione proseuchv, che ai suoi occhi designa nella Bib-
bia la «preghiera» in senso pregnante, distinta dal termine eujchv, la cui
accezione primaria corrisponde per Origene a «voto»373 . In realtà, egli è
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371 In Orat XXIII, 3 (351, 18-19) Origene prende posizione contro quanti intendono
alla lettera le espressioni spaziali riferite a Dio: pro;" tou;" eij" tou;" qhsaurou;" th'" lev-
xew" ejlqei'n mh; boulomevnou". L’indicazione ermeneutica, che fa da pendant alla norma
della preghiera spirituale, è formulata in XXIII, 1 (350, 1-4): kai; kaqolikw'" ta;" o{son ejpi;
tw'/ rJhtw'/ levxei", ta;" nomizomevna" toi'" aJploustevroi" ejn tovpw/ favskein ei\nai to;n qeo;n,
metalhptevon prepovntw" tai'" megavlai" kai; pneumatikai'" ejnnoivai" peri; qeou'. Cfr. an-
che XXIII, 5 (353, 6-9): uJpe;r tou' pavntoqen kata; th;n didomevnhn hJmi'n duvnamin pei'sai to;n
ejntugcavnonta uJyhlovteron kai; pneumatikwvteron ajkouvein th'" qeiva" grafh'", o{tan dokh'/
ejn tovpw/ didavskein ei\nai to;n qeovn.
372 Cfr. supra, p. 76 e nota 384. La stessa qualificazione è adottata da Tertulliano e
Cipriano con la loro idea di una spiritalis oratio (cfr. infra).
373 La preferenza accordata da Origene a proseuchv combacia peraltro con le indi-
cazioni della lessicografia neotestamentaria: se nel greco extrabiblico eu[comai ed eujchv
indicano «l’invocazione alla divinità», sia nel significato generale di «chiedere, pregare»,
sia nell’accezione specifica di «promettere, far voto» (Greeven-Herrmann, 1210), nella
Bibbia greca i due termini «cedono sensibilmente terreno a proseuvcomai, proseuchv, che
divengono i termini principali per designare la preghiera; nel Nuovo Testamento rari sono
i residui del termine semplice» (col. 1211). Mentre il verbo proseuvcomai è attestato ripe-
tutamente a partire da Orat II , 1, la prima occorrenza del sostantivo proseuchv figura in II, 2
nella citazione di 1Cor 7, 5 (i{na scolavshte th'/ proseuch')/ . In II, 5 (303, 3. 12-16), sempre
a mo’ di citazione, Origene menziona i titoli di tre salmi – Sal 16(17), 1 (p. tou' Daui÷d);
89(90), 1 (p. tw'/ Mwu>sei'); 101(102), 1 (p. tw'/ ptwcw'/) –, specificandoli come «preghiere
veramente spirituali»: ai{tine" proseucai;, ejpei; ajlhqw'" h\san proseucai; ginovmenai
pneuvmati legovmenaiv te, kai; tw'n dogmavtwn th'" tou' qeou' sofiva" peplhvrwntai, w{ste eij-
pei'n a[n tina peri; tw'n ejn aujtai'" ejpaggellomevnwn: tiv" sofo;", kai; sunhvsei tauvta"… kai;
suneto;", kai; ejpignwvsetai aujtav" … (Os 14, 10). Dopo questi passi, estratti tutti dalle Scrit-
ture, la conclusione del Prologo (II, 6 [303, 21]) dichiara l’impossibilità di una genuina
esperienza di preghiera e comprensione di essa, a meno che intervenga il dono dello Spi-
rito: ouj gavr pou ejmautw'/ divdwmi cwrei'n th;n p. In seguito, Origene traccia in III, 2 distin-
126 Parte prima, Capitolo quinto
costretto a prendere atto che la distinzione tracciata fra i due termini non
regge interamente, dal momento che, mentre eujchv può assumere l’acce-
zione generica di «preghiera», a sua volta anche proseuchv acquista occa-
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zione e sovrapposizione fra eujchv e proseuchv, dedicando più specificamente a quest’ul-
tima IV . In V, 5 l’elaborazione biblica dell’aporia sulla preghiera richiama, fra i vari esem-
pi, la p. di Giuda (cfr. Sal 108[109], 7), ma la stessa parola compare per due volte nei
piqanav sottoposti da Ambrogio (V, 6 [311, 10–11. 13]: mataiva hJ p.). Altre occorrenze fi-
gurano in VIII, 1 (316, 27–317, 2), a proposito delle disposizioni di spirito con cui acco-
starsi alla preghiera: oujde; meta; ojrgh'" kai; tetaragmevnwn logismw'n ejpi; th;n p. ejlqetevon,
ajll∆ oujde; cwri;" kaqareuvsew" e[stin ejpinoh'sai ginomevnhn th'/ proseuch'/ scolhvn (con
nuova allusione a 1Cor 7, 5). In XI , 1 (321, 20–322, 2) il vocabolo ritorna in tre citazioni
da Tb: eijshkouvsqh, fhsi;n hJ grafh;, p. ajmfotevrwn ejnwvpion th'" dovxh" tou' megavlou ÔRa-
fah;l [...] ejgw; proshvgagon to; mnhmovsunon th'" p. uJmw'n ejnwvpion tou' aJgivou (Tb 12, 12);
ejgwv eijmi ÔRafah;l, ei|" tw'n eJpta; ajggevlwn, oi} prosanafevrousi <ta;" p. tw'n aJgivwn> (Tb
12, 15); ajgaqo;n p. meta; nhsteiva" kai; ejlehmosuvnh" kai; dikaiosuvnh" (Tb 12, 8). XII , 2
(325, 11) la menziona per la prima delle tre ore di preghiera, con una nuova citazione: to;
prwi÷ eijsakouvsh/ th'" p. mou (Sal 5, 4). XIII, 1 (326, 4-5) la usa a proposito della preghiera
di Gesù in Lc: kai; h\n dianuktereuvwn ejn th'/ p. tou' qeou' (Lc 13, 1); XIII, 2 (326, 19-20),
per Ester e Mardocheo: p. meta; nhsteiva" Mardocaivou kai; ∆Esqh;r; per Giuditta (326, 22):
ajlla; kai; ∆Ioudh;q aJgivan ajnenegkou'sa p.; e per Daniele (326, 27-28): dia; ta;" tou' Danih;l
p. In XIII, 4 (328, 3-4) figura ancora nel catalogo degli oranti esauditi: to;n katavlogon tw'n
wjfelhqevntwn dia; p., mentre in XIV, 2 è citata da 1Tm 2, 1 ed è oggetto di definizione (cfr.
infra, nota 377). Anche XIV, 4 (332, 8) riprende il termine dal testo biblico: p. ∆Abbakou;m
tou' profhvtou meta; wj/dh'" (Ab 3, 1); e riconosce poi la preghiera di Abacuc come esempio
calzante di p. (332, 13-14): sfovdra de; au{th ejmfaivnei to; kata; to;n o{ron th'" p. In XIV, 5
(333, 5) Origene distingue dalla p. la preghiera di Sansone, precisandola come e[nteuxi":
h{ti" eJtevra para; th;n p.; mentre in XV, 1 (333, 26) è indicata come l’unica forma di pre-
ghiera che si addice a Dio, eja;n de; ajkouvwmen o{ ti potev ejsti p. Perciò occorre rivedere di
conseguenza la prassi delle preghiere liturgiche (334, 11): dia; tw'n p. levgonte". XV , 2
(334, 17-18.21) ribadisce il modello della p. come la «preghiera dei santi» rivolta a Dio,
con la mediazione di Cristo: eujcaristou'nte" ou\n oiJ a{gioi ejn tai'" p. eJautw'n tw'/ qew'/ dia;
Cristou' ∆Ihsou' cavrita" oJmologou'sin aujtw/' [...] ou{tw" ouj cwri;" aujtou' p. tina prose-
nektevon tw'/ patriv. Lo stesso paradigma è inculcato mediante una prosopopea di Gesù in
XV, 4 (336, 3-4): movnw/ ga;r tw'/ patri; met∆ ejmou' kai; di∆ ejmou' ajnapemptevon ejsti;n uJmi'n p.
In XVI, 2 (336, 24-25) si respinge un’obiezione riguardo ai beni materiali: ta; kata; to; sw-
matiko;n ejk p. toi'" aJgivoi" dwrhqevnta. In XVIII, 1 (340, 7-8) il Padrenostro è introdotto
come la p. per eccellenza: th;n uJpografei'san uJpo; tou' kurivou p.; idea ribadita in XVIII, 2
(340, 12), rispetto alle versioni diverse di Mt e Lc: pro;" to; dei'n ou{tw" proseuvcesqai p.
XVIII, 3 (340, 28; 341, 8-9) considera la tesi che i due testi paralleli del Padrenostro non
siano la stessa preghiera: oujc oi|ovn te ejsti; th;n aujth;n p. [...] mhv pote de; bevltion h\/ diafov-
rou" nomivzesqai ta;" p.; quanto a Mc, Origene constata (341, 11) che oujd∆ i[cno" ejgkeiv-
menon p. In XIX, 1 (341, 14) egli preannuncia il commento all’introduzione al Padrenostro
in Mt: i[dwmen pro; th'" ejgkeimevnh" p. para; tw'/ Matqaivw/. In XIX, 3 (343, 7-8) critica la
prassi di preghiera in momenti sociali: ejn mevsoi" toi'" sumposivoi" kai; para; tai'" mevqai"
ejmparoinou'nte" th'/ p. Secondo XXII, 1 (346, 17-18), l’Antico Testamento non conosce la
«libertà dei figli di Dio» nella preghiera insegnata da Gesù: ejn p. th;n ajpo; tou' swth'ro"
kathggelmevnhn parjrJhsivan peri; tou' ojnomavsai to;n qeo;n patevra. Dopo l’esegesi del Pa-
drenostro ritroviamo il termine in XXXI, 4 (398, 11): eij ga;r scolavsai th'/ p. (nuova cita-
zione da 1Cor 7, 5). In XXXI, 5 (398, 29-399, 1), ultima occorrenza del termine, ritorna
l’esempio biblico di Sara e Tobi: oJ ÔRafahvl fhsin eij" mnhmovsunon ajnenhnocevnai th;n p.
L’atto della preghiera 127
sionalmente il significato di «voto» 374 . Inoltre, proprio l’uso di eujchv
come categoria generale prevale nettamente, dal punto di vista statistico,
nel corso del Trattato. L’approccio terminologico è dunque interessante
soprattutto come indizio dello sforzo di sanzionare biblicamente un mo-
dello di preghiera per il quale Origene offre in seguito anche altre giustifi-
cazioni. Esaminando nel loro complesso le occorrenze successive di pro-
seuchv, salta agli occhi come l’Alessandrino nella maggior parte dei casi
adoperi il vocabolo riprendendolo da un passo biblico o in relazione ad
esso375 . In particolare, nella rassegna introduttiva dei luoghi biblici a so-
stegno di proseuchv , intesa come il paradigma della «preghiera spiritua-
le», si noterà il modo in cui l’Alessandrino commenta il titolo di tre salmi
dove compare il termine: si tratta in ognuno di essi di preghiere «che ve-
ramente si compiono e sono dette nello Spirito, e sono ripiene degli inse-
gnamenti della sapienza divina»376 . Solo con la partecipazione dello Spi-
rito – come si è visto commentando il prologo – può darsi autentica espe-
rienza di preghiera; ma quando essa è tale, diviene anche un momento di
conoscenza profonda di Dio.
Sempre attenendosi ad un riferimento scritturistico, Origene rinnova
nel corso della prima sezione (Orat XIV, 2), stavolta con un tentativo ben
più organico, lo sforzo per riconoscere alla proseuchv lo statuto di pre-
ghiera per eccellenza rivolta a Dio. Si tratta di un passo dal secondo capi-
tolo della I Lettera a Timoteo, testo che sappiamo essere di particolare
importanza per l’Alessandrino, sia a motivo del ricco vocabolario della
preghiera che per la prassi orante ivi prefigurata: «Ti raccomando dun-
que, prima di tutto, che si facciano domande, preghiere, suppliche e rin-
graziamenti» (1Tm 2, 1)377 . Seguendo l’ordine dei vocaboli introdotti nel
versetto, Origene spiega prima il significato dei quattro termini devhsi",
proseuchv, e[nteuxi", eujcaristiva, ed offre poi per ciascuno di essi una
serie di esempi biblici (che peraltro non si limitano al sostantivo in que-
stione ma contemplano perlopiù il verbo indicante la stessa azione, o
eventualmente termini equivalenti se non dei sinonimi) 378 . Una rifles-
––––––––––––––––––
374 Orat IV, 1 (cfr. infra, nota 385).
375 Si veda l’elenco completo delle occorrenze alla nota 373. Ciò è particolarmente
evidente nell’analisi dei paradigmi degli oranti veterotestamentari, le cui preghiere sono
generalmente designate con proseuchv o con espressioni consimili, laddove quelle dei fe-
deli che s’ispirano ad esse vengono perlopiù qualificate con il termine eujchv .
376 Orat II, 5 (cfr. supra, nota 373).
377 Orat XIV, 2 (330, 21–331, 2): ejpei; de; para; tw'/ ajpostovlw/ tevssara ojnovmata
kata; tessavrwn pragmavtwn, geitniwvntwn tw'/ peri; th'" eujch'" lovgw/, ejn th'/ protevra/ pro;"
Timovqeon ei[rhtai, crhvsimon e[stai paraqevmenon aujtou' th;n levxin ijdei'n <eij> e{kaston
tw'n tessavrwn, kurivw" a]n noouvmenon, ejklavboimen kalw'".
378 Orat XIV , 2 (331, 4-11): hJgou'mai toivnun devhsin me;n ei\nai th;n ejlleivpontov"
tini meq∆ iJkesiva" peri; tou' ejkeivnou tucei'n ajnapempomevnhn eujch;n, th;n de; proseuch;n
th;n meta; doxologiva" peri; meizovnwn megalofuevsteron ajnapempomevnhn uJpov tou,
128 Parte prima, Capitolo quinto
sione di carattere insieme dottrinale e pratico s’innesta da ultimo nella
messa a punto terminologica, in modo da prevenire incertezze o equivoci
in merito alla prassi corretta di preghiera, ribadita da Origene con un in-
tento dichiaratamente normativo.
La devhsi", «domanda», è «la preghiera di qualcuno che manca di
qualcosa, innalzata con una supplica in vista di ottenerla», mentre la pro-
seuchv è la «preghiera» (o «invocazione») «innalzata con più nobile spirito
da qualcuno in vista di ottenere beni più grandi». A sua volta, l’e[nteuxi",
«supplica» (o «intercessione»), è «la richiesta a Dio di qualcosa, presen-
tata da qualcuno che possiede una certa maggiore franchezza». Infine,
l’eujcaristiva, «ringraziamento», è «il riconoscimento espresso mediante
preghiere per aver ottenuto dei beni da Dio». Nelle spiegazioni dei sin-
goli vocaboli si nota il frequente ricorso del termine eujchv, evidentemente
con valore generico o riassuntivo, sia in riferimento esplicito alla devhsi"
ed all’eujcaristiva, che implicitamente in relazione a proseuchv. Quanto
al vocabolario della «domanda», per devhsi" osserviamo l’impiego del
termine iJkesiva («supplica») che richiama la nozione di e[nteuxi", a meno
d’intendere quest’ultima essenzialmente come «intercessione», cioè una
supplica a beneficio di terzi. Con tali contiguità ed ambiguità di vocabo-
lario è evidente anche la difficoltà di rendere con precisione la valenza
del termine proseuchv: più che «supplica» conviene semmai la resa «in-
vocazione» o «orazione».
L’esemplificazione scritturistica per devhsi" (Orat XIV, 3) riporta
cinque luoghi biblici (solo il primo dei quali fa uso del sostantivo, laddove
negli altri compare il verbo devomai)379 , con una breve rassegna che inizia,
contrariamente all’uso più normale in Origene, con il Nuovo Testamento
(Lc 1, 13) e prosegue con l’Antico Testamento, nell’ordine progressivo
del canone (Es 32, 11; Dt 9, 18; Est 4, 17a k) 380 . La scelta degli esempi è
abbastanza significativa dell’immagine biblica della preghiera per l’Ales-
sandrino: ben quattro su cinque chiamano in causa le figure di alcuni dei
grandi oranti dell’Antico Testamento – in primis Mosè, quindi Mardocheo
––––––––––––––––––
e[nteuxin de; th;n uJpo; parjrJhsivan tina; pleivona e[conto" periv tinwn ajxivwsin pro;" qeo;n,
eujcaristivan de; th;n ejpi; tw'/ teteucevnai ajgaqw'n ajpo; qeou' met∆ eujcw'n ajnqomolovghsin,
ajnteilhmmevnou tou' ajnqomologoumevnou tou' megevqou" h] tw'/ eujergethqevnti megevqou"
fainomevnou th'" eij" aujto;n gegenhmevnh" eujergesiva".
379 Lc 1, 13: mh; fobou', Zacariva, diovti eijshkouvsqh hJ devhsiv" sou, «Non temere,
Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita» (tr. CEI ).
380 In Es 32, 11 la devhsi" corrisponde ad una supplica o intercessione di Mosè
(ejdehvqh Mwu>sh'" katevnanti kurivou) perché Dio non rivolga la sua ira sul popolo di Israe-
le per il vitello d’oro. Anche Dt 9, 18 contiene una supplica di Mosè per il popolo a causa
dei suoi peccati. Infine, Est 4, 17a k introducono rispettivamente la preghiera di Mardo-
cheo (17a-i) e di Ester (17l-z), l’una e l’altra da considerarsi – analogamente a quelle di
Mosè – come una supplica. Peraltro, specialmente nella preghiera di Mardocheo, è diffi-
cile negare quel carattere megalofuevsteron che per Origene è proprio della proseuchv.
L’atto della preghiera 129
ed Ester – ai quali Origene attribuisce un valore paradigmatico in quan-
to testimoni per eccellenza dell’efficacia della preghiera. D’altra parte,
l’esemplificazione solleva interrogativi quanto alla possibilità di distin-
guere una tipologia precisa della devhsi". Abbiamo infatti a che fare quasi
interamente con preghiere di intercessione, a beneficio soprattutto del
popolo d’Israele. Né si deve dimenticare che Origene riconosce proprio a
Mosè quella qualità di «libertà» o «franchezza di parola» (parjrJhsiva) nel
rapporto con Dio, identificata nella sua classificazione terminologica
come un proprium dell’e[nteuxi"381. Inoltre, si potrebbe ancora obiettare
che non mancano tratti positivamente “magniloquenti” in queste suppli-
che, tali da farle semmai avvicinare alla definizione della proseuchv con
la sua grandezza di contenuti e disposizioni di spirito.
Anche per la proseuchv compaiono cinque esempi scritturistici (Orat
XIV, 4), tutti tratti dall’Antico Testamento, senza rilevarvi peraltro un or-
dine determinato. L’indizio lessicale è dato nuovamente dal verbo (pro-
seuvcomai), fatta eccezione per la «preghiera di Abacuc» (proseuch; ∆Ab-
bakouvm ). L’elenco comprende: Dn 3, 25; Tb 3, 1-2; 1Sam 1, 10-11; Ab 3,
1-2; Gio 2, 2-4382 . Due dei cinque luoghi biblici suscitano problemi come
testi autorevoli di riferimento: da un lato, Dn 3, 25 non trova riscontro
nell’ebraico, offrendo con ciò un indizio debole, perché suscettibile di es-
sere messo in discussione quale fonte attendibile; dall’altro lato, ciò vale
a fortiori per Tb 3, 1-2, poiché tratto da un libro che gli ebrei respingono
come non-canonico. Perciò Origene aggiunge gli altri tre esempi ricavati
tutti da scritti canonici. Ma anche in questo caso (includendo gli stessi
esempi extracanonici) non è facile circoscrivere esattamente la tipologia
di preghiera che l’Alessandrino designa con il termine proseuchv. Lui
stesso, del resto, sembra avvertire le perplessità del lettore, se ci tiene a
segnalargli che la preghiera di Abacuc evidenzia molto bene il proprium
della proseuchv, dato che «è innalzata con rendimento di lode»383 . La
––––––––––––––––––
381 Sul motivo della parrhesia di Mosè cfr. Perrone 1992b.
382 Con Dn 3, 25 Origene riporta l’introduzione alla preghiera di Azaria (Dn 3, 26-
45). Tb 3, 1-2 è la preghiera del giusto sofferente Tobi, che invoca da Dio la propria morte
«con una preghiera di lamento» (Tb 3, 1: kai; proshuxavmhn met∆ ojduvnh" levgwn), mentre
con 1Sam 1, 10-11 Origene introduce la figura di Anna, tra le più note figure di oranti ve-
terotestamentari. Si capisce che egli si lascia nuovamente guidare dall’indizio lessicale a
menzionare la prima preghiera anziché il cantico di Anna (1Sam 2, 1-10): kai; proshuvxato
pro;" kuvrion kai; klauqmw'/ e[klause. In ogni caso si tratta chiaramente di una preghiera
di voto. Ab 3, 1-2 è l’introduzione al cantico di Abacuc, presentato da Ab 3, 1 LXX come
proseuch; ∆Abbakou;m tou' profhvtou meta; wj/dh'". L’ultimo passo (Gio 2, 2-4) riporta l’in-
troduzione e l’inizio del cantico di Giona «dal ventre del pesce».
383 Orat XIV, 4: sfovdra de; au{th ejmfaivnei to; kata; to;n o{ron th'" proseuch'", o{ti
meta; doxologiva" tw'/ proseucomevnw/ ajnapevmpetai. D’altra parte, nel cantico di Abacuc
non compare la richiesta di qualcosa, contrariamente alla definizione data, come nota Oul-
ton, 344: «Hab., ch. 3 [...] is an example of the wider use of the term “prayer” in the Old
130 Parte prima, Capitolo quinto
precisazione sembrerebbe dettata, in particolare, dal fatto che la preghiera
di Anna in 1Sam 1, 10-11 si presenta piuttosto come un «voto», cioè una
eujchv, seguendo la distinzione introdotta in precedenza nella rassegna del
vocabolario biblico (Orat III- IV). Ora, se a conclusione del Prologo è men-
zionata espressamente tra le «preghiere realmente spirituali» (eujcai; aiJ
o[ntw" pneumatikaiv ), pur riconoscendo che è stata trascritta solo «in par-
te»384, successivamente Origene richiama la preghiera di Anna a testimo-
nianza del fatto che anche il termine proseuchv può assumere l’accezione
secondaria di «voto» (= eujchv )385. In pratica, egli arriva a considerare la
preghiera di Anna come esempio ad un tempo sia della proseuchv (1Sam
1, 10) che dell’eujchv (1Sam 1, 11)386. Tuttavia, l’inserimento di Anna nel
catalogo dei grandi oranti veterotestamentari (Orat XIII, 2) predispone il
suo particolare riconoscimento come tipo della proseuchv, anche qui gio-
cando sulla distinzione terminologica fra 1Sam 1, 10 e 1Sam 1, 11387 .
La preoccupazione di differenziare la proseuchv emerge in primo
piano anche dall’elencazione dei luoghi scritturistici per l’e[nteuxi", «sup-
plica» o «intercessione», di cui si ribadisce la nota specifica della «fran-
chezza» (parjrJhsiva ) con il rinvio, come primo esempio, all’intercessione
dello Spirito in Rm 8, 26-27388 . Questo è notoriamente un altro testo-
––––––––––––––––––
Testament as an elevation of the mind to God which does not necessarily include petition».
Sull’interpretazione di Ab 3, 2 LXX, in riferimento al Figlio e allo Spirito, cfr. Prin I, 3, 4.
384 Orat II, 5 (303, 6): aiJ toiau'tai de; eujcai; aiJ o[ntw" pneumatikaiv, proseucomev-
nou ejn th'/ kardiva/ tw'n aJgivwn tou' pneuvmato", ajnegravfhsan, peplhrwmevnai ajporrhvtwn
kai; qaumasivwn dogmavtwn: ejn me;n ga;r th'/ prwvth/ tw'n Basileiw'n ejk mevrou" hJ th'" “Annh".
Qui Origene cita 1Sam 1, 12.
385 Cfr. Orat IV, 1 (307, 3-9) con citazione di 1Sam 1, 1. 9-11: Oujk a[logon dhv moi
ejfavnh to; kata; ta;" grafa;" shmainovmenon prw'ton diasteivlasqai th'" eujch'" duvo shmai-
nouvsh", oJmoivw" de; kai; th'" proseuch'": kai; ga;r tou'to to; o[noma, pro;" tw'/ koinw'/ kai;
sunhvqei pollacou' keimevnw/, tevtaktai kai; ejpi; th'" kata; to; suvnhqe" hJmi'n shmainovmenon
[th'"] eujch'" ejn toi'" peri; th'" “Annh" legomevnoi" ejn th'/ prwvth/ tw'n Basileiw'n. Il testo
biblico qui citato da Origene si distacca dalla LXX e si avvicina all’ebraico; cfr. Papacon-
stantinou, 231.
386 Orat IV, 2 (307, 17-22): duvnatai mevntoi ge ti;" oujk ajpiqavnw" ejntau'qa, ejpisthv-
sa" tw'/ proshuvxato pro;" kuvrion (1Sam 1, 10) kai; hu[xato eujch;n (1Sam 1, 11), eijpei'n
o{ti, eij ta; duvo pepoivhke, toutevsti proshuvxato pro;" kuvrion kai; hu[xato eujch;n , mhv pote
to; me;n proshuvxato ejpi; th'" sunhvqw" hJmi'n ojnomazomevnh" tevtaktai eujch'", to; de; hu[xato
eujch;n ejpi; tou' ejn Leui>tikw/' kai; ∆Ariqmoi'" tetagmevnou shmainomevnou. Anche il com-
mento sul cantico di Anna in HReL (nota 1096) manifesta la difficoltà di inquadrare con
precisione la preghiera di 1Re 2, 1-10, che, seppure presentata come oratio dalla Scrittura,
si distacca a giudizio di Origene dall’orationis ordo.
387 Orat XIII, 2 (326, 15-16): “Anna ga;r uJphrevthse th'/ genevsei Samouh;l, tw'/ Mwu>-
sei' sunariqmhqevnto", ejpei; mh; tivktousa pisteuvsasa proshuvxato pro;" kuvrion (1Sam
1, 10).
388 Orat XIV, 5 (332, 18-25): tou' de; trivtou para; tw'/ ajpostovlw/, eujlovgw" th;n me;n
proseuch;n ejf∆ hJmw'n tavttonti th;n de; e[nteuxin ejpi; tou' pneuvmato", wJ" kreivttono" o[nto"
kai; parjrJhsivan e[conto" pro;" to;n, w|/ ejntugcavnei: to; ga;r tiv proseuxwvmeqa, fhsi;, kaqo;
L’atto della preghiera 131
chiave per la visione origeniana del pregare, ma proprio il fatto che si
tratti in primis della preghiera dello Spirito solleva comunque l’interroga-
tivo sul rapporto con la proseuchv, in quanto secondo l’Alessandrino essa
stessa è una preghiera animata alla radice dal soccorso dello Spirito389.
Inoltre, dopo aver asserito con decisione che l’e[nteuxi" è propria dello
Spirito, mentre agli uomini compete la proseuchv, Origene riporta ancora
due esempi legati a personaggi dell’Antico Testamento: la supplica di
Giosuè in Gs 10, 12 e quella di Sansone in Gdc 16, 30390 . A parte il fatto
che in entrambi i casi – variando il criterio seguito in prevalenza fin qui –
l’Alessandrino deve ammettere che non c’è un supporto terminologico ad
hoc (pur configurandosi, a suo avviso, entrambe le preghiere secondo la
tipologia individuata), in nessuna delle due si delinea a prima vista un
qualche ruolo dello Spirito 391 . Anche questa classificazione risulta in-
somma poco persuasiva392 .
Più breve, perché più immediatamente comprensibile, è la fondazio-
ne scritturistica di eujcaristiva, proposta con un solo esempio, che Ori-
gene prende significativamente dall’«inno di giubilo» di Gesù (Mt 11, 25;
Lc 10, 21). Anche qui però l’indizio lessicale non va assunto quale crite-
rio esclusivo, dato che Origene ricorda come il verbo ejxomologou'mai
equivalga in ogni caso a eujcaristw', segnalando così implicitamente la
contiguità semantica (se non la sovrapposizione formale) fra la preghiera
––––––––––––––––––
dei' oujk oi[damen, ajlla; aujto; to; pneu'ma stenagmoi'" ajlalhvtoi" uJperentugcavnei tw'/ qew'/.
oJ de; ejreunw'n ta;" kardiva" oi\de tiv to; frovnhma tou' pneuvmato", o{ti kata; qeo;n ejntugcavnei
uJpe;r aJgivwn: uJperentugcavnei ga;r kai; ejntugcavnei to; pneu'ma, hJmei'" de; proseucovmeqa.
389 Cfr. Orat II, 5 (supra, nota 384).
390 In Gs 10, 12 Giosuè supplica Dio durante la battaglia contro gli Amorrei: «Gio-
suè disse al Signore sotto gli occhi di Israele: “Sole, fermati in Gabaon e tu, luna, sulla
valle di Aialon”» (dall’esegesi del passo in HIos I, 5 si comprende il rilievo particolare
dell’e[nteuxi" di Giosuè alla luce della tipologia Giosuè-Gesù: «Il mio Gesù dunque ha
fatto fermare il sole, non solo allora, ma molto di più ora nel suo avvento» [tr. it., 57]. In
HIos XI, 1 Origene ne parla come di «una preghiera inaudita, sorprendente»). Quanto a
Sansone, l’Alessandrino intende alla stregua di una preghiera la celebre espressione che
prelude alla sua morte: «che la mia anima muoia con i Filistei» (Gdc 16, 30). Secondo
HIer X, 8 (nota 1172), la parjrJhsiva ci è data per supplicare Dio confessando le colpe (cfr.
anche infra, nota 1102).
391 Orat XIV, 5: eij kai; mh; kei'tai de; o{ti ejntetuchvkasin ajll∆ o{ti eijrhvkasin oJ
∆Ihsou'" kai; oJ Samyw;n, oJ lovgo" aujtw'n e[oiken ei\nai e[nteuxi": h{ti" eJtevra para; th;n pro-
seuch;n, eij kurivw" ajkouvoimen tw'n ojnomavtwn, ei\nai hJmi'n nomivzetai.
392 Lo rileva, fra gli altri, Jay, 124-125, che ricorda anche la critica di Anglus per
l’identificazione di Gdc 16, 30 come e[nteuxi": «Anglus thinks that Samson should rather
be said to “pray” than to “intercede”, since his request is on his own behalf. One must
agree. Origen is not at his best in this chapter, in which he is seeking to impose on the
four words descriptive of prayer in 1 Tim. 2. 1 a sharp distinction which they were not
intended to convey» (p. 125, nota 1). Si noti ancora che in Orat XXVII, 1 (364, 2) la quarta
domanda del Padrenostro è designata come e[nteuxi": peri; ejpigeivou kai; mikrou' e[nteuxin
ajnafevrein tw'/ patriv.
132 Parte prima, Capitolo quinto
di lode o benedizione (eujlogiva o ejxomolovghsi") e il ringraziamento (euj-
caristiva )393.
Come si è visto per quasi tutti i termini, la classificazione tipologica
estratta da 1Tm 2, 1 solleva non pochi problemi ed è giusto domandarsi
fino a che punto Origene sia riuscito a tracciare delle distinzioni effettive
(senza tuttavia dimenticare, in generale, la relativa fluidità degli approcci
terminologici nell’Alessandrino)394 . Né le precisazioni che seguono l’esem-
plificazione scritturistica dei tipi di preghiera (Orat XIV, 6) aiutano a su-
perare tali perplessità, ma servono semmai a predisporre il più decisivo
riconoscimento della proseuchv come la preghiera indirizzata unicamente
al Padre (Orat XV). Si tratta, in prima istanza, di un corollario terminolo-
gico, limitato a tre dei quattro vocaboli paolini: devhsi", e[nteuxi" ed eujca-
ristiva. Essi non concernono solo il rapporto orante dell’uomo con Dio,
ma sono suscettibili di riferirsi anche alle relazioni tra gli uomini. Il pas-
saggio non è esente da incertezze testuali, ma si può dire che dentro questa
esperienza generalizzata di «preghiera» Origene opera due differenziazio-
ni: in primo luogo, distingue fra i destinatari della preghiera (gli «uomi-
ni» in generale o i «santi»); in secondo luogo, circoscrive la prassi della
devhsi", almeno in linea di principio, ai destinatari che sono santi395 . Dal-
––––––––––––––––––
393 Cfr. Van Winden. Negli autori giudeoellenisti troviamo l’analoga assimilazione
semantica fra eujlogei'n e eujcaristei'n, attestata da Filone di Alessandria e Flavio Giusep-
pe (cfr. Tomson, 44-46). Ciò è del resto conforme, almeno in larga parte, all’uso paolino:
«In Paul’s own day-to-day language, the term for praising God tends to be eujcaristei'n
tw/' qew/' » (p. 49). Peraltro Origene usa il sostantivo ejxomolovghsi" nel significato pre-
valente di «confessione» (delle colpe), rispetto a quello di «lode» (o «ringraziamento»),
su cui vedi infra, p. 157, nota 482.
394 «Die vier Wendungen aus 1 Tim 2, 1 bleiben trotz des Versuches, ihren Rahmen
differenziert auszugrenzen, mehr oder weniger Synonime» (Gessel, 91; cfr. anche pp. 94-
95). È sintomatico dell’assenza di sistematicità specialmente l’uso della terminologia ese-
getica (cfr. Simonetti 1987). Per un esempio di terminologia interscambiabile prima di Ori-
gene, cfr. Ireneo, AH II, 48, 2, con l’uso sinonimico di proseuchv, litaneiva ed eujchv.
395 Orat XIV, 6 (333, 11-19): devhsin me;n ou\n kai; e[nteuxin kai; eujcaristivan oujk
a[topon kai; ajnqrwvpoi" <aJgivoi"> prosenegkei'n: ajlla; ta; me;n duvo (levgw dh; e[nteuxin kai;
eujcaristivan) ouj movnon aJgivoi" ajlla; dh; kai; <a[lloi"> ajnqrwvpoi", th;n de; devhsin movnon
aJgivoi", ei[ ti" euJreqeivh Pau'lo" h] Pevtro", i{na wjfelhvswsin hJma'", ajxivou" poiou'nte" tou'
tucei'n th'" dedomevnh" aujtoi'" ejxousiva" pro;" to; aJmarthvmata ajfievnai: eij mh; a[ra, ka]n mh;
a{giov" ti" h\/, ajdikhvswmen de; aujto;n, devdotai sunaisqhqevnta" th'" eij" aujto;n aJmartiva" to;
dehqh'nai kai; tou' toiouvtou, i{n∆ hJmi'n hjdikhkovsi suggnwvmhn ajponeivmh/. Jay, 125-126, no-
ta 4, pur accogliendo le integrazioni di Koetschau nella traduzione, le ritiene superflue:
«There is thus a general statement that on the human level we use devhsi", e[nteuxi", and
eujcaristiva. This is followed by a more precise statement that e[nteuxi", and eujcaristiva
may be addressed to any man, but devhsi" (which here seems to be used in the special
sense of supplication for forgiveness of sins against God) can only be offered to those
who have divine authority to remit sins». Ciò nonostante l’integrazione appare giustificata
alla luce del successivo parallelo tratto dalla preghiera a Cristo (333, 19-25): eij de; ajn-
qrwvpoi" aJgivoi" tau'ta prosenektevon, povsw/ plevon tw'/ Cristw'/ eujcaristhtevon, tosau'ta
L’atto della preghiera 133
l’esemplificazione fornita qui si evince che l’oggetto della devhsi", diver-
samente dall’accezione più generica offerta precedentemente, è da inten-
dersi principalmente come la richiesta della remissione dei peccati, che
solo chi partecipa dello Spirito può donare al peccatore396 . Ma Origene,
proseguendo il suo ragionamento, ridimensiona subito la portata della
devhsi", osservando che anche chi non è santo può essere fatto oggetto di
una richiesta di perdono per le colpe che abbiamo commesso nei suoi con-
fronti397. D’altra parte, ciò che vale per i «santi» è valido a fortiori per
Cristo, al quale si devono dunque indirizzare eujcaristiva, e[nteuxi" e
devhsi". Origene predispone così il passo successivo, correlando prelimi-
narmente il Figlio al Padre (è per i benefici da lui operati su di noi, secon-
do il volere del Padre, che lo ringraziamo) ed esemplificando la maniera
di rivolgersi a lui con suppliche o intercessioni e richieste. Di particolare
interesse è al riguardo l’esempio proposto per la devhsi", poiché andan-
do oltre il riferimento scritturistico (Mt 17, 15; Lc 9, 38) sembra tradire
un’esperienza di preghiera condivisa da Origene e connotata, per così dire,
da un suo tratto formulare398. Inoltre, anche tenendo conto della fluidità
terminologica riscontrata nel vocabolario origeniano della preghiera, oc-
corre sottolineare la ricchezza della prassi orante di cui Cristo è visto come
il destinatario, senza concentrare l’attenzione unicamente sul fatto che egli
non è tale per la proseuchv. Proprio alla luce delle considerazioni svilup-
pate fin qui dall’Alessandrino bisogna forse evitare un’enfatizzazione di
questo aspetto, spesso dettata da preoccupazioni di natura dogmatica.

3. La proseuchv come preghiera al Padre

Origene ricava dalla Scrittura linguaggio e modelli della preghiera, a


partire dai quali sviluppa la propria riflessione sulla prassi orante del cri-
stiano in vista di coglierne con precisione il profilo specifico (Orat XV, 2:
ajkribou'nta to; proseuvcesqai) e predisporre un Idealtypus dal valore
normativo. La sanzione biblica non può insomma non risultare decisiva ai
suoi occhi nell’impostare il discorso sulla preghiera – come abbiamo ri-
––––––––––––––––––
hJma'" boulhvsei tou' patro;" eujergethvsanti… ajlla; kai; ejnteuktevon aujtw'/ wJ" oJ eijpw;n
Stevfano": kuvrie, mh; sthvsh/" aujtoi'" th;n aJmartivan tauvthn (At 7, 60): mimouvmenoiv te to;n
patevra tou' selhniazomevnou ejrou'men: devomai, kuvrie, ejlevhson h] to;n uiJo;n (Mt 17, 15;
Lc 9, 38) h] ejme; aujto;n h] o}n dhv pote.
396 Tale contenuto è suggerito anche dall’uso del verbo devomai, per la remissione
dei propri debiti, in Orat XXVIII, 5 (nota 481).
397 Per insinuare la distinzione tra peccati verso Dio e verso gli uomini e la possi-
bilità di rimettere le colpe nei nostri confronti Origene si serve volentieri di 1Sam 2, 25.
Cfr. Orat XXVIII, 3. 9; HLv IV, 5; HNm X, 1; HIer XIII, 1; HEz V, 4; EM 17.
398 Orat XIV, 6 (nota 395).
134 Parte prima, Capitolo quinto
marcato più volte avviando questo tentativo di ricognizione prospettica
sull’atto orante. Di conseguenza, ancor prima d’individuare un termine ad
hoc per designare l’espressione più alta della preghiera, egli non poteva
non tenere conto del rilievo esemplare che contraddistingue il Padreno-
stro, come «preghiera del Signore», nel complesso dei testi neotestamen-
tari 399 . E non a caso il trattato è strutturato in modo che alla discussione
del «problema della preghiera» faccia da pendant l’esegesi del Padreno-
stro quale suo paradigma vincolante. Ora l’insegnamento di Gesù, anche
in risposta alla richiesta in tal senso di uno dei discepoli (Lc 11, 1), indi-
rizza il cristiano a rivolgersi al Padre nella preghiera, come del resto fa
lui stesso quando prega400 . È proprio da questa premessa, su cui Origene
calca più volte l’accento, che occorre partire per comprendere la specifi-
cità della proseuchv come la preghiera indirizzata unicamente al Padre401.
Si tratta, in primo luogo, di imitare il comportamento di Gesù e di attener-
si alle sue parole.
In secondo luogo, muovendo da tale criterio scritturistico, Origene
mette in luce un nodo problematico dell’esperienza cristiana di preghiera,
che non può non interrogarsi sul destinatario di essa, privilegiato o esclu-
sivo che sia. L’Alessandrino si sforza così di dare ordine ad una prassi
che senza dubbio si esplicava in modo irriflesso o ingenuo indirizzandosi
––––––––––––––––––
399 Cfr. Orat XVIII, 1 (340, 8-9): th;n uJpografei'san uJpo; tou' kurivou proseuchvn;
XVIII, 2 (340, 11-12): th;n aujth;n ajnagegrafevnai uJpotetupwmevnhn pro;" to; dei'n ou{tw"
proseuvcesqai proseuchvn. Entrambe le espressioni suggeriscono l’idea di un valore
“normativo” o “esemplare”, come attestano anche le rese dei traduttori. Per uJpografei'-
san [...] proseuchvn , Koetschau propone in tal senso la resa «vorgeschriebenen Gebet»
(BKV, 64), mentre Jay e Oulton traducono con «outlined»: «The use of the verb uJpogravfw
suggests that Origen regards the Lord’s prayer as an outlined scheme of prayer» (Jay, 136,
nota 3). D’altra parte, l’intento prescrittivo è ancor più evidente nella locuzione con uJpo-
tetupwmevnhn, che Oulton, 275 rende «providing a pattern».
400 Orat XV, 1 (333, 26–334, 2): ∆Ea;n de; ajkouvwmen o{ ti potev ejsti proseuch;, mhv
pote oujdeni; tw'n gennhtw'n proseuktevon ejsti;n oujde; aujtw'/ tw'/ Cristw'/ ajlla; movnw/ tw'/
qew'/ tw'n o{lwn kai; patri;, w|/ kai; aujto;" oJ swth;r hJmw'n proshuvceto, wJ" propareqevmeqa,
kai; didavskei hJma'" proseuvcesqai. L’accenno ad una trattazione precedente rinvia a X, 2;
XIII, 1; XIV, 5 (cfr. Gessel, 96, nota 65). È soprattutto nel primo passo che Origene presen-
ta un’immagine assai vivida della preghiera di Gesù al Padre e del suo ruolo mediatore
per i fedeli, con il supporto di Eb (320, 19-20): suneucomevnou pro;" to;n patevra tw'/ uJp∆
aujtou' mesiteuomevnw/.
401 Per l’esemplarità vincolante del Padrenostro si veda Orat XV , 2 (334, 18-20):
w{sper de; to;n ajkribou'nta to; proseuvcesqai ouj crh; tw'/ eujcomevnw/ proseuvcesqai ajlla;
tw'/ o}n ejdivdaxen ejpi; tw'n eujcw'n kalei'n patri; oJ kuvrio" hJmw'n ∆Ihsou'" ; XV, 4 (335, 18-19):
movnw/ tw'/ patri; proseuvcesqai crh;, w|/ kajgw; proseuvcomai: o{per dia; tw'n aJgivwn grafw'n
manqavnete. Si noti l’insistenza di Origene sul verbo didavskw (XV , 1 [334, 1-2]; XV , 2
[334, 20. 27-28]). Anche a proposito degli «elementi costitutivi» (tovpoi) della preghiera,
su cui si veda infra (p. 207), l’Alessandrino si appoggia alla testimonianza biblica (XXXIII,
1 [401, 12]: ou}" eu|ron dieskedasmevnou" ejn tai'" grafai'"; XXXIII, 2 [401, 27-28]: die-
sparmevnou" eu{romen ejn tai'" grafai'").
L’atto della preghiera 135
indifferentemente al Padre o al Figlio, se non ad entrambi 402 . Pertanto,
più che essere condizionato in partenza da un’istanza dottrinale, il discor-
so di Origene su questo punto appare animato soprattutto dalla preoccu-
pazione pastorale di regolare ed uniformare una prassi che doveva risul-
tare confusa e contraddittoria 403 . Ma, se si accoglie la distinzione iposta-
tica tra Padre e Figlio – l’unico momento in cui interviene espressamente
un aspetto dogmatico o, per meglio dire, un elemento della regula fidei –,
occorre domandarsi se «bisogna rivolgere la preghiera d’invocazione»
(proseuktevon) solo al Figlio oppure solo al Padre o ancora ad entrambi.
Enunciate le tre diverse possibilità, Origene scarta la prima e la terza, per
riconoscere la seconda come l’unica ammissibile. Ovviamente sarebbe
assurdo riservare la proseuchv al Figlio ed escludere il Padre da essa, ma
neppure l’ipotesi di indirizzarla ad entrambi può essere accolta, dato che
ciò non trova riscontro né nella tradizione di preghiera delle chiese né
nelle Scritture. Così per la seconda volta nel contesto di questa elaborazio-
ne di un modello normativo di preghiera, Origene si fa forte dell’espe-
rienza orante, lasciandoci però intravedere adesso con più chiarezza quello
che potremmo bene designare come il criterio della lex orandi. Egli rileva
infatti come nelle formule di preghiera in uso non compaiano mai espres-
sioni al plurale – tali cioè da associare sullo stesso piano entrambe le per-
sone del Padre e del Figlio – né indicazioni di tal fatta figurano nelle Scrit-
ture404 . Dunque, non solo nel capitolo conclusivo del suo trattato (Orat
––––––––––––––––––
402 Come mostra Orat XVI, 1 (336, 8), Origene pensa essenzialmente all’esperienza
dei simpliciores, che accusa di ijdiwtikh;n aJmartivan kata; pollh;n ajkeraiovthta.
403 L’analisi pur pregevole, come sempre, di Gessel, 85-104 non tiene conto a suf-
ficienza né del criterio biblico né della preoccupazione pastorale quali motivi determi-
nanti per l’idea origeniana della proseuchv al solo Padre.
404 Orat XV, 1 (334, 9-13): eij de; ajmfotevroi", dh'lon o{ti ka]n ajxiwvsei" prosenevg-
koimen plhquntikw'", paravscesqe kai; eujergethvsate kai; ejpicorhghvsate kai; swvsate,
kai; ei[ ti touvtwn o{moion, dia; tw'n proseucw'n levgonte": o{per kai; aujtovqen ajpemfai'non,
oujde; ejn tai'" grafai'" e[cei ti" dei'xai keivmenon uJpov tinwn legovmenon. Le formule men-
zionate da Origene meriterebbero un’indagine ad hoc nei testi di preghiera dei primi se-
coli. Inoltre, si noti nuovamente l’uso di ajxivwsi" dopo il nesso con l’e[nteuxi" in XIV, 2
(cfr. supra, nota 378). Il termine è già introdotto nel vocabolario della preghiera in V , 2
(309, 8), e affiancato dal verbo ajxiovw in V, 3 (309, 16) e V, 4 ([309, 29-30] mavthn peri;
ajfevsew" aJmarthmavtwn ajxiou'men h] peri; tou' pneu'ma ijscuvo" labei'n ). In VIII, 1 (317, 4),
il verbo è detto in riferimento alla richiesta di perdono da parte di un fratello (suggnwvmh"
tucei'n ajxiou'nti ajdelfw'/ ). In XVIII, 3 (340, 34-341, 6) Origene adopera il sostantivo in-
sieme al verbo per la richiesta del discepolo a Gesù in Lc 11, 1 (ajxiwvsanta didacqh'nai
[...] pro;" ajxivwsin maqhtou' [...] pro;" e{teron tw'n maqhtw'n to;n ajxiwvsanta). In XXIV , 1
(353, 15-19), il verbo è riferito alla prima domanda del Padrenostro (oJte; de; touvtou tucw;n
to; mh; paramevnein aujto; kai; threi'sqai ajxioi' [...] a[nqrwpo" ajxioi' aJgiavzesqai), mentre
in XXVI, 6 (363, 7-9) è detto della terza (ajxiwvswmen, i{na kai; ejpi; th'" gh'" oJmoivw" tw'/ ouj-
ranw'/, levgw de; ejpi; tw'n ceirovnwn, plhrwqh'/ to; qevlhma tou' qeou'). Origene l’adopera an-
che per la quarta petizione in XXVII, 1 ([363, 30-364, 1] ou[te megavlou aijthvmato" tou'
peri; touvtou ajxiou'n).
136 Parte prima, Capitolo quinto
XXXIII), di cui ci occuperemo in seguito, Origene attesta la preoccupazio-
ne di attenersi al formulario liturgico consolidato, ma sembra averlo pre-
sente già qui405 . Anzi, l’esortazione a non introdurre scissioni quanto al
modo di pregare, manifesta per la lex orandi un’urgenza analoga a quella
che troviamo altrove nella sua opera, riguardo alla professione di fede e
alla sua espressione liturgica, ad esempio nel Dialogo con Eraclide406 .
Benché in questa circostanza il punto di vista risulti in parte diverso –
Eraclide tendeva, infatti, ad escludere il Figlio dalla preghiera al Padre –,
la posizione di fondo manifestata da Origene rimane identica, sia pure
con più immediata implicazione liturgica. Per essa, dunque, l’«offerta»
va sempre indirizzata al Padre mediante il Figlio, o in altri termini «a Dio
mediante Dio» (Qew/' dia; Qeou') 407 .
L’esclusiva della proseuchv al Padre ha attirato critiche e riserve, per-
ché è stata considerata nell’ottica della posteriore evoluzione dogmatica,
che nel corso del IV secolo ha portato al riconoscimento della consostan-
zialità delle tre persone divine insieme alla loro distinzione ipostatica. In
aggiunta a ciò, si è fatto notare come Origene adotti posizioni apparente-
mente diverse in altri scritti e, in particolare, testimoni ripetutamente egli
stesso la pratica della preghiera a Gesù. Tuttavia, l’accusa di «subordina-
zionismo», mossa all’Alessandrino nell’antichità e ancora ai nostri giorni,
non ha ragione di essere, almeno nel contesto del passo in esame e alla
luce delle sue motivazioni più cogenti, come abbiamo cercato di dimo-
strare408. Peraltro, anche chi tende a mettere in primo piano una preoccu-
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405 Gessel, 101 ignora sorprendentemente questo particolare, denunciando l’as-
senza di un «Gebetsformular» nella trattazione sulla proseuchv. Invece ne ritrova la con-
sapevolezza in Orat XXXIII (cfr. anche p. 103) e in Dial 4, che a suo giudizio mostra come
Origene si opponesse a tendenze di segno contrario. Per Riggi, 375, l’Alessandrino si ri-
chiama alla tradizione liturgica, che concludeva «sempre ogni orazione con delle formule
che sottolineavano l’unica intercessione del Figlio presso il Padre».
406 Orat XVI, 1 (336, 5-10): Tau't∆ ou\n levgonto" ajkouvonte" ∆Ihsou' tw'/ qew'/ di∆ auj-
tou' eujcwvmeqa, to; aujto; levgonte" pavnte" mhde; peri; tou' trovpou th'" eujch'" scizovmenoi. h]
oujci; scizovmeqa, eja;n oiJ me;n tw'/ patri; oiJ de; tw'/ uiJw'/ eujcwvmeqa, ijdiwtikh;n aJmartivan
kata; pollh;n ajkeraiovthta dia; to; ajbasavniston kai; ajnexevtaston aJmartanovntwn tw'n
proseucomevnwn tw'/ uiJw'/, ei[te meta; tou' patro;" ei[te cwri;" tou' patrov"… In Dial 4 (60, 2-
62, 9) Origene raccomanda di raccordare la lex orandi con la lex credendi, evitando di ca-
dere nel monarchianesimo o nell’adozionismo: Eujcwvmeqa dia; me;n tou;" throu'nte" th;n
duavda, dia; de; tou;" ejmpoiou'nte" th;n eJnavda, kai; ou{tw" oujde; eij" th;n gnwvmhn tw'n ajpo-
scisqevntwn ajpo; th'" ejkklhsiva" eij" fantasivan monarciva" ejmpivptomen, ajnairouvntwn
UiJo;n ajpo; Patro;" kai; dunavmei ajnairouvntwn kai; to;n Patevra, ou[te eij" a[llhn ajsebh' di-
daskalivan ejmpivptomen th;n ajrnoumevnhn th;n qeovthta tou' Cristou'.
407 Dial 4 (infra, nota 781).
408 La formulazione di Orat XV, 1 (334, 4-5) sulla diversità tra Padre e Figlio (eij
ga;r e{tero", wJ" ejn a[lloi" deivknutai, kat∆ oujsivan kai; uJpokeivmenovn ejstin oJ uiJo;" tou'
patro;") non implica una differenza sostanziale, poiché oujsiva equivale qui a uJpokeivme-
non, nel senso di «persona». Come evidenziato da Oulton 347-348, questo significato è
attestato anche da CIo II, 23, 149 (80, 1-4): ∆Epei; de; fw'" aJpaxaplw'" ejntau'qa me;n oJ
L’atto della preghiera 137
pazione di carattere dottrinale – com’è il caso di Gessel – può arrivare a
riconoscere che in Orat XV, 1 non si tratta tanto di un «subordinazioni-
smo» ontologico, implicante cioè una diversità di sostanza fra Padre e Fi-
glio, bensì di una prospettiva di carattere «economico» o «soteriologico»,
legata semmai alla visione dell’umanità di Gesù nel Logos fatto carne409.
Quanto ai passi addotti a riprova della diversa prospettiva che Ori-
gene avrebbe sostenuto altrove, essi sono tratti dal Contro Celso (CC V, 4;
V , 11; VIII, 13) e dal Commento a Romani (CRm VIII, 5). In particolare,
CC V , 4, rielaborando nuovamente il vocabolario di 1Tm 2, 1, sembra
ammettere una preghiera indirizzata al Logos, in parallelo a quella rivolta
(a dire il vero, prioritariamente) al Padre con la mediazione del «sommo
sacerdote, logos animato e Dio»410. Ma l’affermazione è accompagnata
da una precisazione che tende a distinguere fra un «significato proprio»
(kuriolexiva) di proseuchv e un suo «uso improprio», cioè estensivo o
abusivo (katavcrhsi"). Si direbbe che Origene sia disposto solo ad una
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swthvr, ejn de; th'/ kaqolikh'/ tou' aujtou' ∆Iwavnnou ejpistolh'/ levgetai oJ qeo;" ei\nai fw'", oJ
mevn ti" oi[etai kai; ejnteu'qen kataskeuavzesqai th'/ oujsiva/ mh; diesthkevnai tou' uiJou' to;n
patevra. Egli rinvia inoltre a CIo I, 28, 200 ([36, 24-26] Mhdei;" de; proskoptevtw diakri-
novntwn hJmw'n ta;" ejn tw'/ swth'ri ejpinoiva", oijovmeno" kai; th'/ oujsiva/ taujto;n hJma'" poiei'n) e
CC VI , 64. D’altra parte CIo X , 37 (212, 13-16) diversifica tra oujsiva e uJpokeivmenon:
w[o
/ nto ejk touvtwn parivstasqai mh; diafevrein tw'/ ajriqmw'/ to;n uiJon; tou' patrov", ajll∆ e}n ouj
movnon oujsiva/ ajlla; kai; uJpokeimevnw/ tugcavnonta" ajmfotevrou", ouj kata; uJpovstasin lev-
gein patevra kai; uiJovn.
409 «Wenn daher in unseren Texten PE 15, 1-16, 2 eine Subordination Jesu Christi
(als Mensch) aufscheint, so korrespondiert diese Tatsache mit dem Sachverhalt, daß auch
der innertrinitarische Logos in einer Subordination zum Vater steht. Nur ist diese Subor-
dination keine solche der Gottheit, sondern eine der relationalen Vorbildlichkeit für die
seinshaft spätere heilsgeschichtliche Subordination des Logos und des Menschen Jesus
unter den Vater im Himmel und die ebenfalls heilsgechichtlich-moralische aller geschaf-
fenen Vernunftwesen unter den Vater durch das Wort und im Geiste» (Gessel, 98-99). Si
veda d’altra parte il giudizio di Simonetti 1997, 91: «Origene, quando si esprime in con-
testi più generici, nei quali gli interessa fissare bene e valorizzare la divinità di Cristo e la
sua funzione di referente unico dell’uomo ai fini della salvezza, associa il Figlio al Padre
anche come oggetto della preghiera. Quando invece vuole puntualizzare il rapporto a tre,
Dio Cristo uomo, con maggiore precisione, anche nell’ambito del tema della preghiera sta-
bilisce la debita gradazione e distingue le parti, il destinatario dal tramite: lo spingeva in
questo senso anche la documentazione scritturistica».
410 CC V, 4 (4, 23-28): pa'san me;n ga;r devhsin kai; proseuch;n kai; e[nteuxin kai;
eujcaristivan (1Tm 2, 1) ajnapemptevon tw'/ ejpi; pa'si qew'/ dia; tou' ejpi; pavntwn ajggevlwn
ajrcierevw" (Eb 2, 17), ejmyuvcou lovgou kai; qeou'. Dehsovmeqa de; kai; aujtou' tou' lovgou
kai; ejnteuxovmeqa aujtw'/ kai; eujcaristhvsomen kai; proseuxovmeqa dev, eja;n dunwvmeqa ka-
takouvein th'" peri; proseuch'" kuriolexiva" kai; katacrhvsew". Come mostra, fra l’altro,
l’esempio di CCt Prol 2, 34 (71, 11-12) a proposito di Deus, l’uso “estensivo” o “abusivo”
di un termine (katacrhstikw'") va distinto dal suo impiego illegittimo: «Tertio vero in loco
non iam abusive, sed falso dii gentium daemones appellantur»; cfr. anche 35 (71, 19-21),
a proposito del verbo diligere: «Secundo in loco, quasi abusivo et inde derivativo. [...]
Tertium vero est, quod falso sub caritatis titulo nominatur».
138 Parte prima, Capitolo quinto
concessione parziale, così da non compromettere la destinazione preferen-
ziale al Padre. In CRm VIII, 5 la giustapposizione fra preghiera al Padre e
preghiera al Figlio si presenta in termini più convinti, ma a ben vedere
(anche lasciando da parte la questione se dobbiamo supporre o no un in-
tervento “normalizzatore” di Rufino) neppure in questo caso viene meno
l’idea della priorità della proseuchv al Padre411. Se in un primo momento
le espressioni di 1Tm 2, 1 sono dette concernere ugualmente tanto il Pa-
dre come il Figlio, nel nome di un unico onore da rivolgere ad entrambi
(con citazione di Gv 5, 23), successivamente il testo riprende il motivo
contenuto in un passo del Contro Celso, in cui si prefigura la preghiera al
Figlio come gradino inferiore nell’itinerario di perfezionamento spirituale
rispetto alla preghiera al Padre412 . Infatti, dalla condizione di coloro che
aderendo alla fede invocano ancora il Figlio come mediatore fra Dio e gli
uomini, grazie al dono dello Spirito si perviene a quella più avanzata di
––––––––––––––––––
411 CRm VIII, 4 (653, 19-27; 654, 39-51): «invocare nomen Domini et orare Domi-
num unum atque idem est, sicut invocatur Christus [Deus, invocandus est Christus; et sicut
oratur Deus, ita Lo.] et orandus est Christus; et sicut offerimus Deo Patri primo omnium
orationes, ita et Domino Iesu Christo; et sicut offerimus postulationes Patri, ita offerimus
postulationes et filio; et sicut offerimus gratiarum actiones (cfr. 1Tm 2, 1) Deo, ita et gra-
tias offerimus salvatori. Unum namque utrique honorem deferendum, id est Patri et Filio,
divinus edocet sermo, cum dicit: ut omnes honorificent filium, sicut honorificant patrem
(Gv 5, 23). [...] Cum autem crediderit quis Christo, etiam si nondum sanctificatus sit et ec-
clesiae corpori sociatus, tamen necesse est ut iam invocet eum, cui credidit. Christus enim
venit mundum reconciliare Deo et credentes sibi offerre Patri. Quos autem offert Patri,
Spiritus sanctus suscipit, ut sanctificet eos et tamquam caelestis ecclesiae primitivorum
membra vivificet atque in soliditatem totius corporis perfectionemque restituat, et ita de-
mum ecclesia Dei non habens maculam neque rugam appellari mereantur. Prius ergo,
quam ad gradum istius perfectionis accedant, tamquam mediatoris Dei et hominum invo-
cant nomen Domini nostri Iesu Christi; postea vero quam spiritus Dei fuerit in corde eorum
clamans: “Abba, pater”, ipse spiritus eos etiam nomen Patris edocet invocare». Cfr. anche
CRm VII, 13.
412 CC V, 11 (12, 25-29): ka]n mh; thlikou'to" dev ti" h\/, oujde;n h|tton kai; oJ toiou'to"
eujcevsqw tw'/ lovgw/ tou' qeou', dunamevnw/ aujto;n ijavsasqai, kai; pollw'/ plevon tw'/ patri;
aujtou', o}" kai; toi'" provteron dikaivoi" ejxapevsteile to;n lovgon aujtou' kai; ijas v ato aujtou;"
kai; ejrruvsato aujtou;" ejk tw'n diafqorw'n aujtw'n (Ps 106[107], 20). In CC VIII, 13 (230,
20-26) si insiste sull’idea dei due destinatari ma, per così dire, in due tempi: Dio; to;n e{na
qeo;n kai; to;n e{na uiJo;n aujtou' kai; lovgon kai; eijkovna tai'" kata; to; dunato;n hJmi'n iJkesivai"
kai; ajxiwvsesi sevbomen, prosavgonte" tw'/ qew'/ tw'n o{lwn ta;" eujca;" dia; tou' monogenou'"
aujtou': w| / prw'ton prosfevromen aujtav", ajxiou'nte" aujto;n iJlasmo;n o[ n ta tw' n aJmartiw'n
hJmw'n (1Gv 2, 2) prosagagei'n wJ" ajrciereva ta;" eujca;" kai; ta;" qusiva" kai; ta;" ejnteuvxei"
hJmw'n tw'/ ejpi; pa'si qew'/. Non è diversa la visuale esposta in CC VIII, 26 (242, 24-29) dove
la giustapposizione iniziale dei destinatari della preghiera si articola poi mediante la di-
stinzione funzionale del Logos quale «sommo sacerdote»: movnw/ ga;r proseuktevon tw'/ ejpi;
pa'si qew',/ kai; proseuktevon ge tw'/ monogenei' kai; prwtotovkw/ pavsh" ktivsew" (Col 1, 15)
lovgw/ qeou', kai; ajxiwtevon aujto;n wJ" ajrciereva (Eb 2, 17 et al.) th;n ejp∆ aujto;n fqavsasan
hJmw'n eujch;n ajnafevrein ejpi; to;n qeo;n aujtou' kai; qeo;n hJmw'n kai; patevra aujtou' kai; pa-
tevra (Gv 20, 17) tw'n biouvntwn kata; to;n lovgon tou' qeou'.
L’atto della preghiera 139
coloro che invocano il Padre in qualità di figli. Dunque, anche in questi
passi s’intravede chiaramente la destinazione normativa della proseuchv
al Padre e solo in subordine (e a titolo tendenzialmente preparatorio) una
sua estensione al Figlio. Infine, l’obiezione tratta dalla consuetudine stessa
di Origene di indirizzare preghiere a Gesù non tiene forse troppo conto
dell’ampia gamma di preghiere di cui anche in Orat il Figlio è fatto ogget-
to, sempre sulla base di 1Tm 2, 1 (devhsi", e[nteuxi", eujcaristiva)413.
In ogni caso la «preghiera al Padre», come non è concepibile per Ori-
gene al di fuori dell’intervento dello Spirito, così non può darsi senza l’in-
termediazione del Figlio e la sua compartecipazione al nostro pregare414.
L’Alessandrino conclude infatti l’argomentazione a sostegno del carattere
specifico della proseuchv con una riflessione sul ruolo mediatore del Fi-
glio (Orat XV, 2. 4). Adottando di nuovo la tecnica della prosopopea egli
sviscera ulteriormente l’insegnamento di Gesù sulla preghiera al Padre, in
continuità con le testimonianze scritturistiche, di cui offre con immedia-
tezza retorica una parafrasi attualizzante. In particolare, si serve di Gv 16,
23-24 415 , da cui trae l’indicazione a domandare al Padre «nel nome del
Figlio». Soprattutto, però, riprende l’immagine, che ricorre più volte nel
trattato, di Gesù come «sommo sacerdote», tratta dalla Lettera agli Ebrei,
unendovi anche la sua designazione come «avvocato» o «intercessore»
(paravklhto") in 1Gv 2, 1416. L’assistenza di Gesù alla preghiera dei fe-
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413 Orat XIV, 6 (nota 395).
414 Orat XV , 2 (334, 17-18): eujcaristou'nte" ou\n oiJ a{gioi ejn tai'" proseucai'"
eJautw'n tw'/ qew'/ dia; Cristou' ∆Ihsou' cavrita" oJmologou'sin aujtw'/. Da notare che la «pre-
ghiera dei santi» è presentata di primo acchito come eujcaristiva, ridimensionando ancora
una volta la distinzione terminologica tracciata in Orat XIV.
415 «In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome,
egli ve la darà. 24 Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché
la vostra gioia sia piena». È singolare che Origene citi il passo giovanneo solo in questa
occasione. Egli sottolinea l’innovazione dell’invocazione del Padre «nel nome di Gesù»,
uno spunto che potrebbe concorrere a rinforzare la novità della preghiera del Signore, ma
l’Alessandrino non se ne serve commentando l’indirizzo del Padrenostro in Orat XXII.
416 Orat XV, 4 (335, 19-22): ajrcierei' ga;r tw'/ uJpe;r uJmw'n katastaqevnti uJpo; tou'
patro;" kai; paraklhvtw/ ajpo; tou' patro;" ei\nai labovnti eu[cesqai uJma'" ouj dei' ajlla; di∆
ajrcierevw" kai; paraklhvtou. Al riguardo, Koetschau osserva che il termine paravklhto"
va inteso nel senso di 1Gv 2, 1, cioè in riferimento a Gesù come «intercessore» (cfr. ad
esempio HLv VII, 2), piuttosto che allo Spirito come «consolatore» in Gv 14, 16.26; 15,
26; 16, 7. Sul suo uso da parte di Origene, conformemente a tale distinzione, di cui peral-
tro l’Alessandrino stesso sarebbe la fonte originaria, si veda Pastorelli, 261: «Si la Sep-
tante a innové avec les sens de “consoler” et “consolation” pour parakalev w et pa-
ravklhsi", elle n’atteste pas le sens de “consolateur” pour paravklhto". Toutefois, à partir
du moment où la sémantique de la consolation est attestée pour la racine verbale, le sens
de “consolateur” s’inscrit dans une évolution sémantique prévisible. Origène a rencontré
ce sens à l’évidence chez Théodotion, Aquila et Symmaque. En conséquence, il le reçoit
dans le cadre de ce débat technique d’une part, mais il est le premier à l’appliquer à l’exé-
gèse johannique d’autre part. Il est donc vraisemblable que l’on doive à Origène ce sens
140 Parte prima, Capitolo quinto
deli è fondata alla sua radice dalla figliolanza divina, garantita loro per
opera sua nel dono dello Spirito417 . In quanto «figli di Dio», i fedeli sono
anche fratelli di Gesù, come Origene ricorda servendosi, in particolare, di
Sal 21(22), 23: «Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo
all’assemblea»418. In tal modo la preghiera al Padre, ancorata insepara-
bilmente al rapporto con il Figlio, disvela la comune vocazione ad attuare
l’immagine di Dio in noi sulle tracce di colui che è ontologicamente la
sua Immagine piena 419 .

4. L’immagine biblica della preghiera: gli oranti dell’Antico Testamento

Più ancora che dalla terminologia della preghiera, con la sua inelimi-
nabile fluidità lessicale e semantica, l’atto orante sembrerebbe poter ac-
quistare nella riflessione di Origene una più concreta fisionomia alla luce
delle testimonianze sulle esperienze bibliche. L’Alessandrino ha dedicato
notevole attenzione alle figure veterotestamentarie di oranti, presumibil-
mente attingendo di proposito ad un patrimonio di esempi che doveva es-
sere ampiamente condiviso nel cristianesimo primitivo per il tramite del-
l’attività catechetica, in continuità peraltro con la parenesi giudaica (o giu-
deocristiana)420 . Il loro carattere topico può essere dedotto dall’utilizzo,
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pour le Paraclet de l’évangile de Jean, sens qui connaît par la suite une fortune considé-
rable dans l’exégèse patristique gréco-latine».
417 Orat XV, 4 (335, 24-27): mavqete ou\n, o{shn dwrea;n ajpo; tou' patrov" mou eijlhv-
fate, dia; th'" ejn ejmoi; ajnagennhvsew" to; th'" uiJoqesiva" pneu'ma ajpeilhfovte", i{na crhma-
tivshte uiJoi; qeou' ajdelfoi; de; ejmou'.
418 Orat XV , 4 (336, 1-4): ajdelfw'/ de; proseuvcesqai tou;" kathxiwmevnou" eJno;"
aujtw'n patro;" oujk e[stin eu[logon: movnw/ ga;r tw'/ patri; met∆ ejmou' kai; di∆ ejmou' ajnapemp-
tevon ejsti;n uJmi'n proseuchvn. L’interpretazione di Sal 21(22), 23 in questa chiave è assai
frequente in Origene. Cfr. ad esempio CIo XIX , 5, 28 (nota 874).
419 Gessel, 204: «Der Sohn ist als Bild Gottes Mittler der Schöpfung, er gibt dem
Menschen Anteil am Bild Gottes. Er ist auch der Spiegel, in welchem man Gott erkennt.
Er ist der Weg, der zum Bild der Ähnlichkeit mit Gott führt. [...] Diese logoschristologische
Grundkonzeption umschließt auch die Anwesenheit des Logos, bzw. Christi beim Gebet».
420 Insiste non a torto sui tratti catechetici Trevijano Etcheverría, 118: «Su orien-
tación (scil. di Origene) es la de un maestro eclesiástico con experiencia catequética».
Quanto alla tradizione giudaica (o giudeocristiana), oltre a rinviare al lungo catalogo di
esempi di quanti nell’Antico Testamento hanno agito «per fede» contenuto in Eb 11, egli
nota in Orat la presenza di procedimenti tipici della halakhah e della aggadah. Il legame
di Orat con la prassi catechetica è sostenuto anche da Konstantinovksy, Prayer, 175, in
relazione al commento del Padrenostro: «His commentary on the Lord’s Prayer probably
emanates from his exercise of priestly office in Caesarea, where the instruction of catechu-
mens in the central forms and rites of Christianity was a basic part of the Lenten catechet-
ical instructions». Tuttavia, a prescindere dall’accertamento del preciso contesto liturgico
che resta assai problematico (cfr. Buchinger 2007), la suggestiva tesi deve anche fare i
conti con la datazione di Orat e il quadro biografico trasmessoci da Eusebio di Cesarea.
L’atto della preghiera 141
sia pure in forma meno sistematica, all’interno di altri scritti protocristiani
sulla preghiera, come le due opere di Tertulliano e Cipriano. Ma la traccia
lasciata da questi oranti dell’Antico Testamento sulla prassi e la riflessio-
ne cristiane dell’antichità si coglie anche attraverso l’esperienza liturgica
e l’arte sacra. Infatti, alcuni dei più significativi testi di preghiera ricon-
ducibili a tali figure sono stati raccolti nelle «odi» (wjdaiv) annesse al sal-
terio della Settanta, beneficiando anch’essi della ricezione cristiana dei
salmi come la preghiera per eccellenza della chiesa421 . Inoltre compaiono
frequentemente nelle pitture catacombali o in altre espressioni artistiche
––––––––––––––––––
421 La pur pregevole raccolta La preghiera dei cristiani (a cura di Pricoco e Simo-
netti), non considera questo sfondo biblico-giudaico. Le «nove odi della chiesa greca»
comprendono i seguenti testi: 1. ∆Widh; Mwusew" ejn th/' ∆Exovdw/ (Es 15, 1-19); 2. ∆Widh;
Mwusew" ejn tw/' Deuteronomivw/ (Dt 32, 1-43); 3. Proseuch; Anna" mhtro;" Samouhl
(1Sam 2, 1-10); 4. Proseuch; Ambakoum (Ab 3, 2-19); 5. Proseuch; Hsaiou (Is 26, 9-20);
6. Proseuch; Iwna (Gio 2, 3-10); 7. Proseuch; Azariou (Dn 3, 26-45); 8. ”Umno" tw'n
triw'n paivdwn (Dn 3, 52-88); 9. Proseuch; Mariva" th'" qeotovkou (Lc 1, 46-55. 68-79).
Un secondo elenco di testi di preghiera annesso dalla tradizione greca al salterio include
ancora le seguenti odae: 10. ∆Widh; Hsaiou (Is 5, 1-9); 11. Proseuch; Ezekiou (Is 38, 10-
20); 13. Proseuch; Sumewn (Lc 2, 29-32); 14. ”Umno" eJwqinov" (Rahlfs, 164-183). Come
avverte HEx VI , 1 (191, 18-20) a proposito del Cantico di Mosè in Es 15, 1-19, l’«ode»
esprime di solito il ringraziamento a Dio per la salvezza ottenuta da Lui: «Moris quippe
sanctorum est, ubi adversarius vincitur, tamquam qui sciant non sua virtute, sed Dei gratia
victoriam factam, hymnum Deo gratulationis offerre». In Orat il termine è ripreso in due
«titoli» di preghiere bibliche: Ab 3, 1 (Orat XIV, 4 [332, 8]: proseuch; ∆Abbakou;m tou'
profhvtou meta; wj/dh'"); Sal 29(30), 1 (Orat XXIV, 4 [355, 21] yalmo;" wj/dh'" tou' ejgkaini-
smou' tou' oi[kou tou' Daui?d). In CC I, 56 (107, 11) è citato Sal 44(45), 1 (wj/dh; uJpe;r tou'
ajgaphtou'), mentre in II, 78 (201, 2) si menziona la seconda delle «odi» di Mosè (th;n ajpo;
th'" w/jdh'" tou' Deuteronomivou profhteivan), riguardo alla vocazione dei gentili, con cita-
zione da Dt 32, 21 (la designazione di Dt 32, 1-43 come w/jdhv figura in Dt 31, 30). Essa è
ricordata una seconda volta in V, 29 (ejn th/' tou' Deuteronomivou wjdh/'). L’uso neotestamen-
tario del termine è documentato dalla ripresa di Ap 14, 3 in CIo I, 1, 3, ma in questa stessa
opera si fa ancora riferimento solo a Sal 122(123) come al «quarto dei “canti dei gradini”»
(XXVIII, 4, 33), di cui l’Alessandrino cita spesso e volentieri il v. 1 (cfr. infra, p. 160).
L’occasione che ha spinto Origene a riflettere più approfonditamente su un complesso di
«odi» o «canti» è stato ovviamente il commento di Ct, ove ritroviamo in parte i testi già
noti. La «scala dei cantici», riportata in CCt Prol. 4, 5-11, include sei testi prima di Ct: 1.
il cantico di Mosè in Es 15, 1 (= Ode 1 LXX); 2. il cantico dei pozzi (Nm 21, 16-18); 3. il
cantico di Mosè in Dt 32 (= Ode 2 LXX); 4. il cantico di Debora in Gdc 5; 5. il cantico di
David in 2Sam 22, 1-3 (con il suo parallelo in Sal 17[18], 3); 6. il cantico di David per Asaf
e i suoi fratelli in 1Cr 16, 8-9 (con i paralleli in Sal 104[105], 1-15 e Sal 95[96] 1-13). In
HCt I, 1 figura invece come sesto cantico Is 5 (= Ode 10 LXX), secondo l’alternativa pe-
raltro considerata già in CCt Prol 4, 13. Del resto, stando allo stesso Origene, a questo
elenco di sette «cantici» si potrebbero ancora aggiungere i salmi designati come tali, in
particolare etiam quindecim simul graduum cantica (4, 14). Si veda al riguardo Brésard.
Cfr. inoltre HIud VI , 3 (501, 26-502, 2): «Habemus integrum volumen de canticis cantico-
rum scriptum. Ecce et in hoc libro Iudicum habemus canticum et in Numeris canticum
scriptum est et in Deuteronomio et in Exodo et in primo libro Regnorum; in primo etiam
Paralipomenon et in aliis multis locis invenies cantica divina esse descripta».
142 Parte prima, Capitolo quinto
paleocristiane, dove attestano in particolare il valore di «paradigmi di sal-
vezza», anche in concomitanza con le prove vissute dalle prime comunità
cristiane al momento delle persecuzioni e del martirio422 . Tale rilievo pa-
radigmatico risalta ancora di più, se teniamo presente che il complesso di
testi in questione s’inserisce comunque in un’ampia serie di preghiere
bibliche, che in qualche caso poteva dare luogo per l’Alessandrino a col-
lezioni più circoscritte – come vediamo specialmente dalla lista di «sette
cantici» proposta sia nel Commento che nelle Omelie sul Cantico dei
Cantici a titolo di «scala» simbolica del progresso spirituale. Tuttavia, in
Orat egli preferisce attenersi ad un dato tradizionale maggiormente dif-
fuso, a riprova di quel più ampio orizzonte biblico e comunitario richia-
mato per lui dalla preghiera individuale, la quale sta invero al centro del
trattato, pur dichiarando preliminarmente che ciascuno potrebbe racco-
gliere parecchie testimonianze analoghe nelle Scritture423 .
Il ricorso a questi personaggi noti e ai loro testi familiari di preghiera
era dunque precostituito in qualche modo dal contesto della vita ecclesia-
le, ma Origene vi ricorre cercando di sfruttare al massimo la loro esem-
plarità come tipi della preghiera esaudita da Dio. D’altra parte, ciò può
avvenire per lui in senso autentico e pieno unicamente grazie all’apporto
dell’ermeneutica spirituale delle Scritture, che sviscera una dimensione
più profonda rispetto ai benefici materiali e l’applica alla condizione del
cristiano424 . In linea con la risposta data al «problema della preghiera», le
figure degli oranti veterotestamentari vengono ad occupare un posto cen-
trale nella serie di argomenti addotti dall’Alessandrino a conferma dell’u-
tilità della preghiera e della necessità della sua pratica. Egli riunisce le di-
verse figure, per ben quattro volte di seguito (Orat XIII , 2; XIII, 3; XIII, 4;
XVI, 3), entro un «catalogo» che, nella sua articolazione più ampia, com-
prende i seguenti personaggi biblici425 :

––––––––––––––––––
422 Per una sintesi essenziale quanto suggestiva dei rapporti fra catechesi e arte pa-
leocristiana si veda Dulaey. Fra i Rettungsparadigmen degli oranti, l’autrice approfondi-
sce le figure di Giona nel ventre della balena, Daniele nella fossa dei leoni e i tre giovani
ebrei nella fornace.
423 Orat XIII, 2 (326, 12-14): tiv de; dei' katalevgein tou;" dia; tou' o}n dei' trovpon
proseuvxasqai megivstwn ejpiteteucovta" ajpo; qeou', paro;n eJkavstw/ eJautw'/ ajpo; tw'n
grafw'n ajnalevxasqai pleivona…
424 Ho approfondito le modalità argomentative del ricorso “paradigmatico” da parte
di Origene in Perrone 1993, in part. pp. 344-347.
425 È lo stesso Origene ad adoperare il termine katavlogo" (Orat XIII, 4: to;n katav-
logon tw'n wjfelhqevntwn dia; proseuch'" ). L’operazione di inventario o catalogo è un tratto
formale-argomentativo al quale l’Alessandrino ricorre abbastanza spesso nei suoi scritti.
Ne ho dato documentazione da ultimo in Il profilo letterario del Commento a Giovanni,
68-69, 74-76.
L’atto della preghiera 143
– Anna (1Sam 1, 9-13; 2, 1-10)426;
– Ezechia (Is 38) 427 ;
– Mardocheo e Ester (Est 4, 17a-z LXX)428 ;
– Giuditta (Gdt 13, 4-5)429 ;
– i tre giovani ebrei Anania, Azaria e Misaele (Dn 3, 24 ss. LXX )430;
––––––––––––––––––
426 Abbiamo più volte segnalato il rilievo della preghiera di Anna in Orat, con le
sue distinte espressioni rispettivamente in 1Sam 1 e 2 (cfr. supra, pp. 129-130). L’Alessan-
drino la fa propria, con una triplice citazione retoricamente ben inserita, in HReL I, 10,
allorché durante l’omelia predicata a Gerusalemme qualcuno dei presenti, sentendosi
male, si era messo a gridare: «Alle parole di Anna: Ha esultato il mio cuore nel Signore
(1Sam 2, 1), lo spirito avverso non ha potuto sopportare il nostro grido di gioia “nel Signo-
re”, ma lo vuole cambiare per sostituirvi la tristezza e per impedirci di dire: Ha esultato il
mio cuore nel Signore; ma noi non ci facciamo ostacolare e diciamo sempre più: Ha esul-
tato il mio cuore nel Signore» (tr. it. in Monaci Castagno 2000b, 397). Circa il rilievo di
HReL per il discorso origeniano sulla preghiera nell’ambito del corpus omiletico rinvio
a Perrone 2000e, 211-212; infra, p. 365. Sembra da riferire al cantico di Anna anche un
frammento catenario al Cantico: Didavskei kai; dia; tauvth" th'" wj/dh'" to;n prosercovmenon
qew/' eij" aujto;n movnon e[cein ta;" ejlpivda" kai; eij" aujto;n kauca'sqai, mh; megalaucei'n
ajlla; tapeinofronei'n (Klostermann-Nautin, 304, 5-7).
427 L’interesse per la figura di Ezechia sembra essere più occasionale nel trattato
(cfr. nota 318). Ma la menzione in Orat XXIX, 5 (384, 7-8), a commento della sesta peti-
zione, dove il re è messo in parallelo con Paolo, essendo anche lui soggetto al pericolo del
vanto (peri; ∆Ezekivou, o{sti" peptwkevnai levgetai ajpo; tou' u{you" th'" kardiva" aujtou'
[2Cr 32, 25]), è significativa dell’importanza del personaggio, designato come iustissimus
da HNm XVI, 7 (146, 31). Origene lo ricorda in più occasioni, menzionando anche la pre-
ghiera esaudita da Dio per il seguito della dinastia. Da segnalare specialmente CC VIII, 46
(261, 16-19), ove l’esempio di Ezechia figura a riprova dell’efficacia delle preghiere per
sanare la mancanza di figli, con quelli di Abramo e Sara e della donna guarita da Eliseo
(2Re 4, 8-17): ajnagnwvtw de; kai; ta; peri; ∆Iezekivou, ouj movnon ajpallagh;n novsou la-
bovnto" kata; ta;" ÔHsai?ou profhteiva" ajlla; kai; teqarrhkovtw" eijpovnto" tov: ∆Apo; ga;r tou'
nu'n paidiva poihvsw, a} ajnaggelei' th;n dikaiosuvnhn sou (Is 38, 19). Sui due momenti della
preghiera di Ezechia – supplica a Dio e ringraziamento per essere stato esaudito –, cfr.
Jonquière, 176-179.
428 Sull’esegesi origeniana di Ester, cfr. Kuyama. Siquans, 423 dedica solo un breve
cenno alla preghiera di Ester in Orat, ma si richiama anche a CRm IV, 5, che sfrutta però
Est 2, 15.17. Si ricordi che Ester, con Giuditta e Tobia, è visto da HNm XXVII, 1 come uno
dei testi biblici suscettibili di suscitare un interesse immediato negli ascoltatori, seppure
non allo stesso livello della Sapienza, dei Salmi, o dei Vangeli e dell’Apostolo (cfr. de
Lubac, 134).
429 Orat XIII, 3 (327, 18) offre la seguente etimologia: ∆Ioudh;q ga;r eJrmhneuvetai
ai[nesi". Cfr. anche supra, nota 292 e HIer XX, 7 (nota 1172); McDowell, 41-57.
430 Origene riporta una tradizione giudaica su Daniele e i suoi tre giovani compa-
gni, secondo cui a Babilonia furono fatti eunuchi. Sarebbero inoltre da riferire a loro le
profezie di Is 39, 7 e 56, 3-5, così commentate dall’Alessandrino in CMt XV, 5 (360, 30-
361, 3): «È dunque cosa buona, stando al senso mistico di questo passo (wJ" pro;" to;n mu-
stiko;n tovpon), non generare figli in Babilonia, ma restare privi di posterità quanto a Ba-
bilonia, come Daniele, perché non concepiamo e generiamo dalla Parola di Dio (come lui
ed i suoi compagni) se non visioni e profezie» (tr. Scognamiglio, 193). HEz IV, 5 (366,
144 Parte prima, Capitolo quinto
– Daniele (Dn 6, 11);
– Giona (Gio 2)431 ;
– Samuele (1Sam 12, 16-18);
– Elia (1Re 17-18) 432 .
Sorprendentemente in questo elenco non compare Mosè, che Orige-
ne valorizza invece ripetutamente nelle omelie, specialmente per l’epi-
sodio della preghiera ininterrotta che assicura ad Israele la vittoria nella
battaglia contro Amalek (Es 17, 8-16)433 . Ma il paradigma di Mosè orante
affiora comunque a più riprese nel trattato, in particolare quale testimone
rappresentativo della devhsi"434. Per ragioni analoghe si potrebbe ancora
aggiungere al catalogo la figura di Tobi (Tb 3, 1-2), anche se – come ab-
biamo visto – si tratta di un testimonium controverso, dal momento che lo
scritto è escluso dal canone ebraico435 . Nell’insieme, però, si deve ricono-
scere che l’immagine biblica della preghiera, riproposta da Origene anche
attraverso la serie di questi oranti, è molto sfaccettata e assai più varia di
quanto essa ci appaia dagli altri scritti eucologici coevi o successivi (con
––––––––––––––––––
17-18) riportando nuovamente la tradizione giudaica secondo cui Daniele sarebbe stato un
eunuco, afferma la sua fecondità spirituale: «Verum quia fertilis et sancta fuit anima illius
et propheticis divinisque sermonibus multos liberos procreavit» (cfr. anche HEz IV, 8). A
sua volta H36Ps IV, 2 (184, 140-143) precisa che Daniele conseguì la corona della perfe-
zione fin da fanciullo: «respice beatum Danielem, qui a puero et prophetiae gratiam meruit
et iniquos arguens presbyteros, puer coronam iustitiae et castitatis obtinuit».
431 Per l’interpretazione origeniana di Giona, cfr. Duval, 191-211. Il paradigma di
Giona ritorna nella spiegazione del grido di Gesù sulla croce come «preghiera spirituale»,
incomparabilmente più grande in quanto operatrice di salvezza universale, in CMtS 136
(281, 11-14): «Maiorem autem dico orationem Christi fuisse quam Ionae in utero ceti
propter magnitudinem rerum quae demonstrantur ex ea, et propter magnum effectum vo-
luntariae passionis eius».
432 Nel primo catalogo (Orat XIII, 2) e nella sua immediata riproposizione ( XIII, 3-4)
non figurano Samuele ed Elia, che sono invece aggiunti nel terzo elenco (XIII, 5). In H1ReG
I, 2 l’importanza di Samuele come intercessore, insieme a Mosè, è richiamata sulla base di
Ger 15, 1 («Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, io non mi piegherei
verso questo popolo») e Sal 98(99), 6-7 («Mosè e Aronne fra i suoi sacerdoti e Samuele fra
quelli che invocavano il suo nome: invocavano il Signore ed egli li esaudiva, parlava loro
nella colonna di nubi»). La funzione di intercessori ad opera di personaggi come Samuele
e Geremia è esaltata da CMtS 37 (70, 21-23): «Et aliquando quidem in Israel fames et
pestilentiae fiebant propter peccata et siccitates, quas orationes sanctorum solvebant, Sa-
muelis, Hieremiae ceterorumque similium». FrPs 3, 4 (PG 12, 1121D-1123A) esalta l’effi-
cacia di Elia come intercessore: eujcomevnou peri; tou' uJetou' kai; a{ma tw'/ aijtei'n tucovnto"
ajxiwvsew".
433 Si veda, ad esempio, HEx III, 3; X I , 4; HLv VI , 6; HNm XXV , 2; H1ReG I, 9.
Come nota Sgherri, 154, «tra tutti i santi dell’Antico Testamento la figura più delineata,
più ricordata, ed anche più magnificata, è senza dubbio quella di Mosè» (cfr. anche Saxer,
352-357).
434 Cfr. supra, pp. 128-129.
435 Cfr. Orat XIV , 3 e supra, p. 129; McDowell, 73-84.
L’atto della preghiera 145
la sola eccezione di Afraate), come mostra il confronto con Tertulliano e
Cipriano, per non parlare di Clemente436 . Inoltre, il catalogo di Orat è ben
più esteso di quello fornito a breve distanza di tempo dallo stesso
Alessandrino nell’Esortazione al martirio, che include solo alcuni di que-
sti «paradigmi di salvezza»437 .
Nonostante l’abbondanza dell’esemplificazione scritturistica, l’aspet-
tativa di cominciare a disegnare, attraverso questi personaggi della Bibbia,
il profilo ad un tempo ideale e concreto dell’atto orante resta almeno in
parte delusa. Bisogna ricordare che la loro esemplarità si dà per Origene
non tanto in chiave parenetico-imitativa (del resto apertamente contrad-
detta all’inizio con il riconoscimento, nel prologo, dell’incapacità umana
a pregare «come si conviene», nonostante la paradigmatica scritturisti-
ca)438, bensì soprattutto in forma dialettico-argomentativa quale ulteriore
risposta alle obiezioni sull’utilità del pregare. Gli oranti dell’Antico Te-
stamento acquistano valore testimoniale perché documentano l’efficacia
della preghiera, che può contare sull’esaudimento della richiesta e sul-
––––––––––––––––––
436 In Tertulliano ritroviamo solo l’esempio dei Tre Giovani nella fornace, di Giona
nel ventre della balena e di Daniele nella fossa dei leoni, ma con diversa strategia argo-
mentativa. Nel primo e nel secondo caso i paradigmi sono richiamati in via subordinata e
in termini ironici o polemici (De orat. 15, 2 [65,11-13]: «Deus scilicet non audiat paenu-
latos, qui tres sanctos in fornace Babylonii regis orantes cum sa<ra>baris et tiaris suis
exaudivit»; 17, 4 [266,11-267,13]: «Dei aures sonum expectant? Quomodo ergo oratio Io-
nae de imo ventre ceti per tantae bestiae viscera et ab ipsis abyssis per tantam aequoris
molem ad caelum potuit evadere?)»; nel terzo Tertulliano se ne serve invece per rimarcare
la superiorità della preghiera cristiana rispetto alla «vetus oratio» (29, 1 [274, 3-5]: «Vetus
quidem oratio et ab ignibus et a bestiis et ab inedia liberabat [cfr. Dn 3, 15-50; 6, 15-24;
14, 33-42] et tamen non a Christo acceperat formam»). Anche in Cipriano incontriamo in
ordine sparso: Anna, «tipo della chiesa», addotta a modello di preghiera interiore (De
dom. or. 5 [92,61 ss.]); i Tre Giovani, che pregano in maniera concorde, «et nondum illos
Christus docuerat orare» (8 [93, 117–94, 118]; Daniele, esempio di coloro che antepongo-
no la ricerca del regno di Dio (21 [103, 396 ss.]). Infine, nel cap. 34 i Tre Giovani e Da-
niele fondano la prassi delle ore di preghiera (111, 633 ss.). Quanto a Clemente Alessan-
drino, egli ignora i paradigmi veterotestamentari, se si esclude un’allusione alla preghiera
silenziosa di Anna in Strom. VII, 7, 39, 6 (140), con il rinvio a 1Sam 1, 13. Nella ricchissi-
ma esemplificazione veterotestamentaria della preghiera contenuta nella Dimostrazione IV
di Afraate troviamo Anna (Dem. IV, 8); Samuele (IV, 8); Giona (IV, 8.12); Anania, Azaria
e Misaele (IV, 8); Daniele (IV , 9); Elia (IV, 12).
437 EM 33 (28, 19-22) menziona come esempi da imitare tuttora: Anania, Azaria e
Misaele; Mardocheo ed Ester; Daniele. La funzione del richiamo paradigmatico è di tipo
apertamente parenetico-esemplare ed è assecondata da una presentazione “omiletica” che
attualizza le figure del passato: ajll∆ hJmei'" i{na drovsou oujranivou peiraqw'men sben-
nuouvsh" pa'n pu'r ajf∆ hJmw'n kai; katayucouvsh" hJmw'n to; hJgemoniko;n, tou;" iJerou;" ejkeiv-
nou" mimhswvmeqa, mhv pote kai; nu'n oJ ∆Ama;n qevlh/ tou;" Mardocaivou" uJma'" proskunh'-
sai aujtw/'.
438 L’insegnamento biblico sulla preghiera non è come tale esaustivo ed anche riso-
lutivo, in ordine alla prassi cristiana; perché ciò avvenga, è necessario il soccorso dello
Spirito, che solo può colmare tale divario (Orat II, 3-4).
146 Parte prima, Capitolo quinto
l’intervento di Dio in aiuto all’uomo, benché gli «antichi» tendenzialmen-
te non partecipino ancora del rapporto di figliolanza divina, garantito ai
credenti in Cristo dal dono dello Spirito439 . Se questa è la funzione prin-
cipale che l’Alessandrino attribuisce ai paradigmi veterotestamentari, egli
è disposto ad accogliere anche gli elementi di tensione che scaturiscono
inevitabilmente dal confronto con la sua visione della «preghiera spiritua-
le». Da un lato, infatti, deve prendere atto dell’immediatezza della lettera
biblica, riconoscendo così la concretezza dei benefici assicurati agli oranti
(Orat XIII, 2): dunque, non è solo la salvezza della vita mortale ad essere
garantita dalla risposta divina alla preghiera (i tre giovani, Daniele, Gio-
na), ma anche aspettative di carattere puramente terreno come le attese di
generazione (nel caso di Anna e di Ezechia) oppure la sopravvivenza del
popolo d’Israele (Mardocheo e Ester, Giuditta). L’interesse è dunque ri-
volto soprattutto all’esaudimento della preghiera, ma sia pure marginal-
mente non mancano indicazioni rivelatrici delle condizioni spirituali ri-
chieste perché esso avvenga. Sotto questo punto di vista affiorano almeno
alcuni elementi che contraddistinguono significativamente l’atto orante,
come avremo modo di disegnarlo in seguito440 .
È evidente però che Origene non può arrestarsi al livello della lettera,
per cui in un secondo momento – con un’applicazione che definiremmo
di tipo “morale” – trasferisce l’esaudimento nell’ordine sensibile per gli
oranti dell’antica alleanza alla condizione dei credenti in Cristo (Orat
XIII, 3). Così, la sterilità fisica di Anna e di Ezechia è figura della sterilità
spirituale che spesso affligge le nostre anime, mentre la loro fecondità è
garantita dall’intervento dello Spirito che asseconda una preghiera assi-
dua441 . A sua volta, la preghiera di Mardocheo e Ester contro la minaccia
di annientamento per i popolo dei Giudei trova rispondenza nel nostro
abbandono fiducioso all’aiuto divino, mediante l’invocazione del «nome
––––––––––––––––––
439 Cfr. Orat XXII , 1-2, dove si sottolinea la precarietà della condizione di «figli» e
della conseguente parjrJhsiva nell’Antica Alleanza. Mi sono soffermato su questo pro-
blema in Perrone 1993, 359 ss.
440 Così la richiesta di Anna perché la sua sterilità venga sanata è accompagnata da
un atteggiamento di fede (Orat XIII, 2 [326, 15-16]: mh; tivktousa pisteuvsasa proshuv-
xato pro;" kuvrion), mentre Mardocheo ed Ester uniscono il digiuno alla preghiera ([326,
19-20] proseuch; meta; nhsteiva" Mardocaivou kai; ∆Esqh;r ejpakousqei'sa). Quanto a
Giuditta, la sua orazione è qualificata senz’altro come «santa» ([326, 22] aJgivan ajneneg-
kou'sa proseuchvn), mentre Anania, Azaria e Misaele «divennero degni di essere esauditi»
([326, 26] a[xioi gegovnasin ejpakousqevnte"). Anche nel caso di Giona, Origene sottolinea
le disposizioni spirituali, che predispongono l’esaudimento da parte di Dio, poiché egli
«non dispera di essere ascoltato» ([326, 28-327, 1] oujk ajpognou;" to; ejpakousqhvsesqai
ejk koiliva" tou' katapiovnto" aujto;n khvtou").
441 Orat XIII, 3 (327, 6-10): a[gonoiv te ga;r ejpi; polu; gegenhmevnai yucai;, hj/sqh-
mevnai th'" steirwvsew" tw'n ijdivwn hJgemonikw'n kai; th'" ajgoniva" tou' nou' eJautw'n, ajpo; tou'
aJgivou pneuvmato" dia; ejpimovnou eujch'" kuhvsasai swthrivou" lovgou", qewrhmavtwn ajlh-
qeiva" peplhrwmevnou", gegennhvkasin.
L’atto della preghiera 147
del Signore», contro i nemici che vorrebbero distoglierci dalla fede442.
Ancora, la vittoria di Giuditta su Oloferne simboleggia quella ottenuta sul
«comandante in capo» del demonio, equivalente per Origene al «discorso
ingannevole» capace di attrarre a sé i supposti credenti, da parte di «colui
che loda» Dio, mentre i tre giovani nella fornace ardente sono figura di
coloro che, pur oppressi da tentazioni ben più brucianti, ne sono usciti in-
denni443. Quanto poi a Daniele nella fossa dei leoni, egli è l’esempio della
sorte di salvezza toccata a chi con le proprie preghiere è riuscito a sfug-
gire alle grinfie di belve infuriate – come sono gli spiriti malvagi e uo-
mini terribili –, poiché essi nulla possono contro le membra di Cristo444.
In questo esempio, ma in parte anche nei precedenti, Origene sembre-
rebbe tener presente, in special modo, la situazione del martirio, com’è
forse anche dell’ultimo di questi «paradigmi di salvezza» che testimo-
niano l’esaudimento della preghiera. Tuttavia, Giona – salvato dal ventre
della balena in seguito alla sua invocazione del soccorso di Dio – è più in
generale figura di quanti, allontanatisi dai precetti divini e inghiottiti dalla
morte spirituale, ne sono stati liberati in seguito alla loro conversione445.
Anche questa applicazione attualizzante accenna indirettamente alle mo-
dalità dell’atto orante, ma in ogni caso in maniera più sfumata che nella
prima presentazione dei paradigmi. Ciò che importa è, infatti, l’esito spi-
rituale determinato dall’intervento della preghiera e nella prospettiva della
fede in Cristo esso risulta chiaramente superiore al beneficio ottenuto
dagli oranti veterotestamentari.
È il procedimento che vediamo sfruttato soprattutto da Tertulliano, al-
lorché distingue e contrappone la nova oratio dei cristiani alla vetus oratio
dell’Antico Testamento, legandola all’antitesi fra spiritualia e carnalia446 .
––––––––––––––––––
442 Orat XIII, 3 (327, 10-15). In questo caso Origene rielabora il paradigma corri-
spondente servendosi di altro materiale biblico (Sal 19[20], 8; Sal 32[33], 17).
443 Orat XIII, 3 (327, 15-18 [Giuditta].18-22 [i tre giovani]). Si noti qui l’etimologia
di «Giuditta» (supra, nota 429).
444 Orat XIII, 3 (327, 22-26): ajlla; kai; ejn o{soi" qhrivoi", kaq∆ hJmw'n ejxhgriwmev-
noi", ponhroi'" pneuvmasi kai; ajnqrwvpoi" wjmoi'" paratucovnte" tai'" eujcai'" aujtou;" pol-
lavki" ejfivmwsan, ouj dedunhmevnwn ejgcrivyai tou;" ojdovnta" aujtw'n toi'" gegenhmevnoi"
hJmw'n mevlesi tou' Cristou'…
445 Orat XIII, 3 (327, 28-328, 2): i[smen de; pollavki" fugavda" prostagmavtwn qeou'
katapoqevnta" uJpo; tou' qanavtou, provteron kat∆ aujtw'n ijscuvsanto", dia; th;n metavnoian
swqevnta" ajpo; tou' thlikouvtou kakou', oujk ajpegnwkovta" to; swv/zesqai duvnasqai h[dh ejn
th'/ koiliva/ tou' (Gio 2, 1-2) qanavtou kekrathmevnou": katevpie ga;r oJ qavnato" ijscuvsa",
kai; pavlin ajfei'len oJ qeo;" pa'n davkruon ajpo; panto;" proswvpou (Is 25, 8).
446 Anche in Tertulliano peraltro la linea oppositiva, marcata dall’antitesi fra Antico
e Nuovo Testamento, si combina con quella integrativa e riconciliatrice, per cui l’oratio
christiana funziona anche come sintesi dell’insegnamento veterotestamentario. Nondime-
no, il primo motivo resta nettamente predominate, sicché una paradigmatica biblica della
preghiera può darsi unicamente in relazione all’esempio di Gesù: «Deus solus docere
potuit, ut se vellet orari» (De orat. 9, 3 [263,8-9]).
148 Parte prima, Capitolo quinto
Ora, in un terzo tratto della sua argomentazione (Orat XIII, 4) l’Alessan-
drino insiste ulteriormente su questo aspetto accostandosi ancor più espli-
citamente ai paradigmi veterotestamentari nell’ottica ermeneutica che gli
è propria e facendo intervenire a sostegno di essa la terminologia corri-
spondente 447 . È più evidente adesso la preoccupazione di tutelare il mo-
dello della «preghiera spirituale», ribadendo il primato delle «realtà mi-
stiche» sulle cose «piccole e terrene» e qualificando le figure degli oranti
dell’Antica Alleanza come «tipi», cioè anticipazioni o prefigurazioni della
verità che si dà più autenticamente nell’esperienza cristiana di fede. Per
questo Origene esorta a riappropriarsi delle figure già note traendone indi-
cazioni per la vita spirituale, ma senza conferire in ciò un qualche rilievo
all’atto orante come tale. Dapprima invita così a sforzarsi di vincere la ste-
rilità spirituale, come Anna ed Ezechia vinsero quella fisica, e a sconfig-
gere gli spiriti malvagi al pari di Mardocheo, Ester e Giuditta448 . Semmai
l’aspetto della preghiera, intesa però quale eujcaristiva (sia pure con una
allusione all’ejxomolovghsi", come «confessione» che la precede, nella cita-
zione di Sal 73[74], 19), ritorna nelle attualizzazioni dei Tre Giovani nella
fornace e nel caso di Daniele: colui che si sottrae alla fornace ardente,
––––––––––––––––––
447 Sotto tale profilo, Orat XIII, 4 (328, 11-13) è il passo più significativo dell’intero
trattato. Si noti, in particolare, la distinzione fra levxi" e ajnagwghv: prokrinomevnwn tw'n
ajpo; th'" ajnagwgh'" met∆ ejxetavsew" paristamevnwn th'" ejmfainomevnh" kata; th;n levxin ge-
gonevnai toi'" proseuxamevnoi" eujergesiva". Interviene altresì il criterio della «legge spiri-
tuale» (Rm 7, 14), su cui si veda Cocchini, 124 ss.
448 Orat XIII, 4 (328, 13-329, 6): kai; ejn hJmi'n ga;r ajskhtevon mh; ejggenevsqai a[gonon
h] stei'ran [<yuchvn> BKV, 48 n. 5], ajkouvousi tou' pneumatikou' novmou wjsi; pneuma-
tikoi'": i{na ajpotiqevmenoi to; ei\nai a[gonoi h] stei'rai ejpakousqw'men wJ" “Anna kai;
∆Ezekiva", kai; i{na ajpo; ejpibouleuovntwn ejcqrw'n tw'n pneumatikw'n th'" ponhriva" rJusqw'-
men wJ" Mardocai'o" kai; ∆Esqh;r kai; ∆Ioudhvq. kai; ejpei; kavminov" ejsti sidhra' Ai[gupto",
suvmbolon tugcavnousa panto;" tou' perigeivou tovpou, pa'" oJ ejkpefeugw;" th;n tou' bivou
tw'n ajnqrwvpwn kakivan kai; mh; pepurwmevno" uJpo; th'" aJmartiva" mhde; wJ" klivbanon plhvrh
puro;" th;n kardivan ejschkw;" mh; e[latton eujcaristeivtw tw'n ejn puri; drovsou pepeira-
mevnwn. ajlla; kai; oJ ejn tw'/ eu[xasqai kai; eijrhkevnai: mh; paradw'/" toi'" qhrivoi" yuch;n
ejxomologoumevnhn soi (Sal 73[74], 19) ejpakousqei;" kai; mhde;n ajpo; th'" ajspivdo" kai; tou'
basilivskou paqw;n tw'/ dia; Cristo;n aujto;n aujtw'n ejpibebhkevnai kai; katapathvsa" levon-
ta kai; dravkonta (Sal 90[91], 13) th'/ te kalh'/ ejxousiva/ uJpo; ∆Ihsou' dedomevnh/ crhsavmeno"
tou' patei'n ejpavnw o[fewn kai; skorpivwn kai; ejpi; pa'san th;n duvnamin tou' ejcqrou' (Lc 10,
19) kai; mhde;n uJpo; tw'n tosouvtwn ajdikhqei;" plei'on tou' Danih;l eujcaristhsavtw, a{te
ajpo; foberwtevrwn kai; ejpiblabestevrwn rJusqei;" qhrivwn. pro;" touvtoi" oJ pepeismevno",
poivou khvtou" tuvpo" to; katapepwko;" to;n ∆Iwna'n ejtuvgcane, kai; katalabw;n de; o{ti ejkeiv-
nou tou' uJpo; tou' ∆Iw;b eijrhmevnou: kataravsaito aujth;n oJ katarwvmeno" th;n hJmevran ejkeiv-
nhn, oJ mevllwn to; mevga kh'to" ceirwvsasqai (Gb 3, 8), ejavn pote gevnhtai diav tina ajpei-
qivan ejn th'/ tou' khvtou" koiliva/ (Gio 2, 1), metanow'n eujxavsqw, kajkei'qen ejxeleuvsetai.
La rielaborazione non presenta sostanziali novità, quanto al contenuto, ma ci permette di
intravedere ancor meglio il tratto “omiletico” (forse più che “catechetico”) dell’uso ori-
geniano di questi materiali biblici. Come mostra CC VII, 70, l’uso di Sal 90(91), 13 ha una
chiara implicazione antiidolatrica.
L’atto della preghiera 149
simbolo di ogni luogo terreno, e sfugge al male non lasciandosi bruciare
dal peccato, non deve essere da meno di Anania, Azaria e Misaele nel rin-
graziare Dio. Il fedele, poi, esaudito per la forza di Cristo, che è venuto a
sconfiggere il demonio e ci ha dato il potere di camminare su serpenti e
scorpioni, dovrà esprimere un ringraziamento maggiore di Daniele, poiché
è stato liberato da belve più temibili e nocive. Infine, quanto a Giona, chi
ha compreso di che cosa sia figura il pesce che lo inghiotte, qualora di-
venga preda del male, si converta, preghi e ne verrà liberato449.
Nel fornire questa interpretazione in chiave tipologico-morale Ori-
gene si rende probabilmente conto di creare una tensione troppo forte con
il dato veterotestamentario di partenza, ricondotto inizialmente alla sola
lettera, tanto più che così facendo si attira l’obiezione per cui le preghiere
degli oranti veterotestamentari contraddicono apertamente il suo modello
della «preghiera spirituale» 450 . Egli ritorna pertanto una quarta volta sul
catalogo (Orat XVI, 3) e a questo punto intende tutti i benefici di ordine
materiale conseguenti alla preghiera degli oranti veterotestamentari come
«ombra» dei beni spirituali di cui essi stessi partecipano451. Con questo
––––––––––––––––––
449 Il nesso in Orat XIII , 4 fra Gio 2, 1 e Gb 3, 8 è così spiegato da HLv VIII , 3:
«Vedi dunque come [Giobbe] nello Spirito santo ha predetto il grande mostro marino
(Gio 2, 1) di Giona. Per cui anche il Signore, che avrebbe ucciso questo mostro marino, il
diavolo, dice: Come Giona fu per tre giorni e tre notti nel ventre del mostro marino, così
bisogna che anche il Figlio dell’uomo stia per tre giorni e tre notti nel cuore della terra
(Mt 12, 40)» (tr. Danieli, 180).
450 Orat XVI , 2 (336, 21-26): pa'" toigarou'n oJ ta; ejpivgeia kai; mikra; aijtw'n ajpo;
tou' qeou' parakouvei tou' ejnteilamevnou ejpouravnia kai; megavla aijtei'n ajpo; tou' mhde;n
ejpivgeion mhde; mikro;n carivzesqai ejpistamevnou qeou'. eja;n dev ti" ajnqupofevrh/ ta; kata;
to; swmatiko;n ejk proseuch'" toi'" aJgivoi" dwrhqevnta ajlla; kai; th;n tou' eujaggelivou
fwnh;n, didavskonto" ta; ejpivgeia hJmi'n prostivqesqai kai; ta; mikra;.
451 Orat XVI, 3 (337, 13-338, 5): ma'llon ou\n kekarpoforhvkei ajpov tino" steirwv-
sew" metabalou'sa hJ th'" “Annh" yuch; h[per to; sw'ma, kuh'san to;n Samouhvl: kai; ma'llon
oJ ∆Ezekiva" qei'a gegennhvkei tevkna nou' h[per swvmato" [h[per <ta;> BKV, 60 n. 2], ejk tou'
swmatikou' spevrmato" aujtw/'n gegennhmevnwn [aujtw/' gegennhmevna BKV, 60 n. 2]: ejpi;
plei'ovn te ajpo; nohtw'n ejpiboulw'n rJusqevnte" ejtuvgcanon ∆Esqh;r kai; Mardocai'o" kai;
oJ lao;" h[per ajpo; tou' ∆Ama;n kai; tw'n sumpneovntwn ....... [<aujtw/'. kai; ma'llon ∆Ioudh;q>
BKV, 60 n. 4] tou' diafqei'rai th;n yuch;n aujth'" qevlonto" a[rconto" th;n duvnamin dia-
kekovfei h] [<to;n travcelon> BKV, 60 n. 4] ejkeivnou tou' ∆Olofevrnou. tiv" d∆ oujk a]n oJmo-
loghvsai tw'/ ∆Ananiva/ kai; toi'" su;n aujtw'/ th;n nohth;n eujlogivan fqavnousan ejpi; pavnta" tou;"
aJgivou", eijrhmevnhn uJpo; tou' ∆Isaa;k tw'/ ∆Iakw;b, thvn: dwv/h soi oJ qeo;" ajpo; th'" drovsou tou'
oujranou' (Gn 27, 28), ejpi; plei'on ejggegonevnai h[per th;n swmatikh;n drovson, th;n flovga
nikw'san tou' Naboucodonovsor… ma'llon de; pefivmwnto tw'/ profhvth/ Danih;l oiJ ajovratoi
levonte", oujde;n ejnergh'sai dunavmenoi kata; th'" yuch'" aujtou', h[per oiJ aijsqhtoi;, peri;
w|n pavnte" oiJ ejntugcavnonte" aujth'/ th'/ grafh'/ ejxeilhvfamen. tiv" d∆ ou{tw" ejkpefeuvgei tou'
keceirwmevnou uJpo; tw'/ ∆Ihsou' tw'/ swth'ri hJmw'n khvtou" th;n gastevra, pavnta to;n fugavda
tou' qeou' katapivnonto", wJ" ∆Iwna'" cwrhtiko;" ginovmeno" wJ" a{gio" aJgivou pneuvmato"… Si
noti l’insistenza su termini attinenti l’ambito psicologico-intellettivo (yuchv, nou'", noh-
tov"). de Lubac, 112, cita questa pagina ad esempio di come Origene intenda, «sans rien
enlever à l’histoire, spiritualiser toute l’Écriture à l’usage de l’âme chrétienne». Anche
150 Parte prima, Capitolo quinto
ulteriore intervento ermeneutico, grazie allo schema d’impronta platonica
«dono-ombra» (equiparabile al più noto «verità-immagine»), anche i para-
digmi dell’Antico Testamento sono assimilati al modello della «preghiera
spirituale». Anche se questo esito, in ultima analisi, appare conforme al
rapporto tra Antico e Nuovo Testamento nella visione dell’Alessandrino,
esso non può non implicare qualche tensione rispetto alla nota di radica-
lità insinuata dal prologo con la denuncia dell’insufficienza dei modelli
biblici, ed anche rispetto alla stessa esemplarità della Preghiera del Si-
gnore452 . In ogni caso, nessuno degli esempi veterotestamentari è addotto
da Origene in vista di illustrare più da vicino le modalità dell’atto oran-
te, come egli fa altrove richiamando occasionalmente figure dell’Antico o
del Nuovo Testamento453 . Anziché incidere sulla prassi di preghiera, pre-
figurandone le caratteristiche a titolo di istruzione orientativa, i paradigmi
degli oranti veterotestamentari, come rilevato più volte, sono richiama-
ti dall’Alessandrino a conforto di una prassi che trova comunque la sua
fondazione essenziale in una diversa prospettiva. Semmai la lunga, e in
parte ripetitiva, trattazione su tali personaggi è la dimostrazione di quanto
l’attaccamento alla Bibbia condizioni l’articolarsi del discorso origeniano
sulla preghiera, unitamente ad un certo radicamento «ecclesiale» che in
questa parte del trattato si rivela più manifestamente. Inoltre, nel concre-
to esplicarsi dell’atto della preghiera, proprio la cornice comunitaria che
esso implica per l’Alessandrino anche a livello di orazione individuale, ci
farà ritrovare più avanti la presenza comunionale degli oranti veterote-
stamentari.

––––––––––––––––––
Buchinger, 327-329, ha sottolinea il valore ermeneutico del ricorso ai luoghi veterotesta-
mentari nel senso dell’interpretazione spirituale.
452 La congruenza con il modello origeniano del rapporto Antico-Nuovo Testamen-
to può essere verificata, ad esempio, in alcuni luoghi di CIo. In I, 6-7 (GCS 10,10 ss.) esso
è chiarito in un’ottica che non è esente da polarità: la funzione provvisoria – l’economia
per «figure» originariamente propria della Legge e dei Profeti – è superata dal Vangelo.
Ma questo ha l’effetto di togliere il velo dall’Antico Testamento, quindi ce lo restituisce
non più come «ombra» e «figura» ma come libro dei misteri. D’altra parte, rispetto a
questa visione economico-progressiva, Origene ammette anche nell’Antico Testamento
una venuta «intelligibile» (nohthv ) del Logos per i «più perfetti» (I, 7 [11,27]), cioè per i
santi dell’antica alleanza, sicché la loro condizione di «spirituali» è equiparata alla nuova
condizione dei cristiani, se non addirittura superiore, quando questi «conoscono Cristo sol-
tanto secondo la carne» (II , 3 [56,29 ss.]). Si veda anche un esempio di preghiera «intelli-
gibile» in VI, 18: Mosè non gridava in modo sensibile, ma gridava grandemente attraverso
la preghiera, con una voce che può essere udita solo da Dio (127,14-20 – con riferimento
a Es 14, 15 e Sal 76[77], 2).
453 Come ho segnalato in Perrone 2007, si devono tener presenti non solo il para-
digma di Mosè, ma anche la sposa orante di Ct, nonché i materiali neotestamentari. Al ri-
guardo, più che la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 9-14), Origene valorizza il
modello di Gesù orante.
L’atto della preghiera 151
5. Istruzioni per la preghiera: un atto con l’anima e con il corpo

L’esito, a prima vista un po’ deludente, dell’indagine sul ricorso di


Origene ad alcuni dei luoghi veterotestamentari più consueti per il discor-
so protocristiano sulla preghiera non deve portarci a concludere che sia
impresa impossibile definire con precisione le dinamiche dell’atto orante
secondo l’Alessandrino, aldilà di generici riferimenti scritturistici. Al con-
trario, se è vero che la preghiera, specialmente nella sua espressione indi-
viduale e apparentemente poco ritualizzata, tende di per sé a sottrarsi ad
un’osservazione diretta e documentabile (tanto più nel caso del cristiane-
simo antico), ciò nondimeno l’atto orante è oggetto di una riflessione ad
hoc nelle trattazioni eucologiche di età patristica, inclusa quella stessa di
Origene454. Senza dubbio Orat, posto a confronto con gli scritti di Tertul-
liano e Cipriano, si mette in luce per la sua tendenza alla spiritualizza-
zione che lo permea da cima a fondo, mentre i due autori africani sono
ben più sensibili alla disciplina pratica della preghiera, anche negli aspetti
più minuti455. Da questo punto di vista, ancora una volta il termine di
paragone più prossimo ad Orat è piuttosto Clemente Alessandrino nel VII
Libro degli Stromati, ma neppure questo predecessore della sua stessa
scuola ignora le problematiche relative alla messa in pratica dell’atto oran-
te. Di conseguenza, anche Origene – come si è ricordato all’inizio del ca-
pitolo – ha voluto accompagnare la riflessione teorica sul «problema della
preghiera» con osservazioni di carattere pratico sul modo in cui attuare
l’orazione. Tali indicazioni sono importanti non solo per la comunità
orante, ma anche per l’individuo che prega. Ora, questi non solo consiste
inscindibilmente di anima e corpo – e deve pertanto mettere in gioco en-
trambe le dimensioni costitutive del suo essere nell’atto di pregare –, ma
tale atto si esplica anche nel tempo e nello spazio, due coordinate vitali di
cui l’Alessandrino si è sforzato ugualmente di tenere conto. Si tratta ades-
so di ritrovare le sue riflessioni sparse nell’insieme dello scritto, congiun-
gendole con la trattazione della sezione conclusiva (Orat XXXI-XXXIII)
che le tematizza espressamente456 .
È interessante notare che Origene si sofferma per la prima volta sul-
l’argomento proprio dopo aver concluso la responsio alla quaestio, cioè
al momento di sviluppare in positivo la riflessione sulla preghiera e cor-
––––––––––––––––––
454 Benché l’interiorità dell’orante rimanga per sua natura “elusiva” e di difficile
accesso all’osservatore esterno, neppure per i cristiani è possibile ridurre la preghiera alle
sue dimensioni interiori e spontanee, com’è stato notato giustamente da Mauss (cfr. su-
pra, p. 27) e Heiler.
455 Per un confronto si veda Crouzel 1975 e Perrone 2004a.
456 Tre sono di fatto i luoghi principali di Orat per cogliere il disporsi dell’atto
orante (Orat VIII-IX ; XX , 2; XXXI, 2), laddove il primo e il terzo presentano un carattere
sintetico e in quanto tali si prestano meglio ad una descrizione comprensiva.
152 Parte prima, Capitolo quinto
roborare così in altra forma la sua replica alle obiezioni filosofiche (Orat
VIII, 1)457 . È una prima messa a punto, alquanto sintetica ma già ben deli-
neata, su come debba darsi l’atto orante, qualora intenda pervenire al suo
scopo, sia pure ricorrendo ad un’argomentazione per lo meno singolare.
Infatti, l’Alessandrino ritiene utile servirsi di un esempio tratto dall’espe-
rienza di vita per «esortare a pregare e a distogliere dal trascurare la pre-
ghiera»: come non è possibile generare figli senza una donna e senza l’atto
sessuale a ciò finalizzato, allo stesso modo colui che prega, deve rispetta-
re certe disposizioni spirituali e condizioni preventive, se vuole ottenere
ciò che domanda458. La curiosa esemplificazione ha forse la sua ragion
d’essere nello status familiare dei due destinatari, e in particolar modo
nella problematica “al femminile” che affiora in più punti del trattato459.
Essa richiama comunque le immagini di generazione, che incontriamo
successivamente in relazione agli oranti veterotestamentari come Anna
ed Ezechia460 . Ma in sostanza risponde eloquentemente al problema del-
l’efficacia e utilità della preghiera segnalando il requisito preliminare di
una particolare «disposizione d’animo» (meta; diaqevsew" toia'sde), se-
gnata da un «atteggiamento di fede» (pisteuvwn ou{tw") e accompagnata
anticipatamente da «un modo di vita» coerente (pro; th'" eujch'" tovnde biwv-
sa" to;n trovpon). Si tratta di tre requisiti d’ordine morale e spirituale che
convergono fra loro nel determinare i presupposti, certo necessari ma non
automatici, perché la preghiera trovi ascolto da parte di Dio. Su queste
disposizioni preparatorie si innestano le norme che per Origene debbono
orientare l’articolarsi della preghiera: da un lato, il rigetto dell’eccesso di
vane parole, conformemente a Mt 6, 7 (ouj battologhtevon); dall’altro,
l’astenersi dalla domanda di cose «piccole» e «terrene» nello spirito del-
l’agraphon che sollecita a pregare per le cose «grandi» e «celesti». An-
––––––––––––––––––
457 Si noti che, prima di “disperdersi” in altre considerazioni, Origene mette subito
a fuoco le condizioni dell’atto orante in Orat VIII-IX .
458 Orat VIII, 1 (316, 20-26): “Eti de; oujk a[logon kai; toiouvtw/ tini; paradeivgmati
crhvsasqai pro;" to; protrevyasqai ejpi; to; eu[xasqai kai; ajpotrevyasqai tou' ajmelei'n th'"
eujch'". w{sper oujk e[sti paidopoihvsasqai cwri;" gunaiko;" kai; th'" eij" paidopoii?an crh-
sivmou paralambanomevnh" ejnergeiva", ou{tw" tw'ndev tinwn oujk a[n ti" tuvcoi, mh; ou{tw"
eujxavmeno" meta; diaqevsew" toia'sde, pisteuvwn ou{tw", ouj [kai; BKV, 33 n. 1] pro; th'"
eujch'" tovnde biwvsa" to;n trovpon. Diversamente dal ricorso ai paradigmi scritturistici, ove
è determinante il criterio dell’auctoritas biblica, l’uso di esempi e metafore è più aperta-
mente debitore della strategia retorica dell’autore (Gessel, 25 ss.). Roberts, 38 ss. trova le
premesse filosofico-retoriche del ricorso paradigmatico dell’Alessandrino nel modello ari-
stotelico. Secondo Rhet. II, 20 (1393a), la funzione dell’esempio è di facilitare un processo
induttivo.
459 Cfr. supra, p. 18, nonché la suggestiva interpretazione di Coakley, 228-230, che
indica la chiara distinzione in Origene fra sfera sessuale e sfera contemplativa, ma con
l’appropriazione del linguaggio erotico per la seconda.
460 Si ricordi anche il riferimento all’atto generativo, evocato con una sorta di sua
“sacralità” in Orat II, 2, a commento di 1Cor 7, 5 (infra, nota 1546).
L’atto della preghiera 153
cora formulati in negativo, intervengono due altri requisiti che rientrano
più direttamente fra le disposizioni spirituali preventive: con 1Tm 2, 8,
luogo cruciale per l’Alessandrino in ordine alla riflessione sull’atto
orante461, egli ricorda che occorre deporre «ira» e «spirito di contesa» per
accostarsi proficuamente alla preghiera, ma aggiunge ancora la necessità
di una «purificazione» per colui che si dedica alla preghiera. Se ciò sem-
bra rinviare di nuovo, in primo luogo, alla prospettiva disegnata da 1Cor
7, 5 circa il rapporto fra vita matrimoniale e preghiera, questa prima
istruzione culmina nella raccomandazione evangelica alla riconciliazione
fraterna, perdonando colui che si è reso colpevole nei nostri confronti,
condizione per partecipare del perdono divino per i nostri peccati462 . Come
si può ricavare da un cenno di poco successivo, grazie a questa «purifica-
zione» preliminare, l’orante è assicurato della compartecipazione di Cristo
alla sua preghiera 463 .
Una ripresa di questa istruzione preliminare alla preghiera introduce
la presentazione dell’atto orante nella terza sezione del trattato (Orat XXXI,
2), riunendo sinteticamente i vari momenti delle disposizioni preparato-
rie, enunciati dall’abbozzo di riflessione contenuto nella prima sezione.
Essi comprendono: 1. la purificazione dai peccati (Orat VIII, 1); 2. la libe-
razione dalle passioni (Orat IX , 1.3); 3) la concentrazione interiore (Orat
IX, 2)464 . In complesso questi aspetti riguardano ancora la parte che spetta
all’«anima» nell’atto orante; essi appartengono cioè alle «disposizioni in-
teriori», che peraltro Origene nell’epilogo pratico distingue volutamente
rispetto al ruolo del corpo. Egli indica così lo «stato d’animo», che deve
preludere alla preghiera, con il termine katavstasi", mentre l’«atteggia-
mento» esteriore è designato mediante il vocabolo sch'ma465 . Anche in
questo caso la distinzione terminologica non va intesa in senso troppo ri-
gido, ma è da vedere soprattutto quale segno dello sforzo di Origene per
mettere in luce l’atto orante in tutta la sua pienezza, e dunque per illu-
strarne la dinamica come atto che si realizza con l’anima e con il cor-

––––––––––––––––––
461 Cfr. supra, p. 60 e nota 170.
462 Orat VIII, 1 (316, 26-317, 4): ouj battologhtevon ou\n oujde; mikra; aijthtevon oujde;
peri; ejpigeivwn proseuktevon oujde; meta; ojrgh'" kai; tetaragmevnwn logismw'n (cfr. 1Tm 2,
8) ejpi; th;n proseuch;n ejlqetevon, ajll∆ oujde; cwri;" kaqareuvsew" e[stin ejpinoh'sai gino-
mevnhn th'/ proseuch'/ scolhvn (1Cor 7, 5): ajll∆ oujde; ajfevsew" aJmarthmavtwn oi|ovn te tucei'n
to;n eujcovmenon, mh; ajpo; th'" kardiva" (cfr. Mt 18, 35) ajfievnta tw'/ peplhmmelhkovti kai;
suggnwvmh" tucei'n ajxiou'nti ajdelfw'/ (cfr. Mt 6, 12; Lc 11, 4). Origene si soffermerà ampia-
mente su questo punto commentando la quinta petizione del Padrenostro (Orat XXVIII).
463 Orat X, 2 (cfr. infra, nota 559).
464 È lo schema messo in evidenza da Völker (supra, pp. 32-33).
465 Orat XXXI, 1 (395, 13-15. 18-19: dialabei'n eijsagwgikwvteron peri; th'" kata-
stavsew" kai; tou' schvmato", o} dei' e[cein to;n eujcovmenon [...] kai; to; me;n th'" katastav-
sew" eij" th;n yuch;n ejgkataqetevon, to; de; tou' schvmato" eij" to; sw'ma.
154 Parte prima, Capitolo quinto
po466 . Del resto, queste due dimensioni sono già iscritte nel passo biblico
al quale l’Alessandrino ritorna costantemente per impostare la sua rifles-
sione: si tratta di 1Tm 2, 8-9, che ai suoi occhi detta le condizioni essen-
ziali sia per la katavstasi" che per lo sch'ma dell’orante467 . È del tutto con-
forme al primato della natura spirituale dell’essere umano il fatto che Ori-
gene si preoccupi anzitutto di assicurare le corrette condizioni interiori per
l’atto della preghiera, insistendo sulla necessità di «innalzare l’anima»
prima ancora di «levare in alto le mani». Come suggeriscono le formula-
zioni conclusive di Orat XXXI, 2, questa elevazione è resa possibile in
sostanza con il ritrarsi nella solitudine, lo sforzo di una concentrazione
interiore e il distacco dai turbamenti procurati dai «pensieri»; con il ri-
cordo di Dio e la conseguente purificazione da tutto ciò che non è con-
forme a Lui, in uno spirito di perdono e di amore verso tutti468 . Riassunti
––––––––––––––––––
466 L’impiego di katavstasi" (e del verbo kaqivsthmi) per indicare le disposizioni
interiori è già attestato da Orat II, 2 (299, 18), in riferimento a Rm 8, 26: to; de; kaqo; dei' hJ
katavstasi" tou' eujcomevnou. In VIII, 2 (317, 7-10) si richiama il vantaggio spirituale per
chi si dispone a pregare con l’atteggiamento interiore conveniente: w[natov ti oJ pro;" to;
eu[xasqai taqei;" kata; to;n nou'n, di∆ aujth'" th'" ejn tw'/ eu[cesqai katastavsew" qew'/ pari-
stavnai eJauto;n kai; parovnti ejkeivnw/ levgein schmativsa" wJ" ejforw'nti kai; parovnti. La
stessa idea è ribadita da IX, 1 (318, 14-15): makarivan ejk movnh" th'" toiauvth" katastav-
sew" ajpofhvnasqai th;n eij" to; eu[cesqai toiauvthn eJauth;n parasthvsasan. In XIX, 1
(341, 12-14) troviamo lo schema consequenziale «disposizioni (interiori)-atto orante»:
prw'ton dei' katasth'naiv pw" kai; diateqh'nai to;n proseucovmenon ei\q∆ ou{tw" eu[xasqai.
Tuttavia, in XXI, 1 (345, 7-9) il significato di katavstasi" sembra avvicinarsi a quello di
sch'ma: oJ mevntoi battologw'n (cfr. Mt 6, 7) ejn tw'/ eu[cesqai h[dh kai; ejn th'/ ceivroni tw'n
proeirhmevnwn hJmi'n sunagwgikh'/ ejsti katastavsei. Ma la sovrapposizione è evidente so-
prattutto in XXXI, 2 (396, 10-11), dato che qui Origene parla murivwn katastavsewn [...]
tou' swvmato". D’altra parte anche VIII, 2 (supra) suggerisce un’assimilazione semantica
poiché egli si serve con analogo significato di schmativzw (schmativsa" wJ" ejforw'nti kai;
parovnti), sebbene XXIII, 1 (349, 25) precisi la nozione di sch'ma nel senso di figura o
forma esteriore, escludendola in relazione a Dio: ouj perigegravfqai aujto;n schvmati sw-
matikw'/ uJpolhptevon. Si noti infine l’utilizzo dei termini scevsi" e paraskeuhv in IX , 2
(cfr. infra, nota 472).
467 Il rilievo del passo paolino è sottolineato dalla frequenza del suo ricorso (Orat
II , 2; VIII, 1; IX, 1; XXXI, 1.4). Origene lo riporta per esteso, fra gli esempi scritturistici del
kaqo; dei' , in II, 2, soffermandovisi di nuovo ampiamente in IX, 1. La citazione figura an-
che in CIo XXVIII, 5, 36; FrIer 68 e HLv XIII, 5, ma solo Orat unisce 1Tm 2, 9 con il v. 8,
come nota Cocchini 1997b, 114. Ciò si spiega, in primo luogo, con il riferimento alle per-
sone dei due destinatari Ambrogio e Taziana, ma anche come indizio dell’unitarietà del
trattato, in quanto il passo compare nelle sue diverse sezioni. Anche Clemente Alessan-
drino allude a 1Tm 2, 8, ma unicamente per sottolineare l’invito a pregare «in ogni luogo»
(cfr. Strom. VII, 7, 49, 6 [nota 1746] e Le Boulluec 2003, 405).
468 Orat XXXI, 2 (395, 28-396, 10): dokei' toivnun moi to;n mevllonta h{kein ejpi; th;n
eujch;n, ojlivgon uJpostavnta kai; eJauto;n eujtrepivsanta, ejpistrefevsteron kai; eujtonwvte-
ron pro;" to; o{lon genevsqai th'" eujch'": pavnta peirasmo;n [<kai;> pavnta perispasmo;n
BKV, 138 n. 6] kai; logismw'n tarach;n ajpobeblhkovta eJautovn te uJpomnhvsanta kata; to;
dunato;n tou' megevqou", w|/ prosevrcetai, kai; o{ti ajsebev" ejsti touvtw/ cau'non kai; ajneimev-
non proselqei'n kai; wJsperei; katafronou'nta, [<ajll∆> BKV, 139 n. 1] ajpoqevmenon
L’atto della preghiera 155
così gli accenti essenziali nelle due formulazioni più generali ed esplicite,
che in entrambi i casi non intendono essere prescrittive bensì piuttosto
orientative, vediamo adesso come l’Alessandrino si soffermi sui singoli
aspetti che compongono un atto destinato per lui a realizzarsi in autenti-
cità e nella pienezza partecipativa delle sue diverse dimensioni (pro;" to;
o{lon genevsqai th'" eujch'")469 .

6. Le disposizioni preliminari: purificazione dal peccato e riconciliazione


fraterna

Il primo passo descritto da Origene, in particolare mediante la no-


zione di «purificazione» (kaqavreusi"), tende già a connotare l’atto orante
come un momento di attivazione interiore che, pur inserendosi nella tradi-
zione degli «esercizi spirituali» della filosofia tardo-antica, implica di per
sé una dinamica che va al di là di questi. Non è possibile pregare senza es-
sersi purificati in anticipo dalle sozzure dei peccati e dal turbamento delle
passioni470 . Per essere esauditi da Dio occorre prima rendersi degni di ciò,
anche se per Origene la «dignità» dell’orante non sembra assumere il ruolo
decisivo che riveste invece in Clemente Alessandrino: è una condizione
necessaria, ma non sufficiente ai fini dell’esaudimento471 . Non a caso Ori-
gene insiste ripetutamente sul profitto spirituale che è assicurato all’orante
––––––––––––––––––
pavnta ta; ajllovtria, ou{tw" h{kein [<dei'n> BKV, 139 n. 1] ejpi; to; eu[xasqai, pro; tw'n
ceirw'n wJsperei; th;n yuch;n ejkteivnanta kai; pro; tw'n ojfqalmw'n to;n nou'n pro;" to;n qeo;n
ejnteivnanta kai; pro; tou' sth'nai diegeivranta camovqen to; hJgemoniko;n kai; sthvsanta aujto;
pro;" to;n tw'n o{lwn kuvrion, pa'san mnhsikakivan th;n prov" tina tw'n hjdikhkevnai dokouvn-
twn ejpi; tosou'ton ajpoqevmenon, o{son ti" kai; aujtw'/ <aj>mnhsikakei'n to;n qeo;n bouvletai,
hjdikhkovti kai; eij" pollou;" tw'n plhsivon hJmarthkovti h] oJpoi'a dhv pote para; to;n ojrqo;n
lovgon pepragmevna eJautw'/ suneidovti. Secondo Schütz, 138, l’espressione iniziale (h{kein
ejpi; th;n eujch;n ; cfr. anche Orat IX, 3 [319, 13-14]: h{konte" ejpi; to; eu[cesqai) sarebbe da
riferire alla preghiera liturgica; di fatto, però (come mostrano fra l’altro gli esempi circa il
luogo della preghiera), Origene pensa sempre in primo luogo all’orazione individuale.
469 Troviamo una formulazione analoga, sia pure con il significato negativo di «la-
sciarsi prendere interamente da», in CC II, 21 (152, 1): oi|" de; mevlei th'" ejn iJstorivai" fi-
lomaqiva", o{loi" genomevnoi" aujth'".
470 Nella nozione di kaqavreusi" non si possono forse escludere le implicazioni
della dottrina origeniana delle sordes (rJuvpo"), lo stato d’impurità inerente alla condizione
in corpore e legata in particolare «alla sfera della sessualità e della generazione» (Sfameni
Gasparro 2000b, 268; cfr. supra, nota 182). Diversa è la prospettiva nella quale Origene
traccia il rapporto fra preghiera e continenza in CMt XIV, 25, benché vi sia comunanza di
idee nell’insistenza sulle condizioni morali e spirituali perché la preghiera trovi ascolto
(cfr. infra, p. 352).
471 Opponendosi a Prodico, Clemente sostiene che il vero gnostico è sempre esau-
dito da Dio a causa della propria condizione virtuosa, diversamente da colui che è indegno
(Strom. VII, 7, 41, 4). La condotta virtuosa concorre ad assicurare l’efficacia della preghiera
di domanda (VII, 7, 43,1-2; 46, 5; 48, 4-5).
156 Parte prima, Capitolo quinto
dal suo disporsi rettamente alla preghiera, come momento di incontro con
Dio, anche a prescindere dal fatto che la richiesta venga accolta472.
Il discorso sviluppato in Orat non prende in considerazione un aspet-
to sul quale l’Alessandrino si soffermerà in altre occasioni: a quale titolo
possa darsi una preghiera dell’uomo peccatore. Non a caso Origene non
richiama mai l’esempio della preghiera del pubblicano nella parabola lu-
cana (Lc 18, 9-14), che al contrario è oggetto di approfondita riflessione –
in distinzione e contrasto con la preghiera di Gesù – nel Commento a Gio-
vanni473. Diversamente dall’apertura manifestata qui e in altri testi per la
condizione del peccatore che prega, nel trattato l’accento batte piuttosto
sull’incompatibilità fra peccato e preghiera, come si può dedurre anche
dall’esempio negativo di Giuda riportato in precedenza474 . D’altra parte
Origene, pur ricorrendo due volte a Sal 140(141), 2 («Come incenso salga
a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera»)475,
non accenna neppure, nel medesimo ordine di idee, all’equazione fra la
«coscienza» (o «mente») dell’orante e l’«altare» (bwmov"), con la purezza
richiesta del sacrificio offerto (= preghiera), secondo un motivo già intro-
dotto con Clemente Alessandrino e ripreso da lui stesso nel Contro Celso
e nel Commento a Matteo476 .
In sostanza, la prospettiva di Orat ci appare segnata, per così dire,
dal nesso circolare fra preghiera e santità: colui che prega è, in partenza,
considerato alla stregua di un «giusto» o «santo» e l’atto orante concorre
a sua volta a portare ad ulteriore compimento la sua condizione di san-
––––––––––––––––––
472 Orat IX, 2 (313, 23-24): ta; mevgista wjfelou'sa, ka]n movnh nohqh'/, hJ scevsi" kai;
eij" to; eu[cesqai paraskeuh; tou' ajnateqeikovto" eJauto;n tw'/ qew'.
473 CIo XXVIII, 5, 26 ss., su cui si veda infra, pp. 298-301. Cfr. anche FrIo 70 (nota
703), secondo cui perfino il peccatore che oscilla ancora tra conversione e peccato, sa-
rebbe in grado di pregare.
474 Cfr. supra, pp. 106-107. Il paradigma negativo della preghiera di Giuda sottende
FrIer 68 (nota 1100), dove Origene raccomanda di rendersi degni, eliminando i pensieri
malvagi, prima di pregare. Il giusto modo di pregare è esemplificato anche qui da 1Tm 2,
8. Anche in HIer XVIII, 10 Origene enuncia il motivo della preghiera dell’ingiusto, con il
rinvio rispettivamente a Sal 140(141), 2 e Sal 108(109), 7.
475 Orat XII, 2; XXXI , 1 (cfr. anche infra, pp. 438-441).
476 CC VIII, 17 (234, 18-20): bwmoi; mevn eijsin hJmi'n to; eJkavstou tw'n dikaivwn hJge-
monikovn, ajf∆ ou| ajnapevmpetai ajlhqw'" kai; nohtw'" eujwvdh qumiavmata, proseucai; ajpo;
suneidhvsew" kaqara'" (con susseguente citazione di Ap 5, 8 e Sal 140[141], 2; cfr. anche
CC VIII, 20; CMtS 18 [nota 1071] e 27). Per HLv I, 4 sono l’«altare di Dio» coloro «nei qua-
li sempre arde il fuoco divino e sempre si consuma la carne» (tr. Danieli, 40). L’idea era
già presente in Clemente Alessandrino, Strom. VII , 32, 4-5 (118-120): ÔH suvmpnoia de; ejpi;
th'" ejkklhsiva" levgetai kurivw". Kai; gavr ejstin hJ qusiva th'" ejkklhsiva" lovgo" ajpo; tw'n
aJgivwn yucw'n ajnaqumiwvmeno", ejkkaluptomevnh" a{ma th/' qusiva/ kai; th'" dianoiva" aJpavsh"
tw/' qew/'. ∆Alla; to;n ajrcaiovtaton bwmo;n ejn Dhvlw/ aJgnovn ei\nai teqrulhvkasi, pro;" o}n dh;
movnon kai; Puqagovran proselqei'n fasi fovnw/ kai; qanavtw/ mh; mianqevnta, bwmo;n de;
ajlhqw'" a{gion th;n dikaivan yuch;n kai; to; ajp∆ aujth'" qumivama th;n oJsivan eujch;n levgousin
hJmi'n ajpisthvsousi…
L’atto della preghiera 157
tità477 . In questo senso, il modello prefigurato dal trattato sembrerebbe
trovare semmai la sua corrispondenza più ravvicinata nel rapporto amo-
roso fra l’anima, sponsa o regina del Cantico dei Cantici, adorna di virtù,
e il suo «sposo» o «re», il Verbum, che vedendola tale acconsente alle sue
domande478. Potremmo anche aggiungere che l’insistenza sull’ethos del-
l’orante tradisce, almeno in linea di principio, una vicinanza ideale con
l’impostazione filosofica sulla preghiera nella tradizione platonica, se-
condo la quale solo la preghiera dei buoni è ammessa479 .
Tuttavia, questa conclusione richiede di essere un poco sfumata, alla
luce di altri indizi che possiamo ricavare dalla lettura del trattato. Se è ve-
ro, insomma, che la condizione dell’orante peccatore non è posta espres-
samente a tema, Origene è ben consapevole che tale è in generale la situa-
zione dell’uomo, perennemente impegnato nel combattimento spirituale
per la propria salvezza480. Anche il «giusto» o il «santo» che prega secon-
do il modello della «preghiera spirituale» non può quindi mai fare a meno
di ripetere lui stesso la quinta petizione del Padrenostro – la domanda per
la remissione dei debiti o delle colpe –, se non altro per i propri peccati
passati481 . Ed il modello «topico» per la preghiera espressa (Orat XXXIII)
prevede come sua terza componente strutturale la «confessione» (ejxomo-
lovghsi") dei peccati prima della richiesta vera e propria. Inoltre, nel di-
segnare sinteticamente le disposizioni interiori con cui accostarsi alla
preghiera Origene ricorda che colui che prega non può sperare di ottenere
il perdono dei peccati, se egli stesso non fa gesto di riconciliazione, im-
plicando così la condizione dell’orante come peccatore (Orat VIII, 1)482.
Ciò è ribadito anche dal secondo passo «panoramico» (Orat XXXI, 2), al-
lorché l’Alessandrino ricorda che l’orante deve deporre ogni memoria
rancorosa per i torti subiti, se vuole che Dio non si rammenti delle sue
colpe, «avendo agito ingiustamente e avendo offeso molti del suo pros-
simo» ed «essendo consapevole di quali azioni egli abbia compiuto con-
––––––––––––––––––
477 Orat IX, 2 (318, 22): eujcovmenon to;n a{gion.
478 CCt I, 5, 10 (cfr. infra, nota 922).
479 Jackson, 26, commentando la seconda preghiera del Fedro (257a-b), ricorda che
Platone (nella Repubblica e nelle Leggi) non accoglie la domanda di perdono, dal momen-
to che la preghiera è ammessa solo per coloro che sono buoni: «Socrates’ prayer to Eros
does not, however, violate this rule. In relation to Eros Socrates had become good before he
prayed. He had purified himself by a new speech, praising love instead of blaming him».
480 Cfr. Perrone 2000b.
481 Orat XXVIII, 5 (378, 4-5): kai; oJ ajpodidou;" mevntoi ge pavnta, w{ste mhde;n ojfeiv-
lein, crovnw/ pote; tou'to katorqoi', deovmeno" ajfevsew" peri; tw'n protevrwn ojfeilw'n.
482 Cfr. supra, nota 462. Sulle condizioni perché la ejxomolovghsi", intesa come am-
missione delle colpe, risulti credibile, Origene si è espresso in HIer V, 10. La preghiera di
ejxomolovghsi" per eccellenza è Sal 50(51) (cfr. HIer VIII, 1 [56, 3]: tw'/ Yalmw'/ th'" ejxomo-
loghvsew", dove Origene l’interpreta come preghiera per il dono dello Spirito). Il signifi-
cato tecnico è attestato anche da Tertulliano, de orat. 7, 1 (nota 1647).
158 Parte prima, Capitolo quinto
tro la retta ragione»483 . Di conseguenza per Origene l’atto orante non può
non essere accompagnato da un vivo senso di colpa per le manchevolezze
personali insieme al ripristino di un’interazione positiva con il prossimo
in conformità con il precetto evangelico del perdono reciproco484 .
Origene insiste su questo punto traendo di nuovo esplicita indicazione
in tal senso da 1Tm 2, 8: bisogna che l’orante deponga preventivamen-
te ogni atteggiamento d’ira verso coloro da cui ritiene d’aver subito un
torto485 . Questa disposizione d’animo consistente nell’attuare l’«oblio del
male» (ajmnhsikakiva) ricevuto, con l’ausilio di un passo tratto da Geremia
(Ger 7, 22-23, confermato anche da Zc 7, 10), viene significativamente
proposta dall’Alessandrino come il «compendio della legge», e trova la
sua corrispondenza evangelica nell’invito di Gesù al perdono fraterno al
momento di pregare: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa con-
tro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli, per-
doni a voi i vostri peccati» (Mc 11, 25)486 . Così, l’avvio dell’esperienza
orante è segnato alla sua radice dallo spirito evangelico, che sollecita l’in-
dividuo ad una prassi di comunione fraterna, coerentemente con l’ispira-
zione profonda affidata alla Preghiera del Signore. Ciò deve dunque ca-
ratterizzare l’atto orante del cristiano, idealmente ancor prima che esso si
serva delle tecniche di interiorizzazione sviluppate nella pratica filosofica
degli esercizi spirituali.

7. Lo sforzo di concentrazione interiore e la memoria di Dio

Linguaggio e tecniche degli esercizi spirituali affiorano più aperta-


mente nel momento successivo (distinto dal precedente in senso logico
––––––––––––––––––
483 Cfr. supra, nota 468.
484 Si colloca sulla stessa linea la riflessione di Afraat (Dim. IV, 13), che si richiama
a Mt 5, 23-24: «è necessario che tu rimetta al tuo debitore prima della tua preghiera, poi
prega. E quando pregherai salirà la tua preghiera in alto davanti a Dio e non sarà lasciata
sulla terra» (tr. Pericoli Ridolfini, 109).
485 Orat IX, 1 (317, 29-318, 1): ejpaivrein dei' oJsiva" cei'ra" (1Tm 2, 8) to;n eujcovme-
non dia; tou' ajfievnai (cfr. Mc 11, 25) eJkavstw/ tw'n eij" aujto;n peplhmmelhkovtwn, to; th'"
ojrgh'" pavqo" ejxafanivsanta ajpo; th'" yuch'" kai; mhdeni; qumouvmenon.
486 Orat IX, 3 (319, 9-17): eij de; mevgistovn ejsti katovrqwma ajmnhsikakiva wJ" kata;
to;n profhvthn ÔIeremivan, pavnta ajnakefalaiou'sqai to;n novmon ejn aujtw'/ levgonta: ouj
tau'ta ejneteilavmhn toi'" patravsin uJmw'n ejkporeuomevnwn aujtw'n ejk th'" Aijguvptou, ajlla;
tou'to ejneteilavmhn: e{kasto" tw'/ plhsivon ejn th'/ kardiva/ mh; mnhsikakeivtw (Ger 7, 22-23;
Zc 7, 10), ajpo; mnhsikakiva" de; h{konte" ejpi; to; eu[cesqai th;n tou' swth'ro" fulavssomen
ejntolh;n, levgonto": eja;n sthvkhte proseucovmenoi, ajfivete ei[ ti e[cete katav tino" (Mc 11,
25), dh'lon o{ti toiou'toi iJstavmenoi pro;" to; eu[xasqai ta; kavllista h[dh kekthvmeqa. Il ri-
chiamo a Ger 7, 22-23 si spiega nel contesto del passo profetico, con la sua polemica su
olocausti e sacrifici (Ger 7, 21-22). Si veda FrIer 4 (200, 12 ss.), con il breve spunto ese-
getico su oJ peri; qusiw'n tovpo".
L’atto della preghiera 159
più che temporale) che consiste in primis nello sforzo di astrazione della
mente dalla sfera del sensibile. È chiaro che anche qui vale sempre per
Origene, come spunto di partenza, il riferimento a 1Tm 2, 8, ma il suo
pensiero è più direttamente dipendente da una prospettiva filosofica come
quella disegnata, ad esempio, dall’ajnacwvrhsi" di matrice stoica con un
processo di trascendimento dell’ordine sensibile che sfocia nel «ritiro»
dentro la propria interiorità487 . Si tratta di chiudere la «porta» dei sensi –
come l’Alessandrino raccomanderà ulteriormente nel commentare l’istru-
zione preliminare al Padrenostro in Mt 6, 6 – e di fare in modo così che
l’intelletto (nou'") non sia più assorbito e distratto dalle sensazioni esterne,
lasciandosi attrarre dall’immagine (fantasiva) e dal ricordo (uJpovmnhsi")
delle cose sensibili488. Come vediamo specialmente da un celebre passo
del Contro Celso (CC VII, 44), il procedimento originariamente di matrice
stoica volto ad impedire che la «cura del sé» venga turbata dagli affanni
esteriori può intrecciarsi in Origene con il tema platonico della «vista in-
teriore» e del «volo dell’anima», dando luogo all’affermazione della pre-
ghiera come «conoscenza di Dio», a seguito dell’«ascesa» (ajnavbasi") del-
l’intelletto verso di Lui489. Ma già in Orat l’Alessandrino prefigura con
analogo linguaggio filosofico la salita dell’anima verso Dio, nel momento
––––––––––––––––––
487 Il sostantivo ajnacwvrhsi" è assente nel lessico di Orat (né le sue occorrenze al-
trove assumono il valore semantico in esame), ma troviamo l’uso del verbo ajnacwrevw in
XXXI, 2 (396, 18-19): h] ta; pravgmata mh; ejpitrevph/ ajnacwrou'nta" hJma'" ajpodou'nai th;n
ojfeilomevnhn eujch;n.
488 Orat XX, 2 (344, 21-24): kai; mhdamw'" e[xw neuvwn mhde; peri; ta; e[xw kechnw;"
pa'savn te th;n quvran (cfr. Mt, 6) tw'n aijsqhthrivwn ajpokleivsa", i{na mh; e{lkhtai uJpo; tw'n
aijsqhvsewn mhde; ejkeivnwn hJ fantasiva tw'/ nw'/ aujtou' ejpeiskrivnhtai, proseuvcetai. Circa
l’uso di caivnw (PGL 1511 s.v.: «gape in eager expectation», «open wide») si veda l’inter-
pretazione delle «malattie dell’anima» in CMt X, 24 (33, 13-14) come «il peccato che l’ha
permeato tutta», dove a proposito di coloro che soffrono di vanagloria si dice: tou;" de; fi-
lodovxou" ejpi; to; doxavrion, kechvnasi ga;r peri; to;n ajpo; tw'n pollw'n kai; cudaiotevrwn
e[painon. Per Monaci Castagno 1997, 131, «questo entrare “nella camera” è un esercizio
di ajnacwvrhsi" interiore di fondamentale importanza soprattutto nello stoicismo», come
prova con il rinvio a Marco Aurelio, Ricordi IV, 3 e Seneca, Ep. 56. A sua volta Hadot
1997b, 421 fa notare che «“la retraite spirituelle en soi-même” [...] consiste précisément
dans l’acte de se concentrer sur des formules “courtes et fondamentales” qui dissiperont
toute peine et toute irritation (IV, 3, 1-3)». Sembrerebbe esserci una qualche affinità con-
cettuale con l’uso del termine ajnapovlhsi" in Origene (cfr. infra, nota 493).
489 Su CC VII, 44 cfr. Perrone 2001d, 13 ss.; Perrone 2001b, 134-139 (si veda anche
infra, 215); O’Leary. H36Ps IV, 1 (166, 16-23) introduce il tema dell’ ajnacwvrhsi", a com-
mento di Es 3, 3 («Passando accanto vedrò questa grande visione, perché non si consuma
il roveto»), come precondizione per la contemplazione: «non est possibile prius videre vi-
sum magnum, id est intueri atque perspicere magna mysteria stanti in conversatione et
actibus mundi huius: sed transire oportet prius ab his et transcendere omnia saecularia et
sensum nostrum ac mentem liberam fieri, et tunc ad magnarum et spiritalium rerum intui-
tum pervenire, et ita demum visum magnum videre». Un altro esercizio di trascendimento
dall’ordine contingente è suggerito da H36Ps V, 5 (232, 73-79).
160 Parte prima, Capitolo quinto
in cui gli «occhi dell’intelletto» distaccandosi dalle realtà materiali si vol-
gono unicamente a Lui490. Non si tratta, è chiaro, di un «prestito» impro-
prio, perché l’idea è suggerita per Origene anche da due luoghi biblici ai
quali egli ricorre per illustrare la dinamica dell’atto orante: Sal 122(123),
1 («A te ho levato i miei occhi, a te che abiti nei cieli») e Sal 24(25), 1
(«A te, o Dio, ho levato l’anima mia»)491 .
L’esercizio «in negativo» di astrazione dall’ordine sensibile, con la
rimozione di tutte le immagini e i ricordi delle realtà materiali che grava-
no sulla mente, è accompagnato in positivo dal fare spazio dentro di sé
alla «memoria di Dio»492. Ciò significa adottare una disposizione d’ani-
mo consapevole che l’atto della preghiera è chiamato a svolgersi dinanzi
a Lui. Anziché indirizzare l’immaginazione all’esterno, l’orante è dunque
invitato a rappresentarsi Dio come presente al suo atto. Il motivo non è
nuovo – perché lo troviamo già in Clemente Alessandrino –, ma anche
per Origene fare memoria di Dio ha come effetto d’indurre quasi inelu-
dibilmente una condotta morale e una situazione spirituale più elevate,
analogamente a quanto avviene, su un piano inferiore, quando ci ram-
mentiamo di personaggi a vario titolo esemplari. Il raffronto sinottico tra
Clemente e Origene è interessante ai fini di cogliere come il secondo si
rapporti al primo e di avvertire così la sua tonalità specifica.

Clemente Alessandrino, Strom. VII, Origene, Orat VIII, 2


7, 35, 4 (130, 13-19) (317, 22-27)
eij de; hJ parousiva tino;" ajndro;" ajgaqou` eij ga;r uJpovmnhsi" kai; ajnapovlhsi" ejl-
dia; th;n ejntroph;n kai; th;n aijdw` pro;" to; logivmou ajndro;" kai; wjfelhmevnou ejn
krei`tton ajei; schmativzei to;n ejntugcav- sofiva/ ejpi; zh'lon hJma'" aujtou' proka-
nonta, pw`" ouj ma`llon oJ sumprarw;n lei'tai kai; pollavki" ejmpodivzei oJrma;"
ajei; dia; th`" gnwvsew" kai; tou` bivou kai; ta;" ejpi; to; cei'ron, povsw/ plevon qeou'
th`" eujcaristiva" ajdialeivptw" tw/` qew/` tou' tw'n o{lwn patro;" uJpovmnhsi" meta;
oujk eujlovgw" a]n eJautou` par∆ e{kasta th'" pro;" aujto;n eujch'" ojnivnhsi tou;" peiv-
kreivttwn ei[h eij" pavnta kai; ta; e[rga santa" eJautou;" o{ti parovnti kai; ajkouv-
kai; tou;" lovgou" kai; th;n diavqesin… onti paresthvkasi kai; levgousi qew'/…

––––––––––––––––––
490 Orat IX, 2 (318, 26-31): ejpairovmenoi ga;r oiJ ojfqalmoi; tou' dianohtikou' ajpo;
tou' prosdiatrivbein toi'" ghi?noi" kai; plhrou'sqai fantasiva" th'" ajpo; tw'n uJlikwtevrwn
kai; ejpi; tosou'ton uJyouvmenoi, w{ste kai; uJperkuvptein ta; gennhta; kai; pro;" movnw/ tw'/ ejn-
noei'n to;n qeo;n kajkeivnw/ semnw'" kai; prepovntw" tw'/ ajkouvonti oJmilei'n givnesqai.
491 Sal 122(123), 1 è utilizzato, ad esempio, in CIo XXVIII, 4, 33. Secondo Monaci
Castagno 1997, 132, «il levare gli occhi significa meditare sulla caducità dei beni terreni
per riconoscere quali sono i veri beni». Per HEx II , 1 (156, 1-2), «oculos sursum erigere»
è fra i segni di un’esistenza spirituale vissuta in contrasto con il «mondo».
492 L’importanza di questo motivo nella concezione patristica della preghiera è ap-
profondita da Filoramo (cfr. anche Filoramo 2000).
L’atto della preghiera 161
La dipendenza di Origene da Clemente è evidente nel contenuto co-
me nella costruzione della frase. Tuttavia Clemente non fa riferimento al
«ricordo», né nel caso dell’uomo né relativamente a Dio; in entrambe le
situazioni troviamo piuttosto il motivo della «presenza» (parousiva – oJ
sumparwvn) che è come tale la fonte del miglioramento morale. Origene
invece sostituisce due volte questo motivo con l’idea della «memoria»
(uJpovmnhsi" kai; ajnapovlhsi" – uJpovmnhsi")493. Inoltre, con una visione me-
no apertamente ottimistica di quella clementina, introduce la valenza ini-
bitrice di tale «ricordo», che «spesso ostacola gli impulsi verso il male»494 .
Il «perfetto» di Clemente vive dunque in una condizione di costante pre-
senza di Dio, di cui egli partecipa «con la gnosi, la vita e il ringraziamen-
to». Invece in Origene prevale l’idea del giovamento spirituale, rispetto
alla perfezione vera e propria, e il cammino verso di essa è indicato anche
dal fatto che il «ricordo» è accompagnato dalla «preghiera» (eujchv) 495 .
––––––––––––––––––
493 Egli insiste sull’idea del «rammentare» adoperando anche il termine ajnapovlh-
si", un hapax per l’Alessandrino, con il significato di «ripetizione», «ripasso», «richiamo
alla memoria», «ricordo» (ma anche in Plotino troviamo due occorrenze: Enn. II, 9, 12, 7:
ejlqovnta" eij" ajnavmnhsin movli" ajnapovlhsin labei'n w|n pote ei\don; IV, 6, 3, 59). L’uso
del verbo ajnapolevw, nell’accezione di «richiamare alla mente» (cfr. ad esempio Plotino,
Enn. IV, 3, 27, 20), è attestato da Fr1Cor 84 (206): ejlqe; de; kai; ejp∆ aujth;n th;n tou' ajn-
qrwvpou ajrchvn: ajnapovl <h>son aujtou' th;n ajrchvn. Invece H37Ps I, 1 sfrutta il motivo del-
l’ajnavmnhsi" come «recordatio culpae» (cfr. I, 2 [272, 149-153]: «Dum enim recordamur
iram Dei et ante oculos vultum eius adducimus ex ipsa institutione eius, quae propter hoc
facies irae appellata est, conturbata et exterrita caro infirmatur atque languescit»). La tri-
partizione clementina ta; e[rga kai; tou;" lovgou" kai; th;n diavqesin è ripresa da Origene in
Orat XXI , 1 ([345, 6] e[rga h] lovgou" h] nohvmata); XXII, 4 ([348, 18] pa'n ou\n e[rgon aujtoi'"
kai; lovgo" kai; novhma); e più direttamente in XXVIII, 1 ([376, 1] lovgw/ proshnei' kai; toi'sdev
tisi toi'" e[rgoi", ajlla; kai; diavqesivn tina). Egli tematizza la terna «pensieri, parole e ope-
re», in relazione al peccato ma anche alla buona condotta, in HEx VI, 3 (194, 18-19.27–
195, 1): «triplex est hominibus peccandi via: aut enim in facto aut in dicto aut in cogita-
tione peccatur. [...] Triplex namque est etiam bene agendi via: nihilominus enim vel opere
vel cogitatione vel verbo boni aliquid agitur» (cfr. anche l’ampio sviluppo in HEx III, 3 in
relazione al «cammino di tre giorni nel deserto» in Es 3, 18; nonché l’«esame di coscien-
za» suggerito da HLc XXXVI, 2 [infra, nota 653]). In HLc VIII, 4 (49, 2-6), a commento di
Lc 1, 46 («L’anima mia magnifica il Signore»), il motivo è collegato all’attuazione del-
l’«immagine di Dio»: ”Otan ou\n megavlhn poihvsw th;n eijkovna tou' eijkovno", levgw de; auj-
th;n th;n yuchvn, megaluvnwn lovgoi", e[rgoi", nohvmasin, tovte megaluvnein levgetai.
494 CRm VI, 1 (457, 38-45) suggerisce un analogo «esercizio spirituale» in rapporto
alla visione della croce: «Est enim tanta vis crucis Christi, ut si ante oculos ponatur, et in
mente fideliter retineatur, ita ut in ipsam mortem Christi intentus oculus mentis aspiciat,
nulla concupiscentia, nulla libido, nullus furor, nulla peccati superare possit invidia, sed
continuo, ad eius praesentiam totus ille quem supra enumeravimus peccati et carnis fuga-
tur exercitus, ipsum vero peccatum nec subsistit, quippe cum nec substantia eius usquam
sit nisi in opere et gestis».
495 Il diverso iter argomentativo è messo in luce da Le Boulluec 2003, 398: «Ainsi
la comparaison entre le bénéfice reçu de la fréquentation d’un homme de bien et l’amélio-
ration produite par la conviction de l’orant d’être toujours en présence de Dieu est-elle in-
162 Parte prima, Capitolo quinto
L’enfasi di Origene sul beneficio prodotto dal «ricordo» di Dio, pur
caratterizzata da un accento meno «trionfalistico» di Clemente, sembra
assecondare l’ajnacwvrhsi" sensoriale non nel senso di pervenire sempli-
cemente ad uno spogliarsi di sensazioni ed immagini esteriori bensì con
l’intento di sostituirle positivamente tramite un nuovo ordine di «immagi-
nazioni» e «ricordi»496 . Sarebbe insomma un errore pensare a questo mo-
mento dell’atto orante come ad un procedimento puramente noetico: se è
chiaro che l’autentica preghiera è chiamata a compiere anche un’operazio-
ne intellettiva, in quanto deve realizzare nell’orante il giusto «concetto di
Dio» (come Origene raccomanda specialmente, allorché spiega la «santi-
ficazione del nome» divino nella prima domanda del Padrenostro), l’azio-
ne di ricordare implica necessariamente anche lo sforzo dell’«immagina-
zione». Nella visuale di Origene ciò determina il riconoscimento del-
l’opera dei «sensi spirituali» coinvolti anch’essi nella conoscenza di Dio,
di cui egli tratta ampiamente nel Commento al Cantico dei Cantici497 . Per
––––––––––––––––––
sérée par Clément dans une définition de la prière qui aboutit à la célébration de l’intimité
gnostique avec Dieu (Strom. VII, 7, 35, 37). Le même thème est introduit par Origène,
Orat. VII, 2, sous la forme d’un argument secondaire en faveur de la prière: [...] dans le
cas où la démonstration théorique ne serait pas décisive, c’est-à-dire “si, par hypothèse,
celui qui dispose sa pensée pour prier ne retirait aucun autre avantage” que celui de se
mettre en présence de Dieu, l’aide apportée par cette disposition est présentée comme un
avantage inestimable pour détourner du mal et orienter vers le bien; c’est donc un nouveau
doute, portant sur la validité des conclusions de l’intelligence à propos d’une réalité qui
est fondamentalement mystérieuse, qui motive la reprise de l’exemple exploité auparavant
par Clément avec la certitude la plus sereine».
496 Al nesso fra «ricordo» (uJpovmnhsi") e «immaginazione» (fantasiva) Origene ri-
manda immediatamente prima del passo citato, sia pure sotto un aspetto negativo, per con-
trastarlo in positivo. Cfr. Orat VIII, 2, (317, 10-16): w{sper ga;r aiJ toiaivde fantasivai kai;
uJpomnhvsei" tw'ndev tinwn peri; ta;, w|n gegovnasin aiJ uJpomnhvsei", moluvnousi tou;" logi-
smou;" tou;" ejn tai'sde tai'" fantasivai" gegenhmevnou", to;n aujto;n trovpon peistevon ojnh-
sifovron ei\nai mnhvmhn pepisteumevnou tou' qeou' kai; katanoou'nto" ta; ejn tw'/ ajduvtw/ th'"
yuch'" kinhvmata, rJuqmizouvsh" eJauth;n ajrevskein wJ" parovnti kai; ejpopteuvonti kai; fqav-
nonti ejpi; pavnta nou'n tw'/ ejtavzonti kardiva" kai; ejreunw'nti nefrouv". Monaci Castagno
1997, 131 è portata a riconoscere a «fantasie» e «ricordi» un ruolo tendenzialmente nega-
tivo: «si tratta di eliminare le “fantasie”, i “ricordi” delle cose che le hanno suscitate e che
contaminano i pensieri. [...] Ai turbamenti ed alle distrazioni dell’esteriorità, ad un atteg-
giamento rilassato e molle, bisogna sostituire un’attenta sorveglianza di noi stessi».
497 Sul coinvolgimento del corpo e dei «sensi spirituali», con particolare riferi-
mento a CC II, 51 (infra, nota 1441), insiste Fédou, 361-362: «La prière est fondamenta-
lement spirituelle: détachement du sensible, exode intérieur, quête des bienfaits qui rassa-
sient l’âme et l’acheminent vers le bonheur divin. Non que le corps soit absent; il est le
“temple de Dieu”, et l’on se rappelle en outre l’expression significative de II, 51. [...] Sur-
tout, le chrétien en prière n’a pas seulement “fermé l’entrée des sens” mais “donné l’éveil
aux yeux de l’âme”: la faculté des sens spirituels, auxquels Origène consacre de précieux
développements, atteste la présence du corps jusque dans le mouvement de l’esprit. Mais
c’est celui-ci qui est avant tout souligné et qui, pour le chrétien, définit l’acte de la prière
dans son essence même». Per HLv VII, 4 (384, 2-3) la preghiera di Pietro in At 10, 9 si
L’atto della preghiera 163
tale ragione, anche l’applicazione di questo «esercizio spirituale» sulla
scorta di 1Tm 2, 9, con l’invito rivolto alle donne che si accingono alla
preghiera perché allontanino da sé «ogni ricordo incontrollato e femmini-
le», non può non fare i conti con l’immagine della sponsa del Cantico de-
scritta da Origene come un’orante impaziente, perché in preda alla sua
passione amorosa per lo sponsus assente498 . In aggiunta a ciò, la «memo-
ria» che predispone alla preghiera viene alimentata dalla consapevolezza
riconoscente dei benefici ottenuti da Dio499 , anche se, in ultima analisi, il
«ricordo di Dio» va aldilà dell’aspetto «immaginativo» acquistando una
profondità metafisica che sembra richiamare l’anamnesi platonica500 .
L’ultimo aspetto che Origene si preoccupa di mettere in luce nel de-
lineare le disposizioni interiori preparatorie all’atto orante è una sorta di
corollario del processo di astrazione sensoriale e di dinamica commemo-
rativa descritto in precedenza: in sostanza, è l’idea della «tensione» spiri-
tuale che deve conformare lo stato d’animo di chi si accinge alla preghie-
ra e assicurare la piena performance dell’atto orante. L’Alessandrino vi
ritorna sopra più volte adoperando formulazioni più o meno analoghe, sia
pure calibrandole in maniera diversa. Notiamo la raccomandazione ad
uno «stacco» (ojlivgon uJpostavnta), premessa indispensabile prima di vol-

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compie con il corpo, l’anima e lo spirito: «Nondum tibi videtur Petrus ad superiora non
solum corpore, sed et mente ac spiritu conscendisse?».
498 Si confronti Orat IX, 1 ([318, 7-13] th;n gunai'ka crh; e[cein mavlista eujcomevnhn
to; katestalmevnon kai; to; kovsmion yuch'/ kai; swvmati, pavntwn ma'llon ejxairevtw" kai;
o{te eu[cetai aijdoumevnhn to;n qeo;n kai; pa'san ajkovlaston kai; gunaikeivan uJpovmnhsin
ejxorivsasan ajpo; tou' hJgemonikou' kai; kekosmhmevnhn oujk ejn plevgmasi kai; crusw'/ h]
margarivtai" h] iJmatismw'/ polutelei' [1Tm 2, 9] ajll∆ oi|" prevpon ejsti; kekosmh'sqai gu-
nai'ka qeosevbeian ejpaggellomevnhn) con CCt I, 1, 3 ([89, 13-20] «Introducatur ergo nunc
per historiae speciem sponsa quaedam, quae susceperit quaedam sponsaliorum et dotis
titulo dignissima munera ab sponso nobilissimo, sed plurimo tempore moram faciente
sponso, sollicitari eam desiderio amoris eius, et confici iacentem domi suae, et agentem
omnia, quatenus possit aliquando videre sponsum suum atque osculis eius perfrui. Quae,
quoniam differri amorem suum nec adipisci se posse quod desiderat, videt, convertat se
ad orationem et supplicet Deo, sciens eum Patrem esse sponsi sui»). Davanti alla figura
della sponsa è difficile prendere interamente per buono il commento su Orat IX, 1 di Ges-
sel, 195: «Das Pathos, die leidenschaftliche Erregung wird aus der Seele getilgt. Damit
der Geist nicht getrübt wird, muß man ja alles, was außerhalb des Gebetes zu der Zeit
liegt, in der man betet, vergessen».
499 Orat XIII, 3 (327, 4-6): o{sa de; kai; e{kasto" hJmw'n, eja;n eujcarivstw" memnhmev-
no" tw'n eij" auJto;n eujergesiw'n peri; touvtwn ai[nou" ajnapevmpein tw'/ qew'/ bouvlhtai, e[cei
ejkdihghvsasqai…
500 Cfr. Orat XXIV, 3 (355, 6-8: pa'" te [de; BKV, 84 n. 2] tranw'n kai; ta; peri; tou'
qeou' uJpomimnhvsketai ma'llon h] manqavnei, ka]n ajpov tino" ajkouvein dokh'/ h] euJrivskein
nomivzh/ ta; th'" qeosebeiva" musthvria). Sembra un punto di vista in parte affine a quello ri-
chiamato da Fowden, 104 in riferimento a C.H. XIII, 2: «the mysteries of the spirit “are not
taught, but we are reminded of them by God, when he wishes”».
164 Parte prima, Capitolo quinto
gersi a pregare e, in un certo senso, sua «fondazione»501 . Ciò deve con-
correre a rendere l’orante «più attento e più teso» (ejpistrefevsteron kai;
eujtonwvteron) in modo che egli partecipi totalmente dell’atto che si ac-
cinge a compiere, rigettando ogni elemento «estraneo» (pavnta ta; ajllov-
tria) 502 . Mai come in questi passi la descrizione origeniana dell’atto oran-
te tende ad avvicinarsi alla descrizione della performance teatrale di un
attore, vissuta con tutta la serietà che il suo ruolo richiede503. Per quanto
a prima vista sorprendente, l’analogia trova riscontro – come vedremo in
seguito (Orat XXVIII, 3) – dalla scena sulla quale l’atto orante è chiama-
to a svolgersi.

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501 Orat XXXI , 2 (395, 28-30): to;n mevllonta h{kein ejpi; th;n eujch;n, ojlivgon uJpo-
stavnta kai; eJauto;n eujtrepivsanta, ejpistrefevsteron kai; eujtonwvteron pro;" to; o{lon ge-
nevsqai th'" eujch'". Tradurre uJpostavnta non è facile; si veda, ad esempio Jay, 208: «if he
lays something of a foundation and prepares himself». Quanto al termine eujtrepivsanta,
si veda XX, 2 (344, 18-19), dove Origene oppone la performance della preghiera a quella
dell’attore: ejn tw'/ panto;" tou' proeirhmevnou qeavtrou kaq∆ uJperbolh;n meivzoni eJauto;n
ajrevskein eujtrepivzwn.
502 A differenza del verbo ejpistrevfw, l’aggettivo ejpistrefhv" è poco adoperato da
Origene (si veda comunque CC IV, 53 [326, 13-17]): Kai; tiv" a]n a[llo" lovgo" ejpistrefev-
steron prosavgoi th;n ajnqrwpivnhn fuvsin tw'/ eu\ zh'n wJ" hJ pivsti" h] hJ diavlhyi" peri; tou'
pavnt∆ ejfora'n to;n ejpi; pa'si qeo;n ta; uJf∆ hJmw'n legovmena kai; prattovmena ajlla; kai; logi-
zovmena…). Molto più frequente è invece l’uso dell’aggettivo eu[tono" (anche al compara-
tivo e al superlativo), come pure dell’avverbio eujtovnw" e del sostantivo eujtoniva. L’Ales-
sandrino adopera volentieri questo gruppo di vocaboli in CC, per sottolineare la serietà
della vita dei cristiani e la loro prontezza al martirio (si veda, ad esempio, CC III, 68 [260,
26-30]: tou;" lovgou" qewrw'men, ajqrovw" protrevponta" plhvqh ejpi; to;n ejx ajkolavstwn eij"
to;n eujstaqevstaton bivon kai; to;n ejx ajdivkwn eij" to;n crhstovteron kai; to;n ejk deilw'n h]
ajnavndrwn eij" to;n ejpi; tosou'ton eu[tonon, wJ" kai; qanavtou dia; th;n fanei'san aujtoi'" euj-
sevbeian katafronei'n).
503 Orat XXXI, 2 (395, 30-396, 2): pavnta peirasmo;n [<kai;> pavnta perispasmo;n
BKV, 138 n. 6] kai; logismw'n tarach;n ajpobeblhkovta eJautovn te uJpomnhvsanta kata; to;
dunato;n tou' megevqou", w|/ prosevrcetai, kai; o{ti ajsebev" ejsti touvtw/ cau'non kai; ajneimev-
non proselqei'n kai; wJsperei; katafronou'nta, [<ajll∆> BKV, 139 n. 1] ajpoqevmenon
pavnta ta; ajllovtria. Jay, 210 – alludendo evidentemente a cavskw ovvero caivnw (cfr.
LSJ, 1981 s.v.) in XX, 2 ([344, 22] mhde; peri; ta; e[xw kechnw;" ) – traduce cau'non ktl. con
«and that it is impious to draw nigh thereto yawning, and careless, and, as it were, con-
temptuous». All’aggettivo cau'no", «vuoto», «frivolo», attestato nel linguaggio filosofico,
si accompagna il sostantivo cauvnwsi" (cfr. HIer XX, 3 [181, 26-27]: periairei' th;n ajpai-
deusivan kai; th;n cauvnwsin). Sull’associazione orante-attore si veda Lugaresi 2003b; Lu-
garesi 2008, 516-518). Se in Orat l’immagine dell’attore implica anche un risvolto posi-
tivo, CMtS 24 (39, 26-29) ne evidenzia la finzione: «Et quemadmodum est in mimis, qui
personas suscipiunt aliquorum et non sunt ipsi quos simulant sed videntur, sic qui iusti-
tiam simulat simulata iustitia eius non est iustitia sed videtur». La coppia cau'non kai; ajnei-
mevnon ritorna in FrPs 3, 6 (PG 12, 1128A) a proposito del sonno spirituale del peccatore:
boulovmeno" parasth'sai to; cau'non kai; ajneimevnon tw'n aJmartwlw'n.
L’atto della preghiera 165
8. Il ruolo del corpo come immagine dell’anima

L’intenso spiritualismo che contraddistingue la riflessione di Origene


sulla preghiera non l’ha reso affatto insensibile al ruolo del corpo nell’atto
orante e alle circostanze di luogo e tempo in cui questo si compie, benché
egli accenni piuttosto sommariamente un discorso al riguardo504 . Origene
se ne occupa infatti in subordine alla definizione della katavstasi" interio-
re, allorché affronta la questione dello sch'ma da assumere esternamente
al momento di pregare (Orat XXXI, 1-2). La trattazione riflette una preoc-
cupazione d’inquadramento riassuntivo, ma rimane segnata tendenzial-
mente da un approccio non troppo rigido, che riconosce in partenza la pos-
sibilità di molteplici atteggiamenti esteriori e perciò vuole anche tenere
conto della diversità di situazioni. Ispirato ancora una volta dalle indica-
zioni contenute nella Scrittura – in primo luogo, nel passo chiave di 1Tm
2, 8-9, ma anche in Sal 27(28), 2 e 140 (141), 2 –, Origene raccomanda
quale atteggiamento del corpo che meglio corrisponde allo stato d’animo
richiesto per l’orante la posizione «con le palme aperte e gli occhi levati in
alto»505 . La giustificazione fornita per questi tratti gestuali punta sull’idea
che il corpo si acconcia così a rispecchiare più da vicino le caratteristiche
peculiari dell’anima, al momento della preghiera, divenendo come l’«im-
magine» (eijkwvn) di essa.
Colpisce di primo acchito il fatto che il comportamento esteriore del-
l’orante non venga associato in qualche modo all’immagine della croce. In
pratica Origene privilegia altre interpretazioni di questi gesti, che si fon-
dano in generale sull’equazione simbolica fra le «mani» e le «azioni»506 :
––––––––––––––––––
504 La formulazione più esplicita in tal senso compare in CC II, 51 (note 497, 1441)
e in HLv VII, 4 (nota 497). Da notare che solo in CRm X, 33 accenna alla pratica del bacio
di pace tra i fedeli dopo la preghiera, a commento di Rm 16, 16 (cfr. Thraede, 514; Mark-
schies 2007a, 167, nota 584; Phillips, 55; infra, note 1618, 1634). Sull’atteggiamento di
Origene verso gli aspetti fisici si veda Noel, 481-482.
505 Orat XXXI, 2 (396, 10-14): murivwn katastavsewn oujsw'n tou' swvmato", th;n ka-
tavstasin th;n met∆ ejktavsew" tw'n ceirw'n kai; ajnatavsew" tw'n ojfqalmw'n pavntwn prokri-
tevon, oiJonei; th;n eijkovna tw'n prepovntwn ijdiwmavtwn th'/ yuch'/ kata; th;n eujch;n fevronta
kai; ejpi; tou' swvmato". Si veda anche la formulazione di poco precedente (396, 2-4): pro;
tw'n ceirw'n wJsperei; th;n yuch;n ejkteivnanta kai; pro; tw'n ojfqalmw'n to;n nou'n pro;" to;n
qeo;n ejnteivnanta (forse da correggere in ajnateivnanta?). Altrove l’idea di «alzare gli oc-
chi al cielo» richiama implicitamente la figura del pubblicano in Lc 18, 13 (cfr. HEx II, 1;
supra, nota 491).
506 Cfr. Dial 20 (94, 6-11): ou{tw" e[comen a[lla" cei'ra", peri; w|n levgetai: e[pa-
rsi" tw'n ceirw'n mou qusiva eJsperinhv (Sal 140[141], 2). Ouj ga;r eja;n tauvta" ejpavrw ta;"
cei'ra", kavtw dev mou kevwntai aiJ cei're" th'" yuch'", kai; mh; ejpaivrw aujta;" dia; tw'n aJgivwn
kai; ajgaqw'n pravxewn givnetaiv mou e[parsi" tw'n ceirw'n qusiva ejsperinhv; FrPs 27 (28), 2
(PG 12, 1285B): aiJ cei're" hJmw'n eijsin aiJ kata; qeosevbeian pravxei"; FrLam 61 (261, 9):
«Aron pro;" aujto;n cei'rav" sou (Lam 2, 19) dia; th'" tw'n kalw'n ejrgasiva" (261, 9). L’equi-
valenza simbolica è attestata anche da HEx X, 4 e Pas I, 31.
166 Parte prima, Capitolo quinto
in base ad essa, le «mani aperte verso l’alto» stanno a significare le buone
azioni di un cristiano, nella misura in cui vive sulla terra già da «cittadino
del cielo» (motivo cruciale, come vedremo, del Padrenostro nell’interpre-
tazione origeniana). Anche in Orat la prima spiegazione del gesto è di
ordine morale e identifica il «sollevare le mani sante» di 1Tm 2, 8 con
l’atteggiamento preparatorio alla preghiera, assicurato dal perdono e dal-
l’animo rappacificato con il deporre ogni sentimento d’ira verso i fratel-
li507 . Solo in relazione alla preghiera di Mosè a braccia alzate, nel combat-
timento d’Israele contro Amalek (Es 17, 11)508, l’Alessandrino menziona
altrove la tradizionale associazione tipologica fra l’atteggiamento esteriore
dell’orante e la croce, che peraltro egli sembra considerare occasional-
mente come suscettibile di qualche riserva509. La ragione di ciò sta nella
consapevolezza che il tipo di Mosè orante può fungere solo in parte come
figura del Cristo in croce. Vi è dunque uno scarto nella correlazione tipo-
logica fra Mosè e Cristo, che Origene si premura di segnalare osservando
come il Crocifisso «stenda» le proprie mani, ad abbracciare il mondo in-
tero (con riferimento alla profezia di Is 65, 2: «Ho steso la mano ogni
giorno a un popolo ribelle»), mentre Mosè si limita ad «innalzarle»510.
––––––––––––––––––
507 Orat IX, 1 (nota 485). In HEx XI, 4 (255, 21-24) si interpreta il gesto come l’im-
pegno per elevare spiritualmente la propria condotta: «Elevare manus, hoc est opera et
actus elevare ad Deum, et non habere actus deorsum deiectos et humi iacentes, sed Deo
placitos et ad caelum erectos». In HIs V, 2 Origene applica a se stesso il gesto orante, con
riferimento critico a Is 1, 15: «Tendo a Dio le mie mani, e forse, distogliendo il suo volto
dice: Se stendete le mani, distolgo da voi il mio volto» (tr. Danieli, 112).
508 Sulla presenza del motivo, specie nelle omelie, cfr. supra, nota 433. Il suo carat-
tere tradizionale è attestato dal ricorso in Barnaba, 12, 2 ss.; Giustino, Dial. 90, 4; 111, 1;
131, 4. Per l’interpretazione origeniana si veda Piscitelli Carpino, 719: «le braccia distese
di Mosè in preghiera ripropongono [...] il rapporto tipologico con la croce di Cristo (HEx
XI, 4), ma diventano anche esortazione morale alla preghiera (HEx III, 3), allegoria delle
azioni tese al cielo e gradite a Dio (HEx XI, 4), segno di trionfo sulle potenze avverse
(HIos I, 3)».
509 H1ReL 1, 9 (16, 23-25): «An illud potius putandum est quod futura in his my-
steria praeformabat? Quae quidem de crucis sacramento et affixione manuum Salvatoris
intelligi tritum iam et a multis saepe dissertum est». Cfr. anche FrLc 257 (infra, nota
1406). Prendendo le distanze dall’interpretazione tipologica tradizionale, l’Alessandrino
rivendica qui la novità della sua spiegazione spirituale (16, 26-17, 5): «Sed quoniam in-
novari semper iubetur is, qui secundum evangelium vivit (cfr. 2Cor 4, 16; 1Cor 9, 14), et
Novum Testamentum semper debet novis sensibus illustrari et cantari Domino iubemur
canticum novum et interior homo noster, non dixit Paulus quia renovatur et stetit, sed re-
novatur de die in diem, oportebat etiam nos et de orationis modo, qualiter sine intermis-
sione orandum sit, et de elevatione manuum quod sacrificium dicitur vespertinum, non so-
lum usitatis et attritis, sed aliquantum etiam innovatis dissertionibus explanare».
510 HEx XI , 4 (255, 17-20): «Moyses quidem elevat manus, non extendit; Iesus
autem, qui universum orbem terrae exaltatus in cruce complexurus erat bracchiis suis,
dicit: Extendi manus meas ad populum non credentem et contradicentem mihi (Is 65, 2)».
Anche Tertulliano, De orat. 14 (infra, nota 1661) rivendica questa distinzione per la pre-
L’atto della preghiera 167
D’altra parte, poiché il nostro passo parla espressamente di un’«estensio-
ne» (e[ktasi") delle mani nell’atto di pregare non è forse fuori luogo pre-
sumere un’allusione cifrata all’immagine della croce. In ogni caso, occorre
rammentare come non solo nel trattato, ma più in generale negli scritti di
Origene (fatta eccezione per un passo dall’autenticità controversa) non
compaiano riferimenti espliciti alla prassi del segno di croce, che all’epoca
doveva tuttavia essere ben radicata nelle consuetudini di preghiera dei
cristiani, come vediamo ad esempio in Tertulliano511 .
L’atteggiamento esteriore raccomandato da Origene si presenta in
una forma semplificata rispetto a quello descrittoci da Clemente Alessan-
drino, il quale prevede anche il sollevarsi sulla punta dei piedi nell’accla-
mazione al termine della preghiera512 . D’altra parte, esso non può sempre
essere messo in pratica, ma bisogna tener conto delle circostanze partico-
lari. Origene lo fa succintamente e con parecchio senso pratico, senza
––––––––––––––––––
ghiera dei cristiani, richiamandosi direttamente al modello della croce. Per un confronto
tra i due autori cfr. Rordorf 1978.
511 Diversamente da Studer 2000, non mi sembra possibile rinvenire in HEx VI, 8 e
in VII, 1 richiami espliciti al segno della croce; né HEx III, 4 e VII , 1 stabiliscono a loro
volta un collegamento diretto fra la prassi orante dei cristiani e la croce. Il passo più signi-
ficativo è contenuto in HEx VI, 8 (199, 5-7), dove Origene accenna al timore che la croce
di Cristo incute sui demoni: «Timor ergo et tremor cadet super eos (Es 15, 16), cum si-
gnum in nobis viderint crucis fideliter fixum et magnitudinem bracchii illius quod Domi-
nus expandit in cruce». Se Piscitelli Carpino, 720 ritiene che esso attesterebbe «la diffusio-
ne del segno di croce tra i cristiani come segno di allontanamento dei demoni», Simonetti
ne dà un’interpretazione diversa: «Non si può escludere che Origene abbia qui pensato
pure al segno di croce, di cui i cristiani facevano già uso al fine di tener lontani i demoni.
Ma data la sua tendenza all’interiorizzazione, questo segno della croce va inteso soprattutto,
se non esclusivamente, in sintonia con Gal 6, 14, addotto poco più giù. [...] Quindi portare
il segno della croce significa vivere in sintonia con il Cristo crocifisso e risorto e perciò
non offrire motivo al diavolo di prevalere su di noi» (Origene. Omelie sull’Esodo, 186,
nota 52). In questo senso CRm VI, 1 sottolinea «la forza della croce di Cristo» che si ma-
nifesta nella sua contemplazione interiore. L’unico luogo in cui si menziona apertamente
il segno della croce è FrEz 9, ma la sua paternità origeniana è lungi dall’essere sicura. Si
tratta della terza spiegazione del segno del Tau così formulata: Trivto" dev ti" favskwn, tw'n
kai; eij" to;n Cristo;n pepisteukovtwn, e[lege ta; ajrcai'a stoicei'a ejmfere;" e[cein to; Qau'
tw/' tou' staurou' carakth'ri, kai; profhteuvesqai peri; tou' genomevnou ejn Cristianoi'"
ejpi; tou' metwvpou shmeivou: o{per poiou'sin oiJ pepisteukovte" pavnte" ouJtinosou'n proka-
tarcovmenoi pravgmato", kai; mavlista h] eujcw'n h] aJgivwn ajnagnwsmavtwn (cfr. in proposito
Piscitelli Carpino, 720-721; in generale, sui commenti a Ez, Pieri). Qualora dovesse risul-
tare autentico, avremmo un caso analogo a Tertulliano, per il quale «die Bekreuzigung ist
[...] nicht nur Gestus zu Beginn oder Ende des Gebets, sondern zu jeder Tätigkeit» (Se-
verus, 1233).
512 Clemente Alessandrino, Strom. VII, 7, 40, 1 (infra, nota 1730). Come osserva
anche Le Boulluec, 141, nota 6, ad loc. non sembrano esserci paralleli per questo gesto,
anche se la spiegazione di Clemente da un lato tradisce l’influsso platonico, dall’altro fa
venire in mente la prassi di preghiera nel De vita contemplativa di Filone (cfr. Leonhardt,
101-141).
168 Parte prima, Capitolo quinto
lasciarsi prendere da una casistica che avrebbe potuto essere ben più varia
e complicata (se pensiamo, per esempio, alle reazioni di Tertulliano verso
tutta una serie di consuetudini che critica aspramente)513. Così egli concede
che si possa pregare da seduti nel caso di «una seria infermità ai piedi» 514 ,
oppure anche «stando coricati per febbri o acciacchi di tal genere». Se poi
ci si trova in viaggio o altre circostanze non permettono di ritirarsi in pre-
ghiera, è consentito pregare anche senza darlo a vedere esternamente515 .
Anche per quanto riguarda la genuflessione Origene sbriga abbastan-
za rapidamente l’argomento, precisandola come necessaria «quando uno
è in procinto di accusarsi dei propri peccati davanti a Dio, supplicando
per la guarigione e la remissione di essi», in quanto essa è il «simbolo di
colui che è prostrato e sottomesso»516. Anziché soffermarsi sulle circo-
––––––––––––––––––
513 Tertulliano, De orat. 13-16 (infra, note 1660, 1643, 1667). Fra l’altro, respinge
come usanza giudaica la consuetudine di lavarsi le mani prima di pregare (attestata peral-
tro da Trad. Apostol. 41), mentre condanna come concessione al paganesimo l’abitudine
di deporre il mantello nell’accingersi alla preghiera o di sedersi dopo di essa. Anche pre-
gare con il capo coperto o pronunciare a voce alta una formula di preghiera rappresenta
per lui una forma di assimilazione alla prassi pagana (cfr. Severus, 1160, 1192).
514 Per Severus, 1229, «kann dabei auch der Einfluß pythagoreischer Theologen-
weisheit mitgespielt haben». Egli applica ad Origene le conclusioni di Dölger 1936, 137
su Tertulliano, De orat. 16.
515 Orat XXXI, 2 (396, 15-20): meta; ga;r peristavsew" devdotai kaqhkovntw" pote;
kaqezovmenon eu[xasqai diav tina novson tw'n podw'n oujk eujkatafrovnhton h] kai; katakeiv-
menon dia; puretou;" h] toiauvta" ajsqeneiva", kai; dia; periestw'ta de;, fevre eijpei'n, eja;n
plevwmen, h] ta; pravgmata mh; ejpitrevph/ ajnacwrou'nta" hJma'" ajpodou'nai th;n ojfeilomevnhn
eujch;n, e[stin eu[xasqai mhde; prospoiouvmenon tou'to poiei'n. L’espressione th;n ojfeilo-
mevnhn eujchvn sembrerebbe rinviare ad una prassi di preghiera consuetudinaria per deter-
minate circostanze (ad esempio, in occasione di un viaggio, come appare anche da CRm I,
11 [nota 962]). Origene riflette diversamente su «sedere» e «pregare» in CMtS 91 (207, 9-
13) commentando Mt 26, 36 in rapporto alle diverse condizioni spirituali dei fedeli
(«Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare») e il successivo v. 38 («Restate qui e vigilate
con me»): «Propter hoc manete hic vigilantes, sicut et ego vigilo, scientes quoniam cete-
ros quidem iussi sedere ibi quasi inferiores, ab agone isto servans eos securos, vos autem
quasi firmiores adduxi, ut mecum conlaboretis in vigiliis et orationibus (Rm 15, 30)».
516 Orat XXXI, 3 (396, 21-24): kai; hJ gonuklisiva de; o{ti ajnagkaiva ejsti;n, o{te ti"
mevllei tw'n ijdivwn ejpi; qeou' aJmarthmavtwn kathgorei'n, iJketeuvwn peri; th'" ejpi; touvtoi"
ijavsew" kai; th'" ajfevsew" aujtw'n, eijdevnai crh; o{ti suvmbolon tugcavnei tou' uJpopeptwkov-
to" kai; uJpotetagmevnou (da notare che l’espressione tecnica compare per tre volte solo
nel contesto di questo capitolo e in un passo di FrEph II , 32, nonché nel latino di CMtS 20
[36, 5-6], dove la «flexio genuum» è vista peraltro come una pratica accessoria delle
azioni necessarie alla salvezza: «quasi condientia actus nostros et commendantia eos et
suaviores eos facientia»). Il confronto con Tertulliano dà nuovamente la misura della di-
versità di prospettive fra i due autori. Il Cartaginese offre istruzioni dettagliate per la ge-
nuflessione. Fra l’altro, essa rappresenta parte integrante della preghiera del mattino, ma è
raccomandata anche nei digiuni e nelle liturgie stazionali (De orat. 23, 3-4; infra, nota
1648), mentre l’esclude nel giorno di domenica e nel periodo tra Pasqua e Pentecoste (cfr.
Severus, 1228: «Er sieht sie [scil. die Kniebeuge] für das erste Gebet am Tage als gezie-
mend an, an Fast- u. Stationstagen erhebt die Kniebeuge das Gebet zur deprecatio und
L’atto della preghiera 169
stanze concrete, dopo averne messo in risalto il valore simbolico per le di-
sposizioni di spirito dell’orante con il richiamo a Ef 3, 14-15 («Per questo
io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e
sulla terra prende nome»), Origene preferisce approfondire la fondazione
scritturistica che ricava in particolare da Fil 2, 10 («nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra») e ulteriormente da
Is 45, 23 («per me si piegherà ogni ginocchio»). Egli è dunque portato a
considerare il gesto fisico della genuflessione soprattutto nella luce di
quella «genuflessione spirituale» davanti a Dio, alla quale tutta quanta la
creazione è chiamata. Non è forse un caso che il discorso sul corpo del-
l’orante trapassi allora quasi inavvertitamente in un breve sfogo polemico
nei confronti di un’interpretazione letterale di Fil 2, 10 tendente ad asse-
gnare ai corpi celesti membra simili a quelle degli uomini, laddove essi
debbono essere intesi piuttosto come di forma sferica517. Tuttavia, oltre a
ricordare di nuovo che la tensione alla spiritualizzazione permea in pro-
fondità Orat, non dobbiamo perdere di vista che la «genuflessione spiri-
tuale» è anzitutto per Origene l’espressione del culto di adorazione, reso a
Dio nella liturgia celeste alla quale tutti gli esseri razionali sono invitati a
partecipare, come espliciterà in seguito nel commento a Rm 14, 10-13518.
Avendo in mente tali considerazioni si comprende come sarebbe
sbagliato ridurre la portata della genuflessione nell’Alessandrino, attri-
buendole il valore preminente, se non esclusivo, di gesto penitenziale ri-
servato al peccatore – come sembrerebbe suggerire il trattato a una prima
lettura. Del resto in altre occasioni egli la vede anche come l’espressione
particolarmente intensa di una preghiera di supplica – come avviene con la
preghiera di Gesù al Getsemani (sorprendentemente assente in Orat) 519 –,
––––––––––––––––––
satisfactio, mit Ausnahme der Herrentage und des spatium pentecostes gilt sie als normale
Gebetshaltung»). Eusebio di Cesarea, HE V , 5, 1 ricorda il genuflettersi della legione di
Melitene, per impetrare la pioggia in battaglia, come costume dei cristiani (presumibil-
mente per le «suppliche», iJkesiva"): govnu qevnta" ejpi; gh;n kata; to; oijkei'on hJmi'n tw'n
eujcw'n e[qo". D’altra parte, come ricorda Jonquière, 52, «falling on one’s face to worship
or pray to God is a commonly biblical posture» (con esempi tratti da Gn 24, 26; Sal 94[95],
6; Gdt 9, 1; Sir 50, 17).
517 Analoga, seppure meno apertamente polemica, è la spiegazione offerta a Rm 14,
10-13, ove l’Apostolo riprende Is 45, 23 («Vivo io – dice il Signore – poiché davanti a me
si piegherà ogni ginocchio e ogni lingua darà lode a Dio»), in CRm IX, 41. Per una sintesi
chiara ed equilibrata della complessa dottrina sul corpo che, pur nel riconoscimento di una
positività provvidenziale dell’elemento corporeo, risulta segnata da polarità irrisolte di cui
si avverte l’eco anche in Orat XXXI, 3, si veda Sfameni Gasparro 2000a.
518 CRm IX, 41 (777, 115-116): «In realtà egli spiega l’espressione “piegare le gi-
nocchia” (cfr. Is 45, 23) nel senso che tutte le cose sono soggette e obbediscono al culto di
Dio» (tr. Cocchini II, 148; cfr. anche Scott, 131). La bella analisi dell’inno di Fil ad opera
di Bostock non si sofferma sui nostri passi.
519 È il caso della preghiera per l’intelligenza delle realtà divine in Prin II , 9, 4
(167, 31-168, 4): «Quomodo ergo tanta ista rerum varietas tantaque diversitas iustissima
170 Parte prima, Capitolo quinto
mentre nella V Omelia su Numeri arriva a menzionare la genuflessione tra
quelle usanze di preghiera, alle quali i fedeli sono obbligati in generale, o
come quei riti sacramentali e liturgici partecipati da tutti, ancorché non se
ne capisca il significato520 . Non si può dire che nel trattato sia da presu-
mere un’analoga riserva critica, ma l’insistenza nell’approfondire la vi-
suale della «genuflessione spirituale» tradisce l’impegno ad acquisire una
consapevolezza più profonda del gesto consuetudinario.

9. Lo spazio per pregare: un contrappeso alla spiritualizzazione

Se le indicazioni riguardanti l’atteggiamento del corpo evidenziano


già i limiti entro cui la riflessione di Origene si sforza di procedere, nono-
stante la sua spiccata propensione in senso spiritualistico, il contrappeso
alla spiritualizzazione risulta ancor più netto, allorché sviluppando il pro-
gramma fissato per la «sezione supplementare» affronta la questione dello
spazio (tovpo") e della direzione (klivma) verso cui pregare (trattati rispet-
tivamente in Orat XXXI, 4-7 e XXXII)521. Certo egli è tributario di una tra-
––––––––––––––––––
et aequissima possit intellegi, certus sum humano ingenio vel sermone explicari non
posse, nisi ipsum verbum ac sapientiam et iustitiam, qui est unigenitus filius dei, prostrati
ac supplices deprecemur, qui per gratiam suam sensibus se nostris infundens “obscura in-
luminare” (cfr. 1Cor 4, 5), clausa patefacere, pandere dignetur arcana: si tamen invenia-
mur tam digne vel “petere” vel “quaerere” vel “pulsare”, ut vel petentes “accipere” mere-
amur vel quaerentes “invenire” vel pulsantibus iubeatur “aperiri” (cfr. Mt 7, 7-8 par.)».
Sull’esempio di Gesù, che si prostra a terra nella preghiera al Getsemani (Mt 26, 39) e
deve servire da modello di umiliazione e di supplica per chi presume di sé, cfr. CMtS 90
(206, 8-10): «timor autem infirmitatis ad auxilium Dei confugere adhortatur, sicut et Do-
minum ipsum paululum progredi et cadere in faciem et orare»; 91 (207, 21-26): «Ad hoc
autem adduxit eos, maxime Petrum magna de se confitentem, ut videant et audiant, ubi est
posse hominis et quomodo impetratur. Videant quidem cadentem in faciem suam (Mt 26,
39), audiant autem dicentem: Pater, si possibile est, transeat calix iste a me, et discant
non magna de se sapere sed humilia aestimare, nec veloces esse ad promittendum sed sol-
liciti ad orandum»; 92 (207, 32-208, 3): «Qui dixit: Discite a me, quia mitis sum et humi-
lis corde (Mt 11, 29), laudabiliter se humilians, et nunc cadit in faciem orans (Mt 26, 39)
et adhuc amplius postmodum humiliat se factus oboediens usque ad mortem (Fil 2, 8)».
520 HNm V, 1, 4 (26, 14-23): «Sed et in ecclesiasticis observationibus sunt nonnulla
huiusmodi, quae omnibus quidem facere necesse est, nec tamen ratio eorum omnibus pa-
tet. Nam quod, verbi gratia, genua flectimus orantes et quod ex omnibus caeli plagis ad
solam Orientis partem conversi orationem fundimus, non facile cuiquam puto ratione
compertum. Sed et eucharistiae sive percipiendae sive eo ritu quo geritur explicandae, vel
eorum quae geruntur in baptismo, verborum gestorumque et ordinum atque interrogatio-
num ac responsionum quis facile explicet rationem? Et tamen omnia haec operta licet et
velata portamos super humeros nostros, cum ita implemus ea atque exsequimur».
521 Sotto tale profilo la posizione di Orat è conforme all’atteggiamento manifestato
in linea di principio verso le pratiche ascetiche e devozionali, come emerge soprattutto
dalle omelie, dove l’interpretazione di segno più elevato si compone con l’invito alla loro
osservanza (Monaci Castagno, 211-214).
L’atto della preghiera 171
dizione per la quale – come aveva dichiarato Clemente di Alessandria –
«qualunque luogo è realmente santo, dove ci si volga con il pensiero a
Dio»522 . Origene ribadisce fin da principio la validità di questo assioma –
fondando la sua asserzione su due luoghi scritturistici: Mal 1, 11 («in
ogni luogo mi offrite incenso») e, ancora una volta, 1Tm 2, 8 («voglio
dunque che gli uomini preghino dovunque si trovino»)523 – e lo riproporrà
con forza più tardi, in polemica con Celso, raffigurando l’atto orante del
cristiano con colori di chiara marca platonica e parlando nel contempo
dell’«intero cosmo» come «tempio di Dio»524. Tuttavia, l’Alessandrino
non s’accontenta di ribadire semplicemente il principio generale, poiché
sa che il luogo è indifferente solo in astratto, mentre è qualificato e circo-
scritto in concreto dalla condotta morale che vi si dispiega sotto lo «sguar-
do di Dio» (ejpiskophv )525. Tale è, ad esempio, la condizione di Adamo nel
––––––––––––––––––
522 Strom. VII, 7, 43, 1 (148, 1-2): Pa'" ou\n kai; tovpo" iJerov" tw/' o[nti, ejn w/| th;n ejpiv-
noian tou' qeou' lambavnomen, kai; crovno"; cfr. anche VII , 7, 35, 3 (128-130): ou[te wjri-
smevnon tovpon. Da questa stessa ottica discende anche il pensiero di Origene sulla «Terra
Santa», sebbene egli giunga da ultimo a riconoscere la specificità concreta legata all’even-
to storico di Cristo, nel tempo e nello spazio (cfr. infra, nota 1064; Wilken, 77-78).
523 Orat XXXI, 4 (397, 19-22): kai; peri; tovpou de; ijstevon o{ti pa'" tovpo" ejpithvdeio"
eij" to; eu[xasqai uJpo; tou' kalw'" eujcomevnou givnetai: ejn panti; ga;r tovpw/ qumivamav moi
prosavgete, levgei kuvrio" (Mal 1, 11), kai; bouvlomai ou\n proseuvcesqai tou;" a[ndra" ejn
panti; tovpw/ (1Tm 2, 8). Circa l’importanza di Mal 1, 11 per il discorso sulla preghiera, cfr.
supra, nota 2 e Frank, 77. L’indifferenza del luogo per pregare giunge all’estremo in HLv
XII , 4: «Il santuario non è da cercarsi in un luogo, ma negli atti, nella vita e nei costumi
(Neque enim in loco sancta quaerenda sunt, sed in actibus et vita ac moribus). Se questi
sono secondo Dio e conformi al precetto di Dio, anche se sei in casa, anche se in piazza –
e perché dico in piazza? –, anche se ti trovi nel teatro, se sei soggetto alla parola di Dio,
non aver dubbi che tu sei nel santuario (etiamsi in theatro inveniaris verbo Dei deser-
viens, in sanctis te esse non dubites)» (tr. Danieli, 260).
524 CC VII, 44 (195, 27-28): Cristiano;" de; kai; oJ ijdiwvth" pavnta me;n tovpon tou'
kovsmou pevpeistai ei\nai mevro" tou' o{lou, naou' tou' qeou' o[nto" tou' panto;" kovsmou (cfr.
infra, nota 833). Orat XXIX, 7 riprende il motivo del corpo come «tempio di Dio» di 1Cor
3, 16.
525 Sarebbe da approfondire il risvolto spaziale della nozione di ejpiskophv (e del
verbo ejpiskopevw ) con cui Origene indica la «sorveglianza» o «cura» assicurata dalla
provvidenza divina (CC VI, 71), ad esempio, nei confronti del popolo d’Israele. Questo ne
è oggetto come «visita» in senso positivo (CMt X , 23 [32, 26-33, 2]: polu;" de; oJ e[xw
o[clo", eij" o}n ejxevrcetai oJ tou' qeou' lovgo", kai; ejkceva" to; fw'" th'" ejpiskoph'" aujtou' eij"
aujto;n ei\den aujtovn ) oppure con effetto punitivo (HIer XVIII, 5 [156, 19]: eujqevw" h\lqen
ejpiskoph; ejpi; to; e[qno"); così ne viene privato a seguito della sua infedeltà a vantaggio
dei gentili (CC II, 8 [134, 16-17]: metabibavzousan th;n ejpi; ∆Ioudaivou" tou' qeou' ejpi-
skoph;n ejpi; tou;" ajpo; tw'n ejqnw'n ejp∆ aujto;n pisteuvonta"). Sul piano individuale, il com-
portamento malvagio, in un tempo e luogo concreto, arriva a «mettere in fuga» l’ejpi-
skophv divina (Orat XXXI , 4 [398, 5]: wJ" fugei'n ejkei'qen th;n ejpiskoph;n tou' qeou'). Cfr.
FrLam 31 (250, 9-12), su Lam 1, 14 («S’è aggravato il giogo delle mie colpe, nella sua
mano esse sono annodate; il loro giogo è sul mio collo ed ha fiaccato la mia forza»): legev-
sqw de; de; ta; nu'n wJ" uJpo; yuch'" eij" ajsevbeian uJpnwsavsh", ejn tw/' ajfhniakevnai me;n ajpo;
tou' swthrivou zugou' tou' uJgiou'" lovgou, o}n oJ swth;r ojnomavzei crhstovn, uJpodu'nai de; to;n
172 Parte prima, Capitolo quinto
paradiso terrestre – come ci ricorda un altro passo di Orat –, che si na-
sconde davanti a Dio dopo aver peccato526.
Pertanto Origene s’interroga in maniera realistica sul luogo consono
alla preghiera, specialmente se la si fa a casa, e invita a ricercare l’ambien-
te più adatto per essa dopo un attento esame527. La verifica è suggerita
dall’esigenza di trovare uno spazio che garantisca il raccoglimento interio-
re, nella solitudine e tranquillità (hJsuciva), ma a giudizio di Origene ciò è
possibile soltanto se il luogo prescelto è «il più rispettabile» in tutta la
casa, non essendo stato segnato negativamente in precedenza con l’essere
sede o scena di una condotta immorale e non conforme alla ragione. In
linea con tale indicazione – che di per sé non appare neppure priva di un
certo intuito psicologico, mentre ci riconduce, da un altro angolo visuale,
al discorso precedente sulle disposizioni preparatorie alla preghiera –,
nonostante l’imbarazzo chiaramente percepibile in lui, Origene non na-
––––––––––––––––––
tw'n ajsebhmavtwn, di∆ w|n hjtovnhsen ajfeqei'sa th'" qeiva" ejpiskoph'"); FrLam 43 (254, 29-
30), su Lam 1, 22 («Giunga tutta la loro malvagità davanti al tuo volto»): makavrion ga;r
mavlista me;n to; mh; aJmartei'n, deuvteron de; to; pa'san hJmw'n ejpiskopei'sqai para; qeou'
th;n kakivan. Si veda anche CMt XVI, 22 (infra, nota 595); CMtS 69 (163).
526 Orat XXIII, 4 (nota 642).
527 Orat XXXI, 4 (397, 22–398, 5): e[cei de; kai; tetagmevnon uJpe;r tou' ejf∆ hJsuciva"
mh; perispwvmenon ta;" eujca;" ejpitelei'n e{kaston, ejpilexavmenon tou' ijdivou oi[kou, eja;n
ejgcwrh'/, to; semnovteron, i{n∆ ou{tw" ei[pw, cwrivon, ou{tw" eu[cesqai, pro;" tw'/ kaqolikw'/
th'" peri; aujtou' ejxetavsew" ejpiskopou'nta eij ejn tw'/de tw'/ tovpw/, w|/ eu[cetai, ouj parane-
novmhtaiv pote kai; para; to;n ojrqo;n lovgon pepoivhtai: oiJonei; ga;r ouj movnon eJauto;n ajlla;
kai; to;n tovpon th'" ijdiva" eujch'" toiou'ton pepoivhken, wJ" fugei'n ejkei'qen th;n ejpiskoph;n
tou' qeou'. La formulazione appare un po’ contorta e le versioni tradiscono qualche diffi-
coltà. Origene sembrerebbe dapprima alludere ad una disposizione o prescrizione (e[cei
de; kai; tetagmevnon). Koetschau insinua l’idea della disposizione traducendo: «Damit aber
ein jeder in Ruhe und ohne Ablenkung seine Gebete verrichten kann, so gibt es auch eine
Anordnung...» (BKV, 141), laddove Jay tende a rendere in forma parzialmente meno vin-
colante: «“it has been settled”, “it is in order”» (Jay, 212). A sua volta, Oulton semplifica
con «in order that he may perform» (Oulton, 324), mentre Antoniono traduce assai libe-
ramente: «Possiamo aver stabilito ed eletto...». Il passo contiene l’unica occorrenza in Orat
di hJsuciva, termine destinato a grande fortuna nell’esperienza monastica di preghiera, ma
piuttosto raro in Origene (solo sette passi stando al TLG, tratti perlopiù da scritti di pa-
ternità incerta, come FrPr 15 [PG 17, 193C], dove troviamo la definizione di hJsuciva
come ajpoch; kakiva"). Il passo di maggior rilievo si trova in HIer XX, 8 (190, 3-4), con
trasparente allusione autobiografica alla condizione del predicatore nel descrivere lo scon-
forto provato dal profeta: dia; tiv oujci; ma'llon ajnacwrw' ejpi; th;n ejrhmivan kai; hJsucivan…
Ma anche l’esegesi “morale” di Es 5, 1 («Lascia andare il mio popolo, affinché mi serva
nel deserto») fa riflettere Origene sul luogo in cui pregare e incontrare Dio in HEx III, 3
(167, 4-9): «Non vult te in carnis et tenebrarum actibus permanere, sed exire ad eremum,
venire ad locum perturbationibus et fluctibus saeculi vacuum, venire ad quietem silentii.
Verba enim sapientiae in silentio et quiete discuntur (Qo 9, 17). Ad hunc ergo locum
quietis cum veneris, ibi poteris immolare Domino (Es 5, 36), ibi legem Dei et virtutem
divinae vocis agnoscere». L’espressione para; to;n ojrqo;n lovgon ricompare in FrPs 4, 5
(PG 12, 1144B) a proposito dell’esame di coscienza prima del sonno.
L’atto della preghiera 173
sconde la scarsa propensione a che la camera nuziale possa essere scelta
come il luogo meglio rispondente ai requisiti auspicati528 . Queste riserve,
che dovevano senz’altro pesargli considerando qui la coppia dei destina-
tari dello scritto (e in altri casi l’udienza del predicatore a Cesarea), sono
legate all’interpretazione del rapporto tra commercio coniugale e pre-
ghiera sulla base di 1Cor 7, 5 («Non astenetevi tra voi se non di comune
accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a
stare insieme, perché Satana non vi tenti nei momenti di passione») 529 .
Senza ripercorrere adesso la storia dell’esegesi, il passo paolino aveva
offerto a Taziano materiale per elaborare la sua visuale encratita, rintuz-
zata successivamente dalla critica di Clemente Alessandrino in difesa del
matrimonio530. Origene sembrerebbe rifarsi in parte alle concezioni di
Taziano, non tanto per il fatto di vedere le nozze come una «concessione»
all’umana debolezza (opinione condivisa da altri autori ecclesiastici) ma
soprattutto per l’idea di un’«impurità» che connota costitutivamente la
sfera sessuale. A causa di ciò egli considera le relazioni coniugali come
un ostacolo all’attuazione della «preghiera ininterrotta» (conformemente
al precetto paolino di 1Ts 5, 17), cosa che è possibile unicamente a chi
vive una vita di continenza 531 . Riconsiderando ora la prospettiva disegnata
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528 Orat XXXI , 4 (398, 5-13): ejpiskopou'nti dev moi ejpi; plei'on kai; peri; touvtou
tou' tovpou lektevon dovxan me;n a[n ti ei\nai baru; tavca de; tw'/ ejpimelw'" aujto; basanivzonti
oujk eujkatafrovnhton. ejn ga;r tw'/ tovpw/ th'" <ouj> paranovmou mivxew" ajlla; uJpo; tou' ajpo-
stolikou' lovgou kata; suggnwvmhn ouj kat∆ ejpitagh;n (1Cor 7, 6) sugkecwrhmevnh" ejxe-
tastevon eij o{siovn ejsti kai; kaqaro;n ejntugcavnein tw'/ qew'/. eij ga;r scolavsai th'/ proseu-
ch'/ o}n trovpon crh; oujc oi|ovn te ejsti;n, eja;n mh; ejk sumfwvnou pro;" kairo;n (1Cor 7, 5)
touvtw/ ti" eJauto;n ejpidw'/, tavca kai; peri; tou' tovpou, eja;n ejgcwrh'/, qewrhtevon. L’ammis-
sione che la sua possa essere risentita come un’opinione sgradevole tradisce una preoccu-
pazione che ritroviamo, più in generale, anche in HNm XXIII, 3, 2 (cfr. infra, nota 531).
Sulla consuetudine di preghiera tra marito e moglie si veda Trad. Apost. 41, 13; Tertul-
liano, Ad uxorem II, 6.
529 Già in Orat II, 2 (300, 21-23) l’Alessandrino si sofferma sull’espressione ejk sum-
fwniva" in 1Cor 7, 5 (citato perlopiù nella forma ejk sumfwvnou – come in Orat XXXI, 4 –,
secondo quanto rilevato da Hannah, 78-79): th'" legomevnh" ejntauqoi' sumfwniva" to; ajsuvm-
fwnon tou' pavqou" ajfanizouvsh" kai; th;n ajkrasivan ajnaliskouvsh" tou' te satana' to; ejpi-
cairhsivkakon kwluouvsh". Sul ricorso a 1Cor 7, 5, cfr. infra, pp. 492-499.
530 Clemente Alessandrino, Strom. III, 12; III, 81, 4; Paed. II, 10. Sul dibattito al ri-
guardo nel cristianesimo antico, cfr. infra, nota 1545.
531 Cfr. HNm XXIII, 3 (215, 6-14): «Vereor aliquid dicere quod ex sermonibus apo-
stolicis intellegi datur, ne forte videar aliquos contristare. Nam si oratio iusti sicut incen-
sum offertur in conspectu Dei et elevatio manuum eius sacrificium est vespertinum (Sal
140, 2), dicit autem Apostolus his qui in coniugiis sunt: Nolite fraudari invicem, nisi forte
ex consensu ad tempus, ut vacetis orationi et iterum in id ipsum sitis (1Cor 7, 5), certum
est quia impeditur sacrificium indesinens his qui coniugalibus necessitatibus serviunt.
Unde videtur mihi quod illius est solius offerre sacrificium indesinens, qui indesinenti et
perpetuae se devoverit castitati». Cfr. inoltre Fr1Cor 34 e CMt XVII, 35. Come osserva
Sfameni Gasparro 2000b, 268, «se le nozze sono permesse solo “a causa della debolezza”,
174 Parte prima, Capitolo quinto
da Origene riguardo alla katavstasi" interiore, è giocoforza pensare che
la «purificazione» (kaqavreusi") preliminare richiesta all’orante includa
necessariamente anche l’astensione dall’esercizio sessuale, sia pure nel
quadro del matrimonio, dal momento che – come viene precisato in altri
passi – si tratta di un requisito vincolante, sia per accostarsi alla mensa
eucaristica sia per la pratica della preghiera e del digiuno532 . Per lo stesso
motivo Origene, collegando fra loro 1Cor 7, 5 e Mt 18, 19 («Se due di voi
sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio
che è nei cieli ve la concederà»), osserva che la preghiera di una coppia
non può essere esaudita in qualsiasi cosa, se non sussiste il «reciproco
accordo» per la continenza533.
Le formulazioni di Orat sulla stanza nuziale, a prima vista un po’
sconcertanti per la nostra sensibilità, possono trovare ulteriore chiarifica-
zione, se teniamo conto di un passo del Commento a Matteo in cui l’Ales-
sandrino spiega la preghiera di Gesù al Getsemani. Da esso emerge chia-
ramente come, in ultima analisi, non si tratti di qualificare in positivo o in
negativo il luogo in quanto tale, bensì piuttosto di richiamare l’attenzione
sulle situazioni umane che vi si determinano. È vero che Origene valuta
dapprima la possibilità che esista un luogo «più santo» di altri, un aspetto
su cui insisteva particolarmente, ai suoi occhi, la tradizione veterotesta-
mentaria o giudaica534. Tuttavia, il fatto che Gesù abbia ricercato un luogo
––––––––––––––––––
i valori preminenti dello stato esistenziale cristiano sono la castità, la purezza e la dedi-
zione completa e continua alla preghiera» (cfr. anche supra, nota 470).
532 Fr1Cor 34; HEz IX 5. Cfr. Monaci Castagno, 193.
533 CMt XIV, 2. D’altro lato, in XIV, 25 (345, 25-33) egli vede a sua volta la preghie-
ra come il presupposto per il dono divino della continenza: «il Salvatore, per farci capire
che la perfetta continenza è dono largito da Dio, che non si realizza solo con ascesi, ma lo
si ottiene da Dio tramite preghiere (dw'ron ei\nai to; didovmenon ajpo; qeou' th;n pantelh'
kaqavreusin, kai; ouj movnon ajskhvsei paraginovmenon ajlla; met∆ eujcw'n <pollw'n> uJpo;
qeou' didovmenon), rispose: Non tutti possono capire questo discorso, ma solo coloro ai
quali è stato concesso (Mt 19, 11)» (tr. Scognamiglio, 175); «il buon dono dunque, cioè
l’assoluta purezza nel vivere il celibato e la castità, Dio lo darà a quelli che con tutta l’ani-
ma (Mc 12, 30), con fede e incessantemente (1Ts 5, 17) glielo avranno chiesto con pre-
ghiere (ejn proseucai'")» (ibi, 177). In questo contesto Origene approfondisce anche il
tema delle disposizioni di fede per l’esaudimento, in relazione a Mt 7, 7-8 («Chiedete e vi
sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve e chi
cerca trova e a chi bussa sarà aperto»), laddove nel trattato vi accenna più rapidamente
(Orat X , 2). Si noti che Mt 18, 19 non figura tra le citazioni di Orat, anche se il motivo
della sumfwniva nella preghiera non è del tutto assente. Cfr. ad esempio Orat XXIV, 4 (355,
11-13), con riferimento a Sal 33(34), 4 («Esaltiamo il suo nome tutti insieme»): prostavs-
sonto" tou' profhvtou meta; pavsh" sumfwniva" ejn tw'/ aujtw'/ noi÷ kai; ejn th'/ aujth'/ gnwvmh/
fqavsai ejpi; th;n ajlhqh' kai; uJyhlh;n gnw'sin th'" ijdiovthto" tou' qeou'. Si veda inoltre II, 4
(302, 3): sumfwvnw" uJmnh'sai to;n patevra ejn Cristw'/. CMtS 89 lascia a sua volta intrave-
dere le implicazioni penitenziali ed ecclesiologiche della «sinfonia» nella preghiera.
534 CMtS 89 (204, 14-22): «Conveniebat autem et, priusquam proderetur, orare et
orandi eligere locum mundum ad orationem; sciebat enim quoniam, sicut differt aër ab
L’atto della preghiera 175
«puro» per la propria preghiera e sia andato di conseguenza in cerca di
solitudine, va preso semmai come invito, nell’atto di pregare, a separarsi
dai malvagi ed unirsi ai buoni, o a pregare piuttosto in tutta solitudine, dal
momento che nessun luogo può essere considerato «puro» per se stesso535 .
Conviene allora tener presente anche tale sfondo nell’esaminare il succes-
sivo sviluppo sullo spazio dell’orante, dove l’Alessandrino si sofferma
sulla comunità cristiana come luogo di preghiera (Orat XXXI, 5-7). Dato
però che questo tratto segna un trapasso dall’orazione individuale – la vi-
suale pressoché dominante in tutto il trattato – alla preghiera comunitaria,
è preferibile anticipare brevemente la trattazione dedicata da Origene alla
direzione di preghiera (Orat XXXII), che del resto concerne essa pure il
nostro argomento con una «identificazione» spaziale per certi versi non
meno sorprendente di quella manifestata dal cenno sul talamo nuziale.
Si resta invero assai colpiti dal fatto che Origene unisca tanto stretta-
mente l’orazione al sorgere del sole, cioè in direzione dell’oriente, senza
che egli si mostri disposto a qualche concessione in proposito, come sareb-
be invece affatto comprensibile e giustificabile. Lui stesso, a dire il vero,
ricorda possibili casi di eccezione, come la mancanza di un’apertura ad est
nella casa, sicché v’è chi preferisce pregare piuttosto verso la porta aperta,
adducendo il motivo che «la vista del cielo esercita un certo richiamo più
che il rivolgersi guardando verso la parete»536. Origene però si dice con-
trario nel nome di un principio che di primo acchito appare poco com-
prensibile a causa della sua astrattezza: egli preferisce «anteporre quello
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aëre mundiore, sic terra sancti loci et sanctioris, sicut scriptum est: Locus in quo tu stas,
terra sancta est (Es 3, 5). Et quaeres si praeter adfectum orantis etiam ex loco orationis, in
quo quis orat, fit oratio mundior et magis acceptabilior, secundum quod scriptum est:
Domus mea domus orationis vocabitur (Is 56, 7), de qua et alibi dicitur: Et exaudivit de
templo sancto suo vocem meam (Sal 17[18], 7).
535 CMtS 89 (204, 23-26): «Qui autem propter Christi doctrinam recessit a Iudaicis
fabulis (Tit 1, 14) et ab omnibus, quae corporaliter ab eis intelleguntur, dicet non propter
locum fieri orationem distantem ab oratione, sed quia melius est cum nullo orare quam
cum malis orare». Cfr. Bendinelli 2009, 415, nonostante la sua conclusione problematica:
«concretamente questo luogo adatto alla preghiera altro non è che l’assemblea del culto
cristiano».
536 È da notare che la succinta trattazione di Orat XXXII è priva di riferimenti scrit-
turistici espliciti, a differenza di quanto la precede, ma fa appello a considerazioni prati-
che e ragioni simboliche, per così dire, in astratto. Origene avrebbe potuto, ad esempio,
confrontarsi con la preghiera di Sara (Tb 3, 11: «In quel momento stese le mani verso la
finestra e pregò»), che ha appena ricordato in Orat XXXI, 5 (cfr. infra, nota 544). Peraltro,
l’implicazione scritturistica e cristologica della preghiera verso oriente pone l’interrogati-
vo sul destinatario della proseuchv che – come già sappiamo – è il Padre. L’idea è dunque
da intendere in riferimento alla mediazione del Figlio. La distinzione fra Padre e Figlio in
rapporto alla «vera luce» è invece presente in CC V, 11 (11, 19-22): Ouj crh; de; oujd∆ aujto;
proskunei'sqai uJpo; tou' blevponto" kai; sunievnto" to; ajlhqino;n fw'", ou| metoch'/ kai;
tau't∆ eij a[ra pefwvtistai, oujd∆ uJpo; tou' blevponto" to;n patevra tou' ajlhqinou' fwto;" qeovn.
176 Parte prima, Capitolo quinto
che è per natura a quello conforme ad una convenzione», cioè attenersi in
ogni caso alla direzione verso oriente. Anziché spiegare questa mancanza
di flessibilità con un rigore inatteso, poco conforme all’intero andamento
delle istruzioni origeniane riguardo l’atto del pregare, la si può forse ri-
condurre al fatto che il valore simbolico del gesto esteriore può darsi solo
nel rispetto del “dato naturale”: ora, secondo l’Alessandrino, delle quattro
parti del cielo l’oriente è «all’evidenza» da preferire, perché soltanto vol-
gendosi all’esterno verso oriente si può simboleggiare adeguatamente
quanto avviene nell’anima, cioè com’essa si volga al «sorgere della vera
luce» di Cristo 537 . In Orat non trapela alcuna preoccupazione di distin-
guere l’uso cristiano dalla prassi eliolatrica pagana, diversamente da altri
scritti di Origene e da quanto notiamo in Tertulliano, ma non rileviamo
neppure una sua interpretatio christiana, come ci si presenta invece in
Clemente Alessandrino538 .

10. Dall’orazione individuale a quella comunitaria: pregare nella chiesa

Il correttivo più consistente della tendenza ad una spiritualizzazione


astratta ed individualistica della preghiera è offerto, in ultima istanza, dai
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537 Orat XXXII (400, 22-26): tessavrwn de; o[ntwn klimavtwn, tou' te pro;" a[rkton
kai; meshmbrivan kai; tou' pro;" duvsin kai; ajnatolh;n, tiv" oujk a]n aujtovqen oJmologhvsai to;
pro;" ajnatolh;n ejnargw'" ejmfaivnein to; dei'n ejkei' neuvonta" sumbolikw'", wJ" th'" yuch'"
ejnorwvsh" th'/ tou' ajlhqinou' fwto;" ajnatolh'/, poiei'sqai ta;" eujcav"… Wallraff 2001, 64 rin-
via a Zc 6, 12 LXX («Questo dice il Signore onnipotente: “Ecco un uomo, Oriente è il suo
nome, sorgerà da sé e ricostruirà la casa del Signore”») quale fondazione cristologica del-
l’usanza (cfr. anche Wallraff). Ma la distinzione e/o opposizione fuvsi"/qevsi" fa pensare
piuttosto al discorso origeniano sul valore reale o simbolico dei nomi. Per i luoghi paral-
leli Wallraff rimanda a HLv IX, 10; XIII, 12; HNm XV, 1; HIud VIII , 1; CMt XVI, 3; CIo
XXXII, 24, 316. Si tratta di passi d’interesse cristologico, senza nesso con la prassi di pre-
ghiera. Come appare da HLv IX , 10, lo spettro dei luoghi scritturistici è molto articolato:
«Il fatto che asperga dal lato di Oriente (Lv 16, 14), non prenderlo come superfluo. Dal-
l’Oriente viene a te la propiziazione; poiché di là è l’uomo il cui nome è Oriente (Zc 6,
12) e che è stato fatto mediatore fra Dio e gli uomini (1Tm 2, 5). Questo dunque ti invita a
guardare sempre a Oriente (Bar 4, 36), donde nasce per te il Sole di giustizia (Ml 4, 2),
donde per te nasce la luce» (tr. Danieli, 230). Si ricordi ancora l’attribuzione per sorte delle
città levitiche in HIos XXV, 3 (455, 2-4): «In quattuor orbis partibus certum est orientalem
plagam nobiliorem videri, in qua et nobilior omnium reliquarum Iudae tribus habebatur».
538 Come ha notato Wallraff 2001, il culto eliolatrico del paganesimo, senza deter-
minare in sé l’uso cristiano, ha svolto un ruolo nella sua interpretazione teologica. Tertul-
liano reagisce contro la pretesa somiglianza ribadendo l’opposizione fra cristianesimo e
paganesimo. Clemente Alessandrino adotta un modello d’integrazione senza fornire motivi
specificamente cristiani. Origene a sua volta perviene ad una ricezione critica dell’usanza
pagana, mentre ribadisce la superiorità del cristianesimo (cfr. CC V, 6. 11). Ovviamente
non è casuale che queste riflessioni su una pratica consolidatasi già da tempo prendano
corpo nel contesto delle tendenze eliolatriche del paganesimo nel III secolo Sulla riflessio-
ne clementina si veda infra, pp. 540-541.
L’atto della preghiera 177
paragrafi dedicati al pregare nella chiesa (Orat XXXI, 5-7). La loro impor-
tanza non consiste soltanto nel fatto che adesso la preghiera collettiva è
messa a tema, mentre fin qui si è parlato quasi esclusivamente di preghiera
personale, peraltro in conformità con lo spirito delle istruzioni premesse
al Padrenostro (Mt 6, 5-8) nella lettura che ne dà l’Alessandrino: esse, co-
me vedremo nel capitolo successivo, privilegiano sì il «nascondimento»
dell’esistenza cristiana, a garanzia della sua autenticità, ma non ignorano
per nulla la sua realtà comunionale539. Se è vero dunque che assistiamo ad
una svolta nel discorso di Orat, è anche possibile dimostrare come in
realtà vi sia una profonda corrispondenza strutturale fra l’una e l’altra
forma di preghiera, poiché entrambe coinvolgono, per così dire, gli stessi
fattori e protagonisti. Benché nel passo in esame l’attenzione sia rivolta a
sottolineare la particolare utilità dell’orazione nel luogo e nel momento
ecclesiale dei cristiani, questi paragrafi ci aiutano, a loro volta, a comple-
tare l’immagine dell’atto orante in Origene, considerato nella sua cornice
più ampia e lontano da qualunque intimismo540 .
La trattazione sulla preghiera comunitaria è inquadrata dal riconosci-
mento in linea di principio della sua particolare utilità, senza che da ciò sia
lecito ricavare l’idea di un vantaggio preferenziale del luogo dell’assem-
blea ecclesiale, tale cioè da collocare necessariamente la preghiera indivi-
duale ad un gradino più basso541. Una tale conclusione finirebbe per con-
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539 Un accenno isolato al pregare «nelle chiese» in opposizione al pregare «nelle
sinagoghe», condizionato dalla ripresa di Mt 6, 5, figura in Orat XX, 1, ma senza apportare
un’effettiva considerazione dei risvolti ecclesiali. La dimensione nascosta dell’esistenza
cristiana è inculcata, fra l’altro, da HEx II, 3 (158, 28-159, 5), nella spiegazione di Es 1, 22
(«Gettate nel fiume ogni maschio che sia nato agli ebrei, ma lasciate in vita tutte le femmi-
ne»), contro il rischio che la sua autenticità sia vanificata dall’esibizione mondana: «Vide,
si non propterea nobis praecipitur ne bonos actus in publico geramus, ne iustitiam nostram
coram hominibus faciamus (Mt 6, 1), sed ut clauso ostio oremus patrem in occulto (Mt 6,
6) et quod facit dextera nostra, ut nesciat sinistra (Mt 6, 3). Nisi enim in occulto fuerit,
diripietur ab Aegyptiis, invadetur, in flumen iactabitur, undis et fluctibus submergetur».
540 La distinta accezione di «chiesa» come edificio e luogo di riunione della comu-
nità è attestata, ad esempio, da HEx II, 2 (157, 17-19): «Sin autem videas quomodo scrip-
turae novi ac veteris testamenti timorem Dei docentes domos ecclesiae faciant et univer-
sum orbem terrae orationum domibus repleant»; HEx XII, 2 (264, 5-8): «Alii ne hoc ipsum
quidem patienter exspectant, usque dum lectiones in ecclesia recitentur. Alii vero nec si
recitentur sciunt, sed in remotioribus dominicae domus locis saecularibus fabulis occu-
pantur». A questi passi si può accostare anche la spiegazione dell’episodio di Gesù e i
dottori nel Tempio; cfr. HLc XIX, 5 (117, 18-21): «Si quando et tu quaesieris Filium Dei,
quaere primum templum, illuc propera, ibi Christum, sermonem atque sapientiam, id est
Filium Dei, reperie»s. Come ha messo in luce Stroumsa, 94, non si può parlare di una
«privatized religion» in Origene, se non «in the sense that religion is first and foremost
the domain of the individual, and of all individuals, irrespective of social, economic,
ethnic background, or even gender, but not in the sense that there are no social or political
direct implications of religious belief and practice».
541 Si vedano le considerazioni conclusive in Orat XXXI, 7 (400, 17-20): tau'ta dev
178 Parte prima, Capitolo quinto
traddire il ductus generale delle riflessioni di Origene sullo spazio della
preghiera, mentre la sua preoccupazione ancora una volta non è di natura
astratta bensì concreta, come lo era anche nel caso della camera nuziale. Si
tratta per lui di chiarire quali vantaggi specifici derivino dal pregare insie-
me alla comunità, nel suo luogo di riunione, senza alcuna idea di eccellen-
za “gerarchica”, ma anzi sottolineando nuovamente come tali benefici sia-
no garantiti unicamente dalla condizione di santità dei fedeli riuniti (pena
la perdita dell’ejpiskophv divina, analogamente a quanto avviene per lo
spazio dell’orante individuale)542. Semmai l’insistenza con la quale Ori-
gene raccomanda per ben tre volte l’utilità precipua della preghiera nella
chiesa tradisce la preoccupazione che essa possa essere trascurata a van-
taggio di quella personale543 . Ma, come mostra bene il parallelo fra la pre-

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moi ajnagkaivw" eijrh'sqai faivnetai, tovpon eujch'" ejxetavzonti kai; to; ejxaivreton wJ" ejn
tovpw/ paristavnti ejpi; th'" tw'n aJgivwn kai; eujlabevsteron ejpi; to; aujto; th'/ ejkklhsiva/ ginomev-
nwn suneleuvsew", «Queste cose mi è parso necessario di dire, trattando del luogo della
preghiera e mostrando la particolare efficacia che ha la preghiera in quel luogo dove si
riuniscono in assemblea i santi con la dovuta pietà» (Antoniono, 185). Il passo mette nuo-
vamente alla prova i traduttori che oscillano fra il riconoscimento dei “vantaggi” propri
del luogo di culto della comunità o l’affermazione della sua eccellenza. Optando per la
prima idea, Koetschau, 144 rende: «Vorzüge, welche – soweit es den Ort betrifft – die
Zusammenkunft der frommen und gottesfürchtig sich an derselben Stelle mit der Ge-
meinde versammelnden Christen mit sich bringt». Invece Jay, 215 vi legge una chiara in-
dicazione di preferenza: «These things I think it has been necessary to say in considering
the place of prayer, and suggesting that it is preferable in the place where the saints also
come together, who with due piety gather together with the Church». Oulton, 327 parla
apertamente di «the superiority of the place where the saints meet when they assemble
devoutly together in church».
542 Orat XXXI, 5 (398, 14-19): “Ecei dev ti ejpivcari eij" wjfevleian tovpo" eujch'", to;
cwrivon th'" ejpi; to; aujto; tw'n pisteuovntwn suneleuvsew", wJ" eijko;" kai; ajggelikw'n dunav-
mewn ejfistamevnwn toi'" ajqroivsmasi tw'n pisteuovntwn kai; aujtou' tou' kurivou kai; sw-
th'ro" hJmw'n dunavmew" (cfr. 1Cor 5, 4) h[dh de; kai; pneumavtwn aJgivwn, oi\mai de; o{ti kai;
prokekoimhmevnwn, safe;" de; o{ti kai; ejn tw'/ bivw/ periovntwn, eij kai; to; pw'" oujk eujcere;"
eijpei'n. L’espressione ejpivcari, «piacevole», è un hapax legomenon in Origene, diversa-
mente dall’uso assai frequente di carivei" e carievntw", specialmente per qualificare risul-
tati esegetici. Si deve forse intendere qui la parola nel significato di una testimonianza pa-
piracea (PStud. Pal. 22.58.5, II-III secolo), cioè come «compenso aggiuntivo» (cfr. Mon-
tanari, 831 s.v.)? Jay, 213 traduce: «But a place of prayer possesses something of joy in
addition to the benefit it bestows». Quanto al termine sunevleusi" per l’assemblea eccle-
siale, è utilizzato solo in Orat (XXXI , 5. 7). A parere di Schütz, 138, «wimmelt der ganze
Abschnitt von gottesdienstlichen Bezeichnungen: sunevleusi", ajqroivsmata tw'n pisteu-
ovntwn, duvnami" tou' Kurivou, pleiovnwn sunelhluqovtwn». Tuttavia, la caratterizzazione
liturgica della preghiera comunitaria – come mostrano gli esempi addotti – non è legata ad
una terminologia definita (Markschies 2007a, 166-167). Per l’uso dell’espressione
a[qroisma in riferimento alla fisionomia sociologicamente condizionata della chiesa, cfr.
Orat XXXI, 7 (400, 13) e Sgherri 2000, 72.
543 Orat XXXI , 5 (399, 11-13): diovper ouj katafronhtevon tw'n ejn aujtai'" [scil.
ejkklhsivai"] eujcw'n, wJ" ejxaivretovn ti ejcousw'n tw'/ gnhsivw" sunercomevnw/ aujtw'n.
L’atto della preghiera 179
ghiera individuale di Tobi e Sara e la preghiera della comunità riunita, non
si deve pensare ad una differenza qualitativa tra le due forme544 .
Di certo, come effetto finale, la preghiera in comune dei fedeli pos-
siede, per così dire, un’efficacia quantitativa, ma la dinamica che è posta
in atto nella preghiera di un individuo non è fondamentalmente diversa.
Secondo quanto attesta il passo parallelo di Orat XI, la persona che prega
«in maniera autentica» (gnhsivw")545 , sperimenta ugualmente la mediazio-
ne del Signore in quanto «sommo sacerdote» non meno che la collabora-
zione degli angeli e dei santi (sia defunti che viventi) alla sua preghiera546 .
Pertanto, sia la preghiera individuale che la preghiera comunitaria vengo-
no a situarsi nell’orizzonte della communio sanctorum. Sebbene Origene
––––––––––––––––––
544 Oltre a Tb 12, 12 (kai; nu'n o{te proseuvxw su; kai; hJ nuvmfh sou Sarra [pro-
seuvxw kai; Sarra S], ejgw; proshvgagon to; mnhmovsunon th'" proseuch'" uJmw'n ejnwvpion
tou' aJgivou [ejnwvpion th'" dovxh" kurivou S]), Koetschau rimanda a Tb 3, 16-17 (Kai; eijsh-
kouvsqh [ejn aujtw/' tw/' kairw/' eijshkouvsqh S] hJ proseuch; ajmfotevrwn ejnwvpion th'" dovxh"
tou' megavlou Rafahl, kai; ajpestavlh ijavsasqai tou;" duvo, tou' Twbit lepivsai ta; leukwv-
mata kai; Savrran th;n tou' Ragouhl dou'nai Twbia tw/' uiJw/' Twbit gunai'ka). Per Jay, 214,
nota 1, l’argomentazione di Origene suscita difficoltà: «Origen’s argument seems to me
that as Sarah shared the benefits of the angel’s ministry by virtue of her kinship with To-
bit, it may be expected that those who are made one family in Christ will enjoy an even
greater ministry of angels. There is no hint in the LXX of Tobit of Sarah’s prayers being
brought by Raphael before God in virtue of her kinship with Tobit». Ma qui non si tratta
della “parentela” di Sara, bensì di una preghiera “concorde” (Tb 3, 16: «la preghiera di
tutti e due»), che avviene «nello stesso giorno» (Tb 3, 7; cfr. anche 3, 10) e viene esaudita
«in quel medesimo momento» (Tb 3, 16 S) (si veda infra, nota 546). Origene commenta
peraltro questa espressione in Orat XI, 5 (324, 3-5), dove si dice di Dio: aJrmonivw" suna-
gagovnto" para; to;n kairo;n th'" eujch'" to;n uJphrevthn ejsovmenon tw'/ deomevnw/ th'" eujpoii?a"
th'" ajp∆ aujtou' eijsakouvonta, tw'/ pistw'" dedehmevnw/. Ciò che importa è dunque la preghiera
contemporanea dei due (Tobi: Tb 3, 2-6; Sara: Tb 3, 7-17). Si ricordi che secondo Orat
XIV , 4 la preghiera di Tobi rappresenta uno dei paradigmi biblici della proseuchv (cfr.
supra, p. 144).
545 Questo avverbio prediletto (48 occorrenze in totale) ricorre sei volte in Orat, tre
delle quali concernono la preghiera comunitaria (Orat XXXI, 5-6).
546 Orat XI, 1 (321, 15-26): Ouj movno" de; oJ ajrciereu;" toi'" gnhsivw" eujcomevnoi"
suneuvcetai ajlla; kai; oiJ ejn oujranw'/ caivronte" a[ggeloi ejpi; eJni; aJmartwlw'/ metanoou'nti
h] ejpi; ejnenhvkonta ejnneva dikaivoi", oi} ouj creivan e[cousi metanoiva" (Lc 15, 7), ai{ te tw'n
prokekoimhmevnwn aJgivwn yucaiv. a{tina dhlou'tai, ÔRafah;l me;n prosfevronto" peri; Tw-
bh;t kai; SavrjrJa" logikh;n iJerourgivan tw'/ qew'/ – meta; ga;r th;n eujch;n ajmfotevrwn eijshkouv-
sqh, fhsi;n hJ grafh;, proseuch; ajmfotevrwn ejnwvpion th'" dovxh" tou' megavlou ÔRafah;l,
kai; ajpestavlh ijavsasqai tou;" duvo (Tb 3, 16-17): kai; aujto;" de; oJ ÔRafah;l, fanerw'n eJau-
tou' wJ" ajggevlou th;n kata; provstagma tou' qeou' pro;" ajmfotevrou" oijkonomivan, fhsiv: kai;
nu'n o{te proshuvxw su; kai; hJ nuvmfh sou SavrjrJa, ejgw; proshvgagon to; mnhmovsunon th'"
proseuch'" uJmw'n ejnwvpion tou' aJgivou (Tb 12, 12), kai; met∆ ojlivga: ejgwv eijmi ÔRafah;l, ei|"
tw'n eJpta; ajggevlwn, oi} prosanafevrousi <ta;" proseuca;" tw'n aJgivwn> kai; eijsporeuvon-
tai ejnwvpion th'" dovxh" tou' aJgivou (Tb 12, 15). Si noti qui il ricorso dell’hapax legomenon
iJerourgiva, termine invece assai frequente, ad esempio, in un Filone Alessandrino. Il con-
corso degli esseri angelici alla preghiera può esser messo in luce a partire dal giudaismo
del Secondo Tempio, come mostra appunto Tb 12, 12 (cfr. Chazon-Bernstein, 10).
180 Parte prima, Capitolo quinto
non sembri aver sviscerato appieno tale dottrina, la si deve presupporre in
ogni caso quale contesto ravvicinato dell’atto orante547. Nel nostro passo
l’Alessandrino l’afferma con molta nettezza in chiave ecclesiologica,
grazie all’idea di una «duplice chiesa»: quella degli uomini e quella degli
angeli548 . Ad essa fa da pendant, per converso, quella composta da uomini
e diavoli, là dove la comunità non sia connotata dalla santità dei suoi
membri e sia perciò abbandonata dall’ejpiskophv di Dio, ch’egli le assicura
per il tramite dei suoi angeli549. D’altra parte, la chiesa celeste (o invisibi-
le) non è limitata ai soli angeli, poiché anche i santi defunti fanno parte di
essa. Inoltre, la sua realtà si estende alla comunità empirica, nella misura
in cui la chiesa terrena è composta anch’essa di santi. In tal modo Orige-
ne, basandosi su una serie di riferimenti scritturistici, argomenta via via i
seguenti punti: 1. la cooperazione degli angeli; 2. la presenza del Signore
nella sua «forza» (duvnami"); 3. il concorso dei santi viventi (accanto a
––––––––––––––––––
547 Cfr. ad esempio HLv IV, 3-4, dove troviamo espressa l’idea di una comunione
del fedele con Padre, Figlio e Spirito nonché con i santi sulla terra e in cielo. Secondo
Gessel, 198, l’Alessandrino si sarebbe limitato ad accennarla in maniera occasionale. Si
veda però HLv VII , 1; HNm XXVI, 6 (253, 26-27).
548 Orat XXXI, 5 (398, 24-28): eijkov" ejsti, pleiovnwn sunelhluqovtwn gnhsivw" eij"
dovxan Cristou', parembalei'n to;n eJkavstou a[ggelon [to;n] kuvklw/ [eJkavstou] tw'n fobou-
mevnwn (Sal 33[34], 8) meta; touvtou tou' ajndro;", o}n frourei'n kai; oijkonomei'n pepivsteu-
tai: w{st∆ ei\nai ejpi; tw'n aJgivwn sunaqroizomevnwn diplh'n ejkklhsivan, th;n me;n ajnqrwvpwn
th;n de; ajggevlwn (per le due espunzioni cfr. BKV, 142 n. 3). Ritroviamo la stessa formu-
lazione, in termini ancor più espliciti, in HLc XXIII , 8-9 (146, 15-147, 4): «Ego non am-
bigo et in coetu nostro adesse angelos, non solum generaliter omni ecclesiae, sed etiam
singillatim, de quibus Salvator ait: angeli eorum semper vident faciem Patris mei, qui in
caelis est (Mt 18, 10). Duplex hic adest ecclesia, una hominum, altera angelorum. Si quid
iuxta rationem et iuxta scripturarum dicimus voluntatem, laetantur angeli et orant nobi-
scum. Et quia praesentes angeli sunt in ecclesia, in illa dumtaxat, quae meretur et Christi
est, propterea orantibus feminis praecipitur, ut habeant super caput velamen propter ange-
los (1Cor 11, 10). Quosnam angelos? Utique illos, qui assistunt sanctis et laetantur in ec-
clesia, quos quidem nos, quia peccatorum sordibus oculi nostri obliti sunt, non videmus,
sed vident apostoli Iesu, ad quos loquitur: Amen, amen, dico vobis, videbitis caelum aper-
tum et angelos Dei adscendentes et descendentes super filium hominis (Gv 1, 51). Quod si
haberem hanc gratiam, ut quomodo apostoli sic viderem et sicut Paulus adspexit intuerer,
cernerem nunc multitudinem angelorum, quos videbat Helisaeus et Giezi, qui cum eo
steterat, non videbat». Cfr. anche CC VIII, 34 (nota 568).
549 Orat XXXI , 6 (400, 2-4): tavca ga;r ajnti; th'" proeirhmevnh" diplh'" suntavxew"
ajnqrwvpwn aJgivwn kai; makarivwn ajggevlwn pavlin diplh' givnetai ejpi; to; aujto; suvnodo"
ajnqrwvpwn ajsebw'n kai; ponhrw'n ajggevlwn. Quando la comunità cristiana decade dalla sua
vocazione spirituale, è destinata ad essere privata anch’essa dell’ejpiskophv divina allo
stesso modo delle genti di Gerusalemme e della Giudea (XXXI , 7), come Origene ribadisce
con l’ausilio di Is 1,12. 15 («Quando venite a presentarvi a me [...] quando stendete le
mani, io distolgo gli occhi da voi, anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto») e di
Sal 25(26), 4 («Non mi posi a sedere nell’adunanza degli uomini fatui e non praticai gli
uomini malvagi. Odio l’assemblea degli empi e non mi seggo con i malvagi»). Sul motivo
dell’ejpiskophv nello spazio dell’orante individuale, cfr. supra, p. 171, nota 525.
L’atto della preghiera 181
quello assicurato dai santi defunti)550 . In queste riflessioni troviamo così
riassunti diversi aspetti introdotti dall’Alessandrino nella prima sezione
per illustrare l’atto orante nelle sue caratteristiche strutturali. Anche in
tale luce esso ci si disvela per essenza come un atto di comunione.

11. L’atto orante come atto di comunione

Torniamo allora, per concludere, a Orat XX, 2, il passo del trattato in


cui Origene illustra forse nella maniera più vivida l’atto della preghiera
entro la prospettiva dell’orante individuale. Sulla falsariga della denuncia
di Mt 6, 5 («per essere visti dagli uomini») egli critica la visibilità osten-
tata del «pregare nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze» e insiste con
forza perché la sua performance avvenga «nel segreto», nel nascondi-
mento della propria «cameretta» (Mt 6, 6). Tanto più forte è qui, di primo
acchito, il richiamo all’interiorità in totale isolamento e astrazione dal
mondo sensibile, nell’attuazione dell’ajnacwvrhsi" già descritta, e tanto
più grande è lo scenario che si dischiude allora a colui che prega nella
propria intimità solitaria. La «cameretta» si trasforma così in un «teatro»
di dimensione cosmica, un teatro nel quale però l’orante, all’opposto del-
l’attore con la sua «finzione» (uJpokrithv"), è chiamato a realizzare il mas-
simo di autenticità personale sotto lo sguardo partecipe non solo dello
spettatore divino, ma di tutte quante le creature razionali – angeli, santi e
demoni551 . La partecipazione di Dio alla preghiera «nel segreto» è anzi
qualcosa di più di un’assistenza, per così dire esterna, com’è invece comu-
nemente nell’esperienza dello spettatore. Approfondendo l’interpretazione
di Mt 6, 6 («prega il Padre tuo nel segreto, e il Padre tuo, che vede nel se-
––––––––––––––––––
550 Il dossier scritturistico rimanda, in primo luogo a 1Cor 5, 4 («essendo radunati
insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù»), riferimento essenziale
per tutta la prospettiva sviluppata in Orat XXXI, 5 (cfr. nota 542). Origene ne trae, infatti,
non solo l’idea della presenza del Signore, ma anche quella dei santi viventi, per analogia
con Paolo, anche se dichiara che non è facile mostrare come ciò avvenga. Secondo Fr1Cor
24, la presenza in spirito dell’Apostolo è assicurata dalla duvnami" del Signore, ben più del
profeta Eliseo, che pure possedeva la stessa facoltà (cfr. Cocchini, 66). Riguardo poi alla
presenza degli angeli, si citano Sal 33(34), 8 («L’angelo del Signore si accampa attorno a
quelli che lo temono e li salva») e Gn 48, 16 («l’angelo che mi ha liberato da ogni male»).
Secondo HLv VII, 2 (377, 19-20), i santi defunti non godono ancora della «letizia perfetta
fino a che si dolgono per i nostri errori e piangono i nostri peccati» (p. 155).
551 Cfr. Orat XXVIII, 3. CMtS 10 (21, 4-10) sviluppa l’esegesi di Mt 6, 5-6 in con-
trappunto con Mt 23, 1 ss., insistendo sull’antitesi tra i Farisei e i «discepoli di Cristo»:
«Christi autem veri discipuli, qui aspiciunt quae non videntur et sunt aeterna (2Cor 4, 18),
orant in occulto promptuario suo (Mt 6, 6) et eleemosynas faciunt in occulto (cfr. Mt 6, 3-4)
et legem in occultis implent, quasi in occulto constituti Iudaei, secundum quod ait Aposto-
lus: Non enim qui in manifesto Iudaeus, neque quae palam in carne circumcisio, sed qui
in occulto Iudaeus est, et circumcisio cordis, quae spiritu non littera (Rm 2, 28-29)».
182 Parte prima, Capitolo quinto
greto, ti ricompenserà»), Origene introduce la visione comunionale della
venuta del Padre che si rende presente nella «dimora» dell’orante insieme
al Figlio Unigenito, grazie anche alla ripresa di Gv 14, 23 («noi verremo a
lui e prenderemo dimora presso di lui») ed al preannuncio così del moti-
vo del regno di Dio realizzato nell’anima perfetta, secondo la spiegazione
data dall’Alessandrino alla seconda domanda del Padrenostro 552 .
Origene si sofferma specialmente sulla presenza del Padre e dell’Uni-
genito nell’intimo dell’orante, ma ciò non implica l’assenza di una «cor-
nice trinitaria» per l’atto della preghiera, tale cioè da includere anche la
presenza dello Spirito. Al contrario, fin dal prologo il ruolo dello Spirito
risulta costitutivo per il suo estrinsecarsi più autentico e profondo: la pre-
ghiera dei «santi» è per definizione «preghiera spirituale», poiché essa si
dà unicamente con l’intervento, ad un tempo promotore e concomitante,
dello Spirito che intercede per essi, secondo la visuale tracciata più volte
con l’aiuto del fondamentale riferimento paolino in Rm 8, 26553 . Inoltre,
––––––––––––––––––
552 Orat XX, 2 (344, 24-345, 2): proseuvcetai tw'/ to; toiou'ton krupto;n mh; feuvgonti
mhde; ejgkataleivponti patri; ajll∆ ejn aujtw'/ katoikou'nti, sumparovnto" aujtw'/ kai; tou' mo-
nogenou'". ejgw; ga;r, fhsi;, kai; oJ path;r pro;" aujto;n ejleusovmeqa kai; monh;n par∆ aujtw'/
poihsovmeqa (Gv 14, 23). dh'lon de; o{ti tw'/ dikaivw/, eja;n dh; ou{tw" eujcwvmeqa, ouj movnon
qew'/ ajlla; kai; patri; ejnteuxovmeqa, wJ" uiJw'n mh; ajpoleipomevnw/ ajlla; parovnti hJmw'n tw'/
kruptw/' (Mt 6, 6) kai; ejforw'nti aujto; kai; pleivona ta; ejn tw'/ tameivw/ poiou'nti, eja;n aujtou'
th;n quvran (Mt 6, 6) ajpokleivswmen. Origene si serve nuovamente di Gv 14, 23 in Orat
XXIII, 1 in polemica con le nozioni spaziali su Dio, mentre in XXV, 1 (357, 5-8) argomenta
con esso l’idea del «regno di Dio» interiore, per l’anima che è perfetta: parovnto" aujtw'/
tou' patro;" kai; sumbasileuvonto" tw'/ patri; tou' Cristou' ejn th'/ teteleiwmevnh/ yuch'/ kata;
to; eijrhmevnon, ou| pro; bracevo" ejmnhmovneuon: pro;" aujto;n ejleusovmeqa kai; monh;n par∆
aujtw'/ poihsovmeqa. Più strettamente legata all’idea della «perfezione nella carità» è l’in-
terpretazione del passo giovanneo in CCt Prol. 2, 27 e in II, 8, 40 (165, 6-11): «Ad hanc
enim animam Dominus dicebat quia: Ego et Pater veniemus, et caenabimus cum eo, et
mansionem faciemus apud eum. Ubi ergo caenat Christus cum Patre et ubi mansionem
facit, quidni et recumbit? Beata latitudo illius animae, beata strata illius mentis, ubi et Pa-
ter et Filius, ut non dubito, una cum Spiritu sancto recumbit et caenat et mansionem facit».
Infine in III, 11, 19 è addotto a riprova dell’alternarsi fra presenza e assenza del Verbo di
Dio all’anima fino alla sua venuta definitiva. In HGn I, 17 l’allusione a Gv 14, 23, in un
contesto trinitario forse influenzato da Rufino, conclude l’interpretazione del racconto del-
la creazione come allegoria della vita spirituale. D’altra parte, lo Spirito è associato all’ina-
bitazione del Padre e del Figlio in HIer VIII, 1 (55, 25-56, 2): l’anima è «abitata» (oijkou-
mevnh) o{te peplhvrwtai qeou', o{te e[cei to;n Cristovn, o{te pneu'ma a{giovn ejstin ejn aujth/'.
Tau'ta de; poikivlw" kai; diafovrw" ejn tai'" grafai'" levgetai, to; ei\nai to;n patevra kai; to;n
uiJo;n kai; to; a{gion pneu'ma ejn th/' tou' ajnqrwvpou yuch/'. La giustificazione scritturistica è
tratta qui da Sal 50(51), 14.12.13. In HIos XX, 1 l’idea delle «potenze» presenti in noi
trapassa al motivo della comunione con il Figlio e con il Padre. Cfr. inoltre Prin I, 1, 2,
dove è ribadita l’inabitazione del Padre e del Figlio per le anime che se ne rendono degne.
553 Il luogo più significativo è Orat II, 3 (cfr. supra, nota 181). Sull’opera dello Spi-
rito nel pensiero di Origene, si veda Beyer Moser, 129: «No aspect of Christian relation-
ship with God remains untouched by the Spirit; in fact, the Spirit is necessary to growth in
prayer, knowledge of God’s word, and holy life».
L’atto della preghiera 183
l’esito stesso dell’orazione consiste in un’immedesimazione più profonda
con lo «Spirito del Signore» che fa sì che l’«anima» dell’orante si trasfor-
mi, nel suo processo di perfezionamento spirituale, assurgendo sempre
più alla condizione di «spirito», come vedremo fra breve nel passo dal-
l’esito «mistico» più pronunciato (Orat IX, 2). Già da queste formulazioni
si coglie come l’aspetto pneumatologico sia strettamente associato a quello
cristologico, a partire dalle stesse disposizioni preparatorie alla preghiera:
quando l’orante ha assicurato la premessa della «purificazione» prelimi-
nare, con un atteggiamento di abbandono al volere di Dio che accoglie
pienamente il suo disegno provvidenziale, vieno reso ancor più capace di
«unirsi con lo Spirito del Signore» che riempie l’universo 554 .
Dal seguito dell’argomentazione sembrerebbe di dover distinguere la
componente pneumatologica, pur essendo essa strettamente associata a
quella cristologica, poiché subito dopo Origene introduce la mediazione
di Cristo per l’orante; del resto, altrove l’Alessandrino arriva ad attribuire
la preghiera silenziosa dei «santi» all»opera dello Spirito che agisce diret-
tamente in loro555. Si potrebbe inoltre addurre il tenore stesso della formu-
lazione origeniana che ricorda da vicino un passo del Commento a Gio-
vanni, in cui l’esemplarità dell’unione in Cristo del Verbo e dell’uomo
assunto è assecondata da «quegli uomini nei quali l’anima si è compene-
trata (ajnakevkratai) con lo Spirito santo in modo che ciascuno dei salva-
ti è diventato “spirituale”»556. Tuttavia, considerando anche l’esegesi di
––––––––––––––––––
554 Orat X, 2 (320, 12-16): oJ toivnun ou{tw" eujcovmeno" tosau'ta prowfelhqei;" ejpi-
thdeiovtero" givnetai ajnakraqh'nai tw'/ peplhrwkovti th;n pa'san oijkoumevnhn [oijkonomivan
T] tou' kurivou pneuvmati (cfr. Sap 1, 7) kai; tw'/ pa'san th;n gh'n kai; to;n oujrano;n peplh-
rwkovti, dia; tou' profhvtou levgonti ou{tw": oujci; to;n oujrano;n kai; th;n gh'n ejgw; plhrw'…
levgei kuvrio" (Ger 23, 24). Koetschau rileva anche un’allusione a Sap 1, 7 («lo spirito del
Signore riempie l’universo, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce») e corregge di
conseguenza il testo tràdito. Il passo così ricostituito appare un po’ ridondante, ma la frase
regge se si pensa all’associazione di due versetti. D’altra parte, Prin II, 1, 3 suggerisce
l’idea di una oijkonomiva del mondo, rinviando sia, per due volte, a Ger 23, 24 sia anche ad
At 17, 28 («in lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo»). Cfr. anche nota 556.
555 Cfr. HEx V, 4 (189, 12-20), a proposito della preghiera silenziosa di Mosè, inter-
pretata alla luce di Rm 8, 26-27: «Nulla eius vox clamoris auditur, et tamen dicit ad eum
Deus: Quid clamas ad me? (Es 14, 15). Velim scire quomodo sancti sine voce clamant ad
Deum. Apostolus docet quia: Dedit Deus spiritum filii sui in cordibus nostris clamantem:
Abba, pater! (Gal 4, 6). Et addidit: Ipse spiritus interpellat pro nobis gemitibus inenar-
rabilibus (Rm 8, 26). Et iterum: Qui autem scrutatur corda, scit quid desideret spiritus,
quia secundum Deum postulat pro sanctis (Rm 8, 27). Sic ergo interpellante Spiritu sancto
apud Deum per silentium sanctorum clamor auditur». Questo passo ci aiuta a capire come
la preghiera silenziosa, pur non tematizzata espressamente in Orat, sia implicita nel suo
discorso, in stretta relazione al ruolo dello Spirito. Si veda inoltre HIos IX, 2 (nota 1095).
556 CIo I, 28, 197 (36, 10-14): Pepoivhke ga;r oJ swth;r ta; ajmfovtera e{n (cfr. Ef 2,
14), tavca th;n ajparch;n tw'n ginomevnwn ajmfotevrwn <e}n> ejn eJautw'/ pro; pavntwn poihvsa":
ajmfotevrwn de; levgw kai; ejpi; tw'n ajnqrwvpwn, ejf∆ w|n ajnakevkratai tw'/ aJgivw/ pneuvmati hJ
eJkavstou yuch; kai; gevgonen e{kasto" tw'n sw/zomevnwn pneumatikov". Lo spessore seman-
184 Parte prima, Capitolo quinto
Ger 23, 24 a cui si rinvia nel nostro passo, si deve pensare in primo luogo
all’unione con Dio e con il suo Verbo, che si dà grazie alla «preghiera
spirituale»557. Come Origene dichiara in un frammento catenario sul pro-
feta, servendosi dell’analogia del legame fra anima e corpo, nessun luogo
è vuoto di Dio, ma Egli non riempie di sé colui che è immerso nel pec-
cato ed è invece ripieno degli spiriti maligni558 .
L’orante sorretto dallo Spirito, «dopo essersi purificato», partecipa
secondo Origene anche dell’azione universale del Logos di Dio, che è
presente pure in mezzo a coloro che non lo conoscono: egli, in qualità di
mediatore, presenta al Padre le preghiere degli uomini ed intercede per
loro come Sommo Sacerdote559 . La funzione intermediaria del Verbo trae
––––––––––––––––––
tico del verbo è segnalato non solo indirettamente dal fatto che Origene adopera ajnavk-
rasi" ad indicare l’intima unione delle nature divina ed umana in Cristo (CC III, 41 [237,
8-9]: ouj movnon koinwniva/, ajlla; kai; eJnwvsei kai; ajnakravsei), ma anche dal suo utilizzo
per illustrare la prospettiva della deificazione come termine della vita cristiana (CC VIII,
75 [292, 21-25]: ou{tw qeo;n ajlhqw'" sevbonte" kai; pollou;" o{sh duvnami" paideuvonte"
ajnakraqw'si tw'/ tou' qeou' lovgw/ kai; tw'/ qeivw/ novmw/ kai; ou{tw" eJnwqw'si tw'/ ejpi; pa'si qew'/
dia; tou' eJnou'nto" aujtw'/ uiJou' qeou' lovgou kai; sofiva" kai; ajlhqeiva" kai; dikaiosuvnh"
pavnta to;n protetrammevnon ejpi; to; kata; qeo;n ejn pa'si zh'n). Per chiarire il significato di
ajnakraqh'nai nel senso di una più intima comunione si veda anche CIo XIX , 4, 22: «Vedi
però se la Scrittura non parli di conoscere anche in altro senso: nel senso cioè che chi si
mescola o si unisce a qualcosa (tou;" ajnakekramevnou" tini; kai; eJnwqevnta") conosce
questo qualcosa con cui si mescola o stabilisce una comunione, mentre prima di tale unio-
ne e comunione (eJnwvsew" kai; koinwniva"), per quanto ne comprenda le ragioni, non la
conosce veramente» (tr. Corsini, 568); CIo XIX, 4, 25: «A parer nostro, il Signore conosce
quelli che sono suoi, in quanto si è mescolato con essi (ajnakraqei;" aujtoi'") e ha comuni-
cato loro la propria divinità e li ha presi, per dirla con il vangelo, nella sua mano (cfr. Gv
10, 28-29)» (ibi, 569).
557 L’Alessandrino designa con il termine pneu'ma Dio stesso (cfr. Blanc; Beyer
Moser, 131). In FrIer 17 (206, 17-19) Origene dichiara l’onnipresenza di Dio ricollegando
Ger 23, 24 a At 17, 28: th/' dunavmei ga;r aujtou' pa'sin ejggivzei. kai; eujcai; a[ra oujc wJ"
pro;" povrrw o[nta givgnontai to;n qeovn. Il fr. associa, come in Orat, il Figlio al Padre ar-
gomentandone la vicinanza a tutti gli uomini con Gv 1, 10 («egli era nel mondo, e il
mondo fu fatto per mezzo di lui»); Mt 18, 20 («dove sono due o tre riuniti nel mio nome,
io sono in mezzo a loro»); e Mt 28, 20 («ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo»). Cfr. anche CMtS 65 (152, 13-14), dove si ribadisce la presenza del Figlio di
Dio in quanto Verbo, a partire da un dossier composto da Mt 18, 20; 28, 20; Gv 1, 26-27;
1Cor 5, 3-5): «Si enim virtus Iesu congregatur cum his, qui congregantur in nomine eius,
non peregrinatur a suis sed semper praesto est eis».
558 FrIer 18 (206, 26-207, 2): ÔW" ga;r th'" hJmetevra" yuch'" oujde;n tou' swvmato"
e[rhmon, ajll∆ o{pou ai[sqhsi" ejkei' kai; yuchv, kai; ejpi; pa'n fqavnei to; sw'ma, ou{tw" kai;
oujde;n keno;n tou' qeou'. kai; o{mw" pavnta plhrw'n ouj plhroi' to;n aJmartwlovn, pneumavtwn
ga;r ajkavqarton peplhvrwtai: kai; to;n toiou'ton ajduvnaton uJpo; qeou' plhrwqh'nai, mh; tw'n
a[llwn tw'n plhrouvntwn ajphllagmevnon.
559 Orat X, 2 (320, 16-26): e[ti de; diav te th'" proeirhmevnh" kaqareuvsew" kai; th'"
eujch'" tou' mevson kai; tw'n mh; ginwskovntwn aujto;n eJsthkovto" lovgou qeou', oujdeno;" ajpo-
leipomevnou, th'" eujch'" meqevxei, suneucomevnou pro;" to;n patevra tw'/ uJp∆ aujtou' mesiteuo-
mevnw/. ajrciereu;" (cfr. Eb 2, 17 e passim) ga;r tw'n prosforw'n hJmw'n kai; pro;" to;n patevra
L’atto della preghiera 185
la sua fondamentale ispirazione scritturistica dalla Lettera agli Ebrei, ma
vi si affianca anche l’idea giovannea del paravklhto" secondo l’accezio-
ne di 1Gv 2, 1 («se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il
Padre»)560. La vicinanza del Logos a tutti gli uomini, rimarcata da Orige-
ne anche a prescindere dal fatto che essi ne siano coscienti (precisazione
che forse è da leggere in rapporto, da un lato, alla preghiera individuale e,
dall’altro, alla sfera d’azione del Logos che, diversamente dallo Spirito,
non esclude neppure i peccatori)561, ribadisce ancora una volta la prospet-
tiva soteriologica dell’Alessandrino, imperniata sull’iniziativa salvifica
del Verbo fatto carne e sulla chiamata dell’uomo alla figliolanza divina ad
immagine di colui che è l’Immagine di Dio per eccellenza. Queste impli-
cazioni dell’atto orante riemergeranno peraltro a breve, in forma ancora
più esplicita, nel commento al Padrenostro.
Se la cornice trinitaria dell’atto orante indica così anche lo sbocco
ultimo della preghiera nell’assimilazione al Verbo e nella conseguente
deificazione, l’impegno di colui che prega è sostenuto solidalmente – nel
quadro della communio sanctorum – dagli angeli e dai santi, secondo quan-
to abbiamo già avuto modo di notare parlando del luogo di preghiera della
comunità cristiana562 . La solidarietà degli angeli, suggerita dal richiamo
alla gioia celeste per il peccatore che si converte nella parabola della peco-
rella smarrita (Lc 15, 7), è approfondita alla luce del servizio di Raffaele
alla preghiera di Tobi e Sara, mentre l’immagine del profeta Geremia
«che innalza molte preghiere per il popolo e per la città santa» (2Mac 15,
14) illustra il sostegno assicurato agli oranti dai santi defunti563 . Prima di
soffermarsi sullo sfondo angelologico dell’orazione, che concorre con la
mediazione del Sommo Sacerdote ai fini di realizzare il piano di salvezza
––––––––––––––––––
paravklhtov" (Gv 14, 16 e passim; 1Gv 2, 1) ejstin oJ uiJo;" tou' qeou', eujcovmeno" uJpe;r tw'n
eujcomevnwn kai; sumparakalw'n toi'" parakalou'sin, oujk a]n wJ" uJpe;r oijkeivwn eujxovme-
no" tw'n mh; di∆ aujtou' sunecevsteron eujcomevnwn oujd∆ a]n wJ" uJpe;r h[dh ijdivwn paravklhto"
ejsovmeno" pro;" to;n qeo;n tw'n mh; peiqomevnwn tai'" eij" to; dei'n pavntote proseuvcesqai
kai; mh; ejkkakei'n (Lc 18, 1) didaskalivai".
560 L’immagine di Cristo come «sommo sacerdote», mediatore fra la realtà sensibile
e quella sovrasensibile ricorre più volte in CC. Cfr. ad esempio III, 34 (infra, nota 839);
V, 4 (supra, nota 410); VIII, 13 (supra, nota 412).
561 Cfr. Prin I, 3, 6 (57, 25): omnes homines non sunt extra communionem Dei, in
forza della loro partecipazione all’essere e alla ragione. CRm VIII, 2 precisa però che il
Verbo di Dio «si trova in mezzo anche a quanti non lo conoscono, ma è in mezzo a loro in
potenza, non in atto» (II, p. 38), cosa che invece si dà per quanti «sono riuniti nel suo
nome» (Mt 18, 20).
562 Si veda supra, pp. 179-180. Il motivo della cooperazione degli angeli alla pre-
ghiera è ripreso ampiamente in CC (cfr. ad esempio VIII, 34 [nota 568] e infra, p. 281).
563 L’intercessione di Geremia è conseguenza della «missione universale assegnata
ai santi e, in quanto tali, ai profeti» (Cocchini 2006b, 201). Cfr. anche CIo XIII, 58, 403;
CCt III, 7, 30 (infra, nota 927). Anche HIos XVI, 5 afferma la solidarietà «agonica» dei
santi defunti tramite le loro preghiere.
186 Parte prima, Capitolo quinto
(Orat XI, 3-5), Origene fonda la solidarietà orante dei santi defunti sulla
pienezza della caritas, culmine delle virtù nella vita ultraterrena dei per-
fetti, secondo la dottrina paolina di 1Cor 13 (Orat XI , 2). Ribadendo con
l’Apostolo il primato dell’ajgavph, questa si manifesta per eccellenza presso
i santi defunti in un amore del prossimo che non conosce più i limiti e le
difficoltà di chi è impegnato nell’agone terreno e condivide fraternamente
le lotte di chi è più bisognoso d’aiuto564 . È la dottrina del «corpo mistico»
di Cristo, ispirata, da un lato, da 1Cor 12, 26 («se un membro soffre, tutte
le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra
gioiscono con lui») e da 2Cor 11, 28-29 («la preoccupazione per tutte le
chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io
non ne frema?») e rafforzata, dall’altro, con il richiamo a Mt 25, 35-40,
dove Cristo fa propria l’identificazione con coloro che «sono infermi»,
perché sottoposti alla prova565.
Suggella, infine, la natura intimamente comunionale dell’atto orante
la riflessione aggiuntiva dell’Alessandrino sul «ministero» esercitato dagli
angeli nei confronti di coloro che pregano. Il loro intervento, collocando-
si nell’orizzone del disegno divino di salvezza a sostegno dell’opera re-
dentiva di Cristo, riporta nuovamente in primo piano il discorso sulla
provvidenza in nesso con la preghiera. Nel contempo conferisce un rilievo
cosmico al suo scenario, grazie alla prospettiva di un incessante servizio
angelico che si compie tra sfera divina e mondo umano a partire, come
sempre, da precisi riferimenti biblici. Lo spunto iniziale è fornito da Mt
4, 11 («Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo
servivano»). Ora, non si deve pensare che «il servizio» degli angeli fosse
limitato al tempo della venuta del Logos nella carne566 . Esso non può es-
sere venuto meno, anche per il fatto che Cristo rimane presente in mezzo
a quanti credono in lui non come «colui che sta a tavola», bensì «come
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564 Orat XI, 2 (322, 13-17): miva de; kuriwtavth tw'n ajretw'n kata; to;n qei'on lovgon
ejsti;n hJ pro;" to;n plhsivon ajgavph: h}n pollw'/ ma'llon prosei'nai toi'" prokekoimhmevnoi"
aJgivoi" pro;" tou;" ejn bivw/ ajgwnizomevnou" ajnagkai'on noei'n para; tou;" ejn th'/ ajnqrwpivnh/
ajsqeneiva/ tugcavnonta" kai; sunagwnizomevnou" toi'" uJpodeestevroi". Sull’interpretazione
di 1Cor 13 si veda Cocchini 2006c.
565 Orat XI, 2 (322, 12-27): kai; tau'ta tou' Cristou' oJmologou'nto" kaq∆ e{kaston
tw'n ajsqenouvntwn aJgivwn ajsqenei'n oJmoivw" kai; ejn fulakh'/ ei\nai kai; gumniteuvein xeni-
teuvein te kai; peina'n kai; diya'n: tiv" ga;r ajgnoei' tw'n ejntugcanovntwn tw'/ eujaggelivw/ th'/
ejf∆ eJauto;n ajnafora'/ tw'n sumbainovntwn toi'" pisteuvousi logizovmenon to;n Cristo;n i[dia
ei\nai paqhvmata… Cfr. CMt XIII, 2; HIer XIV, 7.
566 Orat XI, 3. In CMt X, 12 gli angeli di Mt 4, 11 sono coloro «che sono al servizio
della rete gettata in mare» (cfr. Mt 13, 47), «nella vita degli uomini di ogni parte del
mondo in preda alle onde» che «nuotano nelle amare realtà della vita» (tr. Scognamiglio,
137, 135). Di segno analogo è la ripresa del versetto matteano in CMt XV, 6, a proposito
della presentazione di «fanciulli» a Gesù (Mt 19, 13-15): «Non penso, infatti, che tali
bambini si accostino a Gesù senza l’assistenza degli angeli» (ibi, 196).
L’atto della preghiera 187
colui che serve» (Lc 22, 27)567 . Se appunto in tale servizio consiste la sua
missione di salvezza verso gli uomini, quanto più numerosi dobbiamo
pensare che siano gli angeli impegnati nell’attuare il suo proposito. Dun-
que, il ministero degli angeli concorre all’accrescimento della Chiesa an-
cora più di quello degli apostoli, come Origene ricorda rinviando agli an-
geli delle chiese nell’Apocalisse568 . E il loro servizio si compie incessan-
temente tra cielo e terra, conformemente alla visuale tracciata in Gv 1, 51
(«In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire
e scendere sul Figlio dell’uomo»), accessibile a quanti partecipano della
«luce della conoscenza» (Os 10, 12) essendo dotati di occhi spirituali569 .
Per rafforzare l’idea l’Alessandrino si serve della similitudine del me-
dico e dell’uomo ricco che esercitano il bene esaudendo rispettivamente
la preghiera del malato per la guarigione o quella del povero nel bisogno.
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567 CMt XVI, 8 pone il servizio degli angeli in relazione al servizio del Figlio, rias-
sumendo in questo il suo compito salvifico: «E infatti il Figlio dell’uomo non venne per
essere servito, ma per servire (Mt 20, 28), poiché, anche se servito allorché degli angeli
gli si avvicinavano e lo servivano (Mt 4, 11) e inoltre servito da Marta (cfr. Lc 10, 40 ss.),
non per questo venne per essere servito. Venne infatti a visitare il genere umano per ser-
vire; e nel servire alla nostra salvezza, arrivò fino al punto da dare la sua anima in ri-
scatto per molti (Mt 20, 28)» (tr. Scognamiglio, 46).
568 Orat XI, 3 (323, 5-13): povsou" eijko;" ajggevlou" diakonou'nta" tw'/ ∆Ihsou', bou-
lomevnw/ sunavgein tou;" uiJou;" ∆Israh;l kata; e{na e{na (Is 27, 12) kai; ajqroivzein tou;" ajpo;
th'" diaspora'" (cfr. Gv 11, 52) touv" te foboumevnou" kai; ejpikaloumevnou" [<to; o[noma
kurivou> BKV 41, n. 6] (cfr. At 2, 21; Rm 10, 12-13; Gl 3, 5) swv/zonti, ma'llon tw'n ajpo-
stovlwn sunergei'n th'/ aujxhvsei kai; tw'/ plhqusmw'/ th'" ejkklhsiva", wJ" kai; proestw'tav"
tina" tw'n ejkklhsiw'n ajggevlou" levgesqai para; tw'/ ∆Iwavnnh/ ejn th'/ ∆Apokaluvyei… ouj ga;r
mavthn oiJ a[ggeloi tou' qeou' ajnabaivnousi kai; katabaivnousi ejpi; to;n uiJo;n tou' ajnqrwvpou
(Gv 1, 51), oJrwvmenoi toi'" tw'/ fwti; th'" gnwvsew" pefwtismevnoi" ojfqalmoi'" (cfr. Os 10,
12). Oltre al parallelo con EM 28, circa l’«invocare il nome del Signore», cfr. special-
mente CC VIII, 34 (249, 19-26) che sottolinea il concorso della preghiera degli angeli con
quella degli uomini: Eij de; kai; plh'qo" poqou'men w|n filanqrwvpwn tugcavnein qevlomen,
manqavnomen ”Oti civliai ciliavde" pareisthvkeisan aujtw'/, kai; muvriai muriavde" ejlei-
touvrgoun aujtw'/ (Dn 7, 10), ai{tine" wJ" suggenei'" kai; fivlou" tou;" mimoumevnou" th;n eij"
qeo;n aujtw'n eujsevbeian oJrw'nte" sumpravttousin aujtw'n th'/ swthriva/ tw'n ejpikaloumevnwn
to;n qeo;n kai; gnhsivw" eujcomevnwn, ejpifainovmenoi kai; oijovmenoi aujtoi'" dei'n ejpakouvein
kai; w{sper ejx eJno;" sunqhvmato" ejpidhmei'n ejp∆ eujergesiva/ kai; swthriva/ tw'n eujcomevnwn
qew'/, w|/ kai; aujtoi; eu[contai. Circa il ministero degli angeli alle chiese si veda HNm XI, 9
(nota 1094); XX , 3 (nota 1222); HLc XIII , 5-6 (80, 13-16): “Esti de; eijpei'n ajpo; th'"
grafh'", o{ti duvo eijsi;n eJkavsth" ejkklhsiva" ejpivskopoi, oJ mevn ti" aijsqhto;" kai; blepovme-
no", oJ <dev> ti" nohtov". Tuschling non tiene conto di questi aspetti allorché, esaminando
le «funzioni teologiche degli angeli in Origene» (pp. 137-153), ridimensiona il rilievo sa-
cramentale dell’assistenza degli angeli rispetto alla loro funzione educativa verso gli uomi-
ni (p. 148); né convince l’asserita polarità fra cristologia e angelologia (p. 152), come si
può constatare anche dall’approccio di Orat.
569 Cfr. FrIo 120. Il ricorso a Os 10, 12 («Seminate secondo giustizia, mieterete il
frutto della vita, illuminatevi con la luce della conoscenza») in Orat XI , 3 conferma l’im-
portanza di questo versetto nell’esegesi origeniana (cfr. Pennacchio, 39-43).
188 Parte prima, Capitolo quinto
Dietro il paragone s’intravede, in filigrana, il paradigma scritturistico più
volte ricordato dell’arcangelo Raffaele, che si fa mediatore ed interprete
delle preghiere di Tobi e Sara570 . Ma il ragionamento di Origene punta
qui soprattutto sulla definizione di un modello «sinergico», coerente con
lo schema conciliatore fra libero arbitrio, provvidenza e preghiera di Orat
VI, per cui l’intervento benefico svolto dagli angeli ad esaudimento delle
preghiere degli uomini avviene sempre sotto la regia generale di Dio571.
A togliere ogni dubbio sul fatto che i benefici donati dai «servitori di Dio»
in risposta alle preghiere risalgono in ultima analisi al suo disegno provvi-
denziale, l’Alessandrino ripropone l’immagine del Dio Padre amoroso e
previdente, che sarà poi la premessa della spiegazione del Padrenostro572,
mentre conclude la riflessione sul ministero angelico con un accenno alla
dottrina dell’«angelo custode». In tal modo, all’azione condotta in generale
dagli angeli si unisce un ministero particolare, che si dà anche in rapporto
alla preghiera del singolo a lui affidato, concorrendo alla sua orazione e
cooperando, per quanto gli è possibile, ad ottenere i beni richiesti573 .
––––––––––––––––––
570 L’associazione con l’esempio del medico è propiziata dal fatto che per Origene
gli angeli, al pari dei profeti, sono inviati da Dio per guarire gli uomini (Fernández, 213-
215). In tal senso Prin I , 8, 1 riserva a Raffaele curandi et medendi opus; cfr. anche infra,
nota 749. Anche in Tertulliano troviamo il richiamo alla presenza dell’angelo al momento
della preghiera (De orat. 16, 6 [nota 1643]).
571 Si veda la prosopopea divina di Orat VI, 4 (314, 15-22): kai; tw'/de mevn tini
toiw'/de ejsomevnw/ tovnde to;n a[ggelon leitourgo;n ejpipevmyw, ajpo; tou'de ajrxovmenon tou'
crovnou sunergei'n aujtou' th'/ swthriva/ kai; mevcri tou'de sunesovmenon, tw'/de de; tovnde,
fevre eijpei'n, to;n tou'de timiwvteron, tw'/ tou'de ejsomevnw/ kreivttoni. tou'de dev tino", meta;
to; ejpidedwkevnai eJauto;n lovgoi" toi'" diafevrousin uJpekluqhsomevnou kai; palindromhv-
sonto" ejpi; ta; uJlikwvtera, ajposthvsw tovnde to;n kreivttona sunergovn. Anche in riferi-
mento a questo passo Monaci Castagno 2000a, 9 nota: «un punto fermo dell’angelologia
origeniana [...] è il ritenere il progresso spirituale dell’anima accompagnato e sorretto da
una molteplicità di potenze che ne riflettono i diversi stadi».
572 Orat XI, 5 (324, 1-12): w{sper ou\n tau'ta ouj kata; suntucivan nomistevon givnesqai,
o{te givnetai, tou' hjriqmhkovto" pavsa" ta;" trivca" th'" tw'n aJgivwn kefalh'" (cfr. Mt 10, 30;
Lc 12, 7) aJrmonivw" sunagagovnto" para; to;n kairo;n th'" eujch'" to;n uJphrevthn ejsovmenon
tw'/ deomevnw/ th'" eujpoii?a" th'" ajp∆ aujtou', eijsakouvonta tou' pistw'" dedehmevnou: ou{tw"
uJpolhptevon sunavgesqaiv pote tw'n ejpiskopouvntwn kai; leitourgouvntwn tw'/ qew'/ ajggevlwn
parousivan tw'/dev tini tw'n eujcomevnwn, i{na sumpneuvswsin oi|" oJ eujcovmeno" hjxivwsen. ajlla;
kai; oJ eJkavstou a[ggelo", kai; tw'n ejn th'/ ejkklhsiva/ mikrw'n, dia; panto;" blevpwn to; provsw-
pon tou' patro;" tou' ejn toi'" oujranoi'" (Mt 18, 10) kai; ejnorw'n tou' ktivsanto" hJma'" th;n
qeiovthta, suneuvcetaiv te hJmi'n kai; sumpravttei ejn oi|" dunatovn ejsti peri; w|n eujcovmeqa.
573 Ritroviamo lo stesso motivo, in polemica con la demonologia celsiana, in CC
VIII, 36 (251, 28-252, 4): kai; ouj pavqoi g∆ a[n, ejpei; parembalei' a[ggelo" kurivou kuvklw/
tw'n foboumevnwn aujto;n kai; rJuvsetai aujtouv" (Sal 33[34], 8), kai; oJ a[ggelo" aujtou' dia;
panto;" blevpwn to; provswpon tou' ejn oujranoi'" patro;" (Mt 18, 10) ajei; ta;" eujca;" aujtou'
ajnafevrei dia; tou' movnou ajrcierevw" tw'/ qew'/ tw'n o{lwn, kai; aujto;" suneucovmeno" tw'/ uJp∆
aujtou' ejpitropeuomevnw/. «Mt 18, 10 è il costante punto di riferimento per chiarire la fun-
zione degli angeli riguardo ai singoli uomini» (Monaci Castagno 2000a, 9, con il rinvio a
CMt XIII, 26-28).
L’atto della preghiera 189
12. Una postilla sullo «sbocco mistico» dell’atto orante: la contemplazione

I diversi abbozzi di un’ars orandi nel trattato origeniano racchiudono


una tale ricchezza di spunti che è difficile darne conto in maniera adeguata.
In generale, si soffermano però sul processo – cioè sulle condizioni e le
modalità – più che sull’esito di esso, anche se questo viene a essere prefigu-
rato sommariamente in vario modo. Origene accenna infatti ai benefici che
derivano dall’atto orante in sé o alle condizioni che ne favoriscono l’esau-
dimento. Solo in un caso (Orat IX, 2) egli sembra voler andare oltre queste
considerazioni, pur importanti nell’argomentazione complessiva di Orat e
riproposte del resto anche qui come punto di partenza, per disegnare quello
che potremmo definire uno “sbocco mistico” della preghiera, nel senso di
un’intima unione o fusione con Dio nell’animo di chi prega. Il passo, ben
noto e sfruttato da quanti sostengono appunto la tesi di una “mistica” nel-
l’Alessandrino, presenta interessanti punti di contatto non solo con l’im-
magine dell’atto orante tracciata a decenni di distanza nel confronto con
Celso (CC VII, 44) ma soprattutto con un luogo del Commento a Giovanni
(CIo XXXII, 27) dove Origene accenna al motivo della deificazione574 .
Muovendo dai due riferimenti scritturistici segnalati in preceden-
za per il gesto di «levare gli occhi» al cielo – Sal 122(123), 1 e Sal 24
––––––––––––––––––
574 Orat IX , 2 (318, 21-319, 8): kai; oJ profhvth" de; Daui÷d polla; me;n kai; a[lla
fhsi;n e[cein eujcovmenon to;n a{gion. kai; tau'ta de; oujk ajkaivrw" paraqetevon, i{na fanera;
hJmi'n gevnhtai ta; mevgista wjfelou'sa, ka]n movnh nohqh'/, hJ scevsi" kai; eij" to; eu[cesqai
paraskeuh; tou' ajnateqeikovto" eJauto;n tw'/ qew'/. fhsi;n ou\n: pro;" se; h\ra tou;" ojfqalmouv"
mou, to;n katoikou'nta ejn tw'/ oujranw'/ (Sal 122[123], 1), kai; pro;" se; h\ra th;n yuchvn mou,
oJ qeov" (Sal 24[25], 1). ejpairovmenoi ga;r oiJ ojfqalmoi; tou' dianohtikou' ajpo; tou' prosdia-
trivbein toi'" ghi?noi" kai; plhrou'sqai fantasiva" th'" ajpo; tw'n uJlikwtevrwn kai; ejpi; to-
sou'ton uJyouvmenoi, w{ste kai; uJperkuvptein ta; gennhta; kai; pro;" movnw/ tw'/ ejnnoei'n to;n
qeo;n kajkeivnw/ semnw'" kai; prepovntw" tw'/ ajkouvonti oJmilei'n givnesqai, pw'" oujci; ta; mevgi-
sta h[dh w[nhsan aujtou;" tou;" [<ejpaivronta" tou;"> BKV 35, n. 6] ojfqalmou;", ajnakeka-
lummevnw/ proswvpw/ th;n dovxan kurivou katoptrizomevnou" kai; th;n aujth;n eijkovna metamor-
foumevnou" ajpo; dovxh" eij" dovxan (cfr. 2Cor 3, 18)… ajporjrJoh'" ga;r nohtou' tino" qeiotevrou
metalambavnousi tovte, o{per dhlou'tai ejk tou': ejshmeiwvqh ejf∆ hJma'" to; fw'" tou' proswv-
pou sou, kuvrie (Sal 4, 7). kai; hJ yuch; de; ejpairomevnh kai; tw'/ pneuvmati eJpomevnh tou' te
swvmato" cwrizomevnh kai; ouj movnon eJpomevnh tw'/ pneuvmati ajlla; kai; ejn aujtw'/ ginomevnh,
o{per dhlou'tai ejk tou': pro;" se; h\ra th;n yuchvn mou (Sal 24[25], 1), pw'" oujci; h[dh ajpo-
tiqemevnh to; ei\nai yuch; pneumatikh; givnetai… Sull’interpretazione di questo locus si veda
supra, pp. 34-35, 44-45 e l’accurata analisi di Monaci Castagno 1997, 135-138. Sul luogo
parallelo di CC VII , 44 si veda nota 833: la preghiera vi è descritta platonicamente come
un volo dell’anima, sia pure sotto la guida dello Spirito (ajll∆ eij" to;n uJperouravnion genov-
meno" th'/ dianoiva/ tovpon, oJdhgouvmeno" uJpo; tou' qeivou pneuvmato"). HLc XXXVI, 1 (207,
14-18) riprende il motivo del «deporre l’anima» per divenire «spirito» sulla falsariga del
modello paolino di 1Cor 6, 17: «Porro qui adhaeret Domino, spiritus unus efficitur. Si
ergo, qui Domino copulatur, cum animalis esset, per id in spiritalem vertitur et unus est
spiritus, nos quoque perdamus animam nostram, ut adhaerentes Domino in unum spiritum
transformemur».
190 Parte prima, Capitolo quinto
(25), 1 575 –, Origene sembra voler ripercorrere l’atto orante in tutto il suo
arco, richiamando dapprima i benefici connessi al fatto di accingersi a pre-
gare, specie grazie all’esercizio di ajnacwvrhsi" che ci conduce lontano dal
mondo sensibile per aprirci al mondo trascendente. Si noti inoltre l’atten-
zione per gli aspetti psicologici della preghiera, che più generalmente attira
diversi spunti in Orat e verrà specialmente approfondita, nella successiva
letteratura eucologica, ad opera di Evagrio576. Luogo dell’interiorità oran-
te – nel composto umano che per l’Alessandrino è formato da «corpo, ani-
ma e spirito» ed è valorizzato qui specialmente per i due ultimi aspetti – è
la «mente» (oiJ ojfqalmoi; tou' dianohtikou'), identificata in generale nello
hJgemonikovn e designata altrove da termini equivalenti come nou'", kardiva
o diavnoia. Lo hJgemonikovn è l’organo della virtù, della preghiera e della
contemplazione 577 ; dato il suo rilievo, a giudizio di Gessel, sarebbe im-
possibile parlare in senso stretto di “mistica”, almeno intesa come annul-
lamento dell’entità personale nell’unione con Dio578.
Come ho già avuto occasione di rimarcare, si tratta di un’interpreta-
zione un po’ riduttiva, dal momento che Orat IX , 2 lascia intravedere con
chiarezza i caratteri fondamentali dell’antropologia spirituale di Origene,
sorretta dall’idea dinamica del «combattimento spirituale». Questo ha co-
me scopo l’attuazione dell’«immagine di Dio» nell’uomo portandolo così
a realizzare la «somiglianza» con il Logos. È una visione, dunque, che im-
plica una partecipazione – per così dire, in potenza ed in atto – all’essere
––––––––––––––––––
575 Cfr. p. 160 (sull’utilizzo di Sal 122[123], 1, si veda infra, pp. 454-458)
576 Si veda Bertrand 1999 e infra, pp. 564 ss.
577 «Dieser Begriff ist der Physik der alten Stoa entnommen. Nach dem stoischen
System hat die Seele acht Teile, die fünf Sinne, das Sprachvermögen, die Zeugungskraft
und als herrschenden und zentralen Teil das Hegemonikon. Origenes verwendet das He-
gemonikon – von Rufin und Hieronymus mit principale cordis oder animae übersetzt –
für den oberen Teil der Seele wie für den Nus» (Gessel, 138-139). Il vocabolo è adoperato
in Orat IX, 1 (318, 10-11): pa'san ajkovlaston kai; gunaikeivan uJpovmnhsin ejxorivsasan
ajpo; tou' hJgemonikou'; XXV, 1 (357, 9-10): qeou' me;n basileivan th;n makarivan tou' hJgemo-
nikou' katavstasin kai; to; tetagmevnon tw'n sofw'n dialogismw'n; XXIX, 2 (382, 15-16):
h{ti" ejsti;n oJmwnuvmw" [oJmwvnumo" BKV, 119 n. 9] w|/ ejgkatoikei' swvmati to; hJgemoniko;n, o}
kalei'tai kardiva; XXXI, 2 (396, 4-5): diegeivranta camovqen to; hJgemoniko;n kai; sthvsanta
aujto; pro;" to;n tw'n o{lwn kuvrion. Nella conoscenza profetica, l’azione illuminatrice dello
Spirito si esercita sullo hJgemonikovn del profeta, senza che venga meno la consapevolezza
di sé per via di una condizione estatica (cfr. Perrone 2004b, 246). HEx IX, 4 (242, 22-26)
indica lo hJgemonikovn come l’organo della partecipazione in Dio: «Potest enim intra se
agere pontificatum pars illa quae in eo est pretiosior omnium, quod quidam principale cor-
dis appellant, alii rationabilem sensum aut intellectualem substantiam vel quocumque mo-
do appellari potest in nobis portio nostri illa per quam capaces esse possumus Dei». Cfr.
ancora FrLam 27 (248, 9-10) su Lam 1, 10: to; dhmiourghqe;n hJgemoniko;n ejpi; to; ei\nai
qeou' cwrhtiko;n kai; ajlhqe;" aJgivasma tou' boulomevnou nw/' kaqarw/' ejpanapauvesqai.
578 «Origenes erläutert folglich an der angezogenen Stelle die zum Gebet nötige As-
kese des Beters und ihre Nützlichkeit, nicht aber eine Depersonalisierung des Betenden»
(Gessel, 138-139).
L’atto della preghiera 191
della divinità attraverso il rapporto con il Verbo divino. Ora, questa parte-
cipazione, frutto del dono dello Spirito, se accolta positivamente dall’uo-
mo, comporta una “deificazione”. Nel passo in esame l’idea è manifestata
in diverse maniere: 1. con l’ausilio del fondamentale riferimento scrittu-
ristico di 2Cor 3, 18; 2. con l’utilizzo del termine ajporjrJohv («efflusso»,
«esalazione» o «emanazione») ad indicare l’idea di una comunicazione
con il divino; 3. con la dinamica del rapporto fra anima e spirito, la prima
associandosi sempre più intimamente al secondo al punto da identificarsi
con esso. In un contesto più ampio, gli elementi raccolti da Orat trovano
un preciso riscontro lessicale con il vocabolario della “deificazione”, posto
in relazione all’interpretazione di 2Cor 3, 18, in CIo XXXII, 27579 . Il volto
di Mosè, irradiato di luce dopo i suoi colloqui con Dio, è immagine del-
l’intelletto (nou'") «che si è totalmente purificato e si è innalzato al di sopra
di ciò che è materiale, per attendere con la massima attenzione alla con-
templazione di Dio»; come tale, l’intelletto «è deificato da ciò che esso
contempla». Dunque la “contemplazione” di Dio equivale alla “deificazio-
ne” dell’anima, o meglio dell’intelletto contemplante580.
La partecipazione alla gloria dell’immagine di Dio, al culmine del
cammino di progresso spirituale di cui la preghiera autentica è manifesta-
zione, è indicata in Orat IX, 2 dall’utilizzo del termine ajporjrJohv – che ritro-
viamo più avanti nel commento al Padrenostro (Orat XXIII, 5; XXIV, 4) –,
corroborato dal ricorso a Sal 4, 7 («È stata impressa su di noi la luce del
tuo volto, Signore»)581. Com’è detto espressamente, si tratta di una parte-
––––––––––––––––––
579 Su questa linea si era già mosso Völker (cfr. supra, p. 35). Per l’interpretazione
origeniana di 2Cor 3, 18 si veda Crouzel 1961, 118.
580 CIo XXXII, 27, 338-339 (473, 29-34): ejpei; oJ kekaqarmevno" kai; uJperanaba;"
pavnta uJlika; nou'", i{na ajkribwvsh/ th;n qewrivan tou' qeou', ejn oi|" qewrei' qeopoiei'tai.
lektevon toiou'ton ei\nai to; dedoxavsqai to; provswpon tou' qewrhvsanto" to;n qeo;n kai;
oJmilhvsanto" aujtw/' kai; sundiatrivyanto" toiauvth/ qeva/, wJ" tou'to ei\nai tropikw'" to; de-
doxasmevnon provswpon Mwu>sevw", qeopoihqevnto" aujtw/' tou' nou' (tr. Corsini, 799, che
ricollega il passo con Orat XXVII, 13 osservando: «Questa “deificazione” [qeopoiei'sqai]
rappresenta lo scopo di tutta quanta l’azione del Logos e rappresenta la parte finale di tutto
il processo di assimilazione a Dio»). Orat XXVII, 13 (371, 28–372, 2) ricorre all’idea di
«deificazione» a proposito del pane ejpiouvsio": ei|" para; pavnta" tou;" eijrhmevnou" ejsti;n
oJ ejpiouvsio" a[rto", peri; ou| eu[cesqai dei', i{na ejkeivnou ajxiwqw'men kai; trefovmenoi tw'/
ejn ajrch' / pro;" qeo;n (Gv 1, 1) qew'/ lovgw/ qeopoihqw'men. Come ricorda Martens, 91, la «di-
vinizzazione» o «deificazione» «refers to God the Father’s bestowal of divinity on the Son
and Spirit, as well as on the cosmos». La prospettiva della «deificazione» qui tracciata
non può prescindere dallo schema del rapporto nou'"-yuchv com’è disegnato da Prin II, 8,
3 (159, 1-2): «quae (scil. anima) si reparata fuerit et correcta, redit in hoc, ut sit mens»
(cfr. anche II , 8, 4 [162, 20-21] dove l’anima, in riferimento al Cristo sofferente, vi è indi-
cata «quasi medium quiddam»).
581 Orat XXIII, 5 (353, 11-13): oi|" ga;r [ouj T] koinwnei' aujto;" [aujtoi'" T] dovxa ti"
qeou' kai; duvnami" aujtou', kai;, i{n∆ ou{tw" ei[pw, ajporjrJoh; th'" qeovthto" ejggivnetai aujtoi'";
XXIV , 4 (355, 13-17): tou'to gavr ejsti to; uJyou'n to; o[noma tou' qeou' ejpi; to; aujto; (Sal
192 Parte prima, Capitolo quinto
cipazione di ordine «noetico» che si dà nel momento della contemplazio-
ne, ma l’impiego di questo vocabolo si comprende alla luce della caratte-
ristica dottrina origeniana dei «sensi spirituali»582 . L’atto della preghiera,
nel trascendimento del mondo sensibile e nel colloquio della mente con
Dio, conduce l’orante alla contemplazione del suo mistero, mediante l’il-
luminazione interiore di cui partecipano gli «occhi dell’anima»583 . Questa
è esemplata sul modello della contemplazione ininterrotta del Padre da
parte del Figlio, che è per questi la sorgente della divinità, come lo è a loro
volta, per gli esseri razionali «deificati», la contemplazione del Verbo,
Immagine perfetta di Dio584.
Lo «sbocco mistico» così raffigurato in Orat IX, 2 si completa con
una considerazione strettamente dipendente dalla visuale dell’antropologia
spirituale di Origene: è l’idea di una trasformazione dell’«anima» che,
«sollevandosi in alto», «seguendo lo spirito», ed anzi «essendo nello spi-
––––––––––––––––––
33[34], 4) <o{te> metalabwvn ti" ajporjrJoh'" qeovthto" tw'/ uJpeilh'fqai ajpo; tou' qeou' kai;
kekrathkevnai tw'n ejcqrw'n, ejfhsqh'nai ptwvsei aujtou' mh; dunamevnwn, uJyoi' aujth;n th;n
duvnamin, h|" meteivlhce, qeou'. Il primo dei due passi pone un problema testuale: non si
comprende l’ouj prima di koinwnei', a meno d’intendere questo verbo per un livello più
alto di comunione con Dio, come fa Koetschau accogliendo la correzione di P. Wendland:
oi|" ga;r ouj koinwnei' aujtov" (BKV, 81 n. 4). A parte le tre occorrenze di Orat, ritroviamo
il termine solo altre due volte in Origene: CC I, 48 (98, 19-25), a proposito dei sensi spiri-
tuali e dell’ispirazione profetica (oiJ makavrioi profh'tai th;n qeivan ai[sqhsin euJrovnte" kai;
blevponte" qeivw" kai; ajkouvonte" qeivw" kai; geuovmenoi oJmoivw" kai; ojsfrainovmenoi, i{n∆
ou{tw" ojnomavsw, aijsqhvsei oujk aijsqhth'/ kai; aJptovmenoi tou' lovgou meta; pivstew", w{st∆
ajporjrJoh;n aujtou' h{kein eij" aujtou;" qerapeuvsousan aujtouv", ou{tw" eJwvrwn a} ajnagrav-
fousin eJwrakevnai kai; h[kouon a} levgousin ajkhkoevnai kai; ta; paraplhvsia e[pascon, wJ"
ajnevgrafon); VII, 30, a proposito delle pietre preziose. L’uso origeniano di un termine di
ascendenza platonica (infra, nota 644) non particolarmente frequente in Filone (4 occor-
renze) o nella prima letteratura cristiana (nessuna attestazione in Clemente Alessandrino)
può essere forse apprezzato meglio alla luce del sinonimo ajpovrjrJoia, attestato con ben
maggiore frequenza. Delle 8 occorrenze in Origene, la maggior parte dipende dall’uso di
Sap 7, 25 («un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente»). Si veda, ad esempio, CIo
XIII, 25, 153, dove ajpovrjrJoia concorre ad argomentare l’inferiorità del Figlio rispetto al
Padre: «Egli infatti è un’immagine della sua bontà e splendore non già di Dio ma della
sua gloria e della sua luce eterna, profluvio (ajtmiv") non già del Padre ma della sua po-
tenza, emanazione (ajpovrjrJoia) genuina della sua gloria onnipotente, specchio immacolato
della sua attività» (tr. Corsini, 493). Il passo potrebbe dunque fornire il modello di una
partecipazione “non consustanziale” alla divinità.
582 Cfr. Rahner. Si veda inoltre l’applicazione di Sal 4, 7 alla condotta etico-spiri-
tuale in HIer VI , 1 (48, 7-9): Eij ou\n bouvlei kai; su; ta;" ajkti'na" tw'n nohtw'n ojfqalmw'n
tou' qeou' fqavnein ejpi; sev, ajnavlabe ta;" ajretav".
583 Sulla visuale origeniana della contemplazione si veda Arnou e Paddle.
584 Cfr. CIo II, 2, 18 (55, 3-8): ∆Alhqino;" ou\n qeo;" oJ qeov", oiJ de; kat∆ ejkei'non mor-
fouvmenoi qeoi; wJ" eijkovne" prwtotuvpou: ajlla; pavlin tw'n pleiovnwn eijkovnwn hJ ajrcev-
tupo" eijkw;n oJ pro;" to;n qeovn ejsti lovgo", o}" ejn ajrch'/ h\n, tw'/ ei\nai pro;" to;n qeo;n ajei;
mevnwn qeov" (Gv 1, 1), oujk a]n d∆ aujto; ejschkw;" eij mh; pro;" qeo;n h\n, kai; oujk a]n meivna"
qeov", eij mh; parevmene th'/ ajdialeivptw/ qeva/ tou' patrikou' bavqou".
L’atto della preghiera 193
rito», depone la sua natura di anima diventando «spirituale»585 . Anche se
permane un’ambiguità voluta sull’esatta nozione di «spirito» (se cioè si
debba intendere dello Spirito santo o dello spirito dell’uomo)586 , pare qui
preferibile l’accezione che rinvia al composto umano, descritto con chia-
rezza nella sua tripartizione di corpo, anima e spirito. È vero d’altronde
che lo «spirito» dell’uomo, nel pensiero dell’Alessandrino, si rapporta co-
munque allo Spirito santo, come l’elemento costitutivamente legato in lui
alla sfera del divino perché sede dell’«immagine di Dio». Per analogia con
lo Spirito santo «maestro», anche lo spirito umano svolge il ruolo di istru-
zione e guida, venendo dunque ad assimilarsi alla coscienza (o allo hJge-
monikovn, come si è visto prima)587 . Quando l’anima, a mezzo fra carne e
spirito, distaccandosi dal corpo «segue lo spirito», realizza la propria vo-
cazione alla comunione con Dio facendo spazio in sé all’inabitazione del
Padre e del Figlio nello Spirito588 . Guardando dunque insieme al «proces-
so» e all’«esito» tracciati da Origene nella sua descrizione dell’atto orante
possiamo ancora una volta constatare la compattezza della sua concezione
della preghiera, dentro il quadro di una dottrina spirituale nettamente de-
finita nelle sue linee essenziali. Queste torneranno ad emergere nitidamen-
te anche nella spiegazione del Padrenostro, oggetto della seconda sezione
del trattato. Andando oltre l’atto orante nella sua dimensione momenta-
nea e particolare, l’interpretazione origeniana allarga lo sguardo alla situa-
zione vitale di colui che agisce nel mondo sotto lo sguardo di Dio, dal
momento che essa fa della preghiera di Gesù al Padre il “manifesto” della
vita del cristiano.

––––––––––––––––––
585 Orat IX, 2 (319, 4-8): kai; hJ yuch; de; ejpairomevnh kai; tw'/ pneuvmati eJpomevnh tou'
te swvmato" cwrizomevnh kai; ouj movnon eJpomevnh tw'/ pneuvmati ajlla; kai; ejn aujtw'/ ginomev-
nh, o{per dhlou'tai ejk tou': pro;" se; h\ra th;n yuchvn mou (Sal 24[25], 1), pw'" oujci; h[dh ajpo-
tiqemevnh to; ei\nai yuch; pneumatikh; givnetai… La formulazione colpisce anche per l’inu-
suale cura del crescendo retorico. Si veda anche il parallelo di HNm XXIII, 5 (218, 3-8):
«Anima enim cum totam se sociaverit Domino et in splendorem lucis eius tota concesserit
nihilque omnino terrenum cogitat, nihil mundanum requirit nec hominibus placere studet,
sed totam se sapientiae lumini, totam calori sancti Spiritus mancipaverit subtilis et spirita-
lis effecta, quomodo cerni ab hominibus aut humanis potest conspectibus apprehendi?».
586 Sulla distinzione fra «spirito dell’uomo» e «Spirito di Dio» si veda CMt XIII, 2.
Cfr. anche Beyer Moser, 67.
587 Beyer Moser, 63: «Spirit, in its role as guide, or governor, of the soul, bears
some similarity to the Stoic hJgemonikovn, although it is not a direct translation of the con-
cept. The Stoic hJgemonikovn, like Origen’s idea of spirit-conscience, rules over the soul».
588 Beyer Moser, 65: «The blessed soul, which has thus joined itself to its spirit, is
enlarged so that God’s own Word and Spirit come to dwell within». Cfr. anche HGn I, 15,
dove Origene approfondisce l’unione dell’«anima» con lo «spirito» in rapporto a Gn 1, 27
(«Li fece maschio e femmina»).
CAPITOLO SESTO

LA «PREGHIERA DEL SIGNORE» VITA DEL CRISTIANO


L’interpretazione del Padrenostro

«Se vuoi pregare, hai bisogno di Dio, che dona


la preghiera a chi lo prega. Invocalo dunque di-
cendo: “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo
regno”, cioè lo Spirito santo e il tuo Figlio Uni-
genito; così infatti ha insegnato, esortando ad
adorare il Padre, in Spirito e Verità»
(Evagrio)

1. Preghiera e vita: un modello per l’oratio continua

Se l’atto orante è intrinsecamente, per Origene, un «momento di co-


munione» alieno da ogni vocazione intimistica, non può neppure essere
un momento puntuale ed isolato dell’esistenza, separato dalla situazione
vitale di colui che prega. Sia in Orat sia in altri luoghi della sua opera
l’Alessandrino non perde mai di vista questa esigenza, richiamando l’esor-
tazione di Paolo a «pregare senza interruzione» (1Ts 5, 17) e presentan-
dola come un’indicazione «conforme alle istruzioni di Gesù»589. Questo
insegnamento, che è compendiato nella «Preghiera del Signore», non pre-
scrive dunque di riservare un tempo particolare per la preghiera onde «pro-
nunciare determinate espressioni», perché l’appello alla comunione orante
––––––––––––––––––
589 Il versetto è citato una prima volta in Orat XII, 1 (324, 17-20), nel contesto ago-
nico del confronto con le potenze demoniache: to;n ejnievmenon nohto;n ijo;n ajpo; tw'n ajnti-
keimevnwn dunavmewn tw'/ hJgemonikw'/ tw'n ajmelouvntwn tou' eu[cesqai kai; to; ajdialeivptw"
proseuvcesqe ajkolouvqw" tai'" tou' ∆Ihsou' protropai'" eijrhmevnon para; tw'/ Pauvlw/ mh;
fulattovntwn (cfr. anche Orat XII, 2; XXII, 5). Oltre a richiamarla in HGn XI, 2 (si veda
nota 590), l’esortazione paolina è ripresa in HEx XI, 4 (256, 10-11), a commento della
preghiera di Mosè nella battaglia con Amalec, proponendo l’associazione fra agire e pre-
gare: «Eleva et tu manus ad Deum, imple mandatum quod Apostolus dicit: Sine intermis-
sione orate (1Ts 5, 17)». In HGn X, 1 (94, 17-18) si sottolinea invece il mancato adempi-
mento del precetto per chi non partecipi alla preghiera della comunità: «vos, qui ad oratio-
nem non convenitis, quomodo completis sine intermissione quod semper omittitis?». Per
altre citazioni si veda CMt XIV , 25 (nota 1053); HNm XXIII, 3. La menzione isolata di ajdia-
leivptw" può anche alludere all’esempio della preghiera incessante di Paolo in Rm 1, 9
(«chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per
venire fino a voi»), com’è esplicitato peraltro da CRm I, 11 sempre in relazione a 1Ts 5, 17
(nota 961).
196 Parte prima, Capitolo sesto
con Dio investe tutta quanta la vita dell’individuo 590 . Assecondarlo con-
cretamente pone però dei problemi evidenti, di cui Origene è ben consape-
vole e che emergono più acutamente – come si è potuto osservare in pre-
cedenza – specialmente nel delicato rapporto fra la vita coniugale e la pre-
ghiera591. Ora, secondo il modello proposto nel trattato, da vedersi anche
come la sintesi più organica di spunti diversi suggeriti in altra sede, l’ora-
tio continua può essere attuata unicamente grazie all’intreccio fecondo e
costante tra preghiera e azione o, per usare i termini più consueti della tra-
dizione ascetico-mistica, fra qewriva e pra'xi"592 .
Più che una combinazione fra l’agire e la «preghiera orale» tout
court – come desume un po’ riduttivamente Völker basandosi su Orat
XII, 2 –, dall’insieme dell’argomentazione sviluppata nel trattato si deve
piuttosto affermare che l’atto della preghiera in quanto tale (a prescindere,
cioè, dal fatto che essa sia vocale o silenziosa) deve essere assecondato
da una condotta di vita ispirata da esso. Del resto in Orat non trapela una
preoccupazione significativa per la pratica della preghiera come osservan-
za religiosa, dipendente da formule prestabilite o collegata a momenti
fissi, anche se la preghiera si dà naturalmente sempre in una circostanza
temporale determinata (kairov")593 . È vero che Origene raccomanda che si
preghi almeno tre volte al giorno e non si passi la notte senza preghiera,
ma lo dice come en passant per il rispetto che sente di dover manifestare
verso una tradizione testimoniata dalla Bibbia e recepita a sua volta dalla
Chiesa primitiva, senza farne comunque un’indicazione prescrittiva o vin-
colante594 . Invece, se le «azioni» virtuose, derivanti dall’osservanza dei
––––––––––––––––––
590 Orat XXII, 5 (nota 596). In HGn XI , 2 (102, 15-19), partendo dall’etimologia di
matrice filoniana Chettura = qumivama (su cui si veda supra, nota 2), Origene indica la con-
dotta di vita senza peccato come una «preghiera ininterrotta»: «Si quis ergo vestrum est,
in quo odor peccati iam nullus est sed odor iustitiae, suavitas misericordiae, si quis sine
intermissione orando (1Ts 5, 17) offert Domino semper incensum et dicit: dirigatur ora-
tio mea sicut incensum in conspectu tuo, elevatio manuum mearum sacrificium vesperti-
num (Sal 140[141], 2), hic Chetturam duxit uxorem». L’equivalenza tra le preghiere e le
opere sante è ribadita da HLv IX, 8 in rapporto al Signore.
591 Cfr. supra, p. 173. Del resto, come mostra HReL I, 9 (infra, nota 1096), è im-
possibile prendere alla lettera il precetto, a causa delle necessità vitali.
592 Secondo Völker, 213, l’Alessandrino fornisce tre diverse spiegazioni dell’oratio
continua (cfr. supra, nota 95). Di fatto, la seconda spiegazione (l’equivalenza preghiere =
azioni) – per la quale Völker indica CMt XVI, 22 – si risolve nella terza (cfr. nota 595).
593 Cfr. Orat IX, 1 (318, 3-4): kata; to;n kairo;n, ejn w|/ ti" eu[cetai; XI , 4 (323, 14.
28): par∆ aujto;n ou\n to;n kairo;n th'" eujch'" [...] kata; to;n kairo;n th'" eujch'"; XI, 5 (324.3):
para; to;n kairo;n th'" eujch'"; XIX, 2 (341, 29): kata; to;n kairo;n th'" eujch'".
594 Orat XII, 2 (nota 595). Testimone biblico delle tre ore di preghiera durante il
giorno è, in primo luogo, Daniele (Dn 6, 11: «tre volte al giorno si metteva in ginocchio a
pregare e lodava il suo Dio»), mentre Pietro attesta la preghiera di mezzogiorno (At 10, 9:
«Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare») e Davide quelle del mattino (Sal
5, 3: «Al mattino esaudirai la mia voce, al mattino mi presenterò a te e tenderò lo sguar-
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 197
comandamenti del Signore, possono essere considerate alla stregua di una
preghiera – come dichiara l’Alessandrino –, allora l’intera vita del «santo»
diviene una «grande preghiera intrecciata» 595 .
Origene si riallaccia a questa stessa prospettiva nel commento al Pa-
drenostro, allorché spiega l’indirizzo della Preghiera del Signore a partire
dalla sua comprensione profonda dell’atto orante: pertanto, siamo chia-
mati a dire «Padre nostro che sei nei cieli» (Mt 6, 9) non semplicemente
con le parole della preghiera, né in momenti distinti e separati, bensì con
l’impegno costante di vita manifestato da colui che si propone di essere
autenticamente un «figlio di Dio»596 . In questa asserzione troviamo una
––––––––––––––––––
do») e della sera (Sal 140[141], 2: «e mie mani alzate come sacrificio della sera»). Quanto
alla notte, Origene non ritiene conveniente trascorrerla senza pregare e cita, ad esempio,
Sal 118(119), 62 («Nel mezzo della notte mi alzavo a confessarti») e At 16, 25 («Verso
mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio»). Contra Jay 115, tengo
conto qui delle osservazioni di Koetschau (BKV, 44 n. 5), che considera corrotto il testo
tràdito e integra così Orat XII, 2 (325, 11): th;n pro; aujtou' kai; para; tou' Daui÷d legomevnhn:
<th'" prwvth" ajnagegrammevnh" ejn tw/'>, rinviando come citazione implicita a Sal 54(55),
17 («A sera, al mattino e a mezzogiorno racconterò e annuncerò»). Appare comunque sin-
tomatico che nel «complemento» conclusivo, contrariamente al programma dichiarato ini-
zialmente (XXXI, 1), manchi del tutto una trattazione sui «tempi» da dedicare alla preghiera.
Alla luce di questo esito anche il cenno di II, 2 sui kairoiv come parte del «problema della
preghiera» sembrerebbe piuttosto rinviare implicitamente al motivo dell’oratio continua.
Anche la riflessione sulle «veglie notturne» in CMtS 60, sebbene lasci intravedere quattro
tempi da sera a mattina, è tutta imperniata su un’applicazione di tipo morale. Invece in
CC VI , 41 (110, 9-12) Origene rinvia a «ore stabilite» di preghiera, distinguendo fra giorno
e notte: oiJ kata; cristianismo;n dia; tou' ∆Ihsou' to;n ejpi; pa'si qerapeuvonte" qeo;n kai;
biou'nte" kata; to; eujaggevlion aujtou' tai'" prostacqeivsai" te eujcai'" sunecevsteron kai;
deovntw" nukto;" kai; hJmevra" crwvmenoi. Circa gli sviluppi protocristiani delle ore di pre-
ghiera fino all’ampia codificazione (con giustificazione cristologica) attestata dalla Tradi-
zione apostolica (Pseudo-Ippolito. Tradizione apostolica, 68-69), cfr. Chadwick, 47-49;
Bradshaw; Bradshaw 2003; Ruggiero; Phillips. Nella tradizione rabbinica compare fra
l’altro l’idea che i tempi della preghiera d’Israele corrispondono a quelli della liturgia an-
gelica della Qedushah (Tuschling, 198). In Clemente Alessandrino, Strom. VII , 7, 40, 3-4,
come pure in Tertulliano, De orat. 25 e Cipriano, De dom. or. 34, le tre ore di terza, sesta
e nona hanno già una valenza trinitaria (si vedano rispettivamente le note 1633 e 1782).
595 Orat XII, 2 (324, 25-325, 5): ajdialeivptw" de; proseuvcetai, kai; tw'n e[rgwn th'"
ajreth'" h] tw'n ejntolw'n tw'n ejpiteloumevnwn eij" eujch'" ajnalambanomevnwn mevro", oJ sun-
avptwn toi'" devousin e[rgoi" th;n eujch;n kai; th'/ eujch'/ ta;" prepouvsa" pravxei". ou{tw ga;r
movnw" to; ajdialeivptw" proseuvcesqe ejkdevxasqai dunavmeqa wJ" dunato;n o]n eijrhmevnon,
eij pavnta to;n bivon tou' aJgivou mivan sunaptomevnhn megavlhn ei[poimen eujchvn: h|" eujch'"
mevro" ejsti; kai; hJ sunhvqw" ojnomazomevnh eujch;, oujk e[latton tou' tri;" eJkavsth" hJmevra"
ejpitelei'sqai ojfeivlousa. Si confronti CMt XVI, 22 (551, 2-7): oujde;n ga;r a[llo dei' ei\nai
ejn ejkklhsiva/ qeou' h] eujch;n pavsh" aJgiva" pravxew" kai; prokaloumevnh" th;n tou' qeou' ejpi-
skophvn, eij" eujch;n para; qew/' logizomevnh", kaqo; kai; to; ajdialeivptw" proseuvcesqe (1Ts
5, 17) dunatovn ejstin. Contra Völker, dato il contesto del passo, si deve assumere anche
qui lo schema «preghiera-azione» di Orat (cfr. infra, p. 354).
596 Orat XXII, 5 (349, 16-20): mh; levxei" toivnun nomivswmen didavskesqai levgein
hJma'" e[n tini ajpotetagmevnw/ tou' eu[cesqai kairw'/: ajll∆ eij sunivemen tw'n hJmi'n proexeta-
198 Parte prima, Capitolo sesto
chiave di lettura essenziale per introdurci all’interpretazione origeniana
del Padrenostro e al tempo stesso un indizio fondamentale dello stretto
raccordo fra la prima e la seconda sezione del trattato.

2. Il Padrenostro e il paradigma della «preghiera spirituale»

C’è un’altra chiave di lettura, utile a comprendere il «combattimento»


(a\qlo") ingaggiato a suo dire da Origene nella seconda sezione del trat-
tato, che ci aiuta anch’essa a intravedere l’unità ideale con la prima ed a
riconoscere così la continuità nelle linee portanti597. È il paradigma della
«preghiera spirituale», tracciato in sostanza nella prima parte dello scritto,
ma che adesso trova ulteriori riscontri: se l’Alessandrino ha potuto defini-
re «preghiere veramente spirituali» le preghiere degli oranti dell’Antico
Testamento, una tale caratterizzazione si addice a fortiori per la preghiera
di Gesù al Padre598 . Per metterla meglio a fuoco in questo senso si presta-
vano, in particolare, anche le istruzioni preliminari che costituiscono il
prologo al Padrenostro nel Vangelo di Matteo (Mt 6, 5-8). Interpretando
la pericope (Orat XVIII-XX) ai fini d’illustrare l’atteggiamento esteriore e
le disposizioni interiori dell’orante, Origene più che polemizzare diretta-
mente con le distinte tradizioni religiose simboleggiate emblematicamente
dai due «stereotipi» negativi che il testo matteano contrappone al modo di
pregare secondo l’insegnamento del Signore, si preoccupa semmai di trac-
ciare il proprio modello, alternativo sia alla «maniera giudaica» sia alla
«maniera pagana»599.
Di conseguenza, la “gerarchizzazione” accennata dall’Alessandrino
fra i diversi modi di pregare non risponde principalmente ad un intento
polemico-apologetico, mirante a rivendicare il primato della forma cristia-
na (come avverrà piuttosto con il Contro Celso nei confronti dei pagani e
come riscontriamo, ad esempio, nel De oratione di Tertulliano), ma riflette
invece la preoccupazione di depurare la preghiera dei cristiani da quegli
aspetti che l’avvicinano ai due atteggiamenti da respingere. In altre paro-
le, se possiamo parlare di uno sforzo “identitario” in Orat, esso sembre-
rebbe esercitarsi più ad intra che ad extra600. Inoltre, a sostenere l’indivi-
––––––––––––––––––
sqevntwn eij" to; ajdialeivptw" proseuvcesqai, pa'" hJmw'n oJ bivo" ajdialeivptw" proseuco-
mevnwn legevtw tov: pavter hJmw'n oJ ejn toi'" oujranoi'" (Mt 6, 9).
597 Orat XVIII, 1 (cfr. supra, p. 57 e nota 163).
598 Orat II, 5 (cfr. supra, p. 130 e nota 384).
599 La discussione esegetica contemporanea su Mt 6, 5-8 oscilla fra il riconosci-
mento dell’autenticità gesuana (come, ad esempio, Philonenko, 17) o la ripresa di una fonte
giudaica, sia pure focalizzando il tema della preghiera non più solo in rapporto agli uJpo-
kritaiv ma anche agli ejqnikoiv (si veda Müller K. e Scrofani).
600 Ho esaminato la questione dei riflessi identitari in Perrone 2004a, 283-286.
Concorda, in sostanza, con tale conclusione anche Buchinger.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 199
duazione del Padrenostro come la «preghiera spirituale» per eccellenza,
aldilà del preambolo introduttivo (Mt 6, 5-8), contribuisce in generale
l’operazione esegetica condotta da Origene sui testi di Matteo (Mt 6, 9-
11) e di Luca (Lc 11, 2-4) che si sviluppa all’insegna della sua ermeneu-
tica spirituale601. Questa fa sentire il suo peso soprattutto nella spiega-
zione della quarta petizione, dove la domanda del pane ejpiouvsio" (Mt 6,
11; Lc 11, 3) prescinde per l’Alessandrino da qualunque aggancio con gli
aspetti materiali (Orat XXVII).
Ma come abbiamo notato anche nel capitolo precedente illustrando
le modalità dell’atto orante, la “spiritualizzazione” del Padrenostro nell’in-
terpretazione origeniana non comporta mai la perdita dei contatti con le
situazioni vitali. Anzi, se è vero che l’ermeneutica spirituale si applica in
forma particolarmente intensa (com’è ovvio aspettarsi) sulle tre petizioni
iniziali, che riguardano appunto il rapporto più immediato dell’uomo con
Dio, e successivamente sulla quarta domanda, il commento alle petizioni
residue immette nella spiegazione dell’Alessandrino un flusso inatteso di
richiami alle condizioni di vita e alle situazioni concrete più diverse602. Ciò
assume anche un preciso riflesso letterario, dal momento che la spiegazio-
ne delle prime tre petizioni è condotta da Origene in termini più rapidi di
quanto non avvenga per le restanti domande, sulle quali si sofferma invece
assai lungamente603 . Lo spazio dedicato alle ultime tre petizioni salta an-
cor più agli occhi, se lo si pone a confronto con la trattazione sviluppata
da Tertulliano nel de oratione, che paradossalmente ci appare squilibrata
a vantaggio delle prime tre petizioni, nonostante l’indole del Cartaginese
sia in genere ben lontana dall’afflato “spiritualistico” tipico dell’Alessan-
drino604. L’intenzione “panoramica” della spiegazione di Origene, che si
manifesta a più riprese nel segno di un’attenzione sorprendentemente mi-
nuta ai bisogni, ai compiti e alle prove dell’uomo è allora da vedere nella
luce di quell’impegno fondamentale per stabilire un nesso profondo tra
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601 Da questo punto di vista valgono, in parte, anche per l’interpretazione del Pa-
drenostro le considerazioni espresse in precedenza circa le preghiere degli oranti veterote-
stamentari (cfr. supra, pp. 142 ss.). L’importanza della dimensione ermeneutica è opportu-
namente riconosciuta da Buchinger, 325: «Bei Origenes konstituiert nicht der Gebetsvoll-
zug als solcher, sondern das rechte Verständnis des Vaterunsers christliche Identität.
Diese Identität zeigt sich im hermeneutischen Profil der Vaterunsererklärung; als deren
Konstituenten lassen sich Prinzipien identifizieren, die jenseits und vor aller Exegese ein-
zelner Texte die geistige Identität der Christen prägen».
602 Si spiega così anche la diversa ripartizione adottata da Bertrand, 477, che acco-
muna sotto lo stesso titolo l’esegesi delle prime quattro petizioni (cfr. supra, nota 188).
603 Per una visuale complessiva degli argomenti trattati, si veda Koetschau, LXXIX -
LXXX. Il classico lavoro sull’interpretazione origeniana del Padrenostro rimane Stritzky;
cfr. anche Scognamiglio.
604 Cfr. rispettivamente de oratione 2-5 e 6-9 e la trattazione al riguardo (infra,
nota 1631).
200 Parte prima, Capitolo sesto
preghiera e vita, fra atto orante e condotta esistenziale, su cui s’impernia –
come abbiamo anticipato – il raccordo fra la prima e la seconda sezione
del trattato.

3. Un compito difficile: la «via stretta» del cristiano

Conforme alla sua prassi abituale di esegeta che valorizza il testo sa-
cro fin nei minimi particolari, Origene sviluppa la spiegazione della «Pre-
ghiera del Signore» parola per parola, a partire dalla più ampia redazione
matteana, ma tenendo presente di seguito anche quella lucana. Lo scrupolo
filologico dell’interprete è particolarmente evidente nella discussione ri-
guardo alle due versioni del Padrenostro, riportate entrambe in apertura
(Orat XVIII, 1) – ove Origene propende per l’ipotesi di preghiere distinte,
sia pure con elementi comuni ad entrambe, in ragione dei loro contesti di-
versi (Orat XVIII, 2-3)605 –, come pure nell’esame approfondito dell’hapax
neotestamentario ejpiouvsio", che dà luogo a due interpretazioni diversa-
––––––––––––––––––
605 La quaestio sollevata dalla diversità dei due testi è risolta assai rapidamente, in
ragione dell’evidente affinità che li accomuna (e forse anche della particolare “economia”
letteraria di Orat). Ciò non toglie che il metodo zetetico venga messo in luce sia dall’enun-
ciazione del problema (Orat XVIII, 2 [340, 10-12]: kai; pro; pavntwn ge parathrhtevon o{ti
oJ Matqai'o" kai; oJ Louka'" dovxaien a]n toi'" polloi'" th;n aujth;n ajnagegrafevnai uJpote-
tupwmevnhn pro;" to; dei'n ou{tw" proseuvcesqai proseuchvn) che dalla sua soluzione (XVIII,
3 [340, 25]: lektevon de; pro;" tou;" ou{tw" uJpolambavnonta"). Origene risponde, in primo
luogo, che le due versioni posseggono sì tratti comuni, ma anche aspetti diversi; in secon-
do luogo, esse risultano pronunciate in contesti differenti: come parte del Discorso della
montagna in Matteo (richiamato con la citazione di Mt 5, 1-2) e dietro richiesta di un di-
scepolo, che aveva visto Gesù pregare, in Luca (Lc 11, 1: «Signore, insegnaci a pregare,
come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli»). Se ciò sembra rafforzare l’aporia,
prelude in realtà alla prima ipotesi di spiegazione: identico è il significato della preghiera,
recitata semplicemente da Gesù in contesti diversi, supponendo che il discepolo di Lc 11,
1 non fosse stato presente alla prima occasione. Ma subito Origene si chiede se non sia
meglio supporre due preghiere diverse con tratti comuni (XVIII, 3 [341, 8-9]: mhv pote de;
bevltion h\/ diafovrou" nomivzesqai ta;" proseuca;", koinav tina ejcouvsa" mevrh). La soluzio-
ne qualificata più positivamente, sia pure in via ipotetica, risponde al metodo di quaestio
et responsio (cfr. Perrone 1994c). Del resto, più volte, nel corso del trattato, Origene pro-
cede in forma di quaestio, cioè formulando un problema con un ventaglio di possibili
spiegazioni (cfr. ad esempio l’esegesi della prima petizione in Orat XXIV, 1; o la discus-
sione sull’espressione «come in cielo così in terra» in XXVI , 3 ss.). Si noti ancora la di-
stinzione fra imperativo e ottativo, a proposito della formulazione delle prime tre doman-
de, in Orat XXIV, 5 (356, 9-10), in polemica con l’interpretazione di Taziano per cui Dio
wJ" eujxamevnou ma'llon h[per prostavxanto" genhqh'nai to; fw'". Non manca nemmeno
l’attenzione alla specificità ebraica del greco biblico, come mostra la distinzione fra «es-
sere tribolati» (qlivbesqai) e «essere oppressi» (stenocwrei'sqai), in rapporto rispettiva-
mente a situazioni derivanti da condizionamento esterno o da libera scelta (Orat XXX, 1
[393, 18-20]): la formula qui adoperata (katav ti pavtrion par∆ ÔEbraivoi") è indizio dei
contatti con l’esegesi giudaica.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 201
mente calibrate (Orat XXVII, 7-13). Anche per questi aspetti del suo com-
mento Origene si è guadagnato l’ammirazione dei lettori ed un rispetto
avvertibile perfino negli esegeti contemporanei, benché ovviamente non
siano sempre disposti ad accoglierne le conclusioni606. Ciò vale in prima
istanza per la spiegazione avanzata a proposito della versione più concisa
di Luca, che secondo l’Alessandrino sarebbe dovuta al fatto di essere
destinata ad un discepolo, cioè ad una persona spiritualmente più matura,
mentre in Matteo il Padrenostro è proposto da Gesù alle folle, che come
tali sono «bisognose di un ammaestramento più perspicuo». Orat accenna
a questa ipotesi solo a conclusione del commento, onde motivare così
l’assenza della “settima petizione” matteana in Luca, mentre nell’esegesi
diretta del testo lucano tramandataci dalle catene Origene l’illustra più
diffusamente, riflettendo anche sulla diversità del terzo vangelo dal primo
per il posto che vi occupa il tema del «regno di Dio»607.
Muovendo preliminarmente dall’introduzione al Padrenostro in Mt
6, 5-8, Origene rivisita l’immagine della preghiera già tracciata nella
prima parte dello scritto e vi aggiunge altri spunti interessanti che, sulla
falsariga delle parole di Gesù, mirano a rafforzare il profilo distinto della
preghiera cristiana (Orat XIX- XXI)608. Come si è detto, questa diversa iden-
tità, più che commisurarsi polemicamente con la preghiera di giudei e pa-
gani in quanto tali, si afferma prendendo le distanze da quegli atteggia-
menti spirituali che il testo evangelico attribuisce simbolicamente agli uni
e agli altri: il cristiano è, da un lato, messo in guardia dal correre il rischio
degli «ipocriti», che esibiscono la loro preghiera «nelle sinagoghe e agli
angoli delle piazze» (Mt 6, 5) e vanno così in cerca del proprio vanto più
che della gloria del Signore; dall’altro lato, non deve moltiplicare le parole
della preghiera rivolgendosi a Dio come il «pagano», al fine di ottenere
benefici materiali (Mt 6, 7). Se il testo evangelico critica apertamente
l’ostentazione pubblica della preghiera, Origene vi legge anche l’ennesimo
avvertimento di Gesù contro la «passione deleteria» dell’«amor di gloria»
––––––––––––––––––
606 Ad esempio, si veda Cullmann, 71 ss. Anche Philonenko tiene conto dell’ese-
gesi origeniana e in qualche caso la fa propria, come si vedrà in seguito.
607 Orat XXX, 1 (393, 5-9): Dokei' dev moi oJ Louka'" dia; tou' mh; eijsenevgkh/" hJma'"
eij" peirasmo;n (Mt 6, 13a) dunavmei dedidacevnai kai; to; rJu'sai hJma'" ajpo; tou' ponhrou'
(Mt 6, 13b). kai; eijkov" ge pro;" me;n to;n maqhth;n, a{te dh; wjfelhmevnon, eijrhkevnai to;n
kuvrion to; ejpitomwvteron, pro;" de; tou;" pleivona", deomevnou" tranotevra" didaskaliva",
to; safevsteron. Per la spiegazione approfondita si veda FrLc 174 (cfr. p. 72 e infra, note
1083, 1582).
608 L’autore trova in Mt 6, 5-8 la conferma dello schema adottato in precedenza per
la propria esposizione: a) le disposizioni preparatorie; b) l’atto conseguente della preghiera
(Orat XIX, 1 [341, 12-15]: ∆Epei; de;, wJ" ejn toi'" ajnwtevroi" eijrhvkamen, prw'ton dei' kata-
sth'naiv pw" kai; diateqh'nai to;n proseucovmenon ei\q∆ ou{tw" eu[xasqai, i[dwmen pro; th'"
ejgkeimevnh" proseuch'" para; tw'/ Matqaivw/ tou;" peri; aujth'" uJpo; tou' swth'ro" hJmw'n
ajphggelmevnou" <lovgou">).
202 Parte prima, Capitolo sesto
(filodoxiva)609, il quale guarda solo al tornaconto individuale anziché alla
«comunità» o meglio alla «comunione con Dio», e vi contrappone le parole
di Gv 5, 44 («E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli
altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?»). Per un paradosso
solo apparente, secondo Origene, l’esibizionismo orante nega in partenza
la natura autentica di questo atto con la sua vocazione di comunione610 .
Alludendo nel Commento a Giovanni allo stesso luogo del quarto
vangelo, l’Alessandrino rileva il contrasto fra un simile atteggiamento e
la preghiera al Padre: «E come può onorare il Padre chi ricerca la gloria
umana o il denaro o la ricchezza terrena o la bellezza che viene dalla carne
e dal sangue e, in una parola, tutto ciò che appartiene alla materia e alla
corruzione?»611. In sottofondo si può cogliere nuovamente il motivo della
«gloria di Dio», la sola ad essere vera ed effettiva, che è intimamente con-
nesso alla trasformazione spirituale a «immagine di Dio» indicata già pri-
ma come la mèta dell’atto orante e sviscerata ampiamente poco dopo nel
commento alle prime tre petizioni612 . Qui però l’interpretazione del seguito
di Mt 6, 5, restando molto aderente al testo ed intrecciando con esso Mt 6,
1-2.4 per il motivo della «ricompensa» (misqov") della preghiera, risente
––––––––––––––––––
609 Origene si serve di un termine della LXX (Sap 14, 14; 4Mac 2, 15; 8, 19), che
adopera molto più raramente di kenodoxiva, «vanagloria» (tre occorrenze a fronte di quin-
dici), vocabolo di uso neotestamentario (Fil 2, 3) e terminus technicus nella dottrina cri-
stiana sui vizi. In CMt XV , 18, secondo una spiegazione dell’episodio del giovane ricco
(Mt 19, 16-30), la filodoxiva figura tra le «realtà cattive» quali «l’amore della ricchezza,
l’amore della gloria ed altre realtà terrene che gli riempiono l’anima di ricchezza riprove-
vole» (tr. Scognamiglio, 229). In Orat XXIX, 8 Origene denuncia la tentazione racchiusa
nell’esperienza di gloria mondana, mentre CMt XI, 15 fa i conti con essa nell’ambito della
vita ecclesiale.
610 Si noti il problema testuale in Orat. XIX , 2 (341, 30-31): uJpokritw'n ga;r e[rgon
ejsti; to; toi'" ajnqrwvpoi" ejnabruvnesqai ejp∆ eujsebeiva/ qevlein h] tw'/ koinwnikw/' [koinwnei'n
T]. Mi sembra preferibile emendare con Anglus h] qew/' koinwnei'n o h] tw/' qew/' koinwnei'n
(cfr. Jay, 139, nota 1). Nel testo di Koetschau viene infatti meno l’alternativa uomini-Dio
insinuata immediatamente dopo da Gv 5, 44. Si noti l’uso del verbo ejnabruvnomai, hapax
nelle opere tràdite, ma usato più frequentemente da Eusebio e Didimo il Cieco, che lo ri-
prende in nesso con Mt 6, 5 (CZc 5, 107, 2). Per la ripresa di Gv 5, 44 nel commento della
sesta domanda del Padrenostro, si veda Orat XXIX, 8. Sull’uso del termine «ipocriti» si
veda anche CMtS 19 (35, 18-20) su Mt 23, 23 («Guai a voi, scribi e farisei ipocriti»): «Et
bene eos hypocritas appellat; volentes enim religiositatem adquirere coram hominibus,
nolunt suscipere religiositatem illam quam Deus iustificavit».
611 CIo XX, 36, 337 (tr. Corsini, 671). Da notare che in CIo XIII, 45, 298 Origene ri-
corda come avesse spiegato la «ricompensa» di Mt 6, 4 («il Padre tuo, che vede nel segre-
to, ti ricompenserà») nel III libro degli Stromati, un’opera perduta, interpretandola come il
«beneficio che deriva» per l’intelletto «dalla contemplazione stessa» (tr. Corsini, 524).
612 Cfr. supra, p. 191. In HIer XII, 11 (97, 14-16), a commento di Ger 13, 16 («date
gloria al Signore nostro Dio»), Origene spiega che non è tanto con le parole che si dà glo-
ria a Dio quanto con le azioni: oujk ejn fwnai'" kai; lexidivoi" zhtw' to; didovnai kurivw/ tw'/
qew/' hJmw'n dovxan, ajll∆ ejn pravxesin oJ didou;" dovxan kurivw/ tw/' qew/' divdwsi dovxan aujtw/'.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 203
l’influsso della parabola di Lazzaro e del ricco epulone in Lc 16, 25
(«Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita»): al pari di
chi compie la giustizia per essere visto dagli uomini o fa l’elemosina per
autopromuoversi, colui che ostenta l’esercizio della preghiera agli occhi
del mondo subirà la stessa sorte del ricco e non avrà ricompensa da Dio
nella vita eterna. La sorte di condanna è segnalata anche dal richiamo a
Gal 6, 8 («Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione;
chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna»), che mostra
come un orante siffatto rimanga nell’ottica della “vita secondo la carne”;
in tal senso la sua condizione è assimilabile a quella del “pagano” che mol-
tiplica le parole in vista di ottenere benefici di ordine materiale (Mt 6, 7).
Distinguendosi dagli «ipocriti» come dai «gentili», il cristiano è chia-
mato ad inoltrarsi sulla «via stretta» (cfr. Mt 7, 13-14) della preghiera spi-
rituale, quella preghiera che – come Origene ha chiarito in precedenza –
domanda a Dio i beni della salvezza, rimettendo in sostanza a Lui tutto
quanto riguarda i benefici esteriori. Invece coloro che si trattengono a
pregare «negli angoli delle piazze» (Mt 6, 5) sono l’immagine di quanti si
danno ai piaceri delle più diverse specie, anziché abbracciare la «via an-
gusta e tribolata» indicata da Gesù Cristo e priva di qualunque svolta o
tortuosità 613 . Ora, la «via larga», che conduce alla perdizione (Mt 7, 13), è
quella apprezzata dagli «uomini» che, privati della loro filialità divina e
ricondotti perciò all’orizzonte mortale, manifestano la loro approvazione
per una «pietà» solo apparente614 . Dopo aver alluso per un attimo alla dot-
––––––––––––––––––
613 Cfr. Orat XIX , 3. In HEx V, 3 (187, 1-6) la «via stretta» è associata alla visuale
del progresso spirituale, inteso come ascesa ricca di strettoie e tortuosità: «Non enim pro-
clive iter est quo tenditur ad virtutes, sed adscenditur, et anguste ac difficulter adscenditur.
Audi etiam Dominum in evangelio dicentem quam arcta et angusta via est, quae ducit ad
vitam. Vide ergo quantum consonat evangelium cum lege. In lege ostenditur virtutis via
adscensio tortuosa; in evangeliis dicitur arcta et angusta via quae ducit ad vitam». In HIer
IV, 3 (25, 25-26, 1) l’immagine richiama nostalgicamente il fervore del tempo della perse-
cuzione: tovte h\san pistoi; ojlivgoi me;n pistoi; de; ajlhqw'", th;n stenh;n kai; teqlimmevnhn
oJdeuvonte" oJdo;n th;n ajpavgousan eij" th;n zwhvn (Mt 7, 14). Cfr. anche il passaggio dalla
«via larga» alla «via stretta», in nesso con le «invocazioni» di Ger 20, 8 («Ribellione e mi-
seria invocherò») e Rm 7, 24 («Misero me uomo!»), in HIer XX, 7, per colui che ha com-
preso che deve abbandonare «la vita dalla via larga e spaziosa» ed entrare «in quella stret-
ta e angusta per diventare miserabile come Paolo» (tr. Mortari, 272). In HGn X, 1 (94, 10-
12) il predicatore la rammenta così alla sua distratta comunità: «Miror, si nondum vobis
innotuit via Christi; si nec hoc quidem audistis quod non est lata et spatiosa, sed arta et
angusta via est, quae ducit ad vitam». Per H36Ps V, 7 (240, 23-25), l’immagine evange-
lica riassume le tribolazioni presenti: «Quod est tempus tribulationis, nisi hoc in quo su-
mus, cum per artam et angustam viam incedimus quae ducit ad vitam?». In CIo X, 44,
311, coloro che «credono in Gesù» – e non soltanto «nel suo nome» (cfr. Gv 2, 23) – sono
quei pochi che abbracciano la «via stretta e tribolata».
614 Orat XIX, 3 (343, 3-6): ejn ai|" oiJ wJ" a[nqrwpoi (cfr. Sal 81[82], 7) ajpoqnhv/skon-
te" dia; to; th'" qeovthto" ajpopeptwkevnai tugcavnousi doxavzonte" kai; makarivzonte" tou;"
ejn tai'" plateivai" eujsebei'n [ajsebei'n T, Koetschau] aujtoi'" nenomismevnou". In BKV, 68
204 Parte prima, Capitolo sesto
trina della caduta delle anime o anche, più direttamente, al motivo della
deificazione, l’Alessandrino sembra introdurre qualcosa di più di uno ste-
reotipo polemico, allorché ricorda che non pochi attendono alle preghiere
nel bel mezzo di simposi, mentre sono preda degli effetti del vino615. Ma
il rapido cenno ad un possibile sfondo concreto è subito oltrepassato dalle
ulteriori “variazioni esegetiche” suscitate sul testo di Mt 6, 5, dove la men-
zione delle «sinagoghe» induce Origene ad introdurre il motivo dell’anti-
tesi fra la sunagwghv e l’ejkklhsiva, non tanto in opposizione al giudaismo
ma avendo presente l’immagine ideale della «chiesa in senso proprio»,
cioè quella che è «santa ed immacolata»616 . Più che al luogo fisico, o al-
––––––––––––––––––
n. 4, Koetschau ha opportunamente emendato il testo in eujsebei'n, come suggerito da edi-
tori precedenti. L’allusione a Sal 81[82], 7 rimanda al motivo della “deificazione”. Si veda,
ad esempio, CIo XX, 27, 242: «Infatti se c’è qualcuno che non è più menzognero (cfr. Sal
115[116], 2) oppure è rimasto nella verità (Gv 8, 44), questi non è un uomo, tanto che
Dio può dire a lui e a chi è simile a lui: Io dico: Voi siete dèi e tutti figli dell’Altissimo
(Sal 81[82], 6); e non si riferiranno più a lui quelle parole: Eppure morirete come uomini
(Sal 81[82], 7)» (tr. Corsini, 653). Cfr. anche l’ulteriore richiamo in CIo XXXII, 5, 59, con
uno spunto polemico verso le osservanze esteriori, mentre in CIo XXXII, 18, 233-234, ri-
proponendo entrambi i versetti Origene lascia intravedere la dottrina della preesistenza:
«Quanto poi all’espressione come uno (Gn 3, 22), unitamente a quell’altro passo: Voi,
certo, come uomini morrete (Sal 81[82], 7), mi sembra coincidere con quel versetto:
Come uno dei principi cadrete (Sal 81[82], 7). Infatti, pur essendo i principi parecchi, uno
solo cadde: similmente, quelli che peccano cadono, imitando la sua caduta. Al pari di lui
che, essendo nella divinità, cadde, anche coloro ai quali è rivolta quella parola: Ho detto:
Voi siete dèi, e figli dell’Altissimo tutti quanti (Sal 81[82], 6), una volta decaduti dalla be-
atitudine, pur non essendo originariamente uomini, come uomini tuttavia muoiono e come
uno dei principi cadono» (tr. Corsini, 779). CMt XVI , 29 (573, 29-574, 3) mette nuova-
mente a tema la deificazione come la mèta del cristiano: «Dio vuole che colui che accede
alla sua Parola, sia al di sopra della natura umana e ne esige opere straordinarie, e – mi si
consenta l’espressione – opere da Dio più che da uomo. Proprio perciò dichiara a tutti
quelli che chiama alla beatitudine: Io dissi: voi siete dèi e siete tutti figli dell’Altissimo
(Sal 81[82], 6); biasimando però quelli che non vogliono essere divinizzati (ajpoqewqh'-
nai) e divenire figli dell’Altissimo, dice: Ma come uomini voi morirete (Sal 81[82], 7)»
(tr. Scognamiglio, 121-122). La duplice citazione figura anche in CMt XVII, 19 in relazione
al regno dei cieli e al venire meno del peccato. Cfr. anche H37Ps II , 3.
615 Orat XIX , 3 (343, 6-11): polloi; de; ajei; oiJ fainovmenoi ejn tw'/ proseuvcesqai
filhvdonoi ma'llon h] filovqeoi (2Tm 3, 4), ejn mevsoi" toi'" sumposivoi" kai; para; tai'"
mevqai" ejmparoinou'nte" th'/ proseuch'/, ajlhqw'" ejn tai'" gwnivai" tw'n plateiw'n eJstw'te"
kai; proseucovmenoi: pa'" ga;r oJ kata; th;n hJdonh;n biou;", to; eujruvcwron ajgaphvsa" ejkpev-
ptwke th'" stenh'" kai; teqlimmevnh" oJdou' ∆Ihsou' Cristou'.
616 Orat XX, 1 (si confronti qui [343, 13] th'" me;n kurivw" ejkklhsiva" con l’idea di
bellezza spirituale in XVII, 2 [339, 10-11]: to; ga;r kurivw" kavllo" sa;rx ouj cwrei', pa'sa
tugcavnousa ai\sco"). Sgherri, 331-333, rilevata la difficoltà di interpretare il passo, man-
tiene in pratica la pointe antigiudaica con l’osservare che «per appartenere veramente alla
Chiesa è richiesta una strettezza (santità di vita ed estradizione dei peccatori) molto più
rigorosa di quanto bastava per appartenere alla Sinagoga caratterizzata dalla sua lar-
ghezza. Se questo non fosse il sottofondo di idee, ci sembrerebbe incomprensibile il ri-
mando a Deut. 23, 1-8 con il quale inizia il nostro passo» (p. 333). Ma Sgherri non tiene
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 205
l’ambito istituzionale e sociologico, la riflessione dell’Alessandrino punta
insomma ancora una volta alla comunità di santi che trascende il quadro
della storia e si colloca già nella prospettiva del regno di Dio. Il modello
dell’orante, riproposto alla luce di Mt 6, 5, è dunque nuovamente quello
del «santo», che s’impegna sulla «via angusta e tribolata» e, invece di ri-
cercare una visibilità mondana, si cura di apparire al cospetto di Dio617 .
Il primato delle realtà spirituali ed invisibili è ribadito, fra l’altro, con
due suggestive riflessioni dal tenore metafisico, indotte rispettivamente
dalle espressioni di Mt 6, 5 («per essere visti dagli uomini») e 6, 7 (le
«molte parole»): la prima richiama la natura ingannevole dell’apparenza
fenomenica, immagine parziale ed illusoria della vera bellezza del tutto
sottratta alla rappresentazione sensoriale618 ; la seconda gioca sul contra-
sto fra l’ “Uno“ e i “molti“ come opposizione fra la realtà spirituale, unica
e compatta, e la materia frammentata e corruttibile, fra l’essere autentico
e le sue contraffazioni619 . Tra l’una e l’altra riflessione Origene, prose-
guendo nell’interpretazione del preambolo matteano, inserisce una delle
raffigurazioni più incisive dell’intima dinamica che deve connotare l’atto
orante come «esercizio spirituale», sfruttando l’ambivalenza semantica
del termine uJpokrithv", inteso quale sinonimo di «attore»: colui che prega
in obbedienza alle istruzioni del Signore è chiamato a deporre ogni inau-
tenticità, abbandonando la scena tutto sommato piccola e modesta del
mondo esteriore, per ritrarsi nella propria «cameretta» (Mt 6, 6) interiore,
––––––––––––––––––
conto, a mio avviso, dell’argomentazione ad intra sviluppata dall’Alessandrino, anche se
ammette che qui il termine «sinagoga» sarebbe passibile anche di un significato «pura-
mente simbolico» (ibi, nota 308).
617 Orat XX, 1 (344, 1-6): ajll∆ oujc oJ a{gio" toiou'to": ouj filei' ga;r proseuvcesqai
ajlla; ajgapa',/ kai; oujk ejn sunagwgai'" ajll∆ ejn ejkklhsivai", kai; oujk ejn gwnivai" plateiw'n
ajll∆ ejn th'/ eujquvthti th'" stenh'" kai; teqlimmevnh" oJdou', ajlla; kai; oujc i{na fanh'/ toi'"
ajnqrwvpoi" ajll∆ i{n∆ ojfqh'/ ejnwvpion kurivou tou' qeou' (Dt 16, 16). La citazione dello stesso
versetto («Tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio»)
ritorna nel discorso sul tempo in Orat XXVII, 16. Sull’apparire al cospetto di Dio, senza
curarsi della gloria umana, come costitutivo dell’esistenza cristiana, si veda CMtS 12 (23,
13-15): «Christi autem discipulus sustinet et adhuc intercedit et omnia facit ut videatur a
Deo, gloriam contemnens humanam.»
618 Orat XX, 2 (344, 9-11): ejpimelw'" de; ajkoustevon tou' fanw'sin, ejpei; oujde;n fai-
novmenon kalovn ejstin, oiJonei; dokhvsei o]n kai; oujk ajlhqw'" kai; th;n fantasivan planw'n
ajll∆ oujk ajkribw'" kai; ajlhqw'" ejktupou'n. Il motivo traspare già in XVII, 2 (supra, nota
616) a proposito della bellezza del corpo.
619 Orat XXI , 2 (345, 17-24): oujde;n ga;r e}n th'" u{lh" kai; tw'n swmavtwn, ajll∆
e{kaston tw'n nomizomevnwn e}n e[scistai kai; diakevkoptai kai; dihv/rhtai eij" pleivona th;n
e{nwsin ajpolwlekov" [ajpolwlekovta BKV, 71 n. 3]: e}n ga;r to; ajgaqo;n polla; de; ta; aij-
scra;, kai; e}n hJ ajlhvqeia polla; de; ta; yeudh', kai; e}n hJ ajlhqh;" dikaiosuvnh, pollai; de;
e{xei" tauvthn uJpokrivnontai, kai; e}n hJ tou' qeou' sofiva, pollai; de; aiJ katargouvmenai tou'
aijw'no" touvtou kai; tw'n ajrcovntwn tou' aijwn' o" touvtou (1Cor 2, 6) kai; ei|" me;n oJ tou' qeou'
lovgo", polloi; de; oiJ ajllovtrioi tou' qeou'. Si veda il luogo parallelo in XXIII, 3 (351, 7):
pa'n ga;r sw'ma diairetovn ejsti kai; uJliko;n kai; fqartovn.
206 Parte prima, Capitolo sesto
teatro incomparabilmente più grande per l’incontro a tu per tu con Dio
(Orat XX, 2) 620 .
Avanzando nell’interpretazione delle parole evangeliche Origene tra-
passa ad una considerazione più profonda che ci riporta all’idea, intravista
ripetutamente, della preghiera come «atto di conoscenza»621. La genuinità
della preghiera è per lui compromessa non solo dall’ostentazione esteriore
e dalla ritualizzazione pubblica ma anche dalla negazione pratica della sua
dimensione spirituale attraverso la richiesta di beni materiali. Una pre-
ghiera che s’indirizzi a Dio domandandogli benefici di tal fatta è viziata
alla radice dalla mancata comprensione della natura divina e di ciò che
compete veramente ad essa. Accennando ad un motivo che sarà ripreso
da Evagrio, l’Alessandrino oppone dunque al battologei'n condannato da
Mt 6, 7 – la «chiacchiera» vana di chi moltiplica inutilmente le parole – la
preghiera come esercizio controllato di «teologia» (qeologei'n), discorso
su e con Dio622. È l’invito ad operare un discernimento spirituale nell’atto
di presentare a Dio la propria «offerta» di preghiera, illustrato da Origene
mediante un’espressione di uso abbastanza raro ma fortemente espressiva
che richiama, nel suo significato originario, l’ispezione preliminare attuata
dai sacerdoti sulle vittime da offrire in sacrificio623. Mentre ritroviamo
così l’associazione fra preghiera e sacrificio (o meglio ancora la sostitu-
zione del secondo con la prima, nella prospettiva cristiana ormai attuata
della «fine del sacrificio»)624 , osserviamo anche l’invito ad esaminare con
cura se stessi e a vagliare le proprie parole nell’atto di pregare, affinché il
loro contenuto non comporti alcunché di estraneo all’«incorruttibilità»
––––––––––––––––––
620 Cfr. supra, p. 181.
621 Ne ho trattato anche in Perrone 2001b e Perrone 2001d.
622 Orat XXI, 1 (345, 3-7): ∆Alla; proseucovmenoi mh; battologhvswmen ajlla; qeo-
loghvswmen. battologou'men de;, o{te mh; mwmoskopou'nte" eJautou;" h] tou;" ajnapempomev-
nou" th'" eujch'" lovgou" levgomen ta; diefqarmevna e[rga h] lovgou" h] nohvmata, tapeina;
tugcavnonta kai; ejpivlhpta, th'" ajfqarsiva" ajllovtria tou' kurivou. Delle 12 occorrenze di
battologevw solo una non figura nel trattato: cfr. FrPs 141 (142), 2 (PG 12, 1665C). Da
notare l’intreccio fra Mt 6, 7, l’agraphon sui beni celesti (cfr. supra, nota 169) e 1Tm 2, 8
in Orat VIII, 1 (nota 462). Per un confronto con Evagrio si veda Bettiolo (infra, nota 1894).
623 Il verbo mwmoskopevw, hapax in Origene, figura prima di lui, in senso proprio,
in 1Clem 41, 2: ouj pantacou', ajdelfoiv, prosfevrontai qusivai ejndelecismou' h] eujcw'n
h] peri; aJmartiva" kai; plhmmeleiva", ajll∆ ejn ÔIerousalh;m movnh/: kajkei' de; oujk ejn panti;
tovpw/ prosfevretai, ajll∆ e[mprosqen tou' naou' pro;" to; qusiasthvrion, mwmoskophqe;n to;
prosferovmenon dia; tou' ajrcierevw" kai; tw'n proeirhmevnwn leitourgw'n. Interessante è
l’uso traslato che ne fa Policarpo, Ad Phil. 4, 3, 4, riferendosi alla condotta delle vedove:
ginwskouvsa", o{ti eijsi; qusiasthvrion qeou' kai; o{ti pavnta mwmoskopei'tai, kai; levlhqen
aujto;n oujde;n ou[te logismw'n ou[te ejnnoiw'n ou[te ti tw'n kruptw'n th'" kardiva" (cfr. 1Cor
14, 25).
624 Cfr. Stroumsa 2006, che giustamente ricorda come il fenomeno non sia solo del
cristianesimo. Sull’equazione preghiera = sacrificio, già operante nel giudaismo ellenisti-
co, si veda supra, nota 2.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 207
divina. Se a conclusione del trattato l’Alessandrino arriva a prospettare
alcune indicazioni esemplificative (tovpoi) per una “retorica” della pre-
ghiera che sia conforme alla sua visuale di un atto eminentemente spiri-
tuale (Orat XXXIII), qui il richiamo all’«autoispezione» prelude alla ne-
cessità di pregare secondo il giusto concetto di Dio: solo chi non si rende
conto dell’essere trascendente di Dio, il quale sovrasta dall’altezza dei
cieli metafisici le piccole cose di quaggiù, può pensare di importunarlo
per delle preoccupazioni terrene625 . Su questa nota termina la spiegazione
della premessa di Matteo al Padrenostro, a commento di Mt 6, 8 («Non
siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete biso-
gno ancor prima che gliele chiediate»). Ora, se l’ignoranza di Dio compor-
ta anche quella dei veri beni, Origene esorta adesso a riconoscere ciò di
cui abbiamo veramente bisogno per la nostra salvezza e che solo Dio è in
grado di donarci626 . In tal modo l’Alessandrino, all’opposto degli avver-
sari della preghiera che sfruttavano proprio questo passo per negarne la
necessità, ricava da esso quella giustificazione dell’atto orante che è im-
perniata, da un lato, sulla nozione della provvidenza paterna di Dio e, dal-
l’altro sul bisogno di salvezza dell’uomo627.

4. La vocazione alla santità dei figli di Dio

Non è facile riassumere la grande ricchezza di spunti esegetici, teolo-


gici e spirituali racchiusi nell’interpretazione origeniana del Padrenostro.
Si può comunque rilevare una maggiore compattezza del commento alle
prime tre petizioni (Orat XXII-XXVI), rispetto alle tre (o quattro) successi-
ve (Orat XXVII-XXX), anche perché vertono su un complesso di temi che
possiamo compendiare nel motivo unificante della chiamata alla santità
per i figli di Dio. Ne abbiamo del resto un preciso indizio formale nel sug-
gerimento avanzato da Origene (e, in parte, riconosciuto valido anche dai
critici odierni) di considerare l’espressione «come in cielo così in terra»
(Mt 6, 10) riferita non semplicemente alla terza domanda del Padrenostro
bensì all’insieme delle tre petizioni iniziali628. È una proposta interpreta-
––––––––––––––––––
625 Orat XXI, 1 (345, 13-15): ejqnikw'/ ou\n battologou'nti oJmoiou'tai oJ ta; kavtw ajpo;
tou' ejn oujranoi'" kai; uJpe;r ta; u{yh tw'n oujranw'n katoikou'nto" kurivou aijtw'n.
626 Orat XXI, 2 (cfr. supra, nota 299).
627 Sullo sfruttamento di Mt 6, 8, a sostegno della tesi “negazionista”, si veda su-
pra, p. 101.
628 Orat XXVI, 2 (360, 3-13): duvnatai mevntoi ge kata; movnon to;n Matqai'on ajpo;
koinou' to; wJ" ejn oujranw'/ kai; ejpi; gh'" (Mt 6, 10c) lambavnesqai, i{n∆ h\/ toiou'ton to; pros-
tassovmenon hJmi'n ejn th'/ eujch'/ levgein: aJgiasqhvtw to; o[nomav sou (Mt 6, 9c) wJ" ejn oujra-
nw'/ kai; ejpi; gh'" : ejlqevtw hJ basileiva sou (Mt 6, 10a) wJ" ejn oujranw'/ kai; ejpi; gh'": genh-
qhvtw to; qevlhmav sou (Mt 6, 10b) wJ" ejn oujranw'/ kai; ejpi; gh'" : tov te ga;r o[noma tou' qeou'
hJgiavsqh para; toi'" ejn oujranw'/, kai; ejnevsth aujtoi'" hJ tou' qeou' basileiva, gegevnhtaiv te ejn
208 Parte prima, Capitolo sesto
tiva che non fa che confermare la nota “dinamica” insita per l’Alessandri-
no nella Preghiera del Signore fin dall’invocazione di apertura, indicando
nella dialettica fra «cielo» e «terra» – intesi allegoricamente, secondo la
spiegazione più ricorrente, l’uno come simbolo della santità, l’altra del
peccato – la trama costitutiva dell’esistenza cristiana, continuamente sol-
lecitata a «trasformare in cielo», cioè a santificare, la condizione terre-
na629. Per meglio rendere la sua idea, Origene non ha esitato a farsi “in-
ventore di parole”, creando arditamente il neologismo oujranopoivhsi", un
hapax che egli adopera esclusivamente nel nostro scritto630 . Con esso desi-
gna la finalità per la quale i «giusti», pur essendo essi già divenuti «cielo»,
continuano a pregare chiedendo a Dio la salvezza dei peccatori (che sono
ancora «terra») e la loro trasformazione in santi.
L’appello alla santità è già contenuto per Origene nell’invocazio-
ne iniziale con la quale interpelliamo Dio come «Padre» (Mt 6, 9 par. Lc
11, 2), frutto della nuova «libertà» di figli (parjrJhsiva) che ci è stata donata
mediante l’effusione dello Spirito, fonte di rigenerazione (Orat XXII, 1).
A differenza della filialità ancora “instabile” che connotava il rapporto di
Israele con Dio – che pure, alla luce dei molti luoghi biblici, non lo igno-
rava affatto come «Padre» per i «figli» del popolo eletto –, è solo in forza
del dono dello Spirito che possiamo rivolgerci al Padre in un genuino at-
teggiamento filiale631 . L’Alessandrino ha ribadito più ampiamente questa
––––––––––––––––––
aujtoi'" to; qevlhma tou' qeou': a{per pavnta hJmi'n leivpei toi'" ejpi; gh'", dunavmena hJmi'n uJpar-
cqh'nai ejn tw'/ ajxivou" eJautou;" kataskeuavzein ejphkovou peri; touvtwn pavntwn tou' qeou'
tucei'n. Cfr. anche HIs I, 2, dove Origene sembrerebbe fondere la prima e la seconda peti-
zione con la terza. Per Philonenko, 115, «cette exégèse a pour effet de lier fermement les
trois premières demandes et de leur donner une conclusion commune». Analogo il giudizio
di Cullmann, 68-69: «das im Himmel sich vollziehende Geschehen (Heiligung, Königs-
herrschaft) soll auf der Erde verwirklicht werden. Dann ist aber der Vorschlag des Orige-
nes [...] nicht a priori abzuwenden, den Zusatz “wie im Himmel also auch auf Erden” auf
alle drei Bitten zu beziehen [...]. Wenn die These des Origenes richtig ist, dann entsprä-
chen sich die drei Bitten nicht nur inhaltlich, sondern auch in der kurzgefaßten Struktur».
629 Nel contesto di Orat la bivalenza di «terra» dal punto di vista allegorico, rilevata
in generale da Simonetti (Omelie sull’Esodo, 181, nota 35), si risolve qui in senso negativo
(= peccato, come ad esempio in HEx VI , 6), peraltro in conformità con l’uso più frequente
(cfr. ad esempio FrIer 36), mentre in Orat XXVI, 3 troviamo l’equivalenza terra = Chiesa.
630 Orat XXVI, 6 (363, 6-11): ei[te mh; gh' ajll∆ oujrano;" h[dh lelogivsmeqa tw'/ qew'/,
ajxiwvswmen, i{na kai; ejpi; th'" gh'" oJmoivw" tw'/ oujranw'/, levgw de; ejpi; tw'n ceirovnwn, plh-
rwqh'/ to; qevlhma tou' qeou' eij" th;n, i{n∆ ou{tw" ei[pw, oujranopoivhsin aujth'", w{ste mhkevti
pote; ei\nai gh'n ajlla; pavnta genevsqai oujranovn. A conferma dell’ “inventiva linguistica”,
sia pure intesa essenzialmente come esercizio d’intertestualità scritturistica, si veda Simo-
netti 2003 (in riferimento a HLv XVI, 4, dove Origene si difende dalla critica di essere un
euJrhsilovgo"). Ma la creatività di Origene sotto il profilo del lessico resta in gran parte da
esplorare, come suggerito a suo tempo da Quacquarelli.
631 Origene non nega la nozione di Dio come «Padre» nell’Antico Testamento, ma
ne constata l’assenza nelle espressioni della preghiera. Cfr. Orat XXII, 1 (346, 15-19): ouj
tou'to dev famen, o{ti oJ qeo;" path;r oujk ei[rhtai, h] oiJ pepisteukevnai nomizovmenoi qew'/
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 209
idea a commento di Gv 8, 19 («Voi non conoscete né me né il Padre mio;
se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio»), osservando che «in
nessuna delle infinite preghiere, sparse non soltanto nei Salmi e nei profeti
ma anche nei libri della Legge, si trova mai l’appellativo di “Padre”, ri-
volto da qualcuno a Dio nella sua preghiera, forse perché il Padre non lo
conobbero. Lo pregano come Dio, come Signore, in attesa di colui che ef-
fonde lo Spirito dei figli adottivi» 632 . In Orat non troviamo l’idea di una
conoscenza «segreta» del Padre anche per i santi dell’Antico Testamento,
che avrebbero già sperimentato la venuta intelligibile di Cristo, come Ori-
gene afferma di seguito nello stesso passo del Commento a Giovanni, sia
pure insistendo sull’economia dello Spirito, che si dà pienamente solo
con la grazia effusa da Gesù e la sua Chiesa633 . A questo stesso schema si
rifà anche il nostro trattato (Orat XXII, 2), rilevando l’infedeltà dei «figli»
nell’Antica Alleanza e la loro condizione di «servitù» o «minorità» fino
all’avvento di Cristo, mentre per converso la Nuova Alleanza apporta
l’«adozione a figli», testimoniata da Rm 8, 15 («Non avete ricevuto uno
spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito
da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”») e da Gv
––––––––––––––––––
uiJoi; oujk wjnomavsqhsan qeou', ajll∆ o{ti ejn proseuch'/ th;n ajpo; tou' swth'ro" kathggel-
mevnhn parjrJhsivan peri; tou' ojnomavsai to;n qeo;n patevra oujc eu{romevn pw. A riprova della
“paternità” divina e al tempo stesso della “filialità” di Israele adduce un ampio dossier di
luoghi veterotestamentari comprendente Dt 32, 18 («Hai abbandonato il Dio che ti ha ge-
nerato e ti sei dimenticato del Dio che ti ha nutrito»); 32, 6 («Non è questi il Padre tuo che
ti ha posseduto, ti ha fatto e ti ha creato?»); 32, 20 («figli nei quali non c’è fede»); Is 1, 2
(«Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me»); Mal 1, 6 («Il
figlio onora suo padre e il servo rispetta il suo padrone. Se io sono padre, dov’è l’onore
che mi spetta? Se sono il padrone, dov’è il timore di me?» – testo ripreso nell’esegesi di
Rm 8, 15 in CRm VII, 2; cfr. inoltre HLv XI, 3). A giudizio di Schleyer (Tertullian. De bap-
tismo, De oratione, 116, nota 491), Origene trova conferme nell’esegesi contemporanea,
mentre secondo Müller K., 166-167, occorre ridimensionare l’unicum della concezione
gesuana non solo a motivo della designazione di Zeus come pathvr nel mondo greco, ma
anche per l’uso del vocativo «Padre!» nel giudaismo del Secondo Tempio.
632 CIo XIX, 5, 28 (tr. Corsini, 570). In questo contesto però, anche per rintuzzare la
critica gnostico-marcionita dell’Antico Testamento, Origene si sofferma sull’ejpidhmiva
intelligibile di Cristo presso i santi veterotestamentari, che avrebbe anche comportato lo
«Spirito dei figli adottivi». Si veda infra, p. 292.
633 Secondo Corsini, 572, nota 8, anche in questo caso non si deve equiparare Anti-
co e Nuovo Testamento: tra le «verità oltre la Scrittura c’è la rivelazione della paternità
divina e, di conseguenza, l’effusione dello Spirito Santo», ma la venuta intelligibile del
Logos sarebbe presentata «in via puramente ipotetica», il che mi sembra riduttivo, consi-
derando anche CMt XVII, 36: «Io penso però che anche ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe,
allora Dio facesse dono di non essere più soltanto il loro Dio, ma di essere ormai anche il
loro Padre» (tr. Scognamiglio, 260). L’interpretazione di Mt 6, 9 alla luce di Rm 8, 15 fi-
gura anche in CMtS 2 (3, 22-26): «Sic et omnis qui dicit: Pater noster qui es in caelis, non
debet habere spiritum servitutis in timore, sed spiritum adoptionis filiorum. Qui autem non
spiritum adoptionis filiorum habet et dicit Pater noster qui es in caelis, mentitur, cum non
sit filius Dei, Deum patrem suum appellans».
210 Parte prima, Capitolo sesto
1, 12 («A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome»), con un implicito riferimento alla
grazia battesimale634 .
L’allusione alla sua forza rigeneratrice per la vita del fedele è sug-
gerita anche dalla citazione seguente tratta da 1Gv 3, 9 («Chiunque è nato
da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non
può peccare perché è nato da Dio»), con la quale Origene introduce il mo-
tivo centrale delle prime tre petizioni: l’esigenza di una condotta conforme
al dono dell’adozione a figli di Dio 635 . Se prendiamo sul serio l’espressio-
ne iniziale della Preghiera del Signore – che l’Alessandrino riporta adesso
nell’esortazione introduttiva secondo la versione di Lc 11, 2 («Quando
pregate, dite: “Padre”»)636 –, dobbiamo chiederci quanto il nostro agire
concreto corrisponda a tale condizione. Per invocare Dio legittimamente
come «Padre», occorre vivere una figliolanza effettiva, attraverso una vita
segnata dall’azione della grazia divina e aliena dal peccato. Soltanto così
diremo il Padrenostro non unicamente a parole ma anche con gli atti (Orat
––––––––––––––––––
634 L’allusione mi sembra abbastanza trasparente, anche se resta implicita e va co-
munque considerata nella prospettiva del «battesimo di Spirito santo» che in parte relati-
vizza la dimensione sacramentale (Gramaglia 2000a, 46; cfr. anche Ledegang 2004). D’al-
tronde il Padrenostro dovette rientrare per tempo nella catechesi legata al battesimo, come
sembrano indicare gli scritti di Tertulliano e Cipriano (cfr. Hamman 1989, XIV; Bradshaw
2003, 30-31). In aggiunta a ciò si veda l’esegesi di Rm 8, 15 in CRm VII, 2: «Questo dun-
que è quanto Paolo insegna: dopo che siamo morti insieme con Cristo (cfr. Rm 6, 5) e il
suo Spirito è venuto in noi, non abbiamo di nuovo ricevuto lo spirito di servitù per essere
nel timore, cioè non siamo diventati di nuovo piccoli e tali da ricevere i primi rudimenti,
ma, come perfetti, abbiamo già ricevuto una volta per sempre lo Spirito di adozione» (tr.
Cocchini I, 364).
635 1Gv 3, 9 figura anche nel dossier scritturistico di FrLc 174 (299, 7-8), a com-
mento di Lc 11, 2: kai; gennwvmeno" levgoi a]n spevrma ejn eJautw/' tou' qeou' labwvn, dia; to;
mhkevti duvnasqai aJmartavnein, to; pavter. In HIer IX, 4 (70, 24-27) Origene sfrutta 1Gv 3,
8 in contrappunto con la visione del rapporto di generazione continua tra Padre e Figlio
(infra, nota 1280).
636 Orat XXII, 3 (347, 17-20): eij mevntoi nohvsaimen, tiv ejsti to; o{tan proseuvchsqe,
levgete: pavter (Lc 11, 2), o{per para; tw'/ Louka'/ gevgraptai, ojknhvsomen mh; genovmenoi
uiJoi; gnhvsioi proenevgkasqai tauvthn th;n fwnh;n aujtw'/, mhv pote pro;" toi'" a[lloi" hJmw'n
aJmarthvmasi kai; ajsebeiva" ejgklhvmati e[nocoi genwvmeqa. CMtS 12 (23, 26-31) oppone la
paternità acquisita da coloro che si comportano genuinamente da figli di Dio ad ogni pa-
ternità terrena: «Sed et qui superna nativitate non solum ex aqua, sed etiam de spiritu (cfr.
Gv 3, 3.5) natus est, et spiritum adoptionis accepit, ut dicatur de eo, quia non ex carne,
neque ex voluntate viri sed ex Deo natus est (Gv 1, 13), nullius eorum qui in terris haben-
tur et deorsum filius adhuc existens, non vocat patrem in terris, quasi qui per omnem ac-
tum secundum Deum inpletum dicit: Pater noster qui es in caelis (Mt 6, 9)». Per CMtS 73
(174, 7-11) solo chi si fa imitatore di Cristo può pronunciare con autenticità la preghiera
al Padre: «Nam abusive quidem omnes credentes in Christo fratres sunt Christi, revera au-
tem fratres eius sunt, qui perfecti sunt et imitatores sunt eius, sicut ille qui dixit: Imitato-
res mei estote, sicut et ego Christi (1Cor 11, 1), qui possunt dicere: Pater noster qui es in
caelis (Mt 6, 9)».
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 211
XXII, 3). Questa esigenza di integralità è rafforzata da un’argomentazione
che ribadisce l’invito alla coerenza tra parole e opere in due momenti:
dapprima, in base a 1Cor 12, 3 («nessuno può dire: “Gesù è Signore” se
non nello Spirito santo, e nessuno che parli nello Spirito di Dio può dire:
“Gesù è anatema”»)637, sostiene che l’elemento decisivo è rappresentato
dalla convinzione interiore, unitamente ad una condotta di vita coerente,
poiché «molti ipocriti ed eretici, talora anche dei demoni» hanno sulla
loro bocca il nome di Gesù638 ; quindi, a rafforzare l’accordo fra l’azione e
i sentimenti interiori, mette in guardia da una riduzione della preghiera
alla mera prassi, richiamando stavolta l’importanza del coinvolgimento
del «cuore» secondo Rm 10, 10 («Con il cuore infatti si crede per ottenere
la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvez-
za») realizzando un accordo armonico fra la mente, le parole e le opere639 .
Origene sembra così voler procedere dall’idea di dono a quella di un
impegno totale per muovere successivamente all’esito di questo processo
spirituale (Orat XXII, 4): la figliolanza divina, vissuta integralmente in
pensieri, parole ed opere con l’aiuto dello Spirito, ha come suo risultato
la conformazione sempre più piena all’immagine di Dio in Cristo, cioè al
Logos 640 . L’Alessandrino intreccia alcuni dei luoghi paolini “canonici”
per la sua dottrina dell’immagine – in particolare, Col 1, 15 («Egli è im-
magine del Dio invisibile»); 3, 10 («a immagine del suo creatore»); 1Cor
15, 49 («l’immagine dell’uomo celeste») – con Mt 5, 45, associazione su-
––––––––––––––––––
637 Origene inverte l’ordine dei due membri di 1Cor 12, 3; cfr. Hannah, 118-119.
638 Orat XXII , 3 (348, 1-4): diovper oujd∆ a]n deicqei'en levgein kuvrion ∆Ihsou'n,
movnwn tw'n ajpo; diaqevsew" [<aJgiva" tou'ton kalw'"> BKV, 74 n. 2] legovntwn ejn tw'/ dou-
leuvein tw'/ lovgw/ tou' qeou' kai; mhdevna para; tou'ton ejn tw'/ o{ ti pot∆ ou\n pravttein ajnago-
reuovntwn kuvrion tov [o{ti BKV, ibidem]: kuvrio" ∆Ihsou'". In HIer X, 5 Origene denuncia i
seguaci di Marcione, Basilide e Valentino, perché «nominano il nome di Gesù ma non
hanno Gesù, perché non lo confessano come bisogna» (tr. Mortari, 128). Cfr. anche CIo
XXVIII, 15, 123-129; XXXII, 11, 128-130: «Chiunque [...] è veramente servo del Logos è in
grado di dire bene: “Gesù Signore”; e analogamente chiunque è veramente discepolo è in
grado di dire al Salvatore: “Maestro”. A questi il Logos può rispondere: “Lo sono”, men-
tre non lo dirà a chi è servo del peccato e discepolo della menzogna» (tr. Corsini, 760).
639 Orat XXII, 3 (348, 14-17): i{na de; mh; ejx hJmivsou" levgwsi to; pavter hJmw'n oiJ
toiou'toi, meta; tw'n e[rgwn kai; hJ kardiva, hJ tw'n kalw'n e[rgwn phgh; kai; ajrch;, pisteuvei
eij" dikaiosuvnhn, oi|" sumfwvnw" to; stovma oJmologei' eij" swthrivan. L’allusione è da esten-
dere a Rm 10, 9-10, per affinità tematica con 1Cor 12, 3.
640 Orat XXII, 4 (348, 18-349, 2): pa'n ou\n e[rgon aujtoi'" kai; lovgo" kai; novhma, uJpo;
tou' monogenou'" lovgou memorfwmevna kat∆ aujto;n, memivmhtai th;n eijkovna tou' qeou' tou'
ajoravtou (Col 1, 15) kai; gevgone kat∆ eijkovna tou' ktivsanto" (Col 3, 10), ajnatevllonto"
to;n h{lion ejpi; ponhrou;" kai; ajgaqou;" kai; brevconto" ejpi; dikaivou" kai; ajdivkou" (Mt 5,
45), wJ" ei\nai ejn aujtoi'" th;n eijkovna tou' ejpouranivou (1Cor 15, 49), kai; aujtou' o[nto" eij-
kovno" qeou'. eijkw;n ou\n eijkovno" oiJ a{gioi tugcavnonte", th'" eijkovno" ou[sh" uiJou', ajpomavt-
tontai uiJovthta, ouj movnw/ tw'/ swvmati th'" dovxh" (Fil 3, 21) tou' Cristou' ginovmenoi suvm-
morfoi ajlla; kai; o[nti ejn tw'/ swvmati. Si noti l’uso del verbo ajpomavttesqai, «imitare»,
«modellarsi», hapax in Origene (in CC VIII, 2 è ripreso da Celso).
212 Parte prima, Capitolo sesto
scitata in Col 3, 10 dal motivo del Dio creatore, cioè il «Padre celeste, che
fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i
giusti e sopra gli ingiusti». Nella spiegazione del Padrenostro in Luca
Origene si servirà nuovamente di questo versetto, ma preceduto da 5, 44
(«ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori»)
per inculcare la condotta di vita ispirata all’amore benefico del Padre. In
Orat, il richiamo solo a 5, 45 è dettato più direttamente dall’interesse a
sviluppare il motivo dell’assimilazione all’immagine di Dio 641 . Ma l’«im-
magine del celeste» si contrappone all’«immagine del terrestre» (1Cor 15,
49), e di conseguenza il conformarsi dell’uomo all’immagine di Dio si
esplica anche nella forma di un combattimento spirituale con le potenze
maligne: l’alternativa fra diventare «figli di Dio» e «figli di Satana» se-
gnala il contesto agonico che sottende tutta la spiegazione origeniana del
Padrenostro. Il conflitto tra i due modi di vita resta sempre davanti allo
sguardo dell’Alessandrino, sia quando descrive più da vicino il rapporto
di Dio con gli uomini nelle prime tre petizioni (Orat XXIII- XXVI), sia
quando si volge ad esaminare la condizione degli uomini nell’orizzonte
del mondo, con i loro bisogni, doveri e responsabilità, colpe e ostacoli
come avviene con le restanti petizioni (XXVII -XXX). Ciò conferisce all’in-
terpretazione origeniana una nota insieme dinamica e drammatica, perché
l’obiettivo della «deificazione» mediante la figliolanza divina si misura
costantemente, in forma palese o meno, con il pericolo di tradire l’essen-
ziale vocazione cristiana.

5. «Come in cielo, così in terra»: le prime tre petizioni

Il motivo dominante della santità rimane al centro della spiegazione


che Origene offre della prima domanda: «Sia santificato il tuo nome» (Mt
6, 9b). La «santificazione del nome» consiste nell’ottenere da Dio una
«nozione» (e[nnoia) sempre più pura e degna di Lui (Orat XXIV, 2). Come
già sappiamo, lo sforzo di spiritualizzazione innerva l’intero trattato, ma
commentando la prima petizione emerge in modo manifesto il suo pre-
supposto essenziale: il cristiano è esortato alla «preghiera spirituale», pro-
prio perché soltanto essa può corrispondere alla vera natura di Dio. Pre-
disposta dalle critiche alla visione ingenuamente materialistica di un Dio
che sta localmente «nei cieli», secondo l’invocazione iniziale del Padre-
nostro matteano (Mt 6, 9a) – «cieli» che sono invece figura dei «santi»,
rivestiti dell’«immagine del celeste» (1Cor 15, 49), in cui Dio prende di-
mora (Orat XXIII, 4-5) –, questa interpretazione rinvia ad un aspetto de-
cisivo per una prassi di preghiera che voglia essere autentica: non si dà
vero incontro con Dio, se permane lo schermo di un concetto falso o ina-
––––––––––––––––––
641 Su questo tema cfr. Crouzel; Sfameni Gasparro.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 213
deguato su di Lui642 . L’atto orante – come verrà ulteriormente esplicitato
sul finire del IV secolo da Evagrio Pontico, creativo protagonista della
tradizione origeniana – è anche un atto «teologico»643 . Non a caso Orige-
ne, invitando a riconoscere l’essere trascendente di Dio, aggiunge che chi è
in comunione con Lui partecipa di un «effluvio della divinità» (ajporjrJoh;
th'" qeovthto"), segno dell’illuminazione operata dalla grazia sulla mente
in preghiera (Orat XXIII, 5)644.
Ma l’uomo non può certo sperare di correggere e adeguare sempre
più le proprie idee su Dio, la sua persona e la sua opera (biblicamente
compendiate dal «nome»)645 , senza che Egli intervenga in suo aiuto646 . In-
––––––––––––––––––
642 È compito dell’ermeneutica spirituale delle Scritture favorire la retta intelligenza
delle espressioni antropomorfiche che si riferiscono a Dio. Perciò, Origene tratta ampia-
mente in forma di quaestio l’espressione «che sei nei cieli» (Mt 6, 9), onde allontanare
ogni nozione di “spazialità” dall’essere divino (Orat XXIII, 1-5). Egli adduce dapprima al-
cuni luoghi giovannei sul “passaggio” del Figlio dal mondo al Padre (Gv 13, 1.3; 14, 28;
16, 5), il cui significato è suggerito dalla dimora in senso spirituale di Gv 14, 23 («Se uno
mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo
dimora presso di lui»). Ad essi accosta passi della Genesi – che dichiara di aver trattato più
ampiamente nel Commento a Genesi (Orat XXIII, 4) – come Gn 3, 8, dove Adamo ed Eva
si nascondono agli occhi di Dio, «che passeggia nel giardino». Anche in questo caso non
si deve prende alla lettera il testo e la solutio viene ricavata da una pretesa citazione di Dt
(23, 14?), ma che in realtà si basa su 2Cor 6, 16 (cfr. Orat XXIII, 4 [352, 11-14]: oJpoi'o"
ga;r aujtou' oJ perivpato" ejn toi'" aJgivoi", toiou'tov" ti" kai; oJ ejn tw'/ paradeivsw/, kruptomev-
nou qeo;n kai; feuvgonto" th;n ejpiskoph;n aujtou' kai; ajfistamevnou th'" parjrJhsiva" panto;"
tou' aJmartavnonto"). In HGn I, 2 (3, 6-8) troviamo l’equazione fra il «cielo» di Gn 1, 1 e
le creature spirituali nel loro stato primigenio: «ante omnia coelum dicitur factum, id est
omnis spiritalis substantia, super quam velut in throno quodam et sede Deus requiescit»;
in I , 13 (16, 2-3. 12-14) l’idea della dimora di Dio nei santi, a vari livelli di intensità («se-
dere», «abitare», «camminare»): «in his, quorum in coelis est conversatio, Deus requiescit
et residet [...] Si vero tantus quis effici potest ut possit dicere: aut documentum quaeritis
eius, qui in me loquitur Christus? (2Cor 13, 3), in hoc non solum inhabitat Deus, sed
etiam inambulat». Sull’interpretazione di Mt 6, 9 in Prin II, 4, 1, cfr. infra, nota 747.
643 Cfr. nota 622. Per l’interpretazione evagriana del Padrenostro si veda infra, pp.
575-577.
644 Cfr. anche Orat XXIV, 4 (ajporjrJoh'" qeovthto"). Come ricordato in precedenza, il
referente scritturistico del termine è 2Cor 3, 18 (cfr. supra, pp. 191-192), ma esso conta su
una precisa ascendenza platonica messa in luce da Stritzky, 144: Plat., Phaedr. 251b (de-
xavmeno" ga;r tou' kavllou" th;n ajporjrJoh;n dia; tw'n ojmmavtwn). Per l’uso del termine equi-
valente ajpovrjrJoia (cfr. supra, nota 581), in relazione al problema della conoscenza di Dio,
si veda Clemente Alessandrino, Protr. VI, 68, 2 (133): pa'sin ga;r aJpaxaplw'" ajnqrwvpoi",
mavlista de; toi'" peri; lovgou" ejndiatrivbousin ejnevstaktaiv ti" ajpovrjrJoia qei>khv (la stessa
espressione ricorre in Strom. V, 87, 4-88, 3).
645 È degna di nota, anche dal punto di vista lessicale, la definizione di «nome»
fornita da Orat XXIV, 2 (353, 22-354, 3): o[noma toivnun ejsti; kefalaiwvdh" proshgoriva
th'" ijdiva" poiovthto" tou' ojnomazomevnou parastatikhv: oi|ovn ejsti ti;" ijdiva poiovth" Pauv-
lou tou' ajpostovlou, hJ mevn ti" th'" yuch'", kaq∆ h}n toiavde ejsti;n, hJ dev ti" tou' nou', kaq∆ h}n
toiw'ndev ejsti qewrhtikov", hJ dev ti" tou' swvmato" aujtou', kaq∆ h}n toiovnde ejstiv. to; toivnun
touvtwn tw'n poiothvtwn i[dion kai; ajsuntrovcaston pro;" e{teron (a[llo" gavr ti" ajparavl-
214 Parte prima, Capitolo sesto
fatti, solo un numero estremamente esiguo di individui è capace di andare
al di là delle proprie incerte elucubrazioni su Dio (Orat XXIV, 2), laddove
questa «conoscenza» è per l’Alessandrino – con evidente eco platonica –
più frutto di un’«anamnesi» che di un «apprendimento»647. I più corrono
dunque il rischio di «usare invano il nome del Signore» (Es 20, 7), poiché
si fanno di Lui un concetto che è difforme dalla sua vera natura. Diversa-
mente dagli uomini, i quali sono suscettibili di cambiare nome in relazio-
ne al mutamento delle loro condizioni spirituali (come avviene, secondo
la Bibbia, con Abramo, Pietro o Paolo), l’essere di Dio trova espressione
nelle sue caratteristiche immutabili con l’autodesignazione trasmessaci da
Es 3, 14 («Io sono colui che sono»)648 . Ecco dunque il senso della pre-
ghiera «Sia santificato il tuo nome» (Mt 6, 9b): domandiamo a Dio che ci
aiuti a riconoscere sempre meglio le dimensioni insondabili della sua san-
tità, cioè della sua natura di essere costitutivamente buono e immutabile –
nella creazione, nell’opera della provvidenza, nel giudizio, nell’elezione e
nella punizione, come Origene formula efficacemente, riassumendo così
in termini essenziali l’estrinsecarsi dell’agire divino nei confronti del-
l’uomo649 . La prima domanda del Padrenostro diviene allora la preghiera
per leggere il significato della storia del mondo e delle vicende personali
con gli occhi di Dio, cioè come la manifestazione del suo piano di sal-
vezza per tutte le creature650 . In tal senso, quando si arriva ad intendere
––––––––––––––––––
lakto" Pauvlou ejn toi'" ou\sin oujk e[sti) dhlou'tai dia; th'" «Pau'lo"» ojnomasiva". Si os-
servi, fra l’altro, un termine raro come ajsuntrovcaston, «che non concorda», «incompati-
bile» (solo 4 attestazioni nel TLG), di cui Origene è il primo testimone. Quanto all’esem-
pio del nome di Paolo, si veda la trattazione di segno diverso (presumibilmente riassunta e
modificata da Rufino) in CRm I , 2 (42-44); cfr. Cocchini, 30-32.
646 Per Cullmann, 59, Origene ha ben colto la pregnanza del nome nel linguaggio
biblico, in quanto riepilogativo delle caratteristiche essenziali di una persona (cfr. Orat
XXIV, 9). La dottrina sul nome è un tema importante per Origene, che respinge la tesi della
sua convenzionalità. Si veda EM 46: «Se [...] i nomi non sono per convenzione, non si
deve chiamare il Dio supremo con nessun altro nome se non con quelli con cui il servo
<di Dio, Mosè>, i profeti e lo stesso Salvatore e Signore nostro lo chiamano, come: Sa-
baoth, Adonai, Saddai, o ancora: Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Questo,
infatti afferma, è il nome eterno con cui sarò ricordato di generazione in generazione (Es
3, 15)» (tr. Noce, 152).
647 Orat XXIV, 3 (cfr. supra, nota 500). L’affermazione rinvia implicitamente alla
dottrina della preesistenza, ma il tema meriterebbe un approfondimento ulteriore.
648 Orat XXIV, 2 (354, 8-11): ejpi; de; qeou', o{sti" aujtov" ejstin a[trepto" kai; ajnal-
loivwto" ajei; tugcavnwn, e{n ejstin ajei; to; oiJonei; kai; ejp∆ aujtou' o[noma, to; <oJ> w]n (Es 3,
14) ejn th'/ ∆Exovdw/ eijrhmevnon h[ ti ou{tw" [h] toiouvtw" BKV, 83 n. 2] a]n lecqhsovmenon.
649 Non mancano accenti affini nella visione che Karl Barth ha del rapporto pre-
ghiera-teologia: «Pregare è cominciare a cercare una nuova chiarezza del fatto che Dio è
colui che governa» (Barth, 173).
650 Orat XXIV, 2 (354, 11-18): ejpei; ou\n peri; qeou' pavnte" me;n uJpolambavnomevn ti,
ejnnoou'nte" a{tina dhv pote peri; aujtou', ouj pavnte" de; o{ ejsti (spavnioi ga;r kaiv, eij crh;
levgein, tw'n spanivwn spaniwvteroi oiJ th;n ejn pa'sin aJgiovthta katalambavnonte" aujtou'),
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 215
rettamente il «nome di Dio», si è anche messi in condizione di fecondare
spiritualmente gli altri e quindi di «innalzare il suo nome» (Sal 33[34], 4),
cioè di giungere ad una conoscenza unanime della vera natura di Dio. Ma
tutto ciò è possibile unicamente per il dono d’intelligenza che chiediamo
a Dio con la prima petizione e che ci aiuta a costruire nella nostra mente
una «dimora», un «tempio» per Lui651.
La spiegazione della seconda domanda del Padrenostro, che invoca
l’avvento del «regno di Dio» (Mt 6, 10a par. Lc 11, 2c), è come un ulterio-
re corollario del discorso sulla santità sviluppato sin qui. Si chiede cioè a
Dio di attuare la sua sovranità nell’anima del «santo» che, quand’è gover-
nata da Lui, è trasformata in una «città ben amministrata»652 . Nonostante
questa associazione di idee con l’ambito politico, l’interpretazione orige-
––––––––––––––––––
eujlovgw" didaskovmeqa th;n ejn hJmi'n e[nnoian peri; qeou' aJgivan [<dei'n> BKV, 83 n. 3] ge-
nevsqai, i{n∆ i[dwmen aujtou' th;n aJgiovthta ktivzonto" kai; pronoou'nto" kai; krivnonto" kai;
ejklegomevnou kai; ejgkataleivponto" ajpodecomevnou te kai; ajpostrefomevnou kai; gevrw"
ajxiou'nto" kai; kolavzonto" e{kaston kata; th;n ajxivan. A sostegno di ciò viene offerto un
breve, ma significativo dossier di testi sul «nome di Dio» da Es 20, 7 («Non userai il
nome del Signore Dio tuo invano»); Dt 32, 2-3 («Sia atteso come pioggia il mio proclama
e scendano come rugiada le mie parole, come pioggia sulla gramigna e come acquazzone
sull’erba. Perché il nome del Signore ho invocato»); Sal 44(45), 17 («Ricorderanno il tuo
nome in ogni generazione e generazione»). Si osservi ancora l’uso iperbolico del termine
spavnio", adoperato anche nella forma avverbiale spanivw" per indicare la rarità di un’au-
tentica cognizione di Dio. Cfr. CC VI, 17 (88, 8-9): ”Ina de; dhlwqh'/ to; spanivw" eij" ajnqrwv-
pou" fqavnon kai; ejn pavnu ojlivgoi" euJriskovmenon th'" gnwvsew" tou' qeou'.
651 È sempre impegnativo inseguire l’intreccio delle citazioni bibliche con le asso-
ciazioni di idee e i richiami intertestuali che contraddistinguono l’esegesi origeniana. In
Orat XXIV, 4 il dossier scritturistico sul «nome di Dio» si arricchisce di altri passi: oltre a
Sal 33(34), 4, troviamo Sal 29(30), 2 («Ti esalterò, Signore, perché mi hai accolto, e non
hai fatto rallegrare su di me i miei nemici») e Sal 29(30), 1 («Salmo, cantico nella dedica-
zione della casa, di Davide»). L’idea di «edificare un tempio» in se stessi (uJyoi' dev ti" to;n
qeo;n, ejgkainivsa" aujtw'/ oi\kon ejn eJautw/') trova un riscontro in Porfirio, Ad Marc. 11 (58,
1-4): levgei de; oJ lovgo" pavnth/ me;n kai; pavntw" parei'nai to; qei'on, «new;n de; touvtw/ par∆
ajnqrwvpoi" kaqierw'sqai th;n diavnoian mavlista tou' sofou' movnhn», timhvn te proshvkou-
san ajponevmesqai tw/' qew/' uJpo; tou' mavlista to;n qeo;n ejgnwkovto".
652 Orat XXV, 1 (357, 3-5): panto;" me;n aJgivou uJpo; qeou' basileuomevnou kai; toi'"
pneumatikoi'" novmoi" tou' qeou' peiqomevnou, oiJonei; eujnomoumevnhn povlin oijkou'nto"
eJautovn . Secondo Stritzky, 147, vi sarebbe qui un riecheggiamento di Platone, Rep. 379a-
380c. L’uso del verbo eujnomei'sqai, «avere buone leggi», «essere ben governato», è atte-
stato da Origene solo in questo passo. Circa l’immagine dell’anima come «città» si veda
Ledegang, 492. La riflessione politica dell’Alessandrino, con particolare riferimento a
CC, è approfondita da Rizzi. Il risvolto “politico” della seconda petizione è più esplicito
nel breve commento a Lc 11, 2c di FrLc 177 (301, 1-3): ∆Elqevtw hJ basileiva sou, i{na
katarghqh/' me;n pa'sa ajrch; kai; ejxousiva kai; duvnami" (1Cor 15, 24), e[ti de; kai; pa'sa
basileiva tou' kovsmou, kai; hJ basileuvousa ejn toi'" qnhtoi'" hJmw'n swvmasin aJmartiva,
pavntwn de; touvtwn basileuvsh/ oJ qeov". Cfr. anche HEx XI, 7 (261, 24-26): Praeterit enim
habitus huius mundi (1Cor 7, 31), «praeterit temporale regnum, ut perpetuum veniat et
aeternum, sicut et in oratione dicere iubemur: Adveniat regnum tuum (Mt 6, 10)». A sua
volta CRm V , 3 sottolinea l’implicazione escatologica della seconda domanda.
216 Parte prima, Capitolo sesto
niana punta decisamente alla sfera personale del perfezionamento spiritua-
le, come appare sia dalla netta rivendicazione di un «regno interiore» – in
base specialmente a Lc 17, 21 («il regno di Dio è dentro di voi») – sia an-
che dalla ripresa di Gv 14, 23, già sfruttato in precedenza per illustrare il
colloquio dell’orante con il Padre e il Figlio (Orat XXV, 1)653. D’altra
parte, secondo la tensione al coinvolgimento integrale di «pensieri, parole
ed opere» nel cammino della perfezione più volte notata nel corso del
trattato, Origene sfrutta ancora la distinzione fra «regno di Dio» e «regno
di Cristo» per inculcare l’idea di una sovranità divina che si estende dalla
sfera interiore del santo (lo hJgemonikovn = «regno di Dio») alle sue parole
e azioni (= «regno di Cristo»)654 . Al «regno di Dio» così inteso si contrap-
pone il «regno di Satana», la condizione peccatrice di chi è governato dal
«principe di questo mondo»655 . L’esortazione a sottomettersi alla sovranità
––––––––––––––––––
653 Per la citazione di Gv 14, 23 in Orat XX , 2 e XXIII, 1 si veda supra, note 552,
642. Quanto a Lc 17, 21 (citato in nesso con 17, 20 e con Dt 30, 14), pur senza escludere
l’implicazione antimillenaristica, Origene ne offre un’interpretazione di segno etico-spiri-
tuale ripresa poi in forma più semplificata da HLc XXXVI , 2 (207, 21-208, 3): «Non omni-
bus Salvator dicit: Regnum Dei intra vos est, siquidem in peccatoribus regnum peccati est
et absque ulla ambiguitate aut regnum Dei in corde nostro imperat aut peccati. Unde sive
quae facimus, sive quae loquimur, sive quae cogitamus, contemplemur attentius, et tunc
videbimus, utrum Dei imperium regnet in nobis an imperium delictorum». L’associazione
con Dt 30, 14 («È davvero vicino a te la parola, nella tua bocca e nel tuo cuore»), ripreso
da Rm 10, 8, si spiega anche alla luce di Prin I , 3, 6 (172, 10-11), dove Origene indica con
questi due luoghi la presenza del Logos ad ogni essere razionale: «Ex quo in corde om-
nium esse significat Christum secundum id, quod verbum vel ratio est, cuius participio
rationabiles sunt». Sul tema della «dimora» di Cristo nell’anima, in quanto Logos, cfr.
CIo XIX, 12, 78; Ledegang, 48 ss.
654 Orat XXV, 1 (357, 8-13): oi\mai noei'sqai qeou' me;n basileivan th;n makarivan
tou' hJgemonikou' katavstasin kai; to; tetagmevnon tw'n sofw'n dialogismw'n, Cristou' de;
basileivan tou;" proi>ovnta" swthrivou" toi'" ajkouvousi lovgou" kai; ta; me;n ejpitelouvmena
e[rga dikaiosuvnh" kai; tw'n loipw'n ajretw'n. Invece in H36Ps V, 7 (240, 16-19), Origene
distingue fra «regno dei cieli» e «regno di Dio»: «memini me iam saepe dixisse, regnum
caelorum est eorum qui adhuc in profectionibus sunt; regnum vero Dei, eorum, qui iam ad
perfectum venerunt finem». La distinzione sarà sfruttata da Evagrio, sia pure in diversa
prospettiva (Pract. 2-3). Sul «regno dei cieli» come equivalente all’interpretazione ana-
gogica delle Scritture, si veda CMt X , 14 (17, 62-65) su Mt 13, 52, che lo distingue in tal
senso solo concettualmente dal «regno di Dio». L’approssimarsi del «regno dei cieli» (Mt
4, 17) è inteso qui come la venuta del Logos nell’anima: Dia; tou'to kai; o{son me;n ∆Ihsou'"
Cristov", oJ ejn ajrch/' pro;" to;n qeo;n (Gv 1, 2) qeo;" lovgo" oujk ejpidhmei' yuch/', oujk e[stin
ejn ejkeivnh/ hJ basileiva tw'n oujranw'n: o{tan de; ejgguv" ti" gevnhtai tou' cwrh'sai to;n lovgon,
touvtw/ ejggivzei hJ basileiva tw'n oujranw'n.
655 L’argomentazione scritturistica consiste qui rispettivamente di Gal 1, 4 (Cristo
«che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, se-
condo la volontà di Dio e Padre nostro») e Rm 6, 12 («non regni più dunque il peccato nel
vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri»). Non si può fare a meno di
notare la moderata attenzione dedicata alla figura di Satana in Orat, pur nel riconosci-
mento del contesto agonico della preghiera (cfr. però Orat XXVII, 12 [371, 7-8]: oujsiwdw'"
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 217
di Dio è dunque accompagnata dalla consapevolezza che la via della san-
tità è un cammino che richiede uno sforzo ininterrotto. Anche chi si im-
pegna a fare propri i contenuti delle prime due domande, realizzandoli già
in parte, non potrà mai sottrarsi alla preghiera e dovrà continuare ad invo-
care anche per sé la «santificazione del Nome» e l’«avvento del regno»:
solo se ci protendiamo «in avanti» (Fil 3, 14), dimenticandoci di ciò che
lasciamo alle spalle, continueremo a progredire sul cammino della perfe-
zione656 . «Questa troverà il suo compimento solo quando Cristo, sotto-
messi tutti i nemici, consegnerà il regno al Padre», affinché «Dio sia tutto
in tutti» (1Cor 15, 28). Al progredire «senza interruzione» (ajdialeivptw")
verso quella meta finale si accompagna perciò il pregare «senza interru-
zione» perché il regno di Dio venga657. Chi poi sperimenta in sé il suo
avvento, in opposizione al «regno del peccato», partecipa già dei beni
della «rigenerazione» e della «resurrezione», al punto di diventare un «pa-
radiso spirituale» nel quale Dio passeggia 658 .
––––––––––––––––––
uJfestw'to" tou' uiJou' tou' qeou' uJfestw'to" de; kai; tou' ajntikeimevnou). Né l’Alessandrino
vi accenna al tema dell’Anticristo, su cui si veda Badilita, 257-281 ( IV: «L’Antichrist ma-
gicien et pseudo-exégète chez Origène»).
656 Orat XXV, 2 (358, 6-15): w{sper oJ eujcovmeno" lovgou gnwvsew" tucei'n kai; lov-
gou sofiva" (cfr. 1Cor 12, 8) kaqhkovntw" ajei; peri; touvtwn eu[xetai, ajei; me;n pleivona
qewrhvmata sofiva" kai; gnwvsew" ejn tw'/ ejpakouvesqai lhyovmeno", plh;n ejk mevrou" (1Cor
13, 9) ginwvskwn me;n o{sa pot∆ a]n cwrh'sai ejpi; tou' parovnto" dunhqh'/, tou' <de;> teleivou
kai; katargou'nto" to; ejk mevrou" tovte fanerwqhsomevnou, o{te provswpon pro;" provswpon
(1Cor 13, 10) oJ nou'" prosbavllei cwri;" aijsqhvsew" toi'" nohtoi'": ou{tw" to; tevleion
(1Cor 13, 10) tou' aJgiasqh'nai eJkavstw/ hJmw'n to; o[noma tou' qeou' kai; tou' ejnsth'nai aujtou'
th;n basileivan oujc oi|ovn te ejstivn, eja;n mh; e[lqh/ kai; to; peri; th'" gnwvsew" kai; sofiva" tev-
leion tavca de; kai; tw'n loipw'n ajretw'n. FrIo 13, trattando della visione di Dio, presenta
una formulazione analoga: «Chiunque è puro nel modo che s’è detto, cioè perfetto secondo
virtù, si lancia verso Dio [con un atto d’intuizione], per quanto possibile (prosbavllei
qew/' kaq∆ o} ejfiktovn)» (tr. Corsini, 828); «per tutto il tempo in cui [...] la mente è coinvolta
in una vita legata alla materia, e non può quindi vedere Dio con un atto d’intuizione intel-
lettuale (kata; prosbolh;n nohvsew")» (ibi). Sul rilievo di prosbavllw e prosbolhv, cfr.
Dillon (supra, nota 102). Per l’interpretazione del cruciale luogo di 1Cor 13, 9 ss. come
segno della necessità di un continuo progresso spirituale si veda, ad esempio, HIs VII, 1
(280, 19-21): «Ma proprio perché costoro sperimentavano in se stessi che, se anche pro-
gredivano, il loro era un progresso “da fanciulli” (etiamsi proficiscerent, puerorum profi-
ciscerent profectu), dicevano: Parziale è la nostra conoscenza e parziale la nostra profe-
zia» (tr. Danieli, 146-147; cfr. anche HNm XVII, 4).
657 Orat XXV, 2 (358, 16-17): oJdeuvomen de; ejpi; th;n teleiovthta, eja;n toi'" e[m-
prosqen (Fil 3, 13) ejpekteinovmenoi tw'n o[pisqen ejpilanqanwvmeqa. «Il rinnovamento e
il perfezionamento della virtù dipende [...] dalla preghiera (cfr. Orat XXV, 1), che, consa-
pevole della provvisorietà dei progressi umani (cfr. Orat XXV, 2; XXVI , 6), invoca Dio per-
ché voglia continuare a camminare in quel paradiso della santità che Egli stesso ha creato
nell’uomo (Orat XXV , 3)» (Lettieri 2000b, 385).
658 Orat XXV, 3 (359, 3-7): i{na wJ" ejn paradeivsw/ pneumatikw'/ kuvrio" hJmi'n ejmperi-
path'/, basileuvwn hJmw'n movno" su;n tw'/ Cristw'/ aujtou', ejn hJmi'n ejk dexiw'n kaqhmevnw/ h|" euj-
covmeqa labei'n dunavmew" pneumatikh'" kai; kaqezomevnw/, e{w" pavnte" oiJ ejn hJmi'n ejcqroi;
218 Parte prima, Capitolo sesto
Più ampio spazio è dedicato invece alla terza petizione, tràdita solo da
Matteo (Mt 6, 10b: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra»),
anche perché Origene s’interroga a lungo sul significato da attribuire al-
l’espressione «come in cielo così in terra», che applica inizialmente anche
alle altre due petizioni, onde ribadire nuovamente il tenore unitario della
prima parte del Padrenostro (Orat XXVI , 1-2)659. Tuttavia, condividendo
con gran parte degli uomini della tarda antichità l’idea che l’aria sia popo-
lata di «spiriti malvagi» – come attesta peraltro la stessa Scrittura (in par-
ticolare, Ef 6, 12: «gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti») –,
l’Alessandrino si domanda per quale ragione la preghiera inviti a riprodur-
re la situazione del cielo sulla terra (Orat XXVI, 3). Una prima interpre-
tazione allegorica in risposta alla quaestio sgombra facilmente il campo
da questa difficoltà: «cielo» equivale a Cristo e «terra» a Chiesa, per cui
si invoca che la comunità dei credenti si sottometta al volere di Dio allo
stesso modo in cui Cristo è sottomesso al Padre. Come mostra il riferi-
mento a 1Cor 6, 17, la prospettiva ecclesiale è vista qui soprattutto nel-
l’ottica individuale, per cui ciascun fedele è chiamato a diventare «un uni-
co spirito» con Cristo660. Ma la risposta, pur essendo qualificata come
«non spregevole», appare forse troppo semplice allo stesso Origene, che
cerca quindi altre soluzioni (Orat XXVI, 4). La seconda richiama il potere
––––––––––––––––––
aujtou' gevnwntai uJpopovdion tw'n podw'n aujtou' kai; katarghqh'/ ajf∆ hJmw'n pa'sa ajrch; kai;
ejxousiva kai; duvnami" (cfr. 1Cor 15, 24).
659 Dopo aver rilevato l’assenza della terza domanda in Luca, Orat XXVI, 1 (359,
20) dichiara lo sforzo di una spiegazione sistematica e coerente con quanto precede
(ejxetavswmen ajkolouvqw" toi'" pro; touvtwn). In tal modo viene offerta un’interpretazione
strettamente raccordata con la seconda domanda, quasi si trattasse di un suo corollario
(359, 25-360, 2): ejpa;n de;, wJ" ejn oujranw'/ to; qevlhmav ejsti tou' qeou', kai; hJmi'n toi'" ejpi; gh'"
katorqwqh'/, oJmoiwqevnte" toi'" ejn oujranoi'", a{te forevsante" paraplhsivw" ejkeivnoi" th;n
eijkovna tou' ejpouranivou, basileivan oujranw'n klhronomhvsomen, tw'n meq∆ hJma'" ejpi; gh'"
kai; hJmi'n, genomevnoi" ejn oujranw'/, oJmoiwqh'nai eujcomevnwn. In CMt XI, 4 (39, 30-32) Ori-
gene approfondisce il motivo della «volontà» del Padre in riferimento a Mt 12, 46-50:
marturw'n toi'" maqhtai'" wJ" poiou'si to; qevlhma tou' ejn oujranoi'" patro;" kai; dia; tou'to
ajxiwqei'si tw'n suggenw'n kai; oijkeiotavtwn ojnomavtwn pro;" to;n ∆Ihsou'n. Ulteriori appro-
fondimenti riguardo al «fare la volontà» del Padre si possono trovare in CIo XIII, 36, 228-
231, nel commento a Gv 4, 34: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato».
660 Orat XXVI, 3 (360, 26-28): eujcerw'" luvsei ta; zhtouvmena, levgwn eu[cesqai
dei'n e{kaston tw'n ajpo; th'" ejkklhsiva" ou{tw cwrh'sai to; patriko;n qevlhma, o}n trovpon
Cristo;" kecwvrhken, oJ ejlqw;n poih'sai to; qevlhma aujtou' tou' patro;" kai; pa'n aujto; te-
leiwvsa": dunato;n ga;r kollhqevnta aujtw'/ e}n genevsqai pneu'ma su;n aujtw'/, dia; tou'to cw-
rou'nta to; qevlhma, i{n∆ wJ" tetevlestai ejn oujranw'/, ou{tw telesqh'/ kai; ejpi; gh'". L’esegesi
di 1Cor 6, 17 riflette il modello cristologico dell’unione di Gesù «Figlio dell’uomo» con
il Logos «Figlio di Dio», com’è illustrato, ad esempio, da CIo XXXII, 25, 325-326; CMt
XV, 24; CC II, 9. A sua volta, Prin I , 8, 4 (102, 4-6) insinua l’idea del trascendimento del-
l’elemento psichico («transcendentes non solum corpoream naturam, verum etiam animae
ipsius ambiguos fragilesque motus»), associando 1Cor 6, 17 a 1Cor 2, 15. Sull’interpreta-
zione di 1Cor 6, 17, cfr. Vogt 1999b.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 219
concesso al Risorto «come in cielo così in terra» (Mt 28, 18), per cui la
preghiera mira a fare dei discepoli di Cristo dei cooperatori del volere del
Padre come coloro che sono nei cieli, i quali erano già in precedenza illu-
minati dal Logos, anche se questa piena sottomissione degli uomini si at-
tuerà solo alla fine dei tempi. Ma pure questa spiegazione sfugge all’apo-
ria iniziale suscitata dal richiamo a Ef 6, 12 e perciò Origene si vede co-
stretto a proporne una terza: «in cielo» e «in terra» non deve essere inteso
in senso fisico, bensì spirituale661 . Ora, colui che è santo, seppure localmen-
te «sulla terra», è spiritualmente già «nei cieli»; viceversa chi è localmente
«nei cieli», come i demoni, è spiritualmente «sulla terra» in quanto opera-
tore di malvagità. Ritorna così il tema dominante della chiamata alla san-
tità che segna, anche dal punto di vista formale, la conclusione riepiloga-
tiva sulle prime tre domande del Padrenostro. Al di là di questa evidente
compattezza tematica, mai forse come in questo riepilogo l’Alessandrino
dà spazio alla preghiera del e per il peccatore, nella visione sperata di una
salvezza universale, con un crescendo dinamico, tramato retoricamente
sul binomio antitetico «terra-cielo», il quale è destinato a risolversi nel-
l’unico termine della «sostanza celeste» (oujravnion oujsivan)662.

6. La vita dell’uomo nell’orizzonte di Dio: la domanda del «pane»

La seconda parte del commento al Padrenostro (Orat XXVII-XXX) –


come implica già il tenore originario del testo con il suo passaggio dal
«tu» al «noi» posto in rilievo dagli esegeti odierni663 – ha per tema la vita
––––––––––––––––––
661 Orat XXVI, 5 (362, 4-12): mh; luvonto" dev pw tou' deutevrou ta; hjporhmevna peri;
tou' pw'" to; qevlhma tou' qeou' ejstin ejn oujranw'/ (Mt 6, 10), tw'n ejn toi'" ejpouranivoi"
pneumatikw'n th'" ponhriva" (Ef 6, 12) ajntipalaiovntwn toi'" ejpi; gh'", ejkei'qen ejnevstai
luvein ou{tw" to; zhtouvmenon: o{ti, w{sper ouj dia; to;n tovpon ajlla; dia; th;n proaivresin oJ
e[ti w]n ejpi; gh'", polivteuma e[cwn ejn oujranoi'" (Fil 3, 20) kai; qhsaurivzwn ejn oujranw'/,
th;n kardivan e[cwn ejn oujranw'/ (Mt 6, 20; Lc 12, 34), th;n eijkovna tou' ejpouranivou (1Cor
15, 49) forw'n, oujkevti ejsti;n ejk th'" gh'" oujde; tou' kavtw kovsmou ajll∆ ejk tou' oujranou'
kai; tou' kreivttono" touvtou oujranivou kovsmou.
662 Orat XXVI, 6 (363, 17-22): dia; tou'to eja;n, wJ" ejn oujranw'/ gegevnhtai to; qevlhma
tou' qeou', gevnhtai kai; ejpi; gh'", ejsovmeqa pavnte" oujrano;", th'" mh; wjfelouvsh" sarko;"
kai; suggenou'" aujth'/ ai{mato" mh; dunamevnwn klhronomei'n basileivan qeou' (cfr. 1Cor
15, 50), klhronomei'n d∆ a]n lecqhsomevnwn, eja;n metabavlwsin ajpo; sarko;" kai; gh'" kai;
cou' kai; ai{mato" ejpi; th;n oujravnion oujsivan. HIs I, 2 (245, 21-22) insiste piuttosto sulla
portata escatologica della terza petizione: «Adhuc in caelo voluntas est Patris, in terris
necdum voluntas eius expleta est».
663 Secondo Philonenko, la distinzione fra il «tu» delle prime tre petizioni e il «noi»
delle altre tre offre una chiave decisiva per cogliere genesi e finalità della «Preghiera del
Signore»: le prime tre domande rappresenterebbero infatti la preghiera di Gesù al Padre, le
successive quelle insegnate da lui ai discepoli (cfr. in part. pp. 165-170). Per Cullmann, 59,
«Jesus hat das ihm aus den Synagogengottesdiensten vertraute Gebet gekürzt übernom-
220 Parte prima, Capitolo sesto
dell’uomo nel mondo, sotto lo sguardo e con l’aiuto di Dio664. Il cristiano,
chiamato a realizzare l’alto ideale di santità che Origene ha ripetutamente
tracciato alla luce del mondo divino, deve misurarsi nel quotidiano con lo
spazio dei bisogni, di obblighi e responsabilità, di colpe e prove. Sono
questi i temi delle petizioni residue – quattro nell’interpretazione di Ori-
gene, anche se la settima (Mt 6, 13b: «Ma liberaci dal male»), assente nel
testo lucano, può essere considerata come una semplice estrapolazione
della sesta. La spiegazione è di gran lunga più ampia, e talvolta anche più
originale e sorprendente, di quella pur così suggestiva che abbiamo in-
contrato nel commento delle tre petizioni iniziali.
A riprova di ciò si può subito addurre l’interpretazione della quarta
domanda (Orat XXVII) – la richiesta a Dio del «pane», pressoché identica
in entrambe le versioni del Padrenostro665 – dove Origene s’impegna a
fondo, specialmente per sviscerare il significato del termine ejpiouvsio",
ignoto al greco extrabiblico e reso affatto impropriamente con «quotidia-
no» 666 . La sua accezione è ricercata dall’Alessandrino con procedimento
filologico prima a partire dal termine oujsiva («sostanza» o «essenza»), per
cui la preghiera domanderebbe a Dio un pane «soprasostanziale» (Orat
XXVII, 7); in un secondo tempo, in relazione al verbo ejpievnai («procede-
re», «sopraggiungere», «seguire»), con il che si dovrebbe intendere l’ejpi-
ouvsio" escatologicamente come «il pane del mondo che verrà» (Orat
XXVII, 13). Delle due ipotesi di spiegazione Origene, a differenza dei criti-
ci contemporanei667 , predilige nettamente la prima, ma da entrambe ricava
––––––––––––––––––
men, und man hat wohl mit Recht gesagt, daß das eigentlich Neue im Vaterunsergebet erst
die “Wir-Bitten” sind». Per un esame della struttura si veda anche Amphoux, 158-161.
664 Sulla diversa cesura operata da Bertrand, cfr. supra, note 188, 208.
665 Si veda rispettivamente Mt 6, 11 («Dacci oggi il nostro pane quotidiano») e Lc
11, 3 («Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano»). Tenendo conto di entrambe le ver-
sioni la spiegazione si sviluppa in tre momenti: a) il «pane» (a[rto") (Orat XXVII, 2-6);
b) ejpiouvsio" (Orat XXVII, 7-13); c) shvmeron (Mt 6, 11) e kaq∆ hJmevran (Lc 11, 3) (Orat
XXVII, 13-17).
666 Cullmann, 71 prende atto con Origene (Orat XXVII, 7 ss.) della sua rarità: fuori
del Nuovo Testamento ne abbiamo una sola attestazione in un papiro scoperto nel 1899
ma oggi perduto, con il significato «das für die (Tages)ration Notwendige». Cfr. anche
Calderone, 42-59; Philonenko, 117-130. La “creatività” linguistica dei due Sinottici è giu-
stificata da Origene con il richiamo all’esperienza dei traduttori della Settanta, analoga-
mente a quanto afferma in HIer XVIII , 6 (159, 21-22): mh; euJrovnte" th;n levxin keimevnhn
par∆ ”Ellhsin, ajnapeplakevnai wJ" ejp∆ a[llwn pollw'n kai; tauvthn.
667 Tale è, ad esempio, la conclusione di Cullmann, 72: «Dann ergibt sich die Be-
deutung “für den folgenden, den morgigen Tag”. Diese Ableitung wird durch die Mittei-
lung des Kirchenvaters Hieronymus erhärtet, er habe im Evangelium, das er Hebräerevan-
gelium nennt, für ejpiouvsio" das hebräische Wort “mahar” = “morgen” gelesen». A un ri-
sultato analogo giunge, con più ampio sfoggio di testi biblici e del giudaismo intertesta-
mentario, Philonenko, 130: «La quatrième demande du Notre Père est eschatologique. Elle
a pour arrière-plan les spéculations sur la manne qui se sont développées, en milieu juif,
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 221
comunque la conferma del modello di «preghiera spirituale» su cui ha im-
postato tutto il trattato. La richiesta del pane non può dunque contraddire
la raccomandazione, messa in bocca al Signore nell’agraphon ormai noto
e più volte ribadita da Origene, di cercare «le cose grandi e celesti» (Orat
XXVII, 1)668 . Seguendo l’insegnamento stesso di Gesù669 , non si tratta in-
somma di un pane in senso fisico, bensì di quel «pane» che si aggiunge
alla sostanza spirituale dell’uomo ed è congenere ad essa: il nutrimento
del Logos divino per l’anima (Orat XXVII, 9)670 .
Anche se la spiritualizzazione del contenuto della domanda non in-
contra in generale i favori dell’esegesi odierna, Origene manifesta l’attua-
lità della sua spiegazione associando l’esegesi del «pane ejpiouvsio"» ad
un’ampia indagine sulle immagini del cibo nella Bibbia, dalla quale scatu-
risce la conferma che il vero nutrimento, oggetto della richiesta, non può
essere altri che il Cristo stesso. Testo chiave al riguardo è, in primo luogo,
il discorso sul «pane di vita» in Gv 6, che a sua volta non solo implica di
per sé il riferimento veterotestamentario alla «manna» ma attira anche al-
tre figure del nutrimento nell’Antica Alleanza da vedersi come prefigu-
razioni d’ordine inferiore rispetto all’autentico «pane disceso dal cielo»
(Gv 6, 32)671. Questo «pane “vero” è quello che nutre il “vero uomo”,

––––––––––––––––––
au premier siècle de notre ère. C’est à la lumière du targoum palestinien que la demande
trouve son sens plénier et qu’elle est, selon nous, à traduire: “Donne-nous aujourd’hui
notre pain pour demain”». Al contrario per Calderone, 57 è da intendersi come il panis
viaticus. Per un’approfondita analisi recente si veda Korting, il quale condivide l’interpre-
tazione di segno spirituale ma spiega arditamente ejpiouvsion come corruzione dell’origi-
nale ejpi; rJuvsion, da intendersi nel senso di «pane per l’espiazione (del male) / la libera-
zione (dal male) / la protezione (dalla sventura) / per il ringraziamento per la liberazione»
(cfr. la recensione di G.B. Bazzana, in «Adamantius» 13[2007], pp. 560-562). In FrLc
180 Origene critica l’idea di un swmatiko;n a[rton, sfruttando in senso antimarcionita il ri-
corso all’interpretazione allegorica come unica possibile.
668 Cfr. supra, nota 169 i due detti riuniti insieme dall’Alessandrino. Da notare che,
unico caso in tutto il trattato, Origene arriva a parlare della tesi avversa come di una yeudo-
doxiva (Orat XXVII, 1 [363, 26-28]: a[xion aujtw'n th;n yeudodoxivan dia; touvtwn perielovn-
ta" parasth'sai to; ajlhqe;" peri; tou' ejpiousivou a[rtou). Egli se ne serve una quindicina
di volte, in particolare nella polemica con Celso (CC IV, 1; IV, 90; VIII, 76), ma anche in
altri scritti per rintuzzare errori dottrinali (cfr. ad esempio CIo XIII, 14, 90; HIer V, 15 [2]).
669 Orat XXVII, 2 (364, 3-4): hJmei'" de; eJpovmenoi aujtw'/ didaskavlw/, didavskonti ta;
peri; tou' a[rtou (cfr. anche XXVII, 6 [366, 30-31]: peiqovmenoi tw'/ didaskavlw/ swth'ri
hJmw'n).
670 Al riguardo Tertulliano esprime un punto di vista più articolato, vedendo nella
stessa strutturazione della «Preghiera del Signore» un intento pedagogico che subordina i
terrena ai caelestia. Quanto poi al diritto riconosciuto alle «cose terrene», con la richiesta
del «pane» esso appare limitato allo stretto necessario (cfr. De orat. 6 [infra, note 1651-
1653]).
671 Origene parafrasa il discorso, sfruttando dapprima Gv 6, 26 («In verità, in verità
vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei
222 Parte prima, Capitolo sesto
creato “a immagine di Dio”» ed egli, «nutrito da esso diventa anche “a so-
miglianza” di colui che l’ha creato»672. Ritroviamo così nella trattazione
sul cibo spirituale la prospettiva soteriologica dell’attuazione dell’imma-
gine divina nell’uomo, elemento centrale della vocazione alla santità pre-
figurata nella prima parte del commento673 .
Ora, la sostanza del «pane» viene precisata ulteriormente come logos,
«sapienza» e «verità», servendosi di quelle epinoiai lungamente esaminate
da Origene nel I libro del Commento a Giovanni, che riverberano i vari
aspetti salvifici del Figlio di Dio e rimandano tutte alla «natura razionale»
––––––––––––––––––
pani e vi siete saziati») per sostenere che colui che si è nutrito dei «pani» benedetti da
Gesù, si sforza ancor più di approfondirne la conoscenza (Orat XXVII, 2 [364, 8-9]: ma'l-
lon zhtei' katalabei'n ajkribevsteron to;n uiJo;n tou' qeou' kai; speuvdei pro;" aujtovn). Quin-
di riporta Gv 6, 27 («Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita
eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà») come il comando appropriato a tale ricerca. Ri-
prendendo quindi l’interrogativo degli astanti in Gv 6, 28 («Che cosa dobbiamo fare per
compiere le opere di Dio?») e la risposta di Gesù in Gv 6, 29 («Questa è l’opera di Dio:
credere in colui che ha mandato»), l’Alessandrino vi intreccia Sal 106(107), 20 («Mandò
la sua parola e li guarì»). Riepilogati in senso inverso i tre versetti Gv 6, 29.28.27, è intro-
dotto il motivo del «pane celeste» da Gv 6, 32-33 («il Padre mio vi dà il pane dal cielo,
quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo»). La più
ampia ripresa di Gv 6 ha luogo poi in Orat XXVII, 4, che riporta Gv 6, 53-57 e 6, 58. Pur-
troppo il testo tràdito di CIo non ci ha conservato l’esegesi di Gv 6 (cfr. CIo XX, 41, 387).
Il motivo del «pane di vita», «disceso dal cielo» compare nel lungo elenco introduttivo
delle epinoiai del Figlio di Dio come l’ultimo dei “titoli” che egli si attribuisce nei vangeli
(CIo I , 21, 131). Origene ne tratta poi in CIo I, 30, 207-208 in connessione con l’epinoia
precedente di «vite vera»: «Orbene, il pane nutre e di esso si dice che rinforza il cuore del-
l’uomo, mentre il vino lo addolcisce, lo rallegra e lo rasserena: vedi un po’ se, allo stesso
modo, “pane di vita” [...] possano essere gli insegnamenti morali, i quali producono la
vita in colui che li apprende e li mette in pratica; e frutti della vita vera, compendiati nel
termine “vino”, possano essere gli ineffabili e mistici teoremi che rallegrano e riempiono
di divino entusiasmo coloro che pongono la loro delizia nel Signore, fino a desiderare non
solamente di nutrirsi ma di banchettare» (tr. Corsini, 177).
672 Orat XXVII, 2 (364, 21-23): a[rto" de; ajlhqinov" ejstin oJ to;n ajlhqino;n trevfwn
a[nqrwpon, to;n kat∆ eijkovna tou' qeou' pepoihmevnon, w|/ oJ trafei;" kai; kaq∆ oJmoivwsin tou'
ktivsanto" givnetai. Cfr. HIer X, 2 (72, 13-14): oJ tou' ∆Ihsou' a[rto" oJ lovgo" ejsti;n ejn w|/
trefovmeqa.
673 Anche per Stritzky, 161, «ist die Bitte um das tägliche Brot philosophisch aus-
gedrückt als Bitte um die qeopoivhsi" aufzufassen, theologisch gesprochen als Bitte um
die göttliche Sohnschaft, die die Voraussetzung für die endgültige qewriva tou` qeou`
schafft». Mi sembra invece problematico parlare di Orat XXVII come di un «trattato di spi-
ritualità eucaristica» (Bertrand, 477). Al riguardo occorre rammentare che «un tema cen-
trale della teologia origeniana, quale il “mangiare la carne del Verbo” non ha per lo più
connotazioni tipicamente eucaristiche o comunque deve “trascendere” anche l’eucaristia,
perché si tratta di un diabaivnein da un piano esistenziale degradato al piano dell’esistenza
razionale e incorporea di Dio» (Gramaglia 2000b, 150). Per una prospettiva più esplicita-
mente eucaristica si veda invece HEx XI, 7 e il commento ad loc. di Simonetti (Omelie
sull’Esodo, nota 68); CMt X, 15 e il commento di Girod (SC 162), 208, nota 1; CMt XI, 14
(342-346); Fr1Cor 34 (note 1276, 1553).
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 223
dell’uomo in quanto «anima» e «intelletto»674. Inoltre, l’identificazione in
senso cristologico è rafforzata con il decisivo richiamo a Gv 6, 51 («Io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà
in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»)675.
Del resto, la riflessione sul cibo – richiamata dal fatto che, secondo Orige-
ne, l’uso scritturistico designa in senso lato con la parola «pane» (a[rto")
ogni genere di «nutrimento» (trofhv) 676 – introduce un discorso sul pro-
gresso spirituale, contrassegnato nell’ottica dell’Alessandrino da una gran-
de varietà di gradi e situazioni (Orat XXVII, 4-6.9)677. Agli estremi dell’ar-
co si collocano, secondo una distinzione tradizionale ricavata da Paolo,
da un lato, i «bambini» (nhvpioi), cioè coloro che per la loro debolezza
spirituale non sono ancora in grado di ricevere alimenti solidi e, dall’al-
tro, «i più perfetti» (teleiovteroi), per i quali il «pane disceso dal cielo»
rappresenta l’«alimento atletico adatto»678 . La distinzione è poi riformula-
ta a partire dalle categorie rispettivamente di «semplici» e «gnostici», ma
in questo caso non per contrastare positivamente i secondi con i primi,
bensì per avvertire come sia migliore una condizione spirituale di simpli-
citas rispetto a colui che, pur meglio preparato, non arriva a cogliere «la
ragione della pace e dell’armonia di tutte le cose»679 . Con preoccupa-
––––––––––––––––––
674 Orat XXVII, 2 (364, 23-25): tiv de; lovgou th'/ yuch'/ trofimwvteron, h] tiv th'" sofiva"
tou' qeou' tw'/ nw'/ tou' cwrou'nto" aujth;n timiwvteron… tiv de; ajlhqeiva" th'/ logikh'/ fuvsei
katallhlovteron… Sulle tre designazioni si veda, in particolare, CIo I, 9, 52-57 (cfr. anche
Perrone 2005b, 70-76).
675 Si tratta del verso più frequentemente citato in CIo. Si veda, ad esempio, VI, 45,
236: «La manna infatti, sebbene data da Dio, era un pane per proseguire il cammino, un
pane distribuito a chi ha ancora bisogno del pedagogo, molto adatto a chi sottostà a tutori
e amministratori. Invece il cibo nuovo tratto dal frumento della terra, mietuto sotto gli au-
spici e la mediazione di Gesù nella terra santa, dove altri hanno faticato e i discepoli di lui
mietono, era un pane più vivificante di quello, in quanto concesso a coloro che per la loro
perfezione sono in grado di ricevere l’eredità del Padre» (tr. Corsini, 358). Cfr. inoltre XX,
43, 405-406, dove Origene rapporta il senso spirituale del «gusto» al Signore come «il
pane vivo disceso dal cielo» e «il nutrimento dell’anima», mentre egli è l’oggetto della
«vista» in quanto sapienza, la cui bellezza rende innamorati (ibi, 683).
676 Il criterio esegetico affermato in Orat XXVII, 4 trova conferma in CIo X, 17, 100.
Sui diversi tipi di cibi spirituali cfr. Noel, 482-485.
677 «Il concetto di progresso gnoseologico connesso al progresso etico, con la conse-
guente differenziazione dei contenuti della conoscenza oltre che dei soggetti che conosco-
no, è quasi sempre fondato da Origene [...] sui testi scritturistici relativi ai diversi “cibi”»
(Cocchini 2000b, 83).
678 Orat XXVII, 4 (365, 12-13): boulovmeno" parasth'sai ajqlhtikh;n teleiotevroi"
aJrmovzousan trofhvn, frase premessa alla citazione per esteso di Gv 6, 53-57. Quanto al-
l’immagine dei nhvpioi, l’Alessandrino rinvia a una serie di luoghi paolini, cominciando da
1Cor 3, 1 ss.
679 Orat XXVII, 6 (366, 17-21): beltivwn oJ mh; cwrw'n ta; eujtonwvtera kai; meivzona
tw'n dogmavtwn dia; th;n aJplovthta (oujk ejsfalmevna mevntoi ge fronw'n) tou' ejntrecestev-
rou me;n kai; ojxutevrou kai; meizovnw" ejpibavllonto" toi'" pravgmasi to;n de; th'" eijrhvnh"
224 Parte prima, Capitolo sesto
zione didascalica, mai dimenticata del tutto da Origene nonostante la
densità della sua esposizione (che si evidenzia, in particolare, nella specu-
lazione filosofica sul concetto di oujsiva)680 , egli riassume in questi termini
il senso della quarta domanda: «Per non procurare malattia alla nostra
anima a causa della mancanza di cibi, e per non morire a Dio a causa della
“fame della parola del Signore” (Am 8, 11), noi domandiamo al Padre il
“pane vivo”, che è identico al “pane soprasostanziale”, obbedendo al no-
stro Maestro e Salvatore, credendo e vivendo in modo più retto» (Orat
XXVII, 6), e diventando così sempre più, di giorno in giorno, «figli di Dio»
(Orat XXVII, 12) o, con analoga conclusione, «per essere deificati grazie
al nutrimento del Logos divino» (Orat XXVII, 13)681.
Se tale è il senso generale della quarta domanda nell’interpretazione
di Origene, la sua spiegazione si arricchisce di una prospettiva ulteriore
che sembra anticipare la dimensione più ampiamente «comunionale« pro-
pria del commento alla quinta e alla sesta petizione. Il discorso sul «pane
soprasostanziale», anche per il tramite dell’immagine genesiaca di «albero
di vita» (Gn 2, 9; 3, 22) – collegata ad esso e associata nel contempo alla
«sapienza» in Pr 3, 18 («È un albero di vita per chi ad essa s’attiene e chi
ad essa si stringe è beato») –, sfocia infatti nella generalizzazione di una
comunicazione spirituale tra le creature razionali, uomini ed angeli, e il
Cristo (Orat XXVII, 11). Simmetricamente vi si affianca, per contrasto,
quella di segno negativo fra gli uomini, il diavolo e i suoi angeli (Orat
XXVII, 12). Nel descrivere questo universo di relazioni spirituali l’Ales-
sandrino rivolge dapprima lo sguardo all’ordine angelico, che trova il pro-
prio nutrimento nella contemplazione della «sapienza di Dio», grazie alla
quale è reso capace di compiere la sua opera. Ma al convito celeste degli
angeli partecipano anche gli «uomini di Dio», come Origene ricorda citan-
do Sal 77(78), 25 («l’uomo mangiò il pane degli angeli, mandò da cibarsi
a sazietà»), senza peraltro identificare questo «pane angelico», in senso
––––––––––––––––––
kai; sumfwniva" tw'n o{lwn lovgon mh; tranou'nto". Si tratta di un significativo riconoscimen-
to, in funzione antignostica, della positività di chi si nutre di una fede più semplice. L’ar-
gomentazione scritturistica si basa su Pr 15, 17 («È meglio essere invitato a mangiare ver-
dure con amicizia e grazia che un vitello di stalla con odio»), passo citato anche in CIo XIII,
33, 210, nel contesto di un discorso sulla varietà di cibi spirituali, ad indicare il nutrimento
dei «deboli». Sulla metafora della «verdura» si veda ancora HNm XXVII, 1; CRm X , 35.
680 Cfr. Orat XXVII, 8, che offre interessanti termini di paragone con VI, 1 (oltre che
con CIo XIII, 21, 127 e Prin II, 1, 4; IV, 4, 6-7). Origene richiama successivamente la con-
cezione platonica e quella stoica.
681 Orat XXVII, 12 (370, 28-29): Tou' me;n ou\n ejpiousivou oJ metalambavnwn a[rtou
sthrizovmeno" th;n «kardivan» uiJo;" qeou' givnetai. Antitetico ad esso è il cibo dell’Avver-
sario. Si veda anche il riepilogo dopo la discussione sulla nozione di oujsiva in XXVII, 9
(369, 18-22): ejpiouvsio" toivnun a[rto" oJ th'/ fuvsei th'/ logikh'/ katallhlovtato" kai; th'/
oujsiva/ aujth'/ suggenhv", uJgeivan a{ma kai; eujexivan kai; ijscu;n peripoiw'n th'/ yuch'/ kai; th'"
ijdiva" ajqanasiva" (ajqavnato" ga;r oJ lovgo" tou' qeou') metadidou;" tw'/ ejsqivonti aujtou'.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 225
fisico, con la manna piovuta dal cielo per gli Ebrei durante la traversata
del deserto, dal momento che sia per gli uomini che per gli angeli questo
nutrimento può essere, secondo l’Alessandrino, soltanto la Parola di
Dio 682 . Ma la comunicazione spirituale non è a senso unico, per così dire
dall’alto verso il basso, poiché qualunque frammento di verità (anche se
risalente sempre, in ultima analisi, al Logos e alla Sapienza di Dio) può
essere partecipato dai «santi» non solo agli altri uomini ma anche agli an-
geli e perfino allo stesso Cristo. L’ospitalità di Abramo per i tre inviati,
narrata da Gn 18, 2-6, attesta per Origene lo scambio dei ruoli fra uomini
e angeli nel processo di crescita spirituale, cosa che avviene sia per l’utili-
tà dei secondi sia a dimostrazione del progresso conseguito dai primi e che
ridonda comunque in una sinergia benefica compartecipata683 . Quanto al
Cristo, l’Alessandrino sfrutta specialmente Ap 3, 20 («Ecco, sto alla porta
e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da
lui, cenerò con lui ed egli con me»), per ribadire l’idea di una comunica-
zione spirituale che si esercita reciprocamente, in entrambe le direzioni,

––––––––––––––––––
682 Cfr. Orat XXVII, 10. Si veda anche l’interpretazione dell’episodio di Es 16, 4 ss.
in HEx VII, 5 (211, 13): «panis coelestis, qui est sermo Dei».
683 Orat XXVII, 11 (370, 14-22): dunamevnwn tw'n aJgivwn metadou'naiv pote trofh'"
nohth'" kai; logikh'" ouj movnon ajnqrwvpoi" ajlla; kai; qeiotevrai" dunavmesin h[toi eij" wjfev-
leian aujtw'n h] eij" ejpivdeixin w|n deduvnhntai peripoih'sai eJautoi'" trofimwtavtwn, euj-
frainomevnwn kai; trefomevnwn ejn th'/ toiauvth/ ejpideivxei tw'n ajggevlwn kai; eJtoimotevrwn
ginomevnwn pro;" to; panti; trovpw/ sunergh'sai kai; pro;" to; eJxh'" sumpneu'sai th'/ pleiovnwn
kai; meizovnwn katalhvyei tou' ejpi; protevroi" pareskeuasmevnou trofivmoi" maqhvmasin,
eujfravnanto" kai;, i{n∆ ou{tw" ei[pw, ajnaqrevyanto" aujtouv". Il motivo messo in luce qui
non figura nell’esegesi di Gn 18 in HGn IV, pur nel riconoscimento del convivium offerto
dal «sapiente» Abramo «Domino atque angelis» (IV , 3), mentre lo troviamo espresso con
chiarezza in CIo XIII, 32, 197-199, a commento di Gv 4, 31 («Nel frattempo i discepoli lo
pregavano, dicendo: “Rabbì, mangia”»): «I discepoli infatti desiderano sempre nutrire il
Logos con ciò che essi trovano, affinché corroborato, rinvigorito e potenziato, egli possa
permanere con più intensità presso coloro che lo nutrono, nutrendo a sua volta quegli che
gli offrono cibo. Ecco perché egli dice che “sta alla porta e bussa”: se uno gli apre la porta,
egli entrerà da lui e cenerà con lui. E così avverrà che chi invita a cena sarà a sua volta in-
vitato a cena dal Logos che ha cenato presso l’uomo» (tr. Corsini, 503). L’idea di una “si-
nergia” benefica richiama alla mente HIos XX, 1 (= Phil 12 [390, 28-34]), dove Origene
accenna alla presenza di «potenze» (dunavmei") «che hanno ricevuto in sorte le nostre
anime e i nostri corpi»; quando si legge la Scrittura, se sono «potenze sante», ricevono
giovamento e si rafforzano, anche all’insaputa del nostro intelletto: wJ" gevgraptai peri;
tou' glwvssh/ lalou'nto", o{ti To; pneu'mav mou proseuvcetai, oJ de; nou'" mou a[karpov" ejsti
(1Cor 14, 14). novei ou\n moi o{ti pote; tou' ejn hJmi'n nou' ajkavrpou o[nto" aiJ dunavmei" aiJ
sunergou'sai th/' yuch/' kai; tw/' nw/' kai; pa'sin hJmi'n trevfontai logikh/' th/' ajpo; tw'n iJerw'n
grammavtwn kai; tw'n ojnomavtwn touvtwn trofh/', kai; trefovmenoi dunatwvterai givnontai
pro;" to; hJmi'n sunergei'n. Sull’interpretazione di questo passo si veda Perrone 2004b, 239-
240. In Orat non figura invece il motivo per cui la Parola di Dio nutre ciascuno secondo i
suoi desideri e bisogni, ampiamente sviscerato in HEx VII (cfr. 8 [216, 15-16]: «Sic ergo
manna Verbi Dei reddit in ore tuo saporem quemcumque volueris»).
226 Parte prima, Capitolo sesto
sia pure nella consapevolezza dei limiti dell’ospitalità donata dall’uomo
al Figlio di Dio684 . Il paradosso di questa reciprocità, sviluppantesi ai li-
velli più diversi fino all’altezza di Cristo, si può comprendere alla luce
della dottrina dell’interazione fra gli uomini nel bene e nel male (come
Origene chiarisce nella memorabile Omelia VII sul Levitico) e del progres-
so spirituale: il dono del «pane soprasostanziale» non resta senza frutto,
ma la Parola di Dio innesca una fecondità spirituale, che è anche segno
dell’attivazione responsabile del «santo» in risposta al dono ricevuto685.
Nel cuore di questa dinamica vi è la prospettiva – tracciata dalle Omelie
su Ezechiele – per cui Cristo stesso si nutre del «pane soprasostanziale»
––––––––––––––––––
684 Orat XXVII, 11 (370, 22-27): ouj qaumasto;n de; eij ajggevlou" trevfei a[nqrwpo",
o{pou ge kai; Cristo;" oJmologei' eJstw;" para; th;n quvran krouvein, i{n∆ eijselqw;n para; to;n
ajnoivxanta aujtw'/ deipnhvsh/ met∆ aujtou' (Ap 3, 20) ejk tw'n ejkeivnou, meta; tau'ta kai; aujto;"
metadwvswn tw'n ijdivwn tw'/ provteron eJstiavsanti kata; th;n ijdivan duvnamin to;n uiJo;n tou'
qeou'. Circa il motivo del «Logos di Dio che sta alla porta e picchia e vuole entrare nelle
anime» (tr. Corsini, 124), si veda ancora CIo I, 4, 26; XXXII, 2, 18; HIos XX, 1: «Cosa
dico: le potenze divine si pascono e prendono nutrimento dentro di noi, quando pronun-
ciamo con la (nostra) bocca le parole della divina Scrittura? Ma lo stesso Signore nostro
Gesù Cristo, quando ci trova occupati in queste realtà e impegnati in studi ed esercitazioni
del genere, si degna non solo di prendere cibo e perfezione dentro di noi, ma anche di
portare con sé il Padre, se vede preparati dentro di noi tali banchetti. Ma queste realtà, che
sembrano tanto grandi e superiori all’uomo, stanno a provartele non le mie parole, ma
quelle dello stesso Signore e Salvatore, quando dice: In verità vi dico: io e il Padre ver-
remo e faremo dimora e ceneremo presso di lui (Gv 14, 23; Ap 3, 20). Presso di chi?
Certamente presso colui che custodisce i suoi comandamenti (1Gv 3, 22)» (tr. Scognami-
glio-Danieli, 260-261). Di particolare interesse è HIs II, 2 che premette la seguente rifles-
sione a Ap 3, 20: «questo Emmanuele, nato dalla Vergine, mangia burro e miele (cfr. Is 7,
14-15) e cerca da ognuno di noi “burro da mangiare”. Il discorso mostrerà in che modo
egli cerchi da ciascuno di noi “burro e miele”! Le nostre opere dolci, le nostre parole più
soavi e buone, sono il “miele” che “mangia” l’Emmanuele, che “mangia” il Nato dalla
Vergine; ma se i nostri discorsi sono pieni di amarezza, di ira, di animosità, di tristezza, di
parole turpi, di vizi, di contese [...] da questi discorsi non “mangia” il Salvatore!» (tr. Da-
nieli, 83). Si veda anche la spiegazione del «pesce arrostito» di cui Gesù si nutre con i di-
scepoli dopo la resurrezione (Lc 24, 42): ajpodexavmeno" h}n ejduvnanto ejk mevrou" ajpag-
gei'lai aujtw/' peri; tou' patro;" qeologivan (CMt XI, 2 [36, 4-5]).
685 Cfr. HLv VII, 5 (386, 8-13; 387, 2-5): «Ogni uomo ha in sé un cibo che può of-
frire al prossimo che gli si avvicina. Non può infatti accadere che, quando noi uomini ci
avviciniamo l’un l’altro e intrecciamo un discorso, non riceviamo o porgiamo fra noi un
qualche gusto o per la risposta, o per la domanda, o per un qualche gesto. [...] In secondo
luogo, dopo la sua carne [scil. di Gesù], sono cibo puro Pietro, Paolo e tutti gli apostoli; in
terzo luogo i suoi discepoli. Così ognuno, per l’abbondanza dei meriti o la purezza dei
sentimenti, diviene cibo puro per il suo prossimo» (tr. Danieli, 165-166). Si veda anche
HGn X, 3 (96, 5-12): «Vide ergo ne forte, sicut et Dominus Iesus, cum ipse sit panis vitae
et ipse pascat animas esurientes, ipse rursus esurire se fatetur, cum dicit: esurivi, et dedisti
mihi manducare (Mt 25, 35) et iterum, cum ipse sit aqua viva et potum det omnibus si-
tientibus, rursum ipse dicit ad Samaritanam: da mihi bibere (Gv 4, 7): sic et propheticus
sermo, cum ipse potum det sitientibus, nihilominus ipse ab his potari dicitur cum studio-
sorum exercitia et vigilantias suscipit».
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 227
nella contemplazione del Padre e, grazie ad essa, si manifesta nella sua
superiorità ontologica rispetto agli altri esseri686.
C’è infine una terza prospettiva dalla quale Origene guarda alla do-
manda del «pane»: essa echeggia già indirettamente nella spiegazione al-
ternativa del termine ejpiouvsio" in chiave escatologica («il pane del mondo
che verrà»), ma è affrontata in recto nel commento alle due espressioni tem-
porali che accompagnano la richiesta, rispettivamente in Matteo (Mt 6,
11: shvmeron, «oggi») e in Luca (Lc 11, 3: kaq∆ hJmevran, «ogni giorno»)687 .
È una riflessione sul tempo, come la cornice della vita dell’uomo e la di-
mensione entro la quale si gioca la storia della salvezza. L’Alessandrino
non si accontenta delle interpretazioni più immediate (quale l’idea che
«oggi» significa nell’uso scritturistico tutto il tempo fino al presente, lad-
dove «ieri» designa il tempo trascorso)688, ma si lascia andare ad un in-
ventario piuttosto ampio del linguaggio temporale nella Bibbia: questi
termini, si chiede Origene, sono da riferirsi tutti agli «eoni»?689 La rasse-
gna sembra soprattutto prefiggersi lo scopo di mettere in evidenza la dif-
ficoltà dell’argomento, in vista della necessità di offrirne un’interpreta-
zione spirituale con Eb 10, 1 («la legge possiede solo un’ombra dei beni
futuri»). In un crescendo di domande l’esemplificazione perviene al rico-
noscimento che solo il Padre conosce il mistero dell’economia dei tempi
e colui che ha contemplato le Sue disposizioni nell’intimo690. Ma tale
––––––––––––––––––
686 HEz XIV, 3 (453, 30-32): «Excellens quippe ab universa conditione natura eius
et ab omnibus segregata facit cum cotidianum panem de Patris natura comedere».
687 FrLc 180 (302, 1-2) riporta Lc 11, 3 secondo la variante di Marcione: to;n a[rton
sou to;n ejpiouvsion divdou hJmi'n to; kaq∆ hJmevran (su cui si veda Amphoux, 157, 160). Orat
XXVII, 17, dove lo si confronta brevemente con Mt 6, 11, tralascia questo punto.
688 Cfr. Orat XXVII, 13 (372, 10-11): e[qo" dh; pollacou' tw'n grafw'n to;n pavnta
aijw'na shvmeron kalei'sqai; (17-18) eij de; shvmeron oJ pa'" ou|to" aijw;n, mhv pote ejcqe;" oJ
parelhluqwv" ejstin aijwvn. Ritroviamo la stessa idea in CIo XXXII, 32, 396-397: «nella
Scrittura l’espressione “oggi” si estende spesso fino a comprendere la totalità del tempo di
questo mondo attuale (aijwvn), come, ad esempio, anche in questi passi: Questa diceria si è
diffusa tra i Giudei fino a oggi (Mt 28, 15); Questi fu il capostipite dei Moabiti, [che esi-
stono] fino al giorno d’oggi (Gn 19, 37); Se oggi doveste udire la sua voce, [non ostina-
tevi nei vostri cuori] (Sal 94[95], 8); [Oggi] non allontanatevi dal Signore! (Gs 22, 19). A
colui che l’aveva pregato di ricordarsi di lui nel regno di Dio, Gesù promette, con questa
espressione “oggi” (cfr. Lc 23, 43), che ancora durante l’ “eone” attuale, prima di quello
futuro, l’avrebbe fatto essere con lui nel regno di Dio» (tr. Corsini, 809). Il dossier scrit-
turistico è pressoché identico, dato che in Orat XXVII, 13 troviamo nell’ordine Gn 19, 37-
38; Mt 28, 15; Sal 94(95), 8; Gs 22, 16. 18. 19. Cfr. anche CMt XV, 31; HIer XIX, 14 (170,
11-12): shvmeron dev ejsti pa'" ou|to" oJ aijwvn. Sull’accezione di aijwvn come «tempo» o
«mondo», cfr. Monaci Castagno 2000c; Ramelli.
689 Orat XXVII, 14 (373, 3-5): ejxetastevon eij ejpi; aijw'na" ajnafevrontai oiJ lovgoi
tw'n kata; ta;" «hJmevra"» h] «mh'na"» h] «kairou;"» h] «ejniautou;"» ajnagegrammevnwn eJor-
tw'n h] panhguvrewn.
690 Orat XXVII, 14 (373, 19-25): e[sti dev ti" kai; ajnwtevrw th'" dia; eJpta; ejtw'n eJor-
th'" oJ kalouvmeno" ∆Iwbhlai'o", o{ntina ka]n ejpi; poso;n fantasqh'nai ei\naiv ti tranw'" h]
228 Parte prima, Capitolo sesto
mistero racchiude per Origene (con evidente allusione alla discussa dottri-
na dell’apocatastasi), nel succedersi degli «eoni», la manifestazione piena
della misericordia divina verso tutti i peccatori. Non a caso l’Alessandrino,
consapevole dell’ardire di queste sue riflessioni, mette qui in campo la pro-
pria soggettività d’interprete intervenendo in prima persona con un inter-
rogativo che dichiara di essersi posto numerose volte: come conciliare fra
loro Eb 9, 26 («una volta sola ora, nella pienezza dei tempi, è apparso per
annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso») e Ef 2, 7 («per mo-
strare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante
la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù»)? 691 Ora, se s’intende l’espres-
sione «pienezza dei tempi» (suntevleia tw'n aijwvnwn) come «un anno di
eoni», per analogia con i mesi dell’anno l’ultimo di essi prelude a un nuovo
inizio. Così, nel piano temporale di Dio, i nuovi eoni manifesteranno la
sovrabbondanza della sua grazia, nella misteriosa economia provvidenzia-
le disposta da Lui per la salvezza anche dei peccatori più incalliti692 .
Allora la quarta domanda del Padrenostro sollecita l’orante a disfarsi
ulteriormente dei suoi concetti più meschini e riduttivi per affacciarsi sul-
l’orizzonte vertiginoso del disegno divino di salvezza. È un esercizio di
––––––––––––––––––
tou;" ejn aujtw'/ novmou" plhrwqhsomevnou" ajlhqinou;" [ajlhqinw'" BKV, 108 n. 2] oujdenov"
ejsti <plh;n> tou' th;n patrikh;n boulh;n peri; th'" ejn a{pasi toi'" aijw'si diatavxew" kata;
«ta;» « ajnexereuvnhta» «aujtou'» « krivmata» kai; ta;" ajnexicniavstou" aujtou' oJdou;"
teqewrhkovto" (cfr. Rm 11, 33). CMt XV, 31 tocca le stesse tematiche, identificando bibli-
camente un «giorno» con un «eone» e rilevando nuovamente lo sconfinato mistero del
tempo e della salvezza racchiusa in esso: «Chi dunque è capace di riferire a questi giorni
anche i sei e il settimo del riposo, e dopo i sabati, le neomenie, e nel primo mese le festi-
vità, e nel quattordicesimo giorno del mese la Pasqua e nei seguenti gli azzimi? Analoga-
mente, uno così potrebbe precipitare in un abisso di pensieri cercando di dare un senso a
tutte le altre feste a seconda di questi giorni, e anche dell’intero anno sabbatico durante il
quale Dio dona ai poveri, agli stranieri e agli animali tutti i frutti prodotti dalla coltiva-
zione precedente, durante il tempo in cui <la terra> resta incolta. Ma chi potrà elevarsi al-
l’abisso dei giorni del cinquantesimo anno (dico “abisso” a motivo della profondità degli
insegnamenti) per elevarsi alla contemplazione del cinquantesimo anno e del compiersi
delle realtà in esso stabilite dalla Legge?» (tr. Scognamiglio, 268).
691 Orat XXVII, 15 (374, 1-9): pollavki" dev moi ejph'lqen ajporei'n, sugkrouvonti duvo
levxei" ajpostolika;", pw'" suntevleia «aijwvnwn» ejsti;n, ejf∆ h|/ «a{pax» «eij" ajqevthsin tw'n
aJmartiw'n» ∆Ihsou'" «pefanevrwtai», eij mevllousin ei\nai aijw'ne" meta; tou'ton ejpercovme-
noi. [...] kai; peri; thlikouvtwn stocazovmeno" nomivzw o{ti...
692 Orat XXVII, 15 (374, 11-18): ou{tw mhv pote, pleiovnwn aijwvnwn oiJonei; ejniauto;n
aijwvnwn sumplhrouvntwn, suntevleiav ejstin oJ ejnestw;" aijw;n, meq∆ o}n mevllontev" tine" aijw'-
ne" ejnsthvsontai, w|n ajrchv ejstin oJ mevllwn, kai; ejn ejkeivnoi" toi'" mevllousin ejndeivxetai
oJ qeo;" to;n plou'ton th'" cavrito" aujtou' ejn crhstovthti: tou' aJmartwlotavtou kai; eij" to;
a{gion pneu'ma dusfhmhvsanto" kratoumevnou para; th'" aJmartiva" ejn o{lw/ tw'/ ejnestw'ti
aijw'ni kai; ajrch'qen mevcri tevlou" tw'/ mevllonti meta; tau'ta oujk oi\d∆ o{pw" oijkonomhsomev-
nou. Jay, 181, nota 6 osserva che «the whole phrase [...] is a hint at Origen’s speculation
that the Devil will eventually be saved». Analoga linea argomentativa viene proposta in
CMt XV , 31, anche se qui si parla più genericamente della manifestazione della bontà
divina «a coloro cui [Dio] sa di doverla mostrare» (tr. Scognamiglio, 269).
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 229
“trascendimento” del quotidiano onde cogliere il senso nascosto della
storia del mondo e la sua chiave risolutiva nell’amore sconfinato di Dio.
Come tale, esso conduce a celebrare Colui che ha disposto questo piano
benefico693 . Proprio guardando a questo orizzonte colui che prega s’im-
pegnerà a rendersi degno di ricevere il pane ejpiouvsio" non solo per
l’«oggi», nella vita del mondo attuale, ma anche «ogni giorno», cioè nel
susseguirsi degli «eoni» in cui Dio sovrabbonderà con la sua misericordia
verso ogni creatura, aldilà di ogni possibile immaginazione umana694.

7. Nella trama dei doveri reciproci: la domanda per la remissione dei


«debiti»

Un contrappeso all’accentuato spiritualismo che ai nostri occhi mo-


derni contraddistingue l’interpretazione origeniana della quarta domanda
viene dal commento della quinta. È una pagina d’impressionante concre-
tezza, ispirata dalla formulazione di Mt 6, 12 («rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori»), che parla di remissione dei
«debiti» (ojfeilhvmata), laddove in Lc 11, 4 («perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore») compare il termine
«peccati» (aJmartivai)695. Origene ne trae lo spunto per una riflessione sulla
––––––––––––––––––
693 Orat XXVII, 16 (374, 19-27): tau'ta toivnun oJ ijdw;n kai; th'/ dianoiva/ aijwvnwn eJbdo-
mavda, i{na sabbatismovn tina a{gion qewrhvsh/, ejnnohvsa" kai; aijwvnwn mh'na, i{na th;n aJgivan
tou' qeou' i[dh/ noumhnivan, kai; aijwvnwn ejniauto;n, i{na sunivdh/ ta;" tou' ejniautou' ge eJorta;",
o{te dei' pa'n ajrseniko;n ejnwvpion faivnesqai kurivou qeou' (Dt 16, 16), kai; thlikouvtwn
aijwvnwn tou;" ajnavlogon ejniautou;", i{na to; e{bdomon a{gion e[to" katalambavnh/, kai; aijwv-
nwn eJbdomatikou;" eJpta;, o{pw" uJmnhvsh/ to;n thlikau'ta nomoqethvsanta, ejxetavsa": pw'"
duvnatai mikrologh'sai peri; tou' ejlacivstou morivou w{ra" th'" tou' thlikouvtou aijw'no"
hJmevra". Si noti l’uso del verbo mikrologevw , attestato solo in Orat (cfr. XVII, 1 [338, 22-
24]: fwtizwvmeqa uJpo; tou' qeou' pro;" th;n pantelh' kth'sin tw'n ajlhqinw'n ajgaqw'n, ouj
mikrologhvsomen peri; eujtelou'" pravgmato" tou' kata; th;n skiavn ), in ambedue i luoghi
come invito a trascendere la visuale terrena.
694 Orat XXVII, 16 (375, 3-9): tw'/ ga;r ejx ajpeivrwn ejp∆ a[peiron o[nti qew'/ ouj movnon
peri; th'" «shvmeron» ajlla; kaiv pw" tou' «kaq∆ hJmevran» oJ «shvmeron» eujcovmeno", ajpo; tou'
dunatou' dwrhvsasqai uJpe;r ejk perissou' w|n aijtouvmeqa h] noou'men (Ef 3, 20) labei'n
oi|ov" te e[stai, i{n∆ ou{tw" uJperbolikw'" ei[pw, kai; ta; uJpe;r a} ojfqalmo;" oujk ei\de kai; ta;
uJpe;r a} ou\" oujk h[kouse kai; ta; uJpe;r a} ejpi; kardivan ajnqrwvpou oujk ajnevbh (1Cor 2, 9).
L’interpretazione di Lc 11, 3 in FrLc 180 (302, 5-7) sembrerebbe intendere «ogni giorno»
in una luce diversa: ajnagkaivw" de; kai; to; kaq∆ hJmevran provskeitai. oiJonei; ga;r ejpi-
skeuasthv ejstin hJmw'n hJ zwh; hJ ajlhqinhv, i{na kata; qeo;n zh/vsh/ oJ e[sw a[nqrwpo" (cfr. 2Cor
4, 16 – l’aggettivo ejpiskeuastov", «riparato», «restaurato», è un hapax in Origene).
695 Il privilegio accordato alla versione matteana appare nuovamente in linea con
alcune conclusioni dell’esegesi contemporanea: «La cinquième demande du Notre Père
n’est pas à situer immédiatement dans le champ du pardon, mais dans celui de la “dette”
et du “péché”. Sa formulation a été juridique avant d’être religieuse» (Philonenko, 138).
Invece, per Müller K., 176, anche la seconda petizione con il «noi» sarebbe caratterizzata
230 Parte prima, Capitolo sesto
molteplicità dei «doveri»696 , in relazione ai diversi stati di vita, e sull’uni-
versalità che ne consegue della condizione di «debitore» all’interno del
consorzio umano697. Anzi, per chi guardi con attenzione alla condizione
umana, come l’Alessandrino suggerisce al lettore di fare più ampiamente,
––––––––––––––––––
dalla stessa distanza dal Nazzareno: «Die zweite Wir-Bitte verweigert sich dem Sachver-
halt, der die Botschaft des Nazareners unverkennbar prägt [...], dass nämlich “die Schuld-
vergangenheit des Sünders apriori irrelevant ist”». Si noti inoltre che Origene riporta anche
la variante paraptwvmata («trasgressioni») per la versione matteana (si veda infra, nota
703), mentre tratta le specificità del testo lucano in Orat XXVIII, 8, vedendo la correlazione
«debiti»-«peccati». D’altra parte Mt 6, 12b è citato nella forma wJ" kai; hJmei'" ajfhvkamen in
XVIII, 2 e XXVIII, 1; altrove presenta la variante ajfivemen (XXVIII, 8) che assimila il testo a
Lc 11,4b. Peraltro, in XXVIII, 1 questo compare anche, per influsso matteano, come: kai;
ga;r aujtoi; ajfhvkamen panti; ojfeivlonti hJmi'n. Sull’equivalenza «debito» = «peccato» cfr.
anche CRm IV, 1, che osserva come nel rapporto dell’uomo con Dio tutto sia dono: «a
stento mi persuado che vi possa essere una qualche opera che richieda come dovuta una
ricompensa da parte di Dio, dal momento che anche il fatto stesso che possiamo compiere
qualcosa o pensare o parlare ci è possibile farlo per suo dono e benevolenza» (tr. Cocchini
I, 179); «Troverai infatti che spesso nei libri divini i peccati sono chiamati debiti, come il
Signore stesso ci insegnò a dire nella preghiera: Rimetti...» (p. 180).
696 Origene si serve del termine kaqhvkonta (Orat XXVIII, 1), «che nello stoicismo
indica le azioni appropriate, cioè gli atti coerenti alle disposizioni naturali e, fra questi, i
doveri verso il genere umano e la società cui il saggio volentieri si sottometteva e che non
erano considerati di ostacolo alla perfezione» (Monaci Castagno 1997, 124, nota 39). Cfr.
anche Stritzky, 164-165, secondo la quale Origene cristianizza la nozione dei kaqhvkonta,
applicandola ai «comandamenti». Per l’uso del termine in Orat si veda VI, 2 (312, 25-26):
uiJon; to; pro;" gonei'" kaqh'kon mh; ajpodidovnta; VI, 3 (313, 1-3): eij dh; to; ejf∆ hJmi'n swvz/ etai,
muriva" o{sa" ajponeuvsei" e[con pro;" ajreth;n h] kakivan kai; pavlin h] pro;" to; kaqh'kon h]
pro;" to; para; to; kaqh'kon; XXV, 2 (358, 4-5) e[stai pote; kaqh'kon mh; levgein: aJgiasqhvtw
to; o[nomav sou: ejlqevtw hJ basileiva sou. Si noti che in XXIX, 12. 16 il termine è ripreso da
Rm 1, 28. Cfr. inoltre CC IV, 26 (para; to; kaqh'kon – si veda anche V, 35); IV, 98; VII , 48
(con riferimento a Rm 1, 28); CIo V, 1; XIII, 29, 173; HIer XIV, 4.
697 Orat XXVIII, 1 (375, 26-5): ojfeivlomen toigarou'n e[contev" tina kaqhvkonta ouj
movnon ejn th'/ dovsei ajlla; kai; lovgw/ proshnei' kai; toi'sdev tisi toi'" e[rgoi", ajlla; kai;
diavqesivn tina toiavnde ojfeivlomen e[cein pro;" aujtouv" [ajllhvlou" BKV, 111 n. 2]. tau'ta
dh; ojfeivlonte" h[toi ajpodivdomen dia; tou' ejpitelei'n ta; prostassovmena uJpo; tou' qeivou
novmou, h] tw'/ katafronei'n tou' uJgiou'" lovgou mh; ajpodidovnte" mevnomen ejn tw'/ ojfeivlein.
Le diverse sfere cui si applicano i «doveri» dei cristiani vengono così riassunte in HIer
XIV, 4 (108, 23-109, 6) in relazione al testo variante di Ger 15, 10 LXX (oujk wjfeivlhsa,
oujde; wjfeivlhsev moi oujdeiv", «Non ho fatto debiti né alcuno li ha fatti con me», in luogo di
oujk wjfevlhsa, oujde; wjfevlhsev me oujdeiv", «Non ho fatto del bene né alcuno ha fatto del
bene a me»): oJ me;n pa`sin ajpodidou;~ ta;~ ojfeilav~, tw/` to;n fovbon to;n fovbon, tw`/ to; tevlo~
to; tevlo~, tw`/ to;n fovron to;n fovron, tw`/ th;n timh;n th;n timhvn (Rm 13, 7) kai; pa`si ta; kaqhv-
konta ajpodidouv~, wJ~ mh; ojfeivlein ta; kaqhvkonta prov~ tina~, timhvsa~ <gonei`~> wJ~ go-
nei`~, <wJ~> eijpei`n, ajdelfou;~ wJ~ ajdelfouv~, uiJou;~ wJ~ uiJouv~, ejpiskovpou~ wJ~ ejpiskovpou~,
presbutevrou~ wJ~ presbutevrou~, diakovnou~ wJ~ diakovnou~, pistou;~ wJ~ pistouv~, kath-
coumevnou~ wJ~ kathcoumevnou~, eij pavnta ajpodivdwsi ta; kaqhvkonta, oujk wjfeivlhsen. eij
de; ojfeivlei me;n poih`sai kaqh`kon, ouj pepoivhke dev, ouj duvnatai levgein: oujk wjfeivlhsa:
ojfeivlwn ga;r oujk ajpodevdwke. Sull’interpretazione di Rm 13, 7, nella prospettiva del giu-
dizio e con implicazioni demonologiche, cfr. HLc XXIII, 6.
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 231
s’impone la conclusione che non vi è un solo istante dell’esistenza, né di
notte né di giorno, in cui non siamo tenuti a saldare i nostri debiti698 . Se
ancora ve ne fosse bisogno, troviamo qui la dimostrazione più lampante
della dimensione intrinsecamente «corale» della preghiera che soggiace a
molte delle riflessioni origeniane. Facendo propria la domanda insegnataci
da Gesù diventiamo consapevoli del tessuto di responsabilità che ci lega
agli altri esseri umani: come «fratelli» nella comunità ecclesiale; come
«cittadini» nella compagine statuale; come genitori e figli o mariti e mogli
nella famiglia. Ma abbiamo anche altri doveri: non solo nei confronti di
noi stessi – in tutta l’articolazione del nostro essere, che è composto, se-
condo la visuale antropologica cara all’Alessandrino, di «corpo», «anima»
e «mente» (o «ragione») –, ma anche nei confronti degli esseri spirituali
(Orat XXVIII, 2). Origene passa in rassegna anche questi doveri, a comin-
ciare da quelli verso Dio (il Padre), Cristo, lo Spirito per proseguire con i
doveri verso gli angeli, in particolare l’angelo custode. La coralità entro
cui si svolge l’agire degli uomini diventa esplicita in un passo che riprende
nuovamente l’immagine del «teatro del mondo» – scena che impegna allo
spasimo, nell’assunzione delle proprie responsabilità morali:
«E se noi siamo sulla scena del mondo di fronte agli angeli e agli uomini (1Cor
4, 9), va tenuto presente che come colui che è in teatro deve dire o fare quella tal
parte davanti agli spettatori e, non facendola, è punito come se avesse offeso tutto
il teatro, così anche noi di fronte a tutto il mondo, a tutti gli angeli e al genere
umano siamo debitori di quanto, volendo, apprenderemo dalla sapienza» (Orat
XXVIII, 3) 699 .

Dopo aver così focalizzato il discorso dei doveri, Origene accenna più
brevemente al discorso dei diritti. Nella rete di responsabilità, che lega
ciascuno di noi all’altro, siamo anche creditori a vario titolo nei confronti
del prossimo, specialmente quando il debito che esso ha verso di noi non
––––––––––––––––––
698 Orat XXVIII, 4 (377, 24-28): kai; tiv me dei' levgein, paro;n ta; eJautw'n ajnalevge-
sqai ejk tw'n eijrhmevnwn tou;" ejntugcavnonta" th'/de th'/ grafh'/, o{sa ojfeivlonte" h[toi mh;
ajpodidovnte" katasceqhsovmeqa h] ajpodidovnte" ejleuqerwqhsovmeqa… plh;n oujk e[stin ejn
tw'/ bivw/ o[nta pavsh" w{ra" nukto;" kai; hJmevra" mh; ojfeivlein. Il ragionamento esposto qui a
proposito delle responsabilità ecclesiali, in un crescendo che va dalla vedova al vescovo,
richiama l’analoga scala di doveri presente in HIer XI, 3: «Anche da voi e da noi il Verbo
esige una vita buona, ma se bisogna dire così: I forti saranno fortemente esaminati (Sap 6,
6), da me si esige più che da un diacono, da un diacono più che da un fedele, e da colui al
quale è stato affidato lo stesso governo ecclesiastico si esige ancora di più» (tr. Mortari,
135). Cfr. anche HEz V, 4. D’altra parte, in H38Ps I, 3 (328, 5-9) Origene ripropone, in
termini non meno impegnativi, la responsabilità morale che grava su ogni istante della
vita, in questo caso per la custodia della parola (Sal 38[39], 2): «multorum peccatorum
initium est sermo et os nostrum multis malis ministrat et valde difficile est inveniri homi-
nem, qui una saltem hora os suum et linguam suam observet a peccato».
699 Cfr. in proposito le osservazioni di Lugaresi 2003b, 663, del quale riprendo la
traduzione.
232 Parte prima, Capitolo sesto
viene saldato (Orat XXVIII, 5). Ma il Padrenostro ci impegna, secondo
Origene, a far valere tali diritti senza dimenticare i nostri doveri. Ciò vale
significativamente anche per colui che eventualmente ha saldato tutti i de-
biti, dal momento che pure lui ha bisogno di una «remissione» per il tempo
in cui è stato ancora debitore; di ciò rimane comunque traccia, come in un
libro scritto, nel nostro hJgemonikovn per il giorno in cui ci presenteremo al
tribunale di Cristo700 . Sapendoci dunque nel contempo debitori, siamo gui-
dati ad una prassi insieme di responsabilizzazione e di misericordia:
«Ricordandoci infatti di non aver pagato i debiti che avevamo, anzi di aver com-
messo una frode essendo passato il tempo in cui bisognava che li avessimo estin-
ti nei riguardi del nostro prossimo, saremo più miti verso coloro che erano nostri
debitori e non hanno soddisfatto il debito. Soprattutto se non dimentichiamo le
nostre trasgressioni contro la legge di Dio e le parole d’ingiustizia pronunziate
contro l’Altissimo, sia per ignoranza della verità sia per mala sopportazione degli
eventi dipendenti dalle circostanze» (Orat XXVIII, 6)701.
––––––––––––––––––
700 Orat XXVIII, 5 (378, 8-13): au|tai de; aiJ paravnomoi ejnevrgeiai, ejn tw'/ hJgemo-
nikw'/ tupouvmenai, to; kaq∆ hJmw'n givnontai ceirovgrafon (Col 2, 14), ajf∆ ou| dikasqhsov-
meqa, divkhn bivblwn tw'n uJpo; pavntwn, i{n∆ ou{tw" ei[pw, keceirografhmevnwn proacqhso-
mevnwn, o{te pavnte" parasthsovmeqa tw'/ bhvmati (Rm 14, 10) tou' Cristou', i{na komivshtai
e{kasto" ta; dia; tou' swvmato" pro;" a} e[praxen, ei[te ajgaqo;n ei[te fau'lon (2Cor 5, 10).
Sulla traccia lasciata dai peccati in vista del giudizio divino, cfr. HGn XIII, 4 (120, 16-18):
«Istud, quod dicit chirographum, peccatorum nostrorum cautio fuit. Unusquisque etenim
nostrum in his quae delinquit efficitur debitor et peccati sui litteras scribit». Si veda anche
HIer XVI, 10: «Che i peccati che commettiamo si iscrivano in noi per il semplice fatto di
commetterli, lo mostrerà l’esperienza. Non ero consapevole di questa azione o di quel
peccato. Ma, una volta commesso, porto la sua impronta e l’impronta del peccato da me
commesso si iscrive in qualche modo nella mia anima» (tr. Mortari, 210).
701 Ritorna in questo passo (Orat XXVIII, 6 [379, 2-5]) il termine dusarevsthsi" (eja;n
mh; ejpilanqanwvmeqa tw'n eij" to; qei'on hJmi'n paranenomhmevnwn kai; th'" eij" to; u{yo" [Sal
72(73), 8] ajdikiva" hJmi'n lelalhmevnh" h[toi kata; a[gnoian th'" ajlhqeiva" h] kata; dusarev-
sthsin th;n pro;" ta; sumbavnta hJmi'n peristatikav), che compare anche in precedenza (cfr.
Orat X , 1 [319, 22-23]: pa'san th;n pro;" th;n provnoian dusarevsthsin, pri;n eu[xasqai,
ajpobeblhkwv"). L’Alessandrino si serve anche della forma verbale dusarestou'mai per
esprimere l’idea di una “scontentezza” occulta o “malumore” verso la provvidenza (Orat
X, 1 [320, 1-4]: gogguvzousin oiJ mh; tolmw'nte" me;n fwnh'/ kai; o{lh/ yuch'/ kakologei'n ejpi;
toi'" sumbaivnousi th;n provnoian oiJonei; de; boulovmenoi kai; to;n tw'n o{lwn kuvrion ejf∆ oi|"
dusarestou'ntai laqei'n; cfr. anche XIII, 4 [329, 9-10]: mh; dusarestouvmeno" th'/ crh-
stovthti tou' qeou'). Come mostra CMt XVI, 29 (573, 9-26), questa “scontentezza” si con-
trappone alla “gioia” che è frutto dello Spirito: «Portare infatti quel frutto dello Spirito che
è la gioia, quando nessuno provoca in noi tristezza e dispiacere (mhdeno;" ejpi; to; lupei'-
sqai prokaloumevnou kai; dusaresqei'sqai), non è difficile. Ma quando le circostanze
provocano alla sofferenza, all’angustia ed ai dispiaceri (dusarevsthsin), e per l’aiuto del
Logos uno sia progredito al punto di essere lieto anche nei momenti di apparente tristezza
(th'" dokouvsh" dusaresthvsew"), e rallegrarsi di essere oltraggiato e flagellato e insomma
portare in mente, in ogni momento critico, l’esortazione: rallegratevi sempre (1Ts 5, 16),
costui sarà beato, portando un frutto, la gioia, anche se quello non è “tempo dei fichi” (cfr.
Mc 11, 13)» (tr. Scognamiglio, 121). Per lo stesso motivo, ma con diversa terminologia,
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 233
L’incapacità di riconoscere da parte nostra il segno di Dio in tutte le
vicende della vita non può non radicare ancor più in profondità l’equa-
zione fra uomo e «debitore» o, in ultima analisi, fra uomo e «peccatore» –
com’è illustrato di seguito, senza bisogno di ulteriori spiegazioni – dal ri-
chiamo alla parabola del debitore impietoso (Mt 18, 23-35)702. In questo
senso, si può ben dire che nell’interpretazione origeniana la quinta doman-
da del Padre nostro esprime l’esigenza di conversione che sempre accom-
pagna il cammino di colui che è chiamato a diventare figlio di Dio703 .
––––––––––––––––––
cfr. anche CIo XX, 36, 333: «O quando, abbattuti e rabbuiati, ci lasciamo trascinare dal
dolore, fino a perdere quel senso di letizia proprio di chi è dotato di logos (to; i[dion tw'n
logikw'n gau'ron), dimenticando che senza [il volere di] Dio neppure un passero cade nel
laccio e che giusti sono i [suoi] giudizi su ogni singola cosa che capita agli uomini?» (tr.
Corsini, 669-670).
702 Il significato generale della parabola, com’è chiarito in CMt XIV, 6 sottolinea il
valore dell’ajmnhsikakiva , prerequisito indispensabile – come sappiamo (cfr. supra, nota
486): «L’intenzione generale della parabola è quella di insegnarci ad essere indulgenti
verso le colpe commesse dalle persone che ci hanno fatto torto, specialmente se dopo il
torto commesso, il colpevole supplicasse l’offeso, chiedendogli di perdonargli le colpe
passate. La parabola intende altresì darci questo insegnamento e farci capire che dovremo
scontare anche le colpe che Dio ci ha già perdonate, di cui abbiamo avuto la remissione,
se dopo la remissione non avremo assolto a nostra volta le colpe di quelli che ci hanno of-
feso, sì da non lasciare sussistere in noi il benché minimo ricordo del torto ricevuto. Ma è
con tutto il cuore, reso più forte da assenza di rancore (uJpo; ajmnhsikakiva" wjfelhmevnh/ )
[...] che dovremo perdonare a chi ci ha offeso il male commesso intenzionalmente contro
uno di noi» (tr. Scognamiglio, 116-117).
703 Che la quinta domanda sia specificamente legata alla condizione del peccatore
lo si ricava da FrIo 70 (538, 15-20): pw'" dev, eij aJmartwlo;n oujk h[kousen oJ qeov", ejdidav-
skonto oiJ aJmartwloi; levgein: “Afe" hJmi'n ta; paraptwvmata hJmw'n, wJ" kai; hJmei'" ajfivemen
toi'" ojfeilevtai" hJmw'n… tivnwn ou\n ajkouvei qeov"… tw'n neuovntwn eij" metavnoian, ka]n mhvpw
ejpauvsanto tou' ei\nai aJmartwloiv. eij mh; h[kouen oJ qeo;" aJmartwlw'n, oujk a]n meta; te-
lwnw'n kai; aJmartwlw'n oJ swth;r hJmw'n h[sqien kai; e[pinen. Va vista in questa linea anche
la polemica di Origene contro la facilità con cui i presbiteri si arrogano il potere di rimet-
tere peccati “mortali” (Orat XXVIII, 10): «Die Sinnspitze der Argumentation zielt nicht auf
die Unvergebbarkeit von Todsünden, sondern vielemehr auf die Amtsanmaßung von Pres-
bytern, die möglicherweise sogar aus Unkenntnis geschieht und darin besteht, daß diese
den notwendigen Zusammenhang von kirchlicher Buße, Bußgesinnung und Gebet ausei-
nanderreißen» (Stritzky, 171). Origene insomma non afferma l’esistenza di peccati irre-
missibili, bensì insiste perché il perdono dei peccati sia accompagnato da serio penti-
mento e da adeguata penitenza (si veda CC III, 51; CMt XIII, 30; cfr. anche Perrone 2000b,
348 con il rinvio ai passi in cui Origene prevede una possibilità di penitenza anche per i
«peccati mortali»). D’altra parte, CMt XII , 14 mette in guardia dalle pretese di «legare e
sciogliere» per quei ministri che non siano come Pietro. Orat non sviluppa invece la pro-
spettiva della remissione dei peccati assicurata dalla riconciliazione fraterna, com’è in-
vece descritta da HLv II, 4 (296, 4-9): «Quarta nobis fit remissio peccatorum per hoc,
quod et nos remittimus peccata fratribus nostris; sic enim dicit ipse Dominus et Salvator
quia: Si remiseritis fratribus vestris ex corde peccata ipsorum, et vobis remittet Pater ve-
ster peccata vestra. Quod si non remiseritis fratribus vestris ex corde, nec vobis remittet
Pater vester (Mt 6, 14-15), et sicut in oratione nos dicere docuit: Remitte nobis...».
234 Parte prima, Capitolo sesto
8. Il passaggio obbligato della prova: la richiesta per non soccombere
alla tentazione

L’accento di concretezza e l’appello alla responsabilità che contrasse-


gnano il commento della quinta domanda ricompaiono in forma ancor più
nitida nella spiegazione della sesta. Origene le ha dedicato una delle trat-
tazioni più estese e laboriose di tutto lo scritto, a conferma del fatto che la
formulazione della preghiera, non diversamente dagli esegeti contempora-
nei, sollevava per lui un problema 704 . Egli elabora lungamente l’aporia
insistendo sull’imbarazzo ermeneutico per il fatto che il vero significato
della petizione sfugge ai più (Orat XXIX, 1-10)705. Com’è noto, la diffi-
coltà affiora già dal modo di tradurre la richiesta comune a entrambe le
versioni: «Non ci indurre in tentazione» (Mt 6, 13a; Lc 11, 4c) – secondo
la traduzione vulgata706 . Nell’ottica di Origene essa andrebbe semmai
resa con «Fa’ che non entriamo nella tentazione», intendendola peraltro
come «Fa’ che non soccombiamo alla tentazione»707. È infatti impensa-
bile che il Signore ci insegni a pregare perché non siamo sottoposti alla
tentazione, quando l’intera vita dell’uomo sulla terra si svolge nel segno
della «prova» (Gb 7, 1)708. Riaffiora qui, al massimo della sua intensità,
––––––––––––––––––
704 «De toutes les demandes du Notre Père, la sixième est, peut-être, la plus discu-
tée» (Philonenko, 139). Si veda anche l’ampia analisi di Cullmann, 83-84, che critica
l’interpretazione di Origene, e Becker. Quanto a Müller K., 182-183, egli sfrutta anche la
testimonianza della sesta petizione a sostegno della tesi che la preghiera provenga origi-
nariamente da Giovanni Battista: «Dessen akute, aber nach wie vor rein futurische Naher-
wartung passt perfekt zu den beiden Du-Bitten. So wie die Brotbitte mit seiner – aus
solcher Naherwartung resultierenden – asketischen Lebeneinstellung zusammenstimmt.
Und so wie die letzten Wir-Bitten um Schulderlass und um Verschonung vor Versuchung
ein Reflex der geschärften Sündenbewusstheit des Täufers sein können».
705 Orat XXIX , 4 (383, 10-11): kai; eja;n mh; sunw'men to; tou;" pollou;" lanqavnon
peri; tou' mh; eijselqei'n eij" peirasmo;n proseuvcesqai. Non vi è ragione di emendare (con
BKV, 120 n. 6): eja;n hJmei'" sunw'men, poiché in questo caso non si capirebbe l’obiezione
che segue sul fatto che gli apostoli non siano stati esauditi. Cfr. anche XXIX, 5 ([383, 27-
29] eujlovgw" ti" uJpolhvyetai tw'n mh; ajkribouvntwn, tiv to; bouvlhma th'" prostavxew" tou'
swth'ro", ejnantivw" gegonevnai oi|" oJ kuvrio" hJmw'n peri; eujch'" ejdivdaxe).
706 Peraltro Origene riporta il passo insieme a Mt 6, 13b («ma liberaci dal male»),
mentre nota l’assenza di quest’ultima richiesta in Luca (Orat XXIX, 1; cfr. anche supra,
nota 607; FrLc 174 (300, 21-23): ijdiva/ toi'" maqhtai'" wJ" uJyhlotevroi" tw'n loipw'n to;n
Cristo;n uJfhgouvmenon to;n th'" eujch'" lovgon, oujde; tov: rJusqh'nai ajpo; tou' ponhrou' ejpi-
fevronta.
707 Sui vari modi di tradurre l’espressione, cfr. Philonenko, 148 ss.; egli rende con:
«Et fais que nous n’entrions pas dans l’épreuve».
708 Il vocabolo peirathvrion, ripreso da Gb 7, 1 LXX («Non è forse una prova la vita
dell’uomo sulla terra?»), è adoperato 10 volte da Origene, di cui ben 6 in Orat. Ma, come
mostra Orat XXIX, 2, egli incontrava il termine anche in Sal 17(18), 30: «In te sarò liberato
dalla tentazione». Il richiamo a Gb 7, 1 marca anche la descrizione delle tappe d’Israele
nel deserto (cfr. HEx V, 3) e ritorna nella spiegazione del nome Engaddi di Ct 1, 14; cfr.
CCt II, 11, 10 (172, 3-8): «Engaddi autem interpretatur oculus tentationis meae, si quis est
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 235
la nota «agonica» che per l’Alessandrino accompagna le vicende dell’esi-
stenza terrena, segnata lungo tutto il suo arco dal perdurare del conflitto
fra la «carne» e lo «spirito» (Orat XXIX, 1)709. Nessuno quindi è escluso
dalla tentazione, neppure coloro che sono avanzati sul cammino della per-
fezione, come Origene si sforza di chiarire in base alla Scrittura, richia-
mando fra l’altro l’esempio dei patriarchi, degli apostoli e di Giobbe, ma
soprattutto di Paolo, a cui – come risulta anche da Orat – va sempre la
sua predilezione quale autorità paradigmatica710 .
Come aveva fatto per la sfera onniavvolgente dei «doveri» commen-
tando la quinta domanda, l’Alessandrino ricorda adesso che non v’è mo-
mento della vita che sfugga alla «tentazione» e al rischio di peccare insito
in essa711 . Volgendo lo sguardo alla condizione umana in generale, con
un analogo catalogo estensivo, vediamo infatti come nessuna situazione
di vita ne resti immune: seppure in maniera diversa, ne sono ugualmente
toccati ricchi e poveri (Orat XXIX, 5-6), sani e malati (7), persone altolo-
cate e gente del basso ceto (8), inclusi coloro che – come l’autore stesso –
«meditano “giorno e notte” la Legge del Signore» e possono incorrere an-
ch’essi in errore (9-10). Mai come in questa occasione Origene si rivela
capace di coniugare l’afflato spirituale della sua riflessione con una con-
siderazione realistica delle molte fragilità umane, fra l’altro denunciando
en passant la simulazione nei rapporti sociali fra inferiori e superiori, vi-
ziati da una «sottomissione adulatoria» che snatura «ciò che vi è di più
bello tra gli uomini: l’amore»712. Si tratta perciò di pregare non affinché
––––––––––––––––––
qui intellectum habere potest quomodo tentatio est vita hominis quae est super terram
(Gb 7, 1), et intelligit quomodo quis in Deo eripitur a tentatione, et qui agnoscit qualita-
tem tentationis suae, ita ut possit de ipso dici quia in his omnibus non peccavit labiis suis
coram Deo (Gb 2, 10), huic botrus cypri de vineis Engaddi efficitur Verbum Dei».
709 Non è un caso che in questo capitolo faccia la sua prima comparsa il termine
ajgwvn, e significativamente per la tentazione dell’interprete della Scrittura. Cfr. Orat XXIX,
10 (386, 9-11): tou'to paqw;n dia; to; to;n ejn tw'/ ajnaginwvskein ta; a{gia peirasmo;n mh; ne-
nohkevnai mhde; wJ" pro;" ajgw'na kai; tovte aujtw'/ ejnesthkovta oJplisavmeno" kai; stav".
710 Orat XXIX , 4 (383, 22-24): tw'n de; ajpostovlwn ejn tw'/ eu[cesqai mh; ejpiteteu-
covtwn, tiv" ejlpi;" tw'n uJpodeestevrwn tini; par∆ ejkeivnou" eujcomevnw/ ejphkovou qeou' tu-
cei'n… Origene continua qui a ragionare nell’ottica dell’elaborazione aporetica, per cui allo
sguardo superficiale gli apostoli, con tutte le prove che dovettero subire (in primis nel ri-
cordo di Paolo), sembrerebbero non essere stati esauditi da Dio. L’esempio di Paolo, che
ritorna spesso in questo capitolo, è valorizzato in chiave autobiografica soprattutto da
XXIX, 5, con il rinnovato richiamo a 2Cor 12, 7.
711 Orat XXIX , 5 (383, 29-32): povte dev ti" nenovmiken ei\nai e[xw peirasmw'n ajn-
qrwvpou", w|n h[/dei to;n lovgon sumpeplhrwkwv"… kai; poi'o" kairov" ejstin, ejn w|/ wJ" mh; ajgw-
nizovmeno" peri; tou' mh; aJmarthvsesqai katapefrovnhke… XXIX, 9 (385, 25-26): prosqhvsw
de; [<tw/' > BKV, 124 n. 5] eij" to; peirasqh'nai pavnta kairo;n [<kairo;n> BKV, 124 n. 5]
peirasmou' ei\nai toi'" ajnqrwvpoi" kai; tau'ta.
712 Orat XXIX, 8 (385, 9-14): kai; tiv me dei' katalevgein ta; tw'n nomizomevnwn eujge-
nw'n ejn uJperhfaniva/ ptaivsmata kai; tw'n legomevnwn dusgenw'n dia; to; ajnepivsthmon th;n
pro;" tou;" uJperevcein nomizomevnou" uJpovptwsin qwpeutikh;n, ajfista'san qeou' tou;" gnh-
236 Parte prima, Capitolo sesto
siamo liberati dalla tentazione, bensì per non soccombere in essa, Ora,
cominciando a mettere in luce l’economia divina di prova e peccato, Ori-
gene dichiara:
«Colui che soccombe nella tentazione, vi entra, penso, avvolto nelle sue reti in
cui, per la salvezza di quelli che erano già caduti, entrò il Salvatore osservando
tra le grate (Ct 2, 9), come è detto nel Cantico dei Cantici. E si rivolge a quelli
che sono caduti e sono entrati in tentazione, e dice loro, come alla sua sposa: Le-
vati, amica mia, bella mia, colomba mia (Ct 2, 10)» (Orat XXIX, 9)713.

Non è casuale che Origene accenni adesso all’esegesi del Cantico,


che – come sappiamo – rappresenta una delle pagine più alte ed emblema-
tiche di tutta la sua opera. Infatti attraverso il tema della «prova» arriviamo
a cogliere un nodo assolutamente centrale nella sua visione dei rapporti
fra Dio e uomo. Fedele anche in questo alla prospettiva biblica, Origene
afferma che le prove a cui gli uomini vengono sottoposti sono volute da
Dio per la loro maturazione e salvezza. Egli non abbandona nessuno al
proprio destino, specialmente coloro che, «entrati in tentazione», non sono
stati capaci di reggere ad essa, conformemente all’esortazione di Gesù in
Lc 22, 40 (Mt 26, 41): «Pregate, per non entrare in tentazione»714 . Né si
deve pensare che quanti non vengono esauditi da Dio nella loro preghiera,
siano da Lui “consegnati” direttamente al male, come sembrerebbe insi-
nuare una lettura errata di Rm 1, 28 («E poiché hanno disprezzato la co-
noscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia d’una intelligenza depra-
vata, sicché commettono ciò che è indegno»), evocata in polemica con
gnostici e marcioniti715 . Invece, anche per costoro continua a dispiegarsi
––––––––––––––––––
sivan me;n filivan oujk e[conta" to; de; kavlliston tw'n ejn ajnqrwvpoi", th;n ajgavphn, uJpokri-
nomevnou"…
713 Sull’interpretazione di Ct 2, 9-10 si veda CCt III, 14, 27-34, in particolare 28,
(222, 3-7): «laquei ergo tentationum et decipulae insidiarum diaboli retia appellantur. Et
quoniam haec retia ubique tetenderat inimicus atque in ipsis paene omnes involverat, neces-
sarium fuit adesse aliquem qui fortior et eminentior his fieret et contereret ea, ut sequenti-
bus se viam possit aperire»; HCt II, 12 (98, 30-35): «Eminet igitur sponsus per retia; viam
tibi fecit Iesus, descendit ad terras, subiecit se retibus mundi; videns magnum hominum
gregem retibus impeditum nec ea ab alio nisi a se posse conscindi, venit ad retia, assu-
mens corpus humanum quod inimicarum fortitudinum laqueis tenebatur, ea tibi dirupit».
714 È questo l’unico passo di Orat in cui si accenna, sia pure indirettamente, alla pre-
ghiera nel Getsemani, trattata invece ampiamente in CC e CMt. Sull’esegesi di Mt 26, 41
(Lc 22, 40) si veda CMtS 93 (211, 14-20): «Ut ne intretis in temptationem: hoc (secundum
quod multi intellegunt) tale est ac si dicat: ut non temptemini; si autem sic placuerit Deo,
adquiescite Deo, sicut me audistis orantem. Considera autem, si possibile est sic intellegere
magis, quoniam vita nostra ipsa temptatio est secundum Iob; “intrare” autem in temptatio-
nem aut “venire” in temptationem est cadere in temptationem et vinci ab ea».
715 Dall’accostamento fra Lc 22, 40 (Mt 26, 41) e Rm 1, 22-28 Origene enuclea
ampiamente la quaestio in funzione antivalentiniana ed antimarcionita, riepilogandola in
Orat XXIX, 12. Si noti la terminologia tecnica dell’esercizio zetetico che ricorre in più
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 237
l’azione benefica di Dio, Padre provvidente, buon «economo» e peda-
gogo amorevole per tutte le sue creature, senza peraltro che venga mai
intaccata la libertà degli uomini716 . Origene riassume nei seguenti termini
quello che possiamo a ragione definire il suo “credo” essenziale:
«Io ritengo che Dio si prenda cura di ogni anima razionale avendo di mira la sua
vita eterna; essa ha sempre il libero arbitrio e può per propria causa trovarsi nella
condizione di progredire fino al vertice del bene o discendere in vario modo, a
causa della negligenza, a questo o quell’abisso di male» (Orat XXIX, 13).

Ora, se Dio sembra lasciare che l’uomo cada nella perdizione, Egli
lo fa con un intento preciso. Come mostrano le guarigioni troppo repenti-
ne, che danno invece luogo a ricadute ancor più gravi, l’esperienza stessa
del male, nell’apparente abbandono di Dio, si tramuta in una battuta d’ar-
resto temporanea, preludio a una rinascita nel bene; il peccatore, lasciato
a se stesso, giungerà prima o poi ad avere nausea del male e a desiderare
nuovamente il bene. Per illustrare questa idea “terapeutica” della prova,
che tradisce un evidente ottimismo soteriologico, Origene si serve di esem-
pi biblici, in particolare l’episodio delle carni di cui Dio nutre il popolo di
Israele nel deserto, dopo le sue lamentele, finché esse gli vengono a nau-
sea (Nm 11), o il racconto dell’Esodo ove si narra l’indurimento del cuore
del Faraone ad opera di Dio (Orat XXIX, 15-16)717 . L’uno e l’altro esem-
pio servono a giustificare la necessità di pregare, secondo il Padrenostro,
affinché non agiamo in alcun modo per «entrare in tentazione»718.
––––––––––––––––––
passi (XXIX , 13 [387, 25-26]: qewrhtevon eij kai; hJmei'" euJrivskomen ajxiolovgou" tw'n ajpem-
favsewn luvsei"; XXIX, 14 [388, 29-31]: i[dwmen ou\n th;n iJstorivan, eij crhsivmw" uJmi'n pa-
rebavlomen aujth;n pro;" luvsin tou' ajpemfaivnonto" ejn tw'/ mh; eijsenevgkh/" hJma'" eij" peira-
smo;n kai; ejn tai'" ajpostolikai'" levxesin).
716 Sull’idea origeniana di provvidenza, si veda Perrone 2000d, con la bibliografia
ivi indicata.
717 Riguardo al secondo tema, già ampiamente trattato in Prin III, 1, si veda Il cuore
indurito del Faraone. Origene e il problema del libero arbitrio (= Perrone 1992a). L’in-
terpretazione di Nm 11 in Orat XXIX, 14 offre il modello più generale di spiegazione, che
si applica anche a 1 Rm 1, 28 (Orat XXIX, 15). Sul valore formativo delle tentazioni, per
chi pure si è già inoltrato sul cammino di perfezione, insiste HNm XXVII, 12 (274, 14-19):
«Quid est hoc, quod quamvis grandes habeat anima profectus, tamen tentationes ab ea
non auferuntur? Unde apparet quia velut custodia quaedam et munimen ei tentationes
adhibentur. Sicut enim caro, si sale non adspergatur, quamvis sit magna et praecipua, cor-
rumpitur, ita et anima, nisi tentationibus assiduis quodammodo saliatur, continuo resolvi-
tur ac relaxatur».
718 Orat XXIX , 16 (391, 17-23): eujcwvmeqa mhde;n a[xion poih'sai tou' uJpo; th'"
dikaiva" krivsew" tou' qeou' eijsenecqh'nai eij" to;n peirasmovn (cfr. Mt 6, 13; Lc 11, 4),
eijsferomevnou pantov" te tou' paradidomevnou uJpo; tou' qeou' ejn tai'" ejpiqumivai" th'" kar-
diva" eJautou' eij" ajkaqarsivan (cfr. Rm 1, 24) kai; panto;" tou' paradidomevnou eij" pavqh
ajtimiva" (cfr. Rm 1, 26) kai; panto;" tou', kaqw;" oujk ejdokivmase to;n qeo;n e[cein ejn eJautw',/
paradidomevnou eij" ajdovkimon nou'n, poiei'n ta; mh; kaqhvkonta (Rm 1, 28).
238 Parte prima, Capitolo sesto
Ma vi è anche una seconda spiegazione in positivo della tentazione:
oltre alla finalità medicinale essa riveste anche un valore diagnostico (Orat
XXIX, 17). La prova è l’occasione perché vengano allo scoperto le ricchez-
ze e i limiti della nostra anima, i doni accumulati dentro di essa grazie al-
l’aiuto di Dio e la malvagità che vi si è annidata a poco a poco, senza che
ce ne rendessimo conto. Se tutto ciò è noto a Dio, lo diventa anche a noi
per il tramite della tentazione, che ci pone dinanzi a noi stessi, nel bene e
nel male719 . Anche sotto questo profilo Origene riequilibra il registro dram-
matico dell’«agone» nel mondo, leggendolo nuovamente come espressio-
ne del rapporto di amore di Dio verso l’uomo. Ne consegue un’esortazione
a essere sì vigilanti ma anche fiduciosi nella lotta, che pure non dà tregua,
con le potenze del male:
«Perciò nelle pause della serie di tentazioni ergiamoci contro il pericolo che ci
sovrasta e siamo preparati a tutto quello che può accadere, affinché, qualunque
cosa accada, non veniamo trovati impreparati, ma ci mostriamo addestrati perfet-
tamente; quello, poi, che ci manca a causa dell’umana debolezza, dopo che avre-
mo fatto tutto ciò che dipende da noi, lo compirà Dio che volge tutte le cose al
bene di quelli che lo amano (Rm 8, 28) e li vede nella sua verace preveggenza
come saranno in futuro» (Orat XXIX, 19).

Potremmo concludere con questa esortazione l’analisi dell’interpreta-


zione origeniana del Padrenostro, ma l’Alessandrino ha proseguito la sua
spiegazione della sesta petizione anche sulla seconda parte di Mt 6, 13b:
«ma liberaci dal Maligno» (Orat XXX)720 . Il senso di questa invocazione
non può certo consistere nel domandare al Padre di essere sottratti alla
prova, bensì nel chiedergli aiuto e forza per gareggiare vittoriosamente
con le forze del male, sull’esempio di Cristo che – ancor più di Giobbe –
non è mai venuto meno nelle tentazioni721 . Per chi, pregando nello Spirito
––––––––––––––––––
719 Come sempre Origene argomenta la sua tesi in riferimento alla Scrittura, addu-
cendo gli esempi della facilità di Eva a lasciarsi ingannare o della malvagità di Caino, vizi
che erano già operanti in loro prima che si manifestassero. Altri esempi a conferma del
valore diagnostico della tentazione sono ricavati dalle storie di Caino, Esaù e Giuseppe
(Orat XXIX, 18). Sul risultato conoscitivo della prova, mancata o superata che sia, si veda
anche HLc XXVI, 4 (278, 18-24): «Cum enim anima tua fuerit aliqua tentatione superata,
non tentatio te vertit in paleas, sed cum esses palea, levis videlicet et incredulus, ostendit te
esse tentatio, quod latebas. E contrario autem cum fortiter tentamenta toleras, non te facit
fidelem tentatio atque patientem, sed virtutem, quae in te erat patientiae et fortitudinis, sed
latebat, profert in medium».
720 L’interpretazione in chiave personale di tou' ponhrou' (anziché «dal male») trova
conferma in H36Ps II, 4 (88, 8-11): «Sed et Dominus in Evangelio diabolum non dixit
peccatorem tantummodo, sed malignum vel malum et cum docet in oratione vel dicit: sed
libera nos a malo».
721 La superiorità di Cristo è indicata dalla triplice tentazione sostenuta vittoriosa-
mente, laddove Giobbe ne ha sostenuto con successo due. Cfr. Orat XXX, 2 (394, 23-27):
duvo de; palaivsmata palaivsa" oJ ∆Iw;b kai; nikhvsa" trivton oujk ajgwnivzetai thlikou'ton
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano 239
la «Preghiera del Signore», si affida al sostegno del Padre, resta la certezza
che prove ed ostacoli non intralceranno il cammino, per quanto arduo e fa-
ticoso, dei figli di Dio verso la santità. Assimilati sempre più all’immagi-
ne del Verbo, essi estinguono le frecce infuocate lanciate su di loro dal
Maligno «poiché hanno in se stessi fiumi di acqua zampillante per la vita
eterna (Gv 4, 14; 7, 38) 722 , e non lasciano che i dardi del Maligno (Ef 6,
16) s’infittiscano ma facilmente li disperdono con il diluvio dei divini e
salutari pensieri impressi dalla contemplazione della verità nell’anima di
chi si sforza d’essere spirituale» (Orat XXX, 3).

––––––––––––––––––
ajgw'na: e[dei ga;r th;n peri; tw'n triw'n pavlhn thrhqh'nai tw'/ swth'ri, h{ti" ejn toi'" trisi;n
eujaggelivoi" ajnagevgraptai, ta; triva nikhvsanto" tou' kata; to;n a[nqrwpon swth'ro" hJmw'n
nooumevnou to;n ejcqrovn. In H36Ps V, 7 (242, 59-61) la petizione è collegata alla minaccia
di essere requisiti dal diavolo e dagli spiriti peccatori al momento del giudizio: «et forte
propterea iubemur cum quodam mysterio etiam in oratione petere, dicentes: et libera nos
a malo». Per HLc XXXV, 5 (350, 27-29; 352, 8-12) l’uomo non può mai sfuggire alla
compagnia dell’Avversario: «Semper nobiscum est adversarius (cfr. Lc 12, 58): infelices
nos atque miserabiles! [...] Semper nobiscum adversarius graditur, nunquam nos deserit,
quaerit occasionem insidiarum, si quomodo nos subvertere queat et in principali cordis
nostri malam subiciat cogitationem».
722 Per l’interpretazione dei due passi giovannei si veda, ad esempio, HGn I , 2 (3,
24–4, 4): «Studeat ergo unusquisque vestrum divisor effici aquae eius quae est supra et
quae est subtus, quo scilicet spiritalis aquae intellectum et participium capiens eius quae
est supra firmamentum, flumina de ventre suo educat aquae vivae, salientis in vitam aeter-
nam, segregatus sine dubio et separatus ab ea aqua quae subtus est, id est aqua abyssi, in
qua tenebrae esse dicuntur, in qua princeps huius mundi et adversarius draco et angeli
eius habitant».
PARTE SECONDA

Il discorso origeniano sulla preghiera


e le trattazioni eucologiche
del primo cristianesimo (II-V secolo)
CAPITOLO SETTIMO

«COME INCENSO AL TUO COSPETTO» (SAL 140[141], 2)


L’immagine della preghiera nell’opera di Origene

«L’uomo non è fatto per delle opere di miseri-


cordia esteriore, è fatto per adorare anzitutto nel
suo cuore l’Ospite divino, nell’istante presente»
(Louis Massignon)

1. Un tentativo di sintesi: fra rassegna e ricostruzione organica

Il trattato sulla preghiera, pur con la straordinaria ricchezza di pen-


siero che lo contraddistingue, non esaurisce la riflessione di Origene sul-
l’argomento. Né si può dire che la riassuma a pieno titolo, dal momento
che l’Alessandrino non solo ritorna più volte sul nostro tema nei diversi
scritti, ma in essi introduce anche prospettive nuove ed originali che non
erano contemplate, neppure implicitamente, in Orat. Di conseguenza,
come ho ricordato all’avvio della mia indagine, perdura tuttora nella ricer-
ca l’interrogativo sul grado di rappresentatività che il “modello alto” di
preghiera, elaborato da Origene nel trattato, è suscettibile di rivestire più
in generale proprio alla luce di queste posizioni distinte723 . Una risposta a
tale domanda può venire soltanto dopo aver proceduto ad un inventario
dei passi in cui l’Alessandrino tocca il tema della preghiera nel resto della
sua opera e ad un loro esame comparativo, evitando di procedere con
troppa fretta ad una ricostruzione sistematica ed omogenea della teologia
origeniana sulla preghiera. Il caveat che grava al riguardo, volenti o no-
lenti, sugli sforzi degli studiosi contemporanei e li rende più restii che in
passato a sciogliere le tensioni emergenti nell’opera di Origene, non può
insomma non far sentire i suoi effetti anche sulla mia esposizione.
Tuttavia, ritengo possibile contemperare il rispetto verso la fisiono-
mia molteplice e diversificata del pensiero dell’Alessandrino, lungo l’arco
della sua estesissima produzione – com’essa si esprime attraverso opere
dal profilo letterario e dal pubblico distinti –, ed insieme la messa in luce
di quei nodi concettuali che tramano più o meno costantemente la sua ri-
flessione, a partire dai loro riferimenti scritturistici più consueti. Così, se
in passato ho preferito optare prudentemente per una presentazione del
discorso di Origene sulla preghiera accostando di seguito ad Orat le te-
––––––––––––––––––
723 Rimando alle considerazioni introduttive nonché al Cap. 2 (in part., pp. 46-48).
244 Parte seconda, Capitolo settimo
stimonianze contenute rispettivamente nelle omelie, nei commentari e nel
Contro Celso, oggi sono convinto che sia giusto tentare di compiere un
passo ulteriore dando spazio ad un tentativo di sintesi più organica, sia
pure alla luce della principale fonte d’ispirazione dell’Alessandrino724 . Si
può certo fare tesoro delle riserve contro una sistematizzazione arbitraria
del suo pensiero, che attenua differenze e polarità risultanti dalle sue di-
verse espressioni (vuoi per il medium comunicativo prescelto vuoi per i
destinatari differenziati) e rischia inoltre di ignorare l’eventuale condizio-
namento operante su di esse a causa dei contesti e dei tempi diversi. Ma si
farebbe torto ad Origene se non si cercasse di corrispondere alle sue mol-
teplici sollecitazioni concettuali tracciando anche un quadro che operi al
loro interno una ricostruzione tematica più organica725. Senza offrire qui
una rassegna esaustiva di tutti i passi attinenti il tema della preghiera al di
fuori di Orat – che dilaterebbe oltre misura le dimensioni del mio lavoro,
tra l’altro con un inevitabile fardello di riprese e ripetizioni –, esaminato
il profilo particolare delle nostre fonti, vorrei piuttosto tracciare una
mappa dei luoghi principali, prima di passare, nel capitolo successivo, a
riaggregare concettualmente i dati dispersi nell’insieme degli scritti attra-
verso un esame dei loro nuclei scritturistici.

2. Il profilo distinto delle fonti e la loro utilizzazione

La consapevolezza del diverso profilo assunto dalle fonti, nella fre-


quentazione dell’opera e del pensiero di Origene, appare già presente fra i
lettori antichi dell’Alessandrino, che non mancano così di trarne indica-
zioni in merito al rilievo particolare da assegnare ad un testo rispetto ad un
altro. Il più esplicito è senz’altro Gerolamo, che parlando della sua varia
produzione esegetica, nella celebre prefazione alla traduzione latina delle
Omelie su Ezechiele, tende a rimarcare le distinzioni fra i commentari, le
omelie e gli scolî o excerpta726 . Secondo lui, se nei grandi commentari bi-
––––––––––––––––––
724 Si veda la mia voce Preghiera (Perrone 2000c).
725 Negli studi odierni il modello più coerente e rigoroso di un’indagine che tiene
conto di ambedue i criteri è costituito, a mio avviso, da Buchinger 2005. Egli ha suddiviso
la sua monografia in due parti, la prima delle quali offre una «presentazione diacronica»
della concezione della Pasqua in Origene (vol. 1), mentre la seconda (vol. 2) ne ricostrui-
sce gli «aspetti sistematici».
726 Cfr. SC 352 (30, 16-32, 24): «Origenis opuscula in omnem Scripturam esse tri-
plicia: primum eius opus excerpta, quae Graece scovlia nuncupantur, in quibus ea, quae
sibi videbantur obscura atque habere aliquid difficultatis, summatim breviterque perstrin-
xit; secundum homileticum genus, de quo et praesens interpretatio eius est; tertium quod
ipse inscripsit tovmou", nos volumina possumus nuncupare, in quo opere tota ingenii sui
vela spirantibus ventis dedit et recedens a terra in medium pelagus aufugit». Sui problemi
sollevati dal passo in rapporto all’opera pervenutaci si veda Nautin, 372-375; Junod 1995;
Le Boulluec.
«Come incenso al tuo cospetto» 245
blici (tovmoi) Origene ha dato fondo a tutte le risorse della propria arte ese-
getica, questa tende invece a presentarsi in forma più succinta ed incom-
pleta non solo negli scolî ma soprattutto nelle omelie. In questo senso,
stando sempre a Gerolamo, si possono opporre fra loro il Commento e le
Omelie sul Cantico dei Cantici 727 , mentre in altri casi – come le Omelie
sul Vangelo di Luca – occorre riconoscere ancor più manifestamente il
loro carattere elementare, di gran lunga inferiore all’eccellenza di cui Ori-
gene dà prova nelle sue opere mature e più impegnative728.
Gli apprezzamenti di Gerolamo, sebbene limitati agli scritti esegetici,
hanno continuato ad influenzare anche i lettori moderni dell’opera di Ori-
gene. Solo gradualmente essi sono pervenuti ad una valutazione più auto-
noma e complessa degli scritti dell’Alessandrino, fra l’altro ponendoli
maggiormente in rapporto con le forme espressive della letteratura coeva
oppure recuperando la percezione già propria degli antichi circa le loro
modalità argomentative729 . Restando adesso nell’ottica dei generi letterari,
se si attribuisce ancora qualche valore alla distinzione proposta da Gero-
lamo fra commentari e omelie, e con essa si assume l’idea di uno scarto
sia quantitativo che qualitativo fra l’uno e l’altro genere, ciò può deter-
minare conseguenze significative anche per il nostro discorso. In tal caso,
a chi obietta la scarsa rappresentatività del trattato a fronte, per esempio,
del modo in cui Origene tocca il tema della preghiera nelle omelie, si po-
trebbe replicare che il livello della riflessione condotta in queste ultime,
per la loro stessa natura, non era tale da poter competere con quello ben
più specifico sviluppato nel trattato. Pertanto, l’uditorio meno qualificato
del predicatore avrebbe imposto ad Origene di volare più basso, riser-
vando ai lettori del trattato un discorso meglio approfondito e più impe-
––––––––––––––––––
727 La lettera a papa Damaso, premessa alla versione latina di HCt (16, 10-16),
sottolinea l’opposizione magna (= CCt)-parva (= HCt), in relazione al pubblico dei «prin-
cipianti» cui sono rivolte le omelie: «Itaque illo opere praetermisso, quia ingentis est otii
laboris et sumptuum tantas res tam digne in latinum transferre sermonem, hos duos tracta-
tus, quos in morem cotidiani eloquii parvulis adhuc lactantibusque composuit, fideliter
magis quam ornate interpretatus sum, gustum tibi sensuum eius, non cibum offerens, ut
animadvertas quanti sint illa aestimanda quae magna sunt, cum sic possint placere quae
parva sunt».
728 Nella Praefatio a HLc (1, 10-11), indirizzata a Paola ed Eustochio, Gerolamo
dichiara di accogliere, sia pure con disagio, la loro richiesta di tradurre le 39 Omelie sul
Vangelo di Luca, «quia sublimiora non poscitis», come sarebbe invece nel caso dei 26 tomi
del Commento a Matteo, dei 5 del Commento a Luca o dei 32 del Commento a Giovanni.
La menzione dei grandi commentari serve ad enfatizzare l’antitesi con il profilo modesto
di HLc, derivante anche dal fatto che non sono un’opera degna della maturità esegetica
dell’Alessandrino (2, 1-3): «Fateor itaque [...] in his Origenem tractatibus quasi puerum
talis ludere. Alia sunt virilia eius et senectutis seria».
729 Ciò vale, in generale, più per i commentari o i trattati (come Prin e CC) che non
per le omelie. Quanto al distinto rilievo formale dell’argomentazione, ne ho discusso spe-
cialmente in Perrone 1999a.
246 Parte seconda, Capitolo settimo
gnativo, analogamente a quanto avviene per il pubblico dei commentari
rispetto all’uditorio dei sermoni.
In realtà, si tratta di una risposta troppo facile perché le cose non
sono affatto così semplici. Da un lato, infatti, verrebbe da obiettare che a
prima vista neppure i commentari rispecchiano troppo da vicino le idee
del trattato sulla preghiera (un’impressione che, come vedremo in seguito,
necessita comunque di importanti correzioni); dall’altro, occorre più in
generale tenere presente che né per i «commentari» né per le «omelie» si
deve partire dall’idea di un genere, per così dire, “monolitico”. Come mo-
stra il confronto fra le Omelie sul Cantico dei Cantici e le Omelie su Luca,
un unico genere può dare luogo a risultati abbastanza diversi sul piano
della forma e dei contenuti, anche rispetto allo schema suggerito dalle os-
servazioni di Gerolamo730 . Del resto, le stesse Omelie sul Cantico dei Can-
tici sono tutt’altro che la versione abbreviata del più ampio Commento,
poiché, pur spiegando lo stesso testo, a volte danno luogo a sviluppi diver-
si; questi, poi, più che essere indizio della diversità di genere, attestano
semmai gli elementi innovativi dell’operazione esegetica in quanto tale e
spingono ad interrogarsi su quella dimensione diacronica che spesso ap-
pare così sfuggente nell’opera di Origene, non fosse per le informazioni
di Eusebio e qualche indizio – retrospettivo o prospettico – fornitoci dal-
l’Alessandrino731 . Quanto ai commentari considerati in se stessi, l’acribia
e l’ampiezza interpretative che perlopiù li caratterizzano non possono na-
scondere anche certe modalità e accentuazioni distinte nei loro procedi-
menti esegetici, come riscontriamo soprattutto dal confronto tra il Com-
mento a Giovanni e il Commento a Matteo732 .
Se queste considerazioni tendono a ridimensionare la distinzione dei
generi letterari e a scomporre semmai il singolo genere in una varietà di
prodotti, ragionando ulteriormente sul profilo delle fonti, potremmo osser-
vare che perfino Origene sembra incoraggiare una relativa “omologazione”
fra commentari e omelie, quando egli si esime dall’esegesi approfondita
di questo o quel passo rimandando espressamente il lettore dei commen-
––––––––––––––––––
730 Sotto il profilo della forma, data anche la limitata tradizione greca, basterà accen-
nare all’inconsueta perizia retorica esibilita da Origene commentando a Gerusalemme 1Sam
28 (HReG V , 3), ma anche alla parenesi finale di Dial 27-28 (108, 9-110, 2). Probabilmente
l’impressione risulterebbe un po’ diversa, se potessimo disporre più ampiamente del corpus
omiletico originale, come ho potuto osservare a proposito di HIer (Perrone 2001c, 91).
731 Per un raffronto fra CCt e HCt sotto tale profilo, cfr. Perrone 2006.
732 La diversità dell’approccio esegetico di CMt rispetto a CIo e ad altri commen-
tari è stata evidenziata da Vogt (Origenes. Der Kommentar zum Evangelium nach Mat-
thäus, I, 51): «Man wird [...] festhalten dürfen, daß Origenes in seinem Matthäus-Kom-
mentar noch weniger als in anderen Kommentaren mit einem Autoritätsanspruch vor den
Leser hintritt, sondern sich sowohl der Begrenztheit der eigenen Einsicht als auch der be-
schränkten Ausdrucksmöglichkeiten immer bewußt bleibt». Ho ripreso questa analisi in
Perrone 2001a.
«Come incenso al tuo cospetto» 247
tari alle omelie specificamente dedicate al testo biblico corrispondente. È
singolare peraltro che lo faccia proprio in relazione a quelle Omelie su Luca
tanto bistrattate da Gerolamo733 ! D’altronde, rivolgendosi ai suoi uditori
nella comunità di Cesarea, Origene spesso non si trattiene dal richiamare
le esegesi che ha fornito in altre occasioni, presumibilmente evocando a
un tempo sia precedenti omelie sia anche commentari già redatti734 .
Non intendo ovviamente sostenere l’idea di una sovrapposizione o
addirittura di un’assimilazione di fatto tra omelie, commentari e trattati,
tale da obliterare le differenze di genere letterario e contenuti, ma piutto-
sto insistere sugli elementi che concorrono ad illuminarne una loro «equi-
valenza» parziale e che sono dati del resto, per quanto riguarda le omelie,
dalla natura fondamentalmente «didascalica» della predicazione origenia-
na735. Analisi approfondite condotte su temi centrali del pensiero di Ori-
gene – quali, ad esempio, la dottrina del libero arbitrio – hanno posto in
luce la continuità sostanziale fra le omelie e gli altri scritti dell’Alessandri-
no dal punto di vista dottrinale736. Ed anche chi si è interrogato sul rapporto
comunicativo instaurato dalla peculiare situazione omiletica è pervenuto
alla conclusione che l’Origene predicatore rappresenti l’ “intero Origene”:
sebbene egli, nei confronti della comunità, non ricalchi totalmente la pras-
si della sua scuola, risparmiandole così un’esposizione magistrale troppo
dettagliata ed esigente, l’esperienza del maestro che spiega la Bibbia si
proietta coerentemente in quella dell’omileta, senza compromettere co-
munque la pertinenza e l’efficacia della predicazione737 .
––––––––––––––––––
733 Si vedano, ad esempio, i rinvii a HLc contenuti rispettivamente in CIo XXXII, 2,
5 ([9-11] ejn tai'" eij" to; kata; Louka'n oJmilivai" sunekrivnamen ajllhvlai" ta;" parabolav",
kai; ejzhthvsamen tiv me;n shmaivnei to; kata; ta;" qeiva" grafa;" a[riston, tiv de; parivsthsin
to; kat∆ aujta;" dei'pnon) e in CMt XIII, 29 ([261, 16-24] ta; de; peri; tw'n eJkato;n probavtwn
e[cei" eij" ta;" kata; Louka'n ÔOmiliva").
734 Tra i vari rimandi, cfr. HLv XIII, 2 (469, 21-24): «Memini tamen dudum nos,
cum centesimi octavi decimi psalmi exponeremus illum versiculum, in quo scriptum est:
lucerna pedibus meis lex tua, Domine, et lumen semitis meis (Sal 118[119], 105), diversi-
tatem lucernae et lucis pro viribus ostendisse»; HIos III, 4 (305, 5 ss.): «Scio me aliquando
in quadam ecclesia disputantem de duabus meretricibus, de quibus scriptum est in tertio
libro Regnorum, quae ad iudicium venerant Salomonis, quarum una vivum, alia mortuum
habebat infantem, discussisse diligentius»; HIos XV, 6 (391, 15-18): «Memini autem simi-
lia me dixisse etiam in his locis, in quibus exponebamus versiculum psalmi, in quo scrip-
tum est: in matutinis interficiebam omnes peccatores terrae, ut disperdam de civitate Do-
mini omnes, qui operabantur iniquitatem (Sal 100[101], 8)».
735 In questo senso Nautin ha mostrato come i procedimenti grammaticali tipici del
commentatore ricorrano anche in HIer (Origène. Homélies sur Jérémie, 132-136). Da par-
te mia ho cercato di provare come CC sia strutturalmente l’«apologia di un esegeta» (Per-
rone 2005a, in part. le pp. 119-129).
736 In particolare, cfr. Junod 1980; Junod 1993.
737 Markschies, 61-62: «Wirklich “für die Gemeinde im Grossen und Ganzen [...]
nicht geeignet” wären die Homilien des Origenes gewesen, wenn man in ihnen – im Sinne
Hansons – den “ganzen Origenes” hätte hören können. Da wären dann tatsächlich sozusa-
248 Parte seconda, Capitolo settimo
La natura particolare delle omelie sembra consistere anche nel fatto
che l’operazione esegetica tende in esse a collocarsi più immediatamente
dentro un contesto orante. Ciò rafforza l’interesse peculiare dei sermoni
origeniani per il nostro tema, benché il nesso fra esegesi e preghiera sia
da assumere come una dimensione costitutiva per tutta l’impresa erme-
neutica dell’Alessandrino, pur essendo declinata da lui con diversa inci-
denza a seconda delle opere (e senza fare eccezione, come vedremo fra
breve, per le stesse omelie). Proprio la finalità dell’edificazione della co-
munità, assicurata dalla lettura spirituale della Bibbia, attira le diverse ma-
nifestazioni oranti che precedono, accompagnano e seguono l’atto esege-
tico del predicatore impegnato nel commento del relativo testo biblico. È
anzitutto in questa luce che vanno comprese le indicazioni le quali tendono
a giustificare il carattere, per così dire, limitato delle omelie, distinguen-
dole a volte espressamente dai commentari. Nella X Omelia su Genesi tro-
viamo, ad esempio, un inciso che accentua tale distinzione più di quanto
avvenga in generale nella prassi omiletica:
«adesso non è il tempo di fare un commentario ma di edificare la Chiesa di Dio e
di scuotere gli ascoltatori più pigri e oziosi con esempi di santi e interpretazioni
spirituali» 738 .

La distinzione fra «commentare» e «edificare» si riflette perlopiù


nella dichiarazione di «brevità» voluta dell’esposizione, fra l’altro onde
non affaticare troppo l’uditorio impegnandolo per un tempo ritenuto ec-
cessivo739. Non di rado si tratta di una praeteritio che rassomiglia da vi-
––––––––––––––––––
gen wissenschaftliches Katheder und gottesdienstliche Kathedra verwechselt gewesen. Ori-
genes legt zunächst auf die Gemeinde bezogen Texte aus, macht biblische Texte verständ-
lich zur oijkodomhv der Gemeinde. [...] In diesem leidenschaftlichen Bemühen um die Auf-
erbauung einer konkreten Ortsgemeinde durch eine gründliche Auslegung der Schrift ejp∆
eujsebeiva/ haben wir es eben doch zu tun mit “dem vollständigen, dem ganzen Origenes”».
738 HGn X, 5 (99, 6-8): «Neque enim commentandi nunc tempus est, sed aedificandi
ecclesiam Dei et pigriores ac desides auditores exemplis sanctorum et mysticis explanatio-
nibus provocandi» (tr. Danieli, 278-279). Anche HNm XIV, 1 (120, 4-8) ribadisce lo stesso
punto di vista: «quoniam est temporalis tractatus, qui in ecclesia aedificandi gratia habe-
tur, non habuit tantum spatii ut possemus singula quaeque Scripturae verba proponere ita,
ut nihil omnino indiscussum remaneret, et explanationem singulis adhibere, quoniamqui-
dem huiusmodi stilus commentariorum magis est». Cfr. inoltre HLv VII , 1. Tuttavia, come
Simonetti osserva a proposito di HGn X, 5, «la contrapposizione, che qui è teorizzata in
termini forti, nella pratica lo è molto di meno, perché la componente didascalica nell’ome-
lia origeniana appare prevalente» (Origene. Omelie sulla Genesi, 278, nota 49).
739 Richiamo alcuni luoghi a titolo illustrativo. Come mostra HEx II, 4 (159, 26-28),
il predicatore non può eccedere un certo spazio di tempo: «Singula haec immensa repleta
mysteriis tempus exigunt grande, et totius diei spatium si in his consumamus, vix fortasse
sufficiat. Breviter tamen aliqua pro ecclesiae aedificatione pulsanda sunt». La stessa preoc-
cupazione affiora in HReG (283, 20-21): tou;" dunamevnou" ejxetavzein dunavmena ajscolh'-
sai w{ra" ouj mia'" sunavxew" ajlla; kai; pleiovnwn. Cfr. anche la premessa all’interpretazio-
«Come incenso al tuo cospetto» 249
cino, ed anzi spesso converge, con le professioni di «modestia zetetica»
caratteristiche dell’impostazione esegetica di Origene, ma che non per
questo lo costringono necessariamente al silenzio740 . Ciò tende ad assimi-
lare in pratica il compito del predicatore e quello del didascalo alle prese
con l’interpretazione della Bibbia più di quanto si sarebbe indotti a pen-
sare alla luce dell’occasionale distinzione insinuata fra «omileta» e «mae-
stro». Proprio la modestia zetetica introduce un orizzonte di compren-
sione all’interno del quale l’interprete si affaccia sul mistero della Parola
ispirata, sotto l’urgenza della sua grandezza e con la consapevolezza della
propria pochezza. Sotto questo profilo, sia per Origene predicatore sia per
l’esegeta tout court si mette in moto una dinamica spirituale che è essen-
zialmente identica e che spesso attira una disposizione orante, nell’inter-
prete come d’altra parte nel lettore e/o nella comunità in ascolto. Sono
queste le occasioni in cui l’Alessandrino sembra voler riflettere sulla
portata e sui limiti del suo ruolo di predicatore e interprete. Tra le confes-
sioni più rivelatrici, abbiamo alcune dichiarazioni contenute nelle Omelie
su Levitico:
«Per me, oggi, benché sia peccatore, tuttavia, poiché mi è stata affidata la dispen-
sazione della parola del Signore, ritengo di avere ricevuto in custodia le cose sante
di Dio. E non è ora per la prima volta, ma già più volte e da gran tempo, che mi
adopero in questa dispensazione presso di voi. [...] Nello spiegare mi accorgo
che la grandezza dei misteri sorpassa le nostre forze. E anche se non siamo in
grado di estenderci su tutto, ci accorgiamo bene che tutto è pieno di misteri. Per-
ciò basti l’aver dato a tutti quelli che hanno zelo delle indicazioni, mossi dalle
quali giungano a maggiore elevatezza e profondità» (HLv III, 7-8).
«Anche noi, se avessimo una intelligenza tale da poter discernere con una inter-
pretazione spirituale i singoli punti scritti nella Legge, e da portare alla luce di una
scienza più acuta il mistero velato di ciascuna delle parole; se potessimo ammae-
strare la Chiesa in modo che nulla delle cose lette restasse ambiguo, nulla perma-
––––––––––––––––––
ne delle tappe dell’esodo in HNm XXVII, 12 (272, 24-28): «Longum est, si velimus ire per
singulas mansiones et ex unaquaque, si qua ex nominum contemplatione suggeruntur, ape-
rire; strictim tamen et breviter percurremus, ut non tam plenam vobis expositionem, quia
minime id tempus indulget, sed occasiones intelligentiae praebeamus»; e quella sul Can-
tico di Debora in HIud VI, 1 (498, 21-24): «quoniam per singula discutere cuncta temporis
non est – brevitatem namque auditores ecclesiae diligunt – pauca tamen vel de principiis
eius vel sparsim ex eo flosculos eligentes consolationis aliquid auditoribus afferre tempta-
bimus».
740 Spesso dichiarazioni di modestia zetetica connotano significativamente l’eserci-
zio della quaestio. In HNm XIII , 7 (116, 29-117, 4), ne abbiamo un esempio che tiene
conto della particolare situazione omiletica: «Altior hic exoritur quaestio et nescio utrum
conveniat rem tam profundi mysterii denudare et proferre ad turbas et eas turbas, quae ad
auditorium verbi Dei non nisi paucis diebus adveniunt et continuo discedunt nec in medi-
tatione verbi Dei diutius immorantur; tamen pro his, qui studiosi sunt et sitiunt audire pos-
suntque capere spiritalem sensum, pauca aliqua dicemus ex multis».
250 Parte seconda, Capitolo settimo
nesse oscuro, allora forse anche di noi si potrebbe dire che abbiamo toccato le
carni sante del Verbo di Dio e siamo stati santificati» (HLv IV, 8)741 .

Si tratta inoltre di reazioni che accomunano la condizione dell’inter-


prete-predicatore a quella della comunità e come tali ingaggiano l’uno e
l’altra in un percorso di perfezionamento spirituale che deve sfociare in
una partecipazione più profonda al senso del mistero racchiuso nelle Scrit-
ture742 . Il predicatore-maestro si trasforma così in discepolo, seguendo in-
sieme alla comunità le tracce di chi come Paolo ha offerto il modello del-
l’interpretazione spirituale743 . In ultimo, mediante il proprio servizio alla
comunità, come ci attesta un passo assai suggestivo della Omelia XX su
Giosuè, il predicatore s’inserisce a pieno titolo nella trafila di coloro che
«fanno parlare» la littera del testo sacro, dopo la rivelazione apportata da
Cristo, a partire dagli apostoli fino ai maestri, i «dottori delle chiese»744.
Sembra dunque lecito concludere queste osservazioni sul profilo
delle fonti e le modalità della loro utilizzazione riconoscendo una relativa
equiparazione fra di esse, che ne giustifica l’impiego unitario ai fini di
una presentazione globale del pensiero di Origene sulla preghiera. Come
abbiamo visto, questa giustificazione di metodo trova il fondamento prin-
cipale nelle modalità costitutive della stessa operazione esegetica. A sua
volta, quest’ultima illumina uno spazio di atteggiamenti e riflessioni che
attirano una dimensione orante, pur con un’incidenza da valutare in ma-
niera differenziata a seconda delle circostanze. Atto esegetico e atto orante
sono insomma strettamente collegati fra loro, anche se il discorso di Ori-
gene sulla preghiera si alimenta in partenza nei testi biblici commenta-
ti, specie dove l’argomento è già posto a tema. Per tale ragione, le tappe
––––––––––––––––––
741 Tr. Danieli, 73, 75-76; 93-94.
742 Come appare da HNm III, 1 (14, 15-17), anche il predicatore si pone, al pari
della comunità, in ascolto della Parola e delle esigenze spirituali scaturenti da essa: «Haec
ergo ad correptionem mei ipsius loquor, non solum auditorum. Unus enim et ego sum ex
iis qui audiunt verbum Dei».
743 Cfr. HNm III, 1 (16, 31-17, 4): «Sed ego non audeo illuc solus adscendere, non
audeo me in hos tam secretos mysteriorum recessus sine auctoritate magni alicuius docto-
ris immergere. Non possum illuc adscendere nisi praecedat me Paulus et ipse mihi viam
novi huius et ardui itineris ostendat»; HIos VII, 3 (330, 13-16): «Volo ego ipse, qui doceo
vos, vobiscum pariter discere, Paulum nobis communiter adhibeamus magistrum; ipse est
enim symmystes Christi, qui nobis possit indicare, quomodo Christus vicerit mundum».
744 HIos XX, 5 (424, 10-19): «Igitur civitatem litterarum intellige omne Testamenti
veteris instrumentum, id est et hanc ipsam, quam nunc disserere conamur scripturam, in-
telligamus esse civitatem litterarum, quae postmodum efficitur Dabir, quod est loquela.
Haec etenim, quae prius in litteris erat et secundum litteram intelligebatur, modo in eccle-
siis Christi, revelante Domino, loquela effecta est, loquentibus de ea et disserentibus primo
sanctis Apostolis et removentibus superficiem litterae, proferentibus vero de ea spiritalem
loquelam. Sed et singuli quique doctores ecclesiarum litteram legis loquelam et disputa-
tionem evangelicam faciunt». Su tutti questi aspetti della predicazione origeniana si veda
l’approfondita analisi di Monaci Castagno.
«Come incenso al tuo cospetto» 251
successive della mia esposizione affronteranno, in un primo momento, la
mappa dei luoghi più significativi della riflessione origeniana e, in un se-
condo, cercheranno di tracciare il reticolo delle citazioni scritturistiche di
cui essa si sostanzia.

3. La mappa dei luoghi sulla preghiera

Sebbene il tema della preghiera compaia in una nutrita serie di passi


sparsi in tutta l’opera di Origene, sono relativamente poche le trattazioni
che potremmo designare come specifiche o caratterizzanti. Con ciò mi ri-
ferisco a quei luoghi che non si configurano principalmente come osser-
vazioni occasionali, ancorché significative per un motivo o l’altro e per-
tanto meritevoli di attenzione, ma si presentano piuttosto come trattazioni
tematiche di ampiezza più o meno grande, frutto di una riflessione di por-
tata più generale sull’esperienza della preghiera. Per isolare questi testi è
utile ripercorrere dapprima l’insieme degli scritti seguendo la cornice dei
«generi letterari» (trattati, commentari e omelie), pur senza dimenticare la
consapevolezza acquisita precedentemente al riguardo, in modo da rileva-
re a grandi linee la presenza del nostro tema all’interno delle singole opere.
Nel rivisitare rapidamente questo insieme terrò presente, per quanto pos-
sibile, la successione cronologica.

3.1. I trattati

Per comodità espositiva conviene rifarsi inizialmente ai «trattati»,


cioè a quel tipo di scritti che dal punto di vista della forma s’avvicina più
direttamente al profilo letterario di Orat, se non altro perché il trattato sul-
la preghiera non è, almeno nel suo complesso, uno scritto esegetico vero
e proprio. La definizione “in negativo” ci serve soprattutto per distinguere
così alcuni scritti di Origene rispetto ai commentari e alle omelie, anche
se in qualche caso – come preciserò di seguito – la nostra classificazione
è più che problematica745 .

3.1.1. I Principi

Cominciando dal Perì archôn, che Nautin ha definito con suggestiva


approssimazione «opera di gioventù» – essendo stata scritta ancora ad
––––––––––––––––––
745 Ai testi da me esaminati si potrebbero aggiungere i due scritti sulla Pasqua, qua-
lora si accolga la loro caratterizzazione come trattati (si veda l’esemplare discussione di
Sgherri in Origene. Sulla Pasqua, 25-42), ma essi offrono comunque poca materia per il
nostro argomento.
252 Parte seconda, Capitolo settimo
Alessandria presumibilmente intorno al 229-230 –, dobbiamo constata-
re il fatto che la summa dogmatica di Origene non mette espressamente a
tema la preghiera746. Non mancano singoli spunti di qualche interesse, dei
quali conviene comunque tenere conto nella nostra rassegna: in particola-
re, oltre ad un sintetico cenno al significato del Padrenostro (Mt 6, 9) e ai
richiami alla prassi orante di Gesù e dei suoi seguaci747, o ancora le tre
dossologie (Prin III, 5, 8; IV, 1, 17; IV , 3, 14)748 , meritano attenzione gli
occasionali pronunciamenti sulla necessità dell’illuminazione divina per
poter affrontare adeguatamente singoli punti, che trovano riscontri – come
vedremo in seguito – nell’«esegesi orante» dei commentari749 . Peraltro
––––––––––––––––––
746 Per l’ambientazione temporale di Prin e Orat, cfr. supra, pp. 18-19. Per Simo-
netti 2000, 371, Prin fu «composto ad Alessandria, in una data imprecisata, ma comunque
anteriore alla definitiva partenza dell’Alessandrino per Cesarea nel 231».
747 Prin II, 4, 1 (127, 20-22): «Quod autem dicit quia orantes oporteat dicere: Pater
noster, qui in caelis es (Mt 6, 9), quid aliud videtur ostendere, nisi deum in melioribus
mundi, id est creaturae suae, partibus requirendum?». La preghiera di Gesù al Padre, in
qualità d’intercessore, ritorna nella spiegazione del termine paracletus di 1Gv 2, 1-2 in
Prin II, 7, 4 (152, 4-5): «deprecari enim patrem pro peccatis nostris dicitur». Si veda inol-
tre Prin III, 6, 1 (280, 22-24), dove la preghiera di Gv 17 è vista come intercessione perché
gli uomini attuino la somiglianza con Dio: «Ipse quoque Dominus in evangelio haec ea-
dem non solum futura, verum etiam sui intercessione futura designat» (cfr. anche infra,
nota 1522). A sua volta Prin II, 4, 2 (128, 18-22) accenna alla prassi di preghiera della
comunità primitiva: «Contingemus tamen breviter etiam de Actibus apostolorum, ubi
Stephanus et apostoli preces suas dirigunt ad eum deum, “qui fecit caelum et terram” et
“qui locutus est per os sanctorum prophetarum” suorum, ipsum dicentes “deum Abraham,
Isaac et Iacob”, deum “qui duxit” populum suum “de terra Aegypti”». Cfr. inoltre Prin II,
5, 4 (nota 1528).
748 Il rilievo di tali dossologie per la struttura di Prin (in particolare, Prin III, 5, 8) è
controverso tra gli studiosi. Si veda da ultimo la critica di Dorival 2001 all’edizione cata-
lana di Prin ad opera di J. Rius-Camps (1998): a suo avviso, analogamente a quanto av-
viene in 1Clem, «ces doxologies ne servent pas à indiquer la fin d’un développement,
mais veulent proclamer la gloire de Dieu» (p. 360). Di particolare interesse – come ve-
dremo più avanti (nota 1415) – è Prin IV, 1, 7 (304, 9): l’espressione tw/' ejpavranti tou;"
ojfqalmouv" , alla luce di quel che segue fino alla fine del paragrafo, allude al trapasso del
discorso ad una vera e propria formulazione orante, conclusa non a caso dalla dossologia.
749 Cfr. Prin I, 8, 1 (94, 18-19), dove l’arcangelo Michele è detto «mortalium preces
supplicationesque curare», senza che vi si faccia menzione dell’analogo ruolo di Raffaele
(cfr. supra, p. 185), cui viene invece assegnato «curandi et medendi opus», mentre a Ga-
briele spetta la «bellorum providentia»; oppure Prin II, 9, 4, un passo che contiene un’im-
petrazione per l’intelligenza spirituale citato supra alla nota 519. Il nesso fra preghiera e
intelligenza spirituale è indicato dal trattatello de anima in Prin II , 8, 2 (154, 30-155, 6):
«hac fortasse de causa evidentius nos Paulus docere volens, quid sit per quod “ea quae
sunt spiritus”, id est spiritalia, intellegere possimus, mentem magis quam animam spiritui
sancto coniungit et sociat. Haec enim eum puto ostendere cum dicit: Orabo spiritu, orabo
et mente; psalmum dicam spiritu, psalmum dicam et mente (1Cor 14, 15). Et non dicit
quia “anima orabo”, sed “spiritu et mente”; et non dicit: “anima psallam”, sed “spiritu
psallam et mente”». Per gli spunti prossimi all’ “esegesi orante” nei commenti si veda, ad
esempio, Prin I, 5, 4 (73, 12-13): «tum deinde etiam de ceteris investigabimus, secundum
«Come incenso al tuo cospetto» 253
sappiamo già della contiguità di pensiero fra Prin e Orat, relativamente
alla questione cruciale del libero arbitrio, ma senza che lo scritto dogma-
tico istituisca un nesso esplicito con il «problema della preghiera»750. In
sintesi, l’apporto di Prin al discorso eucologico di Origene appare abba-
stanza ridotto, se non pressoché inesistente, molto probabilmente perché
l’impostazione dello scritto alessandrino rimane ancora troppo debitrice
del modello filosofico dei trattati di fisica e dà quindi poco spazio all’ap-
profondimento dell’esperienza di vita cristiana o alla realtà ecclesiale751 .

3.1.2. Esortazione al martirio

Ben maggiore è il rilievo del nostro tema nell’Esortazione al marti-


rio, scritta – come già sappiamo – nel 235, in concomitanza con la perse-
cuzione di Massimino il Trace752 . La prossimità con Orat non è solo di ca-
rattere temporale, ma è – per così dire – nell’ordine delle cose, dal mo-
mento che EM concerne la manifestazione più alta della fedeltà alla vita
cristiana. In questo modo la prospettiva del martirio s’interseca e s’affian-
ca all’ideale di perfezione spirituale proposto nel trattato sulla preghie-
ra 753 . Di tale convergenza abbiamo un indizio eloquente in EM 18, dove
Origene riprendendo 1Cor 4, 9 («siamo diventati spettacolo al mondo,
agli angeli e agli uomini») introduce nuovamente l’immagine del theatrum
mundi, dinanzi al quale si svolge adesso l’agone dei martiri754: è l’analo-
gia più ravvicinata con l’esperienza di preghiera quale ci viene presentata
da Orat, poiché troviamo qui una corrispondenza strutturale fra la testimo-
nianza del martire e l’atto orante indotta in ambedue i casi da un protago-
nismo spirituale e da uno scenario cosmico equivalenti755 . Non mancano
d’altronde punti di contatto anche per l’elaborazione scritturistica del
tema della preghiera, in special modo per il ricorso dei paradigmi vetero-
testamentari di oranti, quantunque l’utilizzo dei materiali biblici lasci in-
––––––––––––––––––
quod dominus nos fuerit inluminare dignatus»; II, 2, 2 (113, 9-10): «“sancto spiritu de-
monstrante” (cfr. Eb 9, 8) his, qui digni sunt».
750 Si veda supra, il cap. 4.
751 «Der zweite Teil von PA behandelt mögliche und faktische Mißverständnisse
der kirchlichen Bekenntnissätze, bleibt aber ganz im Problemkreis des klassischen Trakta-
tes der “Physik”. Es ist interessant, daß Origenes dort nichts über Sakramente, über Kirche,
Gebet, etc. sagt» (Lies, 10).
752 Cfr. supra, p. 20.
753 In precedenza ho rilevato affinità tematiche e accenti diversi fra i due scritti, an-
che quando utilizzano materiali comuni (pp. 20, 54, 65, 73-74, 145).
754 EM 18 (17, 3-6): o{lo" ou\n oJ kovsmo" kai; pavnte" oiJ a[ggeloi dexioi; kai; ajriste-
roi; kai; pavnte" a[nqrwpoi, oi{ te ajpo; th'" tou' qeou' merivdo" kai; oiJ ajpo; tw'n loipw'n, ajkouv-
sontai hJmw'n ajgwnizomevnwn to;n peri; cristianismou' ajgw'na. Sull’uso della metafora ago-
nistica si veda Lugaresi 2003b, 665-669.
755 Cfr. Orat XX, 2; XXVIII, 3.
254 Parte seconda, Capitolo settimo
travedere sviluppi nuovi, che saranno più ampiamente sfruttati nel discor-
so e nella prassi di preghiera successivamente ad Origene.
Dei «paradigmi di salvezza» rappresentati dalle preghiere esaudite di
oranti dell’Antico Testamento EM richiama i Tre Giovani nella fornace –
Anania, Azaria e Misaele –, Mardocheo e Daniele, insistendo però sul-
l’appropriazione in senso personale e spirituale della condotta e dei be-
nefici goduti dagli oranti più che sull’atto in sé di pregare756. Ma EM
considera ancora l’esemplarità della preghiera di Paolo e soprattutto di
quella di Gesù 757 . In particolare, Origene si sofferma sull’orazione al Get-
semani, una scena evangelica che egli non aveva preso in considerazione
nel trattato sulla preghiera e che approfondirà in maniera ben più estesa e
in parte diversa, sul finire della vita, sia nel Commento a Matteo sia nel
Contro Celso. Come in questi scritti tardi, la spiegazione trae le mosse
dal problema posto da Mt 26, 39a («Padre mio, se è possibile, passi da me
questo calice»), che nell’ottica di un protrettico al martirio viene ad essere
formulato così: «se Gesù ha avuto paura [...] chi è capace di essere forte
per sempre?»758 . Senza lasciarsi condizionare in chiave apologetica (come
avverrà soprattutto in CC), Origene si sforza di riconoscere pieno valore
al modello di Gesù come martire proprio grazie all’esemplificazione della
sua prassi di preghiera. Egli risponde all’interrogativo domandandosi se
Gesù con il supplicare il Padre nell’orto degli ulivi non sia stato all’altez-
za di colui che prega in Sal 26(27), 1-3, rivolgendosi a Dio con parole
piene di fiducia: «Il Signore è mia luce e mio salvatore, chi temerò? Il Si-
gnore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?...». Ma per l’Alessan-
drino l’orante del salmo non è altri che il Cristo stesso, come egli spiega
di seguito parafrasandone il contenuto759 . Poi l’attenzione di Origene si
––––––––––––––––––
756 EM 33 (28, 19-22. 24-25): ajll∆ hJmei'" i{na drovsou oujranivou peiraqw'men
sbennuouvsh" pa'n pu'r ajf∆ hJmw'n kai; katayucouvsh" hJmw'n to; hJgemonikovn, tou;" iJerou;"
ejkeivnou" mimhswvmeqa, mhv pote kai; nu'n oJ ∆Ama;n qevlh/ tou;" Mardocaivou" uJma'" prosku-
nh'sai aujtw/' [...] kai; to;n dravkonta meta; tou' Danih;l ajpokteivnwmen. Su queste figure di
oranti si veda supra, pp. 143 ss.
757 Così EM 3 inculca la disposizione eroica dell’anima a disfarsi del corpo, inter-
pretando Rm 7, 24-25 («Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla
morte?») come preghiera di domanda che, essendo esaudita, è subito seguita dal ringrazia-
mento (cfr. supra, nota 40). Si veda anche il richiamo alla preghiera ejn pneuvmati di Ef 6,
18 (EM 38). Diversa è l’interpretazione che Origene dà di Rm 7, 24-25 in CRm VI, 9 (515,
177-516, 183), dove distingue il provswpon levgon fra colui che ha «accolto l’inizio della
conversione» (v. 24) e l’autorità apostolica (v. 25). In HIs IV, 3 Rm 7, 24 è sfruttato come
invito alla confessione delle colpe.
758 EM 29 (25, 6): ejkeivnou de; deiliavsanto", ei[poi ti" a[n, o{ti tiv" gennai'o" eij"
ajeiv… (tr. Noce, 130).
759 EM 29 (25, 13-16): tavca de; oujde; a[llou tinov" ejsti tau'ta ejn tw/' profhvth/ legov-
mena ta; rJhvmata h] tou' swth'ro" dia; to;n ajpo; tou' patro;" fwtismo;n kai; th;n ajp∆ aujtou'
swthrivan oujdevna fobouvmenon. Anche Prin III, 2, 5 (253, 21 ss.) assegna implicitamente le
parole del salmo a Cristo: «sed cum senserit praesentem in se dominum et inhabitantem,
«Come incenso al tuo cospetto» 255
volge al dimostrativo «questo», riferito al «calice» come simbolo della
morte dei martiri e attestato in tutti e tre i Sinottici (cfr. Lc 22, 42; Mc 14,
36), per chiarire come Gesù «abbia rifiutato, del martirio, questa specie di
morte e ne abbia implorato, forse in silenzio, una più dolorosa, per così
procurare per mezzo di quest’altro calice, un beneficio più universale ed
esteso a un numero più grande di uomini»760 .
Torneremo più avanti sull’interpretazione della scena del Getsemani,
nel contesto delle altre spiegazioni, ma qui mi preme osservare come EM
sfrutti ampiamente il ricorso ai Salmi, proponendoli come forma di pre-
ghiera da compiersi secondo «la mente di Cristo»761. Guardando con più
precisione all’uso suggerito da Origene, si deve riconoscere che egli anti-
cipa la pratica antirretica teorizzata nel IV secolo da Evagrio Pontico. Non
solo il Sal 41(42) istituisce, nella lettura dell’Alessandrino, un dialogo fra
l’«anima» (yuchv) e l’«intelletto» (nou'") – termine adoperato anche per
indicare lo pneuma dell’uomo nella visione tricotomica dell’antropologia
origeniana – abbastanza simile all’impiego evagriano dello stesso salmo
che prefigura una partizione terapeutica fra l’anima turbata da consolare e
l’anima consolatrice762. Oltre a ciò, sfruttando ancora i salmi ma pure altri
luoghi biblici, Origene introduce di fatto il metodo dell’«antirresi», poiché
a più riprese offre l’arma della Scrittura come risposta di preghiera al mo-
mento della prova. In EM 8 l’Alessandrino raccomanda ai candidati al mar-
tirio di replicare così ai «profeti di iniquità»: «Ma noi, quando il peccatore
si ergerà contro di noi (Sal 38[39], 2), diremo: Io come un sordo non
ascoltavo, <ero> come un muto che non apre la propria bocca; sono di-
ventato come un uomo che non ode (Sal 37[38], 14-15)»763 . Come appare
––––––––––––––––––
confidentia divini adiutorii dicet: Dominus inluminatio mea et salvator meus, quem time-
bo?... (Sal 26[27], 1-3)». Cfr. anche infra, nota 954.
760 EM 29 (tr. Noce, 131). Per altre spiegazioni dell’episodio evangelico si veda
CIo XIII, 38, 249; CIo XXXII, 23, 295; CMt XVI, 6; CMtS 89-95; H37Ps I, 2; CC II, 24-25.
Niculescu, in part. pp. 11-16, sottolinea la distinzione origeniana fra bouvlhma del Figlio e
qevlhma del Padre (EM 29 [26, 10-13]: o{per oujdevpw h\n qevlhma tou' patro;" genevsqai,
sofwvteron para; to; bouvlhma tou' uiJou' kai; par∆ o} eJwvra oJ swth;r oJdw'/ kai; tavxei oijkono-
mou'nto" ta; pravgmata (cfr. anche EM 39 [infra, nota 775]).
761 È in questo spirito che Origene introduce la parafrasi di Sal 41(42), 2-7 in EM 4
(5, 17-20): eij de; kaiv pote aijsqavnoisqe sustolh'" peri; th;n yuch;n uJmw'n, eijpavtw aujth'/ oJ
ejn hJmi'n Cristou' nou'" qelouvsh/ to; o{son ejf∆ eJauth'/ kai; aujto;n sugcei'n: i{na tiv perivlupo"
ei\ yuchv… kai; i{na tiv suntaravssei" me… e[lpison ejpi; to;n qeo;n, o{ti ejxomologhvsomai aujtw/'.
762 Evagrio, Pratico, 27: «Qualora noi si cada sul demone dell’accidia, allora, divisa
l’anima in lacrime, facciamo che l’una [parte] consoli, l’altra sia consolata (th;n yuch;n me-
ta; dakruvwn merivsante" th;n me;n parakalou'san th;n de; parakaloumevnhn poihvswmen),
seminando in noi stessi buone speranze (cfr. 2Ts 2, 16...) e incantandoci con il [canto] del
beato David: Perché sei triste anima mia, e perché mi conturbi? Spera in Dio, perché lo
confesserò: salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 41, 6)» (tr. Bettiolo, 199).
763 EM 8 (tr. Noce, 110). Sulla genesi del metodo antirretico e il suo utilizzo nel
primo monachesimo e in Evagrio si veda Bernardini.
256 Parte seconda, Capitolo settimo
anche da altri passi, si tratta di un vero e proprio «esercizio spirituale»
che istruisce e sostiene colui che è impegnato nella lotta per la testimo-
nianza facendo memoria di testi della Scrittura764 . In questa situazione
agonica il Salterio si presta particolarmente ad essere fruito come libro di
preghiera. Lo vediamo dalla bella esemplificazione di EM 19-20, dove
Origene riprende “antirreticamente”, con intento protrettico e parenetico,
un’ampia porzione di Sal 43(44):
«È probabile che saremo insultati dai vicini e scherniti da coloro che ci circon-
dano e che scuotono il capo nei nostri riguardi, come a dei pazzi (Sal 43[44],
14-15; 21 [22], 8). Qualora accada questo diciamo al Signore (levgwmen pro;" qe-
ovn): “Ci hai reso ludibrio per i nostri vicini; scherno e riso per quelli che ci cir-
condano. Ci hai reso una favola tra le genti; scuotimento di capo tra i popoli.
Tutto il giorno la mia ignominia mi è presente ed il rossore della mia faccia mi
ricopre, per la voce di chi insulta ed oltraggia, per la presenza del nemico e del
persecutore” (Sal 43[44], 14-17). Beato chi, in tutti questi avvenimenti, rivolge
liberamente a Dio, applicandola a questa situazione, la parola del profeta (th;n
ajpo; parjrJhsiva" tou' profhvtou ejpiferomevnhn aujtoi'" fwnh;n eijpei'n tw'/ qew'/) :
“Tutto questo ci è venuto addosso, eppure non ti abbiamo dimenticato, né abbia-
mo violato la tua alleanza, né il nostro cuore si è voltato indietro” (Sal 43[44],
18-19)».
«Ricordiamoci (Mnhmoneuvwmen), mentre siamo in questa vita e riflettiamo sulle
strade che sono fuori della vita, di dire a Dio (tw'/ qew'/ famen tov): “Hai deviato i
nostri passi dalla tua via (Sal 43[44], 19)”. Ora è il momento di rammentarci
(ajnamimnhvskesqai) che questa terra, nella quale siamo umiliati, è luogo di affli-
zione per l’anima affinché possiamo dire nella preghiera (i{na eujcovmenoi levgw-
men tov): “Ci hai umiliati in un luogo di afflizione, e ci ha avvolto un’ombra di
morte” (Sal 43[44], 20). Con coraggio diciamo anche questo: “Se abbiamo di-
menticato il nome del nostro Dio, e se abbiamo teso le nostre mani verso un dio
straniero, forse Dio non ne chiederà conto? (Sal 43[44], 21-22)”»765 .
La lectio divina condotta in un atteggiamento di preghiera (intenden-
do così l’«antirresi» scritturistica dell’Alessandrino in tutta la sua portata
spirituale) non si limita al Salterio, poiché per Origene è applicabile ugual-
mente all’Antico e al Nuovo Testamento. Forse più di altri suoi scritti, EM
ci testimonia dunque in Origene l’esperienza del pregare con la Scrittura,
soprattutto nel momento della difficoltà e della lotta, privilegiando in via
––––––––––––––––––
764 Il vocabolario della memoria è particolarmente nutrito (cfr. EM 2 [3, 16]: uJpo-
mimnhskwvmeqa; 4 [5, 12-13]: memnhmevnou", [6, 1-2] memnh'sqai; 7 [8, 15.21]: mnhmoneu-
tevon [2 volte]; 20 [18, 26]: mnhmoneuvwmen, [19, 2] ajnamimnhvskesqai; 30 [26, 20]: uJpo-
mnhsqw'men; 31 [27, 25]: mevmnhsqe; 35 [32, 13]: uJpomimnhskevsqw; 37 [35, 11]: mevmnhso;
38 [35, 26]: uJpomimnhvskou; 39 [37, 9]: uJpomnhsqw'men). La sua frequenza, proporzional-
mente più rilevante che in Orat (si veda supra, note 493-494), tradisce forti affinità con la
prassi degli esercizi spirituali.
765 EM 19-20 (18, 13-19, 8 [tr. Noce, 122]).
«Come incenso al tuo cospetto» 257
quasi esclusiva l’aspetto psicologico-morale dell’applicazione ad homi-
nem rispetto allo stesso approccio esegetico766. In tale cornice non sor-
prende il fatto che EM contenga numerose tracce dell’esperienza di pre-
ghiera, in positivo ma anche in negativo: preghiere effettive o virtuali,
preghiere messe in atto dai martiri a beneficio dei fedeli, preghiere attese
dai destinatari oppure espresse dallo stesso Origene.
In negativo, si può ricordare la messa in guardia di EM 7 contro la
preghiera diretta agli astri, ed in particolare al sole, che lascia trasparire la
polemica cristiana contro il culto eliolatrico: non si devono adorare le crea-
ture, bensì Dio solo, ed indirizzarsi a Lui «che elargisce il necessario e
previene la preghiera di tutti», senza bisogno di creature che fungano da
intermediari767 . In positivo, acquista particolare rilievo l’intercessione dei
––––––––––––––––––
766 La meditazione su Sal 43(44) prosegue in EM 21 (19, 9-21), che riprende di se-
guito Sal 43(44), 22 e 23, ma vi unisce con le stesse modalità un passo paolino ed uno
tratto dai Proverbi: «Combattiamo non solo per conseguire in modo perfetto il martirio
pubblico ma anche quello segreto. Così anche noi come l’apostolo potremo esclamare (i{na
kai; aujtoi; ajpostolikw'" ajnafqegxwvmeqa tov ): Questo, infatti, è il nostro vanto: la testi-
monianza della nostra coscienza, poiché ci siamo comportati nel mondo con la santità e
la sincerità di Dio (2Cor 1, 12). Alla parola dell’apostolo aggiungiamo quella del profeta
(sunavptwmen de; tw'/ ajpostolikw'/ to; profhtiko;n tov ): Egli stesso conosce i segreti del
cuore (Sal 43[44], 22) nostro. Soprattutto se siamo condotti a morte, allora diremo ciò che
viene ripetuto a Dio dai soli martiri (tovte [Wet.; o{te Koetschau] fhvsomen to; uJpo; movnwn
martuvrwn legovmenon tw'/ qew'/ tov): Per te siamo messi a morte tutto il giorno, siamo stati
stimati come pecore da macello (Sal 43[44], 23). Se mai la sapienza della carne (cfr. Rm
8, 6-7) ci insinua la paura dei giudici che ci minacciano la morte, allora ripeteremo loro
ciò che è detto dai Proverbi: Figlio, onora il Signore e sarai forte; al di fuori di lui, non
temere nessun altro (Pr 7, 1a LXX )» (tr. Noce, 123). Si veda inoltre EM 23 (21, 22-25),
che ripercorre 2Mac 7, 1-6 fino a concludere con l’esortazione: «È opportuno che anche
noi, trovandoci in tali situazioni, ripetiamo a noi stessi le parole che si dicevano a vicenda
e che così suonano (eu[kairon d∆ a]n ei[h kai; hJma'" ejn toiouvtoi" genomevnou" eijpei'n tou;"
ejkeivnwn lovgou" pro;" eJautouv"): Il Signore Dio vede dall’alto e si consola in noi delle
<sue> verità (2Mac 7, 6)» (ibi, 126). Altri detti scritturistici che occorre fare propri nel-
l’imminenza del martirio figurano in EM 35 (32, 6-7): Tiv" d∆ a]n logisavmeno" ta; toiau'ta
oujk ejpifqevgxetai to; ajpostoliko;n ejkei'no [= Rm 8, 18: «Le sofferenze del tempo presen-
te non sono paragonabili alla gloria futura che si dovrà rivelare in noi»]); 38 (36, 8-9):
ajna; stovma nu'n e[ce to;... kai; tov [= Mt 10, 37: «Chi ama il figlio o la figlia più di me non è
degno di me»; Mt 10, 39: «Chi ha trovato la sua anima la perderà, e chi ha perduto la pro-
pria anima per causa mia, la troverà»]); 39 (tovte ajnalavbete tov... [= Gv 15, 19: «Per que-
sto il mondo vi odia, perché non siete di questo mondo. Se infatti foste di questo mondo,
il mondo amerebbe ciò che è suo»]). I lemmi introduttivi alle citazioni scritturistiche, pur
senza essere esclusivi di questo scritto, tendono a confermare l’impressione del “prontua-
rio” antirretico, come esemplificato dall’omonima opera di Evagrio (cfr. Evagrio Pontico.
Contro i pensieri malvagi. Antirrhetikos). Per altri esempi del metodo antirretico si veda
HEx I , 5 (nota 1231).
767 EM 7 (8, 24-9, 3): ajll∆ eijko;" o{ti qelhvsei hJma'" katasofivsasqai di∆ w|n a]n
duvnhtai oJ ejcqro;" pro;" to; proskunh'sai tw'/ hJlivw/ h] th'/ selhvnh/ h] panti; tw'/ kovsmw/ tw'n ejk
tou' oujranou' (Dt 17, 3). ajll∆ hJmei'" ejrou'men o{ti oJ tou' qeou' lovgo" tau'ta ouj prosevtaxen
(cfr. Dt 18, 20). oujdamw'" ga;r proskunhtevon ta; ktivsmata parovnto" tou' ktivsanto" (cfr.
258 Parte seconda, Capitolo settimo
martiri (EM 30), i quali assistendo alla liturgia celeste si fanno trami-
ti delle preghiere dei fedeli ancora impegnati nell’agone terreno. Essi, in
forza del sacrificio della loro vita ad immagine del sacrificio di Cristo
sommo sacerdote, diventano ministri della remissione dei peccati con-
cessa da Dio:
«Infatti come quelli che, secondo la legge di Mosè, prestavano servizio all’altare
sembravano procurare la remissione dei peccati <agli Ebrei> per mezzo del san-
gue di tori e di capri (Eb 9, 13; 10, 4; cfr. Is 1, 11; Lv 16, 3), così le anime di co-
loro che sono stati decapitati (Ap 20, 4) per la testimonianza di Gesù (cfr. Ap 6,
9), non prestano invano servizio all’altare (cfr. 1Cor 9, 13) del cielo, ma procu-
rano a coloro che pregano la remissione dei peccati. Sappiamo anche che come il
sommo sacerdote, Gesù il Cristo, ha offerto se stesso in sacrificio, così i sacer-
doti, dei quali egli è il sommo sacerdote, offrono se stessi in sacrificio (cfr. Eb 5,
1; 8, 3; 10, 12); per questo si vedono presso l’altare (cfr. Ap 6, 9), come nel luogo
loro proprio»768 .

Se EM presenta espressamente il martirio come l’offerta più grande


che il santo possa fare a Dio (ridimensionando così, in parte, il rilievo
della preghiera quale sostituto del sacrificio)769, colui che segue l’esempio
dei martiri, partecipa della stessa «libertà di parola» e può dunque interce-
dere efficamente per moglie, figli, fratelli e sorelle (EM 37-38). Ambro-
––––––––––––––––––
Rm 1, 25) kai; diarkou'nto" kai; fqavnonto" pro;" th;n pavntwn eujchvn (tr. Noce, 109-110).
Di seguito Origene, adottando come in Orat la tecnica della prosopopea (cfr. Orat XV, 4 e
supra, pp. 139-140), fa parlare il sole come essere «creato»: «Anch’io sono stato creato:
perché vuoi adorare colui che adora (genhtov" eijmi kajgwv: tiv bouvlei proskunei'n to;n pro-
skunou'nta…)? Anch’io, infatti, adoro e servo Dio, il Padre» (9, 9-10 [tr. Noce, 110]).
768 EM 30 (27, 1-9): wJ" ga;r oiJ tw'/ kata; to;n Mwu>sevw" novmon qusiasthrivw/ prose-
dreuvonte" diakonei'n ejdovkoun di∆ ai{mato" travgwn kai; tauvrwn a[fesin aJmarthmavtwn
ejkeivnoi", ou{tw" aiJ yucai; tw'n pepelekismevnwn e{neken th'" marturiva" ∆Ihsou', mh; mavthn
tw'/ ejn oujranoi'" qusiasthrivw/ paredreuvousai, diakonou'si toi'" eujcomevnoi" a[fesin
aJmarthmavtwn. a{ma de; kai; ginwvskomen o{ti, w{sper oJ ajrciereu;" qusivan eJauto;n proshv-
negken ∆Ihsou'" oJ Cristo;", ou{tw" oiJ iJerei'", w|n ejstin ajrciereu;", qusivan eJautou;" pro-
sfevrousi: di∆ h}n wJ" para; oijkeivw/ tovpw/ oJrw'ntai tw'/ qusiasthrivw/ (tr. Noce, 132-133).
Nel commento ad loc. Noce osserva: «due gli aspetti messi in evidenza: la forza espiatrice
del martirio in sé, in quanto sacrificio cruento “per i peccati del popolo”, funzione illustrata
con l’immagine dei martiri che presso l’altare celeste pregano per il popolo. In quanto sa-
crificio il martirio consegue la remissione dei peccati per il confessore e per coloro “per
i quali prega”» (p. 175, nota 62; cfr. anche HNm X, 2 e Rordorf, 402, per il quale «tous les
aspects de la “diaconie” des martyrs dont Origène fait état sont issus de la tradition judéo-
chrétienne»).
769 Cfr. EM 28 (24, 8-13), dove la morte del martire è vista come il «calice della sal-
vezza» di Sal 115, 3-4 (116, 13): «Il santo, che è un uomo d’onore e desidera ricambiare i
benefici dei quali Dio lo ha colmato, cerca cosa potrebbe fare per il Signore “per tutto
ciò” che da lui ha ricevuto e scopre che da un uomo di buona volontà nient’altro può essere
reso a Dio, come equivalente ai benefici ricevuti (oujde;n a[llo euJrivskei oiJonei; ijsovrJrJon
tai'" eujergesivai" dunavmenon ajpo; ajnqrwvpou eujproairevtou ajpodoqh'nai qew'/), che la
morte nel martirio» (tr. Noce, 129). Si veda anche CRm II, 14 (nota 1).
«Come incenso al tuo cospetto» 259
gio, costantemente sollecitato dall’amico ad abbracciare fino in fondo la
strada del martirio e ad offrire in tal modo alla sua famiglia l’esempio di
una condotta evangelica, potrà allora fare propria la preghiera «nello spi-
rito» (cfr. Ef 6, 18) di Sal 78(79), 11: «Salva i figli dei condannati a mor-
te», amando «con maggiore cognizione» e pregando per loro Dio «con
più intelletto»770.
Origene stesso vorrebbe poter condividere la sorte del suo patrono,
lasciando dietro di sé – come peraltro solo Ambrogio è in grado di fare –
tutti i beni in suo possesso e arrivando ad abbandonare insieme ai poderi
e alle case anche moglie e figli in fedeltà radicale all’appello del Vangelo
e alla sua promessa di ricompensa (cfr. Mt 19, 27-29)771. Questo auspicio
di Origene è una preghiera che sottolinea lo svantaggio della sua condi-
zione, sfruttando protretticamente anche tale motivo per poter meglio
convincere l’amico. Al di là del paradosso, il desiderio manifestato dal-
l’Alessandrino ci fa vedere per la prima volta una preghiera formulata da
Origene in prima persona, secondo un modulo espressivo che – come os-
serveremo in seguito – è attestato specialmente nelle omelie:
«Per questo, se fossi martire, vorrei lasciare figli, con campi e case, affinché
presso Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni
paternità nei cieli e sulla terra (Ef 3, 15), sia chiamato padre di figli, molto più
numerosi e più santi, o per dirla più precisamente, centuplicati»772 .

Riflette ancora da vicino l’esperienza orante di Origene l’auspicio-


preghiera di EM 22 rivolto ad ambedue i destinatari, perché Ambrogio e
Protocteto si immedesimino con l’atteggiamento di Eleazaro, il quale
mentre subiva la tortura prima di morire si affidava fiducioso alla visita
di Dio nella sua anima (2Mac 6, 30-31) 773 .
––––––––––––––––––
770 EM 38 (36, 5-7): tovte ga;r kai; ejpisthmonikwvteron aujta; ajgaphvsei" kai; su-
netwvteron peri; aujtw'n eu[xh/, eja;n mavqh/" o{ti tevkna sou ejsti; kai; ouj spevrma movnon (tr.
Noce, 129).
771 EM 14 (14, 16-21): «A motivo di queste parole, io bramerei (hujxavmhn) posse-
dere sulla terra tanti beni quanti ne hai tu o anche di maggiori e così essere martire per
Dio in Cristo, affinché possa ricevere molto di più (Mt 19, 29) o, come dice Marco, il
centuplo (Mc 10, 30), il che è di molto superiore alle poche cose che lasceremo, se siamo
chiamati al martirio, poiché è centuplicato» (tr. Noce, 117).
772 EM 14 (14, 22-26): touvtou de; e{neken eij marturw', ejboulovmhn kai; tevkna ka-
talipei'n meta; ajgrw'n kai; oijkiw'n, i{na kai; para; tw'/ qew'/ kai; patri; tou' kurivou hJmw'n
∆Ihsou' Cristou', ejx ou| pa'ça patria; ejn oujranoi'" kai; ejpi; gh'" ojnomavzetai, pollapla-
siovnwn kai; aJgiwtevrwn tevknwn crhmativsw path;r h], i{n∆ wJrismevnw" ei[pw, eJkatontapla-
siovnwn (tr. Noce, 117).
773 EM 22 (20, 13-19): «Supplico (eu[comai) voi che state alle porte della morte o,
meglio, della libertà, soprattutto se sarete sottoposti alla tortura (non si può infatti perdere
la speranza che voi non soffriate per volontà delle potenze nemiche) di ripetere questo: Al
Signore, cui appartiene la santa scienza, è manifesto che potendo sfuggire alla morte, sof-
fro nel corpo atroci tormenti mentre sono flagellato, e che nell’anima sopporto tutto que-
260 Parte seconda, Capitolo settimo
È proprio questa unione intima con Dio la condizione come anche la
mèta finale del passaggio tribolato del martirio. Se Origene la lascia in-
travedere con accenti toccanti ex parte hominis, allorché rievoca il mar-
tirio della madre dei sette fratelli Maccabei, vittoriosa sul tormentoso
«fuoco dell’amore materno» con «la rugiada della pietà e lo spirito della
santità»774, egli la precisa da ultimo ex parte Dei in chiave trinitaria come
oggetto della preghiera di Gesù per i «suoi» in Gv 17: «divenite degni di
essere una cosa sola con il Figlio, il Padre e lo Spirito santo, conforme-
mente alla preghiera del Salvatore che dice: “Come io e tu siamo una
cosa sola che anch’essi siano una cosa sola in noi (Gv 17, 21)”»775 .

3.1.3. Dialogo con Eraclide

Il Dialogo con Eraclide (riconducibile, secondo la cronologia di


Nautin, agli anni fra il 239 e il 244, secondo altri al periodo fra il 244 e il
249) non è un trattato in senso stretto, bensì la trascrizione di una disputa
dottrinale condotta con un vescovo della provincia di Arabia dalle idee
controverse, ma anche con altri interlocutori, nel corso di una riunione a
––––––––––––––––––
sto volentieri per il suo timore (2Mac 6, 30)» (tr. Noce, 124). Un altro auspicio-preghiera
figura nell’epilogo (EM 51 [47, 7-16]), dove incontriamo l’uso caratteristico di ei[qe (cfr.
ad esempio le note 162, 1005, 1258, 1260): Tau'tav moi kata; to; dunato;n, wJ" oi|ovn te h\n,
pro;" uJma'" uJphgovreutai, a{per eu[comai uJmi'n genevsqai pro;" to;n parovnta ajgw'na crhvsi-
ma. eij d∆ uJmei'" mavlista nu'n wJ" a[xioi pleivona blevpein tw'n tou' qeou' musthrivwn meivzona
kai; plousiwvtera katalambavnonte" kai; pro;" to; prokeivmenon ajnusimwvtera touvtwn wJ"
paidikw'n kai; eujtelw'n katafronhvsete, kajgw; a]n to; toiou'ton peri; uJmw'n eujxaivmhn. prov-
keitai ga;r uJmi'n ouj to; di∆ hJmw'n ajnusqh'nai ta; kaq∆ uJma'" ajlla; to; o{pw" pote; ajnusqh'nai.
kai; ei[qe ge ajnusqeivh dia; qeiotevrwn kai; sunetwtevrwn kai; uJperecovntwn pa'san ajn-
qrwpivnhn fuvsin lovgwn kai; sofiva".
774 EM 27 (23, 20-24, 6): «Si poteva allora vedere la madre di tali figli sopportare
coraggiosamente, per la speranza che riponeva in Dio, i tormenti e la morte dei figli. In-
fatti la rugiada della pietà e lo spirito della santità non permettevano che si accendesse
nelle sue viscere il fuoco dell’amore materno che infiamma molte madri come fuoco tra i
più dolorosi. Penso che questi fatti, che ho desunto compendiandoli dalla sacra Scrittura,
siano molto utili al presente scopo, perché ci rendiamo conto quanto può la pietà e l’a-
more di Dio, che è molto più forte di ogni altro affetto (eujsevbeia kai; to; pro;" qeo;n fivl-
tron panto;" fivltrou kaq∆ uJperbolh;n plei'on dunavmenon), contro i supplizi più crudeli e
i tormenti più atroci. La debolezza umana infatti non può coesistere con questo amore di
Dio (touvtw/ de; tw'/ pro;" qeo;n fivltrw/ ajnqrwpivnh ajsqevneia ouj sumpoliteuvetai), ma è
scacciata totalmente dall’anima ed è impotente ad agire, dove c’è chi può dire: Il Signore
è mia forza e mia lode (Sal 117[118], 14), e Tutto posso in colui che mi dà forza, Gesù
Cristo, nostro Signore (Fil 4, 13; 1Tm 1, 12)» (tr. Noce, 128-129).
775 EM 39 (37, 2-5): mh; ou\n ajgapa'te ta; paragovmena, ajlla; poiou'nte" to; qevlhma
tou' qeou' a[xioi givnesqe tou' e}n genevsqai a{ma uiJw'/ kai; patri; kai; aJgivw/ pneuvmati kata;
th;n tou' swth'ro" eujch;n levgonto": wJ" ejgw; kai; su; e{n ejsmen. i{na kai; aujtoi; ejn hJmi'n e}n
w\si (Gv 17, 21)» (tr. Noce, 145).
«Come incenso al tuo cospetto» 261
carattere sinodale776 . Si tratta, in particolare, della professione di monar-
chianesimo che portava Eraclide a mettere in dubbio la distinzione ipo-
statica fra il Padre e il Figlio, atteggiamento contrastato apertamente da
Origene all’avvio del confronto. Con abilità dialettica egli conduce il suo
interlocutore al riconoscimento di due «dèi», peraltro subito precisato e
corretto dall’Alessandrino, anche a beneficio degli ascoltatori, nel senso
di affermare sia la distinzione personale che l’unità «sostanziale» di Pa-
dre e Figlio777 .
La discussione sulla lex credendi è da mettere in stretto rapporto con
la lex orandi: anzi, probabilmente la controversia era sorta a seguito delle
forme e del significato da attribuire alla prassi ecclesiale di preghiera778.
In questo senso, l’apporto di Dial al discorso origeniano sulla preghiera
risulta complementare alla testimonianza di Orat, se non più diretto ed
esplicito per i suoi immediati addentellati cultuali. Come si è visto, nel
trattato la dimensione ecclesiale e sacramentale rimane piuttosto elusiva,
anche se il passo contestato di Orat XV, 1 (che prescrive come destinata-
rio della proseuchv il Padre) lascia già trapelare il contesto delle usanze
comunitarie di preghiera, confermato del resto dal tenore «liturgico» del
modello «topico» di orazione proposto in Orat XXXIII 779 . Ora, per Orige-
ne il modo di pregare della Chiesa implicava, da un lato, la distinzione tra
Padre e Figlio (contro il monarchianesimo) e dall’altro la loro unità in
quanto l’uno e l’altro sono Dio (contro l’adozionismo)780 . A riprova di tale
contenuto dottrinale, e con ciò del suo palese nesso ecclesiale, l’Alessan-
drino rinvia alla celebrazione eucaristica come argomento principe a so-
stegno delle sue tesi dottrinali nonché come paradigma vincolante per la
maniera di pregare dei fedeli: l’«offerta» o «sacrificio» (prosforav) del-
l’eucaristia ha sempre come destinatario il Padre, per il tramite di Gesù
Cristo. Di conseguenza, come Origene si affretta a raccomandare espressa-
––––––––––––––––––
776 Nautin, 387-389, 411 associa l’episodio al sinodo di Bostra, convocato per il
caso del vescovo Berillo (p. 387: «Aussi est-on porté à placer les deux conciles à l’époque
où Origène était un prédicateur de renom à Césarée et à Jérusalem, c’est-à-dire [...] dans
les années comprises entre 239 et 244»). Clausi, 110 propende per la datazione bassa, an-
che a causa delle «affinità contenutistiche ed espressive con opere posteriori al 244, come
CRm e CC».
777 Dial 2 (58, 26-31).
778 L’origine della controversia nella prassi eucologica è insinuata soprattutto da
Dial 4 (62, 18-24): Pollavki" gravfousin uJpogravyai, kai; to;n ejpivskopon uJpogravyai
kai; tou;" uJponooumevnou" kai; uJpogravyai ejpi; tou' laou' pantov", i{na mhkevti peri; touvtou
gevnhtai stavsi" h] zhvthsiv" ti". ∆Epitrevponto" ou\n tou' Qeou', deuvteron kai; tw'n ejpiskov-
pwn, trivton tw'n presbutevrwn kai; tou' laou' dev, to; kinou'n me pavlin eij" to;n tovpon ejrw`.
Questa dichiarazione, infatti, è il preludio alla prescrizione sulla prosforav (si veda infra,
nota 781).
779 Si veda pp. 135, 157. Cfr. anche infra, nota 1333 e Perrone 2007, 70-71.
780 Dial 4 (60, 2-62, 9). Cfr. supra, pp. 135-166 e nota 406.
262 Parte seconda, Capitolo settimo
mente, l’offerta non deve mai avvenire due volte, bensì una volta sola: «a
Dio mediante Dio»781 . La formula conclusiva di Origene, sintetica ed effi-
cace quanto a prima vista paradossale, sembra anche rappresentare, in un
certo senso, un’accentuazione o sviluppo ulteriore rispetto a Orat XV, 1,
almeno per il fatto che la si può intendere anche come una replica impli-
cita all’accusa di subordinazionismo782.
L’esperienza di preghiera affiora in Dial anche al di là di queste ma-
nifestazioni liturgiche. Origene la richiama alla luce delle Scritture, quan-
do in un tratto successivo della disputa argomenta la dottrina dell’immorta-
lità dell’anima distinguendo fra diversi tipi di «morte» (la morte al peccato,
la morte a Dio, la morte fisica). Nel chiarire il primo tipo egli si sovviene
della preghiera di Balaam, figura controversa e non certo esemplare, dal
momento che si tratta di un indovino pagano. L’Alessandrino se ne è oc-
cupato diverse volte, in special modo nelle Omelie sui Numeri, anche die-
tro richiesta del suo uditorio783 . Forse non è privo di coincidenze il fatto
che trovandosi in Arabia rammenti un personaggio che la storia biblica
collocava proprio in quella regione, ma la ragione più cogente è il conte-
nuto della preghiera di Nm 23, 10: «Possa morire la mia anima tra le anime
dei giusti!». La conclusione della prima benedizione di Balaam (Nm 23,
7-10), fatta in luogo della maledizione d’Israele richiestagli da Balak, è
vista da Origene con Nm 23, 7a LXX («E venne lo spirito di Dio su di lui»)
come la manifestazione di un’attività profetica ispirata784. L’auspicio

––––––––––––––––––
781 Dial 4 (63, 24-28): ∆Aei; prosfora; givnetai Qew/' pantokravtori dia; ∆Ihsou'
Cristou', wJ" prosfovrou tw/' Patri; th;n qeovthta aujtou': mh; di;" ajlla; Qew/' dia; Qeou' pro-
sfora; ginevsqw. Tolmhro;n dovxw levgein, eujcovmenoi ejmmevnein tai'" sunqhvkai". Scherer
traduce wJ" prosfovrou tw/' Patri; th;n qeovthta aujtou' con «en tant qu’il communique avec
le Père par sa divinité» (p. 63), ma la traduzione non convince (come anche PGL, 1185
s.v., che rende analogamente «related to, resembling»). Segue il tribolatissimo passo sulle
«convenzioni» o «patti» (sunqh'kai): secondo Scherer contra Capelle non sarebbe da in-
tendere come un richiamo alla rivolta contro il vescovo, bensì come appello al rispetto dei
ruoli di tutti nella preghiera collettiva (p. 64, nota 1).
782 Cfr. Fédou 1995, 294: «Ainsi, le fait que toute prière authentique s’adresse en
fin de compte au Père ne signifie nullement l’infériorité du Fils par rapport à Dieu; c’est
bien plutôt en raison même de sa divinité que le Fils apparaît comme le parfait et l’unique
Médiateur, comme celui qui transmet au Père la supplication des hommes et qui sans
cesse intercède en leur faveur».
783 Origene vi dedica i sermoni HNm XIII -XIX. Cfr. Baskin; Ferrari Toniolo; Simo-
netti 2004a. Come attesta HNm XV, 1 (128, 17-21), Origene in un caso non si attiene alle
letture fatte, onde commentare il testo per desiderio degli uditori: «Licet nos ordo lectio-
num, quae recitantur, de illis dicere magis exigat, quae lector explicuit, tamen quoniam
nonnulli fratrum deposcunt ea potius, quae de prophetia Balaam scripta sunt, ad sermo-
nem disputationis adduci, non ita ordini lectionum satisfacere aequum credidi, ut deside-
riis auditorum».
784 Dial 26 (104, 11-106, 16): Peri; touvtou tou' qanavtou Balaa;m profhteuvwn e[le-
gen eujcovmeno" ejn pneuvmati qeivw/: ∆Apoqavnoi hJ yuchv ªmouº ejn yucai'" dikaivwn (Nm 23,
«Come incenso al tuo cospetto» 263
espresso dall’indovino (che troverà conferma in Nm 31, 8, con la sua morte
ad opera degli Israeliti) si configura come una preghiera «nello Spirito» e
in quanto tale esemplifica anch’essa la «preghiera spirituale», secondo il
modello proposto da Orat. Balaam, infatti, per l’azione dello Spirito for-
mula la richiesta per un contenuto da vedersi alla stregua dei «beni grandi
e celesti» raccomandati nel trattato come l’oggetto proprio della pre-
ghiera spirituale: morire al peccato e vivere per Dio.
La vita in Dio è anche il motivo della conclusione parenetica di Dial
con la sua dossologia finale. Troviamo qui per la prima volta una moda-
lità ricorrente delle omelie: l’esortazione che al termine del sermone tra-
passa in una supplica a Dio per la comunità, conclusa dalla professione di
lode. Da questo punto di vista il nostro «trattato» può senz’altro essere
assimilato alla situazione omiletica, dove l’istanza esterna rappresentata
dall’uditorio interviene a vario titolo nelle manifestazioni di una prassi
orante, in particolare – come vedremo più avanti – all’inizio e alla fine
del sermone, ma a volte anche all’interno di esso. Elaborando qui con ac-
curatezza retorica la chiusa del suo discorso, sul motivo della «vita» – in
Dio e in Cristo –, opposta alla «morte», Origene arriva a pregare «perché
diventiamo una sola cosa con il Dio dell’universo e contempliamo il suo
Figlio unigenito [...] in Gesù Cristo, al quale è la gloria e la potenza per i
secoli dei secoli»785 .
Ma l’uditorio di Dial era già stato coinvolto e sollecitato a una prassi
orante in un altro frangente memorabile della disputa, segnato dall’urgen-
za emotiva di uno sfogo appassionato del dottore-predicatore in nome
dell’interpretazione spirituale della Scrittura. Prima di risolvere la questio-
ne sollevata dal vescovo Dionigi, un altro dei partecipanti al sinodo («For-
se che l’anima è il sangue?»), Origene promette d’impegnarsi a risponde-
re «con l’aiuto di Dio» (qeou' didovnto"), in conformità all’«auspicio» o
«richiesta» (kata; th;n eujch;n uJmw'n) che gli è stata rivolta786 . Quest’ultima
––––––––––––––––––
10a). Peri; touvtou tou' qanavtou pªaºradovxw" ejprofhvteusen oJ Balaavm, kai; eJautw/' ejn
lovgw/ qeou' ta; kavllista hu[ceto: hu[ceto ga;r th/' aJmartiva/ ajpoqanei'n i{na zh/vsh/ tw/' qew/'.
785 Dial 28 (108, 8-110, 17): ∆Epi; tauvthn th;n zwh;n speuvswmen, stenavzonte", lu-
pouvmenoi o{ti ejsme;n ejn tw/' skhnwvmati, o{ti ejndhmou'men ejn tw/' swvmati. O
{ son ejndhmou'men
ejn tw/' swvmati, ejkªdºhmou'men ajpo; tou' Kurivou (2Cor 5, 6). ∆Eªpipºoqhvswmen ejkdhmh'sai
ajpo; toªu' swvºmªato" kºai; ejndhmh'sai pro;" to;n ªKuvrionº (2Cor 5, 8), i{n∆ ejªndºhmou'nteª"º
aujtw/' genwvªmeºqa e}n pro;" to;n Qeo;n tw'n o{lwn ªkai;º to;n monogenh' aujtou' UiJo;n ªoJrw'menº
pro;" pavnta swzovmenoi kai; makavriªoi gºinovmenoi, ejn ∆Ihsou' Cristw/' w|/ hJ dovxa kai; to;
kravto" eij" tou;" aijwvna" tw'n aijwvnwn. ∆Amªhvºn. L’integrazione della lacuna nel papiro con
ªoJrw'menº è stata introdotta da Scherer a partire da Ambrogio, In Lucam VII , 38. Forse c’è
un’eco di Gv 17, 21, come vediamo anche dal confronto con EM 39 (cfr. supra, nota 775),
che farebbe eventualmente propendere per l’idea di «essere uno» con il Padre e con il suo
Figlio Unigenito.
786 Dial 11 (78, 4-6): Ta; rJhta; uJf∆ w|n perispw'ntai, mhv tiv me lavqh/ aujtw'n, prw'ton
ejkqhvsomai, kai; pro;" e{kaston, Qeou' didovnto", kata; th;n eujch;n uJmw'n ajpokrinouvmeqa.
264 Parte seconda, Capitolo settimo
locuzione lascia un’incertezza terminologica, riguardo alla valenza di
«auspicio» o «voto» o piuttosto quello di «preghiera», ma poco oltre tro-
viamo un appello al sostegno orante che sembra implicare anche il concor-
so della comunità: per Origene, l’interprete della Scrittura non può fare a
meno di «essere aiutato nella lettura delle parole divine» e se tale aiuto,
in ultima analisi, non può venire da altri che da Dio e dal suo dono di gra-
zia, la preghiera della comunità sostiene anch’essa gli sforzi del maestro-
commentatore invocando per lui l’ausilio divino787 . Questo nesso fra pre-
ghiera e esegesi della Scrittura rinvia – come vedremo ancora in seguito –
al contesto più frequente e consueto per la manifestazione di una prassi
orante in Origene stesso e nei suoi ascoltatori e/o lettori.

3.1.4. Contro Celso

Anche il Contro Celso, da datarsi presumibilmente intorno al 248-


249, si lascia inquadrare con difficoltà come vero e proprio trattato, essen-
do un’opera polemico-apologetica in risposta all’ ∆Alhqh;" lovgo" del filo-
sofo medioplatonico, scritto circa settant’anni prima della replica di Ori-
gene che ne riporta numerosi estratti788. Si sa che CC, pur sfruttando am-
piamente come argomento apologetico la condotta di vita esemplare dei
cristiani, solo in piccola parte consente di cogliere aspetti significativi
della loro prassi religiosa. L’interesse dell’autore mira prevalentemente a
sottolineare la qualità dell’ethos proprio dei seguaci di Cristo, come riven-
dicazione della loro superiorità sui pagani, mentre il discorso sulle «opere»
tende, in ultima analisi, a focalizzarsi sull’unica vera e grande «opera» –
l’azione salvifica di Gesù Cristo a beneficio degli uomini 789 . Nondimeno,
un tema d’importanza primaria per il profilo religioso dell’individuo e
della comunità, com’è appunto la preghiera, era destinato a lasciare tracce
importanti nel dibattito con l’avversario pagano. Dato il contesto, ad un
tempo apologetico e filosofico, e l’incidenza modesta delle esperienze di
vita, è quasi inevitabile che il modello di preghiera proposto da CC tenda
ad avvicinarsi maggiormente alla prassi degli esercizi spirituali della filo-
sofia antica, specie nel passo giustamente celebre di CC VII, 44. Tuttavia,
––––––––––––––––––
L’inciso Qeou' didovnto" compare frequentemente nei testi di Origene, nei commentari ma
specialmente nelle omelie, a testimonianza del fatto che l’esegesi della Scrittura è sempre
dono di Dio (cfr. note 313, 867).
787 Dial 11 (78, 14-16): ∆Egw; de; kata; ta; ejma; mevrh, eujcovmeno" bohqei'sqai ejn tw/'
ajnaginwvskein ta; qei'a (bohqeiva" ga;r deovmeqa i{na mh; a[llo ti para; th;n ajlhvqeian
fronhvswmen)...
788 Cfr. Nautin, 375-376. Sul problema del genere letterario si veda Dorival; Le
Boulluec, 185; Perrone 2005a.
789 Ne ho discusso in Perrone 2009a, rilevando fra l’altro l’immagine più ricca di
spunti concreti che ricaviamo invece dalla letteratura apologetica di II-III secolo.
«Come incenso al tuo cospetto» 265
anche nell’apologia di Origene sarebbe riduttivo assumere la categoria di
«esercizio spirituale» come rappresentativa in toto del suo discorso sulla
preghiera: non solo l’immagine dell’atto orante è più squisitamente bi-
blica e cristiana di quanto farebbe supporre, a prima vista, l’associazione
con l’idea platonica del «volo dell’anima», ma essa si sostanzia anche di
vari spunti che arricchiscono la prospettiva globale sulla preghiera rica-
vabile dagli scritti dell’Alessandrino790.

3.1.4.1. Esperienze di preghiera: l’incidenza del paradigma di Orat

Passando in rassegna le sue diverse manifestazioni, notiamo dappri-


ma come la preghiera prenda soprattutto la forma di un’invocazione per
la conoscenza di Dio e per il progresso spirituale rivolto a tale mèta, co-
minciando dall’esperienza personale dell’autore. Non è che s’ignorino le
richieste più concrete di benefici materiali, che accomunano esteriormente
i cristiani ai pagani, ma in generale l’illustrazione della prassi orante tende
sempre a rispecchiare il suo modello esemplare791 . Non a caso anche in
CC il criterio regolativo risulta essere l’agraphon sulle «cose grandi e ce-
lesti», che abbiamo incontrato come principio-guida nel trattato sulla
preghiera 792 . Quantunque pagani e cristiani preghino indistintamente per
ricevere dei beni terreni, secondo Origene lo scopo autentico della pre-
––––––––––––––––––
790 Pur tenendo conto dei miei studi successivi su CC, riprendo in larga misura
l’analisi già tracciata in Perrone 2001d, peraltro carente quanto agli aspetti politici della
preghiera.
791 Origene non nega il diritto di richiedere beni materiali, come fanno cristiani e
pagani senza distinzione, allorché pregano, ad esempio, per avere dei figli. Ciò che li dif-
ferenzia è il fatto che i cristiani fanno appello al Creatore dell’universo, mentre i pagani
invocano i demoni. Cfr. CC VIII, 46 (261, 12-22), che richiama gli esempi di Abramo e
Sara, di Ezechia e di Eliseo: Eij de; kai; peri; ajpaidiva" dei' levgein, ejf∆ h|/ dusforou'ntev"
tine" gegovnasi patevre" h] mhtevre", ta;" peri; touvtou eujca;" ajnapevmyante" tw'/ tw'n o{lwn
dhmiourgw',/ ajnagnwvtw ti" ta; peri; tou' ∆Abraa;m kai; th'" Savrra" [...] ajnagnwvtw de; kai; ta;
peri; ∆Iezekivou [...] Kai; ejn th'/ tetavrth/ de; tw'n Basileiw'n hJ uJpodexamevnh to;n ∆Elissai'on,
cavriti qeou' profhteuvsanta peri; genevsew" paidov", kata; ta;" eujca;" tou' ∆Elissaivou
gevgone mhvthr. Si ricorderà come in Orat tali paradigmi biblici siano valorizzati nell’ottica
dell’ermeneutica spirituale, non senza tensioni con il dato scritturistico di partenza (cfr.
supra, pp. 142 ss.). L’analogia solo esteriore con altre tradizioni religiose, quanto ai riti ed
ai contenuti della preghiera, è ribadita da CC V, 47 (51, 10-15): To; d∆ ai[tion th'" ∆Ioudaivwn
peritomh'" ouj taujtovn ejsti tw'/ aijtivw/ th'" Aijguptivwn peritomh'" h] Kovlcwn: dio; oujc hJ aujth;
nomisqeivh a]n peritomhv. Kai; w{sper oJ quvwn ouj tw'/ aujtw'/ quvei, eij kai; oJmoivw" quvein
dokei', kai; oJ eujcovmeno" ouj tw'/ aujtw'/ eu[cetai, eij kai; ta; aujta; ejn tai'" eujcai'" ajxioi'.
792 L’agraphon è alluso da CC VII , 44 (196, 5-8), mediante l’antitesi fra beni «pic-
coli e materiali» e beni «grandi e divini»: e[maqe ga;r ajpo; tou' ∆Ihsou' mhde;n mikrovn, tou-
tevstin aijsqhtovn, zhtei'n ajlla; movna ta; megavla kai; ajlhqw'" qei'a, o{sa sumbavlletai
didovmena uJpo; tou' qeou' pro;" to; oJdeu'sai ejpi; th;n par∆ aujtw'/ dia; tou' uiJou' aujtou' lovgou
o[nto" qeou' makariovthta. Sull’impiego dell’agraphon in Orat, cfr. supra, nota 169.
266 Parte seconda, Capitolo settimo
ghiera consiste nell’ottenere una «vita migliore» di quella fisica: anziché
pregare per la loro salute, i cristiani debbono rivolgersi alle cure dei me-
dici, attendendosi invece da Dio una forma più alta di esistenza, propi-
ziata da una pietà genuina e dalle preghiere indirizzate a Lui793 .
In questo stesso spirito, analogamente a quanto constateremo ripe-
tutamente sia nei commentari sia nelle omelie, Origene si rivolge a Dio
per ottenere il dono dell’intelligenza spirituale – cioè la conoscenza dei
misteri divini – e poter dunque rintuzzare efficacemente le accuse del fi-
losofo pagano alla fede dei cristiani. Ciò avviene di solito in apertura di
libro, anche se non è così in tutti i casi 794 . Il prologo del libro IV si presta
bene all’esemplificazione, perché consiste in sostanza di una lunga «pre-
ghiera» tramata biblicamente su Ger 1, 9-10 (e intrecciata con altri luoghi
scritturistici, secondo un modulo tipico della «retorica» orante di Origene),
che rispecchia i due motivi strutturali dell’opera: confutare e distruggere
le tesi dell’avversario, piantare e costruire le fondamenta della fede.
«Dopo avere esposto dettagliatamente nei tre libri precedenti, o devoto Ambro-
gio, quello che noi abbiamo pensato in risposta al trattato di Celso e dopo avere
pregato Dio attraverso Cristo (eujxavmenoi dia; Cristou' tw'/ qew')/ , componiamone
un quarto in risposta a ciò che segue. Ci siano concesse le parole (doqei'en d∆ hJmi'n
lovgoi) di cui è stato scritto in Geremia, quando il Signore disse al profeta: Ecco,
io ho messo le mie parole sulla tua bocca, come fuoco. Ecco, oggi ti ho stabilito
sopra popoli e regni, per sradicare e per demolire, per distruggere e per abbatte-
re e per edificare e costruire (Ger 1, 9-10). Infatti, noi abbiamo bisogno (crhv/zo-
men) adesso di parole che sradichino le concezioni contrarie alla verità da ogni
anima danneggiata dal trattato di Celso o dai pensieri simili ai suoi. Ed abbiamo
bisogno (deovmeqa) anche di pensieri che abbattano gli edifici di ogni falsa opinio-
ne e l’edificio costruito da Celso nel suo trattato, simile all’edificio di coloro che
hanno detto: Orsù, costruiamo per noi una città e una torre, la cui cima sia fino al
cielo (Gn 11, 4). Ma abbiamo bisogno (crhvz/ omen) anche di una saggezza che ab-
batta tutte le altezze, che si innalzano contro la conoscenza di Dio (2Cor 10, 5) e
l’altezza dell’arroganza di Celso, che si innalza contro di noi. Inoltre, poiché noi
non dobbiamo fermarci a sradicare e ad abbattere le cose dette in precedenza, ma
dobbiamo piantare, al posto delle cose abbattute, un edificio di Dio e un tempio
della gloria di Dio, anche per questo dobbiamo pregare il Signore, che ha concesso
le cose scritte da Geremia (hJmi'n eujktevon ejsti; tw'/ dedwkovti kurivw/ ta; ejn tw'/ ÔIe-
remiva/ gegrammevna), affinché conceda anche a noi parole per edificare l’edificio
di Cristo e per seminare la legge spirituale e le parole profetiche come le sue»795 .
––––––––––––––––––
793 CC VIII, 60 (276, 35-277, 2): ajlla; crh; th;n qerapeivan tw'n swmavtwn, eij me;n
aJplouvsteron bouvloitov ti" zh'n kai; koinovteron, ejfovdw/ ijatrikh'/ qerapeuvein, eij de; bevl-
tion para; tou;" pollouv", eujsebeiva/ th'/ eij" to;n ejpi; pa'si qeo;n kai; tai'" pro;" ejkei'non euj-
cai'". Cfr. infra, nota 804.
794 Cfr. CC IV , 1; V, 1; VII , 1; VIII, 1.
795 CC IV, 1 (tr. Ressa, 287). L’aspetto di preghiera del prologo, oltre alla termino-
logia più univoca, è rafforzato dall’uso di un verbo come devomai, sia pure in variatio con
«Come incenso al tuo cospetto» 267
In questo come in altri prologhi Origene, preoccupato di estirpare i
germi maligni deposti per lui dalle critiche di Celso nelle anime più de-
boli dei credenti, prega di ricevere da Dio la conoscenza della verità e la
capacità di farsene tramite presso i destinatari della sua opera. All’inizio
del V libro, collocandosi in una linea di continuità che dall’apologeta risale
al commentatore della Bibbia per giungere da ultimo al profeta ispirato,
l’Alessandrino chiede nuovamente di partecipare dell’ispirazione divina
nel pensiero e nella parola796 , mentre nel prologo del VII domanda di poter
ricevere da Dio, in quanto è «Verità», l’illuminazione del cuore capace di
aiutarlo a respingere efficamente le menzogne di Celso797. L’assimilazione
insinuata da questi passi fra il compito dell’apologista e l’attività profetica
lascia intravedere, attraverso l’esperienza orante, l’auspicio di un impatto
sui lettori analogo a quella che può suscitare la «potenza» (duvnami") del
testo sacro, in quanto Parola divinamente ispirata, su chi si accosti ad esso
con zelo e devozione 798 .
Se queste preghiere introduttive rispecchiano pienamente, per forma
e contenuto, il modello della «preghiera spirituale» proposto da Orat, an-
che altri passi di CC si conformano ad esso, contenendo preghiere dettate
ugualmente dalla richiesta di comprendere i misteri nascosti di Dio. Ori-
gene si rifà, in particolar modo, alla supplica di Sal 118(119), 18: «Togli
il velo dai miei occhi e apprenderò le tue meraviglie dalla tua legge»799,
––––––––––––––––––
crhv/zw. La costruzione retorica amplifica il motivo tratto da Ger 1, 9-10, focalizzandolo
all’acquisizione di lovgo" (lovgoi) e sofiva (si veda lo stesso binomio nella chiusa di EM 51:
supra, nota 773).
796 CC V, 1 (2, 8-18): Qeo;" de; dwv/h mh; yilw'/ kai; gumnw'/ qeiovthto" tw'/ hJmetevrw/ nw'/
kai; lovgw/ <pro;"> to; prokeivmenon genevsqai: i{n∆ hJ pivsti" tw'n, ou}" eujcovmeqa wjfelhqh'-
nai, mh; h\/ ejn sofiva/ ajnqrwvpwn (1Cor 2, 5), nou'n de; Cristou' (cfr. 1Cor 2, 16) labovnte"
ajpo; tou' movnou didovnto" aujto;n patro;" aujtou' kai; pro;" th;n metoch;n tou' lovgou tou' qeou'
bohqhqevnte" pa'n u{ywma ejpairovmenon kata; th'" gnwvsew" tou' qeou' (2Cor 10, 5) kaqev-
loimen kai; to; oi[hma Kevlsou, kaq∆ hJmw'n kai; kata; tou' ∆Ihsou' hJmw'n ejpairomevnou e[ti de;
kata; Mwu>sevw" kai; tw'n profhtw'n: i{na tou' didovnto" rJh'ma toi'" eujaggelizomevnoi" du-
navmei pollh'/ (67 [68], 12) kai; hJmi'n tou't∆ ejpicorhgou'nto" kai; th;n pollh;n duvnamin dw-
roumevnou, ejggevnhtai pivsti" toi'" ejnteuxomevnoi" ejn lovgw/ kai; dunavmei tou' qeou'.
797 CC VII, 1 (154, 5-13): qeo;n ejpikalesavmenoi di∆ aujtou' ∆Ihsou' Cristou', tou'
kathgoroumevnou uJpo; Kevlsou, i{n∆ hJmw'n ejllavmyh/ ejn th'/ kardiva/ ajlhvqeia tugcavnwn ta;
ajnatreptika; tou' yeuvdou", ajrcovmeqa kai; eJbdovmou suggravmmato", to; profhtiko;n ejkei'-
no ejn th'/ pro;" qeo;n levgonte" eujch'/ tov: ∆En th'/ ajlhqeiva/ sou ejxolovqreuson aujtouv" (Sal
53[54], 7), dh'lon d∆ o{ti tou;" ejnantivou" th'/ ajlhqeiva/ lovgou": ou|toi ga;r ajlhqeiva/ qeou'
ejxoloqreuvontai, i{n∆ ejxoloqreuqevntwn aujtw'n oiJ panto;" perispasmou' ajpoluqevnte"
ei[pwsi to; eJxh'" ejkeivnw/ tov: ÔEkousivw" quvsw soi (Sal 53[54], 8), logikh;n kai; a[kapnon
qusivan prosfevronte" tw'/ qew'/ tw'n o{lwn.
798 Circa la concatenazione ermeneutica fra autore ispirato, interprete e lettore nel
segno dell’ i[cno" ejnqousiasmou`, si veda Perrone 2004b.
799 Cfr. CC II, 6 (132, 25-31): Kai; ga;r oiJ profh'tai, wJ" mh; katapauvonte" to;n nou'n
tw'n legomevnwn ejn th'/ profanei' iJstoriva/ mhd∆ ejn th'/ kata; ta;" levxei" kai; to; gravmma no-
moqesiva/, o{pou mevn fasin iJstoriva" dh'qen ejkqhsovmenoi tov: ∆Anoivxw ejn parabolai'" to;
268 Parte seconda, Capitolo settimo
ricollegando le parole del Salmista all’immagine del «velo [...] steso sul
cuore» di 2Cor 3, 15-16, che rappresenta un luogo fondamentale per l’im-
postazione ermeneutica dell’Alessandrino. Così la preghiera funge da re-
quisito preliminare, indispensabile per l’intelligenza profonda della Scrit-
tura, mentre Origene sottolinea ad un tempo la necessità del ricorso alla
grazia divina e l’impegno attivo dell’uomo:
«se davvero la legge di Mosè non aveva, scritta al suo interno, nessuna cosa che
venisse indicata attraverso significati nascosti, il profeta, pregando, non avrebbe
detto a Dio: Apri i miei occhi, e io contemplerò le meraviglie della tua legge (Sal
118[119], 18). Ora, egli sapeva che esiste un “velo” di ignoranza posto nel cuore
di quelli che leggono e non comprendono i significati allegorici. E questo velo è
tolto (2Cor 3, 15-16) per dono di Dio, quando Dio ascolta colui che ha fatto tutto
quello di cui è stato capace e si è abituato a esercitare i sensi a distinguere il bene
dal male e ha detto continuamente nella sua preghiera: Apri i miei occhi, e io
contemplerò le meraviglie della tua legge (Sal 118[119], 18)»800 .

Lo stretto legame che intercorre fra preghiera e conoscenza di Dio


risulta dunque essere il dato emergente di CC, come vedremo ancora me-
glio nell’esaminare fra breve il modo in cui Origene descrive l’atto
orante. Il legame è rafforzato anche altrove dall’invocazione per il dono
dello Spirito, fonte di illuminazione del «cuore», che sola consente di
«rappresentarsi» le realtà divine801 , e dall’analoga richiesta, basata su Sal
50(51), 10 («Un cuore puro crea in me, o Dio, e uno spirito retto rinnova
nelle mie viscere»), perché questo organo interiore, cioè la mente, sia
––––––––––––––––––
stovma mou, fqevgxomai problhvmata ajp∆ ajrch'" (Sal 77[78], 2), o{pou de; eujcovmenoi peri;
tou' novmou wJ" ajsafou'" kai; deomevnou qeou', i{na nohqh'/, levgousin ejn eujch'/: ∆Apokavlu-
yon tou;" ojfqalmouv" mou, kai; katanohvsw ta; qaumavsiav sou ejk tou' novmou sou (Sal 118
[119], 18).
800 CC IV, 50 (323, 3-12): ∆Alla; kai; ei[per oJ Mwu>sevw" novmo" mhde;n ei\cen ejgge-
grammevnon di∆ uJponoiw'n dhlouvmenon, oujk a]n oJ profhvth" eujcovmeno" e[lege tw'/ qew'/:
∆Apokavluyon tou;" ojfqalmouv" mou, kai; katanohvsw ta; qaumavsiav sou ejk tou' novmou sou
(Sal 118[119], 18). Nuni; de; h[/dei o{ti ejstiv ti kavlumma ajgnoiva" ejn th'/ kardiva/ tw'n ajnagi-
nwskovntwn kai; mh; sunievntwn ta; tropologouvmena ejpikeivmenon: o{per kavlumma periai-
rei'tai (2Cor 3, 15-16) tou' qeou' dwroumevnou, ejpa;n ejpakouvsh/ tw'/ par∆ eJauto;n pavnta
poihvsanti kai; dia; th;n e{xin ta; aijsqhthvria gumnavsanti pro;" diavkrisin kalou' kai; ka-
kou' kai; ejn th'/ eujch'/ sunecevstata fhvsanti: ∆Apokavluyon tou;" ojfqalmouv" mou, kai; ka-
tanohvsw ta; qaumavsiav sou ejk tou' novmou sou (Sal 118[119], 18) (tr. Ressa, 330). Anche
nell’esortazione introduttiva di HGn XII , 1 (106, 20-22) Origene fa ricorso a Sal 118(119),
18 come intenzione di preghiera: «Per singulas quasque lectiones cum legitur Moyses, oran-
dus nobis est pater verbi, ut impleat etiam in nobis illud quod in Psalmis scriptum est: re-
vela oculos meos, et considerabo mirabilia de lege tua». Cfr. inoltre HLv I, 1 (nota 1153).
801 Cfr. CC IV, 95 (368, 18-22): Eujcovmeqa de; lavmyai ejn tai'" kardivai" hJmw'n to;n
fwtismo;n th'" gnwvsew" th'" dovxh" tou' qeou' (2Cor 4, 6), ejpidhmou'nto" hJmw'n tw'/ fanta-
stikw'/ pneuvmato" qeou' kai; fantavzonto" hJma'" ta; tou' qeou': ejpei; ”Osoi pneuvmati qeou'
a[gontai, ou|toi uiJoiv eijsi qeou' (Rm 8, 14).
«Come incenso al tuo cospetto» 269
reso capace di vedere Dio, attuando così la promessa fatta ai «puri di
cuore» in Mt 5, 8802.

3.1.4.2. La preghiera di Gesù nel Getsemani

Il quadro illustrato finora pare essere in contrasto con la scena della


preghiera di Gesù nel Getsemani (Mt 26, 37-38; Mc 14, 35-36; Lc 22, 41-
45). Origene torna ad occuparsene dopo l’Esortazione al martirio, spinto-
vi adesso dalle critiche dell’Ebreo, un personaggio fittizio che Celso mette
polemicamente in scena nei primi due libri come interlocutore virtuale di
Gesù. L’accusa nasce dal fatto che egli supplica il Padre di liberarlo dalla
morte, manifestando turbamento e timore per la fine imminente, laddove
essendo un dio dovrebbe restarne immune803 . Quale ulteriore motivo di
critica si potrebbe aggiungere che – nell’ottica dell’umanità del Figlio di
Dio e insieme del discorso eucologico dell’Alessandrino – supplicare per
essere liberato dalla morte fisica non può considerarsi un oggetto all’al-
tezza di quei beni «grandi e celesti» per i quali Origene raccomanda ai cri-
stiani di pregare 804 . Ora, la replica a Celso, partendo dalla contestazione
di metodo sul piano esegetico, sfocia nella piena riaffermazione del mo-
dello della «preghiera spirituale» sia per le disposizioni interiori che per i
contenuti, non diversamente da quanto avveniva già in EM. Invece di ri-
portare parzialmente le parole di Gesù e ricavarne così un’impressione
distorta, Celso avrebbe dovuto includere anche la conclusione della sua
supplica: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26, 39). Da
una parte, quindi, il modo in cui Gesù prega il Padre esprime adeguata-
––––––––––––––––––
802 Il motivo del «cuore» (= mente) come organo della vista interiore compare a più
riprese in CC. Si veda, in particolare, VII, 33 (184, 10-13), che teorizza la necessità della
preghiera per acquisire la facoltà di contemplare Dio, poiché questa può essere concessa
solo da Lui: ∆Epei; d∆ oujk aujtavrkh" hJ hJmetevra proaivresi" pro;" to; pavnth/ kaqara;n e[cein
th;n kardivan, ajlla; qeou' hJmi'n dei', ktivzonto" aujth;n toiauvthn, dia; tou'to levgetai uJpo;
tou' ejpisthmovnw" eujcomevnou: Kardivan kaqara;n ktivson ejn ejmoi; oJ qeov" (Sal 50[51], 10).
803 CC II , 24 (= fr. II , 24 Bader): «Pertanto, per quale motivo grida, si lamenta e
prega di sfuggire al timore della morte, dicendo press’a poco così: “O Padre, se questo
calice potesse allontanarsi?”» (tr. Ressa, 184). Mentre Origene, replicando a Celso (CC II,
25), insisterà sulla distinzione fra le nature divina e umana, il filosofo obietta adesso in
nome della divinità di Cristo: «Gewiss hat Kelsos nicht vergessen, was er in 2, 16 c über
das Festhalten der Großkirche am wahren Leiden Jesu geschrieben hat, diesmal aber, weil
das Anliegen seiner Argumentation ein anderes ist, folgt er der Logik einer doketischen
Christologie. Er will nämlich zeigen, dass das an sich unvorstellbare Leiden eines Gottes,
für das er selbst sich entschieden hat, unvereinbar mit der Reaktion und mit den Äußerun-
gen Jesu ist, als er von diesem Leiden direkt betroffen wurde» (Lona, Die «Wahre Lehre»
des Kelsos, 137).
804 Cfr. Orat XVI, 2. In HIer XVII , 6 (infra, nota 1112) Origene critica i fedeli che,
in caso di malattia e di morte imminente, supplicano Dio di rimanere in vita.
270 Parte seconda, Capitolo settimo
mente la sua sottomissione al piano divino di salvezza e in quanto tale
rappresenta un modello per i cristiani chiamati ad abbandonarsi anch’essi
alla volontà di Dio805 ; dall’altra parte, questo modello corrisponde total-
mente alla condizione dell’uomo in cammino verso la perfezione, dal mo-
mento che la preghiera emerge nel mezzo del conflitto tra lo «spirito» e
la «carne». Così, la supplica di Gesù attesta la sua umanità ed indica
la strada della preghiera tra la «debolezza» della carne e la «prontezza»
dello spirito:
«alcune parole di Gesù sono del primogenito di ogni creatura presente in Lui,
come: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6) e altre simili a queste, mentre
altre sono dell’uomo che s’intende presente in Lui, come: Adesso voi cercate di
uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità che ha ascoltato dal Padre (Gv
8, 40). Anche qui dunque egli descrive, nella sua natura umana, sia la debolezza
della carne umana, sia il coraggio dello spirito (to; th'" ajnqrwpivnh" sarko;" ajsqe-
ne;" kai; to; tou' pneuvmato" provqumon) – la debolezza nella frase: Padre, se è pos-
sibile si allontani questo calice; il coraggio dello spirito in quella: Tuttavia, non
come voglio io, ma come vuoi tu (Mt 26, 39). Se poi si deve osservare anche l’or-
dine delle parole, bada al fatto che per prima è stata detta quell’unica cosa che,
come si potrebbe dire, è secondo la debolezza della carne, ed in seguito le nume-
rose cose che sono secondo il coraggio dello spirito (kata; th;n ajsqevneian th'"
sarko;" e}n tugcavnon, u{steron de; ta; kata; th;n proqumivan tou' pneuvmato" o[nta
pleivona). Infatti, una volta sola dice: Padre, se è possibile, si allontani da me
questo calice, numerose volte invece: Non come voglio io, ma come vuoi tu, e:
Padre mio, se non è possibile che si allontani da me questo calice senza che io lo
beva, si compia la tua volontà. Ma si deve osservare anche che non è stato detto:
“Si allontani questo calice”, ma che invece è stata espressa con devozione e con
riverenza (eujsebw'" kai; meq∆ uJpotimhvsew") tutta questa affermazione: Padre, se
è possibile, si allontani questo calice»806 .

La spiegazione della scena del Getsemani in CC richiama alla memo-


ria la nota paradossale del prologo al trattato sulla preghiera, che insisteva
––––––––––––––––––
805 Circa le disposizioni spirituali della preghiera di Gesù si veda CC II, 24 (153,
18-20): th;n pro;" to;n patevra eujsevbeian aujtou' kai; megaloyucivan, «la sua devozione
verso il Padre e la sua grandezza d’animo» (tr. Ressa, 184); (ll. 20-22) th;n pro;" to; bouv-
lhma tou' patro;" peri; tw'n kekrimevnwn aujto;n paqei'n eujpeivqeian tou' ∆Ihsou', «la sua
obbedienza dinanzi alla volontà del Padre, riguardo alle cose che era stato condannato a
soffrire» (ibi); (154, 10-11) th;n ∆Ihsou' pro;" to; pavqo" paraskeuh;n kai; eujtonivan, «la
preparazione e la fermezza di Gesù di fronte alla sofferenza» (ibi, 185). È un insieme di
disposizioni virtuose che si attaglia pienamente alle caratteristiche della «preghiera spiri-
tuale», come sono riassunte dalla definizione della proseuchv in PE XIV, 2 (cfr. supra,
nota 378).
806 CC II, 25 (154, 16-155, 6 [tr. Ressa, 185-186]). Per la tensione carne – spirito
come tratto peculiare della condizione umana, che emerge specialmente al momento della
preghiera, si veda Orat XIII, 4 (328, 8-10): pa'sa ga;r hJ peri; tw'n proparateqevntwn hJmi'n
pneumatikw'n kai; mustikw'n eujch; ajei; uJpo; tou' mh; kata; savrka strateuomevnou ajlla;
pneuvmati ta;" pravxei" tou' swvmato" (Rm 8, 13) qanatou'nto" ejpitelei'tai.
«Come incenso al tuo cospetto» 271
drammaticamente sulla «fragilità» (ajsqevneia) della condizione umana,
scarto incommensurabile rispetto alla conoscenza di Dio, mettendo in
dubbio la stessa possibilità di pregarLo, a causa del «corpo corruttibile» e
della «tenda terrestre che grava sulla mente» (Sap 9, 15)807 . Essa non è
l’unica, perché Origene – come aveva accennato anche in EM – ne offre
una seconda: Gesù avrebbe formulato la sua supplica in previsione delle
sofferenze destinate a colpire Gerusalemme e i Giudei a seguito della sua
morte 808 . A differenza di EM, dove si formula più genericamente l’ipotesi
di «un altro calice» diverso dal «questo» del testo evangelico, suscettibile
eventualmente di apportare benefici maggiori, l’Alessandrino enuclea
adesso un risvolto storico-salvifico più esplicito, in base a considerazioni
provvidenzialistiche che sviluppa più ampiamente nel Commento a Mat-
teo809. In tal modo, la preghiera nel Getsemani verrebbe ad assumere il va-
lore di un’intercessione a vantaggio del popolo giudaico. Tuttavia, Origene
conclude la sua spiegazione sulla stessa linea argomentativa dell’inizio:
contrariamente all’accusa di Celso, secondo cui Gesù avrebbe patito solo
in apparenza, la sua supplica in quanto Logos fatto carne ispira la condotta
dei martiri; essi seguono il suo esempio testimoniando anch’essi la vitto-
ria dello spirito sulla carne810.

3.1.4.3. La preghiera nel confronto tra paganesimo e cristianesimo

Dopo aver riscontrato numerosi elementi di continuità con Orat, la


conferma più eloquente ci viene dalla parte finale dell’apologia, dove la
preghiera diventa motivo diretto di confronto tra paganesimo e cristiane-
––––––––––––––––––
807 Cfr. Orat I , 1 e supra, pp. 62 ss.
808 CC II, 25 (155, 6-15): Oi\da dev tina kai; toiauvthn eij" to;n tovpon dihvghsin, o{ti
oJrw'n oJ swth;r oi|a oJ lao;" kai; ÔIerousalh;m peivsetai ejpi; th'/ ejkdikhvsei tw'n kat∆ aujtou'
tetolmhmevnwn uJpo; ∆Ioudaivwn, ouj di∆ a[llo ti h] dia; to; pro;" ejkeivnou" filavnqrwpon
qevlwn mh; paqei'n to;n lao;n a} e[melle pavscein fhsi; to; Pavter, eij dunatovn ejsti, parel-
qevtw ajp∆ ejmou' to; pothvrion tou'to (Mt 26, 39): wJ" eij e[legen: ejpei; ejk tou' me piei'n touti;
to; th'" kolavsew" pothvrion o{lon e[qno" uJpo; sou' ejgkataleifqhvsetai, eu[comai, eij duna-
tovn ejsti, parelqei'n ajp∆ ejmou' to; pothvrion tou'to, i{na mh; hJ meriv" sou tolmhvsasa kat∆ ej-
mou' pavnth/ uJpo; sou' ejgkataleifqh'/.
809 Cfr. CMtS 92 (infra, pp. 344-345); Sgherri, 90-92.
810 CC II, 25 (155, 15-19): ∆Alla; kai; eij, w{" fhsin oJ Kevlso", mhvt∆ ajlgeinovn ti mhvt∆
ajniaro;n tw'/ ∆Ihsou' kata; to;n kairo;n tou'ton ejgivneto, pw'" a]n oiJ meta; tau'ta paradeivg-
mati tou' uJpomevnein ta; di∆ eujsevbeian ejpivpona ejduvnanto crhvsasqai ∆Ihsou', mh; paqovnti
me;n ta; ajnqrwvpina movnon de; dovxanti peponqevnai… Origene riprende la spiegazione della
preghiera di Gesù in CC VII, 55 (205, 18-23): o{ra eij mh; meta; th'" pro;" to;n qeo;n eujse-
beiva" kai; hJ eujch; ei[rhtai, panto;" ouJtinosou'n to; peristatiko;n ouj prohgouvmenon ei\nai
nomivzonto", ajll∆ uJpomevnonto" to; mh; prohgoumevnw" sumbai'non, o{tan kairo;" kalh'/.
∆Alla; kai; oujk ejndedwkovto" h\n hJ fwnhv, eujarestoumevnou de; toi'" sumbaivnousi kai; pro-
timw'nto" ta; ajpo; pronoiva" peristatika; hJ levgousa fwnhv: Plh;n ouj tiv ejgw; qevlw.
272 Parte seconda, Capitolo settimo
simo. Infatti Celso, a conclusione dell’ ∆Alhqh;" lovgo", affronta la questio-
ne del culto tradizionale degli dèi, rimproverando i cristiani per il rifiuto
di associarsi ad esso. Nella visuale del filosofo, gli dèi sono demoni a cui
il dio trascendente affida il governo dell’universo e pertanto si è tenuti ad
onorarne le statue, ad offrirgli sacrifici e rivolgergli preghiere, affinché si
mostrino ben disposti verso gli uomini811 . Al contrario, per Origene desti-
natario della preghiera non può essere altri che Dio, mentre solo una de-
vozione genuina e la pratica della virtù sono in grado di attirare la sua be-
nevolenza sull’uomo812. Per essere esaudita, la preghiera va indirizzata al
destinatario giusto, cioè a Dio Padre, come ha insegnato Gesù Cristo, che
si è rifiutato di prostrarsi davanti al diavolo813. Ne deriva che per l’Ales-
sandrino la preghiera dei cristiani non è assimilabile a quella dei pagani,
neppure quando a formularla sono quei fedeli «semplici» che attirano gli
strali di Celso per la loro fede «irrazionale»814. Di fatto Dio accetta le loro
richieste fatte con fede come quelle formulate dai «più intelligenti», che
sono capaci di coniugare eujsevbeia e lovgo" e di accompagnare le proprie
suppliche al Padre, tramite Cristo, con l’espressione del ringrazia-
mento815. Accanto alla continuità della strutturazione “teologica” della
preghiera, imperniata costantemente sul ruolo del Figlio come intermedia-
rio verso il Padre, si noti il cenno alla eujcaristiva come tratto che ac-
compagna la preghiera dei fedeli più maturi816.
Origene, pur inculcando nuovamente l’idea di un dinamismo spiri-
tuale che punta sempre ad un livello più alto, insiste dunque nel difendere
l’esperienza orante dei fedeli «semplici» contro le accuse di Celso, poiché
anche essi s’impegnano con una condotta di vita virtuosa nell’ascendere
a Dio817 . La preghiera esprime allora la purezza della vita cristiana sotto-

––––––––––––––––––
811 Cfr. VIII, 24 (= fr. VIII, 24 Bader). Fédou, 358-359 sottolinea l’importanza della
preghiera nelle manifestazioni del culto pagano.
812 CC VIII, 64 (280, 1-2): ”Ena ou\n to;n ejpi; pa'si qeo;n hJmi'n ejxeumenistevon kai;
tou'ton i{lew eujktevon ejxeumenizovmenon eujsebeiva/ kai; pavsh/ ajreth'/.
813 CC VIII, 56 (273, 4-9): oujde; ajpodivdomen ta;" nomizomevna" proshvkein tima;" oi|"
levgei Kevlso" ta; th'/de ejpitetravfqai. Kuvrion ga;r to;n qeo;n hJmw'n proskunou'men kai;
aujtw'/ movnw/ latreuvomen, eujcovmenoi mimhtai; Cristou' givnesqai, o}" tw'/ eijpovnti aujtw'/
diabovlw/: Tau'tav soi pavnta dwvsw, eja;n pesw;n proskunhvsh/" moi ei\pe tov: Kuvrion to;n
qeovn sou proskunhvsei" kai; aujtw'/ movnw/ latreuvsei" (Mt 4, 9-10).
814 Su questo tema si veda Perrone 1998b.
815 CC VII, 46 (197, 12-22): oiJ me;n dialoidorouvmenoi toi'" kata; duvnamin eij" to;n
tw'n o{lwn qeo;n eujsebei'n qevlousin, ajpodecovmenon ijdiwtw'n th;n eij" aujto;n pivstin kai;
sunetwtevrwn th;n meta; lovgou eij" aujto;n eujsevbeian, met∆ eujcaristiva" ejnapempovntwn
eujca;" tw'/ dhmiourgw'/ tou' panto;" kai; ajnapempovntwn aujta;" wJ" di∆ ajrcierevw" tou' th;n eij-
likrinh' qeosevbeian ajnqrwvpoi" parasthvsanto".
816 Sull’eujcaristiva come preghiera cfr. supra, pp. 127-128, 131-132, 139.
817 CC VII, 46 (197, 27-28): ajnqrwvpou", eujcomevnou" ei\nai qeou'; (198, 17-20) Kai;
oujc i{stantaiv ge ajnabavnte" ajpo; tw'n tou' kovsmou ktismavtwn ejn toi'" ajoravtoi" tou' qeou':
«Come incenso al tuo cospetto» 273
messa al Logos: i seguaci di Cristo, quando pregano, allontanano dalla loro
mente ogni passione o desiderio per offrire il proprio culto a Dio818. E
allorché si sforzano di essere puri e interamente dediti a Lui, la preghiera
giunge ad attuare il coinvolgimento armonioso di tutte le componenti
dell’uomo, così che questi prega non solo con lo «spirito» e con l’«anima»,
ma anche con il «corpo» e questo stato di profonda coesione interiore è ri-
compensato dall’aiuto di Dio mediante il dono dello Spirito819 . Per questa
via, la preghiera non solo diviene secondo Origene una prova decisiva del
discorso apologetico sul cristianesimo in quanto vera religione, ma essa
ricapitola anche lo scopo fondamentale della vita cristiana: la «familiarità»
con Dio e l’unione con Lui attraverso il Logos820 .

3.1.4.4. La dimensione politica della preghiera

Di fronte all’appello finale di Celso, che sollecita il lealismo dei sud-


diti cristiani perché combattano in difesa di un impero minacciato dai suoi
nemici, l’Alessandrino risponde che le sole «armi», che i fedeli di Cristo
sono in grado di offrire a sostegno dello stato, sono le loro preghiere,
frutto di una vita virtuosa. Se si esclude il frequente richiamo all’esempio
di Mosè che grazie alla sua intercessione assicura il successo delle armate
di Israele contro Amalek (Es 17, 8-16)821 , esempio peraltro utilizzato soli-
tamente in chiave spirituale, Origene solo in CC introduce espressamente
una riflessione sul «problema politico della preghiera», verso il quale la
letteratura apologetica fra II e III secolo si era mostrata assai attenta. Prima
di richiamare il paradigma veterotestamentario più consueto, egli rinvia a
Es 14, 14 («Il Signore combatterà per voi e voi starete in silenzio»), a
commento della promessa di Mt 18, 19 («Se due di voi sopra la terra si ac-
corderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve
la concederà»), altro luogo significativo della riflessione eucologica del-
l’Alessandrino: la preghiera concorde dei cristiani, garanzia dell’esaudi-
mento ad opera di Dio, dovrebbe così diventare un modello per i Romani,
––––––––––––––––––
ajlla; ga;r iJkanw'" ejkeivnoi" ejggumnasavmenoi kai; sunievnte" aujta; ajnabaivnousin ejpi; th;n
aji?dion duvnamin tou' qeou' kai; aJpaxaplw'" th;n qeovthta aujtou'. Secondo CC VIII, 53, i
cristiani sono coloro che disprezzano gli idoli in modo da ascendere a Dio coll’intelletto.
818 CC VII, 48 (199, 22-25), con riferimento all’ascesi continente di molti cristiani:
e[sti d∆ ejn Cristianoi'" ijdei'n a[ndra" mh; dehqevnta" kwneivou, i{na to; qei'on kaqarw'" qe-
rapeuvswsin, ajll∆ ajrkoumevnou" lovgw/ ajnti; kwneivou, wJ" pa'san ejpiqumivan ajpo; th'" dia-
noiva" aujtw'n ejxelavsante" to; qei'on eujcai'" qerapeuvwsi; cfr. VIII, 73.
819 CC II, 51 (cfr. note 497, 1441).
820 CC VIII , 64 (280, 19-21): panti; de; trovpw/ lovgwn kai; pravxewn speuvdonta
oijkeiou'sqai kai; eJnou'sqai tw'/ ejpi; pa'si qew'/ dia; tou' kataluvsanto" murivou" daivmona"
∆Ihsou'.
821 Cfr. supra, pp. 144, 166.
274 Parte seconda, Capitolo settimo
che, se convertiti al cristianesimo, otterrebbero anch’essi la vittoria sui ne-
mici al pari di Mosè.
«Noi diciamo che “se due fra di noi sulla terra si mettono d’accordo su una qua-
lunque cosa da richiedere, essa sarà fatta per loro dal Padre dei giusti che è nei
cieli” (cfr. Mt 18, 19). Dio, infatti, si compiace dell’accordo fra gli esseri razio-
nali e condanna il disaccordo (caivrei ga;r sumfwniva/ tw'n logikw'n zwv/wn oJ qeo;"
kai; ejktrevpetai th;n diafwnivan). E che cosa bisogna credere che accadrebbe, se
fossero d’accordo tra di loro non soltanto, come adesso, pochissimi, ma tutti gli
abitanti dell’impero dei Romani? Essi pregherebbero il Logos, che disse un
tempo, agli Ebrei inseguiti dagli Egiziani (eu[xontai ga;r tw'/ kai; provteron eij-
povnti pro;" tou;" ÔEbraivou" katadiwkomevnou" uJpo; Aijguptivwn Lovgw/): Il Signore
combatterà per voi, e voi starete in silenzio (Es 14, 14), e, dopo aver pregato in
completo accordo (meta; pavsh" sumfwniva" eujxavmenoi), potrebbero abbattere
molti più nemici che li inseguono di quelli che distrusse la preghiera di Mosè e
di quelli che erano con lui, quando lanciavano le loro grida a Dio (hJ Mwu>sevw"
pro;" to;n qeo;n bow'nto" kai; tw'n su;n aujtw'/ eujchv)»822.

In seguito l’Alessandrino si rifà al passo già ampiamente sfruttato di


1Tm 2, ma citando per la prima volta anche il secondo versetto (1Tm 2,
1-2: «Dunque vi raccomando in primo luogo di fare richieste, preghiere,
intercessioni e rendimenti di grazie per tutti gli uomini, per i re e per co-
loro che hanno l’autorità»), a riprova dell’«aiuto divino» che i cristiani
sanno fornire agli imperatori al momento opportuno823 . «E quanto più si è
devoti, tanto più si è rapidi nell’aiutare i re, a differenza dei soldati che
vanno in battaglia e uccidono quanti più nemici possono»824. Ma Origene
si spinge più avanti nel rivendicare la rilevanza politica della preghiera
dei cristiani, perché fonda l’esenzione dal servizio militare nella loro con-
dizione di «popolo sacerdotale» che non deve essere macchiato dal sangue
per continuare ad offrire sacrifici puri, come avviene nei riguardi dei sa-
cerdoti pagani, liberati a causa di ciò da obblighi bellici:
«Ma certamente, quando sopraggiunge una guerra, voi non arruolate i sacerdoti.
Se dunque questo è ragionevole, quanto più è ragionevole il fatto che i cristiani,
mentre gli altri combattono come soldati, combattano come sacerdoti e servitori
di Dio (wJ" iJerei'" tou' qeou' kai; qerapeutaiv), conservando pure le destre e com-
battendo attraverso le preghiere a Dio (ajgwnizovmenoi de; dia; tw'n pro;" qeo;n euj-
cw'n), in favore di quelli che combattono giustamente e di colui che regna giusta-
mente, perché tutto ciò che si oppone ed è ostile a coloro che agiscono giustamente
––––––––––––––––––
822 CC VIII, 69 (286, 13-23 [tr. Ressa, 620]). Si noti l’occasionale menzione del Lo-
gos, come destinatario della preghiera, presumibilmente a seguito dell’interpretazione di
Es 14, 14 quale teofania del Verbo.
823 CC VIII, 73. È significativo che neppure Orat citi 1Tm 2, 2.
824 CC VIII, 73 (290, 23-26): Kai; o{sw/ gev ti" eujsebevsterov" ejsti, tosouvtw/ ajnu-
tikwvtero" ejn tw'/ ajrhvgein toi'" basileuvousi para; tou;" eij" ta;" paratavxei" ejxiovnta"
stratiwvta" kai; ajnairou'nta" ou}" a]n duvnwntai tw'n polemivwn (tr. Ressa, 623-624).
«Come incenso al tuo cospetto» 275
venga distrutto? Noi, distruggendo con le preghiere tutti i demoni che suscitano
le guerre, violano i giuramenti e sconvolgono la pace (tai'" eujcai'" pavnta" daiv-
mona", tou;" ejgeivronta" ta; polemika; kai; o{rkou" sugcevonta" kai; th;n eijrhvnhn
taravssonta", kaqairou'nte"), aiutiamo gli imperatori molto di più di quelli che
si vede che combattono. Inoltre noi, offrendo con giustizia le nostre preghiere (oiJ
meta; dikaiosuvnh" ajnafevronte" proseucav"), insieme agli esercizi e alle prati-
che che insegnano a disprezzare i piaceri e a non essere guidati da essi, collabo-
riamo agli affari comuni. E noi combattiamo per l’imperatore anche più di altri;
non militiamo con lui, anche se lo pretende, ma combattiamo per lui formando
uno speciale esercito della devozione attraverso le intercessioni che domandiamo
a Dio (strateuovmeqa de; uJpe;r aujtou' i[dion stratovpedon eujsebeiva" sugkro-
tou'nte" dia; tw'n pro;" to; qei'on ejnteuvxewn)»825 .

Origene sfrutta il motivo dei cristiani come «popolo sacerdotale»,


anche senza citare espressamente 1Pt 2, 9826. È interessante osservare
come si sforzi di tradurre il modello di preghiera, applicato tendenzial-
mente all’esperienza individuale dell’orante, dentro una dimensione col-
lettiva, più immediatamente ecclesiale, come si evidenzia nel seguito
della riflessione origeniana in CC VIII, 75. Nonostante ciò, l’influsso pre-
dominante della dimensione individuale si fa ancora sentire nel pronun-
ciamento che rivendica con più forza il ruolo determinante dell’«anima»
cristiana nel «corpo» della patria o città – per richiamare un’analogia non
troppo remota con la Lettera a Diogneto:
«Infatti, in segreto, all’interno del nostro spirito (kat∆ aujto; to; hJgemoniko;n) fac-
ciamo le nostre preghiere, inviate come da dei sacerdoti in favore degli uomini
della nostra patria. I cristiani poi recano più benefici alla loro patria di tutti gli al-
tri uomini, in quanto educano i cittadini, insegnano loro la devozione verso Dio,
guardiano della città, e innalzano ad una città divina e celeste quelli che sono vis-
suti onestamente anche nelle città piccolissime»827 .

Benché Origene insista sul ruolo educativo che i cristiani esercitano


nei confronti dei cittadini, l’atto orante è espressione di un sacerdozio in-
––––––––––––––––––
825 CC VIII, 73 (290, 29-291, 16 [tr. Ressa, 624]). Su questo passo, nel contesto della
riflessione politica di Origene, si veda Mazzucco; Rizzi, 187-188. Il “pacifismo” di Ori-
gene emerge soprattutto dal confronto con la «costituzione» (politeiva) dei Giudei (cfr.
CC VII, 26 e Perrone 2003b).
826 In proposito cfr. Hermans, 30-34.
827 CC VIII, 74 (291, 17-25 [tr. Ressa, 624]): Eij de; bouvletai hJma'" oJ Kevlso" kai;
strathgei'n <uJpe;r> patrivdo", i[stw o{ti kai; tau'ta poiou'men, ouj pro;" to; blevpesqai uJpo;
tw'n ajnqrwvpwn kai; kenodoxei'n ejp∆ aujtw'n tau'ta pravttonte": ejn ga;r tw'/ kruptw'/ hJmw'n
kat∆ aujto; to; hJgemoniko;n eujcaiv eijsin, ajnapempovmenai wJ" ajpo; iJerevwn uJpe;r tw'n ejn th'/
patrivdi hJmw'n. Cristianoi; de; ma'llon eujergetou'si ta;" patrivda" h] oiJ loipoi; tw'n ajn-
qrwvpwn, paideuvonte" tou;" polivta" kai; eujsebei'n didavskonte" eij" to;n polieva qeovn,
ajnalambavnonte" eij" qeivan tina; kai; ejpouravnion povlin tou;" ejn tai'" ejlacivstai" povlesi
kalw'" biwvsanta".
276 Parte seconda, Capitolo settimo
teriore, attuato «nel nascondimento» (secondo il precetto di Mt 6, 6) e
imperniato, in ultima analisi, sulla mente (hJgemonikovn) del fedele e sulla
sua ascensione a Dio.

3.1.4.5. La preghiera come ascensione della mente in Dio

Benché la dialettica apologetica indotta dal confronto con Celso porti


Origene a valorizzare le dimensioni sociali e politiche della preghiera, la
raffigurazione più vivida dell’atto orante in tutto il CC interviene in forma
individuale e in risposta al cruciale interrogativo filosofico sulle vie per
conoscere Dio828 . Da adepto convinto della tradizione platonica, Celso
rammenta con il Timeo (28c) la difficoltà di «trovare il creatore e il padre
dell’universo» e, dopo averlo trovato, di comunicarlo a tutti gli uomini.
Nonostante ciò, egli non si esime dal proporre una serie di procedimenti
razionali che, a suo parere, sarebbero in grado di condurre alla conoscen-
za di Dio, sia pure per quei pochi saggi in grado di servirsene, non senza
escludere in aggiunta la possibilità di intuizioni di natura estatica (CC VII,
42) 829 . Dunque, per il filosofo pagano la mèta ultima degli sforzi dell’in-
telletto è la visione di Dio, conformemente all’obiettivo perseguito in ge-
nerale dal pensiero filosofico della tarda antichità.
È ovvio che anche Origene lo faccia suo, ma opponendo alle vie pre-
figurate da Celso, per loro natura difficili ed elitarie, un itinerario affat-
to diverso che, proprio per la sua immediatezza, si colloca secondo lui
alla portata di tutti, sia per il semplice cristiano che per il sapiente. Questo
itinerario alla conoscenza di Dio è offerto dalla preghiera intesa quale
«ascensione» (ajnavbasi"), elevazione dal mondo sensibile verso il «mon-
do iperuranio». L’idea, oltre a ricollegarsi implicitamente ad una delle due
classiche definizioni della preghiera, affiora già a più riprese nel lungo
“dialogo tra sordi” inscenato dall’apologia di Origene, tanto che l’ascen-
sus mentis in Deum giunge a connotare sia il punto di vista avversario sia
la stessa esperienza religiosa del giudaismo e del cristianesimo: nel primo
caso impropriamente, nel secondo come quintessenza della vocazione re-
ligiosa830. E proprio a tale idea l’Alessandrino si rifà nel IV libro, in uno
––––––––––––––––––
828 CC VII, 42 ss.
829 Cfr. Sfameni Gasparro 1995, 295-296; Magris, 54 ss.
830 Cfr. Méhat 1995, che peraltro ne attribuisce la paternità ad Evagrio riconducen-
do l’idea della preghiera come oJmiliva al perduto trattato aristotelico Peri; eujch'". Benché
Orat non adotti il termine né sviluppi espressamente l’idea della preghiera come ascensus
a Dio, ne offre l’esempio riferendosi all’«ascensione» intellettuale del Figlio al Padre
(Orat XXIII, 2 [350, 29-32]: th'" ajnabavsew" pro;" to;n patevra [Gv 20, 17] tou' uiJou' qeo-
prepevsteron meta; aJgiva" tranovthto" hJmi'n nooumevnh", h{ntina ajnavbasin nou'" ma'llon
ajnabaivnei swvmato"). A sua volta CC II, 51 (175, 1-3), nel richiamare la religione d’Israe-
le, rivendica il trascendimento del sensibile addirittura per un intero popolo: Oujk a]n ga;r
«Come incenso al tuo cospetto» 277
dei momenti forti della disputa, difendendo ugualmente giudei e cristiani
dagli attacchi di Celso per l’impegno, comune agli uni e agli altri, di vi-
vere sotto lo sguardo di Dio una volta innalzatisi dalle creature a Lui:
«E sono invece uomini e, se possibile, qualcosa di più prezioso degli uomini quel-
li che hanno potuto, seguendo il Logos, innalzarsi (ajnabh'nai) dalle pietre e dal
legno ed anche dalla materia considerata più preziosa, cioè l’argento e l’oro, e,
dopo essersi innalzati (ajnabavnte") dalle bellezze del mondo verso il Creatore del-
l’universo, si sono affidati a Lui. E, poiché Lui solo è capace di giungere a tutto
quello che esiste, di osservare i pensieri di tutti e di ascoltare la preghiera di tutti,
essi gli inviano le preghiere (ta;" eujca;" ejkeivnw/ ajnapevmponte"), compiono ogni
azione tenendo presente che il suo sguardo è su ciò che accade e badano, tenendo
presente che Dio ascolta ciò che viene detto, a non dire niente che, quando viene
riferito a Dio, gli torna sgradito» 831 .

In questo brano, ed in altri ancora, la concezione dell’ascensus a Dio,


anche per il tramite della preghiera, pare risolversi sul piano etico-spiritua-
le nel motivo della condotta virtuosa, ispirata costantemente dal pensiero
––––––––––––––––––
ponhriva kai; magganeiva o{lon e[qno" sunevsthsan, uJperba;n me;n ouj movnon ajgavlmata kai;
ta; uJp∆ ajnqrwvpwn iJdrumevna ajlla; kai; pa'san genhth;n fuvsin, ajnabai'non de; pro;" th;n ajgev-
nhton tou' qeou' tw'n o{lwn ajrchvn. Lo stesso tema figura in CC IV, 38 (311, 1-3): to; ou{tw"
megalofuevstata dedidagmevnon ajnabaivnein ejpi; th;n ajgevnhton tou' qeou' fuvsin kajkeivnw/
movnw/ ejnora'n kai; ta;" ajp∆ aujtou' movnou ejlpivda" prosdoka'n. Ancora in polemica con
Celso, CC III, 80 (270, 17-22), contrappone «la dottrina della vita beata e della comunione
con Dio (tw'/ peri; th'" makariva" zwh'" lovgw/ kai; tw'/ peri; th'" pro;" to; qei'on koinwniva")»
alla «dottrina di Pitagora e di Platone sull’anima, che per natura sale verso la volta del
cielo ed osserva nella regione iperurania le cose viste dai beati spettatori (pefukuiva" ajna-
baivnein ejpi; th;n aJyi'da tou' oujranou' kai; ejn tw'/ uJperouranivw/ tovpw/ qewrei'n ta; tw'n euj-
daimovnwn qeatw'n qeavmata)» (tr. Ressa, 284). Essa è presa nuovamente di mira, secondo
un’accusa topica, per il compromesso con la religione tradizionale, in CC VI, 4 (73, 21-
25): kai; ta; ajovrata tou' qeou' kai; ta;" ijdeva" fantasqevnte" ajpo; th'" ktivsew" tou' kovsmou
kai; tw'n aijsqhtw'n, ajf∆ w|n ajnabaivnousin ejpi; ta; noouvmena, thvn te aji?dion aujtou' duvnamin
kai; qeiovthta oujk ajgennw'" ijdovnte~ oujde;n h|tton ejmataiwvqhsan ejn toi'" dialogismoi'"
aujtw'n (Rm 1, 20, passo che ricorre anche in CC VII, 37 in concomitanza con il tema del-
l’anabasi a Dio).
831 CC IV, 26 (295, 6-15 [tr. Ressa, 306]). Altri spunti rinviano alla dottrina del pro-
gresso spirituale (cfr. CC IV , 29 (298, 18-20), sulla possibilità per gli uomini di divenire
come gli angeli: oJrw'men o{ti polu; touvtwn hJmei'" oiJ a[nqrwpoi ajpoleipovmenoi ejlpivda"
e[comen ejk tou' kalw'" biou'n kai; pavnta pravttein kata; to;n lovgon ajnabaivnein ejpi; th;n
touvtwn pavntwn ejxomoivwsin). In CC V, 53 (57, 10-13), Origene riassume lo scopo dell’in-
segnamento di Gesù nell’«innalzarsi» a Dio: h[ggelle ga;r ajnqrwvpoi" th;n megavlhn tou'
qeou' kai; patro;" tw'n o{lwn peri; aujtw'n boulhvn, eijkovntwn me;n tw'/ biou'n ejn kaqara'/ qeo-
sebeiva/ wJ" ajnabainovntwn dia; tw'n megavlwn pravxewn pro;" to;n qeovn. Anche CC VI, 44
(115, 5-7) designa così la meta beata della perfezione: a[xioi fanevnte" th'" eij" ta; qei'a
ajnabavsew" ajnimhqw'sin uJpo; tou' lovgou ejpi; th;n ajnwtavtw pavntwn makariovthta kaiv, i{n∆
ou{tw" ojnomavsw, ajkrwvreian tw'n ajgaqw'n. La sequela del Logos richiama peraltro il mo-
tivo dell’ascensione di Cristo, Sommo Sacerdote, «al di là di tutta la creazione [...] fino
[...] al Dio e Padre dell’universo» (HLv XII, 1; tr. Danieli, 251).
278 Parte seconda, Capitolo settimo
di Dio. Ma, come mostrano le importanti analogie nella filosofia antica, vi
è un nesso fra il progresso morale del sapiente e la sua ascesa «fino alla
volta del cielo», di cui Origene è ben consapevole832. In CC VII, 44, questo
sfondo concettuale diviene ancora più esplicito e contraddistingue struttu-
ralmente la visione dell’atto orante, ora descritto nei termini più prossimi
agli «esercizi spirituali» della filosofia antica.
«Ma anche un cristiano semplice è convinto che ogni luogo del mondo è parte
del tutto, poiché tutto il mondo è tempio di Dio. E pregando in ogni luogo (1Tm
2, 8) il cristiano, dopo avere chiuso gli occhi dei sensi e risvegliato quelli del-
l’anima, trascende il mondo intero. E neppure si ferma alla volta del cielo, ma,
giunto con il pensiero nel luogo iperuranio, guidato dallo spirito di Dio e come
trovandosi fuori dal mondo, invia a Dio la preghiera che non riguarda le cose più
banali. Infatti egli ha imparato da Gesù a non ricercare niente di piccolo, cioè di
sensibile, ma solo le cose grandi e veramente divine, tutte quelle che, concesse
da Dio, contribuiscono a guidarlo, attraverso suo Figlio, il Logos che è Dio, alla
beatitudine che è presso di lui»833 .

Origene pone inizialmente l’accento sull’ajnacwvrhsi" come processo


di distacco dai sensi e di concentrazione interiore (secondo una prospettiva
già abbozzata anche in Orat), grazie al quale s’innesca l’ascesa dell’ani-
ma verso Dio (che, a sua volta, ricorda da vicino il viaggio dell’anima nel
Fedro di Platone)834 . Da questo punto di vista, non si può negare la fon-
––––––––––––––––––
832 Cfr. Platone, Phaedr. 247b e CC V, 2 (3, 19-20): tw'n ejn ajnqrwvpoi" sofw'n kai;
ejpi; th;n aJyi'da tou' oujranou' dia; th;n ajreth;n ajnabainovntwn. Poco dopo, in CC V , 4 (4,
15-17), sono gli angeli a salire «recando le richieste degli uomini nelle regioni celesti, le
più pure del mondo, o anche in quelle iperuranie, che sono ancora più pure di queste (pro-
savgonta" ta;" tw'n ajnqrwvpwn ejnteuvxei" ejn toi'" kaqarwtavtoi" tou' kovsmou cwrivoi"
ejpouranivoi" h] kai; toi'" touvtwn kaqarwtevroi" uJperouranivoi")» (tr. Ressa, 375). Secondo
CC VI, 61 (131, 18-23), il riposo del settimo giorno significa che «in quel giorno, coloro
che hanno compiuto tutte le loro opere nei sei giorni festeggerano insieme con Dio e, per
non avere trascurato nulla di ciò che ad essi si addice, si innalzano alla contemplazione
(ajnabaivnonte" ejpi; th;n qewrivan) ed alla festa dei giusti e dei beati» (ibi, 485).
833 CC VII, 44 (195, 27-196, 8): Cristiano;" de; kai; oJ ijdiwvth" pavnta me;n tovpon tou'
kovsmou pevpeistai ei\nai mevro" tou' o{lou, naou' tou' qeou' o[nto" tou' panto;" kovsmou: ejn
panti; de; tovpw/ eujcovmeno", muvsa" tou;" th'" aijsqhvsew" ojfqalmou;" kai; ejgeivra" tou;" th'"
yuch'", uJperanabaivnei to;n o{lon kovsmon. Kai; oujd∆ ejpi; th;n aJyi'da i{statai tou' oujranou',
ajll∆ eij" to;n uJperouravnion genovmeno" th'/ dianoiva/ tovpon, oJdhgouvmeno" uJpo; tou' qeivou
pneuvmato" kai; wJsperei; e[xw tou' kovsmou tugcavnwn ajnapevmpei ouj peri; tw'n tucovntwn
th;n eujch;n tw'/ qew'/: e[maqe ga;r ajpo; tou' ∆Ihsou' mhde;n mikrovn, toutevstin aijsqhtovn, zhtei'n
ajlla; movna ta; megavla kai; ajlhqw'" qei'a, o{sa sumbavlletai didovmena uJpo; tou' qeou' pro;"
to; oJdeu'sai ejpi; th;n par∆ aujtw'/ dia; tou' uiJou' aujtou' lovgou o[nto" qeou' makariovthta (tr.
Ressa, 542-543, in parte modificata).
834 Si confronti CC VII, 44 (195, 29-196, 1) con AL VII, 36 (186, 18-21): eja;n aijsqhv-
sei muvsante" ajnablevyhte nw'/ kai; sarko;" ajpostrafevnte" yuch'" ojfqalmou;" ejgeivrhte,
movnw" ou{tw" to;n qeo;n o[yesqe. Per l’influsso del Fedro (in particolare, 247a-c; 248b) su-
gli esercizi spirituali, cfr. ad esempio Hadot 1997a, 38. Quanto ad Origene, si veda Méhat,
«Come incenso al tuo cospetto» 279
damentale affinità di linguaggio ed immagini tra i due contendenti, ma sa-
rebbe riduttivo assimilare la preghiera cristiana nella visuale di Origene
ad un concentrato di topoi platonici. In realtà, sia nel contesto ravvicinato
del passo in esame sia nella cornice più ampia dell’intera apologia, l’Ales-
sandrino mostra chiaramente di pensare a qualcosa di diverso. D’altronde
lo si può intuire anche dal nesso, per certi versi sorprendente nel quadro
di una discussione prettamente filosofica, che egli stabilisce fra preghiera
e conoscenza di Dio. Tale collegamento, che in pratica fa dell’atto orante
l’equivalente se non il sostituto del procedimento razionale auspicato dal
filosofo pagano, non poteva non risultare anomalo. In un’ottica filosofi-
ca – se pensiamo, ad esempio, al contemporaneo Plotino, senza riandare
adesso al pensiero filosofico anteriore – la preghiera non pare essere con-
templata quale elemento decisivo nel cammino che porta l’uomo a cono-
scere Dio. Al contrario, Origene le assegna proprio questo ruolo, mentre
la conferma significativamente anche in CC nel suo statuto fondamentale
di ai[thsi", che già conosciamo da Orat, cioè senza ridurla alla sola oJmiliva
con Dio e nemmeno all’ajnavbasi" verso di Lui 835 .
Conformemente a ciò, gli sforzi che l’uomo compie per potere acce-
dere alla conoscenza di Dio, ovviamente intendendo con essi l’insieme
costituito dalla condotta virtuosa e dall’esercizio intellettuale, vengono
coronati da successo unicamente se Dio stesso interviene a suo sostegno,
in risposta a una preghiera che riconosce appunto l’indispensabile neces-
sità dell’aiuto divino836. Anche nello scenario prettamente platonico entro
il quale la preghiera si dispiega come ajnavbasi" mentale fin oltre la volta
del cielo, la «visione di Dio» rimane propria, biblicamente, dei «puri di
cuore», i quali invocano da Dio – come si è visto in precedenza – quell’or-
gano purificato dell’intelletto che solo Lui è in grado di creare837. Pertanto
l’atto orante non fa che sottolineare la natura non-autarchica del processo
––––––––––––––––––
282-294, in part. pp. 283 ss. Riguardo al processo di ajnacwvrhsi" sensoriale in Orat, si
veda supra, pp. 50, 159, 162, 190.
835 Per Bendinelli 1997, in Plotino l’ascensione mistica dell’anima è frutto degli
sforzi ascetici: «La preghiera, di conseguenza, come richiesta di aiuto e di soccorso, ri-
sulta completamente esautorata di significato agli occhi del filosofo, quando non aperta-
mente criticata. Nei pochi accenni ad essa – rintracciabili nelle Enneadi –, tale pratica è
menzionata assieme alla magia, e quindi assimilata a questa» (p. 35). Anche Crouzel
1992, 112 si mostra perplesso sullo spazio riservato da Plotino alla preghiera (si veda an-
che supra, nota 251).
836 CC VII, 42 (193, 16-22): hJmei'" de; ajpofainovmeqa o{ti oujk aujtavrkh" hJ ajnqrw-
pivnh fuvsi" oJpwspotanou'n zhth'sai to;n qeo;n kai; euJrei'n aujto;n kaqarw'", mh; bohqh-
qei'sa uJpo; tou' zhtoumevnou, euJriskomevnou toi'" oJmologou'si meta; to; par∆ aujtou;" poiei'n
o{ti devontai aujtou', ejmfanivzonto" eJauto;n oi|" a]n krivnh/ eu[logon ei\nai ojfqh'nai, wJ" pev-
fuke qeo;" me;n ajnqrwvpw/ ginwvskesqai ajnqrwvpou de; yuch; e[ti ou\sa ejn swvmati ginwv-
skein to;n qeovn.
837 CC VII, 33 (cfr. supra, nota 802).
280 Parte seconda, Capitolo settimo
conoscitivo che sfocia nella contemplazione di Dio, al di là di ogni pro-
spettiva di autorealizzazione personale (com’è semmai nella prassi degli
esercizi spirituali della filosofia).
Alla luce di queste considerazioni, l’impressionante descrizione della
preghiera come ascensione a Dio in CC VII , 44 – che ha spinto André
Méhat a vedervi un’anticipazione della visione di Agostino ad Ostia, nel
IX libro delle Confessioni – ci appare pienamente conforme al pensiero
espresso da Origene in Orat e in altri scritti, sia pure scontando una par-
ziale “giustapposizione” con l’orizzonte spirituale di Celso838 . Pertanto,
l’ajnavbasi" dell’orante realizza sì mentalmente un trascendimento dell’in-
tero ordine cosmico fino alla dimora di Dio, ma sotto la guida dello Spi-
rito, mentre egli prega Dio di ricevere «le cose grandi e celesti», le sole
che sono veramente degne del Padre e capaci di condurre alla beatitudine
in Lui, attraverso l’intermediazione del Figlio. A rafforzare la sostanza
biblica e cristiana riaffiora anche qui la dimensione trinitaria, che già in
Orat ci era apparsa come fattore decisivo per l’espressione autentica della
preghiera. Non solo Origene ricorda più volte che i cristiani indirizzano
le loro preghiere a Dio per il tramite di Cristo, Sommo Sacerdote che in-
tercede per loro, essendo egli compartecipe e sensibile all’umana debolez-
za839 , ma a tratti egli sembra perfino voler associare in forma ancora più
stretta, se non addirittura “paritaria”, il Figlio al Padre come destinatario
della preghiera840 . Inoltre, la fragilità dell’uomo, costantemente sottomes-
––––––––––––––––––
838 Cfr. Méhat, 294. Per cogliere la tonalità diversa dell’anabasi orante in CC VII , 44,
si può accostarvi rispettivamente Massimo di Tiro, Or. XI, 10 e Clemente Alessandrino,
Strom. VII, 13, 82, 5, che propone un’atmosfera spirituale assai più vicina all’autore pagano.
839 Cfr. CC III, 34 (231, 4-10): teqhvpamen to;n ∆Ihsou'n to;n nou'n hJmw'n metaqevnta
ajpo; panto;" aijsqhtou', wJ" ouj movnon fqartou' ajlla; kai; fqarhsomevnou, kai; ajnavgonta ejpi;
th;n meta; ojrqou' bivou pro;" to;n ejpi; pa'si qeo;n timh;n met∆ eujcw'n, a}" prosavgomen aujtw'/
dia; <tou'> wJ" metaxu; o[nto" th'" tou' ajgennhvtou kai; th'" tw'n genhtw'n pavntwn fuvsew",
kai; fevronto" me;n hJmi'n ta;" ajpo; tou' patro;" eujergesiva" diakomivzonto" d∆ hJmw'n trovpon
ajrcierevw" ta;" eujca;" pro;" to;n ejpi; pa'si qeovn; CC VII , 46 (nota 815); CC VIII, 26 (nota
412). Respingendo l’invito di Celso a praticare il culto dei demoni, in CC VIII , 37 (252,
12-13), l’Alessandrino dichiara che l’intermediazione di Cristo è il proprium della pre-
ghiera cristiana: Cristianoi'" lalei', toi'" movnoi" tw'/ qew'/ dia; tou' ∆Ihsou' eujcomevnoi". In
ciò Origene si attiene all’impostazione già tracciata da Clemente in Strom. VII, 3, 13, 2 (68,
15-16) per la preghiera del cristiano “gnostico”: prosomilei'n tw/' qew/' dia; tou' megavlou
ajrcierevw", ejxomoiouvmenon eij" duvnamin tw/' kurivw/ dia; pavsh" th'" eij" to;n qeo;n qera-
peiva". Cfr. del resto l’invocazione iniziale della prima opera di Origene, CPs 1-25 (Epiph.,
Pan. 64, 7, 4 [GCS 25, 416-417]): ∆Axiou'men toivnun, ejpei; mhde;n cwri;" Qeou' kalo;n
ei\nai duvnatai, kai; mavlista novhsi" Grafw'n qeopneuvstwn, o{pw" tw/' Patri; tw'n o{lwn
Qew/', dia; tou' Swth'ro" hJmw'n kai; ajrcierevw" genhtou' Qeou' prosievnai, aijthvsh/" doqh'nai
hJmi'n prw'ton kalw'" zhtei'n.
840 Oltre ai passi segnalati supra, pp. 137-138, si veda ancora CC VIII, 13 (230, 20-
26): Dio; to;n e{na qeo;n kai; to;n e{na uiJo;n aujtou' kai; lovgon kai; eijkovna tai'" kata; to; du-
nato;n hJmi'n iJkesivai" kai; ajxiwvsesi sevbomen prosavgonte" tw'/ qew'/ tw'n o{lwn ta;" eujca;"
dia; tou' monogenou'" aujtou': w|/ prw'ton prosfevromen aujtav", ajxiou'nte" aujto;n iJlasmo;n
«Come incenso al tuo cospetto» 281
so al peso della sua fallibilità, è compensata dall’assistenza solidale di «mi-
riadi di angeli» che cooperano alle sue preghiere841 . L’uno e l’altro aspetto
ripropongono in tal modo l’atto orante come “atto di comunione”, sullo
sfondo peraltro di quella costitutiva precarietà dell’essere umano (richia-
mata in CC VIII, 64 dall’espressione tw'/ ejpikhvrw/ hJmw'n gevnei), da cui trae-
va le mosse la visione tanto radicale ed impegnativa di Orat842 . Neppure
l’esaltante viaggio celeste dell’orante, schizzato sulla falsariga delle sug-
gestive formulazioni platoniche di Celso, poteva far dimenticare queste
premesse, ad ulteriore conferma della profonda diversità di concezioni re-
ligiose che divide i due antagonisti 843 . Anche per l’Origene di CC, con il
suo continuo riproporsi nel faticoso cammino di perfezione, la preghiera
rammenta al fedele la propria perdurante inadeguatezza mentre lo indirizza
con fiduciosa speranza verso Colui del quale l’uomo ha sempre bisogno.

3.2. I commentari

I resti ancor oggi imponenti dei grandi commentari di Origene alle


Scritture, nonostante le rovine e le perdite che hanno subito nel corso dei
secoli, ci permettono di approfondire ulteriormente il tema della preghiera
nell’Alessandrino. Non di rado esso riaffiora anche in questi scritti con
sviluppi o accenti nuovi, favoriti dalla trattazione estensiva e spesso sug-
geriti direttamente dal testo che Origene fa oggetto di esegesi. Se in tal
modo si amplia il ventaglio dei luoghi scritturistici alla base del suo di-
scorso eucologico, al tempo stesso – pur con le cautele richieste da una
tradizione frammentaria e in più pervenutaci, per una parte assai consisten-
te, in versioni latine non del tutto affidabili – non si può non osservare co-
me la dimensione orante dell’esegesi, un tratto peculiare emerso più volte
––––––––––––––––––
o[nta tw'n aJmartiw'n hJmw'n (1Gv 2, 2) prosagagei'n wJ" ajrciereva ta;" eujca;" kai; ta;" qu-
siva" kai; ta;" ejnteuvxei" hJmw'n tw'/ ejpi; pa'si qew'/.
841 CC V, 57-58; VIII, 34 (nota 568); VIII, 36, 21-23; e specialmente VIII, 64 (280, 7-
17): Sunaivsqontai ga;r tw'n ajxivwn tou' para; tou' qeou' eujmenismou', kai; ouj movnon kai;
aujtoi; eujmenei'" toi'" ajxivoi" givnontai ajlla; kai; sumpravttousi toi'" boulomevnoi" to;n ejpi;
pa'si qeo;n qerapeuvein kai; ejxeumenivzontai kai; suneuvcontai kai; sunaxiou'sin: w{ste
tolma'n hJma'" levgein o{ti ajnqrwvpoi" meta; proairevsew" protiqemevnoi" ta; kreivttona euj-
comevnoi" tw'/ qew'/ murivai o{sai a[klhtoi suneuvcontai dunavmei" iJeraiv, sumparevcousai
<eJauta;"> tw'/ ejpikhvrw/ hJmw'n gevnei kaiv, i{n∆ ou{tw" ei[pw, sunagwniw'sai di∆ ou}" oJrw'sin
ajntistrateuomevnou" kai; ajntagwnizomevnou" daivmona" th'/ swthriva/ mavlista tw'n eJau-
tou;" ajnatiqevntwn qew'/ kai; mh; frontizovntwn th'" tw'n daimovnwn e[cqra".
842 Sull’uso “strategico” di ejpivkhron, in apertura e chiusura della prima sezione di
Orat, si veda supra, nota 218.
843 Insiste a ragione su tale punto Stroumsa, 92-93: «The Christian conception of
piety stands at the antipodes of the traditional conception accepted by Celsus. Origen’s
conception of piety is essentially dynamic; whereas religious change was feared or despis-
ed by Celsus, it is encouraged by Origen».
282 Parte seconda, Capitolo settimo
in precedenza, acquisti rilievo diverso a seconda delle opere. Ciò vale
anche rispetto all’interrogativo sulla continuità o meno con il paradigma
di Orat, che può dar luogo a risposte distinte, più o meno conformi, in re-
lazione appunto ai diversi scritti. Di questi prenderemo in esame, secondo
l’ordine cronologico desumibile con maggiore o minore certezza, il Com-
mento a Giovanni, il Commento al Cantico dei Cantici, il Commento a Ro-
mani e il Commento a Matteo. Di altri commentari che contengono a loro
volta materiali significativi per il nostro argomento – come, ad esempio, i
frammenti del Commento a Genesi e quelli del Commento a Lamentazio-
ni – si è in parte detto in precedenza o se ne terrà conto nella trattazione
sui nuclei scritturistici844. Nel caso particolare del Commento al Cantico
dei Cantici accosteremo ad esso anche le Omelie, mentre per i frammenti
dei commentari origeniani sui salmi (di cui non si può evidentemente sot-
tovalutare la particolare importanza per il nostro tema), data anche l’incer-
tezza sulla trasmissione dei testi, dobbiamo in sostanza affidarci alla testi-
monianza delle Omelie sui Salmi, per quanto limitata essa sia845.

3.2.1. Commento a Giovanni

Le incertezze cronologiche sull’arco di tempo entro cui si distende la


lunga redazione dei 32 libri del Commento a Giovanni nulla tolgono al
fatto che si tratta di un’opera iniziata fin dal periodo alessandrino e perciò
del più antico fra i nostri quattro commentari. Le datazioni proposte dagli
studiosi oscillano fra il 218 e il 235, se non addirittura il 248, come pos-
sibile termine ultimo846. Altrove ho cercato di approfondire l’impronta
del tempo e dell’ambiente sul profilo letterario del commentario origenia-
no, constatando uno “scarto” di qualche rilievo nel XIII libro rispetto co-
munque ad un’impostazione e ad una fisionomia complessive che si pre-
sentano sostanzialmente analoghe847 .
Quanto alla presenza del nostro tema, precisando meglio l’impressio-
ne ancora generica di una sua minore incidenza, soprattutto a confronto
––––––––––––––––––
844 Su CGn, importante per individuare il contesto ravvicinato di Orat, cfr. supra,
pp. 18-19, 100, 106, 116-117, 120. Riguardo a FrLam, si veda Nautin, 250-251 (nr. 33).
845 Cfr. Prinzivalli 2000b, che raccomanda peraltro cautela nell’uso dei Tractatus
in Psalmos di Gerolamo come fonte per l’esegesi origeniana.
846 Secondo Corsini, 88, l’inizio «è da fissare intorno al 224-225. [...] Poiché nel li-
bro XXXII sembra esserci un’allusione alla persecuzione di Massimino (235-238), si è
d’accordo nel fissarne la data di composizione dopo il 235». Ma C. Blanc (SC 120, p. 8) ed
altri hanno proposto il 218 come terminus post quem. Invece Nautin, 377-380 situa l’inizio
poco prima del 231 e la conclusione fra 235 e 248, mantenendo l’indicazione di Eusebio,
HE VI, 28, secondo cui Origene avrebbe alluso alla persecuzione di Massimino in CIo XXII,
da situarsi quindi vari anni dopo il 238 (p. 379). McGuckin, 449 si allinea a Nautin.
847 Perrone 2005b, 54-59.
«Come incenso al tuo cospetto» 283
del ben più ricco CMt, dobbiamo riconoscere che Origene ci offre in CIo
vari spunti interessanti di riflessione, alcuni dei quali innovano significa-
tivamente la prospettiva disegnata nel trattato. Mi riferisco, in particolare,
al motivo della preghiera del peccatore, di cui abbiamo notato riflessi tutto
sommato piuttosto marginali in Orat, dove la figura dell’orante tende ad
identificarsi con la condizione di santo848 . L’apporto di CIo al discorso
eucologico dell’Alessandrino è inoltre arricchito dai frammenti origeniani
sul quarto vangelo pervenuti in tradizione catenaria.

3.2.1.1. L’invocazione a Dio per la venuta del Logos come «maestro dei
misteri»

A prima vista CIo sembrerebbe deludere l’attesa di ritrovarvi tracce


cospicue dell’esegesi orante che altrove Origene sviluppa di frequente
davanti al mistero racchiuso per lui nella Parola ispirata. È abbastanza
raro che egli avvii un nuovo libro invocando l’aiuto divino, quasi a voler
confermare indirettamente quella certa “sicurezza di sé” che secondo al-
cuni si fa notare come tratto distintivo dell’esegeta specialmente nel com-
mento al quarto vangelo849. Tuttavia, anche in esso troviamo passi che ri-
propongono l’immagine tracciata sin qui: proprio l’incontro con il mistero
del Logos trasmesso dalle Scritture spinge in primo luogo Origene ad un
atteggiamento di preghiera, sia esso espresso in forma diretta o solo im-
plicitamente. È ciò che avviene fin dall’invocazione iniziale che conclude
l’ampio prolegomenon sul termine «vangelo» nel I libro e precede l’avvio
del commento vero e proprio con l’esegesi di Gv 1, 1:
«Chiediamo piuttosto, a questo punto, a Dio per mezzo di Cristo nello Spirito
santo di aiutarci nella spiegazione del senso mistico, deposto come un tesoro
nella lettera»850 .

In realtà, il concorso della grazia, richiesto con una formulazione


trinitaria che ricorda da vicino il prologo di Orat e l’accesso intravisto lì
alla conoscenza delle realtà divine, è sempre necessario all’esegeta e la
coscienza di ciò non viene mai meno, anche se egli non l’esprime mani-
––––––––––––––––––
848 Cfr. supra, p. 156. Si noti il diverso accento di Cipriano, che in De dom. or. 22
(414-415) ricorda come la recita quotidiana del Padrenostro instilli ogni giorno la coscien-
za della condizione di peccatori: «instruitur et docetur peccare se cotidie, dum cotidie pro
peccatis iubetur orare».
849 È il giudizio di Vogt, riportato supra, nota 732. Prologhi con orazioni figurano
in CIo I, VI, XX, XXVIII, XXXII.
850 CIo I, 15, 89 (19, 32-34): “Hdh de; qeo;n aijtwvmeqa sunergh'sai dia; Cristou'
hJmi'n ejn aJgivw/ pneuvmati pro;" ajnavptuxin tou' ejn tai'" levxesin ejnapoteqhsaurismevnou
mustikou' nou' (tr. Corsini, 142).
284 Parte seconda, Capitolo settimo
festamente 851 . Così, all’inizio del VI libro l’Alessandrino può dichiarare
di «aver riposto la sua fiducia in Dio, che arricchisce di ogni dottrina e
scienza», riconoscendo ad un tempo la propria inadeguatezza e il dono di
comprensione che viene all’interprete dall’assistenza divina852 , e poco
dopo supplicare apertamente Dio perché lo sostenga nell’impresa del com-
mento, «facendo risuonare» in lui la sua «voce di maestro»853 . È vero che
la richiesta non concerne in recto l’intelligenza spirituale delle Scritture
in quanto tale bensì il compimento dell’opera letteraria, interrotta forzata-
mente alla partenza da Alessandria e ripresa una seconda volta dal VI li-
bro a Cesarea, ma è chiaro che lo scopo del commento è precisamente
quello di pervenire a tale intelligenza grazie all’illuminazione di Dio854.
Pertanto, anche se in CIo il riconoscimento del mistero non è asse-
condato molto spesso da un atteggiamento orante, Origene non manca
d’inculcare a più riprese l’idea dell’inadeguatezza umana che pesa sul-
l’interprete e con essa la consapevolezza che ogni dono spirituale ci viene
da Dio. Ad esempio, commentando Gv 1, 29 («E dice: “Ecco l’agnello di
Dio, che prende su di sé il peccato del mondo”»), l’Alessandrino osserva
che spiegare le «prescrizioni relative ai sacrifici» è «un compito che su-
pera di gran lunga la natura umana e può essere attuato unicamente da chi
––––––––––––––––––
851 Sull’analoga strutturazione trinitaria nel prologo di Orat (I e II, 6) si veda supra,
pp. 53-54 (note 152, 157).
852 CIo VI, 2, 7 (107, 15-20): «E dopo aver calcolato ben bene, ho capito bensì di
non avere a disposizione ciò che occorre per la costruzione dell’edificio, ma ho riposto la
mia fiducia in Dio, che arricchisce di ogni dottrina e scienza (tw'/ qew'/ de; pepisteuvkamen
tw'/ ploutivzonti ejn panti; lovgw/ kai; pavsh/ gnwvsei), sicuro che arricchirà anche me che
lotto per osservare le [sue] leggi spirituali. In questo modo, partendo da ciò che egli mi
elargisce e progredendo nella costruzione (ejk tw'n ejpicorhgoumevnwn uJp∆ aujtou' prokovp-
tonte" ejn tw'/ oijkodomei'n), giungerò anche a cingere in alto l’edificio di una corona di
protezione» (tr. Corsini, 288).
853 CIo VI , 2, 10-11 (108, 10-16): oujkevti uJpertiqevmenoi uJpagoreuvein ta; ajkov-
louqa boulovmeqa, qeo;n didavskalon uJphcou'nta ejn tw'/ ajduvtw/ th'" yuch'" hJmw'n parei'nai
eujcovmenoi, i{na tevlo" lavbh/ hJ th'" dihghvsew" tou' kata; ∆Iwavnnhn eujaggelivou oijkodomhv.
Gevnoito d∆ oJ qeo;" ejphvkoo" hJmw'n th'/ eujch'/, eij" to; sunavyai dunhqh'nai to; sw'ma tou' o{lou
lovgou, mhkevti mesolabouvsh" peristavsew" diakoph;n tou' eiJrmou' th'" grafh'" oJpoivan
dhvpote ejnergavsasqai dunamevnh", «ho deciso di non rimandare più oltre la dettatura della
parte di commento che deve seguire, supplicando Dio di far risuonare la sua voce di mae-
stro nell’intimo della mia anima, in modo che l’edificio del Commento al Vangelo di Gio-
vanni possa giungere a compimento. Ascolti il Signore la mia preghiera, in modo che il
corpo di tutta l’opera possa collegarsi insieme, senza che venga più a frapporsi alcuna cir-
costanza avversa capace di operare una soluzione di continuità nella mia opera» (tr. Cor-
sini, 289-290). Anche a fronte della traduzione di Corsini («il Signore» per oJ qeov"!),
viene da chiedersi se in entrambi i passi il destinatario non sia da intendere in ogni caso
come Dio Padre.
854 Per McGuckin, 453, il motivo unificante di CIo «is the Son’s fundamental role
in salvific revelation that concerns Origen throughout the Commentary, namely how the
Son leads the receptive soul into deeper comprehension of, and communion with, God».
«Come incenso al tuo cospetto» 285
è perfetto» 855 . All’inizio del libro X, pur senza formulare una preghiera
introduttiva, Origene invita Ambrogio a votarsi insieme ancor più piena-
mente a Dio, propiziando in tal modo quei doni di intelligenza spirituale
del vangelo che solo Lui può concedere856 . Si noti come in tale prologo le
attese riposte dall’amico e patrono nei confronti dell’esegeta vengano ri-
condotte da questi al loro vero termine, mentre l’Alessandrino ribadisce
una convergenza di dinamiche spirituali fra l’offerta di sé a Dio e il dono
all’uomo frutto della bontà divina, circoscrivendo così anche la prospetti-
va caratteristica della preghiera. Infatti – come Origene premette, in que-
sto stesso libro, alla propria spiegazione del «disaccordo» (diafwniva) tra
i vangeli riguardo ai viaggi di Gesù a Gerusalemme –, Dio «dà a chi
chiede e a chi si sforza di cercare con acume, e bussando perché ci siano
aperti i segreti della Scrittura con le chiavi della conoscenza»857 . In que-
sta occasione (analogamente a quanto constateremo con maggior fre-
quenza in CMt nell’eventualità di una diafwniva evangelica) la domanda
dell’aiuto divino, sia pure con una formulazione orante non particolar-
mente caratterizzata, si unisce al riconoscimento del mistero. Ma il caso
prevalente tende a rimanere quello dell’ammissione di un’insufficienza
bisognosa del soccorso della grazia, come avviene sempre nel X libro con
il seguente preambolo alla spiegazione anagogica dell’ingresso di Gesù a
Gerusalemme:

––––––––––––––––––
855 CIo VI, 51, 267 (160, 24-26): To; de; kaq∆ e}n dunhqh'nai touvtwn euJrovnta ejkla-
bei'n th;n dia; ∆Ihsou' Cristou' gegenhmevnhn tou' pneumatikou' novmou ajlhvqeian, sfovdra
mei'zon tugcavnon th'" ajnqrwpivnh" fuvsew", oujdeno;" a[llou e[rgon h] tou' teleivou ejstivn
(tr. Corsini, 367). Dello stesso tenore è il passo in CIo X, 15, 85 (185, 24-31): «Spiegare
però in che modo noi celebreremo le festività nelle cose celesti (di cui c’era un’ombra
presso i Giudei corporei), dopo esser stati educati in precedenza da pedagoghi sotto la
vera legge, sottostando a tutori e amministratori fino a che giungesse la pienezza del tempo,
e in che modo noi potremo accogliere la perfezione del Figlio di Dio, questo è compito di
quella sapienza avvolta nel mistero (e[rgon sofiva" th'" ejn musthrivw/ ajpokekrummevnh"
ejsti;n fanerw'sai), a cui spetta pure di contemplare le prescrizioni relative ai cibi, meri
simboli di quelli che dovranno nutrire e corroborare la nostra anima» (tr. Corsini, 400).
856 CIo X, 1, 2 (171, 6-): «Quanto a me, ti ho parlato di queste cose all’inizio del li-
bro decimo, appunto perché ho notato spesso come nella Scrittura il numero dieci goda di
un privilegio superiore [agli altri], come puoi renderti conto da solo se fai attenzione, tu
che ora speri di ricevere da Dio qualcosa di più anche per questo libro. E perché questo
avvenga, tentiamo per quanto è possibile di offrirci a Dio, che desidera donare le cose più
belle (kata; duvnamin ejmparevcein eJautou;" tw'/ dwrei'sqai ta; kavllista boulomevnw/ qew'/
peirwvmeqa)» (tr. Corsini, 380). L’«offerta di sé» a Dio figura già in CIo I, 2, 10, dove
Origene dichiara che vero «culto di Dio» e sacerdozio autentico è quello di coloro «che si
consacrano al Logos divino» (ibi, 118).
857 CIo X, 23, 131 (194, 24-28): Ta; de; kinou'nta hJma'" eij" th;n peri; touvtwn sumfw-
nivan, aijthvsante" to;n didovnta panti; tw'/ aijtou'nti kai; ojxevw" zhtei'n ajgwnizomevnw/, krouvon-
tev" te uJpe;r tou' ajnoicqh'nai hJmi'n tai'" th'" gnwvsew" kleisi;n ta; kekrummevna th'" grafh'",
to;n aujto;n kata; th;n didomevnhn hJmi'n duvnamin ejkqhsovmeqa trovpon (tr. Corsini, 411-412).
286 Parte seconda, Capitolo settimo
«Noi siamo persuasi che il sapere come stanno queste cose, essendo proprio di
quell’intelligenza che è data (nou' ajlhqou'" tou' doqevnto") a coloro che afferma-
no: Noi abbiamo la mentalità di Cristo, per conoscere i doni che Dio ci ha elar-
gito (1Cor 2, 16. 12), sia superiore alle nostre possibilità. Infatti la parte domi-
nante (to; hJgemonikovn) della nostra anima non è pura, né i nostri occhi sono quali
dovrebbero essere gli occhi della sposa bella di Cristo, di cui lo sposo dice: I tuoi
occhi [son] come colombe (Ct 1, 15), volendo forse con questo alludere alla ca-
pacità di distinguere le cose spirituali: il che è suffragato dal fatto che appunto
anche lo Spirito santo è venuto sul Signore Gesù e sul Signore che è in ciascuno
[dei fedeli] (ejpi; to;n kuvrion <∆Ihsou'n> kai; to;n ejn eJkavstw/ kuvrion) sotto forma
di colomba. E tuttavia, pur essendo in queste condizioni, non rinunzieremo, trat-
tando le parole della vita che ci sono riferite, al tentativo di appropriarci della
loro virtù che fluisce in chi le tocca con fede»858 .
Il bisogno della «mente di Cristo» e dello «spirito di sapienza» è ri-
badito ancora una volta in questo stesso libro che ne riunisce parecchie
attestazioni, allorché Origene si sforza di chiarire l’idea del Tempio come
«casa di Dio» a commento di Gv 2, 21-22 («Ma egli parlava del tempio
del suo corpo. E quando fu risuscitato dai morti, i discepoli si ricordarono
che aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola detta da
Gesù»). Ma nemmeno qui l’avvertenza cautelativa secondo cui «tali argo-
menti [...] sono molto al di sopra della natura umana» spinge Origene ad
invocare espressamente l’aiuto divino, «pur essendo consapevoli – come
egli ammette – di aver bisogno noi stessi della sapienza di quello Spirito
che non è dato a tutti»859.
Anche nel libro XIII e nel XIX l’atteggiamento dell’Alessandrino non
cambia. Dobbiamo dunque attendere fino al XX libro per trovare quello
che si potrebbe definire un prologo «in forma di preghiera», non troppo
dissimile da quanto abbiamo visto con il proemio di CC IV 860 . Esso si di-
spone, per così dire, in due tempi: prima le intenzioni di preghiera e poi
la preghiera formulata direttamente, nella quale Origene, rivolgendosi
a Dio Padre, chiede di partecipare del suo Logos. Anche qui (come più
avanti, all’inizio del libro XXVIII ) si tratta insomma di una preghiera che
domanda l’intelligenza spirituale delle Scritture, secondo il modello ri-
corrente in special modo nelle omelie:
«Accingendoci a dettare questo libro XX sul vangelo di Giovanni, o Ambrogio
amantissimo di Dio e di quella scienza che si acquista nel Signore, noi preghia-
––––––––––––––––––
858 CIo X, 28, 172-173 (201, 11-22 [tr. Corsini, 420-421]). Sul requisito paolino del
nou'" Cristou' insiste da principio anche CIo I, 4, 24 (9, 8-11): To;n ga;r mevllonta tau'ta
ajkribw'" katalambavnein meta; ajlhqeiva" eijpei'n dei': ÔHmei'" de; nou'n Cristou' e[comen, i{na
eijdw'men ta; uJpo; tou' qeou' carisqevnta hJmi'n (1Cor 2, 16. 12). Origene ama combinare insie-
me 1Cor 2, 16 con il v. 12 (si vedano le attestazioni in Hannah, rispettivamente 46 e 41-42).
859 CIo X, 39, 266 (tr. Corsini, 441-442).
860 Cfr. supra, p. 266.
«Come incenso al tuo cospetto» 287
mo per ottenere dalla pienezza del Figlio di Dio, nel quale piacque [a Dio] di fare
abitare tutta la pienezza (cfr. Col 1, 19), pensieri pieni e, per così dire, compatti,
che non abbiano niente di vuoto, affinché il vangelo ci sia rivelato, in quei punti
che costituiscono l’oggetto della nostra indagine, in modo che noi non tralascia-
mo niente di ciò che esige d’esser sottoposto a un esame e a un commento scritto,
senza che questo peraltro risulti troppo prolisso o contenga interpretazioni
erronee del pensiero del nostro Salvatore Gesù. Possa Dio inviarci il Logos stesso,
che ci manifesti se stesso, sì che noi diveniamo, per un dono del Padre, contem-
platori della sua profondità»861 .

Ancora una volta colui che dona, in risposta alla domanda dell’uomo,
è indicato in Dio Padre, mentre il Figlio, invece di essere l’intermediario
della richiesta, appare come l’oggetto stesso di essa: è dal Logos divino,
quindi, che Origene si aspetta l’ammaestramento capace di guidarlo alla
comprensione della parola rivelata. In un solo caso, una domanda di natura
analoga trova formulazione mediante una preghiera al «medico delle fa-
coltà visive della nostra anima», perché «faccia di tutto per liberare dai
veli i nostri occhi, ancora coperti dall’ignominia della nostra malvagità»,
indirizzandosi apparentemente allo stesso Logos come «medico delle ani-
me»862 . Tuttavia, in apertura del libro XXXII, l’Alessandrino rinnova la
––––––––––––––––––
861 CIo XX , 1, 1 (327, 1-11): Eijkosto;n uJpagoreuvonte" eij" to; kata; ∆Iwavnnhn
eujaggevlion tovmon, filoqewvtate kai; filomaqevstate ejn kurivw/ ∆Ambrovsie, eujcovmeqa ejk
tou' plhrwvmato" tou' uiJou' tou' qeou', eij" o}n eujdovkhsen pa'n to; plhvrwma katoikh'sai,
labei'n nohvmata plhvrh kaiv, i{n∆ ou{tw" ei[pw, nasta; kai; mhde;n e[conta diavkenon, <i{na>
to; eujaggevlion kata; <ta;> ejxetazovmena hJmi'n ajpokalufqh'/, ªkai;º mhvte paraleipovntwn
ti hJmw'n tw'n deovntwn ejxetavzesqai kai; uJpomnhmatikoi'" gravmmasin pisteuvesqai, mhvte
wJ" ouj crh; pleonazovntwn, mhvte parekdecomevnwn to;n tou' swth'ro" hJmw'n ∆Ihsou' nou'n.
Qeo;" ou\n hJmi'n pevmyai aujto;n to;n lovgon, eJauto;n ejmfanivzonta, i{na tou' bavqou" aujtou',
dwroumevnou tou' patrov", qeatai; genwvmeqa (tr. Corsini, 601, con leggere modifiche). Sul
rilievo di questo prologo per l’analisi del commentario origeniano si veda Bastit; Perrone
2005b, 43-44. Di tenore simile è anche il prologo al XXVIII libro; cfr. CIo XXVIII, 1, 6
(389, 18-390, 2): «prima di accingerci all’esame dei versetti seguenti invocheremo Dio,
che è perfetto e largitore di perfezione, per mezzo del nostro perfetto Sommo Sacerdote
Gesù Cristo, affinché conceda alla nostra mente di scoprire la verità e la costituzione di
ciò che forma l’oggetto della nostra indagine (ejpikalesavmenoi to;n tevleion kai; teleiov-
thto" corhgo;n qeo;n dia; tou' teleivou ajrcierevw" hJmw'n ∆Ihsou' Cristou', i{n∆ hJmw'n to;n
nou'n dw/' euJrei'n th;n peri; tw'n ejxetasqhsomevnwn ajlhvqeian kai; kataskeuh;n aujtw'n)» (tr.
Corsini, 688).
862 CIo XX , 32, 285 (369, 14-21): «Se noi però, sulla scorta di quelle parole: Chi
crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio (1Gv 5, 1), comprendiamo a fondo che cosa si-
gnifica credere veramente e ci rendiamo conto di quanto siamo lontani da una fede sif-
fatta, rispondiamo in questo modo, pregando il medico delle facoltà visive della nostra
anima che nella sua sapienza e bontà faccia di tutto per liberare dai veli i nostri occhi, an-
cora coperti dall’ignominia della nostra malvagità (parakalou'nte" to;n tw'n th'" yuch'"
o[yew" ijatro;n th/' eJautou' sofiva/ kai; filanqrwpiva/ pavnta poih'sai ta; uJpe;r tou' ajpoka-
lufqh'nai tou;" ojfqalmou;" hJmw'n, e[ti kekalummevnou" uJpo; th'" dia; th;n kakivan ajtimiva"
hJmw'n), secondo quanto sta scritto: La nostra ignominia ci ha ricoperti (Ger 3, 25)» (tr.
288 Parte seconda, Capitolo settimo
supplica per l’assistenza del Logos: è una vera e propria preghiera perso-
nale, ancora più intensa di quella contenuta nel prologo di CIo XX, dato
anche il fatto che l’autore appare provato dal lungo cammino e ancor più
bisognoso della guida di Gesù per giungere a completare l’opera:
«Con l’aiuto di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo rende prospero il nostro cam-
mino (∆Apo; qeou' dia; ∆Ihsou' Cristou' eujodouvmenoi), inoltriamoci nella via del
vangelo, via grande e fonte di vita per noi, qualora sia da noi non soltanto cono-
sciuta ma anche percorsa fino a raggiungerne il termine. E ora che siamo giunti,
per così dire, alla trentaduesima stazione e ci accingiamo a questa nuova esposi-
zione, possa accompagnarci, o sacro fratello e uomo di Dio, Ambrogio, quella
colonna di nube luminosa (che è Gesù) (pareivh ge hJmi'n oJ stuvlo" th'" fwteinh'"
nefevlh" ∆Ihsou' ), precedendoci e arrestandosi quando occorre (cfr. Es 13, 21), sì
che possiamo percorrere tutto quanto il vangelo accompagnati da opportune ispi-
razioni al riguardo, senza scoraggiarci per la lunghezza del cammino né abbatter-
ci per la nostra debolezza, ma sforzandoci di seguire a ogni costo le orme della
colonna della verità. Dio solo sa se è sua intenzione permettere o no che la nostra
mente percorra fino in fondo per mezzo delle [sue] ispirazioni il cammino del
commento al vangelo di Giovanni. Quanto a noi, abitanti ancora nel corpo e pur
esuli da esso per abitare presso il Signore come siamo, cerchiamo solo di non cam-
minare fuori del vangelo, per poter godere, nel paradiso di Dio pieno di delizie,
anche di quelle opere e di quelle parole che comportano di essere beati» 863 .

Anche in questo caso Origene mostra come non sia mai possibile ri-
condurlo ad uno schema troppo rigido e fisso: è vero che all’inizio trovia-
mo la traccia del modello normativo («da Dio mediante Gesù Cristo»), ma
poi l’intenzione di preghiera si concentra sull’oggetto al punto da sugge-
rire anche il destinario più diretto: Gesù stesso. Da lui, infatti, ci si attende
che faccia luce e strada con la sua «colonna di verità». Se nel brano tra-
spare una spiritualità della preghiera, essa sembra tutta rivolta al rapporto
immediato con Gesù, che è lui stesso quella «via vivente» del vangelo che
il commentatore auspica di poter percorrere fino al termine 864 . Origene
––––––––––––––––––
Corsini, 660, con leggere modifiche). La metafora del medico può applicarsi sia a Dio sia
a Cristo, ma Fernández, 247, nota 117 riferisce il passo a Cristo. Ger 3, 25 è oggetto di
un’ampia spiegazione, in nesso con il «velo» di 2Cor 3, 15-16, in HIer V, 8-9. Il verbo
parakalou'nte" non è frequente nel linguaggio della preghiera, ma la sua accezione di
«pregare» è attestata anche dal seguito del passo (369, 21-22): ejpakouvsetai ga;r hJmw'n
oJmologouvntwn ta; ai[tia tou' mhdevpw hJma'" pisteuvein [...], «se infatti confesseremo le
cause per cui non crediamo, egli ci esaudirà» (tr. Corsini, 660).
863 CIo XXXII, 1, 1-4 (425, 1-17 [tr. Corsini, 735]). Per Monaci Castagno 2003, 183,
il prologo attesta «la completa sottomissione all’ispirazione divina», a riprova non solo di
una progettualità meno convinta di quella che emerge in CIo VI, ma anche dell’autonomia
di Origene dalle aspettative di Ambrogio.
864 Si noti che le immagini del prologo (in particolare, la «via») sembrano antici-
pare il commento della lavanda dei piedi (cfr. CIo XXXII, 7, 81 [437, 14-15]: oiJ de
maqhtai; tou' ∆Ihsou', i{na oJdeuvswsiv th;n zw'san kai; e[myucon oJdovn).
«Come incenso al tuo cospetto» 289
affida l’esaudimento del suo voto alla volontà imperscrutabile di Dio, da
cui sempre e soltanto dipende la concessione dei doni spirituali. Nel con-
tempo si sforza, per così dire, di fare la parte che gli compete, nel propi-
ziare la benevolenza divina, con lo sforzo di camminare secondo il van-
gelo, pur nella consapevolezza della debolezza del proprio corpo e della
condizione di esilio, illuminata di speranza dalla prospettiva della beati-
tudine «nel paradiso di Dio». Forse è un indizio ulteriore di questa situa-
zione psicologica l’insolito ringraziamento a Dio che conclude sempre
nel XXXII libro la spiegazione del concetto di «gloria» a commento di Gv
13, 31-32 («Quand’egli fu uscito, Gesù disse: “Adesso è stato glorificato
il Figlio dell’uomo, e anche Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo
glorificherà in lui e lo glorificherà subito”»): un approfondimento mag-
giore potrebbe venirgli, dichiara Origene, solo se il Padre glielo rivelasse
mediante il dono del Logos865.
Riconoscendo la fonte del dono in Dio Padre, nel libro XIII l’Ales-
sandrino ne trae un’indicazione di portata universale, che investe lo stesso
rapporto tra il Padre e il Figlio, come mostra la sua spiegazione della
richiesta della Samaritana in Gv 4, 15 («Signore [...], dammi di quest’ac-
qua»): se il Padre ama far dono agli uomini delle «cose più belle» – come
si è notato sopra –, Egli vuole non solo che gli uomini gli facciano richie-
sta di esse, ma sollecita lo stesso Figlio ad offrire loro l’esempio di tale
condotta.
«È qui forse contenuta una dottrina secondo cui nessuno può avere un dono da
Dio se non lo chiede. E invero, il Salvatore stesso è esortato dal Padre nel salmo a
chiedere perché gli sia dato, secondo quanto il Figlio stesso ci insegna con quel-
le parole: Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio [...]. Domandamelo, ti darò i
popoli in eredità, le estremità della terra in tuo possesso (Sal 2,7-8). Anche il
Salvatore dice: Chiedete e vi sarà dato e ancora: perché chiunque chiede riceve
(Mt 7, 7 ss.)»866 .
––––––––––––––––––
865 CIo XXXII, 29, 366-367 (475, 27-33): «Sappiamo bene che queste nostre consi-
derazioni sono molto al di sotto di quante ne contiene il passo esaminato (qualora Dio lo
riveli e il suo Logos venga a far vedere la gloria di Dio) e [di quante ne contiene] il Padre
che concede di conoscere tutta la gloria di Dio a colui al quale ciò può esser concesso
(tau'ta de; oujk ajgnoou'men pollw/' ei\nai ejlavttona w|n cwrei' oJ tovpo" ejxetazovmeno", ajpo-
kaluvptonto" tou' Qeou', kai; ejpidhmou'nto" tou' lovgou aujtou' eij" to; parasth'sai th;n dov-
xan tou' qeou', kai; w|/ duvnatai dwrhvsasqai oJ path;r dwrouvmeno" gnwsqh'nai th;n pa'san
dovxan tou' qeou'). E pertanto, limitati come siamo e molto al di sotto della dignità di queste
parole, rendiamo grazie a Dio anche [solo] per le considerazioni fatte, che son pur sempre
superiori al nostro merito (kai; ejpi; toi'" ejkteqei'sin cavrita" oJmologou'men tw/' qew/', ou\sin
pollw/' meivzosin th'" hJmetevra" ajxiva")» (tr. Corsini, 803-804).
866 CIo XIII, 1, 5 (227, 1-7): Tavca ga;r dovgma tiv ejstin mhdevna lambavnein qeivan
dwrea;n tw'n mh; aijtouvntwn aujthvn. Kai; aujto;n gou'n to;n swth'ra dia; tou' yalmou' protrev-
pei aijtei'n oJ path;r i{na aujtw'/ dwrhvshtai, wJ" aujto;" hJma'" didavskei oJ uiJo;" levgwn: Kuvrio"
ei\pen pro;" mev: UiJov" mou ei\ suv: ai[thsai par∆ ejmou' kai; dwvsw soi e[qnh th;n klhronomivan
290 Parte seconda, Capitolo settimo
Il brano sembra generalizzare in forma di dottrina quel riconoscimen-
to dall’aspetto formulare che affiora più volte nel commentario tramite
l’espressione «se Dio ce lo concede» (qeou' didovnto")867 , o con l’inciso
occasionale «se Dio ce lo rivelerà» (qeou' ajpokaluvptonto" hJmi'n) ed altre
espressioni analoghe868. Al tempo stesso ribadisce con forza l’idea della
preghiera come «richiesta» (ai[thsi") dei beni spirituali, in conformità con
l’insegnamento proposto da Orat: anzi, il rilievo di tale dottrina risulta, se
possibile, ulteriormente accresciuto grazie all’asserzione della sua impre-
scindibilità generalizzata, tanto che il Figlio stesso ne offre l’esempio agli
uomini. Ma anche l’esemplarità di Gesù orante è un aspetto primario e
ben evidenziato nel trattato, e pertanto non è casuale che esso trovi spazio
in CIo e vi si segnali anche per alcuni spunti originali.

3.2.1.2. Il modello di Gesù orante: la preghiera al Padre

Purtroppo non abbiamo il commento di Origene alla lunga «preghiera


sacerdotale» di Gesù in Gv 17, testo-chiave per la visuale eucologica del
quarto vangelo non meno dell’«adorazione in spirito e verità» di Gv 4, 23-
24869 . L’Alessandrino non sfrutta il dialogo tra Gesù e la Samaritana per
il suo discorso sulla preghiera, mentre accenna brevemente a Gv 17 in un
passo del II libro, estrapolandone un theologoumenon importante riguardo
al destinatario dell’orazione870 . Se anche dal luogo giovanneo questi risul-
––––––––––––––––––
sou, kai; th;n katavscesivn sou ta; pevrata th'" gh'": kai; oJ swthvr fhsin: Aijtei'te, kai;
doqhvsetai uJmi'n: pa'" ga;r oJ aijtw'n lambavnei (tr. Corsini, 458).
867 Il modo di dire è meno frequente di quel che ci aspetterebbe, ma delle 17 occor-
renze attestate nel TLG ben 6 figurano in CIo (VI , 9, 55; X, 11, 60; XIII, 63, 455; XIX, 11,
64; XX, 4, 31; XXVIII , 26, 249). Esso può riferirsi sia all’esegesi in atto sia, più frequente-
mente, a quella futura.
868 CIo XX, 44, 422 (cfr. anche XXXII, 29, 366). Si veda inoltre CIo XXVIII , 1, 6
(389, 19): qeou' carizomevnou.
869 Per Beauchamp, 974, la prospettiva del quarto vangelo è quella di un’ulteriore
elevazione e purificazione della preghiera: «Gv presenta sotto una luce molto unificata la
pedagogia della preghiera, passaggio dalla richiesta alla vera preghiera, e dal desiderio dei
doni di Dio a quello del dono che apporta Dio stesso». Ostmeyer sfrutta la novità termino-
logica di Gv (ad esempio, l’uso di proskunevw ) per sottolineare la mediazione di Gesù per
la richiesta al Padre: «Das Bitten im Namen Jesu ist Manifestation des Glaubens an Chri-
stus und kennzeichnet das neue Wesen der Gläubigen» (p. 217); solo a Gesù spetta rivol-
gersi a Dio con l’appellativo di «Padre», mentre i fedeli lo pregano tramite Gesù. Possia-
mo arguire il rilievo particolare di Gv 17 nel pensiero di Origene dal suo utilizzo in Prin I,
6, 2 (nota 1516), nella trattazione sulla fine. Il rilievo escatologico viene ribadito in Prin
II , 3, 5 (nota 1517). Sull’uso di Gv 17 nel discorso eucologico di Origene si veda infra, pp.
475-488.
870 Fuggevoli rinvii a Gv 17, 11.21 figurano in CIo XXVIII, 21, 184 e FrIo 95. Sul-
l’interpretazione di Gv 4, 23-24 si veda Lettieri. Alla luce del commento origeniano in
CIo XIII, egli si chiede: «quale tipo di adorazione, di preghiera e di rendimento grato di
«Come incenso al tuo cospetto» 291
ta essere il Padre, per l’Alessandrino egli è tale in quanto «Dio» in senso
stretto (oJ qeov") o «Dio-in-sé» (aujtovqeo") e perciò distinto dal Figlio, che
è designato solo come «Dio» (qeov"). Il contesto ricorda da vicino la pro-
blematica trattata anche nel Dialogo con Eraclide e ripropone per certi
versi un analogo nesso fra lex credendi e lex orandi, quantunque con un
esito che si direbbe più scopertamente “subordinazionistico”:
«Dio è Dio-in-sé; e per questo anche il Salvatore nella sua preghiera al Padre
dice: Che conoscano te, unico vero Dio (Gv 17, 3). All’infuori del Dio-in-sé,
tutti quelli fatti Dio per partecipazione alla divinità di lui si devono chiamare più
propriamente “Dio” (qeov") e non “il Dio” (oJ qeov")»871.
Nella discussione che segue Origene si sforza di chiarire ulteriormen-
te il rapporto tra il Figlio, in quanto Dio e Logos, da un lato con il Padre e
dall’altro con gli esseri razionali, partecipi di questo stesso Logos e con
lui inseriti in quel processo di deificazione di cui già il Figlio fruisce per
primo facendosene a sua volta tramite agli altri logikoi. Fra gli argomenti
addotti dall’Alessandrino ricorre in prima fila la preghiera, secondo l’ac-
centuazione caratteristica di CIo: il suo contenuto è, infatti, indicato pro-
prio nell’acquisizione del Logos.
«E come ci sono molti dèi, ma per noi c’è un solo Dio, il Padre; e come ci sono
molti signori, ma per noi un solo Signore Gesù Cristo (1Cor 8, 5-6), così ci sono
molti logoi, ma noi preghiamo che in noi si trovi il Logos che è nel principio e
presso Dio (hJmi'n eujcovmeqa o{pw" uJpavrxh/ oJ ejn ajrch'/ lovgo" oJ pro;" to;n qeo;n w[n),
il Logos che è Dio»872 .
––––––––––––––––––
gloria, è rivelato da Cristo? Se la preghiera, il culto spirituale, sono atti d’ascesa verso il
sovrasensibile, si dà allora preghiera o adorazione specifica del Nuovo Testamento? Può
essere l’unica differenza specifica l’adorazione di Dio nel segno temporale di Cristo in-
carnato, o piuttosto non è proprio l’assoluta libertà da qualsiasi determinazione del sacro,
da qualsiasi confinamento della verità universale all’interno di immagini o tipi storici
esclusivi (anche di quelli cristiani) la rivelazione dello Spirito cristiano?». Credo che dal
mio esame emerga il fatto che Origene sfugga al dilemma, offrendo una prospettiva che
salvaguarda l’uno e l’altro aspetto, sia pure non senza tensioni.
871 CIo II, 2, 17 (54, 29-55, 2): Lektevon ga;r aujtoi'", o{ti tovte me;n aujtovqeo" oJ qeov"
ejsti, diovper kai; oJ swthvr fhsin ejn th'/ pro;" to;n patevra eujch'/: ”Ina ginwvskwsi se; to;n
movnon ajlhqino;n qeovn (Gv 17, 3): pa'n de; to; para; to; aujtovqeo" metoch'/ th'" ejkeivnou qeov-
thto" qeopoiouvmenon oujc «oJ qeo;"» ajlla; «qeo;" » kuriwvteron a]n levgoito, ou| pavntw"
oJ prwtovtoko" pavsh" ktivsew" (Col 1, 15), a{te prw'to" tw'/ pro;" to;n qeo;n ei\nai spavsa"
th'" qeovthto" eij" eJautovn, ejsti; timiwvtero", toi'" loipoi'" par∆ aujto;n qeoi'"< w|n oJ qeo;"
qeov" ejsti kata; to; legovmenon: Qeo;" qew'n kuvrio" ejlavlhse, kai; ejkavlese th;n gh'n (Sal 49
[50], 1) < diakonhvsa" to; genevsqai qeoi'", ajpo; tou' qeou' ajrusav<meno"> eij" to; qeopoih-
qh'nai aujtouv", ajfqovnw" kajkeivnoi" kata; th;n aujtou' crhstovthta metadidouv" (tr. Corsini,
205). L’affinità dottrinale con Dial è data anche dal fatto che Origene definisce la sua po-
sizione in risposta alle difficoltà di quanti «vorrebbero conservare l’amor di Dio, ma per il
timore di affermare due dèi incappano all’estremo opposto in dottrine false ed empie», cioè
rispettivamente il monarchianesimo e l’adozionismo (CIo II, 2, 16 [tr. Corsini, 204]).
872 CIo II, 3, 21 (55, 21-25 [tr. Corsini, 207]).
292 Parte seconda, Capitolo settimo
D’altronde, anche mettendone a fuoco l’oggetto in questi termini,
Origene non fa che ribadire la mediazione del Figlio nella preghiera a
Dio. Come si precisa più avanti nel corso del medesimo libro, il vero
«culto di Dio» (qeosevbeia) è ordinato al Padre per il tramite del Figlio: è
quindi necessario passare «attraverso questa porta» per «coloro che per-
vengono al Dio dell’universo con saggezza, cioè per il tramite del media-
tore e Sommo Sacerdote e difensore» 873 .
Il valore paradigmatico della preghiera di Gesù nella sua orienta-
zione al Padre trova il riconoscimento più esplicito nell’idea della rivela-
zione della paternità divina, di cui egli si fa tramite. Come abbiamo visto
nel commento del Padrenostro in Orat, il passo di CIo XIX richiama il
contesto della Preghiera del Signore, pur non menzionandola aperta-
mente. La vicinanza al trattato, sebbene con sviluppi propri del commen-
tario, si avverte anche per la tensione dialettica che il luogo in questione
istituisce fra la vetus oratio e l’oratio christiana, se è lecito adoperare per
Origene i termini della distinzione e/o antitesi tertullianea fra la preghiera
dell’Antica Alleanza e quella della Nuova. Come in Orat, l’Alessandrino
non appare disposto ad assecondare una contrapposizione troppo netta fra
le due, ma tende semmai a riassorbirne il contrasto.
«E, certo, si può fare un piacere agli eterodossi e dire che né Mosè né i profeti
hanno conosciuto il Padre. Ma questo forse non è vero, perché chi non ha affatto
conosciuto il Padre non ha conosciuto il Figlio: infatti il Figlio ha conosciuto il
Padre e il servitore il Signore. E se non è un’empietà dire che il Figlio non cono-
sce il signore (essendo figlio infatti non ha sperimentato il Padre come signore),
così non sarà neanche un’assurdità dire, a proposito del medesimo Dio, che al
Figlio si addiceva conoscerlo come Padre e al servitore come signore; il servitore
non conobbe il Padre né il Figlio il signore.
Ora, in nessuna delle infinite preghiere, sparse non soltanto nei Salmi e nei pro-
feti, ma anche nei libri della Legge, si trova mai l’appellativo di “Padre”, rivolto
da qualcuno a Dio nella sua preghiera (murivwn gou'n oujsw'n eujcw'n ajnagegram-
mevnwn ejn toi'" yalmoi'" kai; toi'" profhvtai", ajlla; kai; tw/' novmw/, ouj pavnu ti eu{r-
omen eujxavmenovn tina kai; levgonta tw/' qew/': Pavter), forse perché il Padre non lo
conobbero. Lo pregano come Dio, come Signore (eu[contai de; aujtw/' wJ" qew/' kai;
kurivw/ ), in attesa di colui che effonde lo Spirito dei figli adottivi non meno sui
figli adottivi che su coloro che dopo la sua venuta hanno creduto in Dio per
mezzo di lui. A meno che si sia attuata per loro la venuta intelligibile di Cristo e
abbiano ricevuto, insieme con la perfezione, anche lo Spirito dei figli adottivi.

––––––––––––––––––
873 CIo II, 34, 209 (92, 34-93, 4): ÔW" ga;r hJ qeosevbeia kekovsmhtai tw'n dia; mesiv-
tou kai; ajrcierevw" kai; paraklhvtou kai; ejpisthmonikw'" prosercomevnwn tw'/ tw'n o{lwn
qew'/, skavzousa a]n eij mh; dia; th'" quvra" ti" eijsivoi pro;" to;n patevra, ou{tw" kai; hJ tw'n
pavlai qeosevbeia th'/ nohvsei kai; pivstei kai; prosdokiva/ Cristou' iJera; h\n kai; para; qew'/
ajpodekthv (tr. Corsini, 266-267).
«Come incenso al tuo cospetto» 293
Di Dio come Padre essi parlavano o scrivevano però in segreto e in modo non
conoscibile e non per tutti, per non prevenire la grazia <effusa> su tutto il mondo
per mezzo di Gesù, che chiama tutti a esser figli adottivi, per annunziare il nome
di Dio ai suoi fratelli e cantare le lodi del Padre in mezzo all’assemblea, secondo
quanto sta scritto: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, canterò le tue lodi in
mezzo all’assemblea (Sal 21[22], 23)»874 .

La relazione di figliolanza con il Padre è il proprium dell’Unigenito


e con lui di quanti, per la fede in Cristo e il dono dello Spirito, partecipa-
no di quella stessa figliolanza sia pure a titolo adottivo. La novità salvi-
fica del Logos incarnato spiega la mancata manifestazione della paternità
divina nell’economia veterotestamentaria, nonostante le abbondanti testi-
monianze di preghiere contenute nella Legge e nei Profeti, ed in partico-
lare nel Salterio, libro per eccellenza della preghiera d’Israele875 . Ma l’in-
vocazione al «Padre» (secondo l’indirizzo del Padrenostro in Lc 11, 2, ma
anche di Gv 11, 41) sta al centro dell’esperienza orante di Gesù e di colo-
ro che si mettono al suo seguito. Così, se Mosè da un certo punto di vista
ha conosciuto Dio come Signore, Cristo e i suoi fedeli lo riconoscono an-
zitutto come Padre e danno espressione di ciò nelle loro preghiere. È vero
che Origene non se la sente di negare del tutto la possibilità che i santi del-
l’Antica Alleanza, Mosè incluso, abbiano conosciuto Dio come «Padre» e
dunque ripiega su una sorta di “disciplina dell’arcano”, ipotizzando un in-
segnamento esoterico, con una consegna del silenzio intesa a far risaltare
ancora di più il novum della paternità divina professata da Gesù e messa
in atto da lui verso tutti gli uomini, suoi fratelli. Perciò Origene ripropone
la citazione di Sal 21(22), 23, che anche in Orat fondava l’assistenza di
Gesù, mediatore e paraclito, alle preghiere dei suoi fratelli partendo dal-
l’idea della figliolanza comune 876 .
C’è un corollario importante alle affermazioni sulla paternità di Dio
e sulla figliolanza in Lui per il discorso sulla preghiera, che Origene foca-
lizza ripetutamente in CIo, forse con più incisività di quanto avesse fatto
in Orat, anche commentando il Padrenostro877. Infatti, la manifestazione
orante per eccellenza di questa condizione di «figli di Dio» è rappresentata
in CIo dalla preghiera per i nemici, conformemente all’insegnamento di
Gesù nel Discorso della Montagna (Mt 5, 44-45: «44Ma io vi dico: Amate
i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 45perché siate figli del
Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i
buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti»). Solo per questa via
––––––––––––––––––
874 CIo XIX, 5, 27-28 (303, 20-304, 8 [tr. Corsini, 570]).
875 Si noti l’ordine decrescente, per così dire, quanto a grado di “specializzazione”:
Salmi, Profeti, Legge.
876 Cfr. Orat XV, 4 e supra, pp. 139-140.
877 Si veda supra, p. 212. Sull’utilizzo di Mt 5, 44 si veda infra, pp. 499-505.
294 Parte seconda, Capitolo settimo
si realizza appieno la partecipazione del «santo» all’amore del Padre che
si effonde senza distinzioni verso buoni e cattivi, verso giusti e ingiusti:
«al modo del Padre nei cieli che fa sorgere il sole sopra i malvagi e i buoni, cia-
scuno dei figli di Dio, possedendo in sé l’amore a guisa di un sole, lo fa spuntare
sui malvagi in virtù del suo amore per i propri nemici. E come [il Padre] fa pio-
vere sui giusti e gli ingiusti, così il santo manda la sua preghiera a guisa di una
pioggia su quelli che in qualche modo stanno al di sotto di lui, dal momento che
lo perseguitano, mentre egli prega anche per gente come loro (th;n proseuch;n oJ
a{gio" katapevmpei ejpi; tou;" kavtw pou tugcavnonta", dia; to; diwvkein aujtovn, kai;
peri; tw'n toiouvtwn proseucovmeno")»878.

La preghiera di Gesù al Padre è per eccellenza la preghiera del «san-


to», ma nel XXVIII libro il suo modello porge l’occasione per riflettere
anche, per contrasto, sulla preghiera del peccatore, com’è esemplificata
dal pubblicano della parabola lucana (Lc 18, 13). Origene vi commenta la
scena del racconto giovanneo che prelude alla resurrezione di Lazzaro sof-
fermandosi dapprima sul gesto descritto all’inizio di Gv 11, 41 («E Gesù
alzò gli occhi e disse...»). Alzare gli occhi al cielo, come Gesù fa al mo-
mento di pregare, è il gesto di colui che si rivolge con fiducia filiale al
Padre sollevando gli occhi dell’anima dalle realtà terrene per indirizzare a
Lui parole riferite alle «cose grandi e celesti», cioè a quelle realtà che per
Origene – come sappiamo bene da Orat – rispecchiano l’insegnamento
dell’agraphon gesuano, richiamato anche da CC:
«[Gesù] distoglie la sua capacità intellettiva dalla consuetudine con coloro che
sono quaggiù per ricondurla verso l’alto mediante la preghiera al Padre che tutto
trascende. Ora, se è vero che Paolo e quelli che gli sono affini sono imitatori di
Cristo, ne consegue che chi vuol pregare, imitando lo zelo della preghiera di Cri-
sto, deve levare in alto gli occhi dell’anima, distogliendoli dalle realtà di quag-
giù, dai ricordi, dai concetti, dai giudizi di quaggiù e rivolgere a Dio parole di
preghiera grandi e celesti, degne delle realtà grandi e celesti che trattano»879 .

––––––––––––––––––
878 CIo XX, 17, 151 (350, 6-13 [tr. Corsini, 631]). Cfr. inoltre XX, 33, 290; XX, 33,
292: «E se non c’è altro modo di diventare figli del Padre nei cieli se non quello di amare
i propri nemici e pregare per i propri persecutori...» (ibi, 662); XX, 34, 309.
879 CIo XXVIII, 4, 25 (392, 30-393, 5): metevqhken eJautou' to; dianohtiko;n ajpo; th'"
pro;" tou;" kavtw oJmiliva" kai; ajnhvgagen kai; u{ywsen prosavgwn aujto; th/' pro;" to;n uJperav-
nw pavntwn patevra eujch/'. ajlla; kai; ei[per mimhth;" Cristou' ejsti Pau'lo" kai; oiJ para-
plhvsioi aujtw/', ajnavgkh to;n kata; zh'lon kai; mivmhsin th'" Cristou' eujch'" eujxovmenon,
a[ranta tou;" ojfqalmou;" th'" yuch'" a[nw kai; ajnabibavsanta aujtou;" ajpo; tw'n th/'de prag-
mavtwn kai; mnhvmh" kai; ejnnoiw'n kai; logismw'n, ou{tw" eijpei'n tw/' qew/' tou;" lovgou" th'"
eujch'" tou;" peri; megavlwn kai; ejpouranivwn megavlou" kai; ejpouranivou" (tr. Corsini,
692). La descrizione dell’atto orante insinua la vicinanza, se non l’assimilazione vera e
propria, fra eujchv e oJmiliva, benché Origene non abbia fatto sua la definizione della pre-
ghiera come «colloquio», a parte EM 3 (supra, nota 40).
«Come incenso al tuo cospetto» 295
Ritroviamo qui la descrizione della preghiera alla stregua di «eserci-
zio spirituale», secondo il modello già illustrato in Orat e presente anche
in CC VII, 44. Origene ripropone l’ajnacwvrhsi" sensoriale e mentale tra-
mite gli «occhi dell’anima», impegnati a compiere quell’«anabasi» verso
Dio che implica un trascendimento totale di tutte le rappresentazioni ter-
rene. Nel nostro passo l’accento batte in partenza su una formulazione più
estensiva delle realtà da trascendere: oggetti, memoria, nozioni e pensieri,
che parrebbe preludere alle riflessioni di Evagrio sulla «preghiera pura».
Come seguendo un’associazione interiore, Origene interrompe a prima
vista il suo ragionamento e introduce una riflessione su Paolo «imitatore
di Cristo» e quanti gli sono «affini», per caldeggiare l’adesione al modo
di pregare di Gesù. Non è però un’osservazione stravagante, bensì una
spia rivelatrice dell’importanza che Paolo riveste per il discorso origenia-
no sulla preghiera, come abbiamo cercato di mettere in luce esaminando
il trattato. Se nell’esercizio di anacoresi e di anabasi qui raffigurato si può
leggere in filigrana anche un richiamo implicito a 1Tm 2, 8, luogo scrit-
turistico che fissa per l’Alessandrino le disposizioni interiori indispensa-
bili all’orante (peraltro richiamato espressamente poco di seguito), egli
allude anche ai «contenuti della preghiera» (lovgou" th'" eujch'") secondo
le istruzioni fornite in Orat. Abbiamo così come in un compendio i due
elementi-guida dell’atto orante secondo il trattato, proprio a partire dal ri-
ferimento paolino in Rm 8, 26: il kaqo; dei', «come si conviene» (cioè la
katavstasi" o «atteggiamento» richiesto), e lo o} dei', «ciò che conviene»,
l’indicazione dei contenuti della domanda880 . Questi non solo s’ispirano
chiaramente, come s’è detto, all’agraphon ormai noto sulle «cose grandi
e celesti», ma influenzano anche la “retorica” della preghiera. L’elegante
intreccio con duplice ripetizione della coppia «grandi e celesti» richiama
la riflessione su «grandezza» e «nobiltà» della proseuchv in Orat XIV, 2
ed il discorso sui suoi topoi in Orat XXXIII.
Prima di trattare del modo di pregare del peccatore – che Origene
illustra di seguito, completando anche la raffigurazione dell’atto orante
con una riflessione sul gesto delle «mani levate» (1Tm 2, 8), simbolo della
prassi virtuosa quale indispensabile preludio e preparazione ad esso –
conviene adesso soffermarsi sull’interpretazione della preghiera di Gesù
in Gv 11, 41-42 («41Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42Io sapevo
che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la folla che mi sta attorno,
perché credano che tu mi hai mandato»). L’Alessandrino sfrutta il tenore
di questa preghiera per chiarire sia la particolarità dell’orazione di Gesù,
in quanto santo, sia le modalità del suo esaudimento da parte del Padre:

––––––––––––––––––
880 Cfr. supra, p. 75.
296 Parte seconda, Capitolo settimo
«Ai santi (toi'" ajxivoi") che vivono nella carne ma non militano secondo la carne
(cfr. 2Cor 10, 3), quando pregano, è fatta da Dio, in riferimento alla loro preghie-
ra, una promessa che suona così: Mentre tu stai ancora parlando, io dirò: Ecco-
mi! (Is 58, 9). Cosa mai dobbiamo pensare che Dio dica per la preghiera del Sal-
vatore e Signore se non questo: “Prima che tu parli, io dirò: Eccomi!”? Gesù in-
fatti, contemporaneamente, alzò gli occhi e disse (Gv 11, 41). E che cosa disse?
[Si tenga presente che] la promessa fatta da Dio al Salvatore, così come noi l’ab-
biamo congetturata (se è lecito far congetture in argomenti di tale portata), suona:
“Prima che tu parli, io dirò: Eccomi!” ed è, quindi, maggiore di quella fatta ai giu-
sti (tou;" dikaivou"): Mentre tu stai ancora parlando, io dirò: Eccomi! (Is 58, 9).
Che cosa disse dunque? Egli si era proposto di pregare. Ma colui che gli avrebbe
detto: “Prima che tu parli, io dirò: Eccomi!” lo previene; ed egli allora, invece,
della preghiera che si proponeva di fare, ringrazia colui che ha prevenuto la sua
preghiera (ajnti; th'" kata; provqesin a]n lecqeivsh" eujch'" levgei th;n ejpi; tw/' prola-
bovnti th;n eujch;n eujcaristivan). E, quasi fosse già stato esaudito in ciò che aveva
in mente di chiedere ma non aveva ancora chiesto con la sua preghiera, esclama:
Padre, ti ringrazio che tu mi hai ascoltato (Gv 11, 41). Egli si accingeva, dunque,
a pregare per la risurrezione di Lazzaro, ma quel Dio che solo è buono e Padre,
prevenendo la sua preghiera, esaudì le richieste contenute nella preghiera futura:
per questo il Salvatore, tra l’attenzione della folla che lo circonda, invece di una
preghiera innalza al Padre un ringraziamento» 881 .

La convinzione che colui che è «degno» o «giusto», cioè «santo»,


quando prega, adempia ai requisiti per essere esaudito da Dio, era già af-
fiorata in Orat, seppure priva di quel certo automatismo o vera e propria
certezza che contraddistingue invece la posizione di Clemente Alessan-
drino882. Ben più decisa è dunque la sua riaffermazione in CIo, che si ap-
pella a Is 58, 9 – su cui Origene fonda principalmente l’idea dell’ascolto
immediato dell’orante da parte di Dio – per estrapolarne adesso un’appli-
cazione particolare ed esclusiva883. Il presupposto è la distinzione unica di
––––––––––––––––––
881 CIo XXVIII, 6, 39-42 (395, 9-27 [tr. Corsini, 695-696]).
882 Cfr. supra, pp. 155-156. Si veda, per converso, Clemente Alessandrino, Strom.
VII , 7, 43, 1-2 (148, 2-150, 7): ”Otan de; oJ eujproaivreto" oJmou' kai; eujcavristo" di∆ eujch'"
aijth'tai, aJmh/' ge ph/' sunergei' ti pro;" th;n lh'yin, ajsmevnw" di∆ w|n eu[cetai to; poqouvmenon
lambavnwn. ∆Epa;n ga;r to; par∆ hJmw'n eujepivforon oJ tw'n ajgaqw'n lavbh/ dwthvr, ajqrova pavnta
th/' sullhvyei aujth/' e{petai ta; ajgaqav (cfr. anche Strom. VII , 49, 5, con l’allusione a Is 58, 9).
In Cipriano, De dom. or. 3 (35-38), l’efficacia è tanto maggiore quanto più ci si attiene al
modello del Signore: «Nam cum dicat: Quia quodcumque petierimus a patre in nomine eius
dabit nobis (Gv 16, 23), quanto efficacius impetramus quod petimus Christi nomine, si pe-
tamus ipsius oratione?». Anche il vescovo di Cartagine si rifà a Is 58, 9 (De dom. or. 33).
883 Is 58, 9 è citato nuovamente da HCt I, 2, mentre è alluso da CCt I, 2, 2, in en-
trambi i casi per inculcare l’idea dell’immediatezza dell’ascolto divino. Anche FrIer 68
(nota 1100) lo richiama per sottolineare l’esaudimento di chi prega autenticamente (cfr.
anche l’allusione in CMt XI, 6: infra, nota 1017). Invece, Orat X, 1 lo sfrutta come indica-
zione della presenza di Dio per colui che si dispone rettamente a pregare: safe;" de; o{ti oJ
ou{tw" eujcovmeno" e[ti lalw'n ajkouvsetai, th'/ ejnergeiva/ tou' ejpakouvonto" ejnorw'n, to; ijdou;
«Come incenso al tuo cospetto» 297
Gesù rispetto ai santi, che autorizza per l’Alessandrino, argomentando a
fortiori, ad una congettura finalizzata ad accrescere l’immediatezza della
risposta divina fino a pervenire alla simultaneità: se l’orante in stato di
santità può ricevere l’assicurazione dell’esaudimento divino nell’atto
stesso di formulare la propria richiesta, Gesù non ha neppure bisogno di
fare ciò, perché il Padre previene la sua domanda; di conseguenza, egli si
rivolge a Dio indirizzandogli un ringraziamento. Se l’eujchv è in pratica
sostituita dalla eujcaristiva, ciò non significa però che la preghiera di
Gesù si configuri sempre e comunque come «ringraziamento», quasi ad
indicare nell’eujcaristiva la forma più alta di orazione, che superi cioè lo
statuto di ai[thsi"884. In realtà, per Origene, il brano giovanneo generalizza
la preghiera di domanda in Gesù, insieme al ringraziamento per essere
stato sempre ascoltato: «Ma poiché anche prima d’ora egli aveva chiesto
e ottenuto per infinite altre circostanze (peri; a[llwn murivwn h[/thsen kai;
e[tucen), egli ringrazia per Lazzaro e per le volte precedenti. Per Lazzaro
dice: Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato (Gv 11, 41); e per le volte
precedenti, dice: Io lo sapevo che sempre mi dai ascolto (Gv 11, 42)»885.
In tal modo, la resurrezione di Lazzaro cristallizza una più ampia prassi
orante di Gesù, che si manifesta in relazione ai diversi miracoli compiuti
da lui con la cooperazione del Padre, e che sollecita l’Alessandrino ad
interrogarsi ancora sulla particolare funzione che la preghiera vi svolge,
anche alla luce di Gv 11, 43-44, allorché Gesù grida «a gran voce» perché
Lazzaro esca dalla tomba 886 . Vedremo in seguito, nell’esaminare il Com-
mento a Matteo, come il paradigma di Gesù orante acquisti ulteriore rilie-
vo, essendo lì ancor più direttamente collegato alla sua condizione divino-
umana di Logos fatto carne, nel cruciale momento della passione. Ma Ori-
gene conclude la riflessione sulla preghiera di Gesù per Lazzaro e l’appel-
lo fatto al morto perché risorga, con un’attualizzazione che aiuta a capire
come per lui l’atteggiamento orante del Figlio si prolunghi fino all’oggi:
«Anche adesso (occorre che ce ne rendiamo conto) esistono Lazzari, che dopo es-
sere stati amici di Gesù si ammalano e muoiono e se ne stanno, morti tra i morti,
––––––––––––––––––
pavreimi. A sua volta HIs IV, 4 (nota 1251) collega il passo – mediante una prosopopea – a
Is 6, 5, nel segno di una confessione di colpa che si attira l’immediata presenza di Dio.
Cfr. anche infra, pp. 446-448.
884 Per la discussione al riguardo, cfr. nota 815.
885 CIo XXVIII, 6, 48 (396, 19-22 [tr. Corsini, 697]).
886 Cfr. CIo XXVIII , 7, 51. In XXVIII, 6, 45, Origene ricorda la resurrezione della fi-
glia del capo della sinagoga in Lc 8, 55, implicando una preghiera di Gesù che opera il mi-
racolo: «Qualcosa di simile ritengo sia accaduto quando risuscitò la figlia del capo della
sinagoga: [anche allora] egli chiese (h[/thsen) che l’anima ritornasse indietro e s’introdu-
cesse di nuovo nel corpo» (tr. Corsini, 696). Egli accenna anche al miracolo sul figlio della
vedova di Nain, ma senza approfondire ulteriormente il discorso sul rapporto preghiera-
miracoli.
298 Parte seconda, Capitolo settimo
nel sepolcro e nella regione dei morti. E anch’essi quindi sono restituiti alla vita
per la preghiera di Gesù e invitati dalla sua voce forte a venire fuori dal sepolcro.
[...] Devi pensare che chi ha ottenuto una volta la conoscenza della verità, è stato
battezzato, ha gustato il dono celeste, è divenuto partecipe dello Spirito santo, ha
gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro e poi ha apostato
da Cristo ed è ritornato a una vita pagana, si trovi nell’inferno tra le ombre e i
morti, in una regione di morti o nei sepolcri. Se, dunque, Gesù si reca al sepolcro
di costui e, stando fuori, prega per lui, chiedendo forza per la sua voce e le sue
parole, e viene esaudito, allora chiama a gran voce fuori dalla vita pagana, da
quel sepolcro e da quella grotta che essa è, colui che gli era così amico»887.
Anche nel Commento a Matteo l’Alessandrino ritornerà su questo
sviluppo esegetico, alludendo alla ricaduta nel paganesimo da parte di fe-
deli che avevano aderito a Cristo, ma egli accennerà con una formulazione
più generica all’intervento di Gesù per la salvezza dell’uomo peccatore
che invece in CIo si configura proprio come azione di preghiera888. In tal
modo, se in Orat, esplorando la dimensione comunionale della preghiera,
abbiamo notato in particolare la compartecipazione di Cristo, mediatore e
Sommo Sacerdote, alla preghiera dei fedeli, in CIo la sua assistenza orante
si estende apertamente anche all’aiuto verso i peccatori, a conferma di
un’accentuazione peculiare del commentario.

3.2.1.3. L’esempio del pubblicano: la preghiera dell’uomo peccatore

L’attenzione alla preghiera dell’uomo peccatore, sullo sfondo del-


l’esperienza orante di Gesù, rappresenta un apporto specifico di CIo rispet-
to allo stesso discorso del trattato. Nel commentare il gesto di preghiera
di Gesù, che solleva gli occhi in alto, a chi obietta l’esempio del pubblica-
no che li abbassa e si batte il petto standosene a distanza, Origene distin-
gue le condizioni spirituali per la preghiera dell’uomo peccatore da quella
del giusto o santo:
«Qualcuno ci obietterà forse l’esempio del pubblicano che non ardiva neppure
alzare gli occhi e si batteva il petto dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore! (Lc
18, 13). Occorre rispondergli che non da tutti e non sempre si deve assumere
quella tristezza secondo Dio che genera ravvedimento per la salvezza e di cui
non ci si pente (cfr. 2Cor 7, 9), ma soltanto da chiunque commette cose merite-
voli di tale tristezza e se ne pente. E del resto, questa tristezza va assunta con mi-
––––––––––––––––––
887 CIo XXVIII, 7, 54. 55-56 (397, 15-398, 5 [tr. Corsini, 698-699]).
888 CMtS 139 (288, 6-12): «Si chiamano poi sepolcri i corpi delle anime peccatrici,
ossia di quelle che sono morte a Dio. Ma quando, per opera della grazia di Dio, tali anime
saranno risuscitate alla fede, i loro corpi che prima erano sepolcri di anime morte, diven-
gono corpi di anime sante, e sembrano uscire da se stessi, nel momento in cui cessano di
essere sepolcri di anime morte e cominciano ad essere corpi di anime sante» (tr. Scogna-
miglio, 283).
«Come incenso al tuo cospetto» 299
sura e senza eccessi, per non esser di nuovo assorbiti da Satana a causa dell’ec-
cessiva tristezza. Analogamente, non a tutti si addice neppure alzare gli occhi o
fermarsi a distanza. In queste cose, ciascuno esamini se stesso e poi non soltanto
mangi di questo pane e beva di questo calice (cfr. 1Cor 11, 28), ma anche levi
gli occhi e li rivolga verso l’alto nella preghiera e parli sottomettendosi a Dio e
umiliandosi davanti a lui»889 .
L’esempio del pubblicano non viene mai rievocato in Orat, mentre
l’Alessandrino si richiamerà ancora ad esso in altre occasioni, come nelle
Omelie sui Salmi o nel Commento a Matteo, ampliandovi in parte la sua
riflessione con un occhio maggiormente rivolto alle conseguenze eccle-
siali890. Tuttavia, già qui egli fa emergere una preoccupazione che riba-
dirà anche successivamente: l’esemplarità del gesto di mortificazione del
pubblicano deve essere assunta con moderazione e discernimento, per evi-
tare di cadere vittima di una «tristezza» che non è più «secondo Dio».
L’accenno alla «tristezza secondo Dio» – ricalcato evidentemente sul mo-
dello paolino di 2Cor 7, 9-10 – è accompagnato dall’invito al discerni-
mento spirituale, sempre ispirato dall’Apostolo con la sua raccomanda-
zione di 1Cor 11, 28891 . Da entrambi i luoghi paolini, dunque, Origene
trae un criterio dinamico, che non confina – per così dire – staticamente il
peccatore nella sua condizione di colpevole e lo trattiene nella sua indivi-
dualità isolata, ma lo porta invece ad aprirsi fiduciosamente al rapporto
con il Dio che perdona e all’inserzione nella comunità ecclesiale che è il
suo tempio vivente, come si vede dall’invito successivo ad alzare gli occhi
a Lui, umiliandosi892 . All’Alessandrino sembra stare a cuore che, da un
––––––––––––––––––
889 CIo XXVIII, 4, 26-27 (tr. Corsini, 692). Anche Tertulliano rammenta l’esempio
del pubblicano, per inculcare modestia e umiltà nella preghiera, invitando a contenere lo
stesso gesto delle mani levate: «ne ipsis quidem manibus sublimius elatis, sed temperate
ac probe elatis, ne vultu quidem in audacia erecto» (De orat 17, 1 [1-4]).
890 L’esemplarità del gesto di preghiera del pubblicano è ribadita da H37Ps I , 5
(280, 25): «Si vero vis etiam per exempla cognoscere quomodo peccatis suis unusquisque
curvetur, ita ut suspicere non possit nec in caelum elevare oculos suos: intuere illum publi-
canum». Invece in CRm III, 9, la parabola è usata unicamente per fondare la giustificazio-
ne per fede, senza accennare alla preghiera. Anche Cipriano, De dom. or. 6 (nota 1773) si
rifà ad essa onde sottolineare lo statuto di preghiera esaudita per la sua umiltà e generaliz-
zare il paradigma, dato che «nessuno è innocente».
891 Il richiamo a 2Cor 7, 9-10 figura già in CIo X, 17, 101: «la carne dell’agnello
poi e gli azzimi noi li mangiamo con erbe amare, o perché, a causa delle conversioni dei
nostri peccati, noi ci rattristiamo di quella tristezza secondo Dio la quale genera in noi
quella conversione [che porta] a salvezza e di cui non ci si pente...» (tr. Corsini, 403). La
«tristezza secondo Dio», per l’Alessandrino, non può non dare frutti di gioia, come af-
ferma FrIer 70 (232, 20-22), mediante un collage di due luoghi paolini: tiv" gavr ejstin oJ
eujfraivnwn me eij mh; oJ lupouvmeno" ejx ejmou' … (2Cor 2, 2) hJ ga;r kata; qeo;n luvph metav-
noian ajmetamevlhton eij" swthrivan katergavzetai (2Cor 7, 10).
892 Anche in HIer XX, 9 (192, 10-13), la citazione di 2Cor 2, 7-8 è accompagnata
dall’invito all’esame di coscienza e alla preghiera: e{kasto" hJmw'n ejxetasavtw th;n suneiv-
300 Parte seconda, Capitolo settimo
lato, il peccatore non si autocolpevolizzi all’eccesso, e, dall’altro, non as-
suma a sua volta un atteggiamento penitenziale colui che non si trova nella
condizione di peccatore, il che sarebbe altrettanto fuori luogo893 .
Il punto di vista sembra essere dettato soprattutto dalla preoccupazio-
ne di un dinamismo spirituale, come si vede anche da un’ulteriore illustra-
zione della preghiera del peccatore. Origene l’estrapola, con un’argomen-
tazione rivelatrice della sua sensibilità sul tema, dal racconto di Susanna
e i vecchioni894 . Adoperando un’esegesi insieme creativa e arbitraria sul
testo biblico, suggerita in particolare dall’immagine degli «occhi», egli
affianca, in forma di dittico, alla preghiera della vittima quella, affatto ipo-
tetica ma auspicata, dei suoi insidiatori. Anche per loro, infatti, l’Alessan-
drino non esclude la possibilità del ravvedimento e la manifestazione di
preghiera adeguata all’ammissione delle colpe:
«Per darne una spiegazione ancora più chiara, citeremo da Daniele ciò che è detto
a proposito dei due vecchioni iniqui innamorati di Susanna: Depravarono la loro
mente, stravolsero i loro occhi, per non vedere il cielo e non ricordarsi dei giusti
giudizi (Dn 13, 9), e ciò che è detto a proposito di Susanna: Ella, piangendo, alzò
lo sguardo al cielo, perché il suo cuore era pieno di fiducia nel Signore (Dn 13,
35). Osserva qui come gli uni, dopo aver depravata la loro mente, stravolsero i
loro occhi, per non vedere il cielo, mentre l’altra, piena di fiducia nel Signore, in
virtù di questa sua fiducia alzò il suo sguardo verso il cielo. Alzare i suoi occhi
verso l’alto a guardare il cielo, quindi, bene si addiceva a lei che si accingeva a
pregare con la libertà piena di fiducia che le proveniva dalla [coscienza della sua]
continenza (e[prepen toivnun th/' me;n ejpi; th/' peri; th'" swfrosuvnh" parjrJhsiva/ mel-
louvsh/ eu[cesqai ajnablevpein eij" to;n oujrano;n kai; ai[rein tou;" ojfqalmou;"
a[nw). Quanto ai vecchioni, supponiamo che dopo aver depravata la loro mente e
stravolti i loro occhi per non vedere il cielo e non ricordarsi dei giusti giudizi, si
siano pentiti e, dopo aver tentato la donna senza raggiungere ciò che desiderava-
no, si siano messi a pregare; in tal caso, essi avrebbero dovuto non ardire neppure
––––––––––––––––––
dhsin eJautou', kai; ijdevtw tiv h{marten: o{ti dei' aujto;n kolasqh'nai. eujcevsqw tw/' qew'/ tou'to
to; pu'r to; ejn tw'/ ÔIeremiva/ h{kein ejp∆ aujtovn, ei\ta to; ejpi; Sivmwna kai; Kleovpan ejlhluqov",
i{na mh; thrhqh/' tw/' a[llw/ puriv.
893 CIo XXVIII, 4, 31: «Che anzi, chi avendo il dovere di alzare gli occhi non li alza,
pecca; così come pecca chi alza gli occhi senza che gli si addica» (tr. Corsini, 693). Ori-
gene adduce di seguito (32-33) un piccolo dossier di passi scritturistici sull’«alzare gli oc-
chi»: Gv 4, 35 («Levate i vostri occhi e guardate le campagne che già biancheggiano per
la mietitura»); Is 40, 26 («Levate i vostri occhi verso l’alto»); Sal 122(123), 1-2 («Ho al-
zato gli occhi miei a te che risiedi nel cielo. Ecco, come gli occhi dei servi sono rivolti
alle mani dei loro padroni, come gli occhi dell’ancella sono rivolti alle mani della sua pa-
drona, così gli occhi nostri sono rivolti al Signore, nostro Dio, fino a che si muova a pietà
di noi»). Origene era già intervenuto sul significato dell’espressione scritturistica «alzare
gli occhi» in CIo XIII, 42, 274-278, affermando che nessuno di coloro che è legato alle
passioni della carne può levare gli occhi in alto.
894 La preghiera di Susanna in Dn 13, 42-43 ricorre anche in CGn III (cfr. supra,
nota 295).
«Come incenso al tuo cospetto» 301
alzare gli occhi, e fermarsi a distanza e battersi il petto e dire, a somiglianza del
pubblicano: O Dio, abbi pietà di me peccatore! (Lc 18, 13)»895.

La preghiera dell’uomo peccatore trova allora la propria giustificazio-


ne e misura quando si colloca in un rapporto dialettico con il modello della
preghiera del santo. Ed è comprensibile quindi che, chiarito l’atteggiamen-
to orante che si confà al peccatore, Origene torni a prospettare il paradig-
ma del giusto, la cui diversa condizione spirituale è resa manifesta anche
dal gesto delle mani levate. L’Alessandrino ridisegna dunque conclusiva-
mente l’atto orante alla luce di due luoghi-chiave per la sua riflessione
eucologica come 1Tm 2, 8 e Sal 140(141), 2, e ne rievoca gli effetti, sempre
in un’ottica scritturistica, con l’esempio ben noto della preghiera vittoriosa
di Mosè durante la battaglia d’Israele contro gli Amaleciti (Es 17, 11)896 .
In conclusione, il Commento a Giovanni si rivela davvero più ricco
delle aspettative iniziali. Ai motivi che abbiamo messo in luce si potreb-
bero aggiungere altri spunti che riguardano la preghiera di Gesù (come i
fuggevoli cenni sull’orazione del Getsemani, in polemica con Eracleone e
altri)897, quella dei santi dell’Antica Alleanza in quanto intercessori (oltre
a ritrovare nuovamente Geremia in questo ruolo, vi compare anche Abra-
mo)898 , oppure la preghiera silenziosa come quella che è propria dei san-
ti899 . Sono integrazioni che però non modificano le linee di fondo di CIo,
come ho cercato di metterle in luce, e che concorreranno in seguito alla
––––––––––––––––––
895 CIo XXVIII, 5, 34-35 (394, 8-31 [tr. Corsini, 694]).
896 CIo XXVIII, 5, 36-37 (394, 31-395, 3): «A chi leva gli occhi verso l’alto e li in-
nalza verso il cielo come si addice, può darsi che si addica anche d’innalzare mani pure,
soprattutto quando manda verso l’alto la sua preghiera (ajnapevmpei th;n eujchvn) senza ira
né dissidi (cfr. 1Tm 2, 8). In tal modo, infatti, se i nostri occhi saranno rivolti verso l’alto
per mezzo dei pensieri e della contemplazione e le nostre mani innalzate per mezzo delle
azioni che elevano e sublimano l’anima (ejn pravxesin ejpairouvsai" kai; uJyouvsai" th;n
yuchvn), al modo cioè in cui innalzò le sue mani Mosè (tanto da poter dire [anche noi]:
L’elevazione delle mie mani [è come] un sacrificio della sera [Sal 140(141), 2]), gli Ama-
leciti e tutti i nemici invisibili saranno sconfitti e gli Israeliti che sono in noi, vale a dire i
pensieri santi, avranno il sopravvento» (tr. Corsini, 694-695).
897 In CIo XIII, 38, 249 Origene critica l’idea di Eracleone che «la volontà del Padre
sia nutrimento» o «riposo» per il Salvatore, obiettandogli Mt 26, 39 (tr. Corsini, 512-513).
In CIo XXXII, 23, 295, l’invito di Gesù a Giuda in Gv 13, 27 («Quello che fai fallo pre-
sto») attesta che «non aveva paura, come invece ritengono alcuni che non hanno com-
preso il significato di quelle parole: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!»
(tr. Corsini, 790).
898 CIo XIII, 58, 403-404. Circa l’intercessione di Geremia, cfr. supra, nota 563.
Quanto ad Abramo, padre di Israele, l’Alessandrino ne vede il tipo nel dignitario regio
che supplica Gesù per il figlio ammalato a Cafarnao (Gv 4, 46-53).
899 In CIo VI , 18, 101, Gv 1, 23 («Io sono voce di uno che grida nel deserto: Appia-
nate la via del Signore, come disse il profeta Isaia») spinge Origene a riflettere sulla «gran-
dezza della voce»; nel caso degli oranti, come Mosè, essa è da intendere in senso intelligi-
bile (cfr. infra, nota 1471).
302 Parte seconda, Capitolo settimo
ricostruzione più organica del discorso origeniano sulla preghiera. Merita
solo di essere ancora notato l’approfondimento antropologico relativamen-
te al posto dello pneuma nella vita spirituale, che riguarda sia la persona
di Gesù sia i santi suoi imitatori. Lo spunto è offerto da Gv 13, 21 («Dette
queste cose, Gesù si turbò per opera dello spirito»), che Origene commen-
ta a partire da una considerazione di principio sul fattore «pneumatico»
nella vita dei santi per applicarla poi, a più forte ragione, alla vita di Cristo:
«Il santo [...] vive per lo spirito, che in lui presiede a tutte le funzioni del
vivere, a ogni azione, preghiera e inno rivolto a Dio; e quindi, qualunque
cosa faccia, la fa con lo spirito e se subisce una passione la subisce per lo
spirito. Se ciò vale per il santo, quanto più lo si dovrà dire per Gesù Cri-
sto, che dei santi è il capostipite!»900 . Ora, è fuori di dubbio che anche il
commento al quarto vangelo confermi a suo modo il paradigma della
«preghiera spirituale» tracciato da Orat sia quanto ai contenuti che per il
modo dell’orazione, ma questo passo mostra che le implicazioni pneuma-
tologiche del discorso origeniano non possono mai ignorare la compo-
nente antropologica, su cui s’innesta l’azione dello Spirito santo.

3.2.2. Commento al Cantico dei Cantici

Al dire di Gerolamo, Origene, che nei suoi altri commenti superava


tutti gli interpreti, nel commentare il Cantico dei Cantici avrebbe superato
se stesso901. Anche di questa grande impresa esegetica abbiamo purtroppo
testimonianze parziali e per di più principalmente nella traduzione latina
di Rufino (in quattro libri, rispetto ai dieci originari, cinque dei quali re-
datti ad Atene e il resto a Cesarea) 902 . La sua versione può essere riscon-
trata e integrata, sebbene solo in piccola parte, con i frammenti catenari
in greco903 . Inoltre disponiamo di due Omelie sul Cantico, tradotte da Ge-
rolamo, che coprono all’incirca la stessa porzione di testo del commenta-
rio latino (in HCt l’esegesi arriva fino a Ct 2, 14, in CCt fino a Ct 2, 15).
Alle incertezze sulla tradizione del testo si aggiungono quelle circa la da-
tazione e il rapporto di anteriorità o meno del commentario rispetto alle
omelie. Nautin colloca il primo intorno al 245 e le seconde fra 238 e 242;
per altri, CCt sarebbe da datare intorno al 240 e HCt al 245-246904.
––––––––––––––––––
900 CIo XXXII, 18, 224-225 (tr. Corsini, 778).
901 Il giudizio compare nella lettera a Damaso, premessa alla traduzione di HCt
(Origene. Il Cantico dei Cantici, 16, 2-3).
902 Cfr. Eusebio, HE VI, 32, 2, che colloca CCt sotto il regno di Gordiano III (238-
244).
903 Cfr. Barbàra, Origene. Commentario al Cantico dei Cantici. Sui problemi posti
dalla tradizione catenaria si veda Auwers.
904 Nautin, 380-384; 411. Circa la cronologia e gli aspetti letterari di CCt si veda
Perrone 2006, 70-81.
«Come incenso al tuo cospetto» 303
L’esegesi origeniana del Cantico, documento per eccellenza della
dottrina spirituale – se non della “mistica” tout court – dell’Alessandrino
(rammentando qui la discussione svolta a suo tempo per Orat), riveste
come tale, già solo in linea di principio, notevole importanza per il discor-
so origeniano sulla preghiera. Pur con i limiti imposti dallo stato attuale
del testo, è possibile ritrovare in CCt (affiancandovi per qualche aspetto
anche HCt) alcuni degli spunti più caratteristici della dottrina e della pras-
si eucologica dell’Alessandrino. Come risulterà dal nostro esame, anche
se non possiamo considerare la preghiera fra le tematiche dominanti del
commentario905 , essa ci appare comunque strettamente legata all’itinerario
di perfezione.

3.2.2.1. La preghiera per l’intelligenza spirituale: dall’autore al lettore

È del tutto conforme all’immagine più consueta il fatto che il motivo


attestato con maggiore frequenza in CCt sia costituito dalla preghiera per
l’intelligenza spirituale. Sia nella formulazione che nei contenuti, essa ri-
chiama abbastanza da vicino il quadro che abbiamo appena visto in CIo.
Fin dal Prologo incontriamo l’invocazione a Dio perché aiuti efficacemen-
te l’interprete a contrastare l’interpretazione carnale dell’amore celebrato
da Ct e a farne emergere tutta la sua ricchezza spirituale: si tratta di una
richiesta a Dio (Padre) che investe anche il Logos, come termine e/o inter-
mediario della preghiera, secondo un’ambiguità del testo latino che è le-
cito sciogliere solo tenendo presente il dato maggioritario in questo come
in altri scritti, cioè riconoscendovi l’attesa dal Padre del dono del Logos906 .
Più esplicita in tal senso è la preghiera che conclude la riflessione su
«eros» e «agape», premessa alla tappa successiva del Prologo (i tre libri
di Salomone), che d’altronde sembra voler sviluppare l’ordine degli argo-
menti scandendoli di volta in volta con un momento orante: Origene si
rivolge espressamente a Dio Padre, che è «amore» (1Gv 4, 7), e ne invoca
l’aiuto per il prosieguo dell’esegesi mediante quello stesso «amore» che è
da Lui, cioè per il tramite del Figlio907. Dei tre libri salomonici (Proverbi,
––––––––––––––––––
905 È sintomatico che Rickenmann, l’indagine più recente sulla spiritualità di CCt,
non dia spazio all’esperienza di preghiera.
906 CCt Prol. 2, 3 (63, 25-31): «Ne ergo et nos tale aliquid incurramus, ea quae a
veteribus bene et spiritaliter scripta sunt vitiose et carnaliter advertentes, tam corporis
quam animae nostrae palmas protendamus ad Deum, ut Dominus, qui dedit verbum evan-
gelizantibus virtute multa (Sal 67[68], 12), donet et nobis in virtute sua verbum quo pos-
simus, ex his quae scripta sunt, intellectum sanum et ad aedificationem pudicitiae aptum
vel nomini ipsi vel naturae amoris ostendere». Cfr. anche HIer I, 16 (nota 1279), dove ri-
corre lo stesso salmo.
907 CCt Prol. 2, 48 (74, 30–75, 2): «Nunc ergo iam ipsum Deum Patrem qui caritas
304 Parte seconda, Capitolo settimo
Ecclesiaste e Cantico), l’Alessandrino rileva quindi la necessità di una
interpretazione allegorico-simbolica già con Proverbi, inculcandone la ri-
chiesta di comprensione spirituale con una formulazione trinitaria: essa
ribadisce il Padre come il destinatario della domanda, mentre chiede di ri-
cevere la «Parola di sapienza» e la «Parola di scienza», cioè il Verbo, me-
diante l’azione dello Spirito santo908.
Riflessi di questo atteggiamento orante alimentano il riconoscimento,
riscontrabile ripetutamente nel corso del commentario, che l’interpretazio-
ne della parola ispirata avviene sempre grazie al «dono» o all’«aiuto» di
Dio 909 ; oppure, in altri termini, che solo lo spirituale possiede la cono-
scenza delle realtà mistiche, in forza appunto del dono dello Spirito910.
Ma Origene non si limita a ciò e, in parte innovando rispetto allo stesso
modello di CIo, arriva ad introdurre appelli ai lettori simili alle esortazioni
alla preghiera ad opera dell’uditorio, che accompagnano di sovente l’ese-
gesi nelle omelie (come vediamo, ad esempio, anche in apertura dell’Ome-
lia I sul Cantico)911 . Se a volte abbiamo ancora a che fare con esortazioni
––––––––––––––––––
est (1Gv 4, 7), invocantes per eam quae ex ipso est, caritatem, etiam ad reliqua discu-
tienda veniamus».
908 CCt Prol. 3, 12 (77, 17-23): «Quae, si quis est qui in lege Domini meditetur die
ac nocte (Sal 1, 2) et si quis est sicut os iusti quod meditatur sapientiam (Sal 36[37], 30),
investigare diligentius poterit et invenire, si tamen recte quaesierit, et quaerens pulsaverit
ostium sapientiae, petens a Deo ut aperiatur ei (cfr. Col 4, 3) et mereatur accipere per
Spiritum sanctum verbum sapientiae et verbum scientiae fierique particeps illius Sapien-
tiae quae dicebat: Extendebam enim verba mea et non audiebatis (Pr 1, 24)». Il passo con-
tiene un’allusione a 1Cor 12, 8 («verbum sapientiae et verbum scientiae»), come si vede
anche dal parallelo di Orat XXV, 2 (supra, nota 656).
909 Cfr. CCt Prol. 2, 19 (67, 28-68, 3), dove l’Alessandrino preannuncia la futura
esegesi del testo: «in hac praecipue scriptura quae habetur in manibus nominatur, sicut
Domino praestante plenius ostendemus, cum verba ipsius libelli explanare coeperimus»;
mentre in CCt Prol. 4, 7 (81, 13-14), si riferisce all’interpretazione già data commentando
Nm: «Sed de his plenius in Numerorum libro, secundum quod dedit nobis Dominus, dic-
tum est». Si veda anche CCt I , 2, 5 (93, 22-23): «De quo plenius in libro Levitici, prout
Dominus dare dignatus est, exposuimus». In questo spirito Origene avvia l’esegesi da Ct
1, 1 in CCt Prol. 4, 30 (87, 2-5): «Nunc iam Domino nostro nos aiudvante ipsius operis
adoriamur exordia; et tamen ne illud quidem remaneat nobis omissum, quod quibusdam
requirendum visum est adhuc de ipsa attitulatione». Cfr. ancora CCt II, 8, 31 (163, 18-19):
«Sed de his plenius, prout Dominus dedit, in Numerorum libro prosecuti sumus».
910 Secondo CCt III, 8, 3 (192, 9-14), la spiegazione della «ferita d’amore» in Ct 2,
5 richiede la scienza divinamente ispirata di Salomone: «Sed ex his ut exsequi possimus
intelligentiam spiritalem, indigemus illa gratia quam consequi a Deo meruit ipse Salomon,
scire omnium quae sunt radicumque et arborum et virgultorum naturas (Sap 7, 20), ut
sciamus et nos quae vis et quae natura sit arboris amoyrae, quo competenter ex hac spirita-
lis aptari possit expositio». Anche per CCt III, 13, 3 (207, 9-11), l’interpretazione simbolica
di alcuni animali è riservata allo spirituale: «Quorum ratio his quibus abundantior gratia
spiritalis in dono scientiae concessa est per Spiritum sanctum manifesta et evidens fiet».
911 HCt I, 1 (20, 38-22, 40): «Quod ex quot personis constet, incertus sum. Oranti-
bus autem vobis et revelante Deo, quattuor in his mihi videor invenire personas».
«Come incenso al tuo cospetto» 305
generiche ai destinatari del commento – perché non fraintendano in senso
carnale e terreno il significato del Cantico912 –, in seguito nel «noi» del-
l’esegeta che prega o invita a farlo, è lecito intravedere potenzialmente
anche i lettori, vuoi come futuri fruitori del commentario vuoi anche come
idealmente compartecipi del momento orante. L’autore li associa ai propri
sforzi di svelare i contenuti nascosti del libro biblico sostenendolo con
una comune richiesta a Dio, affinché illumini sul senso profondo della
Parola. Si istituisce allora, per così dire, un rapporto triangolare fra l’auto-
re, i lettori e il (i) referente (i) divino (i), che è ben illustrato dal primo
esempio. Questo prelude alla spiegazione dei termini «oro» e «argento»
in Ct 1, 11-12a («Somiglianze di oro faremo per te con ricami d’argento,
finché il re sta nel suo letto»):
«supplichiamo il Padre del Verbo onnipotente e dello Sposo perché ci apra lui
stesso il recinto di questo segreto, affinché possiamo non solo essere illuminati
per intendere ciò, ma anche ricevere la guida dell’eloquio spirituale per manife-
stare ciò a misura di coloro che lo leggeranno»913 .

Nella sua articolazione più ampia, il referente divino, oggetto della


supplica per l’intelligenza spirituale, è triadico, nel senso che insieme al
Padre e al Verbo include anche lo Spirito914 . Ora, se è vero che forse CCt
lascia scorgere una maggiore presenza dello Spirito, accanto alla più co-
mune diade Padre – Verbo, ciò non significa che la saltuaria formulazione
trinitaria sia da mettere sul conto di Rufino. Ne abbiamo visto altre illu-
strazioni in precedenza, che sono anch’esse connotate da una certa discon-
tinuità rispetto allo schema più comune del rapporto a due: Padre e Figlio
(o Verbo).

––––––––––––––––––
912 È il caso, ad esempio, di CCt I, 4, 16 (105, 2-5): «Unde et in his positi locis de-
precamur auditores horum ut mortificent carnales sensus, ne quid ex his quae dicuntur se-
cundum corporis motus excipiant, sed illos diviniores interioris hominis (cfr. Rm 7, 22) ad
haec capienda sensus adhibeant».
913 CCt II, 8, 13 (159, 13-18): «Sed quid in his secreti contineatur et quid elocutio-
nis novitas ipsa parturiat, omnipotentis Verbi ac sponsi Patrem precemur ut ipse nobis ar-
cani huius claustra patefaciat, quo possimus non solum ad intelligenda haec illuminari,
verum et ad proferenda ac secundum mensuram eorum qui lecturi sunt, moderationem
eloquii spiritalis accipere».
914 Cfr. CCt III, 13, 8 (207, 30–208, 5): «Quae ob hoc assumpsimus, ut loquamur
non in doctrina humanae sapientiae, sed in doctrina Spiritus, spiritalibus spiritalia com-
parantes (1Cor 2, 13). Et ideo invocemus Deum Patrem Verbi, quo nobis Verbi sui mani-
festet arcana sensumque nostrum removeat a doctrina humanae sapientiae et exaltet atque
elevet ad doctrinam Spiritus, ut non ea quae sentit carnalis auditus, sed ea quae continent
voluntas sancti Spiritus, proloquamur».
306 Parte seconda, Capitolo settimo
3.2.2.2. Sponsa orans

L’implicazione orante dei lettori risulta iscritta, per così dire, nel
codice ermeneutico di questo commento che – com’è noto – identifica
simbolicamente il personaggio della Sposa di Ct rispettivamente nella Ec-
clesia o nell’anima, in dialogo con lo Sposo-Cristo. Sotto l’uno o l’altro
profilo simbolico è lecito insomma aspettarsi implicazioni di qualche inte-
resse per il discorso e l’esperienza di preghiera. E infatti proprio da CCt
ci viene l’«icona» forse più pregnante e incisiva di una persona in atto di
pregare in tutta l’opera di Origene, dal momento che l’Alessandrino inter-
preta le parole iniziali di Ct 1, 2 («Mi baci con i baci della sua bocca»)
come l’espressione di una preghiera ardente di pathos spirituale rivolta al
Padre dello Sposo, affinché questi venga al più presto.
«Osserviamola, dunque, mentre solleva mani sante senza ira e senza contesa
(1Tm 2, 8), adorna degli ornamenti più degni dei quali è solita adornarsi una
nobile sposa, e mentre brucia in verità per la brama dello sposo, turbata intima-
mente dalla ferita d’amore, innalzare a Dio... la preghiera dicendo del proprio
sposo: Mi baci con i baci della sua bocca»915 .

Origene, sfruttando le risorse di quella “esegesi drammatica” che sa


maneggiare a meraviglia, conferisce un’inconsueta plasticità alla descri-
zione dell’atto orante, senza farsi scrupolo di creare stavolta qualche ten-
sione con il suo approccio più abituale, normalmente depotenziato pro-
prio di quella carica sentimentale ed emotiva da cui invece il personaggio
della sposa è investito con forza, sotto l’urgenza della «ferita d’amo-
re»916 . Se infatti l’Alessandrino interpreta sorprendentemente lo sfogo
amoroso della donna impaziente come una supplica al padre dello sposo,
onde ne affretti la venuta, è difficile negare la frizione che nasce con l’at-
tribuire a questa stessa donna l’atteggiamento raccomandato nel passo più
volte sfruttato di 1Tm 2, 8-9. A parte l’apparenza matronale della sposa –
che richiama alla mente la raffigurazione dell’Orante nella pittura cata-
combale –, le sue disposizioni interiori sembrano lontane da quelle incul-
cate solitamente da Origene alla luce del passo paolino, come vediamo
––––––––––––––––––
915 L’interpretazione sul piano della historica explanatio comincia con CCt I , 1, 3
(89, 18-20): «Quae, quoniam differri amorem suum nec adipisci se posset quod desiderat,
videt, convertat se ad orationem et supplicet Deo, sciens eum Patrem esse sponsi sui».
Essa prosegue, sempre allo stesso livello, in CCt I, 1, 4 (89, 20–90, 2): «Consideremus
ergo eam levantem sanctas manus sine ira et disceptatione in habitu ordinato cum vere-
cundia et sobrietate (1Tm 2, 8-9), ornatam dignissimis ornamentis quibus ornari decet no-
bilem sponsam, aestuantem vero desiderio sponsi et interno vulnere amoris agitatam, ora-
tionem, ut diximus, fundere ad Deum et dicere de sponso suo: Osculetur me ab osculis oris
sui (Ct 1, 2)».
916 Cfr. Crouzel 1970.
«Come incenso al tuo cospetto» 307
dall’interpretazione che ne offre in Orat IX, 1, suggerendo un esercizio
spirituale di anacoresi 917 .
L’interpretazione letterale così impostata condiziona anche i due li-
velli dell’interpretazione simbolica che, con la dialettica tipica di questo
commentario, ripropongono ciascuno il momento orante risentendo l’in-
tensità drammatica della scena iniziale. Al primo di essi, la Chiesa tramite
una prosopopea supplica il Padre affinché provi finalmente compassione
per il suo amore verso lo Sposo-Cristo e questi venga direttamente senza
più bisogno di angeli e profeti come intermediari918 . Al secondo livello, è
l’anima a supplicare Dio per la venuta e l’illuminazione del Verbo919 . In
entrambi i casi l’oggetto della preghiera concerne il dono del Logos divi-
no, tocca cioè il cuore stesso dell’esperienza orante dell’Alessandrino,
peraltro strettamente compenetrata con il suo lavoro esegetico. In questo
senso, anche la preghiera della sposa del Cantico diviene paradigmatica
e, con uno dei suoi appelli ai lettori che ricordavo in precedenza, Origene
invita a fare proprie le parole di Ct 1, 2, specie quando la ricerca di sensi
divini non dà risultato e il desiderio rimane frustrato. È allora, infatti, che
ci si deve rivolgere a Dio, con lo stesso atteggiamento di preghiera della
sposa, per chiedergli la visita in noi della sua Parola, con quei «baci» che
per Origene sono le intellezioni del mistero 920 .
L’esemplarità della sponsa orans è rafforzata anche sotto un altro
profilo fondamentale: la sua supplica è accolta nell’atto stesso che viene
formulata, come l’Alessandrino chiarisce spiegando Ct 1, 2-3 («perché le
––––––––––––––––––
917 Cfr. supra, p. 163 e nota 498.
918 CCt I, 1, 7 (90, 20-27): «Sed quoniam saeculum iam paene finitum est et ipsius
quidem praesentia non datur mihi, solos autem ministros eius video adscendentes et de-
scendentes ad me, propter hoc ad te Patrem sponsi mei precem fundo et obsecro, ut tan-
dem miseratus amorem meum mittas eum, ut iam non mihi per ministros suos angelos
dumtaxat et prophetas loquatur, sed ipse per semet ipsum veniat et osculetur me ab oscu-
lis oris sui, verba scilicet in os meum sui oris infundat, ipsum audiam loquentem, ipsum
videam docentem».
919 CCt I, 1, 10 (91, 12-18): «Sed quoniam in his non est ei plena et perfecta deside-
rii sui et amoris expletio, deprecetur ut mens eius pura et virginalis ipsius Verbi Dei illumi-
nationibus ac visitationibus illustretur. Cum enim nullo hominis vel angeli ministerio di-
vinis sensibus et intellectibus mens repletur, tunc oscula ipsius Verbi Dei suscepisse se
credat. Propter haec ergo et huiusmodi oscula dicat anima orans ad Deum: Osculetur me
ab osculis oris sui».
920 CCt I, 1, 14 (92, 5-11): «Quotiens ergo in corde nostro aliquid quod de divinis
dogmatibus et sensibus quaeritur, absque monitoribus invenimus, totiens oscula nobis
data esse ab sponso Dei Verbi credamus. Ubi vero quaerentes aliquid de divinis sensibus
invenire non possumus, tunc affectu orationis huius assumpto petamus a Deo visitationem
Verbi eius, et dicamus: Osculetur me ab osculis oris sui». Cfr. FrCt 2 (152): ÔOsavki" dev ti
zhtou'nte" qei'on dovgma katalambavnomen, katapefilh'sqai ajpo; tou' stovmato" tou' num-
fivou nomivswmen: ejn o{sw/ de; ajporou'men, uJpolavbwmen eujcovmenoi levgein tov: Filhsavtw
me ajpo; filhmavtwn stovmato" aujtou'.
308 Parte seconda, Capitolo settimo
tue mammelle sono deliziose più del vino e l’odore dei tuoi profumi supe-
ra tutti gli aromi»). Non è esattamente la stessa condizione di Gesù orante,
quando prega davanti al sepolcro di Lazzaro, essendo egli esaudito ancor
prima di rivolgere al Padre la sua domanda, sicché essa si trasforma in
ringraziamento (secondo la spiegazione che abbiamo visto in CIo). Tut-
tavia, agli occhi di Origene la preghiera della sposa rappresenta il gradino
più prossimo all’orazione di Gesù. L’immediatezza della risposta divina
alla sua domanda ne dà testimonianza, mentre l’esaudimento è la prova
che le condizioni dell’orante rispecchiano appieno i requisiti morali e spi-
rituali per trovare ascolto in Dio921. Anche nel caso della sponsa, dunque,
le parole della supplica si trasformano nel linguaggio della lode e glorifi-
cazione del Verbo, senza prolungare oltre la richiesta.
Nell’interpretazione origeniana della figura della sponsa orans no-
tiamo ancora un ulteriore riferimento scritturistico che mette a fuoco le
modalità della sua preghiera, secondo un paradigma ben noto: Origene as-
socia la «camera» di Ct 1, 4 («Il re mi ha fatto entrare nella sua camera»)
alla «cameretta» di Mt 6, 6, che è poi lo stesso vocabolo in greco (tami-
ei'on). Ritorna così lo scenario dell’atto orante che ci è già familiare dal
trattato sulla preghiera. Come in Orat, il cubiculum nel quale Gesù sol-
lecita ad entrare secondo il passo matteano è l’interiorità raccolta della
propria anima, dove sono radunati tutti i tesori delle virtù. Da questa sgor-
ga la preghiera al Padre, che accoglie le sue richieste, perché «a chi ha,
sarà dato» (Mt 25, 29). La visita di Dio nell’anima, che si compie nel col-
loquio interiore con il Padre e con il Figlio, è possibile solo se quest’ani-
ma si presenta adorna delle perfezioni delle virtù922 .
In tal modo il binomio preghiera – opere tende ad acquistare un certo
rilievo in CCt non tanto come la forma nella quale è unicamente possibile
assicurare la preghiera ininterrotta oppure conferire un’autenticità di vita
––––––––––––––––––
921 CCt I, 2, 1-2 (92, 15-27): «Intellige prius quasi in historiae dramate sponsam
elevatis ad Deum manibus orationem fudisse ad Patrem, et orasse ut iam veniret ad eam
sponsus et ipse eam osculis proprii oris infunderet. Dumque haec orat ad Patrem, in ipsa
oratione qua dixit: Osculetur me ab osculis oris sui, parat etiam alia orationis verba subiun-
gere ac dicere quia in hoc principio sermonis affuisse sponsus et oranti ei adstitisse ac re-
velasse ubera sua. [...] Sponsa vero, ubi adesse vidit eum pro quo orabat ut adesset, et
adhuc loquenti (cfr. Is 58, 9) sibi praestitum quod orabat, ac data sibi ab ipso oscula quae
poposcerat, laeta pro hoc reddita, et decore uberum ac fraglantiae ipsius odore permota,
propositae orationis sermonem convertit ad praesentiam sponsi qui aderat».
922 CCt I, 5, 10 (110, 14-20): «sicut rex habet cubiculum quoddam in quod reginam
sive sponsam suam introducit, ita habet et sponsa suum cubiculum, in quod monetur per
Verbum Dei ingressa claudere ostium et ita conclusis illis omnibus divitiis suis intra illud
cubiculum orare Patrem qui videt in abscondito (Mt 6, 6) et perspicit quantas opes, animi
scilicet virtutes, intra cubiculum suum sponsa condiderit, ut videns eius divitias det ei pe-
titiones suas; Omni enim habenti dabitur (cfr. Mt 25, 29)». Cfr. Orat XX, 2 e supra, note
488, 552.
«Come incenso al tuo cospetto» 309
alle manifestazioni oranti (secondo l’indicazione offerta in Orat e altro-
ve), bensì in primo luogo come garanzia di poter ricevere ascolto presso
Dio. Nel commentare la “nerezza” della sposa in Ct 1, 6a («Non guarda-
temi che sono annerita, perché il sole mi ha guardato di traverso»), Ori-
gene riflette sui diversi effetti del «Sole di giustizia» rispettivamente sul
popolo d’Israele e sul Faraone: mentre il primo è illuminato, il secondo è
indurito. Ma l’azione provvidenziale di Dio nei confronti degli Israeliti si
esercita in risposta a una «preghiera» congiunta alle «opere», come l’Ales-
sandrino ricava dal testo di Es 2, 23-24 («Dopo quei molti giorni, finì la
sua vita il re d’Egitto, e gemevano i figli d’Israele per i lavori [ajpo; tw'n
e[rgwn] e gridarono e salì il loro grido a Dio dai lavori [ajpo; tw'n e[rgwn]).
Ed esaudì Dio il loro gemito...»). Il grido d’Israele è accolto da Dio, per-
ché esso nasce «dalle opere», cioè dall’impegno per una condotta vir-
tuosa, e non «dalle attività terrene» 923 .
La sponsa orans si prolunga simbolicamente attraverso altre personi-
ficazioni nel corso del commento. Una di queste è la regina di Saba – per
Origene, tipo della Chiesa delle genti o dell’anima convertita dal pagane-
simo –, che fa visita a Salomone-Cristo (1Re 10, 1-5) ed è introdotta da
lui nei suoi misteri. Di tale iniziazione fanno parte anche i «misteri delle
preghiere e delle suppliche», come l’Alessandrino chiarisce spiegando
l’ammirazione della regina per «gli olocausti che il re offriva nel tempio
del Signore» (1Re 10, 5)924 . Se l’equivalenza simbolica fra «sacrificio» e
«preghiera» ci è ben nota dai restanti scritti di Origene (e in modo speciale
dalle Omelie su Levitico), in CCt notiamo l’accentuazione sulla retta dot-
trina e prassi di preghiera che la sponsa, Chiesa o anima, apprende in Cri-
sto, com’è testimoniato dal nuovo richiamo al discorso matteano su pre-
ghiera e opere (Mt 6, 1.4)925 . In risposta all’ammaestramento di Cristo, la
––––––––––––––––––
923 CCt II, 2, 19 (129, 3-11): «Haec autem quod ita se habeant et non communem, ut
videtur hominibus, historiam famulus Dei per Spiritum sanctum scribat, ostenditur etiam
inde, quod, ubi refert ingemuisse filios Istrahel (Es 2, 23), non dicit a luto neque a latere
neque a paleis (cfr. Es 5, 7) ingemuisse eos, sed ab operibus inquit suis (cfr. Es 2, 24). Et
rursus, Et adscendit, inquit, clamor eorum ad Deum; non dixit: a luto et latere, sed iterum:
ab operibus suis. Propter quod et subiungit quia: Exaudivit Dominus gemitum ipsorum
(Es 2, 24), cum utique non exaudiat eorum gemitum, qui non ex operibus suis clamant ad
Dominum». Cfr. Phil 27, 13: ”Oti de; toiau'tav ejstin ejn toi'" kata; to;n tovpon, kai; oujc iJsto-
rivan yilh;n provkeitai ajnagravfein tw/' qeravponti, dh'lon e[stai tw/' sunorw'nti o{ti, hJnivka
katestevnaxan oiJ uiJoi; ∆Israhvl, ou[te ajpo; th'" plinqeiva" ou[te ajpo; tou' phlou' ou[te ajpo;
tw'n ajcuvrwn katestevnaxan, ajll∆ ajpo; tw'n e[rgwn: kai; ajnevbh aujtw'n hJ boh; pro;" Qeovn,
oujk ajpo; phlou', ajlla; pavlin ajpo; tw'n e[rgwn. Dio; kai; eijshvkousen oJ Qeo;" tw'n stenagmw'n
aujtw'n: oujk eijsakouvwn stenagmou' tw'n oujk ajpo; e[rgwn bowvntwn pro;" aujtovn, ajll∆ ajpo;
phlou' kai; tw'n ghivnwn pravxewn (= Barbàra, 296-298).
924 CCt II, 1, 33 (120, 18-19): «Vidit et holocausta eius (1Re 10, 5), orationum sine
dubio supplicationumque mysteria».
925 CCt II, 1, 40 (122, 5-10): «Offert etiam suavitates odoramentorum, quales et
quantae numquam venerant (1Re 10, 10). Vel orationes in hoc vel opera misericordiae in-
310 Parte seconda, Capitolo settimo
sponsa offre le «delizie dei profumi» (suavitates odoramentorum), quali
mai si erano date in precedenza; offre cioè la novità della preghiera e della
condotta virtuosa (secondo l’altra equivalenza simbolica ormai conosciuta
con «incenso» o «profumo»). Di tale condizione della sponsa orans-
Chiesa iniziano a partecipare i catecumeni, allorché «invocano il nome del
Signore» (1Cor 1, 2): già solo con questa «invocazione», essi hanno in
sé la «delizia del profumo», pur non potendo ancora offrire i frutti della
fede926 . Chi invece attua pienamente la fede nella carità è la sponsa–
Chiesa dei santi defunti, i quali mossi dall’amore per gli uomini che vivo-
no nel mondo, intercedono presso Dio per la loro salvezza; o ancora –
come afferma un frammento catenario – «la sposa scongiura le anime dei
santi di intercedere per noi peccatori, finché Dio non ci abbia accolti»927 .
Nella tensione all’unione mistica della Chiesa o anima con il Logos,
che accompagna tutta l’esegesi origeniana del Cantico, non poteva dun-
que mancare uno spazio per l’esperienza orante, a partire da quella prima
invocazione della Sposa impaziente per i «baci» dello Sposo. Se le com-
pagne della Sposa – le anime «adolescenti», che sono ancora impegnate
sul cammino del perfezionamento spirituale – invocano a loro volta lo
––––––––––––––––––
tellige. Numquam enim vel tam recte oraverat ut nunc cum accessit ad Christum, vel tam
pie operata fuerat ut cum cognovit iustitiam suam non facere coram hominibus, sed coram
Patre qui videt in occulto et reddet palam (cfr. Mt 6, 1.4)».
926 CCt III, 8, 8 (193, 2-10): «Quid autem est quod in amoyris, infructuosis scilicet
arboribus, confirmari vult odore solo gaudentibus? Ego puto quod istos qui solo odore
gaudent et necdum fructus fidei afferunt, illos dicat quos Paulus ad Corinthios scribens
dicit: Qui invocant nomen Domini nostri Iesu Christi in omni loco ipsorum et nostrum
(1Cor 1, 2). Pro eo ergo quod invocant nomen Domini nostri Iesu Christi, habent in semet
ipsis odoris quandam ex ipsa invocatione nominis suavitatem; pro eo vero quod non cum
omni fiducia et libertate accedunt ad fidem, nullos fidei afferunt fructus». Origene com-
menta Ct 2, 5 («Sostenetemi agli alberi di amiro, appoggiatemi ai meli, poiché io sono feri-
ta d’amore») e in III, 8, 9 identifica le persone nei catecumeni. FrCt 21 dà una spiegazione
diversa, senza ricollegarsi al passo paolino: «o sono da intendere coloro che, pur essendo
buoni, sono estranei alla fede, o quelli che hanno, sì, la fede, ma non possono essere detti
membra della chiesa» (tr. Barbàra, 181). Sull’interpretazione di 1Cor 1, 2, cfr. HLc XVII,
11: «Memini, cum interpretarer illud, quod ad Corinthios scribitur: ecclesiae Dei, quae est
Corinthi, cum omnibus, qui invocant (1Cor 1, 2) eum, dixisse me diversitatem esse eccle-
siae et eorum, qui invocant nomen Domini». L’Alessandrino sembra riferirsi a Fr1Cor
1-2, dove troviamo la distinzione fra diversi gradi di appartenenza alla Chiesa, tendenzial-
mente dei «giusti» e dei «peccatori», senza tuttavia far cenno ai catecumeni. Cfr. anche
CMt XV, 6-9 (distinzione fra preghiera e imposizione delle mani).
927 CCt III, 7, 30 (191, 12-17): «Sed et omnes sancti qui de hac vita discesserunt,
habentes adhuc caritatem erga eos qui in hoc mundo sunt, si dicantur curam gerere salutis
eorum et iuvare eos precibus atque interventu suo apud Deum, non erit inconveniens.
Scriptum namque est in Machabaeorum libris ita: Hic est Hieremias propheta, qui semper
orat pro populo (2Mac 15, 14)». Cfr. supra, nota 563. La stessa idea è espressa da FrCt
75 (268, 8-9), a commento di Ct 8, 4 («Vi scongiurai, figlie di Gerusalemme, per le virtù e
le forze del campo: svegliate e risvegliate l’amore, finché egli verrà»): ÔOrkivzei ta;" tw'n
aJgivwn yuca;" presbeuvein uJpe;r tw'n aJmartwlw'n, e{w" a]n paralavbh/ hJma'" oJ qeov".
«Come incenso al tuo cospetto» 311
Sposo-Cristo per essere introdotte ugualmente nella camera nuziale e par-
tecipare anch’esse dell’intima unione con il Logos928, in un celebre passo
della I Omelia sul Cantico Origene stesso non ha taciuto la propria espe-
rienza personale di questo incontro e il desiderio che esso si rinnovasse:
«Poi la sposa volge lo sguardo verso lo sposo, che dopo essersi fatto vedere si è
allontanato. Più volte fa così lungo lo svolgimento del canto, e nessuno può ca-
pire questo modo di comportarsi se non l’abbia egli stesso sperimentato. Tante
volte – Dio mi è testimone – ho visto lo sposo avvicinarsi a me ed egli s’intratte-
neva con me a lungo; ma poi improvvisamente si allontanava e io non potevo
trovare ciò che cercavo. Desidero perciò che egli venga di nuovo, e talvolta egli
viene ancora e, dopo che è apparso e si è fatto prendere dalle mie mani, di nuovo
sfugge, e fa così di frequente, finché io possa tenerlo veramente e salire “appog-
giandomi al mio amato” (Ct 8, 5)»929.
Se è vero che in questo passo il desiderio non si traduce espressa-
mente in una preghiera, spiegando nel commentario l’immagine del «nar-
do» in Ct 1, 12b («Il mio nardo ha diffuso il suo odore» o «l’odore di lui»)
Origene ricorda che l’incontro con il Verbo di Dio si dà sì secondo la plu-
ralità dei suoi diversi «aspetti» (conformemente alla dottrina delle ejpivnoiai
del Logos) e nel segno dei «sensi spirituali», ma in relazione alle diverse
disposizioni interiori di colui che lo prega930. E in un frammento catenario
l’Alessandrino, riscrivendo in chiave più generale l’esperienza personale
confidata nella I Omelia sul Cantico, vede tutto il dinamismo del progresso
spirituale come sorretto ad ogni nuova tappa cui si è pervenuti dal ricorso
alla preghiera, per giungere a quella successiva:
«Continuamente l’anima ricerca lo Sposo, il Logos; ma anche quando l’ha trovato,
sentendo la mancanza di altre conoscenze, lo cerca di nuovo. E anche quando ha
visto quelle realtà, desidera che gliene vengano rivelate altre; e quando ha cono-
sciuto queste altre, prega che lo sposo passi ad altre ancora»931 .
––––––––––––––––––
928 In CCt I , 6, 1 (110, 20-24), Origene interpreta Ct 1, 4c («Esulteremo e gioiremo
in te») come una manifestazione di preghiera: «Quod autem ait: Exsultemus et iucunde-
mur in te, videtur ex persona adulescentarum dici vel optantium et precantium ab sponso,
ut, quemadmodum sponsa consecuta est quae perfecta sunt et exsultat, ita etiam ipsae
implere suum cursum et pervenire usque ad regis cubiculum mereantur».
929 HCt I, 7 (50, 22-31): «Deinde conspicit sponsum, qui conspectus abscedit. Et
frequenter hoc in toto carmine facit, quod, nisi quis ipse patiatur, non potest intellegere.
Saepe, Deus testis est, sponsum mihi adventare conspexi et mecum esse quam plurimum;
quo subito recedente, invenire non potui quod quaerebam. Rursum igitur desidero eius ad-
ventum et nonnunmquam iterum venit; et cum apparuerit meisque fuerit manibus compre-
hensus, rursus elabitur et, cum fuerit elapsus, a me rursus inquiritur et hoc crebro facit, do-
nec illum vere teneam et adscendam innixa super fratruelem meum» (tr. Simonetti, 51).
930 CCt II, 9, 14 (168, 2-5): «Haec autem omnia unum atque idem est Verbum Dei
quod, per haec singula affectibus orationis commutatum, nullum animae sensum gratiae
suae relinquat expertem».
931 FrCt 45 (226, 3-6), su Ct 5, 6d-e («L’ho cercato e non l’ho trovato, l’ho chia-
mato e non mi ha prestato ascolto»): Sunecw'" hJ yuch; to;n numfivon lovgon ejpizhtei': kai;
312 Parte seconda, Capitolo settimo
Così nei commenti al Cantico, l’anelito di perfezione, mosso dal-
l’amore per il Logos divino che sta al centro della riflessione origeniana,
si traduce nell’invocazione per l’aiuto di Dio in vista di sempre nuovi tra-
guardi d’intelligenza spirituale. Se questa è, in particolare, la condizione
dei «piccoli», che sono ancora in via di formazione come discepoli di Cri-
sto e perciò bisognosi in special modo di perfezionamento interiore, nep-
pure colui che è più avanti di loro nel cammino – come possiamo adesso
concludere dai vari spunti messi in luce – può sottrarsi ad una dimensio-
ne orante 932 .

3.2.3. Commento a Romani

Non diversamente da quel che avviene per l’ermeneutica scritturisti-


ca, Paolo è senza dubbio il testimone-chiave per il discorso origeniano
sulla preghiera. L’abbiamo constatato più volte, specialmente in Orat, ma
lo rileveremo anche in seguito dalla rassegna dei luoghi biblici che ispira-
no l’Alessandrino, la maggior parte dei quali sono tratti proprio dal corpus
Paulinum933 . Grande è dunque l’aspettativa che suscita il Commento alla
Lettera ai Romani, tanto più che lo scritto dell’Apostolo offre ad Origene
gli spunti principali a partire dai quali si è sforzato, nel trattato, di appro-
fondire il «problema della preghiera», quanto alle possibilità, ai modi e al-
l’oggetto, giungendo a formulare quel modello dell’«orazione spirituale»
che influisce largamente sul resto della sua riflessione. Purtroppo, l’inter-
rogativo critico che pesa sui commentari tràditi in versione latina, non
può non investire il Commento a Romani tradotto da Rufino, l’unico su-
perstite fra i vari tomi paolini dell’Alessandrino, anche perché la sua si-
tuazione appare ancor più problematica. Il traduttore, a quanto egli stesso
dichiara, non disponeva più dei 15 libri redatti originariamente in una
––––––––––––––––––
euJrou'sa, pavlin eJtevroi" ajporou'sa zhtei': kajkei'na qewrhvsasa poqei' th;n eJtevrwn ajpo-
kavluyin: kai; tucou'sa touvtwn, ejp∆ a[lloi" eu[cetai to;n numfivon ejpidhmei'n.
932 In FrCt 47, commentando Ct 5, 11b-12 («I suoi riccioli sono grappoli di palme,
neri come corvo, i suoi occhi come colombe presso le acque abbondanti, lavate nel latte,
posate presso le acque abbondanti»), Origene spiega così l’immagine del “corvo” riferita
allo Sposo: «Credo poi che l’espressione come corvo non sia semplicemente per il colore
ma sia simbolo delle realtà più profonde e gonfie di acqua tenebrosa in fitte nuvole. A
proposito di questo passo anche Giobbe ha detto: Chi ha preparato a un corvo il suo pa-
sto? I suoi nati grideranno verso il Signore. Infatti per coloro che hanno intelligenza più
profonda Dio ha preparato molto nutrimento; e i loro discepoli, i nati, dedicandosi alle
preghiere (cfr. 1Cor 7, 5), gridano verso il Signore vagando qua e là (cfr. Gb 38, 41) e
cercando il nutrimento che c’è nelle problematiche da loro sollevate (ÔHtoivmase ga;r toi'"
baqutevroi" to;n nou'n pollh;n trofh;n oJ qeov", w|n oiJ maqhtaiv, neossoiv, eujcai'" scolavzon-
te", pro;" kuvrion kekravgasin planwvmenoi kai; zhtou'nte" ta; ejn toi'" ejpaporoumevnoi"
uJp∆ aujtw'n si'ta)» (228, 10-12 [tr. Barbàra, 229]).
933 Si veda Cocchini e supra, pp. 59 ss.
«Come incenso al tuo cospetto» 313
data antecedente il Commento a Matteo e il Contro Celso, cioè qualche
anno prima del 248-249, ma ce ne fornisce 10, riassumendo il testo di Ori-
gene e servendosi – a quanto egli stesso dichiara – di altri suoi scritti per
le parti mancanti934. Né possono compensare la perdita dell’originale i
frammenti greci, pur significativi, che ci sono stati tramandati dalla Filo-
calia, dal papiro di Tura e dalla tradizione catenaria935, o il confronto con
le altre testimonianze residue dell’esegesi paolina dell’Alessandrino, spe-
cie nei commentari di Gerolamo936. Anche in questo caso, dunque, siamo
costretti a far valere come criterio indicativo di giudizio, dove non è pos-
sibile disporre dell’originale greco, la comparazione con l’insieme più
vasto della riflessione origeniana sulla preghiera.
In quest’ottica CRm si allinea tendenzialmente anch’esso all’imma-
gine che abbiamo potuto ricavare dal complesso di scritti esaminati fin qui.
D’altra parte, secondo una modalità non infrequente nelle opere già ana-
lizzate – di per sé indizio delle diverse sensibilità o delle nuove attenzioni
dell’interprete in relazione al testo che commenta di volta in volta –, anche
questo commentario propone spunti peculiari, ancorché non dissonanti con
il quadro generale, che allargano lo spettro delle riflessioni origeniane. Si
tratta, da un lato, della valorizzazione dell’Apostolo come paradigma di
orante, tema peraltro accennato anche in precedenza; dall’altro, di un ap-
profondimento del ruolo dello Spirito nell’atto della «preghiera spirituale».
L’aspetto pneumatologico dell’orazione si salda così con un’attenzione
rinnovata alla componente antropologica, dal momento che CRm medi-
ta ulteriormente sulle relazioni fra corpo, anima e pneuma nel composto
umano, anche alla luce della dottrina circa l’anima di Cristo quale inter-
mediaria fra divinità e umanità. Inoltre, a rafforzare la visione dell’antro-
pologia spirituale, concorre l’idea lungamente sviluppata in tutto il com-
mentario che la vita cristiana è guidata dalla «legge dello spirito» in antite-
si alla «legge della carne». Dato il tenore della lettera paolina, è compren-
sibile che tali tematiche attraggano principalmente lo sforzo esegetico di
Origene, benché non manchi un’importante precisazione cristologica, che
a prima vista sembra implicare la prospettiva paritaria di Padre e Figlio
come destinatari della preghiera, rimettendo così in discussione il paradig-
ma di Orat.
––––––––––––––––––
934 Su datazione e fisionomia letteraria, cfr. Cocchini 2000c. Nautin, 385-386 circo-
scrive l’ambito temporale di CRm fra 235 e 244. Un riesame approfondito della questione
ha condotto Bammel a respingere la tesi di Nautin sull’anteriorità di CRm rispetto agli altri
tomi paolini. Circa il profilo esegetico del commentario si veda Markschies 1999.
935 Per una presentazione aggiornata cfr. Beyer Moser, 6-13.
936 In proposito si veda Bammel. Oltre ai frammenti catenari di H1Cor (= Fr1Cor),
vanno segnalati, in particolare, quelli del commento alla Lettera agli Efesini (= FrEph),
edito da Gregg. L’insieme dei frr. è stato adesso riunito da Pieri (Origene. Esegesi pao-
lina: i testi frammentari).
314 Parte seconda, Capitolo settimo
3.2.3.1. La preghiera tra legge della carne e legge dello spirito

Con una certa sorpresa, salvo pochissime eccezioni (sempre che non
sia conseguenza della rielaborazione semplificatrice di Rufino), dobbiamo
registrare l’assenza di “esternazioni” oranti dell’autore, esplicite o impli-
cite, come ci avevano invece abituato i precedenti commentari. Ciò può
dipendere, fra l’altro, anche dall’assenza di prologhi, a parte la prefazione
iniziale, dove prevedibilmente non manca l’invocazione a Dio per l’intel-
ligenza della Parola:
«Perciò noi, elevando anzitutto la nostra preghiera a Dio che insegna all’uomo la
scienza (Sal 93[94], 10), che dà per mezzo dello Spirito la parola di sapienza
(1Cor 12, 8) e che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9), perché
si compiaccia di farci degni di comprendere le parabole e le espressioni oscure e
i detti dei sapienti e gli enigmi (cfr. Pr 1, 6), arriveremo così finalmente all’esor-
dio del commento alla lettera di Paolo ai Romani, premettendo ciò che gli studiosi
sono soliti osservare e cioè che l’apostolo in questa lettera sembra sia stato più
perfetto che nelle altre» 937 .
La preghiera nasce dal riconoscimento iniziale, condiviso anche da
Origene, che la Lettera ai Romani sia «più difficile a capirsi» delle altre
epistole paoline. Indirizzata come di consueto al Padre, l’invocazione insi-
nua uno schema trinitario, sia pure con il corredo di una citazione da 1Cor
12, 8, includendo quindi nelle aspettative dell’orante il dono del «Verbo»,
«nello Spirito», analogamente all’esempio che troviamo nel prologo di
CCt938 . Di notevole interesse è il fatto che questa supplica miri a «com-
prendere le parabole e le espressioni oscure e i detti dei sapienti e gli enig-
mi» nel testo dell’Apostolo. Il richiamo a Pr 1, 6, luogo scritturistico tra i
più importanti per l’interpretazione allegorica delle Scritture, manifesta
quale sia l’immagine dell’epistola che presiede all’esegesi dell’Alessan-
drino, sebbene il commento la riproponga con qualche discontinuità939.
Nondimeno l’equiparazione con l’oscurità degli scritti profetici trova più
––––––––––––––––––
937 CRm I, 1 Praef. (37, 9-15): «Propter quod deprecantes prius Deum, qui docet
hominem scientiam (Sal 93[94], 10) et qui dat per spiritum verbum sapientiae (1Cor 12,
8) quique illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Gv 1, 9), ut dignos nos
facere dignetur intelligere parabolas et obscuros sermones dictaque sapientium et aenig-
mata (Pr 1, 6), ita demum explanationis epistulae Pauli ad Romanos contingemus exor-
dium» (tr. Cocchini I , 5). Secondo Bammel, 502-503, l’intervento riassuntivo di Rufino si
farebbe sentire fin dal prologo.
938 Cfr. supra, note 906-908.
939 Pr 1, 6 viene citato in Prin IV, 2, 3 a riprova dell’oscurità delle profezie. Come
per gli scritti profetici (intendendo, in particolare, i Salmi), in CRm II, 8 (11) (141, 33-37)
Origene sottolinea la necessità dell’esegesi prosopologica: «Sicut ergo in scripturis pro-
pheticis vigilanter oportet intendere eum, qui vult intellegentiam eorum, quae scripta sunt,
capere, vel dicentium vel ad quos vel de quibus sermo fit personis, ita nunc in epistula ad
Romanos agendum mihi videtur».
«Come incenso al tuo cospetto» 315
di un riscontro in CRm, tanto da far dire ad Origene che «nelle lettere di
Paolo neppure una sillaba si debba ritenere priva di misteri»940 . Pur con le
molte difficoltà che pone al lettore e all’interprete, il messaggio della Let-
tera ai Romani è in realtà per l’Alessandrino frutto di una «prudente di-
spensazione» mirante a velare i contenuti più profondi del discorso sia per
rispetto del mistero che per preoccupazione pedagogica. Anche se l’esege-
ta si sforza di dipanare i fili a volte intricati dell’argomentazione paolina,
questo velo non viene rimosso del tutto o almeno lo è solo di volta in
volta. Servendosi di uno degli stilemi più caratteristici di CRm, Origene
l’ha spiegato mediante una similitudine, ripresa più volte come chiave di
lettura strutturale: in base ad essa, sotto la guida di Paolo, avviene al let-
tore e all’interprete di penetrare le stanze di un edificio, «come in un pa-
lazzo regale, che sia contrassegnato da numerose entrate e uscite», per cui
«si passa dall’una all’altra stanza, in modo tale che quasi non appaiono
tracce di segreti delle cose divine, senza tuttavia mai rivelarli in modo
chiaro ed esplicito» 941 . Questa consapevolezza del mistero che permane
la si può cogliere anche da un altro tratto che connota con una certa fre-
quenza CRm: il diverso rapporto fra interprete e lettori, che preannuncia
la situazione del Commento a Matteo, dove l’istanza del «lettore collabo-
rativo» troverà ulteriore spazio. Non di rado, infatti, Origene fa profes-
sione di modestia interpretativa e in molte occasioni si appella al giudizio
del lettore, anche con il proporgli più di una spiegazione sulla quale egli
dovrà quindi farsi la propria opinione942 .
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940 CRm V, 1 (tr. Cocchini I, 244). Anche riguardo al precetto di pagare le imposte
in Rm 13, 7-8, egli afferma in CRm IX, 30: «Io penso tuttavia che anche queste parole
Paolo le dica non senza i consueti misteri propri del suo modo di esprimersi» (tr. Cocchini
II , 128).
941 CRm VII, 16 (tr. Cocchini II, 12). L’interprete sembra, a sua volta, calarsi nella
situazione di... una visita guidata: «Perciò dunque anche noi, in tali situazioni, quasi fos-
simo situati in un palazzo regale, in punta di piedi vi passiamo attraverso, un po’ parlando
e di più facendo silenzio, divenuto per noi maestro e guida di tale cammino l’apostolo
Paolo stesso» (II, p. 13]). L’intento protettivo della strategia argomentativa dell’Apostolo
nei riguardi del mistero è dichiarato in CRm VI, 8: «far sì che quanto per ispirazione di-
vina gli autori proferiscono, non venisse messo a disposizione delle persone grossolane e
che presentano fede e zelo ancora insufficienti, e non fosse, per così dire, abbandonato ai
loro piedi così da dover essere calpestato, ma in base a ciò che abbiamo detto prima me-
diante quella similitudine, il mistero del re giungesse a poche persone e in modo piuttosto
nascosto» (I, pp. 330-331).
942 Si veda, ad esempio, CRm V, 8: «Ciò è quanto per ora ci è potuto venire in mente
sul passo in questione. Se poi qualcuno ha pensato qualcosa di meglio, non si dispiaccia
di accoglierlo dopo aver messo da parte quanto qui detto» (tr. Cocchini I , 283); CRm V, 9:
«Chi legge esamini quale spiegazione delle due sia confacente al pensiero dell’apostolo,
oppure se non lo siano né l’una né l’altra» ( I, p. 292); CRm VII, 5: «Giudichi il lettore
quale di questi sia più corrispondente al pensiero dell’apostolo» ( I, p. 376). Sull’istanza
del lettore nell’opera di Origene cfr. Perrone 2003a.
316 Parte seconda, Capitolo settimo
Ho insistito di proposito su tali caratteristiche onde poter meglio cir-
coscrivere le ragioni delle mancate esternazioni oranti. Indubbiamente la
“responsabilizzazione” del lettore alleggerisce in certo senso il compito
dell’esegeta, che può rischiare più liberamente, nella misura in cui riesce
a coinvolgere nell’interpretazione i destinatari del commento. A questi let-
tori Origene indirizza di tanto in tanto anche delle vibranti esortazioni che
ricordano gli appelli agli uditori nelle omelie e mettono l’accento sull’im-
pegno morale e sulle disposizioni spirituali per chi voglia accostarsi alla
Scrittura, senza tuttavia mai menzionare espressamente la preghiera943.
D’altra parte, neanche in CRm viene meno l’idea di fondo dell’Alessan-
drino, ribadita del resto fin dalla conclusione della prefazione, secondo
cui l’interpretazione delle Scritture dipende sempre dall’aiuto divino e
più specificamente dalla partecipazione allo Spirito che le ha ispirate944.
Ora, dove la difficoltà esegetica risulta più ardua, nasce da essa l’affidarsi
al dono dello Spirito, come in un passo del I libro per risolvere una quae-
stio suscitata dalle obiezioni marcionite945 , o in uno del V , dove Origene
“scagiona” l’Apostolo per un’affermazione di Rm 6, 9 («la morte non
avrà più potere su di lui»), che parrebbe mettere in dubbio il potere di
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943 Ne abbiamo una testimonianza sintomatica in CRm V, 8: «Camminiamo dunque
in novità di vita, mostrandoci ogni giorno nuovi a colui che ci risuscitò con Cristo, e per
così dire più belli, cercando in Cristo come in uno specchio la bellezza del nostro volto e,
contemplandovi la gloria del Signore, trasformiamoci nella sua stessa immagine, poiché
Cristo risorgendo dai morti dalle bassezze terrene è asceso alla gloria della maestà del Pa-
dre» (tr. Cocchini I, 285). Si veda anche CRm VII, 17: «Pertanto anche noi, se desideriamo
conoscere qualcosa dei segreti reconditi di Dio, se siamo uomini di desideri e non di con-
testazioni, ricerchiamo con fedeltà e umiltà i giudizi di Dio inseriti piuttosto velatamente
nelle divine Scritture. Infatti per questo anche il Signore diceva: Scrutate le Scritture (Gv
5, 39), sapendo che esse non si lasciano interpretare da coloro che, occupati in altre fac-
cende, di quando in quando ascoltano o leggono, ma da coloro che, con cuore onesto e
semplice, con ininterrotta fatica e con continue veglie, scrutano più a fondo le divine Scrit-
ture: ed io so bene di non essere tra questi» (II, 18).
944 In CRm V, 8, ad esempio, Origene lo dichiara retroattivamente per CIo: «La ve-
rità sulla natura del battesimo l’abbiamo espressa secondo le nostre forze – quelle che po-
terono venirci in aiuto, anzi, quelle che il Signore ci ha donato – quando commentavamo
il vangelo secondo Giovanni» (tr. Cocchini I, 279). Si veda anche la conclusione della
praefatio (41, 99-100): «Nunc iam prout viam nobis Dominus aperire dignatur, ad expla-
nationem ipsius properemus».
945 Si veda la spiegazione di Rm 1, 24-25 («Dio li ha consegnati secondo i desideri
perversi del loro cuore nella impurità così che disonorino in se stessi i loro corpi: essi che
hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito la creatura piut-
tosto che il creatore che è benedetto nei secoli») in CRm I , 21 (18) (87, 34-88, 40), che dà
luogo ad una formulazione orante: «Nos tamen, qui unum Deum bonum et iustum legis et
prophetarum et evangeliorum patrem Christi fatemur, eisdem explanationibus et in novo
et in veteri utimur testamento invocantes eum, qui posuit in Sion lapidem offensionis et
petram scandali, ut ipse nobis per sanctum Spiritum suum offensionem et scandalum lec-
tionis apostolicae, per quam dubiae mentes offendi videntur, aperiat» (tr. Cocchini I, 44).
«Come incenso al tuo cospetto» 317
Cristo a deporre e a riprendere la propria anima946; solo «per la potenza
dello Spirito» è possibile arrivare a scorgere il significato più profondo
delle parole di Paolo947 . O, come l’Alessandrino dichiara nel libro VIII,
«colui che scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio, lo Spirito santo,
conosce tutto e lo rende noto a chi egli abbia voluto rivelarlo»948 . Quanto
poi questo dono di grazia sia da ricollegarsi alla preghiera lo illustra bene
un passo del IX libro, in cui l’Alessandrino sostiene che «Paolo [...] non
solo ciò che egli stesso dice lo dice per mezzo della grazia, ma implora
che anche ai suoi ascoltatori venga data la grazia, e non solo la grazia ma
la moltitudine della grazia»949 .
Nonostante la scarsità di preghiere formulate, CRm lascia intrave-
dere il profilo dell’orazione nella lotta che impegna la vita del fedele fra
la «legge della carne» e la «legge dello spirito». Come in Orat, il destino
dell’anima, realtà intermedia fra corpo e spirito, è di divenire pienamen-
te spirituale, ma CRm illustra questo ideale di perfezione in primo luogo
alla luce dell’anima di Cristo. In essa, infatti, si attua perennemente quel-
la che è la meta dichiarata della preghiera secondo il trattato, cioè l’inabi-
tazione di Dio nella mente del santo: «nell’anima di Gesù, abitano sempre
il Verbo di Dio, che è il Figlio Unigenito, e il suo Spirito santo»950 . Come
Origene ha spiegato nel commentare il Padrenostro in Orat, se Dio che
passeggia nel paradiso indica simbolicamente la sua dimora tra i santi,
nessun uomo gli offre un’abitazione più accogliente e spaziosa di quella
che gli porge l’anima di Gesù951 . Riallacciandosi nuovamente a 1Cor 6, 17
(«chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito»), Origene vede
nell’anima di Cristo, divenuta «un solo spirito» con il Logos, l’immagine
del Figlio di Dio e il modello in cui lo spirituale è chiamato a rispecchiar-

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946 Cfr. CRm V, 10: «Ma anche noi, quando pensiamo a Paolo, non riteniamo possa
esistere qualcuno capace di superarlo nell’amore per Cristo: pertanto non è neppure pen-
sabile che egli abbia detto qualcosa a suo riguardo contrario a quanto è degno di lui. E per-
ciò scrutiamo più accuratamente con la grazia dello Spirito santo la parola di sapienza,
onde poter riconoscere il pensiero di Paolo, anzi, il pensiero di Cristo che si trova in lui»
(tr. Cocchini I, 295).
947 CRm V, 10: «Un altro, invece, che per la potenza dello Spirito scorgerà in que-
ste parole un pensiero di Paolo più profondo, dirà che qui la morte, di cui è detto che non
avrà più potere su Cristo, deve essere intesa proprio come quell’ultimo nemico che fu raf-
figurato in quel grosso pesce» (tr. Cocchini I, 296-297), cioè Satana.
948 CRm VIII, 11 (tr. Cocchini II, 76).
949 CRm IX, 2 (tr. Cocchini II , 98-99).
950 CRm III, 5 (8): «in anima Iesu, verbum Dei qui est unigenitus filius et sanctum
eius Spiritum semper habitare» (tr. Cocchini I , 157).
951 CRm III, 8: «Non troverai tra gli uomini nessun’anima tanto beata ed eccelsa, se
non quella sola in cui il Verbo di Dio ha trovato tanta larghezza e tanto spazio in modo
che si dica che anche lo Spirito santo non solo vi abita, ma pure distende le ali...» (tr. Coc-
chini I , 158).
318 Parte seconda, Capitolo settimo
si952. L’assimilazione con esso è possibile in forza dell’amore di Dio, che
è effuso nel cuore dei santi mediante lo Spirito, in risposta alla preghiera
di Gesù in Gv 17, 21: «Come tu Padre in me ed io in te, anche questi siano
una cosa sola in noi»953.
Commentando Rm 8, 35 («Chi dunque ci separerà dall’amore di Dio?
La tribolazione o l’angustia o la persecuzione o la fame o la nudità o il
pericolo o la spada?»), Origene ha dato espressione a questo ideale di per-
fezione spirituale in una forma che, pur non configurandosi in senso stret-
to come preghiera, tende però ad avvicinarsi alla confessio orante di un
Agostino, essendo tramata come in questi sulla ripresa e l’intreccio con il
testo sacro:
«Poiché dunque, egli [scil. Paolo] dice, per tutti questi benefici che abbiamo
conseguito stiamo ormai fissati e ben radicati nell’amore di Dio, chi ci potrà se-
parare da tale amore? Se verrà la tribolazione diremo a Dio: Nella tribolazione
mi hai dato spazio (Sal 4,2). Se ci sarà l’angustia del mondo, che deriva anche
dalle necessità del corpo, ricercheremo la vastità della sapienza e della scienza di
Dio, nella quale il mondo non ci può angustiare. Ritornerò infatti agli infiniti
campi delle divine Scritture: ricercherò il senso spirituale della parola di Dio dove
nessuna angustia mi opprimerà. Infatti me ne andrò galoppando attraverso gli im-
mensi spazi della comprensione mistica e spirituale. Se soffro la persecuzione e
confesso il mio Cristo davanti agli uomini, sono sicuro che anch’egli mi confes-
serà davanti al Padre suo che è nei cieli (cfr. Mt 10, 32). Se si presenta la fame,
non può turbarmi: io possiedo il pane di vita che discende dal cielo (cfr. Gv 6, 51)
e ristora le anime affamate; né tale pane può mai venire a mancare: esso è infatti
perfetto ed eterno. La nudità non mi fa arrossire giacché sono stato rivestito del Si-
gnore Gesù Cristo (cfr. Rm 13, 14) e spero di essere ulteriormente rivestito della
nostra abitazione celeste: Occorre infatti che ciò che è mortale si rivesta di im-
mortalità e ciò che è corruttibile di incorruttibilità (1Cor 15, 53). Non temerò il
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952 CRm VII, 7: «tuttavia bisogna dire che sua particolare ed esclusiva immagine,
che lo ha accolto totalmente e integralmente e in se stessa lo ha formato, è l’anima stessa
di Gesù, la quale si è talmente unita in tutto al Verbo e alla Sapienza di Dio, da non esser
ritenuta assolutamente in nulla alterata dalla somiglianza con lui; così che chiunque aspiri
al culmine della perfezione e della beatitudine, deve volgersi all’immagine e alla somi-
glianza di lui, a quella cioè che per prima e sopra tutti gli altri è immagine del Figlio di
Dio: così “che egli sia il primogenito fra molti fratelli”, fra coloro, evidentemente, sui qua-
li tiene il primato nella conformazione all’immagine del Figlio di Dio» (tr. Cocchini I,
387). Per l’interpretazione di 1Cor 6, 17 si veda anche CRm IV, 5: «una sola è quella so-
stanza di Dio che esiste per sempre; e se uno vi si è unito diventa un solo spirito con lui, e
a motivo di colui che esiste per sempre si dice che anche egli esiste» (I, p. 199).
953 CRm IV, 9 (345, 191-200): «Quod si et spiritus caritatis et filius caritatis et Deus
caritas invenitur, certum est quod ex uno paternae deitatis fonte et filius intellegendus est
et Spiritus sanctus ex cuius abundantia etiam sanctorum cordibus ad participationem ca-
piendam divinae naturae [...] abundantia caritatis infunditur, ut per istud sancti Spiritus
donum compleatur ille sermo quem Dominus dicit: sicut tu pater in me et ego in te et isti
in nobis unum sint (Gv 17, 21), divinae scilicet naturae participes effecti in abundantia ca-
ritatis per Sanctum Spiritum ministratae» (tr. Cocchini I, 223).
«Come incenso al tuo cospetto» 319
pericolo: Infatti il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore e il Signo-
re è difensore della mia vita, davanti a chi dovrò spaventarmi? (Sal 26[27], 1).
Una spada terrena non può farmi paura, ne avrò infatti con me una più forte, la
spada dello Spirito, che è la parola di Dio (Ef 6, 17) e con me c’è la parola di
Dio viva ed efficace che è più affilata di ogni spada a due tagli (Eb 4, 12)»954 .
Qui l’Alessandrino, per così dire, “prega con la Bibbia” in un’effusio-
ne meditativa, nell’abbandono fiducioso alla certezza che l’amore di Dio
non viene mai meno per colui che, come la sposa del Cantico, ha «ricevuto
da Cristo una ferita d’amore»955. Ma Paolo non ignora affatto la perdu-
rante fragilità umana, sempre esposta alla lotta contro «la legge secondo
la carne»; perciò invita a «perseverare nella preghiera» (Rm 12, 12)956 . E
nella navigazione «sui flutti di questo mondo» ricorda che occorre «im-
plorare incessantemente l’aiuto del Signore» per scampare agli agguati dei
«pirati», cioè le insidie demoniache957 . Dentro questo orizzonte agonico
Origene si serve del paradigma di Paolo come orante, per illuminare il
momento della preghiera nella lotta fra carne e spirito.
L’Apostolo è l’esempio dello «spirituale», come l’Alessandrino chia-
risce basandosi sulle sue stesse parole in Rm 1, 9 («Mi è testimone Dio,
a cui servo nel mio spirito, nel vangelo del Figlio suo») e osservando al
riguardo che «servire in spirito» è più grande che «adorare in spirito» (Gv
4, 23). Infatti, Paolo «serve» Dio con la sua parte migliore, che governa
anima e corpo 958 ; «pertanto l’Apostolo dà la preferenza dovunque allo spi-
rito e ripudia la carne o ciò che è della carne»959. Nonostante ciò, anche la
«sostanza della sua anima, così grande e insigne, che possiede l’intelligen-
za e la comprensione dei pensieri celesti e divini [...] è stata sottomessa
alla servitù di un corpo corruttibile e vincolata alla sua vanità»960 . Origene
rilegge allora la condizione personale di Paolo, oppresso nel corpo dal
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954 CRm VII, 11 (tr. Cocchini I, 397).
955 Ibidem (tr. Cocchini I , 398).
956 CRm IX, 11: «Costui sarà pure paziente nella tribolazione [...] se però mettiamo
in pratica quanto viene espresso nella frase che segue, ossia: Perseverando nella preghie-
ra. Infatti, per quella parte in cui la fragilità umana non è sufficiente, occorre implorare
con le preghiere l’aiuto di Dio» (tr. Cocchini II, 113).
957 CRm X, 5: «E dobbiamo perciò implorare incessantemente l’aiuto del Signore e
sperare che egli stesso ci strappi dal laccio dei cacciatori, affinché anche noi possiamo
dire: L’anima nostra come un passero è stata strappata dal laccio dei cacciatori: il laccio
è stato distrutto e noi siamo stati liberati. Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha
fatto il cielo e la terra (Sal 123[124], 7-8)» (tr. Cocchini II , 164).
958 CRm I, 12 (10) (69, 12-16): «Sed Paulus non solum adorat in spiritu, verum et
deservit in spiritu. Nam adorare quis potest et sine affectu; deservire vero eius est, quem
constringit affectus. Deservit ergo apostolus Deo non in corpore neque in anima sed in
meliore sui parte, id est in spiritu» (tr. Cocchini I , 30).
959 CRm I, 12 (10) (ibidem)
960 CRm VII, 4 (tr. Cocchini I , 370).
320 Parte seconda, Capitolo settimo
conflitto fra la carne e lo spirito, alla luce di Sap 9, 15 («Il corpo corrut-
tibile appesantisce l’anima e l’abitazione terrena opprime la mente dai
molti pensieri»), luogo-chiave – come si ricorderà – per la prospettiva
antropologica di Orat. Anche in vista di ciò l’Apostolo è presentato come
uomo di preghiera: egli mette in pratica per primo l’invito a «pregare
senza interruzione» di 1Ts 5, 17961 ; ma lo fa anche nella speranza di com-
piere la «volontà di Dio» con la propria missione e con il viaggio a Roma
(Rm 1, 9-10)962. Inoltre, la preghiera incessante è dettata per lui dalla ne-
cessità di superare gli ostacoli che Satana frappone sul suo cammino per
l’annuncio del Vangelo 963 . Tuttavia Paolo non prega solo affinché Dio
l’assista nel realizzare la propria missione di evangelizzazione, poiché egli
intercede anche per gli altri ed in particolare assume quel ruolo vicario
per cui i santi, già nell’Antico Testamento, prendono su di sé le parti dei
peccatori, oppure i maestri fanno proprie le debolezze dei discepoli, nel-
l’intento di spingerli a convertirsi e migliorarsi964 .
Agendo in tal modo, dunque, l’Apostolo vuole far sì che «nessuno si
vergogni della natura del corpo né perda la speranza della conversione né
ignori la moltitudine dei propri mali dai quali è liberato per la grazia di
Cristo»965. Ma la compartecipazione solidale di Paolo alla sorte di coloro
che sono impegnati nelle lotte di questa vita giunge fino all’estremo di
chiedere a Dio la propria perdizione pur di assicurare la salvezza agli Israe-
liti, suoi fratelli secondo la carne (Rm 9, 1-5). Egli fa proprio l’esempio di

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961 CRm I, 13 (11) (71, 4-5): «Quod sine intermissione pro his, quibus scribit, orare
se dicit mandati sui memor, complet opere, quod sermone praecipit» (tr. Cocchini I, 31).
962 CRm I, 13 (11) (71, 5-): «Quia autem dicit obsecrare se, si quomodo tandem ali-
quando prosperum iter habeat, ut in voluntate Dei veniat ad Romanos, considerandum est
quod apostolus Dei ad opus sanctum, opus evangelii proficiscens exspectat, donec obse-
crationibus impetret non solum prosperum sibi iter fieri, sed et in voluntate Dei prospe-
rum fieri» (tr. Cocchini I, 31). Si noti la raccomandazione pratica perché «cum aliquid
agere disponimus, a Deo itineris prosperitas postulanda est» (71, 12-13).
963 CRm I, 15 (13) (75, 40-44): «competenter ostendit se in orationibus sine inter-
missione (1Ts 5, 17) certare, ut devictis Satanae impedimentis prosperum iter eius fiat in
voluntate Dei videre eos, qui Romae sunt. Desiderat enim et in orationibus obsecrare non
cessat fructum aliquem capere ex ipsis sicut ex ceteris gentibus» (tr. Cocchini I, 34).
964 Il motivo è introdotto in CRm VI, 9, a proposito di Rm 7, 24-25: «Sul fatto poi
che nelle divine Scritture vi sia l’abitudine che i santi assumano il ruolo dei peccatori e i
maestri prendano su loro le debolezze dei discepoli siamo assai bene istruiti dal libro dei
Salmi...» (tr. Cocchini I, 343). Origene cita Sal 37(38), 4-7, ma più che fondarsi sull’esem-
pio di David, si richiama a quello di Daniele: «cosa diremo anche di Daniele, di cui sicu-
ramente non si racconta alcun peccato, e tuttavia viene riferita la confessione con digiuni,
cilicio e cenere e una tale preghiera dove, tra l’altro, dice anche questo: Abbiamo peccato,
abbiamo compiuto l’iniquità, abbiamo agito ingiustamente... (Dn 9, 5-7). Chi può negare
che in tali parole sia stato assunto da Daniele il ruolo dei peccatori, a nome dei quali,
come fosse a suo nome, sembra dire tali cose?» (tr. Cocchini I, 343-344).
965 Ibidem (tr. Cocchini I , 344).
«Come incenso al tuo cospetto» 321
Mosè che prega Dio di «cancellarlo dal libro della vita», a patto che per-
doni il peccato del popolo (Es 32, 32). Ora, secondo Origene, Paolo è stato
esaudito ben più di Mosè, perché ha meritato la salvezza per i fratelli (con
la promessa di Rm 11, 25-26 riguardo al «mistero di Israele»), mentre
«tutti quelli che per mezzo di Mosè erano usciti dall’Egitto, morirono nel
deserto»966. Infine, l’Alessandrino riflette sulla cooperazione orante che
l’Apostolo sollecita da parte dei destinatari dell’epistola in Rm 15, 30-32
(«Vi supplico, dunque, o fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e per
la carità dello Spirito, di soccorrermi con le preghiere presso Dio...»), per
sviluppare l’idea che il verbo sunagwnivsasqai (Rm 15, 30) equivale per
Paolo a «soccorrermi nella lotta delle preghiere presso Dio». Vi è dunque
«una lotta e un combattimento di preghiera» dell’Apostolo, diretti contro
le potenze demoniache, le quali fra i loro diversi bersagli avversano anche
la preghiera:
«Ed è certo che tutti costoro, come avversano la fede e contrastano la pietà, come
sono contrari alla giustizia e alla verità e a tutto ciò che è buono, così senza dub-
bio contrastano e avversano la preghiera. E perciò Paolo mostra che anche nella
preghiera non è affatto di poco conto la lotta, dal momento che per essa ha cre-
duto di dover implorare perfino l’aiuto di quanti si trovano a Roma. In realtà in-
fatti nella preghiera i demoni e le potestà avverse cercano di impedire innanzi-
tutto che chi si affatica nel combattimento della preghiera venga trovato tale da
poter elevare mani pure senza ira (1Tm 2, 8). Ora, anche se uno ha potuto otte-
nere di essere senza ira, è a malapena che può anche evitare di essere senza spi-
rito di discussione (1Tm 2, 8), cioè senza pensieri superflui e vani. A malapena
infatti troverai che ad uno che sta pregando non venga in mente qualche pensiero
vano ed estraneo e pieghi l’intenzione con cui la mente si rivolge a Dio e la inter-
rompa e la distolga per cose che non c’entrano. Ed è pertanto un combattimento
grande quello della preghiera, per far sì che la mente, sempre fissa in Dio con
ferma attenzione, possa contrastare i nemici che le si oppongono e che distol-
gono il pensiero della preghiera verso realtà diverse, così che giustamente anche
chi prega possa dire: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa
(2Tm 4, 7)»967 .

Origene non ha mai affrontato in termini così concreti la difficoltà di


pregare. È vero che il richiamo al versetto paolino di 1Tm 2, 8, insieme
ad altri luoghi scritturistici, concorre ad assicurare quel controllo delle
passioni che predispone al processo di anacoresi sensoriale dal mondo e
all’anabasi della mente verso Dio. Ma neppure in Orat, dove di certo non
s’ignorano le difficoltà che ostacolano l’atto orante, in particolare quella
di assicurare la necessaria tensione e concentrazione interiore evitando
«distrazione e turbamento dei pensieri» (Orat XXXI, 2), Origene si spinge
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966 CRm VII, 13 (tr. Cocchini II , 6).
967 CRm X, 15 (tr. Cocchini II, 190).
322 Parte seconda, Capitolo settimo
fino a parlare di un «combattimento della preghiera»968 . In questo passo
abbiamo insomma un salto di qualità nel definire la sfida che attende
l’orante, anche perché la causa di tali difficoltà è ricondotta, quale loro
fattore determinante, all’azione delle potenze demoniache969 . Anche su
questo punto l’Alessandrino anticipa la posizione di Evagrio Pontico, per
il quale il momento della preghiera offre ai demoni un’occasione privile-
giata onde sferrare i loro attacchi, anche se l’elevazione a Dio e la con-
temporanea chiusura a Satana nella preghiera della comunità è un motivo
già presente in Cipriano970. Nel pensiero di Evagrio, fra le diverse pas-
sioni che turbano la mente dell’orante, occupa largo spazio proprio il de-
mone dell’ira, che per Origene, nel binomio riepilogativo degli atteggia-
menti spirituali dell’orante in 1Tm 2, 8, rappresenta apparentemente una
minaccia più facile a respingersi di quanto non lo sia forse per Evagrio971.
Ma il conflitto con i «pensieri vani ed estranei», che per l’Alessandrino
tendono a distogliere quasi irresistibilmente dall’orazione, può ben essere
accostato alla ricerca della «preghiera pura» nel monaco di Kellia972. Si
deve dunque riconoscere che CRm dà prova di una misura di realismo assai
lontana dall’ideale della preghiera in Orat, benché il trattato non ignori
affatto la dimensione agonica dell’esistenza spirituale. Non è l’unico ap-
porto di riflessione originale circa l’atto orante in CRm, perché l’Alessan-
drino ha anche riformulato con maggior nettezza l’idea, già presente in
Orat, del concorso dello Spirito alla preghiera.

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968 Cfr. Orat XXXI, 2 e supra, note 468, 503.
969 Peraltro, se in Orat XXXI, 2 si mantiene la lezione peirasmovn, invece della con-
gettura perispasmovn (cfr. supra, nota 468), si potrebbe insinuare l’idea di energie demo-
niache da respingere.
970 Cipriano, De dom. or. 31 (109, 565-571): «Ideo et sacerdos ante orationem prae-
fatione praemissa parat fratrum mentes dicendo: Susum corda, ut dum respondet plebs:
Habemus ad Dominum, admoneatur nihil aliud se quam Dominum cogitare debere. Clu-
datur contra adversarium pectus et soli Deo pateat nec ad se hostem Dei tempore orationis
adire patiatur».
971 Sulle conseguenze dell’ojrghv sulla preghiera si veda, in particolare, Evagrio,
Prat. 23, 25. Egli cita però 1Tm 2, 8 (con la lezione dialogismw'n, attestata a volte anche
da Origene) solo in De cogit. 5 e 32 (Évagre le Pontique, Sur les pensées, 168, 24-25).
Cfr. anche Cassiano, Coll. IX, 3 ss.
972 Cfr. Evagrio, De orat. 10 (PG 79, 1169, 22-30): ”Otan i[dwsin oiJ daivmone"
proqumouvmenovn se ajlhqw'" proseuvxasqai, tovte uJpotivqentai nohvmatav tinwn pragmav-
twn dh'qen ajnagkaivwn, kai; meta; bracu; ejpaivrousi th;n peri; aujtw'n mnhvmhn, kinou'nte"
to;n nou'n pro;" zhvthsin aujtw'n, kai; wJ" mh; euJrivskwn sfovdra lupei'tai, kai; ajqumei': hJnivka
de; sth/' eij" proseuchvn, uJpomimnhvskousin aujtw'n tw'n zhthqevntwn, i{na caunwqei;" oJ nou'"
pro;" gnw'sin aujtw'n ajpolevsh/ th;n eu[karpon proseuchvn (si veda il commento di Haus-
herr 1960, 23-26).
«Come incenso al tuo cospetto» 323
3.2.3.2. Lo Spirito maestro di preghiera

CRm ci offre un commento originale del passo cruciale che ispira


nelle sue linee guida la riflessione di Orat: Rm 8, 26-27 («Così anche lo
Spirito aiuta la nostra debolezza. Infatti noi non sappiamo che cosa chie-
dere secondo ciò che conviene; ma lo Spirito stesso intercede per noi con
gemiti inesprimibili. Però colui che scruta i cuori sa cosa lo Spirito desi-
deri, perché egli intercede secondo Dio per i santi»). Per intendere il senso
della spiegazione origeniana conviene tener presente, da un lato, il model-
lo dell’antropologia spirituale riproposto in più occasioni dal commenta-
rio e, dall’altro, il ricorso a una modalità argomentativa prediletta da que-
st’opera con l’uso di una similitudine. L’idea di fondo è quella del ruolo
dello Spirito come maestro di preghiera. Origene sembra predisporla, in
un certo senso, da lontano, allorché nel II libro riflettendo sulla legge
della coscienza adduce 2Cor 1, 12 («Questa è la nostra gloria: la testimo-
nianza della nostra coscienza») a riprova nell’Apostolo dell’adesione del-
l’anima allo spirito.
«Poiché dunque io noto in essa una così grande libertà e che senza dubbio gode
sempre e si rallegra per le azioni buone, mentre non è rimproverata per quelle cat-
tive, anzi rimprovera e ammonisce l’anima stessa a cui è congiunta, per questo
ritengo che si tratti proprio dello spirito di cui l’apostolo dice che coesiste insie-
me con l’anima... quasi come un pedagogo a lei, per così dire, associato e quasi
come una guida (qui ab apostolo esse cum anima dicitur […] velut paedagogus
ei quidam sociatus et rector), perché le faccia osservare ciò che è migliore o per
le sue colpe la castighi e la rimproveri; e di tale spirito anche l’apostolo dice: Nes-
sun uomo conosce ciò che è proprio dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è
in lui (1Cor 2, 11); e ritengo che tale spirito sia proprio lo spirito della coscienza,
del quale Paolo dice: Lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito (Rm
8, 16). E forse appunto questo è lo spirito che è congiunto alle anime dei giusti
che gli saranno state obbedienti in tutto; e perciò sta scritto: Lodate, o spiriti e
anime dei giusti, il Signore (Dn 3, 86). Se invece l’anima gli sarà stata disubbe-
diente e ribelle, dopo la morte sarà divisa da lui e separata»973 .
Nello schema ben noto dell’antropologia origeniana notiamo qui la
funzione di «pedagogo» e «guida» assegnata allo spirito (dell’uomo) ri-
spetto all’anima e al corpo. In nuce l’Alessandrino insinua già l’immagine
che riprenderà nel VII libro, in qualche modo giustapponendola a questa,
per chiarire l’iniziativa pedagogica dello Spirito nella preghiera. La pre-
messa immediata però è diversa, poiché Origene estende l’idea della com-
partecipazione dei santi e di tutta quanta la creazione alle sofferenze di
––––––––––––––––––
973 CRm II, 9 (tr. Cocchini I, 89-90). Beyer Moser, 64, osserva in proposito che «as
the judge of the soul, this guiding spirit-conscience adheres to the good soul but evaluates
the evil one harshly. As the locus of the Holy Spirit’s embrace of the human being, the
human spirit remains holy, even when the human soul and body become corrupt».
324 Parte seconda, Capitolo settimo
coloro che sono nelle lotte di questa vita (Rm 8, 22) fino ad includervi la
realtà divina. Non è la formulazione ardita della «passione dell’amore» in
Dio, preludio all’incarnazione del Logos, che troviamo nella VI Omelia su
Ezechiele974 . Ma in ogni caso l’idea è affine, dal momento che Origene,
sfruttando il testo paolino e facendo parlare l’Apostolo con una prosopo-
pea, attribuisce alla «natura divina [...] un certo sentimento di compassio-
ne per le nostre lotte» che si manifesta nei «gemiti» dello Spirito.
«Perfino nella stessa natura divina si trova un certo sentimento di compassione
per le nostre lotte (infatti io pure mi unisco a voi) e lo Spirito stesso aiuta la no-
stra debolezza (Rm 8, 26). Effettivamente noi non sappiamo cosa chiedere, cosa
sia opportuno domandare a Dio. E difatti talvolta, spinti dalla debolezza, deside-
riamo ciò che è contrario alla salvezza. E come uno che è malato fisicamente non
chiede al medico ciò che è confacente alla guarigione o conduce ad essa, ma piut-
tosto ciò che gli ha suggerito il desiderio provocato dalla sua malattia, così anche
noi, che siamo senza forze per la debolezza propria di questa vita, a volte chie-
diamo a Dio ciò che non giova. E per finire, io stesso, Paolo, che vi dico queste
cose, quando mi fu dato dal Signore un angelo di Satana che mi percuotesse, af-
finché io non mi insuperbissi per la sublimità delle rivelazioni (2Cor 12, 7), per
tre volte chiesi al Signore che lo allontanasse da me (2Cor 12, 8) non sapendo
cosa chiedevo: e proprio perché non sapevo chiedere secondo ciò che conveniva,
il Signore non mi prestò ascolto, ma mi disse: Ti basta la mia grazia, infatti la
potenza si compie nella debolezza (2Cor 12, 9). Così dunque non sappiamo cosa
chiedere secondo ciò che conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con
gemiti inesprimibili (Rm 8, 26)» 975 .

L’Alessandrino rivisita il «problema della preghiera», non tanto nel-


l’ottica intravista poc’anzi del «combattimento della preghiera», quanto
piuttosto alla luce della fondamentale incapacità dell’uomo a pregare. La
«fragilità» data dal contrasto fra la carne e lo spirito è l’elemento costitu-
tivo che impedisce all’uomo di rivolgere a Dio la richiesta dei beni auten-
tici. Neppure Paolo si avverte risparmiato da essa, tanto che l’Apostolo
esemplifica in prima persona il suo fallimento di orante non conforme ai
voleri di Dio. È proprio l’esempio personale di Paolo che ci fa cogliere
con più chiarezza quella nota di radicalità, che richiama più da vicino
Orat e prelude all’intervento dello Spirito in soccorso dell’impotenza
umana a pregare. Ora, lo Spirito supplisce con «gemiti inesprimibili», sua
prerogativa esclusiva rispetto agli altri «gemiti» accennati nell’epistola,
che per Origene equivalgono a suppliche condotte davanti a Dio «con
molta fiducia e libertà», conformemente a quella parjrJhsiva che è sua pre-
rogativa, come lo è dei figli di Dio, dei santi che partecipano di lui976. Ma
––––––––––––––––––
974 Cfr. infra, nota 1117.
975 CRm VII, 6 (tr. Cocchini I , 380).
976 Ibidem: «E vedi se possiamo scoprire in questi gemiti molta fiducia e libertà da-
«Come incenso al tuo cospetto» 325
l’intervento dello Spirito a sostegno di colui che prega si dà per chi s’im-
pegna e lotta per contrastare i desideri della carne, fonte dell’impotenza
dell’uomo a domandare i veri beni. Se dunque c’è già il segnale di uno
sforzo ad assecondare lo spirito invece della carne, ecco che lo Spirito ri-
sponde ad esso facendo propria la preghiera dell’uomo.
«Quando però lo Spirito di Dio avrà visto il nostro spirito affaticarsi nella lotta
contro la carne, allora unendosi a lui gli porge la mano e aiuta la sua debolezza.
E come se un maestro, accogliendo un discepolo che non sa nulla ed è ignorante
perfino dell’alfabeto, per poterlo ammaestrare e istruire ha bisogno di abbassarsi
ai primi rudimenti dell’allievo e di dire lui per primo i nomi delle lettere – così
che il discepolo li apprenda ripetendoli – e diventa in qualche modo egli stesso,
che è maestro, simile al discepolo che comincia, dicendo e meditando quelle cose
che chi sta agli inizi deve dire e meditare: così anche lo Spirito santo, quando avrà
visto che il nostro spirito è sconvolto dalle lotte per la carne e non sa che cosa
debba chiedere secondo quanto conviene (cfr. Rm 8, 26), allora egli stesso, come
maestro, pronuncia per primo quella preghiera che il nostro spirito, se è vero che
desidera essere discepolo dello Spirito santo, prosegue. Egli offre i gemiti con cui
il nostro spirito può apprendere a gemere per rendersi di nuovo Dio propizio. Se
invece lo Spirito insegna, ma il nostro spirito, cioè la nostra mente, non lo segue,
allora per colpa sua la dottrina del maestro gli diventa inutile»977.

Allo spirito dell’uomo come paedagogus e rector dell’anima fa ora


da pendant lo Spirito santo come maestro di preghiera per lo spirito del-
l’uomo. In CRm, quando Origene deve servirsi di esempi presi da mestieri
e professioni, non di rado rievoca il compito del grammatico, ma qui la
condizione del discepolo e di conseguenza l’attività del docente si situano
ad un livello ancora più basso: prima del «grammatico», c’è bisogno per
l’uomo orante di un «maestro di lettere», che lo liberi dal suo analfabeti-
smo religioso, dal momento che non sa riconoscere ed esprimere i veri
bisogni di una vita autentica. I «gemiti» dello Spirito sono espressione e
frutto di una condiscendenza divina che avvicina e assimila lo Spirito
santo allo spirito dell’uomo. Mentre l’Alessandrino ribadisce l’idea di
Orat per cui la preghiera «spirituale» è possibile solo se l’orante è asso-
ciato allo Spirito, che lo previene e dà voce alle sue richieste, al tempo
stesso egli insinua il motivo del mistero che si compie attraverso i «gemiti
inesprimibili»978 . Dunque, più che chiarire con precisione la dinamica
––––––––––––––––––
vanti a Dio, perché l’orazione che viene a lui rivolta con dolore e gemito riceve da parte
dello Spirito santo la fiducia di poter salire a Dio» (tr. Cocchini I , 381).
977 Ibidem (tr. Cocchini I, 381-382). Cfr. Beyer Moser, 118-129.
978 Ibidem: «E Paolo, sapendo che proprio questo mistero si realizzava nell’uomo,
diceva: Infatti se parlo in lingue, il mio spirito prega, ma la mia mente rimane senza frutto
(1Cor 14, 14), chiamando “spirito suo” la grazia dello Spirito santo che da Dio viene data
agli uomini. Perciò esortandoci anche a non lasciare infruttuoso questo dono dello Spirito
santo, prosegue dicendo: Che dunque? Pregherò con lo spirito ma anche con la mente:
326 Parte seconda, Capitolo settimo
determinata dal sostegno dello Spirito, la similitudine del maestro vuole
rassicurare su un processo di comunione intima con la divinità e insieme
responsabilizzare l’orante a fare la propria parte. A questo fine Origene
ricorre a 1Cor 14, 14-15, che a suo avviso inculca nuovamente lo stesso
modello coll’invitare la «mente» dell’orante ad assecondare lo «spirito»
(cioè il dono di grazia)979. E ciò significa anche che dall’intercessione
dello Spirito sono esclusi gli «empi», dato che egli soccorre i «santi», an-
corché essi ci appaiano qui segnati dalla tribolazione della carne. Vi è
comunque, a conclusione dell’esegesi di Rm 8, 26-27, l’indicazione su
come agire: da un lato, rinunciare a chiedere a Dio i falsi beni rappresen-
tati da salute, ricchezze e onori, dall’altro «attenersi a quanto il Signore ci
ha insegnato di chiedere nella preghiera: Sia fatta la tua volontà (Mt 6,
10)». In tal modo, l’atto orante che ha per maestro lo Spirito trova ancora
una volta, come criterio e modello vincolante, la Preghiera del Signore.
Abbandonarsi al volere di Dio significa poi ridimensionare in qualche
modo i contenuti della domanda, perché ciò che conta agli occhi di «Colui
che scruta i cuori» sono le disposizioni interiori980.

3.2.3.3. Pregare il Padre e il Figlio

Un altro luogo dell’epistola ha attirato un’importante precisazione


riguardo al destinatario della preghiera, di primo acchito contrastante con
l’impostazione più consueta di Origene: si tratta del commento a Rm 10,
12-13 nel libro VIII («Non vi è infatti distinzione tra Giudeo e Greco. Egli
stesso infatti è il medesimo Signore di tutti, ricco verso tutti coloro che lo
invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo
[Gl 3, 5]»). L’Alessandrino si chiede a che titolo il fatto di «invocare»
semplicemente il Signore possa assicurare la salvezza. Per lui non è pos-
sibile che ciò abbia un valore in assoluto, senza cioè che l’«invocare» si
innalzi da una vita virtuosa, come si può arguire dalla messa in guardia di
Pr 1, 28: «Ci sarà infatti un tempo in cui mi avrete invocato: io però non
––––––––––––––––––
dirò i salmi con lo spirito, ma li dirò anche con la mente (1Cor 14, 15). Pertanto, sebbene
lo stesso Paolo abbia mostrato che queste realtà sono inesprimibili e che con gemiti ine-
sprimibili avvengono, tuttavia, per quanto ci è stato possibile, abbiamo fornito una certa
immagine delle cose che accadono in maniera divina e che egli stesso esprime in modo
piuttosto velato» (tr. Cocchini I , 382). O ancora: «Come si può infatti esprimere ciò che lo
Spirito di Dio dice a Dio, dal momento che a volte nemmeno il nostro stesso spirito può
spiegare con parole ciò che sente e comprende?» (I, 383).
979 Sull’interpretazione di 1Cor 14, (14-)15, addotto perlopiù in relazione alla di-
stinzione fra preghiera vocale e preghiera silenziosa, si veda infra, 466-475.
980 Con riferimento a Rm 8, 27, CRm VII, 6 afferma: «L’apostolo senza dubbio mo-
stra che Dio valuta nella preghiera non tanto le nostre parole, quanto il cuore e la mente»
(tr. Cocchini I, 383).
«Come incenso al tuo cospetto» 327
vi esaudirò»981 . Tuttavia, in questo passo come in quello paolino e nella
citazione da Gioele ivi contenuta, Origene nota l’uso del verbo ejpika-
lei'sqai, ai suoi occhi termine non indifferente del linguaggio di preghie-
ra, perché con esso «le divine Scritture indicano qualcosa di grandioso».
Infatti, lo adoperano per personaggi importanti, come Enos, Mosè, Aronne
e Samuele, ma anche Paolo se ne serve in 1Cor 1, 2 per designare i cre-
denti in Cristo («Con tutti coloro che in qualsiasi luogo invocano il nome
del Signore nostro Gesù Cristo, il loro e il nostro»). Di conseguenza, i san-
ti dell’Antico Testamento che «invocano il (nome del) Signore» e trovano
esaudimento in Lui, senza dubbio invocano anch’essi, per Origene, Gesù
Cristo. Su questa base esegetica l’Alessandrino procede ad accostare Cri-
sto al Padre come termine della preghiera.
«Se dunque Enos e Mosè e Aronne e Samuele invocavano il Signore, ed egli li
esaudiva (Sal 98[99], 16), essi senza dubbio invocavano come Signore Cristo
Gesù: e se invocare il nome del Signore e pregare il Signore sono una unica e
identica cosa, allora come si invoca Dio si deve invocare Cristo; e come si prega
Dio, così anche si deve pregare Cristo (invocare nomen Domini et orare Domi-
num unum atque idem est, sicut invocatur Deus, invocandus est Christus; et sicut
oratur Deus, ita et orandus est Christus); e come offriamo a Dio Padre per primo
le orazioni di tutti, così anche le offriamo al Signore Gesù Cristo; e come offriamo
suppliche al Padre, così offriamo suppliche anche al Figlio; e come offriamo
azioni di grazie a Dio, così anche offriamo grazie al Salvatore. Infatti che un unico
onore si debba presentare ad entrambi, ossia al Padre e al Figlio, lo insegna la pa-
rola divina quando dice: Affinché tutti onorino il Figlio, come onorano il Padre
(Gv 5, 23)»982 .

Il testo latino di Rufino non ci impedisce di intravedere in filigrana


le «domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti» di 1Tm 2, 1 che –
come Origene ha spiegato in Orat – possono implicare più destinatari,
accostando al Padre il Cristo ed anche lo Spirito, a seconda del tipo di
orazione, con eccezione della proseuchv983. A dire il vero, vi è un residuo
apparente del primato riconosciuto alla proseuchv nel trattato, in quanto
invocazione indirizzata unicamente a Dio Padre, nell’affermazione che a
Lui «per primo [...] si offrono le orazioni di tutti». Ma tale primato non
risulta più esclusivo come in Orat, anzi è ridimensionato dal parallelismo
––––––––––––––––––
981 CRm VIII, 4: «E in questa frase mi sembra che la Sapienza esorti e stimoli quanti
vogliono salvarsi ad invocarla presto e a non indugiare né rinviare ad altro tempo: affin-
ché non capiti che, essendosi compiuto il tempo stabilito, cioè quello in cui vi è la possibi-
lità di fare penitenza, tardivamente, in seguito, rivolgano suppliche quando non c’è più
spazio per il pentimento» (tr. Cocchini II, 40).
982 CRm VIII, 5 (tr. Cocchini II, 41-42). Cfr. supra, nota 411. Gv 5, 23 è citato in CC
VIII, 9 per confortare l’onore reso a Gesù in base alle profezie su di lui. Anche HIer V, 8 e
CIo XX, 38, 351 non presentano un’esegesi assimilabile a CRm VIII, 5.
983 Si veda, ad esempio, il parallelo in CC V , 4 (supra, nota 410).
328 Parte seconda, Capitolo settimo
fra l’orazione al Padre e quella al Figlio, come anche dalle giustapposi-
zioni che seguono per i diversi tipi di preghiera, fino all’asserzione con-
clusiva secondo cui Padre e Figlio richiedono un «unico onore». Sarebbe
facile subodorare qui un intervento normalizzatore di Rufino, nel senso
dell’ortodossia nicena, ma forse non è necessario, se si tiene conto sia del
complesso del discorso origeniano – da Orat alle formulazioni più tarde, in
particolare in CC – sia anche del contesto ravvicinato del nostro passo984.
Guardando adesso a quest’ultimo si nota come la preghiera al Padre ri-
manga anche in CRm l’espressione più alta del modello di preghiera racco-
mandato da Origene, che la ripropone di seguito sviluppando una rifles-
sione sui diversi stadi della vita di fede alla luce del già citato 1Cor 1, 2:
«E guarda se per caso questa diversità non lasci intendere qualcosa di simile a
quanto sembra trovarsi anche nel presente capitolo, dove Paolo insegna che non si
può invocare il nome del Signore se prima non si crede in Cristo (cfr. Rm 10, 14).
Quando poi uno ha creduto a Cristo, anche se non è stato ancora santificato e as-
sociato al corpo della chiesa, tuttavia è necessario che egli già invochi colui a cui
ha creduto. Cristo infatti venne a riconciliare il mondo con Dio, e ad offrire al
Padre quanti credono in lui. Quelli poi che offre al Padre, lo Spirito santo li ac-
coglie per santificarli e per vivificarli come membra dei primordiali della chiesa
celeste (cfr. Eb 12, 23) e per ristabilirli nella saldezza e perfezione di tutto il
corpo; e così finalmente essi meriteranno di essere chiamati chiesa di Dio che
non ha né macchia né ruga (cfr. Ef 5, 27). Pertanto, prima di giungere al livello
di tale perfezione, invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo come nome
di un mediatore tra Dio e gli uomini (cfr. 1Tm 2, 5): invece, dopo che lo Spirito
di Dio sarà stato nel loro cuore esclamando: Abbà, Padre (Rm 8, 15), lo Spirito
stesso insegna loro ad invocare anche il nome del Padre»985 .

Sulla traccia suggerita dall’esegesi di 1Cor 1, 2 (peraltro non priva


nemmeno in questo passo di qualche ambiguità o incertezza interpretati-
va, perché quelli che in prima accezione sono i «catecumeni» potrebbero
essere intesi anche come i «semplici»)986 , Origene ripropone i fondamenti
dell’«orazione spirituale»: preghiera dei «perfetti», cioè di coloro che sono
santi, e come tale preghiera nello Spirito, indirizzata al Padre. Da notare
––––––––––––––––––
984 Rinvio alla discussione già svolta per Orat (supra, pp. 133-140). Invece Prinzi-
valli, 152 attribuisce a Rufino «l’intento [...] di riformulare l’insegnamento origeniano [...]
secondo l’impostazione post-nicena».
985 CRm VIII, 5 (tr. Cocchini II, 42-43; cfr. supra, nota 411). È interessante qui il
confronto con Agostino, Serm. 56, 1 (153, 21–154, 24): «Quia ergo dixit: Quomodo invo-
cabunt, in quem non crediderunt? (Rm 10, 14), ideo non accepistis prius orationem, et
postea symbolum, sed prius symbolum, ut sciretis quid crederetis, et postea orationem,
ubi nossetis quem invocaretis».
986 Cfr. supra, nota 926. Si veda anche la preghiera premessa alla spiegazione della
parabola dei lavoratori a giornata in CMt XV, 27 (433, 24-27): Qew/' de; eujxavmenoi kai; ejpi-
kalesavmenoi to; o[noma tou' kurivou hJmw'n ∆Ihsou' <Cristou'> ejkqwvmeqa th;n parabolhvn.
«Come incenso al tuo cospetto» 329
l’apporto specifico di CRm sullo Spirito come maestro di preghiera, men-
tre il ruolo di Cristo è ancora una volta identificato con quello di «Mediato-
re tra Dio e gli uomini», che «offre al Padre quanti credono in Lui». Infine,
la professione della condizione filiale acquisita dai perfetti per il Cristo e
nello Spirito è nuovamente l’invocazione raccomandata dalla Preghiera
del Signore: «Abbà, Padre». È evidente allora da questo sviluppo di rifles-
sione che segue a ruota il passo a prima vista contraddittorio come il para-
digma normativo che Origene ha stabilito in Orat non sia affatto rimesso
in discussione. Semmai, la precisazione sull’uguaglianza di onore tra Pa-
dre e Figlio può rispondere – analogamente a ciò che avviene in Dial – al-
l’esigenza di prevenire un fraintendimento in senso troppo “subordinazio-
nistico” della mediazione del Figlio987 .

3.2.4. Commento a Matteo

Dei quattro grandi commentari di Origene che ci sono giunti, il Com-


mento a Matteo è in assoluto il più ricco e interessante in tema di pre-
ghiera. Fortunatamente, dal punto di vista testuale siamo più avvantag-
giati, perché disponiamo ancora di una discreta porzione del testo greco
(i libri X-XVII), mentre la vetus interpretatio o Commentariorum Series,
un’antica traduzione latina di cui non conosciamo l’autore, ci ha conserva-
to una testimonianza oltremodo preziosa dell’esegesi origeniana del primo
vangelo. Essa si affianca infatti al greco da CMt XII, 9 fino alla conclusio-
ne del commentario, arrivando così a coprire circa la metà dei venticinque
tomi originari. Né manca, in aggiunta, il conforto di qualche frammento
dell’originale conservatoci nella Filocalia o nelle catene988 . Quest’opera
imponente, paragonabile per le sue dimensioni al Commento a Giovanni,
anche se certo più snella e, a differenza di quella, felicemente portata a
termine, rappresenta il frutto della maturità esegetica dell’Alessandrino989 .
Egli l’ha composta sul finire della vita, più o meno in contemporanea con
il Contro Celso, cioè intorno agli anni 244-249990 . Quanto al profilo lette-
rario ed esegetico, sebbene CMt condivida con CIo un’allure tendenzial-
mente sistematica, analogamente a CRm dà spazio all’istanza di un «let-
––––––––––––––––––
987 Si vedano le mie osservazioni a proposito dell’espressione Qew/' dia; Qeou' in
Dial 4 (supra, p. 262 e nota 781).
988 CMt X-XVII comprende l’esegesi di Mt 13, 36-22, 33, mentre CMtS giunge fino
a Mt 27, 63. Cfr. Danieli-Scognamiglio.
989 Fondamentali al riguardo i lavori di Vogt (Origenes. Der Kommentar zum
Evangelium nach Matthäus; Vogt 1999).
990 Secondo la cronologia indicata da Eusebio, HE VI , 34, che situa CMt sotto il re-
gno di Filippo l’Arabo (244-249). Girod (SC 162, p. 8) suggerisce la data del 246, collo-
cando CRm nel 244 e CC nel 248. Invece per Nautin, 376, CMt e CC sono stati scritti in-
sieme, nel 248 o 249.
330 Parte seconda, Capitolo settimo
tore collaborativo»; anzi, andando oltre lo stesso commentario paolino, in
qualche caso formula questioni alle quali non dà risposta. In tal modo,
Origene rimanda la soluzione del problema all’intelligenza attiva e re-
sponsabile dei futuri lettori e fa del suo commentario, entro certi limiti,
un’«opera aperta»991 .
Non è facile dar conto della varietà e ricchezza degli spunti tematici
contenuti in CMt riguardo alla preghiera992. Né serve prendere da princi-
pio come riferimento-guida le posizioni elaborate in Orat, sebbene anche
in questo caso si possano trovare diverse conferme ad alcuni dei punti di
forza sviluppati da Origene nel trattato. In realtà, il testo evangelico che è
l’oggetto del commento, propone già di per sé numerose occasioni di ri-
flettere sul nostro argomento, e questo in misura ben più cospicua che nel
quarto vangelo (basti pensare alle istruzioni sulla preghiera e al testo del
Padrenostro in Mt 6, sulla cui rinnovata esegesi in CMt non siamo pur-
troppo documentati)993. Riflette dunque da vicino il contenuto del primo
vangelo il fatto che l’Alessandrino focalizzi una buona parte della sua ri-
flessione sul modello di Gesù orante. In particolare, per Origene, con la
scena del Getsemani e le ultime parole di Gesù sulla croce, la preghiera
prelude e conclude il racconto della Passione. Alla luce di questo para-
digma esemplare prende forma anche la preghiera dei seguaci di Cristo: a
livello personale e nella dimensione comunitaria.
CMt racchiude anch’esso tracce significative di un’«esegesi orante»,
nel senso che la spiegazione del testo evangelico è sorretta dall’invoca-
zione a Dio per l’intelligenza spirituale, cioè per il dono del Logos e dello
Spirito all’interprete (e ai lettori). Né viene trascurata la consapevolezza,
più volte ribadita in altri scritti, che preghiera autentica si dà solo con il
concorso dello Spirito, grazie al quale la nostra richiesta arriva ad indiriz-
zarsi verso i «beni grandi e celesti», i soli che si confanno alla dignità di
Dio e alla sua bontà. Ma CMt è attento anche ai risvolti ecclesiali della pre-
ghiera, più di quanto non avvenisse precedentemente, a parte occasionali
interventi. A questo fine considera il luogo e le circostanze della preghiera,
invitando alla separazione fra «santi» e «peccatori» al momento dell’ora-
zione comunitaria, sia pure con il riguardo pastorale dovuto alla condizio-
ne di questi ultimi. Inoltre, sottolinea la centralità della preghiera nella
vita della chiesa, se essa vuole davvero essere «casa di orazione» (Is 56, 7).
Perché poi tale orazione consegua la richiesta ch’essa rivolge a Dio, essa
deve nascere da uno spirito di concordia e pacificazione, a livello sia per-
––––––––––––––––––
991 Bendinelli ha ricondotto tali caratteristiche all’esperienza della scuola. Per un
diverso approccio si veda Bastit-Kalinowska e Perrone 2001a.
992 Per due rassegne essenziali si veda l’introduzione di Bendinelli, rispettivamente
in Origene. Commento a Matteo/1: Libri X e XI, 61-62; Origene. Commento a Matteo: Se-
ries/1, Roma 2004, 72-73. Cfr. anche Bendinelli 2009.
993 Cfr. Severus, 1172 ss.; Cullmann, 24 ss.
«Come incenso al tuo cospetto» 331
sonale che comunitario. Se l’«unanimità» è dunque garanzia di esaudi-
mento, in molte altre forme CMt ci mostra l’utilità e l’efficacia del pregare.

3.2.4.1. «Esegesi orante»: la conoscenza del mistero e i limiti dell’inter-


prete

Come si è detto, l’esegesi di Origene in CMt è animata dialetticamen-


te dalla tensione fra l’istanza dell’interpretazione sistematica e la sua
apertura ermeneutica in direzione del lettore. In tale tensione s’inserisce
per larga parte anche la testimonianza di un’«esegesi orante», dalla quale
conviene adesso iniziare la nostra panoramica, anche perché offre subito
un interessante termine di confronto. In CMt ne abbiamo infatti una docu-
mentazione più cospicua rispetto ai commentari esaminati in precedenza,
sebbene esso non faccia differenza nelle convinzioni che sorreggono strut-
turalmente la pratica esegetica: in sostanza, il commento del testo sacro è
visto sempre da Origene come frutto del dono dello Spirito, per il quale
all’occorrenza l’autore invoca Dio espressamente. Questo atteggiamento
spirituale è ben illustrato da una serie di pronunciamenti ermeneutici, fino
all’esternazione orante vera e propria – la prima con la quale abbiamo a
che fare nel nostro testo –, che accompagnano l’esegesi della parabola del
servo impietoso in Mt 18, 21-35 (CMt XIV, 5-13). Commentando dapprima
Mt 18, 21-22 (la domanda di Pietro sul fatto di perdonare «fino a sette
volte» e la risposta di Gesù che invita a farlo «settanta volte sette»), Ori-
gene ne respinge l’accezione letterale e avvia la spiegazione mediante il
richiamo al parallelo di Gn 4, 23-24 su Caino e Lamech, da vendicarsi ri-
spettivamente «sette» e «settantasette volte». L’associazione numerolo-
gica con il luogo veterotestamentario aggrava a prima vista l’incertezza
sul senso profondo del passo matteano e spinge l’Alessandrino a profes-
sare apertamente il mistero e l’accesso di conoscenza garantito solo a chi
è «ammaestrato dallo Spirito» di Gesù:
«Il loro senso vero, nel quale le avrebbe spiegate lo stesso Gesù, uno potrà saperlo
se sarà divenuto amico di Gesù sì da essere ammaestrato nel suo Spirito: questi
illumina la ragione di chi è progredito fino a tal punto, a seconda del suo merito.
Quanto a noi, che siamo tanto lontani dalla grandezza di un’amicizia verso Gesù,
ci contentiamo di poter dire appena qualcosa, sia pur in breve, sul senso di que-
sto passo»994.
––––––––––––––––––
994 CMt XIV , 5 (282, 25-283, 3): to;n me;n ou\n ajlhqh' kai; wJ" aujto;" a]n ejsafhvnisen
oJ ∆Ihsou'" eij" tau'ta lovgon, ei[ ti" h[dh fivlo" gevgone tw/' ∆Ihsou', wJ" maqhteuvesqai tw/'
pneuvmati aujtou' fwtivzonti to; hJgemoniko;n tou' ejpi; tosovnde proelhluqovto" kat∆ ajxivan,
eijdeivh a[n. hJmei'" dev, oiJ tou' filikou' pro;" to;n ∆Ihsou'n megevqou" ajpoleipovmenoi, ajgaph-
tovn, eij ka]n perilalh'sai ejpi; bracu; duvnameqa ta; kata; to;n tovpon (tr. Scognamiglio II,
114-115).
332 Parte seconda, Capitolo settimo
La professione di modestia zetetica, dichiarata in termini che fanno
venire in mente CIo, soprattutto per il motivo dell’«amicizia verso Gesù»,
dà luogo in effetti ad una spiegazione succinta, peraltro in tono con l’im-
postazione generale del commentario 995 . Poco oltre, però, dopo aver
tracciato una rassegna cumulativa dei problemi interpretativi posti dalla
parabola, Origene torna a ribadire il bisogno dello Spirito di Cristo come
condizione per la spiegazione del suo significato profondo: «Chi ne è par-
tecipe, non solo in quanto è Spirito di Cristo ma Spirito di Cristo come
Sapienza e Logos potrà ben contemplare ciò che gli si viene rivelando in
questo passo»996 . L’auspicato binomio di «Sapienza e Logos», come si
verifica in altre esternazioni oranti dell’interprete, a questo punto ispira
direttamente ad Origene un’invocazione di preghiera:
«Riguardo poi alla spiegazione più sublime non vogliamo certo far promesse, ma
nemmeno abbandonare la speranza di cogliere le realtà indicate nella parabola
con l’aiuto di Cristo, che è Sapienza di Dio. Avvenga o no che ci vengano detta-
te cose simili su questo passo, ci suggerisca Dio, in Cristo, di fare ciò che gli è
gradito, purché ci sia largita a tal fine la parola di sapienza data da Dio per
––––––––––––––––––
995 Il noto requisito ermeneutico della «mentalità di Cristo» (nou'" Cristou' ), deri-
vato da 1Cor 2, 16 e riformulato anche come «intenzione di Gesù» (bouvlhma tou' ∆Ihsou'),
è ribadito più avanti nella spiegazione della stessa parabola; cfr. CMt XIV, 11 (302, 17-29):
«Quale dunque sia il vero senso di questi fatti, riconosco che nessuno potrebbe spiegarlo,
se Gesù, che in privato, ai suoi discepoli spiega ogni cosa (Mc 4, 34), non prende dimora
nella loro mente (ejpidhmhvsanto" aujtou' tw/' hJgemonikw/'), dischiude tutti i tesori oscuri,
nascosti (cfr. Col 2, 3) e invisibili delle parabole ed offre certezza, con chiare indicazioni,
a chi vuole illuminare con la luce della conoscenza (o}n bouvletai fwtivsai tw/' fwti; th'"
gnwvsew") di questa parabola» (tr. Scognamiglio II, 132). Considerando proprio l’incapa-
cità per l’interprete di cogliere appieno l’intentio auctoris, Origene professa quindi nuo-
vamente la sua inadeguatezza (303, 6-21): «È infatti iniziativa della sapienza di Dio
esporre quel che è stato profetizzato in qualsivoglia modo e scritto dallo Spirito divino ri-
guardo alle singole qualità e agli atti compiuti a seconda di queste (sia tra potenze invisi-
bili che tra esseri umani). Ma siccome non abbiamo ancora ricevuto una mente idonea,
capace di impregnarsi del pensiero di Cristo (1Cor 2, 16) (to;n dunavmenon ajnakraqh'nai
tw/' Cristou' nw/)' , di penetrare così grandi realtà, e con lo Spirito scrutare ogni cosa, anche
le profondità di Dio (1Cor 2, 10), crediamo che sul senso di questo passo ci possiamo fare
appena una vaga idea» (ibi, 133).
996 CMt XIV, 6 (288, 5-25): «Ma è probabile che un ricercatore più attento possa
aggiungere altri elementi alla considerazione, elementi superiori, credo, alla spiegazione e
all’interpretazione che è secondo l’uomo (cfr. Gal 1, 11), per i quali occorre lo Spirito di
Cristo che ha detto queste cose (deomevnhn pneuvmato" Cristou' tou' eijpovnto" aujtav), in
maniera da intenderle così come le disse il Cristo. Come infatti nessun uomo può conosce-
re i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui, e nessuno può conoscere i
segreti di Dio se non lo Spirito di Dio (1Cor 2, 11), così nessuno può conoscere (dopo
Dio) gli insegnamenti che Cristo ha detto in proverbi e parabole, se non lo Spirito di Cristo.
Chi ne è partecipe, non solo in quanto è Spirito ma Spirito di Cristo come Sapienza e Lo-
gos potrà ben contemplare ciò che gli si viene rivelando in questo passo» (tr. Scognami-
glio II, 118-119).
«Come incenso al tuo cospetto» 333
mezzo dello Spirito e la parola di conoscenza concessa secondo lo Spirito (cfr.
1Cor 12, 8)»997.

L’auspicio così formulato non solo contiene un’implicazione trinitaria


sostanzialmente in linea con gli esempi già visti (quantunque con una
strutturazione meno formalizzata dell’abituale “sequenza”: da Dio – per
Cristo – nello Spirito) indicando nel Padre la fonte del dono di grazia, ma
soprattutto esso mette in pratica il modello prefigurato in Orat XXV, 2.
L’Alessandrino vi affermava infatti che «colui che prega per ottenere la
parola di sapienza e di conoscenza (cfr. 1Cor 12, 8), giustamente preghe-
rà sempre per questi doni»998 . Egli fa dunque propria ancora una volta
questa indicazione, che rinvia alla sua visione del perfezionamento spiri-
tuale come progresso conoscitivo sempre più grande. Ora, nell’economia
complessiva della spiegazione della parabola, neppure questa preghiera
pone termine al succedersi di affermazioni che inculcano ripetutamente il
senso del mistero – solo Gesù potrebbe scioglierlo – e pertanto l’inade-
guatezza dell’interprete, suscettibile di cogliere i significati reconditi uni-
camente «per grazia di Dio» e «per virtù del suo intelletto» che risponde
all’iniziativa divina999 .

––––––––––––––––––
997 CMt XIV, 6 (288, 30-289, 6): povteron de; w{ste kai; uJpagoreuqh'nai ta; toiau'ta
th/'de th/' grafh/' h] mhv, qeo;" a]n uJpobavloi ejn Cristw/' poih'sai to; ajresto;n aujtw/', movnon i{na
doqh/' kai; peri; touvtwn oJ dia; tou' pneuvmato" didovmeno" lovgo" sofiva" ajpo; tou' qeou' kai; oJ
kata; to; pneu'ma ejpicorhgouvmeno" lovgo" gnwvsew" (tr. Scognamiglio II, 119).
998 Cfr. supra, nota 656. Per testi analoghi che includono come qui il rinvio a 1Cor
12, 8, si veda note 908, 937, 1156.
999 In CMt XIV, 12 (304, 8-27) l’Alessandrino, mentre problematizza l’esegesi della
parabola, fa valere in generale per esse il procedimento dell’allegorizzazione e la sua par-
ticolare difficoltà: «Ma così bisogna pensare generalmente di qualsiasi parabola, la cui in-
terpretazione non è stata riportata dagli evangelisti, che Gesù spiegava ogni cosa ai propri
discepoli in disparte (Mc 4, 34), e i redattori dei vangeli tennero nascosta la chiara spie-
gazione delle parabole per questa ragione, perché le cose significate da essa superavano la
natura delle parole, e ciascuna spiegazione e chiarificazione di tali parabole era tale che
neppure il mondo avrebbe potuto contenere i libri scritti (Gv 21, 25) riguardo a queste pa-
rabole. Ma avvenga di trovare un cuore idoneo e capace, per la sua purezza, dell’intelli-
genza letterale della spiegazione delle parabole, in modo che s’iscriva in esso nello Spirito
di Dio vivente (2Cor 3, 3) (gevnoito d∆ ajneureqh'nai kardivan ejpithdeivan kai; dia; th;n
kaqarovthta cwrou'san ta; gravmmata th'" safhneiva" tw'n parabolw'n, w{ste ejn aujth/'
grafh'nai pneuvmati qeou' zw'nto")» (tr. Scognamiglio II , 134, trad. con modifiche). A que-
sto auspicio (gevnoito!) fa da riscontro la cautela dell’esegeta nell’avanzare la propria
spiegazione (305, 3-15): «quanto a noi, riconosciamo di essere ben lungi dal potere giun-
gere al senso profondo di questi testi, anche se, in certa misura, otteniamo una conoscenza
globale più modesta (tina; bracutevran perinoivan) del senso di questo passo; asseriremo
che, alcune di quelle cose che, a mezzo di molta indagine e ricerca ci sembra di scoprire,
sia per grazia di Dio sia per virtù del nostro intelletto (ei[te cavriti qeou' ei[te tou' ejn hJmi'n
nou' ), non osiamo consegnarle allo scritto; mentre altre le proporremo in qualche misura,
per esercitazione nostra e dei nostri lettori» (ibi, 135).
334 Parte seconda, Capitolo settimo
L’arduo impegno richiesto per Origene dalla spiegazione delle para-
bole nel testo del primo vangelo attira nuovamente una manifestazione
orante nel commento di Mt 20, 1-16, con la successiva parabola dei lavo-
ratori a giornata (CMt XV, 27-37). Il modo di procedere è pressoché ana-
logo al caso precedente, anche se l’avvio dell’esegesi è connotato imme-
diatamente da una preghiera a valore proemiale, che non ha nulla di ca-
suale nella sua formulazione, dato che l’Alessandrino vi riprende una mo-
dalità d’orazione presente – come abbiamo visto – anche in CRm, ed anzi
“teorizzata” in questo stesso tomo paolino:
«Dopo che avremo pregato Dio (Qew/' de; eujxavmenoi) e invocato il nome del Si-
gnore nostro Gesù <Cristo> (cfr. 1Cor 1, 2), mettiamoci ad esporre la parabola
e consideriamo quali cose ci sia dato (doqhvsetai!) di esaminare e asserire, o an-
che solo di suggerire a suo riguardo»1000.

Sulle prime il parallelo con CRm potrebbe indurre a pensare che Ori-
gene allinei qui il Padre e Cristo come destinatari, per così dire, “paritari”
della preghiera, ma ciò contrasterebbe con il passo precedente nel libro
XIV, che era del tutto conforme alla sua impostazione più caratteristica.
Del resto, l’uso di 1Cor 1, 2 senza ulteriori specificazioni tende semmai a
riservare al Padre il vocabolario della «preghiera» in senso proprio (eujxav-
menoi), mentre l’«invocazione del nome del Signore» insinua soprattutto
l’idea della partecipazione alla «mente di Cristo», richiamata a più riprese
come requisito ermeneutico necessario per l’intelligenza spirituale delle
parabole. Né deve suscitare interrogativi la mancata menzione dello Spi-
rito, dal momento che l’intero contesto della spiegazione è segnato dal-
l’imprescindibile richiamo ad esso. Infatti, alla consueta problematizza-
zione del testo a titolo preliminare, l’Alessandrino fa seguire immediata-
mente il riconoscimento per cui soltanto chi è ammaestrato dallo Spirito è
in grado d’intendere la parabola:
«Vorrei quindi garantire che la presente parabola ammette questi e altri simili
quesiti che uno potrebbe porre. Ma devo decisamente mettere in chiaro anche
questo: non c’è alcun altro che possa parlare in modo adeguato di questa parabola
se non chi ha affermato con verità: Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo (1Cor
2, 16). Ma chi è che ha riconosciuto il pensiero di Cristo (cfr. 1Cor 2, 16) che è
in questa parabola, se non colui che si è affidato al Paraclito (oJ ejmparascw;n
eJauto;n tw/' Paraklhvtw/), del quale il Salvatore dice: egli vi insegnerà ogni cosa
e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto (Gv 14, 26)? Se non è infatti il Paraclito a

––––––––––––––––––
1000 CMt XV, 27 (tr. Scognamiglio II, 259). Nella “retorica orante” di Origene que-
sta preghiera assolve la stessa funzione proemiale di Orat II , 6 e CC IV, 1 (cfr. supra, pp.
54, 266). Per il parallelo con CRm VIII, 5 si veda supra, p. 327. Peraltro, Origene adopera
senza problemi il verbo ejpikalei'sqai anche in relazione al Padre (cfr. ad esempio note
797, 861, 1010).
«Come incenso al tuo cospetto» 335
insegnare tutto quello che disse Gesù, compresa questa parabola, nulla si potrà
dire di essa che sia degno di Gesù»1001.

Siamo ancora ai preamboli dell’interpretazione vera e propria, che


Origene avvia per una seconda volta con un’intenzione formulare di pre-
ghiera: «Suvvia, noi che siamo ben lungi dalla profondità delle realtà
espresse e ben poco possiamo immaginare a riguardo, mettiamoci con pre-
ghiera a spiegarne parzialmente alcuni punti (ph' me;n met∆ eujch'" tina ejk
mevrou" ajpodw'men), a mostrarne un poco altri che vengono alla luce e così
andiamo avanti, dopo aver parlato convenientemente riguardo alla para-
bola ed al suo seguito»1002. Come si può notare anche da questo secondo
esempio, l’esegesi orante dell’Alessandrino è accompagnata costantemen-
te dalla professione del mistero racchiuso nelle Scritture ispirate, che ri-
chiede un interprete partecipe anch’egli di quello stesso Spirito, ed insie-
me dall’insistita ammissione dell’insufficienza del commentatore. Nella
preghiera, formulata o accennata, i due motivi vengono a saldarsi, così da
propiziare il compito che attende l’esegeta. Tuttavia, a conclusione della
spiegazione, ritorna, per così dire, la disgiunzione dei due aspetti, nel ri-
conoscere i limiti dei risultati raggiunti prefigurando al tempo stesso un
interprete più riccamente dotato dei doni dello Spirito:
«È probabile che qualcuno, più sapiente di noi e da Dio reso meritevole di un più
splendido carisma di linguaggio di sapienza per mezzo dello Spirito di Dio, più
ricco del dono del linguaggio di scienza secondo lo Spirito, con ogni compren-
sione trovi nella parabola significati più elevati e superiori, abbondi di prove e
riceva per esse parole più geniali. Per quanto ci riguarda, abbiamo esposto il senso
della parabola nei limiti della nostra comprensione. Ai lettori chiediamo indul-
genza se non siamo stati in grado di cogliere in maniera adeguata l’intenzione
delle cose scritte in questo testo»1003.

Questi due esempi ci hanno già chiarito che l’atto esegetico è, per
così dire, in nuce un atto orante, nel senso che la preghiera prelude o ac-
compagna l’esposizione del commentatore. Se in essi la giustificazione
più cogente proveniva dalle difficoltà peculiari del linguaggio parabolico
e della sua allegorizzazione, anche fatti narrati da Matteo possono deter-
minare il medesimo atteggiamento. È il caso dell’episodio dei due ciechi
di Gerico in Mt 20, 29-34, commentato al libro XVI (CMt XVI, 9-13). La
loro preghiera a Gesù – «Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide» (Mt
––––––––––––––––––
1001 CMt XV, 30 ( II, 265). Cfr. anche CMt XV, 31 (444, 27-445, 1): «In realtà però,
cercando <il senso del>l’una giornata della presente parabola, e avendo ritenuto che questa
si identifichi con l’eone presente, ci siamo addentrati nascostamente nelle profondità di
Dio, ed abbiamo bisogno dello Spirito (deovmenoi pneuvmato") che scruta ogni cosa, anche
le profondità di Dio (1Cor 2, 10)» (tr. Scognamiglio II, 268).
1002 CMt XV, 31 (tr. Scognamiglio II , 266-267).
1003 CMt XV, 37 (tr. Scognamiglio II , 284-285).
336 Parte seconda, Capitolo settimo
20, 30) – viene dapprima riletta in chiave storica con intensa partecipazio-
ne di Origene che ricollega la supplica e la testimonianza di fede racchiusa
in essa alla misericordia di Cristo. Poi il commento trapassa all’interpreta-
zione allegorica e questa transizione è segnata dall’invocazione per l’in-
telligenza spirituale, all’insegna del binomio «credere e comprendere», già
insinuato dal richiamo a Is 7, 9 («Se non crederete non comprendete»):
«Dato che noi, se non crediamo non comprendiamo neppure l’intenzione di ciò
che si dice, mentre è in base al credere che la comprendiamo, per questo espor-
remo secondo le nostre capacità ciò che su questo passo ci verrà in mente, dopo
aver pregato colui che ci preserva dal rischio che il Vangelo ci rimanga velato
(eujxavmenoi tw/' rJuomevnw/ hJma'" ajpo; tou' kekaluvfqai hJmi'n to; eujaggevlion) (cfr.
2Cor 4, 3)»1004.

Origene cambia per la terza volta la formulazione della preghiera,


accennando con una perifrasi al suo destinatario; ma dal seguito della
spiegazione emerge con chiarezza che si rivolge a Gesù, rafforzando così
l’impressione – contrariamente a quanto rilevato poc’anzi per il secondo
esempio – che l’Alessandrino non solo giustapponga Padre e Figlio come
coloro a cui indirizzare la preghiera, ma indichi anche semplicemente in
Cristo il suo destinatario. Tuttavia, considerando di nuovo l’insieme della
spiegazione dell’episodio evangelico, con il susseguirsi di apostrofi o pro-
nunciamenti oranti che la contraddistinguono, dobbiamo evidenziare so-
prattutto la flessibilità dei moduli espressivi, senza che la preghiera a Gesù
acquisti uno statuto formale preciso. C’è ancora un’altra considerazione
da fare riguardo alla modalità di tali esternazioni oranti: esse riflettono un
registro omiletico-parenetico, molto prossimo a quello delle omelie, che
porta a coinvolgere i lettori nelle intenzioni di preghiera e a riscrivere per
loro il passo evangelico parafrasandolo e attualizzandone il contenuto sul
piano morale e spirituale. Dunque, dopo aver sviluppato l’esegesi spiritua-
le dei due ciechi come figura di Israele e Giuda, l’Alessandrino formula
un primo auspicio di preghiera e ne introduce poco dopo un secondo, mi-
rato anch’esso ad ottenere l’immedesimazione (di interprete e lettori) con
la richiesta di salvezza dei due ciechi:
«Voglia il cielo (wJ" ei[qe) che Gesù chiami anche noi che abbiamo gridato a lui:
Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide, cominciando con il dire: Figlio di Da-
vide, e, fermandosi, ci chiami, perché fa attenzione alla nostra richiesta!»1005

––––––––––––––––––
1004 CMt XVI, 9 (503, 1-7 [tr. Scognamiglio III, 53, con leggere modifiche]).
1005 CMt XVI, 11 (507, 23-28): wJ" ei[qe kai; hJmw'n pro;" aujto;n kekragovtwn kai; le-
govntwn: ejlevhson hJma'", kuvrie, fwnhvsai hJma'" ajrcomevnou" ajpo; tou' uiJo;" Daui?d, kai; stav"
ge fwnhvsai hJma'" wJ" prosevcwn hJmw'n th/' ajxiwvsei (III, 57). Sull’uso del termine ajxivwsi"
per la preghiera di domanda si veda supra, nota 404. Quanto alle formulazioni con ei[qe si
veda supra, nota 773.
«Come incenso al tuo cospetto» 337
«Voglia il cielo (wJ" ei[qe) che pure noi, rendendoci conto di ciò che ci rende cie-
chi e non ci fa vedere, sedendo presso la strada delle Scritture e sentendo dire
che passa Gesù (Mt 20, 30), con la nostra richiesta (dia; th'" hJmetevra" ajxiwvsew")
riusciamo a farlo fermare e gli diciamo: Signore, che i nostri occhi si aprano! Se
lo diciamo mossi da intenzione e desiderio di vedere ciò che egli concede di ve-
dere toccando gli occhi dell’anima, il nostro Salvatore avrà compassione, ed in
quanto Potenza, Parola, Sapienza e tutte quante le realtà che la Scrittura riferisce
che egli è, e toccherà i nostri occhi che prima di lui non ci vedevano, ed al suo
tocco si allontanerà la tenebra e l’ignoranza, e subito non soltanto recupereremo
la vista, ma ci metteremo persino al suo seguito, e il nostro recuperare la vista
concorre a che non facciamo altra cosa che seguire colui che ci ha fatto vedere di
nuovo, affinché essendo continuamente al suo seguito, sia lui a guidarci verso
Dio (pro;" to;n qeovn) e con i nostri occhi che, grazie a lui, hanno ripreso a vedere,
contempliamo Dio (to;n qeovn) con quelli proclamati beati perché puri di cuore
(cfr. Mt 5, 8)»1006.

In ambedue le esternazioni oranti la supplica indirizzata a Gesù, in


realtà, fa emergere di nuovo il suo ruolo come mediatore al Padre, mèta
ultima della visione di Dio che il Logos dona agli «occhi dell’anima» libe-
randola dalla sua cecità tramite l’illuminazione interiore. Sarebbe dunque
fuori luogo contrapporre la duplice invocazione a Gesù al paradigma
della proseuchv per il solo Padre, non solo perché Origene riscrive pare-
neticamente il passo matteano, ma anche perché insiste nel variare in con-
tinuazione le sue formule, come osserviamo pure qui dal seguito dell’ese-
gesi. Il raffronto sinottico con le versioni dello stesso episodio fornite da
Marco e Luca porta infatti l’Alessandrino a ribadire la necessità del Logos
per un’interpretazione esaustiva1007. Alla fine della sua spiegazione, poi,
a rimarcare ulteriormente l’insufficienza dell’esegesi, Origene formula, a
beneficio soprattutto dei lettori, una preghiera per una comprensione più
profonda:
«Ecco quello che abbiamo notato, per il momento, sui passi <sia per intelligenza
diretta>, sia per assunzione di altri. Dio conceda a chi vuole un linguaggio di sa-
––––––––––––––––––
1006 CMt XVI, 11 (508, 18-509, 14 [III, 58-59]).
1007 CMt XVI, 12 (513, 31-514, 4): «Io credo che neppure un iota o un apice (Mt 5,
18) dei divini insegnamenti siano scevri di significato, anzi ritengo che chi riesce a inter-
pretare abbia gran bisogno del Logos, a motivo della difficoltà di interpretazione della
realtà (to; de; ejpitugcavnein eJrmhneuvonta hJgou'mai pollou' dei'sqai lovgou dia; to; duser-
mhvneuton tw'n pragmavtwn)» (tr. Scognamiglio III, 63, con il commento di Danieli, ad loc.).
Questo passo è da accostare a CMt XVI, 16: «In rapporto [...] al Logos-in-sé e alla gran-
dezza di Dio, noi non siamo che bestie; e non soltanto noi, ma anche quegli esseri che
sono ben più di noi dotati di logos e di sapienza; così pure, in rapporto alla razionalità del
Pastore, non siamo che pecore, per il fatto che anche la ragione degli uomini più perfetti,
confrontata al Logos-in-sé, è molto più distante da esso di quanto lo sia l’anima di un
asino, di un puledro o di una pecora, rispetto all’uomo» (tr. Scognamiglio III, 77 – da con-
frontare con Orat V, 2; supra, nota 186).
338 Parte seconda, Capitolo settimo
pienza più abbondante ed un linguaggio di scienza (cfr. 1Cor 12, 8) più fulgido,
affinché queste cose (che diciamo), paragonate a quelle che vengono da tali cari-
smi, risultino come una lampada a confronto del sole»1008.

A questi esempi più organici possiamo affiancarne altri che presen-


tano anch’essi le medesime caratteristiche, per cui in tutti i casi si ripropo-
ne il nesso fra atto dell’interpretazione e atto della preghiera. Così, se la
conclusione dell’esegesi sinottica sull’asina e il puledro con cui Gesù farà
il suo ingresso a Gerusalemme, in Mt 21, 1-5, non immette nel testo del
commentario un momento di preghiera vera e propria, ne riafferma però
l’esigenza con l’esortazione a «fare spazio ad una grazia maggiore riguar-
do a questo passo» 1009. Invece, la spiegazione dell’episodio della cacciata
dei mercanti dal Tempio (CMt XVI, 20-25) – che era già stato oggetto di
commento in CIo, come ricorda lo stesso Alessandrino –, è introdotta
espressamente dall’invocazione al Padre della sapienza1010. Ora, svisce-
rando le implicazioni ecclesiali del passo di Is 56, 7 («La mia casa è casa
di preghiera»), ripreso da Mt 21, 13, Origene si riappropria del luogo
matteano e lo parafrasa nella forma di un auspicio di preghiera: «Voglia
il cielo (ajll∆ ei[qe) che Gesù, entrando nel tempio del Padre, la Chiesa,
che è casa di preghiera, rovesci i tavoli dei cambiavalute e della gente at-
taccata al denaro»1011. Infine, anche per l’interpretazione della parabola
dei vignaioli omicidi in Mt 21, 33-46 (CMt XVII, 6-14) si riafferma l’idea
che un approfondimento esegetico effettivo può darsi soltanto tramite il
ricorso orante a Dio:
«Ora, come abbiamo detto, questa è una spiegazione di carattere piuttosto com-
plessivo e non basata sui singoli termini. Ma se uno che è spirituale e capace di
discernere ogni cosa (cfr. 1Cor 2, 15), ponesse ad essa molte questioni e bus-
sando alla sua oscurità cioè alla porta chiusa (cfr. Mt 25, 10; Lc 13, 25.27) dei

––––––––––––––––––
1008 CMt XVI, 13 (518, 19-26): tau'ta me;n ejpi; tou' parovnto" hJmei'" eij" tou;" tovpou"
<ei[te gnovnte"> ei[te labovnte", ei[domen: qeo;" de; doivh w|/ bouvletai lovgon sofiva" plou-
siwvteron kai; lovgon ejn fwti; gnwvsew" tranovteron, i{na tau'ta toi'" ajpo; toiouvtwn cari-
smavtwn sugkrinovmena euJrhqh/' wJ" luvcno" par/∆ h{lion (tr. Scognamiglio III, 67).
1009 CMt XVI , 17 (535, 3-9): «Questo è tutto quello che noi, per il momento, ab-
biamo visto su questo passo. Chi ne è capace, e fa spazio ad una grazia maggiore riguardo
a questo passo (cwrw'n meivzona eij" to;n tovpon cavrin), dica pure cose più grandi ed ele-
vate. Quanti sono assetati dalla spiegazione del Vangelo, diano a lui maggiore ascolto»
(tr. Scognamiglio III, 82-83).
1010 CMt XVI, 20 (544, 14-21): «Ma siccome anche qui il contesto (oJ eiJrmov" ) esige
che parliamo di queste cose come sono esposte nel testo di Matteo, invochiamo il Padre
della sapienza (to;n Patevra th'" sofiva" ejpikalesavmenoi) e vediamo se possiamo dire su
questo brano qualcosa di degno circa il gesto audace di Gesù» (tr. Scognamiglio III, 92).
1011 CMt XVI, 21 (549, 2-7 [tr. Scognamiglio III, 97]). Origene sembra prediligere
spesso in CMt la riscrittura parafrastica del testo evangelico, capace di farne emergere i
risvolti attualizzanti.
«Come incenso al tuo cospetto» 339
pensieri qui nascosti, cercasse correttamente, lo troverebbe e se lo chiedesse a
Dio (aijthvsa" ajpo; tou' qeou'), lo otterrebbe (cfr. Mt 7, 7)»1012.

In conclusione, mai come in CMt Origene testimonia di voler saldare


la pratica dell’interprete delle Scritture divine all’esperienza della pre-
ghiera1013. Per essa, infatti, quella stessa problematizzazione del primo
vangelo messa in atto dall’esegeta attraverso il metodo della quaestio, più
evidente qui che nei commentari precedenti, ha chances di trovare rispo-
sta. In ultima analisi, solo in questo modo è possibile superare la situa-
zione di “aporeticità” che l’Alessandrino ha così ben descritto in un passo
delle Series come la costante quotidiana della sua impresa sul testo sa-
cro1014. Ma tale fiducia nella possibilità di «trovare» ciò che l’interprete
«cerca», appare strettamente legata all’idea stessa della preghiera come
Matteo la propone nella vita e nell’insegnamento di Gesù.

3.2.4.2. La preghiera di Gesù: l’intercessione per gli uomini e l’adesione


alla volontà di Dio

Il modello di Gesù orante, che ha valore di riferimento vincolante fin


da Orat e ritorna successivamente in varia forma negli altri trattati e nei
commentari, è approfondito da CMt sotto il duplice profilo dell’esperienza
di preghiera del Salvatore e dell’insegnamento ch’egli trasmette al riguar-
do. Nella trama del primo vangelo, seppure non con la frequenza di Luca,
si susseguono le testimonianze sulla preghiera di Gesù, che non passano
––––––––––––––––––
1012 CMt XVII , 6 (594, 3-14 [tr. Scognamiglio III, 148]). Un identico modo di proce-
dere figura ancora in CMt XVII, 17 (634, 7-12), a proposito della parabola degli invitati al
banchetto (Mt 22, 1-14), dove Origene offre prima una spiegazione riassuntiva, poi una
dettagliata, con la premessa relativa all’intelligenza profonda: «Ma tenteremo di tornare a
esaminare secondo le (nostre) presenti capacità (per vedere) se forse con l’aiuto dello Spi-
rito della sapienza (bohqevnte" uJpo; tou' th'" sofiva" pneuvmato"), possiamo rinvenire alcuni
aspetti più profondi della parabola» (tr. Scognamiglio III, 189-190). Sull’interpretazione
origeniana della parabola dei vignaioli omicidi si veda Simonetti 2004b, 173-184.
1013 Un’ultima attestazione al riguardo la troviamo in CMt XVII, 32 (678, 22-26),
dove Origene tratta la questione della resurrezione dai morti in relazione al caso della
donna con sette mariti (Mt 22, 23-33). Dopo l’interpretazione letterale ed una prima di li-
vello tropologico, Origene inserisce una preghiera per l’intelligenza spirituale onde per-
venire ad un livello più profondo: «Ma ecco che di nuovo, anzi di più abbiamo bisogno
che Dio illumini in Cristo la nostra mente (qeou' de; hJmi'n pavlin h] kai; ma'llon creiva, ejn
Cristw/' fwtivzonto" to;n nou'n hJmw'n) per considerare quello che segue» (tr. Scognamiglio
III, 236).
1014 CMtS 38 (72, 19-24): «Et cottidie hoc ipsum videmus in nobis, quando quae-
rimus aliquem veritatis sensum in Scripturis: priusquam inveniamus quod quaerimus, ali-
quam inopiam sensuum patimur, donec solvitur in nobis inopia sensuum a Deo, qui dat
dignis escam in tempore opportuno (Sal 144[145], 15) ad manducandum et vestimentum
ad induendum».
340 Parte seconda, Capitolo settimo
inosservate allo sguardo dell’interprete. Così, dopo la prima moltiplica-
zione dei pani e dei pesci (Mt 14, 15-21), l’evangelista racconta che Gesù
costringe i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra sponda,
mentre lui, congedate le folle, sale sul monte a pregare in solitudine (Mt
14, 22-23). Dinanzi a questa scena l’Alessandrino si raffigura Gesù che
prega il Padre sia per le folle che per i discepoli: «per le folle, affinché
dopo aver mangiato i pani di benedizione non compissero alcunché di
contrario al congedo ricevuto da Gesù, e per i discepoli, affinché costretti
da lui a salire sulla barca e a precederlo sulla riva opposta, non avessero a
soffrire alcun male sul mare né da parte dei flutti che squassavano la loro
barca, né da parte del vento contrario»1015.
È interessante notare che, se Matteo tace sul contenuto dell’orazione
di Gesù, Origene invece la specifica come preghiera di domanda, rivolta
al Padre a beneficio sia dei protagonisti dell’episodio precedente (le folle
saziate) sia di quelli del successivo (i discepoli sulla barca). Ora, poiché
la traversata del lago indica simbolicamente le difficili prove nella «navi-
gazione» della vita, l’Alessandrino precisa ancora, in particolare, l’effica-
cia protettiva della preghiera di Gesù per i suoi discepoli, insinuando già in
questo primo quadro il frequente motivo dell’orazione esaudita1016. Egli
lo ribadisce immediatamente dopo nel commentare il salvataggio di Pietro,
che affonda nelle acque per la sua poca fede, ma è comunque esaudito dal
Logos in risposta all’invocazione di aiuto1017.
––––––––––––––––––
1015 CMt XI, 6 (tr. Scognamiglio, 219).
1016 CMt XI, 6 (43, 22-24): Kai; qarrhvsa" ei[poimi a]n o{ti, dia; th;n tou' ∆Ihsou' pro;"
to;n patevra peri; tw'n maqhtw'n eujchvn, oujde;n pepovnqasin ou|toi, qalavssh" kai; kumavtwn
kai; ejnantivou ajnevmou aujtoi'" ajntiprassovntwn, «E oserei dire che, grazie alla preghiera di
Gesù rivolta al Padre per i suoi discepoli, questi non hanno subìto alcun male, malgrado
l’infuriare del mare, delle onde e del vento avverso contro di loro» (tr. Scognamiglio, 219).
1017 CMt XI, 6: «se tra noi si troverà mai un Pietro, in cammino verso la perfezione
ma non ancora divenuto tale, scenderà dalla barca, come ad uscire dalla tentazione in cui
veniva agitato, e sulle prime camminerà, volendo andare da Gesù sulle acque, ma, essendo
ancora uomo di poca fede e avendo ancora dei dubbi, vedrà la violenza del vento, ne avrà
paura e comincerà ad affondare, ma questo non gli accadrà, perché invocherà Gesù a gran
voce e gli dirà: Signore, salvami! (Mt 14, 30). Subito dopo, mentre Pietro starà ancora
parlando (e[ti lalou'nto" [cfr. Is 58, 9]) e dicendo: Signore, salvami!, il Logos stenderà la
mano, gli porgerà aiuto, lo afferrerà nel momento in cui comincerà ad affondare e lo bia-
simerà per la poca fede e il dubbio» (tr. Scognamiglio, 223). Come mostra l’allusione a Is
58, 9, la preghiera di Pietro richiama quella della sposa del Cantico (cfr. supra, note 883,
921). Invece CMtS 88 (202, 18-24), discutendo il triplice diniego di Pietro, afferma che se
egli avesse pregato, probabilmente l’avrebbe evitato, tanto che Origene con una prosopo-
pea mette in bocca all’apostolo la seguente preghiera: «Debuerat enim, postquam audivit
quia omnes vos scandalum patiemini hac nocte (Mt 26, 31), ut postulasset dominum et
dixisset: Et si omnes scandalizati fuerint in te (Mt 26, 33), esto in me, ut ego non scanda-
lizer, et dona mihi praecipue gratiam hanc, ut in tempore cum omnes discipuli tui fuerint
scandalum passi, ego in denegationem non cadam nec ab initio scandalizer. Si enim po-
stulasset, forsitan amotis ab eo ancillis ceterisque ministris non denegasset».
«Come incenso al tuo cospetto» 341
Anche la scena successiva che descrive Gesù in atto di pregare – il
racconto della Trasfigurazione in Mt 17, 1-2, riletto però, tra i paralleli si-
nottici (Lc 9, 29; Mc 9, 2), alla luce di una variante marciana – è sfruttata
da Origene per confermare l’idea che si tratti in primo luogo di una pre-
ghiera di domanda o intercessione presso il Padre, la quale compete al
Logos fatto carne nel suo ruolo di Sommo Sacerdote:
«In seguito, dovendo spiegare anche le parole del Vangelo di Marco: Mentre
pregava, fu trasfigurato davanti a loro, è da dire che forse possiamo vedere il
Logos trasfigurato davanti a noi, se facciamo quanto detto prima: se saliamo sul
monte, vediamo il Logos-in-sé conversare con il Padre e pregarlo per quelle cose
che come vero sommo sacerdote può chiedere al solo vero Dio (kai; i[dwmen to;n
aujtovlogon koinologouvmenon pro;" to;n Patevra kai; eujcovmenon aujtw/', uJpe;r w|n
eujxait∆ a]n ajlhqino;" ajrciereu;" ajlhqinw/' movnw/ qew/' ). Per conversare così con
Dio e pregare il Padre (i{na de; ou{tw qew/' oJmilh/' kai; proseuvxhtai tw/' patriv ), sale
sulla montagna»1018.

Non è certo esclusa, come si vede, la prospettiva della preghiera


come «conversazione» o «colloquio» (oJmiliva) del Figlio con il Padre, ma
essa appare comunque subordinata al suo profilo di richiesta o supplica,
peraltro secondo lo statuto che conosciamo bene da Orat. Allo stesso
modello rinvia anche l’affermazione, ripetuta due volte, della preghiera al
Padre come «solo vero Dio», lasciando intravedere di nuovo l’idea del
Padre come destinatario ultimo. Di tenore analogo è poi l’interpretazione
di Gv 17, testo richiamato da Origene a commento di Mt 18, 7 («Guai al
mondo per gli scandali!»). L’occasione è data appunto dalla spiegazione
del termine «mondo» nel passo matteano, che per l’Alessandrino va rife-
rito non all’intero «complesso composto dal cielo e dalla terra» e abitato
dagli astri e dagli angeli, ma soltanto allo «spazio [...] terreno della nostra
terra abitata»1019. Tale accezione trova conferma nella preghiera di Gesù
al Padre tramandata dal quarto vangelo, a proposito della quale Origene
dichiara: «È infatti da questo mondo che il Padre diede al Figlio degli
uomini, e solo per loro prega il Salvatore, e non per tutto il mondo degli
uomini»1020. Anche in questo caso predomina insomma la prospettiva della
––––––––––––––––––
1018 CMt XII , 39 (tr. Scognamiglio, 355-356). Come nota Danieli ad loc., «il testo
che parla esplicitamente della preghiera è quello lucano; nel testo marciano due varianti in-
seriscono: “Mentre essi pregavano” o “mentre egli pregava”, il che può far pensare a una
utilizzazione origeniana di manoscritti che contenevano queste armonizzazioni tardive»
(p. 355, nota 45). Sul contesto orante della trasfigurazione si veda anche infra, nota 1025.
1019 CMt XIII, 20 (tr. Scognamiglio II, 71).
1020 CMt XIII, 20 (tr. Scognamiglio II, 72). Si veda ancora l’interpretazione di Gv
17, 5 in CMt XV , 23 (419, 24-29): «Si realizzerà allora il desiderio espresso nella preghie-
ra del Salvatore (tovte de; kai; ajpodivdotai ta; th'" eujch'" tw/' swth'ri eujxamevnw/): Padre,
glorificami con la gloria che avevo presso di te, prima che il mondo fosse» (tr. Scogna-
miglio II, 246; leggermente modificata).
342 Parte seconda, Capitolo settimo
supplica, rispetto alle altre forme dell’orazione, che pure conosce modu-
lazioni distinte.
Lo si intravede en passant nel commento alla benedizione dei bam-
bini in Mt 19, 13-15 (CMt XV, 6-9), dove l’Alessandrino riflette sul fatto
che Gesù riservi ai «piccoli» solo l’imposizione delle mani, come se essi
non fossero ancora suscettibili di ricevere i benefici della preghiera al
Padre, intesa qui evidentemente come invocazione per i beni spirituali più
grandi e adatti a coloro che, come i discepoli, seguono Gesù1021. O ancora,
nel commento a Mt 20, 22-23, riflettendo sulle parole di Gesù in risposta
alla richiesta della madre di Giovanni e Giacomo («Non sapete quel che
chiedete», «Non sta a me concedere che sediate alla mia destra e alla mia
sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio»), viene
segnalato come interrogativo meritevole di approfondimento il fatto che
stando ai vangeli, alcuni doni richiedono la preghiera del Figlio al Padre,
mentre per altri «Gesù agisce senza pregare»1022. In questo come nell’e-
sempio precedente Origene si limita a suggerire piste di ricerca, per appro-
fondire ulteriormente la varietà di manifestazioni della preghiera di Gesù.
L’esperienza orante del Salvatore trova il suo apice al momento della
passione. Guardando al prologo di essa, Origene, ancor prima di commen-
tare ampiamente la preghiera nel Getsemani, osserva che Gesù «doveva
[...], avvicinandosi l’ora, pregare di più, non una né due, ma tre volte fin-
ché giungesse l’ora in pienezza»1023. Inoltre, come corollario di Mt 20, 22
(«Potete bere il calice che io sto per bere?»), già riflette sull’invocazione
nell’Orto degli Ulivi: «Padre, se è possibile, fa che passi da me questo
calice» (secondo Mc 14, 36). Identificandolo con la «prova del martirio»,
egli ne parla come del «calice che con sofferenza viene bevuto da colui
che accetta le lotte del martirio sino a svuotarne il contenuto, sopportando

––––––––––––––––––
1021 CMt XV, 9 (372, 15-23): «Considera, pertanto, se la preghiera (th;n proseuchvn)
di Gesù tu possa riservarla a coloro che sono superiori ai bambini, capaci di fare spazio
sia all’imposizione delle mani su di loro, sia alla preghiera al Padre per loro (th;n peri;
aujtw'n pro;" to;n Patevra eujchvn), ma considera anche se puoi dire che per i bambini più
piccoli basta l’imposizione delle mani» (tr. Scognamiglio II , 204).
1022 CMt XVI, 5 (480, 22–481, 3): «Chi può, cerchi di capire quali sono i doni ac-
cordati dal Salvatore e quali quelli accordati dal Padre, considerando che alcuni doni potrà
darli non il Figlio, ma il Padre. Anche se tale fatto è mostrato dai Vangeli, che in alcuni
casi introducono il Salvatore che prega per compiere prodigi, perché il Padre ne esaudisca
le richieste (to;n swth'ra eujcovmenon periv tinwn dunavmewn i{na aujtw/' uJparcqh/' ta; aijthv-
mata ajpo; tou' Patrov"), in altri casi invece Gesù agisce senza pregare (cwri;" eujch'"),
come se avesse già i poteri che chiede, non è cosa facile indagare su ciò. Tuttavia, chi
può, faccia questa ricerca, ma con rispetto» (tr. Scognamiglio III, 29-30). Cfr. inoltre CMt
XIII, 3, circa le modalità diverse di ottenere da Gesù la guarigione, e CMt XI, 17, dove si
attira l’attenzione sulla varietà nel formulare le richieste o preghiere a Gesù.
1023 CMtS 74 (175, 14-16): «Adhuc autem oportebat eum hora adpropinquante ma-
gis orare, non semel nec bis sed ter, donec hora plenius adveniret».
«Come incenso al tuo cospetto» 343
tutte le sofferenze che gli vengono inflitte»1024. L’esemplarità dell’ade-
sione totale di Gesù al volere del Padre è dunque indicata per tempo dal-
l’Alessandrino come la chiave di lettura dell’episodio. Ma in CMtS 89-95
egli sviscera a fondo le circostanze e il significato della preghiera nel
Getsemani, a cominciare dal luogo in cui si svolge e dal fatto che Gesù
preghi in solitudine, tenendosi a distanza dai discepoli. Attraverso l’ese-
gesi di questi particolari Origene fa scaturire risvolti importanti per la
preghiera dei cristiani, come vedremo in seguito, inculcando dapprima la
raccomandazione di pregare nell’isolamento e di evitare la compagnia dei
malvagi. È sempre l’esempio di Gesù orante a formire l’argomento deci-
sivo, poiché l’Alessandrino ricorda come egli abbia agito più volte in
questo modo, operando la guarigione della figlia di Giairo solo dopo aver
fatto allontanare tutti, eccetto Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli
davanti ai quali si è trasfigurato sul monte, gli stessi che lo accompagna-
no al Getsemani1025.
Fin dal suo avvio la triplice preghiera di Gesù al Getsemani è vista
come l’esemplificazione della condizione agonica dell’uomo, posto nella
lotta tra la carne e lo spirito, anche se questa investe in maniera diversa la
persona del Logos incarnato1026: infatti egli, pur essendo simile in tutto
agli uomini in forza della comune natura, prova soltanto gli «inizi» della
tristezza senza divenire preda della passione vera e propria1027. In tal modo
Gesù assume in nuce la debolezza dell’uomo per indurlo con il suo stesso

––––––––––––––––––
1024 CMt XVI, 6 (tr. Scognamiglio III, 33). L’identificazione fra «calice» e «marti-
rio» compare anche in CMtS 92.
1025 CMtS 89 (204, 26-30): «melius est cum nullo orare quam cum malis orare. Ad
demonstrationem autem traditionis istius utetur exemplo, quod Iesus in domo Iairi sacer-
dotis oraturus pro mortua filia eius omnes eiecit foras (cfr. Mc 5, 40) et tres tantum elegit
secum, qui et super monte facti fuerant testes transfigurationis ipsius»; cfr. anche CMtS 90
(205, 15-17): «Hos ipsos autem discipulos adsumpsit et super montem, cum esset transfi-
gurandus, et ad filiam Iairi sacerdotis».
1026 In CMtS 92 (210, 14-17) l’Alessandrino ricorda che la scena dell’agonia, atte-
stata anche da Mc e Lc, è assente in Gv e lo spiega con il fatto che i Sinottici parlano del
Logos incarnato in quanto uomo, diversamente da Gv che lo considera come Dio: «Cau-
sam autem hanc arbitror esse, quoniam hi quidem magis secundum humanam eius natur-
am exponunt de eo quam secundum divinam, Iohannes autem magis secundum divinam
quam secundum humanam».
1027 In CMtS 90 (205, 23-206, 4) Origene spiega Mt 26, 37 («cominciò a provare
tristezza e angoscia»), come un sentimento dettato inizialmente in Cristo dalla prospettiva
dei suoi avversari, «i re ed i principi della terra» di Sal 2, 2: «Multum enim interest inter
tristari et incipere tristari. Si ergo aliquis defendens passiones humanas profert nobis etiam
ipsum tristatum fuisse Iesum, audiat quoniam, qui temptatus est per omnia secundum
similitudinem praeter peccatum (Eb 4, 15), hic non est tristatus tristitia passionis ipsius,
sed factus est secundum humanam naturam tantum in ipso principio tristitiae et pavoris».
Abbiamo qui l’abbozzo della dottrina della propavqeia che verrà sviluppata da Didimo il
Cieco: cfr. Layton, 114-134, in part. pp. 121-123.
344 Parte seconda, Capitolo settimo
esempio alla consapevolezza della propria fragilità, la quale deve a sua
volta spingere a non presumere di sé e a richiedere invece umilmente il
soccorso divino. Non diversamente da Orat, quindi, la preghiera nasce
dalla fondamentale situazione di bisogno dell’uomo, che non può contare
sulle proprie forze e si affida a Dio nella preghiera1028. Ora, tutto l’agire
di Gesù nell’agonia del Getsemani è animato secondo Origene dall’intento
di offrire un modello di condotta; perciò egli insiste sull’esemplarità della
preghiera del Salvatore, nei gesti e nelle parole, facendone emergere il si-
gnificato ancora attuale:
«Ecco perché noi dobbiamo rimanere lì dove ci comanda Gesù, per cui anche
l’Apostolo raccomanda che ciascuno resti nella vocazione in cui era quando fu
chiamato e vi resti presso Dio (1Cor 7, 20), in modo da fare di tutto per vegliare
al pari di lui, che non si addormenta né prende sonno nel custodire Israele (Sal
120[121], 4). A questo punto poi ha condotto quelli, e specialmente Pietro, che
nutriva grande fiducia in se stesso, affinché vedano e ascoltino fin dove giunge la
possibilità dell’uomo ed in che modo egli impetri pregando (ubi est posse hominis
et quomodo impetratur). Lo vedano prostrarsi con la faccia a terra, lo ascoltino
mentre dice: Padre, se è possibile, passi da me questo calice, ed imparino a non
farsi un’idea troppo grande di se stessi, ma a stimare le cose umili, e a non essere
precipitosi nel promettere, bensì solleciti nel pregare»1029.

La verità esistenziale che si manifesta all’uomo nell’atto di pregare


risulta essenziale, perché essa gli dona il senso dei suoi limiti (ubi est
posse hominis). E ciò è tanto più necessario per chi, temerariamente, è si-
curo di sé come Pietro, il cui rinnegamento ormai prossimo già aleggia
nell’interpretazione che l’Alessandrino dà del gesto orante del Salvatore.
Gesù che prega prostrandosi con la faccia a terra è esempio di umiltà,
una umiltà che arriva al culmine con l’obbedienza fino alla morte in croce.
Egli prega a poca distanza dai discepoli, perché così possano contemplarlo
come un modello a cui attenersi. Dopo aver detto «Se è possibile, passi
da me questo calice», «manifesta la sua devozione come figlio diletto
(cfr. Fil 2, 8) e condiscendendo alle disposizioni del Padre aggiunge:
Però non come voglio io, ma come vuoi tu (Mt 26, 39)», sicché egli «ci
insegna a non pregare che si compia la volontà nostra, ma quella di Dio
(docens ut non oremus nostram fieri voluntatem sed Dei), qualora accada
che vogliamo qualcosa di diverso da Dio»1030. La richiesta perché «passi
il calice» è conforme all’«inizio» di passione e tristezza, corrisponde cioè
––––––––––––––––––
1028 CMtS 90: «perché una fiducia incauta porta all’orgoglio, mentre il timore della
debolezza induce a rifugiarsi nell’aiuto di Dio, come ha indotto lo stesso Signore ad avan-
zarsi un poco, a prostrarsi con la faccia a terra e pregare (cfr. Mt 26, 39)» (tr. Scognami-
glio, 111).
1029 CMtS 91 (tr. Scognamiglio, 114).
1030 CMtS 92 (tr. Scognamiglio, 114).
«Come incenso al tuo cospetto» 345
alla partecipazione di Gesù alla debolezza della carne, ma su questa vince
l’adesione dello spirituale alla volontà di Dio 1031.
Una seconda spiegazione, senza tradire alcun condizionamento apolo-
getico verso le accuse pagane (come vediamo in CC) ma ispirata semmai
dalla visuale paolina di Rm 11, conferisce all’orazione nel Getsemani una
dimensione diversa, poiché introduce la prospettiva delle conseguenze sto-
rico-salvifiche della passione del Salvatore come filius caritatis: non è dun-
que la resistenza della carne alla sofferenza e alla morte imminenti che lo
spinge a supplicare il Padre, bensì la prescienza amorosa delle conseguen-
ze negative che la sua passione avrebbe implicato per il popolo d’Israele
e per l’apostolo-traditore Giuda, destinati tutti a perdere la loro elezione.
Gesù dunque prega inizialmente perché siano risparmiati dal giudizio e
dalla punizione divini, ma si rimette alle decisioni del Padre, al quale rico-
nosce un disegno provvidenziale di più vasta portata. Anche in questo caso
l’esemplarità della preghiera di Gesù è confermata con il sottolineare che
egli fa sua la volontà del Padre, sottomettendo a lui il proprio volere1032.
La seconda e la terza preghiera confermano le disposizioni di spirito
di Gesù, nel senso che per Origene egli si rimette ancora alla volontà sal-
vifica del Padre, secondo il cui disegno la sua morte apporterà salvezza
all’umanità, rinunciando così al proprio volere1033. Ma la costanza di Gesù
nel pregare è messa in contrasto, nel racconto evangelico come nell’inter-
pretazione origeniana, con la debolezza dei discepoli, incapaci di vegliare
e di pregare anche loro sull’esempio del Salvatore. Ciò riporta in primo
piano il motivo del conflitto tra la carne e lo spirito, reso esplicito nelle
parole di Gesù in Mt 26, 41: «Lo spirito è pronto, la carne è debole». Con
un’applicazione omiletico-parenetica Origene ricava qui l’esortazione, da
un lato, a pregare perché Gesù non si allontani da noi neanche un istan-
te1034; dall’altro, a «vegliare» pregando, nel senso cioè di compiere le
«opere buone», condizione perché la preghiera venga esaudita1035. Infine,
––––––––––––––––––
1031 CMtS 92 (208, 19-23): «proprium est omnis hominis fidelis, primum quidem
nolle pati aliquid doloris, maxime quod ducit usque ad mortem, quia homo est carnalis, si
autem sic voluerit Deus, adquiescere etiam contra voluntatem suam, quia fidelis est, ne
plus videatur in se desperare quam in Deum sperare».
1032 CMtS 92 (209, 22-25): «Ac si dicat: ista quidem est mea voluntas, sed quoniam
tua voluntas multo eminentior est (quasi ingeniti Dei, quasi patris omnium), propterea
magis volo tuam voluntatem fieri quam meam».
1033 CMtS 95 (213, 25-26): «Propter exitum ergo bonum, qui erat futurus post bibi-
tam amaritudinem calicis, orat vice secunda».
1034 CMtS 93 (211, 1-4): «Propter quod oremus, ut nec modicum aliquando Iesus
progrediatur a nobis, sed inpleat quod promisit in nobis dicens: Ecce ego vobiscum ero
omnibus diebus usque ad consummationem saeculi (Mt 28, 20)».
1035 CMtS 93 (211, 10-13): «Vigilat autem qui facit opera bona, vigilat qui sollicite
agit de fidei veritate, ne in aliquod tenebrosum dogma incurrat. Qui enim sic vigilans orat,
illius exauditur oratio».
346 Parte seconda, Capitolo settimo
a commento della terza preghiera di Gesù (Mt 26, 44) e ad ulteriore riaf-
fermazione della sua esemplarità di orante, l’Alessandrino invita a non
venir meno nell’impetrare da Dio ciò per cui ci rivolgiamo a Lui1036.
Se la scena del Getsemani rappresenta il prologo della vicenda della
passione, situandola entro un orizzonte di preghiera, anche il suo epilogo
con la morte in croce di Gesù si colloca in questo stesso orizzonte, dal
momento che Origene considera sia il primo grido del Crocifisso (Mt 27,
46) sia il secondo (Mt 27, 50) alla stregua di una preghiera. Il grido di de-
relizione in Mt 27, 46 («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»)
è in realtà per lui una preghiera di Gesù in vista della salvezza del mondo,
operata appunto dall’abbassamento della forma dei nel Logos fatto carne
e reso obbediente fino alla morte. Questa salvezza si profila simbolica-
mente nel segno del sole, che ritorna dopo l’oscurità delle «tre ore» fino
alla morte del Salvatore1037. Così, nell’esegesi dell’Alessandrino, le pa-
role del Crocifisso trapassano dalla drammatica confessione dell’abban-
dono del Figlio di Dio da parte del Padre all’idea dell’abbandono del po-
polo eletto e con esso alla chiamata dei gentili alla salvezza. Anche le
donne venute dalla Galilea, che osservano lo spectaculum Verbi (Mt 27,
55-56), ammirano di Gesù morente, in particolare, il suo atteggiamento di
preghiera 1038. In un certo senso, dunque, possiamo dire che le due preces
del Crocifisso, ultimo atto terreno prima di spirare, rappresentano un mo-
tivo unificante delle Series dedicate al racconto della morte (CMtS 135-
140), manifestando anch’esse l’esemplarità dell’orante nel suo rapporto
con il Padre. Non a caso Origene, soffermandosi ancora sulle reazioni
degli astanti, istituisce un confronto tra la preghiera di Gesù sulla croce e
la preghiera di Giona nel ventre del pesce: indicata da Orat come esem-
pio di proseuchv, cioè della «preghiera spirituale» per eccellenza, la pre-
ghiera del profeta è richiamata con l’intento di sottolineare quanto più
grande fosse agli occhi degli stessi spettatori la preghiera di Gesù croci-
fisso, visti i segni straordinari che accompagnano la sua morte1039.
––––––––––––––––––
1036 CMtS 95 (215, 3-6): «Unde non eos reprehendit, sed vadens iterum tertia vice
oravit idipsum (Mt 26, 44), docens et nos per hoc ipsum, ut non deficiamus in oratione
sed permaneamus in ipso verbo orationis, donec impetremus ea quae postulare iam coepi-
mus».
1037 Cfr. CMtS 135 (280, 28–281, 4): «Ergo tenebrae quidem a sexta hora factae
sunt super omnem terram usque ad nonam (Mt 27, 45); prius autem quam finiatur nona,
clamavit dominus circa eam voce magna, dicens quae scripta sunt, quasi postulans ut oria-
tur sol terrae, solvens in ea tenebras trium horarum secundum quod tradidimus supra».
1038 CMtS 141 (293, 9-12): «Aspiciunt ergo mortificationem corporis Iesu et mo-
dum, quo cum precibus spiritum suum commendavit patri».
1039 CMtS 136 (281, 8-14): «Tamquam si audissent quoniam Deum vocavit, atque
mirati fuissent orationem eius in cruce maiorem, quam fuit oratio Ionae orantis in utero
ceti, et prodificati fuissent, ut etiam in extremis calamitatibus constituti orare non desinant
Deum. Maiorem autem dico orationem Christi fuisse quam Ionae in utero ceti propter
«Come incenso al tuo cospetto» 347
L’interpretazione origeniana del secondo grido (Mt 27, 50) colma il
silenzio di Matteo grazie alla comparazione sinottica con Luca e Giovan-
ni, e attribuisce quindi a Gesù le parole di Lc 23, 46 («Padre, nelle tue
mani affido il mio spirito [Sal 30(31), 6]») e l’atteggiamento descritto in
Gv 19, 30 («chinato il capo, consegnò lo spirito»). È proprio la menzione
dello «spirito» che fa della morte di Gesù una morte esemplare, in quanto
egli può «con piena fiducia affidare o consegnare il proprio spirito nelle
mani di Dio». L’Alessandrino tende insomma a privilegiare il motivo
della morte di Gesù in chiave parenetica come il modello della morte dei
santi, attirando di seguito il lettore in quello stesso movimento di preghie-
ra, che scaturisce in partenza dalla sua interpretazione dei due «gridi» del
Crocifisso. La spiegazione si trasforma allora in esegesi «orante», non tan-
to mediante la preghiera formulata dallo stesso interprete del vangelo –
come abbiamo osservato in precedenza –, bensì come espressione condi-
visa della comunità di interprete e lettori, chiamati egualmente a pervenire
all’intelligenza profonda delle Scritture e al perfezionamento spirituale
che ne consegue. È una sosta «contemplativa» del commento, segnata
dalla triplice ripresa della commovente immagine del capo di Gesù, che
reclinandolo lo fa «riposare [...] nel grembo del Padre». Origene la ricava
con libera e intensa immedesimazione dal sobrio cenno al «capo chinato»
di Gv 19, 30, e in questa immagine culmina la trama dei paralleli evange-
lici addotti a illustrazione della morte di Gesù secondo Mt 27, 50. Al
tempo stesso la contemplazione di Gesù nel grembo del Padre apre ormai
alla visione del Risorto.
«Se dunque abbiamo ben capito che cosa significhi gridare a gran voce e quindi
emettere lo spirito (Mt 27, 50), ossia affidarlo nelle mani di Dio (così abbiamo
spiegato più su, citando il racconto dell’evangelista Luca [Lc 23, 46]), se abbia-
mo capito cosa voglia dire inclinare il capo, e consegnare lo spirito (Gv 19, 30),
premuriamoci di salvare la nostra vita, affinché alla nostra morte anche noi pos-
siamo gridare a gran voce e quindi emettere lo spirito, o inclinare il capo e con-
segnare lo spirito, come fece Gesù: inclinò la testa, e andò via, facendo come ri-
posare il capo nel grembo del Padre, che lo poteva sostenere e confortare nel suo
seno (et quasi supra patris gremium illud repausans exiit, qui poterat illud in
sinu suo fovere et confortare). E se vuoi intendere quale vantaggio ebbe il Cristo
nel gridare a gran voce ed emettere quindi lo spirito, ossia nell’affidarlo nelle
mani del Signore, e nell’averlo così emesso, reclinando il capo sul grembo del
Padre e consegnando lo spirito, ascolta che cosa dice il profeta: perciò, non ab-
bandonò la sua anima nell’inferno e non gli lasciò vedere la corruzione (Sal 15
[16], 10). Se pertanto anche noi avremo agito in modo da poter affidare il nostro
spirito nelle mani di Dio, da reclinare la testa sul suo grembo, e così rendere lo
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magnitudinem rerum quae demonstrantur ex ea, et propter magnum effectum voluntariae
passionis eius». Su Gio 2, 2-4 come esempio di proseuchv si veda Orat XIV, 4 (nota 431).
Cfr. anche Duval, 203-205.
348 Parte seconda, Capitolo settimo
spirito, nessun dubbio che egli non abbandoni neanche le nostre anime nell’in-
ferno e non ci lasci per sempre nella corruzione. Ma colui che dopo il terzo giorno
richiamò il Cristo dall’inferno, di lì farà tornare anche noi ad un momento oppor-
tuno, e colui che concesse che la sua carne non vedesse corruzione, concederà
anche a noi in tal modo che la nostra carne non veda già corruzione, bensì venga
liberata dalla corruzione nel momento opportuno – giacchè mentre lui non com-
mise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca (1Pt 2, 22), noi invece sa-
remo giusti se almeno qualche volta stiamo lontani dai peccati»1040.

Quanto sia importante per Origene associare all’immagine del Croci-


fisso quella di Gesù orante e mostrare così la forza straordinaria della sua
preghiera nel momento culminante della passione, lo vediamo infine da
CMtS 140. Qui la stessa morte di Gesù è da considerare come frutto della
preghiera. Il commento a Mt 27, 54 («Il centurione e quelli che con lui fa-
cevano la guardia a Gesù, visto il terremoto e quel che succedeva, furono
presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio”»)
suscita la trattazione più sistematica dei luoghi paralleli, con il recupero
adesso del Vangelo di Marco, dal quale la spiegazione trae l’avvio ed an-
che l’ispirazione principale per l’esegesi. Origene infatti nota che la pro-
fessione di fede del centurione, stando alla versione di Mc 15, 39 («Allora
il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse:
“Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”»), è causata non dai segni pro-
digiosi seguiti alla morte di Gesù (peraltro taciuti dal secondo vangelo,
eccetto lo squarciarsi del velo), bensì dal modo stesso di questa morte pre-
ceduta dal «grande grido» del Crocifisso (Mc 15, 37).
Riflettendo ancora una volta sulla vox magna, secondo una prima
interpretazione, il centurione sarebbe stato colpito dalla «grandezza» della
preghiera di Gesù al Padre, per quanto egli era in grado di afferrarla1041.
Secondo un’altra interpretazione (che trattiene l’Alessandrino più a lungo,
ma permane comunque anch’essa nel solco della preghiera di Gesù sulla
croce), il centurione si rende conto del «miracolo» rappresentato da una
morte tanto più rapida e sorprendente, in quanto Gesù non era stato fiac-
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1040 CMtS 138 (tr. Scognamiglio, 275-277).
1041 CMtS 140 (290, 8-11): «Et vide, si dicere possumus secundum unum quidem
modum, quia miratus est in his, quae dicta fuerant ab eo ad Deum cum clamore et magni-
tudine sensuum, secundum quod capiebat intellegere». Per completare la riflessione sulla
magna vox si ricordi ancora CIo XIX, 10, 60, dove la vicenda della Passione è considerata
alla luce della dialettica fra parola e silenzio: «E tuttavia, pronunziando queste parole e
insegnando nel tempio, Gesù non fu preso da nessuno, perché le sue parole erano più forti
di quelli che lo volevano afferrare. E fino a che egli parla non lo afferra nessuno di quelli
che gli tendono insidie: se tace, allora è preso. Ecco perché, quando Pilato lo interroga e
lo fa flagellare egli tace; egli era deciso a subire la passione a favore del mondo. Se egli
avesse parlato, non gli sarebbe accaduto di esser crocifisso per debolezza (to; ejstaurw'-
sqai ejx ajsqeneiva"), non essendovi debolezza nelle parole che il Logos pronunzia (oujk
e[stin ajsqevneia ejn oi|" oJ lovgo" lalei')» (tr. Corsini, 579).
«Come incenso al tuo cospetto» 349
cato sotto le ascelle per ridurre il tempo del supplizio, che avrebbe quindi
potuto protrarsi fino al giorno successivo. Invece Gesù prega il Padre af-
finché il suo supplizio abbia fine ed è esaudito miracolosamente:
«Gesù dunque non era stato colpito e ci si attendeva che pendendo a lungo sulla
croce avesse a soffrire più grandi supplizi: ma egli pregò il Padre e ne fu esau-
dito, e non appena lo pregò, fu accolto. Anzi, siccome aveva il potere di offrire
la sua anima (Gv 10, 18), la diede quando volle lui. E fu per l’essersi verificato
questo prodigio che si stupì il centurione e disse: Davvero quest’uomo era Figlio
di Dio. Sì, era un miracolo che se ne andasse [appena] dopo tre ore (Miraculum
enim erat quoniam post tres horas receptus est), mentre sarebbe forse sopravvis-
suto per due giorni, come solitamente avveniva con quelli che venivano sospesi
senza essere fiaccati. Per cui l’essere spirato appariva più un beneficio di Dio ed
un merito della sua preghiera, che l’effetto violento della croce (ut videretur be-
neficium Dei fuisse quod expiravit, et meritum orationis eius magis quam violen-
tia crucis)»1042.

Benché si accenni per un attimo a Gv 10, 18 – un passo che viene


sfruttato altrove per attestare il potere sovrano di Cristo sulla propria
anima1043 –, in CMtS il miraculum della morte sorprendentemente rapida
è da collegare per l’Alessandrino soprattutto al meritum orationis. Gesù è
esaudito immediatamente dopo la sua ultima preghiera, come avviene –
per ricordare un altro esempio già menzionato di Gesù orante – allorché
egli prega il Padre per ottenere la resurrezione di Lazzaro1044. La fine ter-
rena del Salvatore porta così a compimento un atteggiamento di preghiera
che accompagna la sua vita in quanto invocazione al Padre a beneficio
degli uomini, adesione al suo volere secondo il disegno di salvezza da Lui
preordinato, e lo dispiega con tutta la forza ed efficacia che gli viene dal-
l’esaudimento divino.

3.2.4.3. La forza della preghiera: concordia orante, prassi di vita ed esau-


dimento

La forza straordinaria della preghiera di Gesù si riverbera nella dot-


trina dell’orazione che Origene estrapola dal primo vangelo, impernian-
dola sull’idea della sua efficacia. A conferma dell’accezione primaria di
domanda, attestata dall’esperienza orante del Salvatore, troviamo una de-
finizione che distingue con cura la preghiera dall’«insegnamento» (dida-
skaliva ) e la fissa appunto nel suo statuto di «richiesta» o «petizione»
(ai[thsi" o ai[thma). Tale significato è dedotto dall’invito rivolto ai disce-
––––––––––––––––––
1042 CMtS 140 (290, 20-291, 1; tr. Scognamiglio, 289, con leggere modifiche).
1043 Cfr. CIo XIX, 16, 10.
1044 Si veda supra, p. 296.
350 Parte seconda, Capitolo settimo
poli a stare in guardia dal «lievito» dei Farisei (cfr. Mt 16, 6). In senso tro-
pologico, «lievito» equivale per l’Alessandrino a «insegnamento» e come
tale esso «non viene mai offerto sull’altare, perché le invocazioni (eujcav")
non devono essere espressioni di insegnamento, ma solo petizioni (aijthv-
sei") di beni dal Signore»1045. È evidente che con ciò non viene ritrattata
la prospettiva di Orat, come affiora soprattutto nel commento alla prima
petizione del Padrenostro, secondo cui preghiera autentica si dà solo in
nesso con la giusta «teologia», cioè a partire da un concetto appropriato a
Dio. Non è chiaro se in tal modo l’Alessandrino disapprovi delle manifesta-
zioni oranti che si configuravano prevalentemente come momenti dottri-
nali da parte di avversari teologici 1046. Quel che conta, però, nel discorso
eucologico ricavabile da CMt, è l’idea di fondo riguardo alla preghiera
come petizione, che del resto trova riscontri lungo tutto il commentario.
Poiché dunque la preghiera è intesa costitutivamente ad ottenere dei
beni da Dio, Origene chiarisce più volte le modalità entro cui si porge la
richiesta dell’orante, così da assicurare il suo esaudimento. Una prima
occasione di riflettervi organicamente è data dall’articolata spiegazione di
Mt 18, 19 («In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accor-
deranno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la
concederà»), passo-chiave che attira l’attenzione di Origene anche in altri
scritti1047. Tramite l’associazione con un altro luogo topico, 1Cor 7, 5,
dove Paolo raccomanda alla coppia il «comune accordo» nella preghiera,
egli elabora il motivo della «concordia» (sumfwniva) orante quale garan-
zia dell’esaudimento. L’Alessandrino osserva in partenza la sua rarità,
fosse pure il caso limitato della coppia che prega, precisando però che la
«sinfonia orante» ottiene risposta solo se essa è espressione della «musica
divina»1048. Con ciò sembra voler indicare che la richiesta della preghiera
(e, diremmo, anche lo stato degli oranti) dev’essere conforme al volere di
Dio. O meglio ancora, Origene pare insinuare soprattutto l’idea che la
preghiera concorde sia frutto del dono di Dio.

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1045 CMt XII, 6 (77, 28-32): ejpisthvsei" eij, o{pou pot∆ a]n zuvmh ojnomasqh/', eij" dida-
ch;n tropologei'tai, ei[te ejn novmw/ ei[te kai; ejn tai'" meta; to;n novmon grafai'". ou{tw de; mhv-
pote zuvmh ouj prosfevretai ejpi; to; qusiasthvrion: ouj ga;r dei' ta;" eujca;" trovpon e[cein
didaskaliva", ajll∆ ei\nai aujto; movnon aijthvsei" ajgaqw'n ajpo; qeou' (tr. Scognamiglio, 283;
cfr. anche HLv I, 2).
1046 È l’ipotesi avanzata da Vogt, 191-192.
1047 Sull’uso di Mt 18, 19 nel discorso eucologico, cfr. infra, pp. 488-492.
1048 CMt XIV, 1 (272, 21-30): h{ti" tosou'ton duvnatai, wJ" duvo movnwn meta; th'" pro;"
th;n qeivan mousikh;n kai; pneumatikh;n sumfwniva" ai[thsin prosagovntwn tw/' ejn toi'" ouj-
ranoi'" patri; peri; ouJtinosou'n, to;n patevra didovnai ta; aijthvmata toi'" meta; tou' sumfw-
nei'n ejpi; gh'" (o{per ejsti; paradoxovtaton) aijthvsasin, a{per aijthvsaien a]n oiJ th;n eijrhmev-
nhn sumfwnivan sumfwnhvsante" (II , 103-104). A seguito di tale «concordia», Pietro, Giaco-
mo e Giovanni sono prescelti per assistere alla trasfigurazione (tr. Scognamiglio II , 105).
«Come incenso al tuo cospetto» 351
Infatti, l’interpretazione che segue del passo paolino è basata sul mo-
tivo per cui «dall’accordo che viene da Dio ne consegue il potere benefi-
ciare del nome e dell’effetto della sinfonia, in vista di una preghiera» di
comune accordo. Ora, l’elemento su cui deve basarsi tale concordia orante
è l’essere uniti in Cristo (cfr. Mt 18, 20): il Logos è la fonte e il fondamen-
to dell’unione tra i fedeli. Ne abbiamo l’illustrazione nei Salmi, il libro
biblico per eccellenza della preghiera – dove Origene segnala come te-
stimonianza di coesione orante il fatto che i tre figli di Core parlino ad
una sola voce quasi «fossero una sola persona» –, e nell’immagine della
comunità primitiva secondo At 4, 32 («I credenti avevano un cuor solo ed
un’anima sola»). Solo una perfetta unità d’intenti, conforme alla fede, e
una condotta corrispondente possono far spazio alla venuta del Figlio di
Dio. Attuare in terra la communio sanctorum è partecipare della «sinfonia
derivante dalla musica divina», mentre l’assenza di accordo e di unità
spiegano per l’Alessandrino il mancato esaudimento:
«Dove non viene accordata dal Padre che è nei cieli qualunque cosa sia stata chie-
sta, è chiaro che lì non c’è stato neppure accordo di due sulla terra. Ecco il mo-
tivo per cui non siamo esauditi nella preghiera: non siamo concordi gli uni con
gli altri sulla terra né nelle verità che crediamo né nella vita che viviamo» 1049.
Questa convinzione è ulteriormente riproposta da tre diverse spiega-
zioni, tutte costruite sullo schema di «due o tre» suggerito da Mt 18, 19-20.
In primo luogo, secondo le indicazioni di 1Cor 7, 5, sia pure intese con-
tra Taziano come non vincolanti, l’accordo tra i due coniugi ai fini di pra-
ticare la castità è visto come condizione perché le loro richieste vengano
esaudite1050. In un secondo momento Origene, richiamando la sua antro-
pologia tricotomica, ricorda che dove regna lo spirito, anche il corpo ne
trae benefici, mentre l’armonia fra le tre componenti (includendo pure
l’anima) racchiude anch’essa la promessa di esaudimento, che consiste in
realtà nella venuta del Figlio di Dio1051. Benché in linea con l’orientamento
espresso nella chiusa di Orat, riguardo ai gesti della preghiera, qui il mo-
dello di un orante pienamente riconciliato con se stesso nelle sue diverse
––––––––––––––––––
1049 CMt XIV, 1 (tr. Scognamiglio II, 108).
1050 CMt XIV, 2 (278, 9-14): o{te proseucovmenoi peri; panto;" pravgmato" ou| eja;n
aijthvswntai lhvyontai, gignomevnou aujtoi'" tou' ajpo; toiauvth" sumfwniva" aijthvmato" para;
tou' ejn oujranoi'" patro;" ∆Ihsou' Cristou'.
1051 CMt XIV, 3 (279, 18-27): «se questo accordo si è ben realizzato, è concorde an-
che la preghiera che si eleva da chi con il cuore crede per ottenere giustizia, e con la bocca
fa professione di fede per avere la salvezza (Rm 10, 10), in modo che il cuore non sia più
lontano da Dio ed il giusto sia vicino a Lui, oltre che con il cuore, con il corpo e con le lab-
bra» (tr. Scognamiglio II, 111). Con 1Ts 5, 23, anche l’anima è attratta nell’accordo corpo-
spirito (280, 13-22): «Una volta che le prime due si sono unite nel nome di Cristo, tutte e
tre le realtà si trovano ormai radunate nel nome di lui, e tra loro viene il Figlio di Dio, giac-
ché tutto [...] è dedicato a lui (wJ" pavntwn aujtw'/ ajnakeimevnwn)» (tr. Scognamiglio II, 112).
352 Parte seconda, Capitolo settimo
dimensioni (somatica, psichica e pneumatica) è espresso in maniera ancor
più lucida e profonda. Terzo tempo della spiegazione è l’accordo fra An-
tico e Nuovo Testamento, pegno a sua volta di preghiere tali da attirarsi
l’ascolto di Dio, con lo Spirito come «il terzo che mette insieme i due Te-
stamenti» (to;n sunagwgeva tw'n duvo trivton poqei'") – una riflessione che
lascia intendere come per Origene la formulazione delle preghiere sia
chiamata ad articolarsi mediante le parole della Scrittura (come conferma-
no altri cenni in questo commentario e la sua stessa prassi orante)1052.
Una nuova occasione per riflettere sull’esaudimento della preghiera
è offerta dal commento a Mt 19, 10-11 (CMt XIV, 16-25), dove la pratica
della continenza, in sé umanamente impossibile, offre l’esempio dell’«im-
possibilità donata» da Dio agli uomini, in risposta a una preghiera assidua
e fiduciosa. Il dono della castità attira un dossier circa l’esaudimento
della preghiera, alle condizioni dettate da Gesù, cominciando con Mt 7,
7-8 («Chiedete e vi sarà dato... perché chiunque chiede riceve»). Chi non
è in grado di condurre una vita casta, è tale perché non l’ha fatto oggetto
della sua preghiera. Inoltre, con Mc 11, 24 («Per questo vi dico: tutto
quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi
sarà accordato»), Origene ricorda che l’orante deve aver fede di ricevere.
Ma questa disposizione interiore non è ancora sufficiente, poiché si richie-
de di pregare con tutto se stesso (seguendo 1Cor 14, 15, «con lo spirito»,
ma anche «con l’intelligenza») ed «incessantemente» (1Ts 5, 17), senza
mai stancarsi (Lc 18, 1). Al nutrito insieme di luoghi scritturistici su «do-
mandare e ricevere» si aggiunge da ultimo Lc 11, 8, che ribadisce la ne-
cessità d’insistere a pregare, prima di concludere con l’assicurazione che
«il buon dono [...], cioè l’assoluta purezza nel vivere il celibato e la casti-
tà, Dio lo darà a quelli che con tutta l’anima, con fede e incessantemente
glielo avranno chiesto con preghiera» 1053.
La fede come requisito indispensabile perché la preghiera venga ac-
colta è ribadita nell’esegesi dell’episodio del fico inaridito in Mt 21, 17-
22 (CMt XVI, 26-29). Per la vittoria sulle potenze malvage occorre avere
fede: «Ed ecco che tutto quello che chi ha fede e che non dubita chiederà
con fede nella preghiera, lo otterrà (Mt 21, 22)»1054. Ma questa fede è sor-
retta, per l’Alessandrino, dalla prospettiva dei «beni grandi e celesti», se-
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1052 CMt XIV, 4 (tr. Scognamiglio II, 112-113). Cfr. infra, nota 1072.
1053 CMt XIV, 25 (348, 3-9): dwvsei ou\n to; ajgaqo;n dovma, th;n pantelh' kaqavreusin
ejn ajgamiva/ kai; aJgneiva/ oJ qeo;" toi'" ejx o{lh" yuch'" kai; meta; pivstew" kai; adialeivptw" ejn
proseucai'" aijtou'sin aujtovn (tr. Scognamiglio II , 177). Il motivo è accennato implicita-
mente anche nella discussione sull’«eunuchia» in CMt XV, 5, dove Origene torna a spie-
gare Mt 19, 11 nel medesimo senso: «E ciò è stato dato a tutti quelli che avranno chiesto a
Dio una spada razionale e l’avranno usata come conviene, per fare di sé degli eunuchi per
il Regno dei cieli» (ibi, 191).
1054 CMt XVI, 26 (tr. Scognamiglio III, 113).
«Come incenso al tuo cospetto» 353
condo l’agraphon che conosciamo fin da Orat e che si riconferma nel suo
valore di criterio normativo per coloro che vogliono essere autentici disce-
poli di Cristo. Infatti, essi si attengono strettamente all’insegnamento del
loro maestro, il quale scoraggia dal domandare cose che non si addicono
al benessere spirituale dell’uomo né si confanno alla dignità di Dio. In que-
sta trattazione che mira quasi sempre al risultato derivante dalla preghiera,
troviamo il maggior punto di contatto con le idee espresse nel trattato:
«E tutto quanto i discepoli di Gesù avranno chiesto con fede nella preghiera (o{sa
eja;n aijtw'si ejn th/' proseuch/' pisteuvonte"), lo otterranno: come discepoli non
hanno chiesto nulla di ciò che non si deve domandare, e obbedienti al Maestro,
non chiedono che le cose grandi e celesti. Disse infatti Gesù ai suoi discepoli:
Cercate le cose grandi e quelle piccole vi saranno date in aggiunta; cercate le
cose celesti, e quelle terrene vi saranno date in aggiunta»1055.

Dopo la vibrante spiegazione riguardo al «tempo dei fichi», suscitata


dal confronto con il parallelo in Mc 11, 13-14, nella quale Origene in-
culca l’idea del carattere straordinario della vita cristiana1056, l’episodio
del fico maledetto è inteso quale avvertimento ed invito a pregare per
dare frutti. Rielaborando poi, a conclusione, il passo di Mt 21, 22, egli vi
sottolinea l’«esortazione» (protreptikovn) a domandare e a pregare con
fede, perché non c’è altro modo per ottenere qualcosa da Dio se non con
queste disposizioni interiori. Senza peraltro prefigurare un automatismo
dell’esaudimento, egli accompagna l’esortazione con la raccomandazione
che l’atteggiamento dell’orante sia degno di essere ascoltato. E perché ciò
avvenga, bisogna ancora pregare «con scienza» (met∆ ejpisthvmh"): occorre
cioè sapere quali sono i doni da chiedere a Dio – cioè unicamente i «beni
grandi e celest», alludendo per una seconda volta all’agraphon e ribaden-
do in tal modo il discorso eucologico di Orat1057.
Tra i molti effetti che comprovano la forza della preghiera, l’Alessan-
drino annovera anche la salvezza del ricco che fa dono dei propri beni ai
poveri (Mt 19, 21): non è il suo gesto ad assicurargli di per sé la perfe-
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1055 CMt XVI , 28 (tr. Scognamiglio III, 119). Sull’uso dell’agraphon si veda supra,
nota 169.
1056 Origene nota l’apparente incongruenza di Mc 11, 13 («non era infatti il tempo
dei fichi») e ne approfitta per sviluppare una riflessione sulle manifestazioni dei doni dello
Spirito «fuori dell’ordinario» (CMt XVI, 29) concludendo così: «Dio vuole che colui che ac-
cede alla sua Parola sia al di sopra della natura umana e ne esige opere straordinarie, e – mi
si consenta l’espressione – opere da Dio più che da uomo» (tr. Scognamiglio III, 121-122).
1057 CMt XVI, 29 (574, 24-33): ejpi; tevlei dev ti e[cei oJ lovgo" protreptiko;n tou' pi-
steuvonta" lhvyesqai: oujci; a[llw" ga;r lhyovmeqa, eij mh; aijthvsomen. e[stw ou\n kai; hJ
diavqesi" ajxiva tou' tucei'n o}n aijtou'men kai; hJ eujch; met∆ ejpisthvmh" ajnapempomevnh ajxiva
tou' ejpiteucqh'nai, kai; ta; aijthvmata e[stw ejpouravnia kai; megavla kai; ajxiva tou' divdo-
sqai uJpo; tou' qeou'. Sul fatto di pregare «con cognizione» (ejpisthmovnw" o ejpisthmo-
nikw'" ) si veda supra, note 802, 873.
354 Parte seconda, Capitolo settimo
zione, secondo le parole di Gesù, bensì le preghiere dei poveri beneficati
da lui1058. Anche in questo caso si sottolinea l’immediata efficacia delle
invocazioni dei poveri a vantaggio del loro benefattore: «Ma (ciò avver-
rà) appunto a costui, che ha sostituito la ricchezza con la povertà per es-
sere perfetto (in ossequio alle parole di Gesù): sarà aiutato di colpo (ajqrov-
w") a divenire sapiente in Cristo, forte, giusto, casto, e libero da ogni pas-
sione, come gli apostoli di Cristo»1059.
L’efficacia della comunione di preghiera si manifesta, in particolar
modo, nella solidarietà orante della chiesa terrena come anche della chiesa
celeste. Di quest’ultima Origene ricorda nuovamente l’intercessione dei
santi al cospetto di Cristo, che lo supplicano perché non abbandoni il ge-
nere umano a causa dei suoi peccati, dal momento che l’uomo è la mira-
bile costruzione, tempio vivente «di Dio e del Verbo»1060. La forza delle
loro suppliche è rispecchiata, nella storia della salvezza, dalle preghiere
potenti di intercessori come Samuele, Geremia ed altri, di cui conosciamo
i «paradigmi salvifici» fin da Orat1061. Quanto alla realtà della chiesa
terrena, richiamata dall’esegesi della cacciata dei mercanti dal Tempio,
alla luce di Is 56, 7 («La mia casa è casa di preghiera») essa appare se-
gnata in tutto il suo essere dalla preghiera. Infatti l’Alessandrino, nel ri-
prendere un motivo che ha già introdotto nel trattato a livello personale,
in rapporto alla raccomandazione paolina a «pregare incessantemente»
(1Ts 5, 17), valorizza in chiave ecclesiologica l’idea che qualunque azione
virtuosa sia computata alla stregua di orazione, e al tempo stesso sviluppa
un’invettiva contro chi corrompe l’«assemblea di Cristo» e ne fa una «spe-
lonca di ladri»:
«Nella Chiesa di Dio non ci dev’essere che preghiera: ogni azione santa, che ri-
chiama la visita di Dio, presso Dio è considerata preghiera: così è possibile rea-
lizzare il precetto: Pregate senza interruzione! (1Ts 5, 17) Ma voi altri, con i vo-
stri vizi, la casa di preghiera ad una spelonca di ladri l’avete ridotta! Ed è dato
scoprire che in molti luoghi gli affari di quella che si presume Chiesa in breve
tempo hanno fatto tanta strada, da non esserci alcuna differenza tra una spelonca
di ladri e l’assemblea raccolta in nome di Cristo, sicché viene detto loro: per colpa
vostra il mio nome è bestemmiato per sempre tra le nazioni (Is 52, 5)»1062.
––––––––––––––––––
1058 CMt XV, 17. È un motivo ripreso dal Pastore di Erma.
1059 Ibidem (tr. Scognamiglio II, 227)
1060 Cfr. CMtS 30 (56, 9-15), a commento del preannuncio della distruzione del
Tempio (Mt 24, 1-2): «cum sit humanae naturae admirabilis constructio facta, videlicet
templum Dei et Verbi eius, discipuli ceterique sancti (non solum tunc, sed etiam modo
miranda opera Dei erga figmentum humanum confitentes) ante conspectum Christi inter-
cedunt et provocant Christum, ut ne deserat genus humanum propter peccata ipsorum, sed
magis moveant eum ad indulgentiam opera eius miranda quam ad iracundiam iniquitates
eorum».
1061 CMtS 37 (nota 432).
1062 CMt XVI, 22 (551, 2-6): oujde;n ga;r a[llo dei' ei\nai ejn ejkklhsiva/ qeou' h] eujch;n
«Come incenso al tuo cospetto» 355
Mai come in questo passo il richiamo alla vocazione orante della
comunità cristiana dà luogo ad un risvolto polemico di scottante attualità,
rinforzato dalla successiva denuncia di coloro che «tra il popolo (cristia-
no) [...] non hanno occupazione al mondo se non quella di passare il loro
tempo a vendere e a comprare, e solo di rado si dedicano alle preghiere e
alle opere che esige il Logos divino»1063; ma l’insistenza sulla prassi come
elemento costitutivo dell’esperienza di preghiera, anche ai fini della sua
stessa efficacia, ricorre ancora a più riprese in CMt. A tale scopo Origene
rivolge nuovamente la sua attenzione al problema dei peccatori nella co-
munità orante. La scena del Getsemani lo spinge a precisare che, nella
prospettiva del cristianesimo, la ricerca di un luogo più consono alla pre-
ghiera da parte di Gesù, il quale si ritira a pregare in solitudine sul Monte
degli Ulivi, non deve essere intesa come privilegio spaziale di un luogo
rispetto ad un altro. È invece la qualità dei rapporti umani che si determi-
nano in un dato spazio (come abbiamo visto, in parte, per la camera nu-
ziale in Orat) a rendere il luogo più propizio all’orazione. Da ciò scaturi-
sce la considerazione sul discernimento da operare rispetto ai «compagni
di preghiera», nel senso che è preferibile pregare da soli piuttosto che con
i malvagi 1064. A ciò provvede, del resto, opportunamente la disciplina ec-
clesiale, che esclude dall’orazione comunitaria coloro che si sono resi re-
sponsabili di gravi colpe1065. Anche in questo caso è evidente la preoccu-
pazione di assicurare la «concordia» orante, pegno di una preghiera che
sia suscettibile di esaudimento.
Tuttavia, come aveva fatto in CIo, l’Alessandrino si preoccupa subito
di prevenire un’interpretazione troppo rigoristica delle sue indicazioni
tale da implicare un rigetto esclusivista degli «impuri» 1066. Ciò equivar-
rebbe a comportarsi con la stessa arroganza del fariseo nei confronti del
pubblicano. Invece occorre valutare con equilibrio come rapportarsi al
peccatore, senza che il suo cammino di salvezza sia compromesso dalla
––––––––––––––––––
pavsh" aJgiva" pravxew" kai; prokaloumevnh" th;n tou' qeou' ejpiskophvn, eij" eujch;n para;
qew/' logizomevnh"... ( III, 98-99). Sul rilievo del termine ejpiskophv , si veda supra, nota 525.
1063 CMt XVI, 22 (tr. Scognamiglio, 99).
1064 L’idea di un «luogo puro», distinto da quello dove si è celebrata la Pasqua e in-
serito in quello «spazio di misericordia» che è etimologicamente il Monte degli Ulivi,
porta Origene a riflettere sul tema della «Terra santa» (con citazione di Es 3, 5) e a formu-
lare una quaestio: forse che la purezza maggiore, oltre le disposizioni dell’orante, dipende
dal luogo come tale (CMtS 89 [nota 534])? Benché non manchi la base scritturistica a so-
stegno dell’idea, la prospettiva del luogo «santo» in quanto tale non è propria del cristiano
(nota 535).
1065 CMtS 89 (204, 30–205, 2): «Propter hoc enim et in ecclesiis Christi consuetudo
tenuit talis, ut qui manifesti sunt in magnis delictis, eiciantur ab orationi communi ut ne
modicum fermentum (cfr. 1Cor 5, 6) non ex corde mundo (cfr. 2Tm 2, 22) orantium totam
unitatis consparsionem et consensus corrumpat» (p. 109).
1066 Cfr. anche CTt (SC 464, 31 = Pieri, 388).
356 Parte seconda, Capitolo settimo
durezza ed intransigenza nei suoi confronti1067. Origene mantiene, a dire
il vero, la raccomandazione a separarsi dai «malvagi» nella preghiera, ma
riallacciandosi all’esempio del pubblicano riconosce di nuovo la possi-
bilità della preghiera del peccatore, anche se non ne precisa ulteriormente
spazio e modalità, come invece fa nella I e II Omelia sul Salmo 37. Vice-
versa egli discute lungamente la questione della legittimità dell’interces-
sione ecclesiale per un peccatore notorio, che tuttavia si sia reso benefat-
tore nei confronti della comunità cristiana1068. La supplica della chiesa
per questi peccatori-benefattori potrebbe trovare conforto nelle Scritture,
dal momento che anche Israele ha pregato per la vita di Nabucodonosor e
del figlio Baltasar (cfr. Bar 1, 11). Ma l’Alessandrino non si mostra gran-
ché entusiasta di una simile prospettiva e, sebbene non respinga la prassi,
esorta piuttosto a non farsi trovare tra coloro per i quali la chiesa dovrebbe
intercedere presso Dio1069.
Altrove si condannano le «preghiere turpi» di coloro che, come Giuda,
attirano su di sé le parole di Sal 108(109), 7: «La sua invocazione si risol-
va in condanna»1070. Riallacciandosi inoltre ad alcune delle immagini più
tipiche associate alla preghiera, Origene rammenta che solo un «cuore
puro» può fungere da «altare» su cui immolare a Dio i «sacrifici» rappre-
sentati dalle preghiere e dalle azioni virtuose 1071. La rettitudine delle in-
––––––––––––––––––
1067 CMtS 89 (205, 7-11): «Mensurate ergo facere hoc debemus, ut nec cum indi-
gnis oremus propter honorem orationis (secundum eum qui dixit: Si duo in vobis conve-
nerint in idipsum, de omni re quacumque petierint, fiet eis [Mt 18, 19]), nec inferiores
spernamus nos praeponentes propter iactantiae casum».
1068 La quaestio è trattata in CMtS 120 (254, 23-26), a commento del rilascio di un
prigioniero in Mt 27, 15: «Sed illud quaeramus, si tale aliquid fiat et in iudicio Dei, ut
omnis ecclesia petere possit aliquem peccatorem ut solvatur a condemnatione peccati,
maxime autem si quando habeat perditionis cetera opera, ad benefaciendum autem eccle-
siae inpiger sit».
1069 CMtS 120 (254, 31–255, 5): «Sed hoc, si videtur alicui dignum requisitione,
requiret. Quod autem manifestum est, omnes curare temptemus, ut ex petentibus invenia-
mur esse et in ordine eorum qui bene vixerunt, magis quam ex illis, pro quibus petitur
quasi pro hominibus malis. Nam etsi concedatur aliquis peccatorum ad preces ecclesiae,
non tamen iustum est gloriam et beatitudinem consequi eum, qui huiusmodi est, sufficit
enim quod a poena dimittitur».
1070 CMtS 27 (49, 9-13): «ab impiis memoria interficitur Dei, quando et templum
Dei a lascivis corrumpitur et altare ipsius per negligentiam orationum sordidarum coin-
quinatur, quando et oratio alicuius fit in peccatum ipsius, sicut et de oratione Iudae dictum
est: Et oratio eius fiat in peccatum eius».
1071 CMtS 18 (33, 13-22): «Altare ergo, quod votum sanctificat, est hominis cor,
quod principale habetur in homine; vota autem et dona quae ponuntur super altare, omne
quod superponitur cordi. Utputa proponis orare, votum orationis posuisti super cor tuum,
quasi super quoddam altare, ut orationem offeras Deo. Proposuisti psallere, votum psal-
morum posuisti super cor tuum, quasi super quoddam altare, ut offeras Deo votum psal-
morum. Proposuisti eleemosynas facere, votum eleemosynarum posuisti super cor tuum,
quasi super quoddam altare, ut votum eleemosynarum offeras Deo. Proposuisti ieiunare,
«Come incenso al tuo cospetto» 357
tenzioni, nel giusto legame fra preghiera e vita più volte ribadito, è l’aspet-
to decisivo, anche rispetto ad una ben costruita «retorica orante», che sa
comporre «grandi preghiere» a partire dai riferimenti alle Scritture1072. E
l’unguento profumato cosparso dalla donna sul capo di Gesù, che riempie
tutta la casa di buon odore (Mt 26, 6-13), è simbolicamente l’unguento
delle buone opere compiute per Dio da parte dei perfetti, fra le quali fi-
gura anche la preghiera, ed esso si effonde da Cristo a tutto quanto il suo
corpo, la chiesa1073.
A suggellare la profondità della riflessione sulla preghiera sviluppata
da Origene in CMt possiamo richiamare l’interpretazione della parabola
dei talenti in Mt 25, 29 («Togliete perciò a lui il talento e datelo a colui
che ha dieci talenti»). L’accento posto ripetutamente sulla forza della pre-
ghiera e sulla necessità di coniugare coerentemente preghiera e vita non
deve far perdere di vista ciò che per l’Alessandrino è l’aspetto fondamen-
tale: per quanti sforzi noi facciamo di assecondare l’invito a una condotta
virtuosa, dobbiamo capire che essa è nulla senza l’aiuto di Dio. Soltanto
la preghiera può garantirci di camminare sul sentiero verso la perfezione:
questa è dunque un’«impossibilità donata» dalla grazia:
«Perciò, se vogliamo che ci venga data una virtù più perfetta e che abbondi in noi,
cerchiamo diligentemente di acquistare in qualunque modo ciò che è perfetto tra
gli uomini; e dopo averlo acquisito, comprendendo ciò che è reputato un nulla
senza la grazia di Dio, umiliamoci sotto la potente mano di Dio (1Pt 5, 6), e pre-
ghiamo senza ira e contese levando mani pure (1Tm 2, 8) perché Dio conceda la
perfezione di tutti i beni che sono in noi (ut omnium bonorum quae sunt in nobis
perfectio detur ex Deo) e ci renda perfetti e a lui graditi come figli di Dio»1074.
In tal modo, a distanza di quasi due decenni da Orat, nel commentario
al primo vangelo Origene ha riproposto alcune delle linee essenziali del
––––––––––––––––––
votum ieiunii posuisti super cor tuum, quasi super quoddam altare». Si può ricordare qui
anche l’equivalenza tra i «profeti» e i «sacerdoti» in CMt XVII, 10 (610, 24-28): «la Scrit-
tura è piena di cose avvenute ai profeti inviati a favore del popolo, affinché offrissero a
Dio, come santi sacerdoti attraverso le preghiere (wJ" a{gioi iJerei'" tw/' qew/' dia; tw'n eujcw'n),
il loro frutto» (tr. Scognamiglio III, 163-164).
1072 CMtS 18 (33, 30-33): «Si enim cor et conscientia hominis non conpungit, fi-
duciam habet ad Deum (1Cor 2, 9), non propter dona sua, neque verba orationis vel psalmi,
quamvis videantur bene composita et de Scripturis electa, sed quia (ut ita dicam) altare
cordis sui bene construxit».
1073 CMtS 77 (186, 4-12): Qui autem castitatem studet, in ieiuniis et orationibus
(Lc 2, 37) permanet, in adversis patientiam habet sicut Iob, in temptationibus veritatem
Dei non timet confiteri (quae omnia ceteris hominibus nihil prosunt, sed tantum ad glo-
riam Dei proficiunt) hoc est unguentum quod ungit et Domini caput Christi et exinde per
totum corpus Christi, id est per totam decurrit ecclesiam; et hoc est unguentum valde pre-
tiosum ex cuius odore tota repletur domus, hoc est ecclesia Christi; et hoc est opus pro-
prium non paenitentium, sed perfectorum sanctorum».
1074 CMtS 69 (162, 31-163, 5 [tr. Scognamiglio, 425]).
358 Parte seconda, Capitolo settimo
trattato, specialmente tramite l’immagine ribadita di continuo della pre-
ghiera come domanda, che poi appare anche come una dimensione costi-
tutiva per la vicenda esistenziale dell’uomo in cammino verso la perfe-
zione. Essa attesta infatti il suo limite e l’imprescindibilità del ricorso al-
l’aiuto divino. Anche quando l’uomo si sforza di attuare una condotta vir-
tuosa, il risultato non può non restare inferiore e inadeguato 1075. In ultima
analisi, grazie alla preghiera arriviamo allora a comprendere che «tutto è
grazia», per riprendere qui non troppo impropriamente la celebre frase di
Bernanos 1076.

3.3. Le omelie

Nelle considerazioni introduttive sul profilo differenziato, ma al tem-


po stesso in parte convergente, delle nostre fonti abbiamo già messo in
luce alcune caratteristiche del genere omiletico sulle quali non è necessario
ritornare1077. Si tratta adesso di completare la mappa dei luoghi relativi
alla preghiera nell’insieme delle testimonianze sulla predicazione di Ori-
gene. Data la vastità del corpus omiletico, non è possibile procedere ad
una presentazione delle singole serie di sermoni, a differenza di quanto
abbiamo fatto per i trattati e i commentari, né affrontare direttamente i
molti problemi di natura storica e letteraria che essi sollevano1078. Ci
sembra invece più opportuno procedere mediante un’articolazione tema-
tica, che sia tuttavia capace di far emergere anche la specificità degli ap-
porti di questo o quel complesso di omelie. Tenendo conto di tale esigenza
conviene segnalare preliminarmente le trattazioni più specificamente dedi-
cate alla preghiera e illustrare di seguito il contesto orante dell’attività omi-
letica, sotto il duplice versante del predicatore e dell’uditorio, per passare
poi all’esame dei molti spunti riscontrabili più in generale nelle omelie
––––––––––––––––––
1075 In proposito cfr. Prin III, 2, 2 (247, 29-31): «in bonis rebus humanum proposi-
tum solum per se ipsum inperfectum est ad consummationem boni (adiutorio namque di-
vino ad perfecta quaeque perducitur)».
1076 «Qu’est-ce que cela fait? Tout est grâce» (Journal d’un curé de campagne). Si
noti anche l’esegesi di Mt 19, 16-30, che si rifà a Lc 17, 10, in CMt XV, 10: «Ma forse da
ciò che è detto in risposta alla domanda: Che cosa devo fare di buono? (la replica è stata:
Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono) dipende pure il senso inteso
dalle parole: Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi
inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare. Cioè: neanche nel caso che avremo compiu-
to tutto quanto ci è stato ordinato [...] avremo fatto qualcosa di buono. Se fossero buone le
azioni compiute, Gesù non ci avrebbe detto di dover dire, per aver fatto quanto ordinato:
Siamo servi inutili» (tr. Scognamiglio II , 208-209).
1077 Cfr. supra, pp. 244-251.
1078 Monaci Castagno sviscera approfonditamente tali problematiche con un’inda-
gine che rimane esemplare. Per un riesame recente della cronologia, del contesto liturgico
e della tradizione del testo, cfr. Grappone 2001a; Grappone 2001b; Grappone 2007.
«Come incenso al tuo cospetto» 359
riguardo al nostro argomento, con particolare attenzione al linguaggio del-
la preghiera, alle figure degli oranti e alle forme della preghiera nella vita
del cristiano. Infine, analizzeremo le conclusioni in forma di preghiera,
considerando il momento orante alla luce della parenesi finale e della dos-
sologia ad essa connessa.

3.3.1. Trattazioni specifiche nel corpus omiletico

Come abbiamo ricordato fin dall’esame iniziale circa lo stato degli


studi, il corpus omiletico non offre trattazioni in cui il «discorso sulla pre-
ghiera» venga ripreso in maniera più o meno organica seguendo l’agenda
tematica sviluppata dall’Alessandrino in Orat. Da questo punto di vista la
perdita della sezione delle Omelie su Luca dedicata alla spiegazione del
Padrenostro è particolarmente spiacevole. Quanto ai pochi frammenti
pervenutici dell’interpretazione origeniana di Lc 11, su di essi grava l’in-
certezza se attribuirli alle omelie o al perduto commentario1079. In ogni
caso da questi resti assai esigui (FrLc 172-180)1080 traspare chiaramente
la volontà di riproporre l’insegnamento di Gesù sulla preghiera alla luce
di alcuni dei temi sviluppati nel trattato. Nel primo frammento intravedia-
mo ancora l’elaborazione in chiave di prosopopea della domanda del di-
scepolo in Lc 11, 1 («Signore, insegnaci a pregare») a cui si associa il rin-
vio a due dei motivi conduttori di Orat: da un lato, l’incapacità a pregare
denunciata da Rm 8, 26; dall’altro, il precetto di domandare «le cose gran-
di ed eterne» conformemente all’agraphon più volte citato da Origene1081.
Entrambi gli spunti paiono suggerire una ripresa del «problema della pre-
ghiera», senza dunque schivarne gli aspetti di natura aporetica o parados-
sale. Anche il seguito dei frammenti rivela elementi di continuità con le
problematiche dello scritto sulla preghiera: non solo il confronto tra le due
versioni del Padrenostro e le spiegazioni alternative offerte al riguardo (o
––––––––––––––––––
1079 Sull’autenticità e la provenienza di FrLc si veda Crouzel in SC 87 (pp. 89, 461-
463), secondo cui «ces fragments [...] ne proviennent pas, pour la plupart, du texte des ho-
mélies origéniennes; ils sont soit des bribes des Tomes sur Luc soit, le plus souvent, des
simples scolies, des notations rapides, pour expliquer un verset de Luc» (p. 461). Invece,
secondo Nautin, 243 e nota 67 alcuni frr. risalirebbero a parti perdute di CMt. Bisogna però
tenere presente l’importanza di HLc agli occhi dell’Alessandrino che le cita espressamente
in CIo XXXII , 2, 5 e in CMt XIII, 29, rimandando ad esse il lettore, per cui l’ipotesi del-
l’appartenenza alle omelie merita di essere presa in considerazione (cfr. supra, nota 733).
1080 FrLc 181 contiene una polemica con il manicheismo ed è quindi da ritenersi
non autentico. I frr. 182-183 commentano la pericope di tematica affine Lc 11, 5 ss.
1081 FrLc 172 (supra, nota 199). I contenuti della preghiera ricompaiono nella for-
mulazione più usuale dell’agraphon (i beni «grandi e celesti») in FrLc 173 (299, 4-5):
pw'" de; oJ eijpw;n dei'n aijtei'n oujravnia kai; megavla peri; a[rtou aijtei'n keleuvei… Sul suo
uso in Origene, cfr. supra, nota 169.
360 Parte seconda, Capitolo settimo
un’identica preghiera o piuttosto due preghiere con tratti comuni)1082, ma
soprattutto l’idea che il testo di Luca, nella sostanziale concordanza con
Matteo (presumibilmente accostato al testo lucano con un’esegesi sinotti-
ca analogamente a quanto avveniva in Orat), dia anch’esso espressione al
«discorso» (lovgo") di Gesù sulla preghiera1083. Proseguendo poi nell’ese-
gesi del terzo vangelo con la successiva istruzione sul modo di chiedere e
ricevere nella preghiera (Lc 11, 5-13), l’Alessandrino affrontava più diret-
tamente la questione dell’esaudimento della preghiera, che in generale
tende a rimanere un poco ai margini della sua riflessione, sebbene egli vi
accenni in varie occasioni.
Solo nel passo conservatoci da FrLc 183 egli mostra di volerlo trat-
tare in forma di quaestio a partire da Lc 11, 9-10: se la promessa di esau-
dimento contenuta in queste parole di Gesù – «Chiedete e vi sarà dato» e
«Chiunque chiede riceve» – non può che essere veritiera, per quale motivo
vi sono persone che, pur pregando, non vengono esaudite1084? La risposta,
alla luce del testo tramandatoci, ribadisce senza alcuna incertezza la tesi
che l’autentica preghiera è sempre ascoltata da Dio. Se ciò non avviene,
fosse anche per la richiesta di beni spirituali come la «gnosi divina» o
l’«acquisizione delle virtù», la causa è da ricercare nel fatto che non si è
seguito il «corretto modo» di pregare1085. Questo esige le giuste disposi-
zioni interiori e Origene fa l’esempio dell’allievo che si accosta al mae-
stro senza “sintonizzarsi” nel suo intimo con gli insegnamenti di cui do-
vrebbe beneficiare oppure denuncia la presenza di motivazioni estranee
nella stessa domanda dei beni spirituali, come il desiderio della lode al-
trui1086. Nel nostro passo la giustificazione esegetica è ricondotta a Gc 4, 3
––––––––––––––––––
1082 FrLc 173 (299, 1-3): ÔH aujthv ejsti th/' ejn tw/' Matqaivw/ proseuchv/, dio; kai; ejpi-
tomwvteron ejntau'qa ei[rhtai: h] bevltion diafovrou" nomivzesqai ta;" proseucav", koinav
tina ejcouvsa" mevrh. Che la versione lucana sia «più succinta», essendo indirizzata ad un
discepolo e non alle folle, era già stato espresso da Orat XXX , 1 (supra, nota 607).
1083 È un aspetto che emerge con FrLc 174, nella spiegazione dell’invocazione
iniziale, dopo aver ribadito che solo i «figli» autentici di Dio, coloro che come lui sono
capaci di amare i nemici (Mt 5, 44), lo possono invocare veramente come «Padre». Pas-
sando all’esame della versione matteana, Origene nota i diversi contesti di Mt e Lc, ricon-
ducendoli al comune «discorso (di Gesù) sulla preghiera»: rispettivamente to;n peri; th'"
proseuch'" lovgon e to;n th'" eujch'" lovgon. Questa designazione non è priva di interesse
per la discussione sul profilo letterario di Orat, come ho mostrato alle pp. 71-72.
1084 FrLc 183 (303, 1-3): Plh;n ajlhqou'" ou{sh" th'" tou' swth'ro" qevsew" le-
gouvsh": aijtei'te kai; doqhvsetai uJmi'n (Lc 11, 9) h}n kai; pistou'tai dia; tou' favnai pa'" oJ
aijtw'n lambavnei (Lc 11, 10), zhthvsai a[n ti", pw'" tine" eujcovmenoi oujk ajkouvontai.
1085 FrLc 183 (303, 3-6): Pro;" o} lektevon, o{ti oJ oJdw/' th'/ ajkolouvqw/ ejpi; to; aijtei'n
ejrcovmeno", oujde;n paraleivya" tw'n suntelouvntwn pro;" to; tucei'n tw'n spoudazomevnwn,
pavntw" lhvyetai, o} parekavlhse doqh'nai aujtw'/. Völker sfrutta questo passo per asserire
la continuità fra Origene e Clemente (cfr. supra, p. 34, nota 89).
1086 La relazione allievo – maestro è proposta come analogia dell’insegnamento
evangelico, paragonando così la figura del maestro a Gesù. Cfr. FrLc 183 (303, 8-12): Kai;
«Come incenso al tuo cospetto» 361
(«Domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vo-
stri piaceri»), un riferimento inusuale che a prima vista concorre anch’esso
a sottolineare una posizione definibile come isolata, in quanto più pros-
sima all’idea clementina dell’esaudimento “automatico” dello gnostico.
Ma l’automatismo prefigurato qui in forma sorprendentemente netta non
contraddice le affermazioni fatte dall’Alessandrino sia nel trattato che al-
trove. La sua riflessione si ricollega sempre all’idea della fondamentale ef-
ficacia della preghiera. Nel richiamare costantemente tale aspetto, Origene
avverte che l’esaudimento si dà solo a determinate condizioni interiori e
comunque esse non vincolano mai Dio ad uno scambio che prescinda dalla
sua libera iniziativa sovrana. Peraltro, come mostra in particolare l’esem-
pio di Gesù orante, quando colui che prega è nelle disposizioni spirituali
per essere ascoltato da Dio, egli lo esaudisce, per così dire, all’istante1087.
In questo senso, il nostro frammento non rappresenta una voce dissonan-
te, ma esplicita con maggiore fermezza un orientamento espresso in prece-
denza. Del resto, l’Alessandrino lo ribadisce ai fedeli nella II Omelia sul
Salmo 37, ricordando loro che «se fossimo quali il Logos divino vuole che
siamo», le nostre preghiere troverebbero ascolto nello stesso modo di Elia
ed Eliseo: ma come potrebbe Dio ascoltare noi, se noi non ascoltiamo lui?
Pregando da autentici «figli di Dio», otterremmo ascolto dal Padre, come
avviene per il Figlio. Ora, Dio vuole che noi «colloquiamo con lui come
se fossimo dèi»1088. Anche se questa formulazione tanto ardita sembra re-
stare un unicum, l’interrogativo sull’esaudimento rimanda intrinsecamente
alla medesima prospettiva di Orat, dal momento che implica il santo come
figura più prossima dell’orante.
Senza dubbio il contesto esegetico ravvicinato delle Omelie su Luca
ha favorito la riproposizione del «problema della preghiera», ma anche i
cicli di omelie veterotestamentarie hanno spinto Origene ad arricchire ul-
teriormente la sua immagine della preghiera, non senza echi più o meno
distinguibili di Orat. Nella predicazione sui libri storici, specialmente con
l’ermeneutica spirituale delle prescrizioni legali relative al culto, egli è tor-
––––––––––––––––––
ga;r didaskavlou levgonto": «pa'" oJ prosiwvn moi maqhmavtwn e{neka e{xei aujtw'n» ejpisthv-
mhn, to; prosievnai tw/' didaskavlw/ pragmatikw'" ejklambavnomen, tou't∆ e[sti meta; tou' sun-
tovnw" prosevcein toi'" para; tou' didaskavlou, meta; tou' ajskei'n kai; meleta'n aujtav.
1087 Rinvio alle osservazioni fatte in precedenza (pp. 119-120, 155-156, 296-297).
1088 H37Ps II, 3 (302, 49–304, 60): «Si essemus tales quales nos esse vult sermo
divinus, sicut Elias, diceremus utique Deo ut daret pluviam et plueret: sicut Samuel in
diebus messium peteremus ut praestaret de caelo imbrium copiam et audiremur. Nunc
autem quomodo nos audiet Deus, cum nos ipsum non audiamus? Quomodo faciet ille
quod volumus, cum nos quae ille vult non faciamus? Vult nos tales esse Deus, ut quasi dii
cum Deo loquamur. Vult nos esse filios Dei, ut consortes et cohaeredes efficiamur filii
Dei et dicamus sicut ipse dixit: Pater, scio quia semper me audis (Gv 11, 42)». Analoga-
mente FrIer 7 (201, 5-6) su Ger 11, 11-12 afferma: oJ me;n qeo;" dikaivw" oujk ajkouvei tw'n
mh; ajkousavntwn aujtou'.
362 Parte seconda, Capitolo settimo
nato ad approfondire l’equivalenza tra sacrificio e preghiera. Una prima
trattazione significativa compare nelle Omelie su Levitico, dove l’idea del-
la condizione sacerdotale dei fedeli porta l’Alessandrino a sviluppare il
motivo dell’«altare» su cui offrire a Dio i sacrifici. Questi sacrifici sono
le preghiere ma anche le condotte virtuose che le accompagnano come
condizione della loro autenticità. In HLv IX il tema della preghiera è visto
così in stretto rapporto con la prassi di vita, simboleggiata dall’altare, ri-
prendendo indirettamente quello che era stato il cuore dell’interpretazione
del Padrenostro nel trattato.
«C’è infatti un altare sul quale offriamo le nostre preghiere a Dio: sappiamo come
dobbiamo offrire, cioè deponiamo le vesti sordide che sono le impurità della car-
ne, i vizi dei costumi, le sozzure delle passioni. [...] Hai dunque il sacerdozio, poi-
ché sei popolo sacerdotale e perciò devi offrire a Dio la vittima di lode (Eb 13,
15): la vittima delle preghiere, la vittima della misericordia, la vittima del pudore,
la vittima della giustizia, la vittima della santità»1089.

Pur senza associare qui apertamente l’«altare» al «cuore» o allo hege-


monikon dell’orante – come abbiamo visto nel Contro Celso e nel Com-
mento a Matteo –, l’esercizio di un tale sacerdozio spirituale per il tramite
delle preghiere che salgono a Dio da una vita virtuosa conferma la stessa
visuale1090. La convergenza diviene esplicita nella XIII Omelia su Levitico,
dove l’immagine dell’incenso attira ancora una volta la citazione di Sal
140(141), 2 congiuntamente all’altro passo topico di 1Tm 2, 8, per incul-
care la preghiera di «un cuore puro e una buona coscienza», cioè di colui
che accorda fra loro orazione e modo di vita1091.
––––––––––––––––––
1089 HLv IX, 1 (418, 23-26.29–419, 3): «Altare est enim, super quod orationes no-
stras offerimus Deo, ut sciamus, quomodo debeamus offerre, scilicet ut deponamus vesti-
menta sordida (cfr. Zc 3, 4), quae est carnis immunditia, morum vitia, inquinamenta libi-
dinum. [...] Habes ergo sacerdotium, quia gens sacerdotalis es, et ideo offerre debes Deo
hostiam laudis (cfr. Eb 13, 15), hostiam orationum, hostiam misericordiae, hostiam pudi-
citiae, hostiam iustitiae, hostiam sanctitatis» (tr. Danieli, 204).
1090 HLv IX, 8 richiama Sal 140(141), 2 assimilando preghiera e opere: «Prenderà
un braciere pieno di carboni del fuoco dell’altare che è davanti al Signore e riempirà le
sue mani di una composizione di incenso fine (Lv 16, 12). Questo il nostro Signore lo ha
fatto pienamente; infatti: ha riempito le sue mani di incenso fine, del quale è scritto: La
mia preghiera si elevi come incenso al tuo cospetto (Sal 140[141], 2). Dunque: ha riem-
pito le sue mani delle opere sante che ha operato per il genere umano» (p. 223). Sugli
spunti in comune con CC e CMt, cfr. supra, pp. 156, nota 476; 356, note 1071-1072.
1091 HLv XIII, 5 (475, 23-474, 9): «Si porrà sopra ogni pila incenso puro (Lv 24, 7).
La specie dell’incenso è immagine delle preghiere (Turis species formam tenet oratio-
num). Bisogna dunque unire ai pani della fede la vigilanza e la purezza delle preghiere.
Pura è quella preghiera di cui dice l’Apostolo: Levando mani pure senza ira e discussione
(1Tm 2, 8). Parimenti anche l’odore soave adempie quello che è scritto: Si diriga la mia
preghiera come incenso al tuo cospetto (Sal 140[141], 2). Se uno dunque offre preghiere
a Dio, ma non ha la coscienza pura dalle opere cattive (Si qui ergo orationes quidem offe-
«Come incenso al tuo cospetto» 363
Anche nelle Omelie su Numeri constatiamo motivi simili, ma al tem-
po stesso Origene pone meglio a fuoco le modalità dell’esperienza orante
nella sua dinamica costitutiva. Così, se la X Omelia sviluppa una nuova
riflessione sulla preghiera silenziosa, la XI Omelia offre una vivida descri-
zione dell’atto orante che possiamo senz’altro accostare ai luoghi esami-
nati precedentemente in Orat e CC. Ambedue le omelie traggono ispira-
zione, fra l’altro, dalla rinnovata esegesi di 1Cor 14, 15 («Pregherò con lo
spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito,
ma salmeggerò anche con l’intelligenza»). Sulla base di questo passo
paolino, la X Omelia su Numeri commenta la distinzione fra due diversi
«altari» – rispettivamente per gli olocausti (Es 20, 24) e per l’incenso (Es
27, 1) – che, secondo la nota associazione simbolica, rimandano entrambi
alla preghiera: mentre l’«altare esteriore» rinvia alla preghiera nello «spi-
rito», fatta cioè ad alta voce e a beneficio del prossimo, l’«altare interio-
re» indica la preghiera silenziosa dell’«intelligenza» (nou'") e corrisponde
all’orazione raccomandata da Gesù in Mt 6, 6 1092. Tuttavia, come indica
la V Omelia su Esodo, la preghiera dei santi è sì silenziosa – essendo del
resto espressa dalla «mente» –, ma in quanto lo Spirito dà voce alle loro
suppliche ed intercede per essi (Rm 8, 27)1093.
La XI Omelia su Numeri riprende l’interpretazione di 1Cor 14, 15,
illustrando più direttamente il modo di pregare della mente concentrata su
se stessa, non senza richiamare alcuni tratti costitutivi dell’atto orante su
––––––––––––––––––
rat Deo, non tamen habeat mundam conscientiam ab operibus malis), questi sembra
porre sopra ai pani incenso, ma non affatto puro. [...] Questo è l’incenso che Dio chiede
agli uomini di offrirgli, e di cui accetta l’odore soave: le preghiere di un cuore puro e di
una buona coscienza: nelle quali veramente Dio riceve un ardore soave (orationes ex
corde puro et conscientia bona, in quibus vere Deus suscipit flagrantiam suavitatis)» (tr.
Danieli, 278).
1092 HNm X, 3, 3 (73, 21–74, 2): «Altaria vero duo, id est interius et exterius, quo-
niam altare orationis indicium est, illud puto significare quod dicit Apostolus: Orabo spi-
ritu, orabo et mente (1Cor 14, 15). Cum enim “in corde oravero”, ad altare interius in-
gredior, et hoc puto esse etiam quod Dominus in Evangeliis dicit: Tu autem cum oras, in-
tra in cubiculum tuum et claude ostium tuum, et ora Patrem tuum in abscondito (Mt 6, 6).
Qui ergo ita orat, ut dixi, ingreditur ad altare incensi quod est interius. Cum autem quis
clara voce et verbis cum sono prolatis, quasi ut aedificet audientes, orationem fundit ad
Deum, hic “spiritu orat” et offerre videtur hostiam in altari, quod foris est ad holocausto-
mata populi consititutum».
1093 HEx V , 4 (cfr. supra, nota 555). Invece in HEz II , 3 (344, 19-27) Origene si
serve di 1Cor 14, 15, per augurarsi di seguire lo Spirito di Dio, anziché lo spirito che è
nell’uomo, come fa il falso profeta: «Apostolus loquitur: Orabo spiritu, orabo et sensu –
qui sensus habet in corde habitaculum – psallam spiritu, psallam et sensu. Igitur et spiri-
tus est et sensus in nobis. Et quomodo sanctus orat spiritu, orat et sensu, psallit spiritu,
psallit et sensu, sic iste qui est falsus prophetes de corde proprio prophetat, et ambulat non
post spiritum Dei sed post spiritum suum. Est quippe quidam spiritus hominis, qui versa-
tur in eo, post quem procul absit ut ego ambulem, sed intelligens sanctum Spiritum Dei
post Dominum Deum meum ambulabo».
364 Parte seconda, Capitolo settimo
cui ci siamo soffermati nello studio su Orat. In particolare, l’accentuazio-
ne del motivo del raccoglimento interiore – con qualche eco delle temati-
che caratteristiche degli esercizi spirituali – è sostenuta dalla convinzione
che l’orante non sia impegnato in un’azione esclusivamente individuale,
poiché la preghiera è messa in rapporto con l’intermediazione degli an-
geli presso il sommo sacerdote Gesù1094. Del resto, la preghiera scaturisce
qui – come vedremo meglio in seguito – dall’intima accoglienza della Pa-
rola di Dio nel momento ecclesiale del suo ascolto e commento. Il passo
dimostra pertanto come il modello di atto orante, elaborato in chiave pret-
tamente individuale in Orat, si presti in realtà ad essere fatto proprio anche
in una dimensione comunitaria, nella quale il singolo fedele è chiamato ad
assecondare personalmente il trascendimento sensoriale e ad attuare un
raccoglimento interiore, senza alcuna distrazione, per accedere al collo-
quio con Dio alla presenza degli angeli. In tal modo, conformemente a
quanto asseriva espressamente il trattato, la chiesa celeste assiste e so-
stiene la chiesa terrestre.
La connotazione ecclesiale della preghiera è messa a tema anche nelle
Omelie su Giosuè, con una ripresa del motivo della “unanimità” orante ap-
profondito da Origene specialmente nel Commento a Matteo. Nella IX Ome-
lia l’altare eretto da Giosuè con «pietre intatte» (Gs 9, 2 LXX [8, 30]) è
visto simbolicamente come l’espressione della preghiera concorde degli
Apostoli, quella stessa alla quale deve ispirarsi la preghiera unanime dei
cristiani con l’aiuto dello Spirito. Anche in questa occasione – come av-
viene spesso – la riflessione dell’Alessandrino prende forma con l’ausilio
di alcuni dei luoghi scritturistici più ricorrenti: citando Fil 2, 3 («Non fate
nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi, con tutta
umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso»), egli raccomanda di evi-
tare le contese e le ambizioni personali, mentre ritornando nuovamente su
Rm 8, 26 assicura l’intervento dello Spirito a sostegno dell’incapacità di
chiedere ciò che conviene realmente alla salvezza. L’idea della sinfonia
orante raccomandata alla comunità non ignora perciò la difficoltà costi-
––––––––––––––––––
1094 HNm XI, 9 (92, 20-93, 10): «Sed huiusmodi immolationis primitiae ita per
pontificem offerentur, si non solum verbis et voce, sed et mente oremus et corde, secun-
dum quod Apostolus monet. [...] Assistunt enim et nunc angeli Dei cultores et agricolae
cordis nostri et requirunt, si est in aliquo nostrum huiuscemodi mens tam sollicita, tam
intenta, quae verbum Dei tamquam semen divinum tota aviditate susceperit, si fructum
statim, ut ad orationem surgimus, ostenderit, id est si collectis et congregatis intra se sen-
sibus oret Deum, si non evagetur mente et cogitationibus evolet, ita ut corpore quidem in
oratione curvetur, sensibus autem diversa discurrat. Si quis, inquam, intentam et directam
senserit obsecrationem suam et ipsis Dei conspectibus atque ineffabili illi lumini se intel-
lexerit assistentem ibique orationes et obsecrationes postulationesque et gratiarum actio-
nes suas (1Tm 2, 1) profuderit, nullius extrinsecus phantasiae sollicitatus imagine; hic se
noverit per angelum, qui assistit altari, obtulisse immolationis suae primitias pontifici ma-
gno et vero, Christo Iesu Domino nostro».
«Come incenso al tuo cospetto» 365
tutiva che l’uomo ha nel pregare, prima che lo Spirito venga in suo soc-
corso, conformemente all’assunto fondamentale di Orat. Anche da ciò si
vede insomma come Origene si preoccupi di inculcare all’uditorio il suo
paradigma della «preghiera spirituale» 1095.
La continuità ideale con il trattato, riscontrabile già da queste testi-
monianze, pur senza implicare una riproposizione diretta ed altrettanto ra-
dicale del modello ivi tracciato, è confermata anche da uno fra i testi più
attenti alla problematica della preghiera in tutto il corpus omiletico. Si
tratta della I Omelia sul I Libro dei Regni, che oltre ad offrire un commen-
to sul cantico di Anna (1Sam 2, 1-10) – figura paradigmatica, secondo
Orat, della preghiera esaudita –, s’interroga lungamente sulla possibilità
di attuare la preghiera ininterrotta raccomandata da 1Ts 5, 17 1096. L’Ales-
sandrino risponde all’aporia allo stesso modo che nel trattato, indicando
cioè come soluzione da perseguire l’intreccio fra la preghiera e la vita,
per cui ogni buona azione vale alla stregua di un’orazione1097. Anche in
questo caso, come avveniva in Orat, l’orante che Origene ha in mente è
per eccellenza il «giusto», cioè l’uomo virtuoso e santo. Soffermandosi
brevemente a trattare il problema dell’oratio continua, egli giustifica la di-
gressione al suo uditorio con il fatto che il cristiano è sempre chiamato a
rinnovare il proprio orizzonte spirituale anziché accontentarsi di ciò che
conosce1098. Senza dubbio, in questa occasione si fa strada l’esigenza di
––––––––––––––––––
1095 HIos IX, 2 (347, 26–348, 7): «Tamen et nos temptemus dare operam, ut eadem
dicamus omnes (1Cor 1, 10) unanimes, unum sentientes, nihil per contentionem neque per
inanem gloriam gerentes, sed in uno sensu atque in eadem sententia (Fil 2, 3) permanen-
tes, si forte possimus etiam nos apti effici lapides ad altare. Non enim deserit nos Iesus
Dominus noster, sed quamvis nos vacantes orationi, quid oremus, secundum quod oportet,
nesciamus, ipse tamen spiritus interpellat pro nobis gemitibus inenarrabilibus (Rm 8, 26).
Dominus autem spiritus est (2Cor 3, 17). Si ergo orationes nostras spiritus adiuvat et of-
fert eas patri omnium Deo gemitibus, quibus nos explicare non possumus, certum est quia
et altaris constructionem sollicite requirat a nobis». In questa stessa linea, secondo HIos
VII , 2 (note 1539-1540) il clamore unanime del popolo davanti alle mura di Gerico indica
la preghiera concorde illustrata da Mt 18, 19 e At 1, 13-14.
1096 Come capita non di rado, l’inizio della riflessione assume i tratti della confes-
sio esegetica; cfr. HReL I , 9 (15, 10-16): «Ego cum legerem aliquando apud apostolum,
quod dixit: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17), quaerebam si praeceptum hoc possibile
esset impleri. Quis enim potest numquam desinere ab oratione, ita ut neque cibum aut
potum sumendi tempus habeat? Quippe si, ut haec fiant, intermittenda videtur oratio. Sed
nec dormiendi aut aliquid aliud humani usus agendi veniam secundum istud praeceptum
oratio communiter intellecta concedit».
1097 HReL I, 9 (15, 22–16, 2): «Si vero omnis actus iusti, quem secundum Deum
agit et secundum mandatum divinum, oratio reputatur, quia iustus sine intermissione, quae
iusta sunt, agit, per hoc sine intermissione iustus orabit nec umquam ab oratione cessabit,
nisi si iustus esse desistat. Cum enim iniustum aliquid agimus aut delinquimus, certum est
quod eo tempore etiam ab oratione cessamus».
1098 HReL I , 9 (16, 26–17, 5): «Sed quoniam innovari (2Cor 4, 16) semper iubetur is,
qui secundum evangelium vivit (cfr. 1Cor 9, 14), et novum Testamentum semper debet no-
366 Parte seconda, Capitolo settimo
una nuova istruzione sul modo di pregare, ma a ben vedere l’insieme delle
riflessioni proposte da Origene non fa altro che riproporre, sia pure in
forma assai organica, il dossier dei luoghi scritturistici relativi al modo di
pregare. Sono essenzialmente gli stessi del trattato e anche le spiegazioni
offerte nell’omelia vanno nella medesima direzione. Così Origene si rifà
sia a Sal 140(141), 2 sia all’immagine di Mosè orante contro Amalek, per
sostenere in entrambi i casi la necessità di un’ermeneutica spirituale, men-
tre accenna di passaggio al «mistero» delle mani di Gesù in croce come
dato arcinoto alla comunità1099. In realtà, proprio quest’ultimo rappresenta
l’elemento più significativo di differenziazione, anche se l’Alessandrino
comprensibilmente non ha ritenuto necessario approfondirlo all’uditorio
della chiesa di Gerusalemme, per il quale la valorizzazione in chiave tipo-
logica e spirituale della figura del Crocifisso doveva essere scontata.
Analogamente, un frammento delle Omelie su Geremia offre un con-
densato del discorso origeniano sulla preghiera alla luce di alcuni dei luo-
ghi biblici più consueti. Nel contesto esegetico caratterizzato dalla critica
del culto idolatrico (Ger 51, 21-22 LXX), l’Alessandrino, riallacciandosi a
un’immagine ormai per noi familiare, si domanda quale sia l’«incenso»
da offrire a Dio. Come in precedenza, la risposta l’identifica con una con-
dotta di vita nel segno delle virtù. Il complesso dei riferimenti scritturi-
stici disegna così nuovamente modalità e contenuti dell’atto di pregare, a
partire dalle citazioni di Sal 140(141), 2 e Ap 5, 8, l’uno e l’altro sfruttati
in senso spirituale a significare la novità di vita in Cristo che è propria del
«santo». Ai passi noti si aggiunge anche il richiamo a Sal 108(109), 7
come testimonianza sull’«incenso» offerto per il peccato, produttore per
converso di «cattivo odore». Se con ciò restiamo ancora nell’ambito della
prassi di vita, con un’accezione estensiva di preghiera in quanto vita vir-
tuosa, Origene ribadisce il giusto modo di pregare alla luce di 1Tm 2, 8,
mentre aggiunge una riflessione sull’efficacia della preghiera. Questa trae
ispirazione dal modello di Mosè orante, nel corso della battaglia di Isra-
ele contro Amalek – immagine già intravista, ma sulla quale ritorneremo
più avanti, data la frequenza con cui compare nelle omelie –, per racco-
mandare nuovamente la coerenza morale e spirituale tra preghiera e vita.
Chi si attiene a questo modo di pregare – ancora una volta un cenno im-
plicito al modello della «preghiera spirituale» in Orat –, può essere certo
di trovare ascolto. Ora, la garanzia di esaudimento è data con il concorso
di Is 58, 9, altro luogo cruciale per la riflessione di Origene in propo-
––––––––––––––––––
vis sensibus illustrari et cantare Domino iubemur canticum novum (Is 42, 10) et interior
homo noster, non dixit Paulus quia renovatur et stetit, sed renovatur de die in diem (2Cor
4, 16), oportebat etiam nos et de orationis modo, qualiter sine intermissione orandum (1Ts
5, 17) sit, et de elevatione manuum, quod sacrificium dicitur vespertinum (Sal 140[141], 2),
non solum usitatis et attritis, sed aliquantulum etiam innovatis dissertionibus explanare».
1099 Cfr. supra, nota 509.
«Come incenso al tuo cospetto» 367
sito1100. Come si vede, essa si è cristalizzata qui attorno all’immagine del-
l’incenso attirando sulla sua scia la costellazione dei testi scritturistici ben
noti. Ma la stessa immagine è rievocata in maniera ancora più plastica
nella XVIII Omelia su Geremia, dove si ripropone la contrapposizione fra
«incenso del peccato» e «incenso della preghiera» – cioè fra la preghiera
dell’«ingiusto» e la preghiera del «giusto» – con il corredo rinnovato di
Sal 140(141), 2 e Sal 108(109), 71101.
Se l’immagine della preghiera come forma di vita viene illustrata per
contrasto con la condizione dell’uomo peccatore, fra gli apporti specifici
delle omelie occorre registrare anche una trattazione più organica sulla pre-
ghiera di chi pecca. Benché il tema fosse poco presente in Orat, in quanto
invito alla vita perfetta, esso si è imposto alla riflessione di Origene a par-
tire dai diversi testi scritturistici che ne trattano, come abbiamo constatato
esaminando il Commento a Giovanni e il Commento a Matteo. Egli ha ri-
preso l’argomento non solo nelle Omelie su Geremia, dove torna più volte
sulla confessione delle colpe da parte di chi ha commesso peccati1102, ma
soprattutto si è soffermato su di esso nelle Omelie sul Salmo 37. L’intero
salmo è da considerare, secondo l’interpretazione dell’Alessandrino, come
una trattazione sulla preghiera del peccatore pentito1103. È dunque una con-
fessio o ejxomolovghsi", uno dei tipi di preghiere ai quali le omelie dedica-
no più attenzione di quanto non fosse con la classificazione proposta da
Orat, dove peraltro la ejxomolovghsi" era indicata come una componente
strutturale nella preghiera formulata1104. In queste omelie ritroviamo la
figura esteriore del peccatore in atto di confessare la sua colpa, ispirata dal
modello del pubblicano nella parabola evangelica: come questi, egli inchi-
na il corpo e tiene lo sguardo rivolto a terra, riflesso di un atteggiamento
––––––––––––––––––
1100 FrIer 68 (231, 10-25): plh;n wJ" sunegerqevnte" Cristw'/ ta; a[nw zhthvswmen
(cfr. Col 3, 1), eij" nou'n eijlhfovte" to; genhqhvtw hJ proseuchv mou wJ" qumivama ejnwvpiovn
sou (Sal 140[141], 2): kaqa; ga;r ∆Iwavnnh" ejn ∆Apokaluvyei fhsiv: qumiavmatav eijsin aiJ
proseucai; tw'n aJgivwn (Ap 5, 8). ajll∆ eij me;n logismoi'" tauvthn moluvnomen ponhroi'", sum-
baivnei to; hJ proseuch; aujtw'n genevsqw eij" aJmartivan (Sal 108[109], 7), h] eij" to; ejnantivon,
eja;n ajpo; dikaiosuvnh" eujxwvmeqa: ejpei; tw'n di∆ aJmartiva" legovntwn: proswvzesan kai;
ejsavphsan oiJ mwvlwpev" mou ajpo; proswvpou th'" ajfrosuvnh" mou (Sal 37[38], 6), givnetai
to; qumivama dusw'de". diovper ÔHsai?a" ei\pen: eja;n fevrhte semivdalin, mavtaion: qumivama,
bdevlugmav moiv ejstin (Is 1, 13). tivna de; trovpon eujktevon, ejdivdaxen oJ ajpovstolo" levgwn:
bouvlomai tou;" a[ndra" proseuvcesqai ejn panti; tovpw/ ejpaivronta" oJsivou" cei'ra" cwri;"
ojrgh'" kai; dialogismw'n (1Tm 2, 8). toiouvtwn ceirw'n ejpairomevnwn tou' Mwsevw" ejnivka
∆Israhvl, kaqairoumevnwn de; ejnivka oJ ∆Amalhvk (cfr. Es 17, 11). oJ ou{tw" eujcovmeno" oujk
ajpotugcavnei, ajlhqeuvonto" tou' rJhtou': e[ti lalou'ntov" sou ejrei': ijdou; pavreimi (Is 58, 9).
1101 HIer XVIII, 10 (infra, nota 1191).
1102 Per esempio, in HIer X, 8. Cfr. anche HIer V, 10; XX, 8-9; FrIer 68.
1103 H37Ps II, 5 (308, 2): «haec vox boni et optimi, ut ita dixerim, peccatoris»; II, 9
(320, 10-11): «Et haec vox confitentis est et misericordiam postulantis».
1104 H37Ps II, 1 (290, 7-8): «ipse se ad exomologesin peccati sui moeroremque
convertit». Sulla ejxomolovghsi" si veda supra, p. 157, nota 482.
368 Parte seconda, Capitolo settimo
interiore segnato dall’umiliazione della colpa1105. A chi si trova nella con-
dizione di peccato è offerta una via di penitenza e preghiera per essere ri-
sanato da Dio quale medico delle anime1106. A questo fine Sal 37(38) illu-
stra con quali disposizioni d’animo ci si debba rivolgere a lui nella pre-
ghiera: la confessione di colpevolezza e il ricordo del peccato commesso,
con il turbamento che procura all’anima, in vista di trattenerla da nuove
cadute1107. Oltre a richiamare l’esempio evangelico del pubblicano e l’am-
missione di colpa ad opera di Paolo, Origene si occupa nuovamente della
preghiera di Gesù nel Getsemani per ricordare il conflitto tra la carne e lo
spirito, di cui anche il Salvatore fa l’esperienza fino alla sua risoluzione
definitiva nella morte in croce con l’abbandono al Padre1108.
Un ulteriore tratto caratterizzante la predicazione origeniana è l’affio-
rare di preoccupazioni di ordine pastorale relative al corretto modo di
pregare, intendendo con ciò in primo luogo i contenuti ma senza escludere
i modi dell’orazione. L’Alessandrino le manifesta specialmente nelle Ome-
lie su Geremia, dove si sforza di indicare quali debbano essere i contenuti
dell’autentica preghiera, mentre critica manifestazioni oranti che egli con-
sidera superficiali e temerarie. È in queste occasioni che percepiamo distin-
tamente la nota di radicalità che contraddistingueva l’immagine della pre-
ghiera nel trattato. Così, la I Omelia su Geremia si augura che coloro che
sono sottoposti a prove o persecuzioni preghino il Signore perché siano
provati e perseguitati «ingiustamente» e non, al contrario, perché abbiano
dato motivo di ciò1109. Viceversa, la XIV Omelia su Geremia mette in guar-
––––––––––––––––––
1105 H37Ps I, 5 (280, 17-20): «Si videas eum qui peccavit non posse respicere in cae-
lum sed curvato corpore demersoque in terram vultu non solum corporis sed et animae».
1106 H37Ps I, 1 (248, 31-32): «non vult Deus noster mortem peccatoris, sed paeni-
tentiam et orationem eius exspectat. Denique et iste psalmus qui nunc lectus est, nobis
ostendit ut si forte aliquando praevenimur in delictis qualiter nos et cum quo affectu orare
oporteat et medico supplicari pro doloribus vel infirmitatibus nostris».
1107 H37Ps I, 1 (248, 36–250, 43): «Si quando ergo praeoccupaverit nos inimicus et
ignitis iaculis suis vulneraverit animam nostram, primo hoc nos docet hic psalmus quod
convenit post peccatum confiteri peccatum et in memoria recordari delictum ut, per re-
cordationem culpae stimulatum cor et cruciatum pro delicto suo, interim refrenet ac revo-
cet ne quid tale ultra committat».
1108 H37Ps I, 2 (270, 127–272, 137): «Memini me aliquando de illo capitulo evan-
gelii disputantem in quo scriptum est: spiritus quidem promptus est, caro autem infirma
(Mt 26, 41), tale aliquid sensisse quod antequam Salvator noster veniret ad crucem et cruci-
figeret carnem atque emori eam faceret, antequam perfecte mortificaretur, prius dixit infir-
mari carnem suam; et donec infirmabatur quidem caro, spiritum promptum esse dicebat:
cum vero cruci eam tradit et perfecta morte consummat, tunc non iam promptum spiritum,
sed in manibus patris positum esse testatur». Origene interpreta anche qui il conflitto
carne-spirito alla luce della dottrina della propavqeia (vsi veda supra, nota 1027).
1109 HIer I, 13 (11, 20-22): Dia; tou'to mh; xenizovmenoi oiJ diwkovmenoi pavnta prat-
tevtwsan, movnon eujcovmenoi, i{na ajdivkw" diwvkwntai kai; mh; dikaivw", mh; di∆ ajdikivan, mh;
di∆ aJmartivan, mh; dia; pleonexivan.
«Come incenso al tuo cospetto» 369
dia dal formulare richieste temerarie per condividere il destino di profeti
e apostoli, dal momento che i fedeli lo fanno senza neanche pensare alle
tante prove, traversie e persecuzioni che la loro supplica racchiude impli-
citamente in sé1110. A loro esempio e ammonizione, come vediamo nella
XX Omelia su Geremia, l’Alessandrino addita gli asceti, i quali sono capaci
di invocare la sorte di Geremia e Paolo abbracciando una vita di rinun-
cia1111. Anche la XVII Omelia su Geremia si premura di porgere ai fedeli
un’istruzione sui contenuti che si confanno maggiormente alla preghiera,
ribadendo implicitamente l’istanza della «preghiera spirituale»: quando si
è malati e ci si immagina di morire a breve, anziché chiedere il prolun-
gamento della vita a coloro che sovrintendono alla comunità, occorre
piuttosto desiderare «il giorno di Dio» e augurarsi di partecipare al più
presto di esso 1112. O ancora, la IV Omelia su Luca raccomanda ai genitori
di pregare per una prole virtuosa sull’esempio della preghiera esaudita di
Zaccaria ed Elisabetta1113. Quanto ai modi di pregare, vediamo emergere
la stessa nota critica insieme all’istanza pastorale nella V Omelia su Nu-
meri, dove Origene denuncia il fatto che la comunità non comprenda
usanze che pratica regolarmente come la genuflessione durante la pre-
ghiera o il fatto di pregare verso oriente 1114. D’altra parte, benché questo
stesso ciclo di omelie contenga diversi spunti interessanti sull’atteggia-
mento esterno dell’orante, quali le allusioni al segno di croce o il fatto di

––––––––––––––––––
1110 HIer XIV, 14 (cfr. infra, p. 389).
1111 HIer XX, 7 (189, 3-5): ei[ ti" ou\n duvnatai mimei'sqai to;n profhvthn, kai; ajqe-
sivan [...] ejpikaleivsqw, kai; talaipwrivan de; ejn tai'" ajskhvsesin ejpikaleivsqw.
1112 HIer XVII, 6 (150, 9-16): pollavki" noshvsante" kai; ejn fantasiva/ qanavtou ge-
novmenoi <ejpi; > th'" ejxovdou parakalou'men tou;" ejpiskopou'nta" hJma'" ajdelfou;" kaiv fa-
men: ai[thsaiv moi komivaton, ai[thsaiv moi ejpimevnein tw/' bivw/. tau'ta levgonte" oujk hJmevran
ejpiqumou'men aJgivan qeou', ajll∆ hJmevran ajnqrwvpou. diovper ajpoqevmenoi th;n filozwivan
kai; to; ejpiqumei'n ajnqrwpivnhn hJmevran, zhthvswmen th;n hJmevran ejkeivnhn ijdei'n, ejn h|/
teuxovmeqa th'" ejn Cristw/' ∆Ihsou' makariovthto", w/| ejstin hJ dovxa ktl.
1113 HLc IV, 2 (24, 4-7): «et qui semel ob utilitatem aliorum ad liberorum opera de-
scenderit et se voluerit huic ministerio mancipare, obsecret Deum, ut talis ei filius ingre-
diatur saeculum, super cuius nativitate laetior sit».
1114 HNm V, 1 (cfr. supra, nota 520). In HIud II, 3 (475, 12-19) la genuflessione del
corpo offre il pretesto per un’ammonizione contro la «genuflessione spirituale» a Satana
provocata dal peccato: «Sed non in hoc vocati sumus nec ad hoc credidimus, ut iterum
serviamus peccato et iterum genua flectamus diabolo, sed ut flectamus genua in nomine
Iesu, quia in nomine Iesu omne genu flectitur coelestium et terrestrium et infernorum (Fil
2, 10), et ut flectamus genua ad patrem Domini nostri Iesu Christi, ex quo omnis paterni-
tas in coelis et in terra nominatur (Ef 3, 14-15) et quid mihi prodest, si genua corporis mei
ad orationem veniens flectam Deo et genua cordis mei flectam diabolo?». In Fr1Cor 66
(190) la genuflessione non ha significato penitenziale, ma è il riflesso corporeo della dosso-
logia reverenziale per chi è beneficiato con il dono della profezia: oJ ojfelouvmeno" eujla-
bei'tai ejmblevyai eij" to; provswpon tou' Qeou': dio; fantazovmeno" to;n Qeo;n pivptei ejpi; prov-
swpon, kai; th;n uJperoch;n kai; th;n dovxan aujtw/' didouv", kai; ou{tw" proskunei' tw/' Qew/'.
370 Parte seconda, Capitolo settimo
pregare a capo scoperto1115, l’Alessandrino vi accenna sempre en passant,
senza mai considerarli entro una visione più organica conformemente alla
sua trattazione in Orat1116.
L’insieme delle trattazioni più specifiche rievocate sinora nel corpus
omiletico si riferisce essenzialmente alla preghiera ex parte hominis, an-
che quando Origene s’interroga sulla questione dell’esaudimento divino.
Ma egli ha affidato alla VI Omelia su Ezechiele una delle più illuminanti e
sorprendenti riflessioni sulle dinamiche dell’esperienza orante, consideran-
dola questa volta ex parte Dei. Con un crescendo paradossale, l’Alessan-
drino arriva ad affermare prima nei riguardi del Figlio, il quale s’incarna
per la salvezza degli uomini, e poi dello stesso Padre, una «passione della
carità» (passio caritatis) che li fa partecipare entrambi delle sofferenze
umane. Ora, la prospettiva assolutamente inedita (o almeno rarissima nel
pensiero cristiano antico) di una “passibilità” di Dio viene argomentata
con il ricorso al fenomeno umano della preghiera o supplica di aiuto che
si dà nelle relazioni tra gli uomini: dinanzi alla richiesta di colui che è nel
bisogno, se non si ha il cuore duro, si prova compassione per lui e tale
compassione ci induce ad ascoltare la sua domanda ed a prestargli aiuto.
Così è anche di Dio – sia nel Padre che nel Figlio – dentro il piano salvi-
fico da lui attuato a beneficio dell’umanità 1117. Di conseguenza, il mo-
dello antropologico della supplica (che Origene ha considerato en passant
anche nel trattato) offre una chiave straordinaria per penetrare nelle «vi-
scere paterne» di Dio stesso1118.

––––––––––––––––––
1115 Sul problema del segno di croce in Origene, cfr. supra, nota 511. Quanto alla
preghiera a capo scoperto, immagine dell’apertura a Dio della coscienza dell’orante, cfr.
HEz III, 3 (351, 10-14): «Qui fiduciam habet et vere vir est, velamen non habet super ca-
put suum, sed intecto capite orat Deum, intecto capite prophetat, per signum corporalis rei
etiam spiritalem latenter ostendens, ut quomodo non habet velamen super caput carnis
suae, ita non habeat velamen super principale cordis sui»; HEz III, 5 (353, 8-10): «Ideo
autem disrupturum, ut caput nudum fiat, ut accepta fiducia, et revelata non solum facie
sed etiam capite, constanter vir ecclesiasticus possit orare».
1116 Così HNm IX, 3 rievoca la preghiera di Mosè e Aronne prostrati a terra, mentre
HNm XI, 9 raccomanda che il curvarsi del corpo sia accompagnato dalla concentrazione
interiore della mente; a sua volta HNm XIX, 1 spiega il significato di innalzare le mani per
la preghiera.
1117 HEz VI, 6 (384, 31–385, 3): «Si rogetur, miseretur et condolet, patitur aliquid
caritatis, et fit in iis in quibus iuxta magnitudinem naturae suae non potest esse, et propter
nos humanas sustinet passiones» (cfr. anche HEz XIII, 2: «Quam bonus Deus, qui etiam
eos qui se denegaverunt, deflet! Et hoc venit ex amoris affectu. Nemo quippe plangit quem
odit; et qui plangitur, plangitur quidem ut mortuus, verum quasi adhuc quaeratur, quasi
vivis desiderio sit, diligitur»). Cfr. Perrone 1994a; Fernández Eyzaguirre; Pennacchio
2008, 157-188.
1118 Sulla «supplica», e[nteuxi", cfr. supra, pp. 130 ss.
«Come incenso al tuo cospetto» 371
3.3.2. L’omelia come momento orante: la preghiera del predicatore e della
comunità per la venuta del Logos

Più che dalle poche trattazioni specifiche, quantunque utili ed interes-


santi, l’apporto principale del corpus omiletico alla nostra indagine viene
dalla “cornice orante” che accompagna la predicazione dell’Alessandrino.
Se l’interpretazione delle Sacre Scritture, come egli ha ribadito in molte-
plici occasioni, esige che il commentatore partecipi di quello stesso Spiri-
to che ha ispirato il testo sacro e per il cui dono egli è tenuto ad invocare
Dio 1119, la loro spiegazione alla comunità non poteva ignorare questo
aspetto essenziale. Esso interviene in una duplice prospettiva: sia per il
predicatore impegnato nell’arduo compito di esporre il significato pro-
fondo delle letture, sia per la comunità che lo ascolta ed è sollecitata a so-
stenerlo ed a fare proprio tale significato per il suo perfezionamento spiri-
tuale. Significativamente Origene, riandando nella XI Omelia su Ezechiele
alla sua precedente spiegazione di Geremia, l’attribuisce in maniera deter-
minante al dono della grazia con il concorso delle preghiere dei fedeli1120.
Pertanto la dimensione orante investe costitutivamente l’atto della predi-
cazione e l’udienza ecclesiale che ne fruisce, manifestandosi soprattutto
all’inizio e alla fine della spiegazione omiletica. È questo, infatti, il tratto
più immediatamente evidente e come tale è stato oggetto di studio, ma
esso non deve essere considerato in maniera troppo schematica1121. Non

––––––––––––––––––
1119 Limitatamente ai testi omiletici si veda, ad esempio, HEz II, 2 (341, 29–342,
3): «Quomodo habebat opus Spiritu sancto qui haec dicere iubebatur, sic eodem Spiritu
opus est ei qui exponere cupit ea quae sunt latenter significata»; HEz XI, 2 (425, 31-34):
«Si aliquando Dei indiguimus auxilio – semper autem in intellectu Scripturarum Spiritu
eius sancto indigemus –, nunc profecto tempus est quo nobis praestet auxilium et pandat
ipse quae dixit»; HIos VIII, 1 (336, 7-8): «ad explananda ea indigemus gratia Spiritus».
Sulla necessità della preghiera per comprendere «le cose divine» insiste, in particolare,
EpGr 4 (supra, nota 7). L’Alessandrino ha sfruttato anche l’inizio di Ct per chiarire il
nesso fra preghiera e teologia; cfr. FrCt 2 (supra, nota 920). Fra i molti luoghi delle ome-
lie merita di essere segnalato HEx XII, 4 (266, 20-23), perché manifesta programmatica-
mente l’esigenza di combinare studio e preghiera: «Unde ostenditur non solum studium
nobis adhibendum esse ad discendas litteras sacras, verum et supplicandum Domino et
diebus ac noctibus obsecrandum, ut veniat agnus ex tribu Iuda et ipse accipiens librum si-
gnatum dignetur aperire».
1120 HEz XI, 5 (431, 6-8): «eo tempore quo Hieremiam exposuimus, ea quae nobis
gratia Domini orantibus vobis largita est, sive certe utcumque sensimus, exponere conati
sumus».
1121 Sul nesso letture – preghiera in contesto ecclesiale, si veda Fr1Cor 17 (90): o{ti
sunagovmeqa ejn tw/' ejnestw'ti aijw'ni, o{ti ajkouvomen grafw'n iJerw'n, o{ti eujcovmeqa. La
problematica è stata approfondita da Schütz, 139 e specialmente da Sheerin. Per l’analisi
delle dossologie conclusive si veda Crouzel 1980, con i nuovi approfondimenti critici
proposti da Grappone 2007. Questi ha osservato la frequenza delle preghiere all’inizio
delle omelie latine nella versione rufiniana, diversamente dai testi greci e dalle traduzioni
372 Parte seconda, Capitolo settimo
sempre le omelie che conosciamo iniziano e terminano con la preghiera,
anche se ciò è vero di un buon numero di esse. Di solito troviamo una
conclusione in forma di dossologia, ma non solo essa può combinarsi con
una vera e propria intenzione di preghiera che perlopiù riassume il senso
della spiegazione fornita dal predicatore, ma questi può ricorrere ad espres-
sioni oranti, oltre che in apertura di omelia, anche nel corso del suo com-
mento, impegnando eventualmente la comunità che l’ascolta ad assecon-
darlo 1122. Ciò avviene, ad esempio, quando l’omelia affronta successiva-
mente pericopi distinte del testo scritturistico, soprattutto qualora esse
comportino difficoltà particolari per l’interprete o implichino la necessità
polemica di contrastare opinioni che ritiene fuorvianti1123. In altre parole,
la tipologia delle manifestazioni oranti risulta piuttosto diversificata e
funzionale alle finalità, ad un tempo didascaliche ed edificanti (o se vo-
gliamo “pastorali”), che contraddistinguono l’attività omiletica di Orige-
ne1124. Abbiamo in ogni caso a che fare con un elemento caratterizzante,
accostabile per le sue modalità alle espressioni di «esegesi orante» che ab-
biamo scorto nei commentari.

––––––––––––––––––
di Gerolamo, senza però trarne un’indicazione critica sulla loro attendibilità: «se si allarga
lo sguardo alle preghiere introdotte all’inizio delle omelie nel loro complesso, in tradu-
zione rufiniana ne incontriamo un numero considerevole, 28 su 118 omelie, mentre nelle
omelie greche ne abbiamo trovato solo due su 21, compreso il brevissimo inciso di HIer
XVIII (eja;n doqh/': HIer XVIII, 1 [151, 7]), una richiesta d’aiuto per affrontare il testo più in
dettaglio; in HIer XIX abbiamo trovato nella transizione tra prologo e corpo del discorso
un’invocazione a Gesù, perché ispiri il predicatore» (p. 101).
1122 Ad esempio, in HGn III abbiamo tre richieste di preghiera alla comunità: in III,
1, per poter ribattere alle questioni sugli antropomorfismi divini; in III, 4, per propiziare la
spiegazione della «circoncisione del cuore» secondo Paolo ([44, 5-6] «Redeamus ergo ad
propheticas voces, ut, orantibus vobis, haec de quibus quaerimus inde clarescant»); III, 5
([44, 15-16] «Si me vestris precibus iuveritis»). Anche in HGn VII troviamo due esorta-
zioni alla preghiera ( VII, 1; VII, 6). HLv V e HIos VIII contengono numerosi richiami alla
preghiera (cfr. rispettivamente HLv V, 1; V, 2; V, 4; e HIos VIII, 1; VIII , 2; VIII, 3). Sui due
appelli oranti di HIer XIX si veda infra, nota 1149. Esortazioni a pregare per l’intelligenza
spirituale, nel mezzo della spiegazione, compaiono anche in HIud IV, 3; HIs VI , 3; HEz III,
6; HEz IV, 1; HLc XXII, 3 (134, 10-14): «Oremus, ut illius cotidie nobis adventus fiat et
possimus dicere: Vivo autem, iam non ego, vivit autem in me Christus (Gal 2, 20). Si enim
Christus vivit in Paulo et non vivit in me, quid mihi proderit? Cum autem et ad me venerit
et fruitus illo fuero, sicut fruitus est Paulus, tunc et ego possum Paulo similiter loqui».
1123 Si veda, ad esempio, in HGn IV, 6 (56, 17-19) la premessa a una confutazione di
gnostici e marcioniti: «Nos ergo prius Dominum deprecantes et vestris orationibus adiuti
aggrediemur contra eos proelium verbi». Cfr. anche HEx III, 2 (164, 23-25): «Et ideo oran-
dum nobis est, ut dignetur Dominus aperire os nostrum, ut possimus et contradicentes re-
vincere et obturare os quod diabolus aperit».
1124 Benché HLv VII, 1 distingua il compito del predicatore (= edificare la comu-
nità) da quello del maestro (= spiegare le Scritture), in generale le due istanze sono com-
presenti nell’omiletica di Origene. La distinzione è comunque richiamata anche in HNm
XIX, 1 e altrove. In proposito si veda il giudizio di Markschies citato alla nota 737.
«Come incenso al tuo cospetto» 373
A testimonianza del momento orante in apertura possiamo richiamare
l’inizio della VII Omelia sulla Genesi. Esso esemplifica bene l’invito alla
preghiera per l’intelligenza spirituale delle Scritture che accomuna predi-
catore e fedeli nella richiesta dell’aiuto divino, condizione indispensabile
per accedere al livello profondo del testo 1125:
«Mosè ci viene letto nella chiesa. Supplichiamo il Signore affinché, anche per noi,
secondo la parola dell’Apostolo, quando viene letto Mosè, non sia posto un velo
sopra il nostro cuore (2Cor 3, 15)»1126.
Il ricorso al passo paolino, assai frequente non solo in questo ciclo di
omelie ma anche altrove, più che essere sfruttato in senso stretto a fini
esegetici, serve ad indicare il contenuto della supplica che occorre rivol-
gere in comune a Dio per far sì che l’Antico Testamento giunga ad esse-
re inteso come «libro della chiesa»1127. Ma, come mostra il prologo della
VI Omelia sulla Genesi, esso va ricondotto ad una costellazione di riferi-
menti-chiave per l’ermeneutica spirituale della Bibbia, tutti ricavati dal-
l’Apostolo, che in contesto omiletico giungono a configurarsi per Origene
come oggetto di preghiera.
«Se uno vuole ascoltare e comprendere queste cose soltanto secondo la lettera,
deve disporsi all’ascolto più con i giudei che con i cristiani; ma se vuole essere
cristiano e discepolo di Paolo, lo ascolti dire che la legge è spirituale (Rm 7, 14),
e, quando parla di Abrahamo, della sua moglie e dei suoi figli, lo ascolti pro-
nunciare la parola allegoria (Gal 4, 24). E anche se qualcuno di noi non può fa-
cilmente scoprire di che tipo di allegorie si tratti, tuttavia deve pregare che dal
suo cuore sia tolto il velo, se c’è chi si sforzi di convertirsi al Signore: il Signore
infatti è Spirito (2Cor 3, 16-17) ed egli stesso tolga il velo della lettera e apra la
luce dello Spirito, e possiamo dire che contemplando a volto svelato la gloria del
Signore, siamo trasformati per la medesima immagine di gloria in gloria, come
dallo Spirito del Signore (2Cor 3, 18)»1128.
––––––––––––––––––
1125 Riprendo qui alcune riflessioni sviluppate più ampiamente in Perrone 1999c.
1126 HGn VII, 1 (70, 12-14): «Moyses nobis legitur in ecclesia. Deprecemur Domi-
num, ne secundum verbum apostoli etiam apud nos, cum legitur Moyses, velamen sit posi-
tum super cor nostrum (2Cor 3, 15)». Cfr. inoltre l’accenno all’immagine del «velo» nella
preghiera introduttiva all’esegesi spirituale dopo un “preambolo” di esegesi letterale in
HGn II, 2 (30, 4-6): «Nunc vero iam deprecantes eum prius, qui solus potest de lectione
veteris testamenti auferre velamen, temptemus inquirere quid etiam spiritalis aedificatio-
nem contineat magnifica haec arcae constructio».
1127 Cfr. Cocchini, 144-145: «Con frequenza Origene ricorre alla pericope paolina
nel momento che segna il passaggio dal primo livello interpretativo di un determinato te-
sto, al secondo livello, non più semplicemente letterale ma più profondo: in questi casi,
più che per farne oggetto di interpretazione, egli si richiama al testo di Paolo per formu-
lare quella “supplica a Dio” alla quale invita anche il pubblico dei fedeli, e che ritiene ne-
cessaria, giacché lui “solo può togliere il velo dalla lettura dell’Antico Testamento” [HGn
II , 3]». Il motivo del «velo», oltre al riferimento paolino, può rinviare a Sal 118(119), 18,
come vediamo dall’esortazione iniziale di HGn XII, 1 (supra, nota 800).
1128 HGn VI, 1 (tr. Danieli, 188-190).
374 Parte seconda, Capitolo settimo
Come evidenzia questo brano, non si tratta semplicemente di acce-
dere ad una comprensione spirituale delle Scritture, bensì d’introdursi –
nel segno della preghiera – ad un itinerario di perfezionamento spirituale
la cui mèta ultima è la conformazione all’«immagine di Dio», secondo il
motivo illustrato da Origene in Orat e altrove quando collega la preghiera
alla contemplazione1129. È quindi una strada ardua ed esigente, e Origene
ne ben è consapevole, allorché accenna alle eventuali difficoltà dell’udi-
torio a «scoprire le allegorie»; ma tali difficoltà toccano da vicino anche
il predicatore, che è chiamato ad iniziare i suoi ascoltatori al mistero della
Parola divina. Per questa ragione Origene non solo raccomanda ai fedeli
di pregare «il Padre del Verbo» perché tolga il velo posto sui loro occhi,
che di fatto coincide con il «velo della lettera», ma li esorta anche a so-
stenerlo mediante la preghiera, perché Dio ispiri le sue parole e l’assista
nel momento in cui aprirà bocca1130. Si tratta nuovamente, in qualche mi-
sura, di indicazioni programmatiche della «lettura ecclesiale» dell’Antico
Testamento, come vediamo dal bel testo in apertura della IX Omelia sulla
Genesi, che fonde suggestivamente le due istanze, comunitaria e perso-
nale, fino al punto di renderle indissociabili:
«Quanto più ci inoltriamo nella lettura, tanto più aumenta in noi il cumulo dei mi-
steri (Quantum legentes progredimur, tantum nobis sacramentorum cumulus auge-
tur). E, come quando uno entra nel mare su una navicella, fino a che è vicino alla
terra, ha meno paura, ma quando a poco a poco è avanzato in alto mare, e ha inco-
minciato o a essere sollevato in alto per il gonfiarsi delle onde, o a essere condotto
giù nel profondo per il fendersi di esse, e allora grande angoscia e spavento gli in-
vadono l’anima, per avere affidato una piccola zattera a così ingenti flutti: questo
ci sembra di provare anche noi che, piccoli di meriti e deboli di ingegno, osiamo
entrare nell’oceano così vasto dei misteri. Ma se, per la vostra preghiera, il Signore
si degnerà di concederci il soffio leggero e favorevole del suo Spirito santo (si,
orantibus vobis, Dominus dignetur Spiritus sui sancti auram nobis prosperam da-
re), entreremo, mediante la rotta propizia della parola, nel porto della salvezza»1131.
––––––––––––––––––
1129 Sul nesso fra «intelligenza spirituale» e «conversione» si veda HEx XII, 4 (267,
28–268, 2): «Si ergo et nos Dominum deprecemur ut velamen de corde nostro dignetur
auferre, capere possumus intellegentiam spiritalem, si tamen convertamur ad Dominum et
libertatem scientiae requiramus». Cfr. anche HLv XIII, 2 (468, 20-23): «Verum quoniam lex
spiritalis est (cfr. Rm 7, 14), petamus a Domino – si tamen conversi sumus ad Dominum –
auferri nobis velamen de lectione Veteris Testamenti (cfr. 2Cor 3, 14. 16), ut possimus
advertere, quae ratio sit candelabri vel lucernarum secundum intelligentiam spiritalem».
1130 HReL I, 3 (5, 8-15): «Deprecor autem vos omnes, ut, quoniam sensum tam dif-
ficilium rerum conamur aperire et ea, quae velamine obtecta sunt, ecclesiae auribus pan-
dere – in lectione enim veteris Testamenti, sicut dicit apostolus, velamen est positum
(2Cor 3, 14) –, precibus a Domino postuletis, ut dignetur nobis ad se conversis auferre ve-
lamen (2Cor 3, 16) etiam de hac lectione (2Cor 3, 18), quam habemus in manibus, et
planius nobis reserare, quae tecta sunt, ut et nos possimus revelata facie in his, quae lecta
sunt, gloriam Domini speculari (2Cor 3, 18)».
1131 HGn IX, 1 (86, 18-27 [tr. Danieli, 247]).
«Come incenso al tuo cospetto» 375
La sinergia orante tra la comunità e il predicatore può tradursi spesso
in espressioni di carattere formulare, senza che questo aspetto trattenga
particolarmente l’omileta. In tali casi egli si limita semplicemente a richia-
mare la cornice della preghiera come premessa necessaria della sua espo-
sizione, prima di addentrarsi in essa1132; infatti, anche se il significato let-
terale risulta chiaro, il senso spirituale del testo esige preliminarmente un
atteggiamento di preghiera1133. In generale, il sostegno dei fedeli con la
loro preghiera viene evidenziato quando il passo da commentare presenti
particolari difficoltà all’interprete o l’uditorio risulti impreparato ad ac-
cogliere l’insegnamento impartito dal predicatore. Nella IX Omelia sul-
l’Esodo Origene dichiara espressamente che offrire una spiegazione dei
misteri contenuti nel testo in esame trascende sia le forze del predicatore
sia la capacità dell’uditorio: egli si sforzerà comunque, con il concorso
dei fedeli e l’aiuto determinante di Dio, in risposta alla loro preghiera, di
contribuire all’edificazione della comunità 1134. Anche nella XX Omelia su
Giosuè, il predicatore chiede alla comunità di sostenere il suo compito
pregando, in modo che risulti possibile trarre almeno qualche beneficio
spirituale dalla lettura della Parola sacra1135. Questo genere di inviti tende
ad infittirsi nella nutrita serie delle Omelie su Numeri dedicate a commen-
tare la profezia di Balaam (HNm XIII-XIX), proprio perché il testo risul-
tava particolarmente ostico 1136. Sebbene l’Alessandrino non lo dichiari

––––––––––––––––––
1132 Cfr. ad esempio HGn III, 1 (39, 18-19): «Ad haec ergo, si precibus vestris iu-
vemur, prout Dominus dederit, breviter occurremus»; HEx V, 1 (184, 28–185, 2): «Accepta
ergo a beato Paulo apostolo semina spiritalis intellegentiae, in quantum Dominus nos pre-
cibus vestris illuminare dignabitur, excolamus»; HNm XX, 1 (185, 12-16): «Duae sunt ergo
historiae, quae recitatae sunt; sed nos de prima interim, quae fornicationem populi descri-
bit, si quid orantibus vobis gratiae Dominus dignabitur praestare, dicemus; si vero ipse
concesserit, aliquid etiam de secunda contingere audebimus».
1133 HNm XII, 4 (104, 2-4): «Historia quidem manifesta est, sed deprecemur Domi-
num, ut aliquid dignum possimus in interioribus eius sensibus pervidere».
1134 HEx IX, 2 (237, 18-22): «quomodo autem horum narratio aptari possit coelesti-
bus et aeternis, nec nostrae mensurae est dicere nec vestrae, ut opinor, capacitatis audire.
Pauca tamen, si nos orantibus vobis Dominus illuminare dignetur, quae ad ecclesiae aedi-
ficationem pertineant, aperire temptabimus».
1135 HIos XX , 1 = Phil 12 (415, 7-12): «Verum quia difficile est ita eruditam vel
gratia spiritus repletam invenire animam, conamur nos consolationis communis causa, ne
forte taedio efficiatur auditoribus sermo divinus et lectio, si nihil explanationis accipiat,
orantibus vobis et Domino donante haec interim de huiuscemodi lectionibus perstringere,
quae aedificare possint animas nostras». Il testo greco di Phil 12, assai più stringato, non
contempla l’invito alla preghiera.
1136 Fin dalla prima omelia Origene insiste sul problema esegetico, che peraltro in-
veste anche il tenore letterale del testo; cfr. HNm XIII, 4 (111, 22-25. 112, 8-11): «Omnia
iam, quae de Balaam et asina eius scribuntur, historia plena negotiis; interior vero intellec-
tus multo negotiosior et nescio, si facile sit vel ipsas tantum historicas explanare senten-
tias. Deo tamen donante breviter, quae possumus, perstringemus. [...] Unde iterum atque
376 Parte seconda, Capitolo settimo
sempre con uguale intensità, nondimeno dai suoi appelli all’uditorio tra-
spare chiaramente che l’omileta non può mai prescindere da questa dimen-
sione orante. Come ricaviamo ancora dalla XX Omelia su Giosuè, è impos-
sibile all’uomo scrutare i misteri di Dio senza il suo aiuto: pertanto, se il
predicatore si affatica a commentare il testo biblico, anche la comunità
deve affaticarsi con lui per giungere insieme alla comprensione spiritua-
le1137. La VII Omelia su Ezechiele, istituendo un parallelo fra il compito del
predicatore e il ruolo di Mosè – che dopo il colloquio con Dio ne trasmet-
teva i contenuti al popolo –, richiede l’assistenza dei fedeli oranti perché
lo Spirito santo comunichi all’omileta i misteri e questi possa a sua volta
riferirli alla comunità1138.
Nelle esortazioni a pregare da parte di Origene si è già intravisto, per
così dire, il terzo soggetto di una dialettica che comporta le tre componenti
seguenti: 1. il predicatore, 2. la comunità e 3. colui che rappresenta il fatto-
re decisivo per una dinamica di comprensione, cioè Dio stesso. Secondo
l’auspicio programmatico della III Omelia su Levitico, «se il Signore si
degna di aprire a noi gli occhi per vedere e a voi le orecchie del cuore per
ascoltare, ricercheremo che cosa voglia dire il pensiero del legislatore av-
volto di misteri»1139. Questo terzo lato nel “triangolo” di relazioni spiri-
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iterum Dei nobis exoranda est gratia, ut haec non fabulosis et Iudaicis narrationibus, sed
rationalibus et dignis divina lege possimus sensibus explicare». Anche l’avvio della spie-
gazione della seconda profezia rimanda ad una cornice orante, come mostra HNm XVI, 1
(137, 13-15): «Secundae nunc prophetiae initium sumimus, ut, si Dominus adspirare di-
gnetur, etiam de hac pro viribus, quae occurrerint, in medium proferamus»; mentre HNm
XVI, 8 conclude con una supplica per ricevere l’intelligenza spirituale della parte residua
degli oracoli di Balaam. Si veda ancora HNm XVIII, 1 (167, 10-12): «Quartam nunc
prophetiam ex his, quae Balaam in verbo Dei locutus est, in manus assumimus, volentes
etiam de ipsa, quae Deus dederit, aperire»; e HNm XIX, 1 (176, 23-26): «Quinta haec no-
bis eademque ultima Balaam visio discutitur, de qua similiter, ut in ceteris, Dominum de-
precemur, quo in fine nos non deserat, ut possimus huius quoque visionis sensum haud
procul a veritate captare». In Dial 26 Origene spiega Nm 23, 10 come esempio di «pre-
ghiera spirituale» (supra, nota 784).
1137 HIos XX, 4 (422, 16-22): «Videtis quia vere auxilio Dei opus est, ut haec ex-
planari queant; et impossibile prorsus est ullum hominum de his disserere, nisi illuminatus
per Dei gratiam fuerit. Ideo ergo iuvate me orationibus et mecum pariter laborate, ut Do-
minus in istis tam obscuris et absconditis locis lucem veritatis nobis dignetur ostendere, ut
et nos vobis possimus aperire, quomodo haec vera et utilia et divina sunt, sed pro fragili-
tate humanae naturae obtecta sacramentis et mysteriis involuta». Cfr. anche HReL I, 2 (3,
23-24): «Historia nobis recitata est de primo libro Regnorum, quae ita videtur difficilis, ut
absque divinae virtutis gratia explanatio eius non possit exponi»; per tale motivo in I , 3
(nota 1130) il predicatore invita a pregare.
1138 HEz VII , 10 (400, 1-2): «Dei indigemus auxilio, ut ipse nobis obscuritatem istius
loci edisserat. Et quomodo Moyses audiebat Deum et deinde ea quae a Deo audierat profe-
rebat ad populum, sic nos indigemus Spiritu sancto loquente in nobis mysteria, ut oratio-
nibus vestris Scripturam possimus audire, et rursum quod audivimus populis intimare».
1139 HLv III, 6 (310, 22-24): «Verum si dignetur Dominus vel nobis oculos ad viden-
«Come incenso al tuo cospetto» 377
tuali istituito dalla situazione omiletica viene esplicitato da Origene ai di-
versi livelli della sua articolazione trinitaria. In primo luogo, abbiamo l’in-
dicazione del destinatario della preghiera: in alcuni casi – come avveniva
in Orat – egli è espressamente indicato come Dio, il «Padre del Verbo»1140.
Ne abbiamo un bell’esempio nella VI Omelia su Levitico:
«per spiegare tali cose, noi dobbiamo contare non sulle forze dell’ingegno uma-
no, ma sull’effondere orazioni e preghiere a Dio. E abbiamo bisogno anche del
vostro aiuto, perché Dio, il Padre del Verbo, ci doni il verbo per aprire la nostra
bocca, affinché possiamo considerare le meraviglie della sua Legge»1141.

Tuttavia, nella maggior parte degli altri casi la preghiera è indirizzata


al «Signore» (Dominus nelle traduzioni latine del corpus omiletico), lad-
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dum vel vobis ad audiendum aures cordis aperire, quid sibi velit legislatoris sensu opertus
mysteriis, requiremus» (tr. Danieli, 71-72).
1140 HGn XII, 1 (106, 20-21): «orandus nobis est Pater Verbi»; HGn XIII, 1 (114,
9-10): «invocemus Patrem Verbi viventis»; HLv XII, 4 (460, 9-10): «si orationibus vestris
Deum Patrem Verbi deprecemini, ut nos illuminare dignetur». Possiamo forse aggiungere
anche HLv V, 1 (334, 4-5): «invocantes Deum, qui fecit Scripturae animam et corpus et
spiritum»; benché il fr. greco (= Phil 1, 30) reciti semplicemente: Fevre, ejpikalesavmenoi
to;n poihvsanta th'/ Grafh/' sw'ma kai; yuch;n kai; pneu'ma, «Dio» è chiaramente il soggetto
implicito, come attesta l’inizio dievsthsan ajpo; tou' ijoudai>smou' kai; tou' Qeou' tou' dovnto"
tauvta" ta;" grafav". Invece FrLc 125 (278, 4-9) su Lc 8, 41 contiene un indirizzo esplicito
a Dio per l’invio del Logos: oiJ de; dunavmenoi diabaivnein ejpi; to; blevpein, o{ti kai; tau'ta
tupikw'" sunevbainen ejkeivnoi", ejgravfh de; di∆ hJma'" (1Cor 10, 11), eujxavmenoi tw'/ qew'/
aijthvswmen lovgon ejlqei'n to;n safhnivzonta kai; tau'ta, pw'" oJ ∆Ihsou'" pro;" th;n ajrcisu-
nagwvgou qugatevra prohgoumevnw" ajphv/ei, ouj pro;" th;n aiJmorroou'san kai; ejn th'/ oJdw'/
aujtw'/ ajpantw'san, kai; o{ti prohgoumevnw" ajpiovnto" aujtou' pro;" ejkeivnhn prwvth au{th qe-
rapeuvetai. Secondo HIer XIX, 13 (169, 16-17), la preghiera di Pietro in At si rivolge a
Dio come destinatario (hJnivka ajnevpempe th;n eujch;n tw/' qew/' ); ed anche Origene invita ad
indirizzarsi a lui in HIer XX , 9 (192, 11): eujcevsqw tw/' qew/'. Trovo dunque eccessiva la
conclusione di Grappone 2007 (basata, in particolare, sul confronto tra greco e latino di
HLv V, 1), secondo cui «possiamo ipotizzare con qualche fondamento che Rufino sia inter-
venuto inserendo, precisando e ampliando un poco le invocazioni non molto frequenti che
incontrava nel testo greco, lasciando a volte cadere il caratteristico riferimento diretto al
Figlio, probabilmente per eccessive preoccupazioni di ortodossia trinitaria» (p. 107).
1141 HLv VI, 1 (359, 10-14): «et ideo nobis ad haec exponenda non humani ingenii
viribus nitendum est, sed orationibus et precibus ad Deum fusis. In quo etiam vestri adiu-
torio indigemus, ut Deus, Pater Verbi, det nobis verbum in apertione oris nostri (cfr. Ef 6,
19), ut possimus considerare mirabilia de lege eius». A tale testo è da accostare HIos VIII, 2
(337, 6-11): «Temerarium fortasse sit, quod facimus, tam ardua et tam difficilia Scripturae
sanctae loca explanare conantes; sed si nos orationibus vestris iuvetis, non solum culpam
effugiemus audaciae, verum et devotionem nostram amplexus Pater Verbi Deus dabit
verbum in adapertione oris nostri (Ef 6, 19), quo et vos aedificemini et nos non indevoti
pareamus. Orantes ergo et intenti animis audite». Riferendosi a HGn XIII; HLv VI; HIos
VIII, 2, Grappone 2007, 104 osserva: «il predicatore chiede per sé la parola a colui che ha
dato origine alla parola della Scrittura, sempre sulla base di Eph. 6, 19». Per l’espressione
greca corrispondente a Pater Verbi, in un contesto orante, cfr. Phil 1, 28: tou' patro;" tou'
lovgou (nota 152).
378 Parte seconda, Capitolo settimo
dove è possibile intendere sia Dio Padre, sia più verosimilmente il Fi-
glio1142. Tale ambivalenza non può non introdurre di per sé un elemento
di differenziazione rispetto alla prospettiva disegnata nel Trattato, che in-
dividuava con precisione nel Padre il destinatario della proseuchv, intesa
come la «preghiera spirituale» per eccellenza. Ma, considerando anche il
nuovo esempio di preghiere formulate dai fedeli nella XIV Omelia su Ge-
remia (dopo quello addotto in Orat XV) e indirizzate a «Dio onnipo-
tente», si dovrebbe pensare che almeno in casi come questi il modello del
Trattato costituisca ancora il riferimento principale1143. A confermare la
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1142 A titolo di esempio, si veda HGn III, 1 (39, 18-19): «prout Dominus dederit»;
HGn IV, 6 (supra, nota 1123); HGn VII , 1 (70, 12): «deprecemur Dominum»; HEx III, 2
(164, 23-24): «Et ideo orandum nobis est, ut dignetur Dominus aperire os nostrum»; HLc
XXXVIII, 5 (216, 8): «Quapropter rogemus Dominum». L’interscambiabilità fra Deus e
Dominus è particolarmente avvertibile in HNm XXIV, 3 (231, 2-4.20-21):« Haec sunt qui-
dem, quae scripta sunt; sed orandus est nobis Deus, ut intellectum dare dignetur se di-
gnum, quo haec, ut decet de Dei verbis intelligi, possimus advertere. [...] De quibus quam-
vis applicare difficile sit, tamen quae Domino largiente occurrere potuerint, inferemus».
Anche per Grappone 2007, «Origene all’inizio delle spiegazioni sembra rivolgersi spon-
taneamente al Figlio/Logos per ottenere la capacità di interpretare adeguatamente (spiri-
tualmente) la Scrittura che ha davanti, il che d’altra parte corrisponde alle dossologie cri-
stologiche che caratterizzano costantemente il finale delle omelie [...] questo poteva far
problema a Rufino e anche a Girolamo preoccupati evidentemente di non dar spazio ad
accuse di subordinazionismo» (p. 102). Ma l’A. non ricorda che in Orat il destinatario è
indicato nel Padre e semmai indirizzarsi al Figlio nella preghiera potrebbe proprio rispon-
dere all’accusa di subordinazionismo, ponendo di fatto il Figlio sullo stesso piano. In segui-
to, però, osserva che «nelle traduzioni rufiniane [...] è difficile trovare invocazioni rivolte
inequivocabilmente al Figlio nel contesto dell’inizio dell’omelia» (ibidem). Ciò dipende-
rebbe da una voluta ambiguità del traduttore. Invece, «il valore di Dominus [...] recupera
pienamente il senso cristologico nei casi in cui è associato alla citazione paolina di 2Cor
3, 13-18, il suo uso perciò in questi casi dovrebbe corrispondere al testo originale» (p. 105).
Sull’equivalenza «Signore» (Kuvrio") = «Padre», si veda ad esempio CC I, 46 (96, 21-25):
Kai; nu'n kuvrio" ajpevsteilev me kai; to; pneu'ma aujtou' (Is 48, 16)… ejn w|/ ajmfibovlou o[nto"
tou' rJhtou', povteron oJ path;r kai; to; a{gion pneu'ma ajpevsteilan to;n ∆Ihsou'n, h] oJ path;r
ajpevsteile tovn te Cristo;n kai; to; a{gion pneu'ma, to; deuvterovn ejstin ajlhqev".
1143 HIer XIV, 14 (119, 11-13): pollavki" ejn tai'" eujcai'" levgomen: qee; pantokrav-
tor, th;n merivda hJmw'n meta; tw'n profhtw'n dov", th;n merivda hJmw'n meta; tw'n ajpostovlwn
tou' Cristou' sou dov". Per il testo di Orat XV , 1, cfr. supra, nota 404. In CC VII, 10 (161,
21-22) l’appellativo pantokravtwr è attribuito al Padre, in distinzione dal Figlio e dallo
Spirito; cfr. anche FrIo 46. L’equivalente latino omnipotens, per molte preghiere formu-
late, è attestato sia da Rufino sia, più frequentemente, da Gerolamo. Cfr. da un lato HGn
II , 6 (38, 27-28): «Omnipotentis tamen Dei misericordiam deprecemur»; HIos XV, 7 (393,
17-19): «Tunc tibi dabitur requies, ut requiescas sub vite tua, qui est Christus Iesus, et sub
ficu tua, qui est Spiritus sanctus, ut ita gratias referas Deo patri omnipotenti in ipso Chri-
sto Iesu Domino nostro»; HIos XVII, 3 (405, 19-20): «Sed potius oremus Dei omnipotentis
misericordiam»; dall’altro, HEz III, 8 (357, 29-30): «Ne auferas nos, Deus omnipotens, de
medio populi tui, verum conserva nos in populo tuo»; HEz IV , 1 (363, 7-10): «Ne conte-
ras, omnipotens Deus, firmamentum panis ab ista terra, id est anima nostra, quin potius
largire nobis semen tuum, ut faciat in nobis fructum centuplum (cfr. Mc 4, 20 par.)»; HEz
«Come incenso al tuo cospetto» 379
diversità con Orat forse si potrebbero addurre anche le conclusioni in
forma orante che per lo più terminano con una dossologia a contenuto
cristologico, non fosse per l’abituale implicazione cristologica del motivo
della dovxa in Origene1144. Del resto, passando adesso a considerare l’esau-
dimento prefigurato nelle suppliche, l’individuazione del Dominus nel Fi-
glio sembra suggerita dalla stessa dinamica dell’intelligenza spirituale
che la preghiera di predicatore e fedeli domanda si attui. Infatti, il suo pro-
tagonista principale è il Verbo e, molto in subordine, lo Spirito. Se è leci-
to presumere – come peraltro è detto esplicitamente in alcuni testi – che
il dono del Verbo venga al predicatore e ai fedeli dal Padre, l’omileta si
sofferma specialmente sul ruolo del Logos in quanto protagonista dello
svelamento dei misteri racchiusi nella Scrittura. È lui, in sostanza – come
Origene dichiara in più di un’occasione –, il vero interprete della Parola
divina: il contenuto del testo sacro rimanda dunque al suo soggetto ed
attore principale, mentre il predicatore appare solo come il supporto alla
sua voce1145.
Molte sollecitazioni al concorso orante della comunità illustrano que-
sto protagonismo del Logos divino. Nella III Omelia su Genesi l’Alessan-
drino si augura che la preghiera dei fedeli attiri la venuta del «Verbo del
Dio vivente», in modo che sia lui stesso ad aprire la bocca del predicatore
ed a condurlo nella comprensione della verità1146. Anche in apertura della
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VI, 10 (388, 19-20): «Omnipotens Deus, et nobis tribue ut digni efficiamur corona glorifi-
cationis super caput nostrum»; HEz XIV , 4 (454, 6-8): «glorificantes Deum omnipotenten
per Christum Iesum»; HLc III, 4 (22, 14-16): «fruamurque conspectu omnipotentis Dei in
Christo Iesu et Spiritu sancto»; HLc XII , 6 (76, 18-19): «Benedicamus omnipotenti Deo
opere, cogitatione, sermone, in Christo Iesu»; HLc XIII, 6 (81, 10-15): «Quod cum ita sit,
petamus omnipotentem Deum, ut angeli et homines ecclesiarum episcopi adiumento sint
nobis, et sciamus, quoniam utrique pro nobis a Domino iudicentur»; HLc XIV, 10 (91, 25-
27): «sed, ut dispensatio eius nova omnia, ita novas quoque haberet hostias, secundum vo-
luntatem omnipotentis Dei in Christo Iesu»; HLc XV, 5 (94, 25-26): «oremus omnipoten-
tem Deum». Si veda anche HIud II, 2 (473, 16-18) con la duplice resa di pantokravtwr:
«Omnipotens dominator Deus, praesta ne unquam accidat nobis, ut Iesus Christus postea-
quam surrexit a mortuis, rursum moriatur in nobis».
1144 Cfr. Pazzini, 200 con riferimento alla trattazione in CIo XXXII: «La gloria è
compimento, nel Figlio, dell’economia che discende da Dio; è espressione, nell’imma-
gine, del modello; è appartenenza al Padre dell’opera stessa del Figlio». Si veda anche
l’interpretazione di Gv 17, 5 infra, pp. 479-481.
1145 HIos XXVI, 2 (458, 24-459, 3): «Nunc ergo videamus, quae sunt machaerae
petrinae, quibus circumcidit Iesus filios Istrahel (Gs 5, 3). Si oretis pro nobis, ut sermo no-
ster vivens sit et efficax et acutior super omnem machaeram (Eb 4, 12), praestabit et nobis
Dominus Iesus, et verbum Dei, quod loquimur ad vos, circumcidat omnem immunditiam,
resecet impuritates, abscindat vitia de auditoribus et amputet omne, quo vis mentis et effi-
cacia naturalis obtegitur».
1146 HGn III, 5 (44, 15-18): «Si me vestris precibus iuveritis, ut adesse dignetur
verbum Dei vivi in apertione oris nostri, poterimus ipso duce per arctum hoc quaestionis
iter ad latitudinem veritatis exire».
380 Parte seconda, Capitolo settimo
I Omelia su Esodo il predicatore sollecita l’aiuto orante dell’uditorio af-
finché il Verbo di Dio si renda presente in lui e faccia da guida al suo ser-
mone1147. In un passo della XXVI Omelia su Numeri, che rinnova la richie-
sta dell’eliminazione del «velo» che copre l’Antico Testamento per poter
penetrare dentro i misteri di Dio, il predicatore supplica direttamente il
Verbo d’introdurlo alla conoscenza del mistero, prima d’invitare i fedeli
ad assisterlo con la preghiera onde intendere attraverso lui la stessa voce
del Logos 1148. L’attesa per la venuta del Logos nell’assemblea riunita in
ascolto e meditazione della Parola trova forse l’espressione più vivida
nella XIX Omelia su Geremia. Il testo è tanto più prezioso e illuminante,
data la scarsità di sermoni conservati nella lingua originale. L’Alessan-
drino prega qui a due riprese perché Gesù stesso venga e ammaestri la
comunità sui contenuti delle Scritture: se l’invito alla preghiera include a
un tempo il predicatore e la comunità, l’uno e l’altra sono investiti ugual-
mente dal processo di ammaestramento e illuminazione interiore che Gesù
in persona conduce e che li trasforma tutti in suoi discepoli1149. Tornando
a riflettere nella stessa omelia sulla necessità dell’aiuto divino, Origene
auspica questo intervento come la «manifestazione della potenza di Gesù,
in quanto Sapienza, Logos e Verità» capace di «fare luce sul volto dell’ani-
ma»1150. Questa invocazione diretta a Gesù perché illumini il significato
spirituale è confermata, nella tradizione delle omelie latine, anche dalla
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1147 HEx I, 1 (146, 8-10): «si tamen precibus vestris iuvetis, ut adsit nobis sermo
Dei et ipse dux nostri dignetur esse sermonis».
1148 HNm XXVI, 3 (248, 26–249, 1.10-19): «Oremus ergo Dominum, ut auferatur
velamen a cordibus nostris de lectione veteris testamenti (2Cor 3, 15), ut ea, quae ab-
scondita sunt et occulta in Moysei litteris, videre possimus secundum prophetae commo-
nitionem dicentis: et nisi audieritis occulte, plorabit anima vestra (Ger 13, 17). [...] Nos
autem oremus ex corde Verbum Dei, qui est unigenitus eius et qui revelat Patrem quibus
vult (cfr. Gv 1, 18), ut et nobis haec revelare dignetur; sunt enim in his repromissionum
mysteria, quae repromisit diligentibus se, ut sciamus et nos, quae a Deo donata sunt no-
bis (cfr. 1Cor 2, 9. 12). Sed et vos iuvate nos in orationibus et diligenter intendite non tam
nobis dicentibus quam Domino illuminanti eos, quos illuminatione sua dignos invenerit.
Quorum contemplatione etiam nobis dare dignetur verbum in adapertione oris nostri (cfr.
Ef 6, 19). Sed age iam, si corda erexistis ad Dominum et verbi eius sancti illustrationem
petistis, ad perscrutandum sensum eorum, quae videntur, veniamus».
1149 Il primo invito a pregare si trova a conclusione del prologo, in HIer XIX, 10
(165, 11-14): tau'tav moi ejn prooimivw/ ei[rhtai, diegeivronti kai; ejgeivronti kai; ejmauto;n
kai; tou;" ajkouvonta" ejpi; to; prosevcein toi'" ajnagnwsqei'sin, i{n∆ aijthvswmen ejlqei'n ∆Ih-
sou'n kai; ejpifanh'nai hJmi'n kai; didavskein ta; nu'n hJma'" ta; ejntau'qa gegrammevna. Il secon-
do, in HIer XIX, 15 (173, 5-7), introduce la nuova pericope commentata: prosevconte" th/'
levxei pavlin aijthvswmen h{kein to;n ∆Ihsou'n, kai; ejpifanevsterovn ge kai; lamprovteron
h{kein aujto;n parakalw'men, i{na ejlqw;n didavxh/ pavnta" hJma'".
1150 HIer XIX, 11 (167, 1-5): oJmologw' kat∆ ejmauto;n mh; duvnasqai aujta; dihghvsa-
qai, ajlla; dei'sqai, wJ" proei'pon, ejpifaneiva" th'" dunavmew" ∆Ihsou', kaq∆ o} sofiva ejstiv,
kaq∆ o} lovgo", kaq∆ o} alhvqeia, i{na hJ ejpifavneia aujtou' poihvsh/ fw'" ejpi; tou' proswvpou th'"
yuch'" mou.
«Come incenso al tuo cospetto» 381
preghiera introduttiva della V Omelia su Isaia. Essa segue immediatamente
una prima richiesta del predicatore al «Re altissimo» per poter riprendere
il filo del discorso e chiarire almeno alcuni punti del libro profetico:
«E dunque, per potere anche noi avere la “visione” che “ebbe” Isaia, invochiamo
Gesù, che ha donato gli occhi a chi non vedeva: poiché anche ora egli può venire
e far sì che contempliamo a occhi disvelati quello che è stato proclamato nella
lettura del mistero. Promettiamo a lui che non faremo più del corpo di Cristo il
corpo di una meretrice (1Cor 6, 13), che non compiremo opere degne di com-
pianto: ognuno di noi dica con il cuore a Dio queste parole, e preghiamo che il
suo avvento si verifichi anche ora, poiché, se Gesù non viene, non possiamo ve-
dere queste realtà»1151.
Nella situazione omiletica, grazie al ricorso alla preghiera – come
appare da questo brano e come avverte anche la IV Omelia su Salmo 36 –,
si attua dunque un’esperienza di trasformazione interiore e di «sequela»
del Logos vivente nelle Scritture: solo l’intervento della grazia può com-
pensare la fondamentale incapacità del predicatore a far parlare questa
stessa parola divina per il suo uditorio, mentre la venuta diretta del Logos
opera nei fedeli la trasformazione a sua immagine 1152.
Come si è accennato, lo Spirito sembrerebbe svolgere un ruolo più
marginale nelle richieste oranti, a paragone dell’assistenza auspicata con
l’intima presenza del Logos, benché l’inizio della I Omelia su Levitico
l’associ al Verbo come secondo destinatario della preghiera1153. Ma per
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1151 HIs V, 2 (264, 5-12): «Verum ut et nos videamus visionem, quam vidit Isaias,
vocemus Iesum, qui non videntibus largitus est oculos. Potest enim etiam nunc venire et
facere, ut ea, quae in lectione sacramenti dicta sunt, apertis oculis intueamur; repromitta-
mus ei iam nos ultra non facere corpus Christi corpus meretricis (1Cor 6, 13), non facere
opera digna luctu. Unusquisque nostrum haec corde loquatur ad Deum et precemur, ut
adventus eius etiam nunc fiat; si enim non advenit Iesus ista videre non possumus». Si
veda anche il seguito, dove Origene conclude la sua straordinaria “confessione orante”
con le parole (265, 5-14): «Praeparo et me et audientes ad maiora mysteria, si tamen ve-
niat, si descendat ad nos sermo Dei; timeo enim, ne me fugiat, ne benedictionem quoque
meam dedignetur [...] orate Deum omnipotentem, ut veniat ad nos sermo eius» (tr. Da-
nieli, 111-112).
1152 H36Ps IV, 3 (198, 146-156): «Verbi gratia, si orationibus vestris mererer esse
iustus et accipere a Domino gratiam in verbo sapientiae et in verbo scientiae, ita ut pos-
sem secundum gratiam quam ipse a Domino meruissem, vobis quoque ministrare verbum
Dei et serere illud in animabus vestris: tum deinde ingressus sermo Dei animas vestras et
haerens in corde vestro formaret mentes vestras secundum speciem verbi ipsius, id est ut
hoc velletis et hoc ageretis quod verbum Dei vult, et per hoc ipse Christus formaretur in
vobis: tunc vere efficeremini semen iusti».
1153 HLv I, 1 (281, 18-23): «Ipse igitur nobis Dominus, ipse sanctus Spiritus depre-
candus est, ut omnem nebulam omnemque caliginem, quae peccatorum sordibus concreta
visum nostri cordis obscurat, auferre dignetur, ut possimus legis eius intelligentiam spiri-
talem et mirabilem contueri, secundum eum qui dixit: Revela oculos meos, et considerabo
mirabilia de lege tua (Sal 118[119], 18)». Sull’intervento auspicato dello Spirito, si veda
HGn IX , 1 (86, 25-27): «Sed si, orantibus vobis, Dominus dignetur Spiritus sui sancti au-
382 Parte seconda, Capitolo settimo
l’Alessandrino è scontato che l’interpretazione spirituale delle Scritture
rinvii all’azione dello Spirito di cui esse sono l’espressione, mentre lo
Spirito è a sua volta da vedersi sempre correlato al Logos1154. Spiegare le
Scritture – come dichiara la XIII Omelia su Levitico significa intendere
«quale sia la volontà dello Spirito santo»1155. Solo con l’ausilio dello
Spirito, secondo l’VIII Omelia su Giosuè, è possibile far comprendere agli
ascoltatori il nutrimento spirituale racchiuso in esse1156. Per tale motivo
Origene, nella II Omelia su Ezechiele – dopo aver auspicato che i fedeli
ricevano la grazia dello Spirito onde poter esercitare un «discernimento
spirituale» sugli stessi discorsi del predicatore – afferma che se egli giunge
a scoprire il «senso di Cristo» (1Cor 2, 16) in Mosè e nei profeti, allora
non parla «dal proprio cuore, bensì dallo Spirito santo»1157. Anche nella
XXXVIII Omelia su Luca Origene si appella a ciò «che lo Spirito gli rivela
e affida», ma egli teme di svilirlo, qualora gli avvenga di insegnare senza
ricavare frutti1158. In particolare, è solo grazie all’aiuto dello Spirito che la
predicazione giunge ad esercitare un effetto psicagogico nei confronti
dell’uditorio. Non è fuori luogo richiamare a questo proposito le riflessio-
––––––––––––––––––
ram nobis prosperam dare, secundo verbi cursu portum salutis intrabimus»; HLv IX , 1
(418, 1-5): «Sed videamus primo quid sibi velit litterae ipsius continentia, ut orantibus
vobis – si tamen ita Domino supplicetis, ut exaudiri mereamini – possimus accipere gra-
tiam Spiritus, per quam explanare valeamus mysteria, quae continentur in lege».
1154 A riprova di una dinamica più apertamente trinitaria si può rinviare a HIos VIII,
1-2, dove dopo aver richiamato la necessità della grazia dello Spirito per l’interpretazione
(nota 1156), si invoca «Dio, Padre del Verbo» (nota 1141).
1155 HLv XIII, 1 (468, 4-7): «Intendamus ergo animum diligentius his, quae scripta
sunt, et ad haec dinoscenda concedi nobis gratiam Domini deprecemur, ut in his quae le-
gimus litteris, quae sit voluntas sancti Spiritus, agnoscamus».
1156 HIos VIII, 1 (336, 4-10): «Deprecamur vos, o auditores sacrorum voluminum,
non cum taedio vel fastidio ea, quae leguntur, audire pro eo, quod minus delectabilis vide-
tur esse narratio. Scire etenim debetis digna quidem esse sancti Spiritus eloquio, quae le-
guntur, sed ad explananda ea indigemus gratia Spiritus sancti illa, quam dicit Apostolus:
alii autem per spiritum datur sermo sapientiae, alii sermo scientiae secundum eundem
spiritum (1Cor 12, 8)».
1157 HEz II, 2 (342, 22-343, 7): «Cum autem et super me venerit, qui dicor ecclesia-
sticus, qui accipio librum sanctum et nitor eum interpretari, hoc quod de haereticis intel-
ligi potest, quaeso audientes ut diligenter attendant, et accipiant gratiam Spiritus, de quo
dictum est: Discretiones spirituum (1Cor 12, 10), ut probati trapezitae facti diligenter ob-
servent quando falsus magister sim, quando vero praedicem quae sunt pietatis ac veritatis.
Si itaque invenio in Moyse et in prophetis sensum Christi, non de corde proprio, sed de
sancto Spiritu loquor; si autem nihil congruum inveniens, mihimet ipse confingo, quae lo-
quar, fluctuans in sermonibus qui sunt alieni a Deo, de mei potius corde quam de Dei sen-
sibus loquor».
1158 HLc XXXVIII, 5-6 (216, 1-7): «Si enim ea, quae mihi a sancto Spiritu revelata
sunt et credita, ut in vulgus efferrem, pretio vendidero et absque mercede non docuero,
quid aliud facio, nisi columbas, id est Spiritum sanctum vendo?» [ll. 1-4: ∆Ea;n ga;r ta; ejx
aJgivou pneuvmato" lelalhmevna moi misqou' pipravskw, tiv a[llo poiw' h] to; pneu'ma to;
a{gion misqou' pipravskw…].
«Come incenso al tuo cospetto» 383
ni contenute nel Commento a Romani, che considerano l’efficacia della
predicazione come determinata dal «fuoco dello Spirito»:
«può accadere anche a te che, se proclami la parola di Dio e lo fai con fedeltà e
coscienza pura, e non sei rimproverato tu stesso dalle tue parole – come uno che
insegni in un modo e agisca in un altro – può accadere dunque che, mentre tu
parli, il fuoco dello Spirito santo infiammi i cuori degli ascoltatori e subito si
riscaldino ed ardano per realizzare tutte le cose che tu insegni»1159.

Questa azione psicagogica, essenzialmente originata e sorretta dal-


l’intervento della grazia, può conferire alle parole del predicatore, secondo
la I Omelia su Salmo 37, l’efficacia di «dardi» che trafiggono il cuore degli
astanti. Essi inducono così alla confessione della colpa e alla preghiera
coloro che si sono resi colpevoli di peccati1160.
Le manifestazioni oranti che inquadrano e accompagnano l’attività
del predicatore sollecitano l’esito auspicato della comprensione e del per-
fezionamento spirituale, a livello personale e comunitario, ma Origene sa
bene quanto ciò possa restare semplicemente una prospettiva ideale. Le
«confessioni» dell’omileta – che a volte colpiscono il lettore per la loro
intima sincerità ed intensità di sentimenti – ci fanno capire che la mèta in-
dicata dalle preghiere per la venuta del Logos spesso è ben lungi dall’es-
sere raggiunta. Talora l’Alessandrino sente il bisogno di sottolineare aper-
tamente la propria inadeguatezza, come fa nella IV Omelia su Levitico,
dove vorrebbe poter dire di «aver toccato le carni sante del Verbo di Dio
ed essere stato santificato da lui» così da ammaestrare efficacemente la
comunità1161. In altri casi si riconosce lui stesso come un uditore, impe-
gnato ad imparare e bisognoso, al pari dei fedeli, dell’opera di correzione
––––––––––––––––––
1159 CRm VI, 13 (tr. Cocchini I , 357). Cfr. anche CRm IX, 2: «Ci si accorge invece
che spesso uomini di non grande eloquenza e che non si curano di come comporre il di-
scorso, convertono molti infedeli alla fede con parole semplici e senza arte, inclinano i
superbi all’umiltà, imprimono nei peccatori lo stimolo della conversione. E questo eviden-
temente è il segno, come afferma qui l’apostolo, del parlare per mezzo della grazia che è
stata loro data» (tr. Cocchini II, 97-98).
1160 H37Ps I, 2 (262, 29-264, 33): «hi, si his auditis quae loquimur, recte et fideliter
audiant et compungatur cor eorum ex iaculis verborum nostrorum et transfixi talibus iaculis
doleant et conversi ad paenitentiam dicant: Domine ne in furore tuo... (Sal 37[38], 2-3)».
1161 HLv IV, 8 (328, 3-9): «Et nos si haberemus talem intellectum, ut possemus sin-
gula, quae scribuntur in lege, spiritali interpretatione discernere et obtectum uniuscuiu-
sque sermonis sacramentum in lucem scientiae subtilioris educere; si ita docere possemus
ecclesiam, ut nihil ex his, quae lecta sunt, remaneret ambiguum, nihil relinqueretur ob-
scurum, fortassis et de nobis dici poterat quia tetigimus carnes sanctas Verbi Dei et sancti-
ficati sumus». Il sentimento dell’inadeguatezza personale trova espressione anche in HLv
III, 8 (313, 28–314, 2): «Sentio quod in explanando vires nostras mysteriorum superat ma-
gnitudo. Sed quamvis non valeamus cuncta disserere, tamen sentimus cuncta repleta esse
mysteriis. Et ideo studiosis quibusque indicia posuisse sufficiat, quibus excitati ad altiora
horum et profundiora perveniant et intelligant».
384 Parte seconda, Capitolo settimo
e purificazione della Parola divina1162. Oppure, se da un lato professa l’ef-
ficacia spirituale delle letture come tali, al limite senza risolversi a pre-
gare perché Dio intervenga con la sua grazia per intenderne più profon-
damente il senso1163, dall’altro può spingersi ad affermare che una piena
comprensione e spiegazione della Scrittura non è di questo mondo1164. Ci
sono però anche occasioni in cui il predicatore, facendosi interprete della
duplice funzione di correzione e ammaestramento insita nel suo compito,
non lesina critiche all’uditorio, invitando i fedeli a dedicarsi seriamente
alla preghiera ed all’ascolto della Parola1165. All’esigente omileta non può
certo bastare che i cristiani di Cesarea interrompano solo una o due ore al
giorno le loro attività consuete per pregare e ascoltare la Parola di Dio
come en passant1166. Avvertendo egli stesso l’asprezza che certe sue di-
chiarazioni potevano assumere alle orecchie dei fedeli, in un sermone te-
nuto a Gerusalemme, alla presenza del vescovo Alessandro – omaggiato
come uomo dalla parola dolce –, Origene confida nella preghiera della
comunità perché l’«amarezza» della sua predicazione si trasformi in
«medicina di salvezza» 1167.
A imitazione di quanto facevano Mosè e Aronne con il popolo d’Israe-
le, Origene raccomanda specialmente ai sacerdoti della chiesa la preghie-
––––––––––––––––––
1162 Cfr. supra, note 742-743 (HNm III, 1; HIos VII, 3).
1163 HIos XX, 2 (420, 7-12): «Sed fortasse dicit aliquis auditorum: haec nobis id-
circo dicis, ut te ab officio disputationis excuses et in his finias neque quicquam prorsus
vel ex his, quibus possibile est, consolationis exhibeas neque ut Dominum depreceris prae-
stare gratiam suam ad revelanda ea, quae lecta sunt, ut parvum saltem cibum ex occulto-
rum et secretorum explanatione sumamus».
1164 HIos XXIII, 4 (446, 19-26): «scitote ineffabilia per haec mysteria contineri et
maiora quam potest vel humanus sermo proferre vel auditus mortalis audire; quae, ut ego
arbitror, digne et integre explanari non solum a me minimo non possunt, sed nec ab his
quidem, qui me multo meliores sunt. Nescio autem, si vel ab ipsis sanctis Apostolis plene
et integre proferuntur; non dixi quod non plene sciantur, sed non plene proferantur. Cer-
tum est enim cognita esse haec et integre apprehensa illi, qui raptus est usque ad tertium
caelum (2Cor 12, 2)».
1165 HIos I, 7 (295, 9-19): «Vos vero quid facietis, qui non solum nocte dormitis, sed
et tota die aut occupationibus saeculi aut carnis deliciis deservitis et vix raro ad ecclesiam
diebus sollemnibus convenitis? Aliqui autem ex vobis etiam venientes non veniunt, quia
venientes non verbo Dei, sed fabulis vacant. [...] Sed vel ex hoc poenitudinem agite et
convertimini ad Dominum ex toto corde vestro, vacate orationibus, vacate verbo Dei».
Sugli interventi “pastorali” di Origene verso l’uditorio di Cesarea si veda Monaci Casta-
gno, 81 ss.
1166 HNm II, 1 (9, 28-31): «Sed et unusquisque nostrum si de cibo et potu sollicitus
sit et omnem curam in rebus saecularibus gerat, unam vero aut duas horas ex integro die
etiam Deo deputet et ad orationem veniat in ecclesiam vel in transitu verbum Dei audiat».
1167 HReL I, 1 (3, 16-19): «scio vos consuevisse lenissimi patris dulces semper audi-
re sermones, nostrae vero plantationis arbuscula habet aliquid austeritatis in gustu, quod
tamen orantibus vobis fiet medicamentum salutis». Sulla predicazione gerosolimitana si
veda da ultimo Buchinger 2007.
«Come incenso al tuo cospetto» 385
ra, accanto allo studio della Scrittura, come loro incombenza primaria.
Essi sono chiamati a svolgere questo compito, seguendo l’esempio di Gesù
sommo sacerdote e intercessore a beneficio dei fedeli, affinché non siano
vinti dai nemici e cadano vittima del peccato1168. Anche se si danno scac-
chi e lentezze sul cammino spirituale, come vediamo dalle orazioni con-
clusive e soprattutto dalle suppliche formulate in prima persona da Ori-
gene, la predicazione propiziata e sostenuta dalla preghiera sfocia ancora
in essa, in vista di proseguire nell’itinerario di perfezione. Del resto, quan-
do gli sforzi per pervenire all’intelligenza spirituale delle Scritture non
sembrano dare risultati, non resta altra via che insistere nell’invocazione
a Dio perché ci faccia dono di essa1169.

3.3.3. Linguaggio e immagini della preghiera: i modelli di oranti

Non è solo per effetto della loro “cornice orante” che le omelie di Ori-
gene contribuiscono ad arricchire il linguaggio e le immagini della pre-
ghiera, laddove queste ultime si concretizzano in particolar modo nelle
figure esemplari di oranti. Tale arricchimento è indotto in primo luogo
dall’abbondanza dei riferimenti scritturistici, i quali suggeriscono al pre-
dicatore questo o quello spunto attinente il nostro tema. Senza passare
adesso in rassegna gli obiter dicta, che conviene piuttosto considerare
esaminando nel prossimo capitolo le “coordinate bibliche” del discorso
origeniano sulla preghiera, cerchiamo di tracciare brevemente un quadro
riassuntivo degli apporti delle omelie a proposito della lingua e delle im-
magini. Anche in questo caso terremo presente, come termine principale
di confronto, la prospettiva disegnata nel trattato.
L’insieme del corpus omiletico che ci è giunto in traduzione latina
non può ovviamente essere di grande aiuto per verificare in quale misura
l’Alessandrino abbia continuato ad ispirarsi alla terminologia proposta da
Orat. Com’è noto, essa ha il suo punto di forza nel primato della proseu-
chv, sebbene già nello stesso trattato la riflessione terminologica sia in parte
––––––––––––––––––
1168 HLv VI, 6 (370, 2-4): «Oret ergo et sacerdos ecclesiae indesinenter, ut vincat
populus, qui sub ipso est, hostes invincibiles Amalechitas, qui sunt daemones, impugnan-
tes eos, qui volunt pie vivere in Christo (cfr. 2Tm 3, 12)»; HLv VII, 1 (371, 8-12): «Vult
ergo sermo divinus sobrios in omnibus esse Domini sacerdotes, utpote qui accedentes ad
altare Dei orare pro populo (Lv 9, 7) debeant et pro alienis intervenire delictis, qui portio-
nem in terra non habeant, sed ipse Dominus portio eorum (cfr. Nm 18, 20) sit». Sulla
funzione dei sacerdoti come intercessori si veda anche HNm V, 3; HNm X, 3.
1169 HGn XI, 3 (105, 20-24): «Vel certe etiam si non potuero omnia intellegere, assi-
deo tamen Scripturis divinis et in lege Dei meditor die ac nocte (Sal 1, 2) et omnino num-
quam desino inquirendo discutiendo tractando, certe, quod maximum est, orando Deum et
ab illo poscendum intellectum, qui docet hominem scientiam, videbor etiam ego habitare
ad puteum visionis».
386 Parte seconda, Capitolo settimo
suscettibile di un’interpretazione meno univoca ed esclusiva. Le omelie
greche tendono ad accentuare il carattere orientativo delle classificazioni
stabilite da Origene nel trattato. Come constatiamo specialmente dalle
Omelie su Geremia, egli adotta di preferenza i termini eujchv e eu[comai,
invece di proseuchv e proseuvcomai. Occasionalmente ricorre anche a
questi ultimi, ma senza che ciò comporti un riferimento di natura prescrit-
tiva, nel senso del modello di «preghiera spirituale» tracciato da Orat. Ciò
è tanto più sorprendente, se notiamo che le omelie greche citano spesso
proprio quei luoghi scritturistici “normativi” addotti in Orat, nei quali si
privilegia l’uso di proseuchv e proseuvcomai (come 1Tm 2, 8; Sal 108
[109], 7; Sal 140[141], 2; 1Cor 14, 15; Ap 5, 8) 1170. Solo in un caso ritro-
viamo una valorizzazione del termine proseuchv, allorché nella XVIII Ome-
lia su Geremia Origene mette a confronto la «preghiera del giusto» e quel-
la dell’«ingiusto»1171. Se è vero poi che il ricorso ad eu[comai talvolta può
indicare il «voto» o l’«auspicio», senza perciò rinviare alla preghiera in
senso stretto, ciò non toglie che l’Alessandrino designi proprio con eujchv
e eu[comai l’esperienza orante in quanto tale1172. Egli esorta la comunità a
––––––––––––––––––
1170 Così FrIer 68 (nota 1100) continua a indicare il modo di pregare in 1Tm 2, 8.
Anche HIer V, 9 cita 1Tm 2, 8, mentre HIer XVIII, 10 (164, 23-24) dice della preghiera di
Giuda, in riferimento a Sal 108(109), 7: ejkei'no" kata; to; proseuvcesqai eij" keno;n ejqu-
mivase (cfr. anche Fr 68). HReG V, 9 cita 1Cor 14, 14 (infra, nota 1455). FrIer 68 aggiunge
al dossier Ap 5, 8. Sal 140(141), 2 figura in HIer XVIII, 10 e FrIer 68. Di particolare inte-
resse è qui il ricorso di proseuvcomai in HIer V, 9 (38, 34-39, 4), dove Origene rivisita
l’immagine del «velo» che ricopre il volto nel senso dell’ira che impedisce di pregare
rettamente: Oi|on ojrgh; ejpikeimevnh th/' yuch/' hJmw'n katav tino" ejpivkeitai kavlumma hJmw'n
ejpi; to; provswpon: dia; tou'to eij qevlomen proseucovmenoi eijpei'n: ∆Eshmeiwvqh ejf∆ hJma'" to;
fw'" tou' proswvpou sou, kuvrie (Sal 4, 7), periairw'men to; kavlumma kai; poihvswmen to;
ajpostoliko;n ejkei'no to; Bouvlomai ktl. (1Tm 2, 8).
1171 HIer XVIII, 18 (supra, nota 1191).
1172 Si veda, ad esempio, HIer XVI, 7 (140, 7-8): i[dwmen tiv profhteuvei peri; hJmw'n
h[dh manqanovntwn eu[cesqai, ma'llon de; memaqhkovtwn. HIer XX , 7 (187, 33-188, 3)
evoca la figura di Giuditta in preghiera (tosw'nde hJmerw'n ejxercomevnh eu[cesqai tw/' qew/'
[...] ta;" eujca;" e[xw th'" parembolh'") e HIer XIX, 13 (169, 13-14) quella della comunità
apostolica primitiva (ejscovlazon tai'" eujcai'" kai; tw/' lovgw/ tou' qeou'). A sua volta, FrIer
17 (nota 557) accenna implicitamente al colloquio orante con Dio ricordando la sua vici-
nanza a chi prega, mentre in HIer X, 8 (78, 19-21) la preghiera dei salmi è designata con il
termine eujcaiv: ajll∆ hJmei'" parjrJhsivan e[comen, i{na ei[pwmen ejn tai'" eujcai'": Mh; pa-
radw/'" toi'" qhrivoi" yuch;n ejxomologoumevnhn soi (Sal 73[74], 19 – ripreso da HEz IV, 7
[368, 11-13]: «Procul autem absit a nobis ut bestiae ad nos pro Dei ultione mittantur, quin
potius in oratione dicamus: Ne tradideris bestiis animam confitentem tibi»). Se HIer XIV,
14 indica con eujcaiv formule di preghiera in uso tra i fedeli (si veda supra, nota 1143), in
HIer V , 5 (36, 10-11) l’uso di eu[comai suggerisce un’ambivalenza di significato tra
«pregare» e «augurarsi» o «auspicare», anche se il primo pare il più probabile: eu[cetai
ga;r tou;" ajnaisqhvtou" <tw'n> th'" aijscuvnh" e[rgwn eij" sunaivsqhsin e[rcesqai (infra,
nota 1178; cfr. anche HIer X , 4; XIV , 14). La ritroviamo anche in HIer XX, 6 (186, 6-10)
riguardo all’efficacia che il predicatore «si augura» in vista della conversione: ei[ tiv" ge
iJkanov" ejsti kinh'sai yuch;n ajkroatou' mavlista hJmarthkovto", toiouvtou" eu[cetai lov-
«Come incenso al tuo cospetto» 387
viverla autenticamente, soprattutto quando invoca Dio per partecipare
alla sorte di profeti e apostoli ma non si rende conto di quanto una simile
richiesta sia ardita e impegnativa1173. Non senza una certa oscillazione
semantica fra «auspicio» e «preghiera» egli si serve di eu[comai anche in
prima persona per augurarsi che la propria predicazione dia frutti spiri-
tuali 1174, riuscendo in ciò anche dove il testo sacro risulti essere partico-
larmente ostico1175. D’altra parte Origene rinvia alla preghiera dei Salmi o
a singole espressioni del profeta Geremia designandole mediante il ter-
mine eujcaiv, mentre segnala intenzioni precise di preghiera «a Dio» con il
verbo eu[comai 1176. Infine, sempre in riferimento all’uso di questo verbo,
possiamo rintracciare un’eco dell’aporia discussa nel trattato, ma anche
nel Commento a Genesi, su azione degli astri e preghiera1177.
Nonostante l’elasticità terminologica che questi dati tendono a eviden-
ziare, l’attenzione manifestata da Origene verso l’individuazione nel testo
di Geremia di passi riconoscibili come «preghiere» è indizio della sua viva
consapevolezza circa il linguaggio e le espressioni della preghiera1178. Ne
––––––––––––––––––
gou" e[cein, oi{tine" ajpo; dunavmew" kai; paratavxew" kai; qeiovthto" kai; nohmavtwn ajpag-
gellovmenoi iJerw'n seivsousi th;n yuch;n tou' ajkouvonto" kai; kinhvsousi ejpi; pevnqo" kai;
ejpi; klauqmo;n kai; ejpi; davkrua. L’uso di eu[comai nel significato di «augurarsi» è atte-
stato inoltre da FrLam 43 (254, 27-28), su Lam 1, 22: wJ" ei[ ti" eu[xaito trauvmata eij"
o[yin ejlqei'n ijatrou' pro;" to; tucei'n teleiva" ijavsew".
1173 HIer XV , 1 (infra, nota 1184). Cfr. anche HIer V , 17 (47, 7): dia; tw'n eujcw'n
parakavlei to;n qeovn; HIer VI, 2 (49, 20): eujcovmeno" ma'llon ponei'n eij prosavgoito ta;
ejpivpona; HIer VII, 3 (54, 12-13): Nu'n ou\n ejn gh'/ ajllotriva/ ejsmevn, kai; eujcovmeqa to; ejnan-
tivon poih'sai, wJ" ejpoivhsan oiJ uiJoi; ∆Israh;l ejn th'/ gh'/ th'/ aJgiva/. La critica alla leggerezza
con cui i fedeli invocano per sé la sorte di profeti e apostoli figura anche in HIer XIV , 14
(nota 1184).
1174 HIer XX, 3 (179, 30-180, 4): ∆Egw; de; eu[comai, a} lambavnw ajpo; tw'n didovntwn
mh; thrh'sai movnon mhde; katoruvxai to; tavlanton tw'n legovntwn moi eij" th;n gh'n (cfr. Mt
25, 18) mhde; th;n mna'n tw'n didaskovntwn ti crhvsimon ajpodh'sai ejn soudarivw/ (cfr. Lc 19,
20), ajlla; pleonasmo;n poih'sai tw'n maqhmavtwn w|n lambavnw ajpo; tou' paradidovnto" kai;
dunamevnou paradou'nai crhvsima. Eu[comai th;n mna'n ei[te eujaggelivou ei[te ajpostovlou
ei[te profhvtou ei[te novmou poih'sai pollaplasivona. Cfr. anche HIer XX , 6 citato alla
nota 1172.
1175 HIer XX, 3 (180, 5-6): kai; skopw'n eu[comai euJrivskein ti eij" to;n tovpon ajlhqev".
1176 Per l’uso del termine eujcaiv in riferimento ai Salmi, cfr. HIer X, 8 (supra, nota
1172). Quanto ai testi del profeta classificati come eujcaiv, si veda HIer VI, 1 (47, 26-27):
tiv levgei ejn th/' eujch/', to; kuvrie, oiJ ojfqalmoiv sou eij" pivstin (Ger 5, 3). Cfr. inoltre HIer
XIV, 13 (118, 3-5), che segnala come «preghiera» Ger 15, 15 («Tu lo sai, Signore, ricor-
dati di me e aiutami...»): Meta; tau'ta kai; tou;" lovgou" tw'n ajpeilw'n tw'n eijrhmevnwn pro;"
to;n lao;n <oJ> ajnwtevrw eujxavmeno" sumplhroi' th;n eujch;n kai; sunavptei toi'" proeirhmev-
noi" tau'ta: Su; e[gnw", kuvrie, mnhvsqhtiv mou ktl. HIer XVII, 5 (148, 17-18) fa lo stesso
con Ger 17, 14-16: ei\ta pavlin eujchv ejstiv ou{tw" e[cousa: i[asaiv me, kuvrie, kai; ijaqhvso-
mai ktl.
1177 FrIer 49 (cfr. supra, nota 307 e pp. 102-103).
1178 In questo senso HIer VI, 1 (47, 23-28) sottolinea nel profeta la consapevolezza
circa le sue parole di preghiera: Kuvrie fhsi;n oiJ ojfqalmoiv sou eij" pivstin (Ger 5, 3). ÔW"
388 Parte seconda, Capitolo settimo
abbiamo una testimonianza significativa nella I Omelia su Regni, dove
l’Alessandrino si chiede se il cantico di Anna (1Sam 2, 1-10), a lode e
ringraziamento di Dio dopo la nascita di Samuele, possa essere designato
come preghiera. Egli nota infatti che se il cantico è introdotto con la frase
«Anna pregò e disse» (1Sam 2, 1), nel testo la donna non appare mai «in
atto di pregare o di parlare», se non per due sole espressioni: rispettiva-
mente in 1Sam 2, 1e («Mi sono rallegrata nella tua salvezza») e 1Sam 2,
2c («Perché non c’è [nessuno] eccetto te»)1179. L’interrogativo ha la sua
ragion d’essere se – come il tenore del brano fa supporre – Origene leg-
geva nel passo biblico il verbo proshuvxato, che ai suoi occhi non poteva
non conferire al cantico lo statuto di proseuchv. Da qui l’interrogativo a
prima vista paradossale che egli si pone, ma la risposta inizialmente ne-
gativa fa capire che gli sta a cuore un altro aspetto. Più che ragionare nel-
l’ottica della proseuchv in senso forte – cioè con una preoccupazione per
i contenuti (i beni spirituali) e per il destinatario (il Padre) –, egli sembra
pensare alla preghiera come «colloquio» con Dio. È infatti l’assenza del
«tu» a cui l’orante si rivolge al momento di pregare che spinge l’Alessan-
drino a classificare un po’ drasticamente parti del cantico come estranee
di per sé al linguaggio della preghiera1180. Tuttavia, l’analisi della forma

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ojfqalmoi; kurivou ejpi; dikaivou" (Sal 33[34], 16), ajpo; ga;r ajdivkwn ajpostrevfei aujtouv",
ou{tw" oiJ ojfqalmoi; kurivou eij" pivstin, ajpo; ga;r ajpistiva" ajpostrevfei aujtouv": dio; kalw'"
levlektai uJpo; tou' noou'nto", tiv levgei ejn th'/ eujch'/, to; kuvrie, oiJ ojfqalmoiv sou eij" pivstin.
Anche altrove Origene è attento a tali aspetti, come appare da HIer V, 5 (36, 8-12), dove
individua nel passo di un salmo non una «maledizione» bensì una «preghiera»: Dia; tou'to
ejgw; ouj katavran nomivzw ejn toi'" profhvtai" levgesqai ejn tw'/ aijscunqhvtwsan kai; ejntra-
phvtwsan pavnte" oiJ misou'nte" Siwvn (Sal 128[129], 5): eu[cetai ga;r tou;" ajnaisqhvtou"
<tw'n > th'" aijscuvnh" e[rgwn eij" sunaivsqhsin e[rcesqai, i{na aijscunqevnte" dunhqw'sin
ajnalw'sai tou;" movcqou" kai; ta; aJmarthvmata aujtw'n. Cfr. inoltre FrLam 29 (248, 26):
eujch; para; th'" ÔIerousalhvm to; i[de, kuvrie, th;n ejmh;n ajtimivan (Lam 1, 11).
1179 HReL I, 9 (14, 20-24): «Sed videamus, quali eum prece Anna, id est gratia,
consecrat Deo. Novum quippe aliquid in ipsis principiis observabimus. Ait enim: Et ora-
vit Anna et dixit (1Sam 2, 1a). Et nusquam eam quasi ad Deum orantem invenio vel lo-
quentem, nisi per duo tantum verba, ubi dicit: Laetata sum in salutari tuo (1Sam 2, 1 e),
et aliud: Quia non est praeter te (1Sam 2, 2 c)». Il testo si attiene alla recensio del Codex
Alexandrinus in 1Sam 2, 1a: Kai; proseuvxato Anna kai; ei\pen. Ma a 1Sam 2, 2c Origene
doveva leggere: oujk e[stin plh;n sou' invece di oujk e[stin a{gio" plh;n sou' (LXX). Infatti in
HReL I , 11 egli commenta così: «Si dixisset: Non est Deus praeter te, vel: Non est creator
praeter te, aut tale aliquid addidisset, nihil requirendum videbatur; nunc autem, quia dicit:
Non est praeter te, mihi hoc videtur in loco designari: nihil eorum, quae sunt, hoc ipsum,
quod sunt, naturaliter habent; tu solus es, cui, quod es, a nullo datum est».
1180 HReL I, 9 (14, 25-15, 5): «Initium autem sic habet: Exsultavit cor meum in
Domino (1Sam 2, 1b ), non dixit: Exsultavit cor meum in te; si enim esset oratio, ita dici
consequens erat: Exsultavit cor meum in te. Et iterum in sequenti versu dicit: Exaltatum est
cornu meum in Deo (1Sam 2, 1c), non dixit: Exaltatum est cornu meum in te, sed in Deo.
Dilatatum est super inimicos meos os meum, laetata sum in salutari tuo (1Sam 2, 1d-e).
«Come incenso al tuo cospetto» 389
eucologica del cantico non è mossa unicamente dall’idea dialogica della
preghiera come oJmiliva , espressione del resto non particolarmente caldeg-
giata da Origene, perché egli aggiunge un’osservazione su quale dovrebbe
essere l’orationis ordo. Infatti, a suo giudizio, il testo del cantico si allon-
tana ulteriormente dal genere della «preghiera», intesa adesso come «sup-
plica», poiché inserisce elementi di natura estranea, ascrivibili piuttosto
alle «esortazioni» o «raccomandazioni» di carattere morale1181. È evidente
che qui Origene si rifà indirettamente al modello della preghiera di doman-
da raccomandato in Orat, sottolineando nel contempo la sua costitutiva
dimensione colloquiale nel rapporto fra l’orante e il Tu divino. L’analisi
del cantico di Anna sub specie orationis si arresta un po’ bruscamente in
maniera aporetica a 1Sam 2, 3. Dopo aver illustrato la difficoltà a classifi-
carlo in senso proprio come «preghiera», l’Alessandrino ritiene che l’uni-
co modo per intenderlo alla stregua di un’orazione venga dal ricorso alla
prospettiva dell’oratio continua. Solo dopo aver precisato che la vita del
giusto, intrecciando parole di preghiera e azioni virtuose, è da vedersi co-
me una continua preghiera, Origene potrà passare all’esegesi del brano1182.
L’interpretazione del cantico di Anna in chiave spirituale permetterà allora
al fedele di farlo proprio quale «preghiera» personale, sollecitandolo a
partecipare della medesima condotta di vita 1183.
Un’ulteriore testimonianza dell’interesse di Origene per il linguaggio
della preghiera nel corpus omiletico sono le critiche che egli rivolge nella
XIV Omelia su Geremia al modo di formulare suppliche da parte dei fedeli.
In questo passo troviamo, in un certo senso, la risposta orante della comu-
nità alle letture dell’Antico e del Nuovo Testamento, sia pure in una forma
considerata erronea dall’Alessandrino. Infatti i fedeli chiedono a Dio di
essere resi partecipi della sorte dei «profeti» e degli «apostoli», ma senza
che essi siano realmente consapevoli di ciò per cui supplicano. In realtà,
chi invoca Dio in questo modo, gli domanda di poter condividere anche
lui il destino di persecuzione e sofferenza che ha segnato la vita di profeti
e apostoli. Ma chi può davvero augurarsi di sperimentare ciò? Respingen-
do un atteggiamento che Origene giudica temerario, oltre alle preoccupa-
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Unus, ut dixi, sermo continet: Laetata sum in salutari tuo, et in consequentibus non dicit:
Quia non est sanctus nisi tu, sed: Non est, inquit, sanctus nisi Dominus (1Sam 2, 2b )».
1181 HReL I, 9 (15, 5-10): «Et Non est praeter te (1Sam 2, 2c); hic sermo videtur
servasse orationis ordinem; in novissimis autem longe a supplicationis specie etiam com-
monitiones quasdam introducit dicens: Nolite multiplicare loqui mala, neque exeat magni-
loquacitas de ore vestro, quia fortis in scientia Dominus (1Sam 2, 3), in quo iam nec vide-
tur ad Dominum loqui».
1182 HReL I, 9 (15, 19-22): «Si enim oratio hoc solum intelligatur, quod communiter
scimus, neque Anna in his verbis orasse videbitur neque ullus iustorum secundum apostoli
mandatum sine intermissione orare docebitur». Cfr. anche supra, note 1096-1097.
1183 HReL I, 10 (17, 6-7): «Videamus ergo, quid sibi vult ratio ista orationis Annae,
quam si didicerimus, similiter fortassis et nos orare poterimus».
390 Parte seconda, Capitolo settimo
zioni di natura pastorale qui ben percepibili, egli fa valere un’istanza cri-
tica nei confronti delle espressioni di preghiera; di conseguenza, invita la
comunità ad articolarle in un linguaggio più consapevole e controllato1184.
Anche se la “retorica” orante non può non trarre ispirazione e alimento
dalle Scritture, come noteremo in seguito anche dalle manifestazioni per-
sonali di preghiera dell’Alessandrino, ciò deve sempre trovare corrispon-
denza in una condizione spirituale che ne assicuri l’autenticità1185.
È questo il significato delle immagini più ricorrenti sulla preghiera,
che permeano di riferimenti biblici la riflessione origeniana. Le abbiamo
già evocate a più riprese e torneremo a richiamarle nell’esame dei nuclei
scritturistici. Tali immagini convergono in sostanza nell’inculcare l’idea
che la preghiera è il sostituto del «sacrificio» o meglio la sua piena attua-
zione sul piano delle realtà spirituali, rispetto alla prefigurazione simbo-
lica contenuta nel regime dei sacrifici dell’antica alleanza. «Altare», «vitti-
me» e soprattutto «incenso» nei testi vetero- e neotestamentari sono dun-
que intesi come equivalenze simboliche dell’esperienza di preghiera.
Così, nella IX Omelia su Giosuè Origene interpreta l’altare edificato da
Giosuè e i sacrifici offerti su di esso come immagine di quello costruito
dal novello Giosuè, cioè Gesù, con le «pietre vive» dei fedeli che, sempre
intenti alla preghiera, innalzano a Dio giorno e notte le preghiere e i «sa-
crifici delle loro suppliche»1186. È questo stesso «sacrificio di preghiere»,
secondo la spiegazione contenuta nella II Omelia su Levitico, che la chiesa
ha offerto fin dal giorno di Pentecoste1187. L’anima del fedele deve dunque
possedere in se stessa un «altare» su cui offrire quali «vittime» le proprie
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1184 HIer XIV, 14 (119, 9-19): eij qevlomen meta; tw'n profhtw'n e[cein ajnavpausin,
ta; e[rga tw'n profhtw'n zhlwvswmen. o} de; levgw toiou'tovn ejsti: pollavki" ejn tai'" eujcai'"
levgomen: qee; pantokravtor, th;n merivda hJmw'n meta; tw'n profhtw'n dov", th;n merivda hJmw'n
meta; tw'n ajpostovlwn tou' Cristou' sou dov", i{na euJreqw'men kai; met∆ aujtou' tou' Cri-
stou'. tau'ta de; levgonte" oujk aijsqanovmeqa tiv eujcovmeqa: dunavmei ga;r tou'tov famen: do;"
hJma'" paqei'n a} pepovnqasin oiJ profh'tai, do;" kai; hJma'" mishqh'nai wJ" ejmishvqhsan oiJ
profh'tai, lovgou" toiouvtou" do;" ejf∆ oi|" mishqhsovmeqa, do;" tosauvtai" peristavsesi pe-
ripesei'n <o{s>ai" oiJ ajpovstoloi. to; ga;r levgein: dov" moi merivda meta; tw'n profhtw'n, mh;
paqovnta ta; tw'n profhtw'n mhde; paqei'n qevlonta a[dikovn ejsti. Il prologo di HIer XV, 1
(125, 11-17) riprende lo spunto della precedente omelia: OiJ makarivzonte" tou;" profhvta"
kai; tw/' makarivzein aujtou;" eujcovmenoi th;n merivda e[cein meta; tw'n profhtw'n sunagagovn-
twn ajpo; tw'n lovgwn tw'n profhtikw'n ta; ejxaivreta th'" profhteiva" aujtw'n: zhtou'nte" ou\n
peisqei'en <a]n>, a]n kata; ta; aujta; biwvswsin (eij kai; sklhro;n aujtoi'" ajpanthvsetai ejn
tw/' bivw/ touvtw/ mimei'sqai to;n bivon to;n profhtikovn), o{ti teuvxontai th'" ajnapauvsew" kai;
th'" makariovthto" meta; tw'n profhtw'n.
1185 Cfr. un rilievo analogo in CMtS 18 (supra, nota 1072).
1186 HIos IX, 1 (347, 3-6): «Unde ego arbitror quod quicumque ex vobis lapidibus
vivis apti sunt in hoc et prompti, ut orationibus vacent, ut die noctuque obsecrationes offe-
rant Deo et supplicationum victimas immolent, ipsi sunt ex quibus Iesus aedificat altare».
1187 HLv II, 2 (291, 26–292, 1): «In die enim Pentecostes oblato orationum sacrifi-
cio primitias advenientis sancti Spiritus (cfr. At 2, 4) Apostolorum suscepit Ecclesia».
«Come incenso al tuo cospetto» 391
preghiere, come raccomanda la IX Omelia su Esodo, individuando lo hJge-
monikovn come il luogo in cui esercitare tale «sacerdozio» (pontificatus)
spirituale1188. A sua volta, l’XI Omelia su Numeri intende anch’essa come
vera «immolazione spirituale» l’offerta di lode a Dio e i sacrifici delle pre-
ghiere1189. Quanto all’associazione simbolica fra «incenso» e «preghie-
ra»1190, Origene la sfrutta soprattutto nella XVIII Omelia su Geremia. Rial-
lacciandosi a un precedente commento su Sal 140(141), 2, egli contrappone
alla preghiera del peccatore – che offre «incenso» inutilmente – la preghie-
ra del giusto: essa s’innalza «leggera» da un cuore che non è «ispessito» e
appesantito dal peccato1191. Il passo frammentario non permette di svisce-
rare meglio il contrasto istituito qui alla luce dell’immagine dell’«incen-
so» fra il peccatore e il giusto in atto di pregare, ma – come sembrerebbe
suggerire anche l’uso del verbo «ispessire» (pacuvnw) in Orat XXIX, 15 –
a Origene preme mostrare l’antitesi con l’«orazione nello spirito» in chi a
causa del peccato tende, per così dire, a coagulare «anima» e «spirito»
nell’elemento inferiore della «carne»1192. All’immagine dell’«incenso»,
non di rado sviluppando tale significato per antitesi con il «cattivo odore»
della preghiera del peccatore, l’Alessandrino associa il «buon odore» o
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1188 HEx IX, 4 (241, 15-22): «Habeat adhuc in se anima ista, quae non dederit som-
num oculis suis nec palpebris suis dormitationem nec requiem temporibus suis, donec in-
veniat locum Domini, tabernaculum Deo Iacob; habeat – inquam – in se defixum et altare,
in quo orationum hostias et misericordiae victimas offerat Deo, in quo continentiae cultro
superbiam quasi taurum immolet, iracundiam quasi arietem iugulet, luxuriam omnemque
libidinem tamquam hircos et haedos litet» (circa il pontificatus dello hJgemonikovn incul-
cato da questa stessa omelia, cfr. supra, nota 577). Sui due «altari» della preghiera, inte-
riore ed esteriore, in HNm X, 3 si veda supra, nota 1092.
1189 HNm XI , 9 (92, 24-26): «Immolatio spiritalis est illa, quam legimus: immola
Deo sacrificium laudis, et redde Altissimo vota tua (Sal 49[50], 14). Laudare ergo Deum
et vota orationis offerre immolare est Deo». In HLv V, 7 il «sacrificio di lode» è la con-
dotta retta che ridonda a lode di Dio.
1190 Cfr. ad esempio HEz VII, 3 (infra, nota 1371); HEz XI , 5 (431, 27–432, 1):
«Venit ad istum Libanum, hoc est ecclesiam, ubi hostiae Dei, ubi incensum orationum
(cfr. Sal 140[141], 2) eius celebratur».
1191 HIer XVIII, 10 (164, 14-22): ta; prwvhn eijrhmevna eij" to;n <eJkatosto;n tessa-
rakosto;n> Yalmo;n eja;n ajnalavbwmen, nohvsomen tiv ejsti to; eij" keno;n ejqumivasan. h\n de;
ejn tw/' Yalmw/' toiou'tovn ti eijrhmevnon: genhqhvtw hJ proseuchv mou wJ" qumivama ejnwvpiovn
sou (Sal 140[141], 2). oujkou'n hJ proseuchv mou suvnqeto" [...] lepth'" kardiva", o{te mh;
pacuvnetai hJ kardiva hJmw'n, ajnapempomevnh givnetai wJ" qumivama ejnwvpion tou' qeou'. eij
ou\n hJ tou' dikaivou proseuch; qumivamav ejstin ejnwvpion tou' qeou', hJ tou' ajdivkou proseuch;
qumivama mevn, toiou'ton de; qumivama w{st∆ a]n lecqh'nai peri; aujtou' kai; tou' eujcomevnou
ajdivkou: eij" keno;n ejqumivasan (Ger 18, 15).
1192 Cfr. Orat XXIX, 15 (390, 10-12): uJpo; th'" sarko;" pacuvnontai, oiJonei; oujkevti
e[conte" tovte yuch;n oujde; nou'n ajll∆ o{loi ginovmenoi savrke". Si veda anche FrPr 26 (PG
17, 240A): ta;" pacunqeivsa" yuca;" ajpo; th'" kakiva", savrka" ajfrovnwn wjnovmasen: ou{tw
kai; oJ Kuvriov" fhsin: Ouj mh; katameivnh/ to; pneu'mav mou ejn toi'" ajnqrwvpoi", dia; to; ei\nai
aujtou;" savrka" (Gn 6, 3).
392 Parte seconda, Capitolo settimo
«profumo» di una preghiera che si innalza da un «cuore puro e una co-
scienza buona», come vediamo ancora nella XIII Omelia su Levitico1193.
Grazie a tali immagini il corpus omiletico amplia indubbiamente la
prospettiva più sobria offerta da Origene nel trattato, mentre per quanto ri-
guarda i paradigmi di oranti – così rilevanti nell’argomentazione di Orat
a sostegno dell’efficacia della preghiera –, il loro ricorso vi appare meno
organico e più circoscritto. Tuttavia, le omelie richiamano spesso una fi-
gura esemplare di orante che sorprendentemente non compariva, almeno
in maniera esplicita, fra quelle elencate da Orat: si tratta di Mosè, la cui
preminenza assoluta tra i paradigmi di oranti veterotestamentari non è
compromessa dall’occasionale associazione con Aronne1194. Il richiamo a
Mosè è propiziato soprattutto dal racconto della battaglia d’Israele contro
Amalek e del decisivo concorso orante assicurato dal profeta per il suo
successo sui nemici: quando egli tiene le braccia alzate per pregare, gli
israeliti vincono, ma quando le abbassa, essi perdono (Es 17, 8-16) –
un’immagine che l’Alessandrino ha sfruttato soprattutto per inculcare
l’accordo fra preghiera e vita1195. Tuttavia, l’esemplarità della preghiera
di Mosè non si riduce a quel singolo episodio, anche se esso è il più fre-
quentemente menzionato, né la sua interpretazione si fissa unicamente sul
motivo dell’oratio continua.
Tra i vari luoghi che evocano il paradigma di Mosè orante, il più si-
gnificativo è forse quello che compare nella XIII Omelia su Numeri. Ori-
gene, commentando i timori del re di Moab all’avanzare d’Israele sul cam-
mino verso la terra promessa, non solo riprende il motivo del sostegno di
Mosè alla vittoria ma ne ricava anche un’indicazione più generale sulla
preghiera come la vera «arma» dell’antico Israele, analogamente a quanto
avviene, con impegno ancor più esclusivo, per il nuovo Israele: infatti
i cristiani – come abbiamo visto analizzando il Contro Celso – assicurano
il loro sostegno leale all’impero mediante la preghiera1196. A conferma
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1193 HLv XIII, 5 (476, 7-8): «Sed hoc est tus quod Deus ab hominibus sibi quaerit
offerri, ex quo capit odorem suavitatis, orationes ex corde puro et conscientia bona» (cfr.
anche nota 1091).
1194 Sull’assenza di Mosè nell’elenco dei paradigmi, si veda supra, p. 144.
1195 Cfr. HLv VI, 6.
1196 HNm XIII, 4 (113, 26-114, 1. 6-11): «Sed et amplius aliquid puto, quod moverit
regem; videtur enim audisse quia filii Istrahel solent hostes vincere oratione, non armis,
nec tam ferro quam precibus. Nulla enim Istrahel adversum Pharaonem arma commovit,
sed dictum est ei: Dominus pugnabit pro vobis, et vos tacebitis (Es 14, 14). Sed nec contra
Amalechitas quidem tantum vis armorum quantum Moyseis valuit oratio. Ut enim elevas-
set Moyses manus ad Deum, vincebatur Amalech; remissae vero et deiectae vinci facie-
bant Istrahel. [...] Audierat ergo rex Moab quia populus hic orationibus vincit et pugnat
adversum hostes ore, non gladio et ob hoc sine dubio apud semet ipsum cogitavit dicens:
quoniamquidem orationibus populi huius et precibus nulla possunt arma conferri, ideo
etiam mihi tales aliquae preces et talia requirenda sunt arma verborum et orationes tales,
«Come incenso al tuo cospetto» 393
della visuale apologetica sul “pacifismo” d’Israele disegnata dall’Ales-
sandrino in risposta al filosofo platonico come uno degli elementi qua-
lificanti la politeia giudaica e la sua eccellenza comparativa1197, nella XXV
Omelia su Numeri egli ribadisce che le vittorie di Israele sono il frutto
della pietà e della giustizia, piuttosto che delle armi, tanto che la pre-
ghiera di un solo santo è molto più efficace di un’intera armata di pecca-
tori1198. Allo stesso modo, nella comunità cristiana, coloro che si sono
consacrati a Dio lottano mediante le loro virtù a sostegno di essa1199.
Come precisa ancora la IX Omelia su Giudici, associando metafore che
avranno particolare fortuna nella storia dell’orazione cristiana, i fedeli
«cercano la loro vittoria non con le lance di ferro ma con i dardi delle
preghiere»1200.
Occasionalmente l’Alessandrino associa la figura di Aronne al para-
digma di Mosè orante: la IX Omelia su Numeri sembrerebbe dapprima vo-
ler distinguere la funzione orante come specifica di Aronne, ma unen-
do successivamente con un’interpretazione di tipo allegorico la «legge»
(= Mosè), intesa quale invito alla conversione, alla «supplica» per la libe-
razione dal peccato, arriva a proporre l’immagine convergente di Mosè
ed Aronne quali intercessori per la salvezza del popolo1201. Anzi, secondo
questa stessa omelia, piuttosto che osservare la legge entrambi attuano
anticipatamente la raccomandazione evangelica di pregare per i nemici

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quae superare possint orationes istorum». Sul rapporto fra preghiera e politica in CC, si
veda supra, pp. 273-276.
1197 Cfr. Perrone 2003b.
1198 In HNm XXV, 2 (234, 11-13. 15-17) Origene svolge una considerazione paral-
lela circa i 12.000 israeliti mandati a combattere i madianiti (Nm 31, 5): «ut scias quia non
in multitudine nec in numero militum vincit Istrahel, sed iustitia est et pietas in iis, quae
vincit... Vides ergo quia multo plus valet unus sanctus orando quam peccatores innumeri
proeliando. Oratio sancti penetrat coelum (cfr. Sir 32, 21): quomodo non et hostem vincat
in terris?».
1199 HNm XXV, 4 (238, 9-10): «Pugnant autem isti orationibus et ieiuniis, iustitia et
pietate, mansuetudine et castitate cunctisque continentiae virtutibus tamquam armis belli-
cis communiti».
1200 HIud IX, 1 (518, 18-21): «Sic ergo in his, qui militant veritati, sed et qui mili-
tant Deo, non corporis, sed animi fortitudo requiritur, quia non iaculis ferreis, sed oratio-
num telis victoria quaeritur, et fides est, quae in certamine tolerantiam praebet».
1201 HNm IX, 3 (57, 23-58, 3): «Ego arbitror quod in Moyse lex significetur, quae
docet homines scientiam et amorem Dei, in Aaron supplicandi Deo et obsecrandi eum
forma consistat. Si ergo accidat aliquando indignari nobis vel universo populo Deum et si
iam sententia ultionis procedat a Domino, redeat autem lex Dei in cor nostrum commo-
nens nos et docens converti ad poenitentiam, satisfacere pro delictis, supplicare pro cul-
pis: cessabit continuo iracundia, indignatio conquiescet, propitiabitur Dominus, quasi
Moyse et Aaron intercedentibus pro nobis et pro universo populo supplicantibus». Da no-
tare che in HNm XXVII, 6 il paradigma di Aronne, introdotto in rapporto al regime dei sa-
crifici, si risolve nell’acquisto delle virtù nel corso del combattimento spirituale.
394 Parte seconda, Capitolo settimo
(Mt 5, 44), nel momento in cui invocano il perdono di Dio su coloro che
si erano ribellati contro di loro (Nm 16, 22)1202.
L’intercessione di Mosè è legata all’intimità del suo rapporto privile-
giato con Dio, come mostra il commento di Origene all’episodio della leb-
bra di Miriam (Nm 12, 13) nella VII Omelia su Numeri. Chi altri potrebbe
intercedere per la salvezza del popolo se non lui? – si chiede l’Alessandri-
no e, riconoscendo ulteriormente il privilegio di Mosè, osserva che forse
nella scena della Trasfigurazione egli dialoga con Gesù (Mc 9, 4 parr.)
per fungere ancora una volta da intercessore in vista della salvezza finale
di Israele1203. L’immagine di Mosè che si intrattiene con Dio ritorna nelle
Omelie su Luca, dove Origene suggerisce che anche Giovanni Battista
abbia goduto della stessa condizione durante la sua permanenza nel deser-
to, così da propiziare la risposta immediata di Dio alle proprie preghiere.
L’allusione a Is 58, 9 – passo che Origene sfrutta regolarmente per indicare
l’esaudimento divino nei confronti di colui che è «giusto» o «santo» – sot-
tolinea l’esperienza della preghiera in entrambi i personaggi biblici1204.
Mosè orante esemplifica e ricapitola in se stesso il sostegno di pre-
ghiera da parte dei santi dell’Antico Testamento, i quali aiutano i fedeli
ad affrontare le lotte del combattimento spirituale: nella III Omelia su Gio-
suè Origene ricorda espressamente i profeti Isaia, Geremia, Daniele, Eze-
chiele e Osea1205. Qui l’accento verte però piuttosto sull’illuminazione e
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1202 HNm IX, 3 (58, 21-24): «magis evangelii discipuli quam legis, et ideo diligunt
etiam inimicos suos atque orant pro persecutoribus suis. Illis enim venientibus, ut interfi-
cerent eos, isti procidunt in faciem suam super terram». Cfr. anche HNm IX, 4: «Ecce di-
ligit Moyses inimicos et orat pro persecutoribus suis, quod utique Christus fieri in evan-
geliis docet. Audite enim, quomodo cadentes in faciem super terram orant pro illis, qui ad
interficiendos eos insurrexerant».
1203 HNm VII, 4 (43, 28-44, 1): «Et proclamavit Moyses ad Dominum dicens: Deus,
precor te, sana eam (Nm 12, 13). Et quem oportebat orare ad Dominum pro sanitate po-
puli illius nisi Moysen? Orat Moyses pro illis. Et forte hoc erat, quod cum Domino Iesu
colloquebatur, cum in monte transformatus est, petens ab eo, ut, cum plenitudo gentium
introisset, tunc omnis Istrael salvus fieret» (Rm 11, 25-26).
1204 HLc XI, 4 (69, 17-23): «abiit in deserta, ubi purior aër est et caelum apertius et
familiarior Deus, ut quia necdum sacramentum baptismi nec praedicationis tempus adve-
nerat, vacaret orationibus et cum angelis conversaretur, appellaret Dominum et illum au-
diret respondentem atque dicentem: ecce adsum (Is 58, 9). Sicut enim Moyses loquebatur
et Deus respondebat ei (Es 19, 19), sic puto, quod Ioannes locutus fuerit in deserto e
Dominus responderit ei».
1205 HIos III, 1 (300, 19–301, 12): «Vide, mihi hodie laboranti in agone vitae huius
et habenti certamen adversum inimicos, id est contrarias potestates, quomodo in auxilium
veniunt illi, qui ante adventum Iesu Christi Domini mei in lege iustificati sunt. Vide, quo-
modo Esaias mihi praestat auxilium, cum me sermonibus suae lectionis illuminat. Vide
accinctum et expeditum venientem Hieremiam ad auxilium nostrum et voluminis sui ia-
culis hostes acerrimos, cordis mei tenebras, effugantem. Accingitur et Daniel ad auxilium
nostrum, cum nos de Christi praesentia ac regno et de Antichristi futura fraude instruit et
praemonet. Adest et Ezechiel sacramenta nobis coelestia in quadriformibus rotarum cir-
«Come incenso al tuo cospetto» 395
sull’istruzione spirituale assicurate dai loro scritti, mentre altrove si citano
gli esempi di preghiere ad opera di Giosuè, Samuele, Elia ed Eliseo1206,
o l’intercessione del giusto Daniele e dei Tre Giovani (Dn 3, 24 ss. LXX)
nel mezzo di un popolo condannato all’esilio perché peccatore1207. Tut-
tavia, per nessuna di queste figure bibliche si può parlare, come nel caso
di Mosè, di veri e propri “paradigmi oranti”. Invece è sempre il modello
del profeta che interviene nuovamente, quando si tratta di trovare un ter-
mine di confronto con Gesù, l’unico esempio di orante che le omelie ten-
dono a mettere in rilievo nel Nuovo Testamento. Proprio la comparazione
fra il profeta e il Salvatore serve ad evidenziare, nell’VIII Omelia su
Numeri, l’efficacia incomparabilmente maggiore di Gesù quale «avvoca-
to» che intercede presso il Padre per il perdono dei peccati1208. In questa
omelia l’Alessandrino insiste sul fatto che nel racconto biblico le manife-
stazioni dell’ira divina verso i peccatori vengono descritte anche al fine di
dare spazio alla supplica per il perdono1209.
Soprattutto nelle Omelie su Levitico Origene conferisce risalto alla fi-
gura di Gesù come «avvocato» e intercessore per la propiziazione, riallac-
ciandosi in particolare al motivo del «Paraclito» in 1Gv 2, 1-2, che aveva
sfruttato anche in Orat1210. Ma nella VII Omelia su Levitico egli lo intreccia
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culis signans et rotam concludens in rota. Ducit et Osee bis senas prophetici agminis tur-
bas et procedunt omnes succincti lumbos in veritate, quam praedicant ad auxilium fratrum
suorum, ut eorum voluminibus instructi diabolicas non ignoremus astutias. Isti ergo qui
viri fortes sunt, armati et praecincti lumbos in veritate exeunt in auxilium nostrum et pu-
gnant nobiscum».
1206 Sulla preghiera di Giosuè in Gs 10, 12-17, cfr. HIos XI, 1 (362, 13-16): «Tunc
vero Iesus videns divinam secum dexteram proeliantem et prosperis successibus cuncta
procedens, novam quandam et miram orationem extollit ad coelum»; su Samuele ed Elia:
H37Ps II, 3; su Eliseo: HLc XXIII, 9.
1207 HEz I, 2 (320, 21-24): «Daniel non peccavit, Ananias, Azarias, Misael a pecca-
to immunes fuerunt et tamen captivi effecti sunt, ut ibi positi captivum populum consola-
rentur et per exhortationem vocis suae paenitentes in Hierusalem restituerent castigatos
pro tempore».
1208 HNm VIII, 1 (53, 6-12): «statim enim ut conversus ingemueris, salvus eris (cfr.
Is 45, 22). Invenies enim advocatum, qui pro te interpellat patrem, Dominum Jesum,
multo praestantiorem quam fuit Moyses, qui tamen oravit pro populo illo et exauditus est.
Et fortasse propterea Moyses scribitur intervenisse pro peccatis populi prioris et impe-
trasse veniam, ut multo magis nos confidamus quod advocatus noster Iesus indubitatam
nobis veniam praestabit a patre».
1209 HNm VIII, 1 (49, 18-22): «Scribitur enim irasci Deus et comminari interitum
populo, quo doceatur homo tantum sibi esse apud Deum loci tantumque fiduciae, ut,
etiamsi sit aliqua in Deo indignatio, obsecrationibus mitigetur humanis, tantumque de eo
impetrare posse hominem, ut et propria statuta convertat».
1210 Cfr. supra, nota 416. Pastorelli non tiene conto di questi passi. Sul ruolo di Cri-
sto come intercessore si veda inoltre HIer XIV, 11 (115, 27-116, 1): safw'" ejn tw/' kairw/'
th'" e[cqra" ejkeivnou th'" kata; tw'n ajnqrwvpwn parevsth tw/' Patri; oJ swth;r hJmw'n kai; ejde-
hvqh peri; th'" hJmetevra" aijcmalwsiva", i{na lutrwqw'men kai; rJusqw'men ajpo; tou' ejcqrou'.
396 Parte seconda, Capitolo settimo
con altri luoghi scritturistici (Mt 26, 29; Eb 9, 24; Fil 2, 6-7) per formu-
lare l’idea che Cristo, in quanto Filius caritatis (cfr. Col 1, 13), non può
ancora partecipare della gioia piena del regno ma si trova in sofferenza
fino a quando egli dovrà piangere per i peccati degli uomini e intercedere
per la loro salvezza 1211. La grandezza del ruolo di Gesù come intercesso-
re presso il Padre viene ad essere evidenziata anche dal confronto con
l’esempio di Paolo, il quale piange per la sorte dei peccatori e invoca Dio
perché essi si salvino: come nel caso di Mosè e di Paolo, vale a fortiori
per Cristo il fatto che la compassione lo solleciti a supplicare il Padre, ma
la sua supplica è accompagnata dai santi dell’Antico e del Nuovo Testa-
mento, profeti e apostoli, che condividono anch’essi la medesima attesa
per la salvezza universale1212. Quanto intensa sia la riflessione dell’Ales-
sandrino sulla propiziazione ad opera di Gesù, ci appare anche dal richia-
mo alla «preghiera sacerdotale» di Gv 17:
«Per questo forse effondeva la preghiera al Padre dicendo: Padre santo, glorifica
me con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse (Gv 17, 5).
Dunque non vuole ricevere la sua gloria perfetta senza di te, cioè senza il suo
popolo, che è il suo corpo e che sono le sue membra»1213.
L’ampia e suggestiva riflessione su Gesù intercessore di salvezza su-
scitata dalla spiegazione dell’ingresso del pontefice nel santuario non ri-
mane isolata, perché Origene vi si sofferma nuovamente nella IX Omelia
su Levitico, dove commenta i riti del giorno dell’espiazione1214. L’invera-
mento spirituale della ritualità giudaica è rappresentato ai suoi occhi dalla
propiziazione conseguente alla morte del Salvatore, alla sua discesa agli
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1211 HLv VII, 2 (374, 19–375, 2): «Salvator meus luget etiam nunc peccata mea. Sal-
vator meus laetari non potest, donec ego in iniquitate permaneo. Quare non potest? Quia
ipse est advocatus pro peccatis nostris apud Patrem, sicut Iohannes symmista eius pro-
nuntiat dicens quia et si quis peccaverit, advocatum habemus apud Patrem Iesum Chri-
stum iustum; et ipse est repropitiatio pro peccatis nostris (1Gv 2, 1-2). Quomodo ergo po-
test ille, qui advocatus est pro peccatis meis, bibere vinum laetitiae, quem ego peccando
contristo? Quomodo potest iste, qui accedit ad altare (cfr. Lv 10, 9), ut repropitiet me
peccatorem, esse in laetitia, ad quem peccatorum meorum maeror semper adscendit?».
1212 HLv VII, 2 (375, 19-27): «Pro his ergo omnibus adsistit nunc vultui Dei inter-
pellans pro nobis (cfr. Eb 9, 24), adsistit altari, ut repropitiationem pro nobis offerat Deo;
et ideo dicebat tamquam accessurus ad istud altare: Quia iam non bibam de generatione
vitis huius, donec bibam illud vobiscum novum (cfr. Mt 26, 29). Exspectat ergo, ut conver-
tamur, ut ipsius imitemur exemplum, ut sequamur vestigia eius et laetetur nobiscum et bi-
bat vinum nobiscum in regno Patris sui. Nunc enim quia misericors est et miserator Do-
minus (cfr. Sal 102, 8), maiore affectu ipse quam Apostolus suus flet cum flentibus et cupit
gaudere cum gaudentibus (cfr. Rm 12, 15)».
1213 HLv VII, 2 (tr. Danieli, 156-157).
1214 L’interpretazione origeniana, nel quadro dell’esegesi giudaica e cristiana anti-
ca, è stata analizzata da Stökl Ben Ezra, 261-269. Sulle pratiche giudaizzanti in occasione
della Pasqua, della celebrazione del sabato o dello Yom Kippur si veda, in particolare,
HIer XII, 13.
«Come incenso al tuo cospetto» 397
inferi ad immagine del capro emissario e alla sua ascensione finale presso
il Padre, al quale offre come vittima sull’altare celeste la nostra carne pu-
rificata. Reinterpretando in chiave cristiana Lv 16, l’Alessandrino spiega
l’ingresso del sommo sacerdote nel Santo dei santi una sola volta l’anno,
nella festa di Yom Kippur, come l’accesso di Gesù presso il Padre, dopo
aver compiuto l’economia della salvezza, al fine di intercedere per tutti
coloro che credono in lui. La durata della festa ebraica fino al tramonto è,
a sua volta, intesa simbolicamente quale il segno dell’attesa orante del
popolo dei fedeli, mentre il sommo sacerdote Gesù prega il Padre nel
santuario celeste intercedendo per loro:
«una sola volta in questo anno, nel giorno della propiziazione, entra nel Santo
dei Santi (cfr. Es 30, 10): cioè quando, compiuta l’economia, penetra i cieli (Eb
4, 14) ed entra nel Padre (intrat ad Patrem), per renderlo propizio al genere
umano e per pregare per tutti quelli che credono in lui (ut eum propitium humano
generi faciat et exoret pro omnibus credentibus in se). [...] Il giorno della propi-
ziazione rimane per noi fino a che tramonti il sole (cfr. Lv 11, 25), cioè fino a che
il mondo finisca. Giacché noi stiamo davanti alle porte (cfr. Gc 5, 9) aspettan-
do il nostro pontefice che indugia nel Santo dei Santi, cioè presso il Padre (cfr.
1Gv 2, 1-2), e prega per i peccati di coloro che lo attendono (cfr. Eb 9, 28), non
prega per i peccati di tutti [...] prega soltanto per coloro che sono la sorte del Si-
gnore»1215.
Sviluppando ulteriormente il tema della propiziazione nella XIII Ome-
lia su Levitico, a commento delle prescrizioni sui «pani della proposizio-
ne» (Lv 24, 5-9) – interpretati tipologicamente come forma di «preghiera
e supplica» (exoratio quaedam et supplicatio) a Dio da parte delle tribù
di Israele –, Origene riafferma l’unicità della propiziazione assicurata da
Gesù con la sua opera di salvezza. Solo lui può realizzare efficacemente
quella intercessione di cui i «pani» sono il tipo, e che si rinnova nel «me-
moriale» (commemoratio) eucaristico 1216. Come dichiara la conclusione
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1215 HLv IX, 5 (427, 9-428, 2 [tr. Danieli, 215-216]). La propiziazione attuata da
Gesù viene illustrata alla luce sia di 1Gv 2, 1-2 che di Rm 3, 25.
1216 HLv XIII, 3 (471, 12-27): «Secundum ea, quae scripta sunt, in duodecim pani-
bus duodecim tribuum Istrahel videtur commemoratio ante Dominum fieri et praeceptum
dari, ut sine cessatione isti duodecim panes in conspectu Domini proponantur; ut et me-
moria duodecim tribuum apud eum semper habeatur, quo veluti exoratio quaedam et
supplicatio per haec pro singulis fieri videatur. Sed parva satis et tenuis est huiuscemodi
intercessio. Quantum enim proficit ad repropitiandum, ubi uniuscuiusque tribus per pa-
nem fructus, per fructus opera consideranda sunt? Sed si referantur haec ad mysterii ma-
gnitudinem, invenies commemorationem istam habere ingentis repropitiationis effectum.
Si redeas ad illum panem, qui de caelo descendit et dat huic mundo vitam (cfr. Gv 6, 33),
illum panem propositionis, quem proposuit Deus propitiatorem per fidem in sanguine eius
(cfr. Rm 3, 25), et si respicias illam commemorationem, de qua dicit Dominus: Hoc facite
in meam commemorationem (1Cor 11, 25), invenies quod ista est commemoratio (cfr. Lv
24, 7) sola, quae propitium facit hominibus Deum».
398 Parte seconda, Capitolo settimo
della I Omelia su Isaia, richiamando all’assemblea l’immediatezza di tale
aspetto nel vissuto comunitario, «Gesù Cristo è presente, e assiste, ed è
pronto – rivestito della dignità di sommo sacerdote – ad offrire al Padre le
suppliche» dei fedeli 1217.

3.3.4. Dimensione comunitaria e aspetti individuali: la preghiera e il com-


battimento spirituale

In un passo della II Omelia su Esodo Origene osserva che le Scritture


dell’Antico e del Nuovo Testamento, insegnando agli uomini il timore di
Dio, hanno fatto sorgere le chiese e riempito l’intera ecumene di luoghi di
preghiera 1218. Se consideriamo il contesto ravvicinato delle omelie, è
dunque comprensibile che i modelli di oranti approfonditi dall’Alessan-
drino nella sua predicazione siano finalizzati a illuminare le dimensioni
ecclesiali della preghiera (in riferimento sia alla chiesa celeste sia alla
chiesa terrena) forse ancor più che le sue espressioni individuali, sebbene
ad uno sguardo più attento queste ultime siano intrecciate ineludibilmente
con le prime. Si spiega così – come abbiamo visto emergere nelle Omelie
su Levitico – l’insistenza particolare sul compito dei sacerdoti come in-
tercessori, ad imitazione non solo di Mosè ed Aronne ma anche di Gesù,
«sommo sacerdote» e nostro «avvocato» presso il Padre1219. Anche le
Omelie su Numeri lo ribadiscono in diverse occasioni, richiamando l’uf-
ficio orante a cui i presbiteri sono tenuti nella cornice ideale della com-
munio sanctorum. Come tale, esso è ispirato dalla solidarietà spirituale e
dalla compassione dei santi per i traviamenti dei peccatori, che li spinge a
impegnarsi continuamente nella preghiera a loro beneficio1220. Alla pre-
––––––––––––––––––
1217 HIs I, 5 (infra, nota 1309). Anche HLc XXXII, 6 prospetta ai fedeli la visione
del Figlio di Dio come presente tra loro: «Et nunc, si vultis, in hac synagoga coetuque
possunt oculi vestri attendere Salvatorem. Cum enim principale cordis tui direxeris aciem
ad sapientiam et veritatem Deique Unigenitum contemplandum, oculi tui intuentur Iesum.
Beata congregatio, de qua scriptura testatur, quod omnium oculi erant attendentes in eum
(Lc 4, 20)! Quam vellem istum coetum simile habere testimonium, ut omnium oculi, et
catechumenorum et fidelium, et mulierum et virorum et infantium, non corporis oculi, sed
animae aspicerent Iesum! Cum enim respexeritis ad eum, de lumine eius et intuitu clario-
res vestri vultus erunt et dicere poteritis: Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine
(Sal 4, 7): cui est gloria etc.».
1218 HEx II, 2 (nota 540).
1219 Secondo HLv VI, 6 (369, 21-24), i compiti del sacerdote sono da un lato pre-
gare e meditare sulle Scritture, dall’altro ammaestrare il popolo: «Haec duo sunt pontificis
opera, ut aut a Deo discat legendo scripturas divinas et saepius meditando aut populum
doceat. Sed illa doceat, quae ipse a Deo didicerit, non ex proprio corde (cfr. Ez 13, 2), vel
ex humano sensu, sed quae Spiritus docet». Cfr. anche HLv VII , 1 (supra, nota 1168).
1220 HNm V, 3 (29, 9–11.13-16): «Alii sint altare incensi, quicumque orationibus et
ieiuniis die ac nocte vacant in templo Dei, orantes non solum pro semet ipsis, sed et pro
«Come incenso al tuo cospetto» 399
ghiera dei sacerdoti nella chiesa terrena corrisponde, infatti, nella chiesa
celeste quella dei santi che sostengono con le loro orazioni, il loro esem-
pio e i loro scritti – come è il caso di profeti e apostoli – il combattimento
spirituale dei fedeli nell’agone dell’esistenza terrena1221. Ai santi defunti
si affiancano inoltre gli angeli, che completano l’immagine della chiesa
celeste conformemente alla trattazione già sviluppata da Origene special-
mente in Orat e CC: stanto alla XXIII Omelia su Luca, egli individua con
chiarezza l’esistenza di una «duplice chiesa», formata rispettivamente di
uomini e di angeli, mentre la XX Omelia su Numeri sviluppa la dottrina
dell’«angelo custode» per ogni fedele, che si fa interprete presso Dio delle
sue richieste di perdono 1222. Nella XVI Omelia su Giosuè, rifacendosi al-
l’esegesi fornita presumibilmente da un maestro giudeocristiano su Nm
22, 4 («Ora questa moltitudine divorerà quanto è intorno a noi, come il bue
divora l’erba dei campi»), Origene presenta come dottrina tradizionale
l’idea dell’assistenza orante della chiesa celeste alla chiesa terrena, nella
persona dei «padri» che ci hanno preceduto nella fede, grazie alla quale i
fedeli ricevono aiuto nelle loro lotte contro le forze del male1223. Vale an-
––––––––––––––––––
universo populo. [...] Porro qui cum omni fiducia per hostias precum supplicationumque
victimas Deum hominibus repropitiant et pro delictis populi interveniunt, propitiatorium
nominentur»; HNm X, 2 (72, 1-2): «sacerdotis autem officium est pro populi supplicare
peccatis».
1221 HNm XXVI, 6 (253, 26-254, 3): «Quis enim dubitat quod sancti quoque patrum
et orationibus nos iuvent et gestorum suorum confirment atque hortentur exemplis, sed et
voluminibus suis per ea, quae nobis ad memoriam scripta reliquerunt, docentes nos et in-
struentes, quomodo adversum inimicas potestates dimicandum sit et quomodo agonum
toleranda certamina?». Possiamo richiamare qui anche FrCt 75 su Ct 8, 4, secondo cui «la
sposa scongiura le anime dei santi di intercedere per noi peccatori, finché Dio non ci ab-
bia accolti» (tr. Barbàra, 269).
1222 HNm XX, 3 (194, 11-14): «Adest unicuique nostrum, etiam minimis qui sunt in
ecclesia Dei, angelus bonus, angelus Domini, qui regat, qui moneat, qui gubernet, qui pro
actibus nostris corrigendis et miserationibus exposcendis cotidie videat faciem patris, qui
in coelis est». Per il passo di HLc XXIII , 8 cfr. supra, nota 548. Anche HIud III, 6 assicura
agli oranti l’ausilio degli angeli.
1223 HIos XVI, 5 (399, 14-400,4): «Ego sic arbitror quod omnes illi, qui dormierunt
ante nos patres, pugnent nobiscum et adiuvent nos orationibus suis. Ita namque etiam quen-
dam de senioribus magistris audivi dicentem in eo loco in quo scriptum est in Numeris
quia: ablinget synagoga illa hanc synagogam, sicut ablinget vitulus herbam viridem de
campo (Nm 22, 4). Dicebat: quare huiusmodi similitudo assumpta est, nisi quia hoc est,
quod intelligendum est in loco, quod synagoga Domini, quae nos praecessit in sanctis, ore
et lingua consumet adversariam synagogam, id est orationibus et precibus adversarios no-
stros absumet? Non ergo in armis pugnandus est nobis adversum hostes nostros invisibi-
les, sed orationibus et verbi Dei meditationibus et operibus ac sensibus rectis. Sic enim
armabantur et patres fide et operibus vincentes». Si veda anche HEx XI, 4 (256, 5-7.10-
11.13-18): «si vis vincere, si vis obtinere, eleva manus, eleva actus tuos et conversatio tua
non sit in terris. [...] Eleva et tu manus ad Deum, imple mandatum quod Apostolus dicit:
Sine intermissione orare (1Ts 5, 17). [...] Per quod, ut a maioribus accepimus, indicari
dicitur quia populus Dei non tam manu et armis quam voce et lingua pugnabat, id est ora-
400 Parte seconda, Capitolo settimo
che per questa azione di preghiera dei presbiteri l’avvertenza che essa
non sia contraffatta e deturpata da preoccupazioni e condotte estranee,
come l’esercizio di un culto sacerdotale viziato da ambizioni di potere. A
sua volta, la III Omelia su Giudici mette in guardia contro tali insidie, ri-
proponendo l’immagine del contrasto fra il «profumo» che viene dal sa-
crificio di preghiere del giusto e il «fetore» di chi prega per il peccato1224.
Se lo sfondo della communio sanctorum dona all’orante la certezza
consolatrice di non essere mai solo nella sua lotta, Origene comunque rac-
comanda sempre di non venire meno all’impegno di preghiera, sia comu-
nitario sia individuale, dal quale dipende in maniera decisiva l’esito del-
la salvezza. Tale convinzione lo induce a respingere con fermezza, nella
IV Omelia su Ezechiele, la pretesa dei confessores, i quali rivendicano al
potere di intercessione delle loro preghiere la forza di strappare chiunque
alla geenna. In realtà, a nulla serve avere un padre martire – come l’Ales-
sandrino dichiara con un trasparente richiamo autobiografico –, se non si
vive in maniera degna della sua testimonianza di fede1225. Fra i pochi
spunti delle omelie ascrivibili più direttamente a quella che oggi chiame-
remmo una “pastorale della preghiera” troviamo il rimprovero rivolto a
coloro che frequentano la chiesa soltanto nei giorni di festa: come pensano
di osservare il precetto dell’Apostolo, che raccomanda di «pregare senza
posa» (1Ts 5, 17), o di sfuggire alle cadute nelle tentazioni, dal momento
che fanno così poco conto dell’ammonimento di Gesù: «Vegliate e pregate
per non entrare in tentazione» (Mc 14, 38)?1226 La raccomandazione a pre-
––––––––––––––––––
tionem fundens ad Deum prosternebat inimicis. Ita ergo et tu si vis vincere inimicos, eleva
actus tuos, clama ad Deum, ut dicit Apostolus: Orationi instantes et vigilantes in ea (Col
4, 2)». Cfr. inoltre HNm XIII, 5; FrNm 22, 4. Come osservato da Dorival, Les Nombres,
419, si tratta di un’esegesi trasmessa ad Origene dal suo maestro giudeocristiano. Per i ri-
ferimenti alla corrispondente tradizione midrashica si veda Krauss, 153.
1224 HIud III, 2 (481, 20–482, 1): «Nonnumquam autem morbus iste superbiae pe-
netrat non solum pauperes plebis, verum etiam ipsum sacerdotalem et Leviticum ordinem
pulsat. Invenias interdum etiam in nobis aliquos, qui ad exemplum humilitatis positi sumus
et in altaris circulo velut specula quaedam intuentibus collocati, in quibus arrogantiae
vitium foetet, et de altari Domini, quod deberent incensi suavitate flagrare, odor taeter-
rimus superbiae et elationis renidet».
1225 HEz IV, 8 (368, 25–369, 3): «ob nonnullorum insipientiam qui sensum animi
sui Dei esse adserunt veritatem, et frequenter dicunt “futurum est ut unusquisque nostrum
precibus suis eripiat quoscumque voluerit de gehenna”. [...] Nihil mihi conducit martyr
pater, si non bene vixero et ornavero nobilitatem generis mei, hoc est testimonium eius et
confessionem qua illustratus est in Christo».
1226 HGn X, 1 (94, 16-22): «Sine intermissione orandum (cfr. 1Ts 5, 17) apostolus
praecipit; vos, qui ad orationes non convenitis, quomodo completis sine intermissione
quod semper omittitis? Sed et Dominus praecipit: vigilate et orate, ne intretis in tentatio-
nem (Mc 14, 38). Quodsi illi vigilantes et orantes et semper verbo Dei adhaerentes tenta-
tionem tamen nequaquam fugerunt, quid faciunt hi qui diebus tantum sollemnibus ad ec-
clesiam veniunt?» Cfr. anche supra, note 589, 613.
«Come incenso al tuo cospetto» 401
gare per reggere alle prove del combattimento spirituale è un motivo domi-
nante nella predicazione di Origene, che scaturisce dalla sua viva consape-
volezza dell’imprescindibile orizzonte agonico dell’esistenza terrena1227.
La supplica a Dio è tanto più urgente e necessaria per chi abbia offu-
scato l’immagine divina che reca in sé: insistendo nella supplica, l’aiuto
della grazia farà sì che l’immagine ricuperi i suoi colori e torni a risplen-
dere1228. Come Gesù ha mostrato con il suo stesso esempio, colui che uni-
sce digiuno e preghiera riesce a trionfare sugli assalti del nemico 1229. Per-
sistendo saldamente nell’invocare il sostegno divino, schiacceremo con più
rapidità le potenze nemiche che non ci danno tregua1230. Potremo inoltre
rintuzzare il loro attacco, che insinua nella mente pensieri e desideri mal-
vagi, anche con il ricorso «antirretico» alle parole della Scrittura sull’esem-
pio stesso di Cristo, secondo il modello di risposta o reazione all’Avversa-
rio già prefigurato dall’Alessandrino nell’Esortazione al martirio e ampia-
mente sviluppato poi da Evagrio1231. In una preghiera introdotta dalla
I Omelia su Giudici quale risvolto orante dell’esegesi in atto, i fedeli sono
esortati a non smettere di pregare, affinché i loro giorni siano sempre illu-
minati dalla luce di Cristo e non sorga su di loro la luce oscura di Satana1232.
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1227 H36Ps II, 1 (78, 88–80, 95): «Propterea ergo videntes quia omnis vita nostra
agonem quendam obaudientiae gerit, sive Christi, sive huius qui contrarius est Christi, co-
nemur per orationis, per eruditionis religiosam institutionem hoc agere, ne umquam dia-
bolo vel malitiae eius oboedire inveniamur, sed omnis actus noster et omnis sermo atque
omnis cogitatio inveniatur in subiectione Christi».
1228 HGn XIII, 4 (120, 5-9): «Propterea ergo deprecandus est nobis ille qui dicit
per prophetam: ecce ego deleo sicut nubem iniquitates tuas, et sicut caliginem peccata tua
(Is 44, 22). Et cum deleverit omnes istos in te colores qui ex fucis malitiae sumpti sunt,
tunc resplendet in te imago illa quae a Deo creata est».
1229 HEx II, 3 (158, 17-19): «Sed propterea Christus superavit et vicit, ut tibi vin-
cendi iter aperiret. Propterea ieiunans vicit, ut et tu scias huiusmodi genus daemoniorum
ieiuniis et orationibus superandum (Mc 9, 29)».
1230 HEx III, 3 (170, 9-10.14-17): «Stamus autem confidenter, si Dominum depre-
cemur, ut statuat pedes nostros super petram (Sal 39[40], 3). [...] Si enim fortiter steteri-
mus, consequitur et illud quod orat Paulus pro discipulis dicens quia: Deus conteret Sata-
nae sub pedibus vestris velociter (Rm 16, 20)».
1231 HEx I, 5 (153, 4-8): «Si cum mihi cogitationem inicit malas et concupiscentias
pessimas, ego non suscipiam, sed iacula eius ignita scuto fidei repellam (Ef 6, 16), si in
omnibus quaecumque suggerit menti meae, ego memor Christi mei Domini dicam: Vade
retro, Satana etc. (Mt 4, 10 [Dt 6, 13])». Sull’uso “antirretico” della Scrittura in EM, cfr.
supra, pp. 255-256.
1232 HIud I, 1 (467, 13-22): «Oremus ergo, ut semper in nobis Christus, qui est lux
vera, faciat dies bonos nec umquam Zabulo nos illuminante habeamus in nobis dies malos,
de quibus dicit Apostolus: redimentes tempus, quoniam dies mali sunt (Ef 5, 16). Dies
enim malos habemus, quando carnalia pro spiritalibus quaerimus, terrena pro caelestibus,
pro aeternis caduca, praesentia pro futuris. Si quando ergo huiuscemodi in te desideria
videris exoriri, scito te in diebus malis et pessimis positum; et ideo insiste orationibus, ut
libereris a die malo et, sicut dicit Apostolus, eripiaris de praesenti saeculo malo».
402 Parte seconda, Capitolo settimo
L’immagine demoniaca del «leone» che minaccia di distruggere e divorare
il fedele offre un’altra occasione all’Alessandrino, nella V Omelia su Ge-
remia, per esortare la comunità a convertirsi, a far penitenza ed invocare
Dio nella preghiera onde sfuggire alla sua bocca vorace1233. L’insidia
delle forze del male può manifestarsi specialmente con le prove delle per-
secuzioni. Origene vi accenna, in particolare, nella VII Omelia su Giudici,
raccomandando, nel caso si sia consegnati nelle mani delle potenze nemi-
che per l’imperscrutabile volere divino, di implorare da Dio la forza di re-
sistere nella prova 1234. Ma si può essere preda dei demoni anche in altro
modo, come avviene a quanti sono tribolati da essi nel corpo e nella mente:
in tal caso, si dovrà ricorrere alle invocazioni degli esorcismi con molte
preghiere e molti digiuni, anche se l’esito positivo non è sempre garanti-
to 1235. Consapevole della sua costitutiva debolezza, il fedele posto davanti
all’alternativa tra sottomettersi a Cristo o sottomettersi a Satana – come
inculcano ripetutamente le Omelie su Salmo 36 – è sollecitato a doman-
dare l’aiuto di Dio perché in ogni circostanza di vita diriga i suoi passi
sulla via di Cristo1236.
––––––––––––––––––
1233 HIer V, 17 (47, 5-9): ejpei; ou\n ajnevbh levwn kai; ajpeilei' soi levwn kai; bouvle-
taiv sou ajfanivsai th;n gh'n, perivzwsai savkkon, klai'e kai; pevnqei, dia; tw'n eujcw'n pa-
rakavlei to;n qeovn, i{na tou'ton to;n levonta ejxoloqrevush/ ajpo; sou kai; mh; ejmpevsh/" aujtou'
eij" to; stovma. Cfr. anche FrIer 28 (213, 12-15), su Ger 27, 17: ajll∆ wJ" Dabi;d labw;n tou'
pwvgono" to;n levonta e[pnixen, ou{tw to;n pneumatiko;n Dabivd, to;n Cristovn, ejxaithvswmen
labovnta to;n levonta kai; pa'n to; tw'n qhrivwn sunevdrion ajnelei'n.
1234 HIud VII, 2 (506, 22-507, 3): «Propterea ergo, fratres, deprecemur Dominum
confitentes ei infirmitatem nostram, ne nos tradat in manus Madian (Sal 73[74], 19), ne
tradat bestiis animam confitentem sibi, ne nos tradat in potestatem eorum, qui dicunt:
quando veniet tempus, ut detur nobis potestas adversus Christianos, quando tradentur in
manus nostras isti, qui se dicunt habere vel nosse Deum? Quod et si tradamur et accepe-
rint potestatem nostri, oremus accipere a Deo virtutem, ut sustinere possimus, ut fides no-
stra in pressuris et tribulationibus clarior fiat, ut per patientiam nostram illorum superetur
impudentia et, sicut dixit Dominus, in nostra patientia acquiramus animas nostras». Que-
sto passo merita di essere considerato anche nella prospettiva di «preghiera e martirio»,
poiché subito dopo Origene afferma la superiorità del «battesimo di sangue» per la remis-
sione dei peccati sul battesimo di acqua.
1235 HIos XXIV, 1 (448, 12-18): «si inimica virtus daemonis ex amaritudinis turma
veniens obsideat alicuius corpus, perturbet ac sopiat mentem, adhibeantur autem multae
orationes, multa ieiunia, multae exorcistarum invocationes et ad haec omnia surdus dae-
mon in obsesso corpore permaneat et persistat, tolerabilius ferens exorcistarum poenas et
adhibita sibi ex Dei nominis invocatione tormenta quam discedere ab homine, quem im-
pudenter obsidet et nequiter».
1236 H36Ps IV, 2 (178, 60-67): «Nos ergo deprecemur Dominum ut dirigat gressus
nostros et custodiat vias nostras, uti ne supplantentur gressus nostri; ut in via quam incedi-
mus, hoc est in Christo Domino nostro, quasi supra petram stabilem vestigia nostra firmen-
tur, ne quoquo modo supplantari possimus; per illum scilicet cuius nos caput observamus
et ille nostrum observat calcaneum». Anche CMt XIII, 7 (198, 16-27) accenna al ricorso
alla preghiera per scacciare i demoni dagli ossessi, in relazione a Mt 17, 20: i{n∆ ei[ pote
devoi peri; qerapeivan ajscolei'sqai hJma'" toiou'tovn ti peponqovto" tinov", mh; oJrkivzomen
«Come incenso al tuo cospetto» 403
3.3.5. La preghiera del peccatore e la confessione di colpa

Si è già ricordato come fra gli apporti specifici del corpus omiletico
vada annoverato anche l’ulteriore approfondimento della preghiera del
peccatore e con essa della confessione di colpa. Entrambi i temi, sebbene
non del tutto ignorati nel trattato, vi occupano di fatto poco spazio, per-
ché – come sappiamo – il modello prefigurato da esso ha come ideale in-
terlocutore il «santo». Invece, nel corso della sua predicazione Origene
ha modo di tornare spesso sulla condizione del peccatore che prega, tanto
più che pochi, o per meglio dire nessuno, possono considerarsi veramente
«giusti» agli occhi di Dio. Né mancano del resto coloro che – come ricorda
la X Omelia su Numeri –, pur essendosi votati a Dio, cadono nel peccato e
avvertono quindi la necessità della purificazione e della penitenza1237. La
III Omelia su Giudici esorta colui che ha peccato a pregare, inculcando la
necessità di un pentimento che sia realmente sentito e come tale si mani-
festi nell’intimo dell’animo, prima ancora che con le parole della bocca,
mentre esso propizia il dono delle lacrime: solo a queste condizioni, il
peccatore pentito può sperare nell’ausilio divino1238. A quel che afferma
la II Omelia su Salmo 38, il pentimento accompagnato dalle lacrime attira
l’esaudimento immediato della richiesta di perdono1239. In ogni caso, chi
––––––––––––––––––
mhde; ejperwtw'men mhde; lalw'men wJ" ajkouvonti tw/' ajkaqavrtw/ pneuvmati, ajlla; scolavzon-
te" proseuch/' (1Cor 7, 5) kai; nhsteiva/ ejpituvcwmen proseucovmenoi peri; tou' peponqovto"
<swthriva" th'" ajpo; qeou'> kai; th/' eJautw'n nhsteiva/ ajpwvswmen ajp∆ aujtou' to; ajkavqarton
pneu'ma.
1237 HNm X, 1 (70, 16-21–71, 6-9): «Sancti dicuntur iidemque et peccatores illi, qui
devoverunt se quidem Deo, et sequestraverunt a vulgi conversatione vitam suam ad hoc,
ut Domino serviant [...] potest autem fieri, ut in hoc ipso, quod Domino deservit, non ita
omnia gerat, ut geri competit, sed delinquat in nonnullis et peccet. [...] Qui non sunt san-
cti, in peccatis suis moriuntur; qui sancti sunt, pro peccatis poenitudinem gerunt, vulnera
sua sentiunt, intelligunt lapsus, requirunt sacerdotem, sanitatem deposcunt, purificationem
per pontificem quaerunt».
1238 HIud III, 6 (487, 4-12): «Ita ergo etiam nunc eadem consequentia debemus ad-
vertere quia, si quando pro peccatis nostris in captivitatem tradimur clamemus ad Domi-
num. Clamemus autem non ore, sed mente, ita ut dolor cordis fontem lacrimarum produ-
cat ex oculis, sicut ille, qui dicebat: lavabo per singulas noctes lectum meum, lacrimis
meis stratum meum rigabo (Sal 6, 7). Si ita convertimur a malis, ut ultra non contingamus
mala, si ita desinimus a superbia, ut ultra nihil superbum, nihil arrogans sapiamus, mittet
etiam nobis Dominus virtutem suam coelestem».
1239 H38Ps II, 10 (398, 1-12): «Exaudi orationem [proseuch'"] meam, Deus, et de-
precationem [dehvsew"] meam, auribus percipe lacrimas meas (Sal 38[39], 13). Oportet
iterum et cum lacrimis offerre orationem Deo et ex intimis viscerum penetralibus in pre-
cem Domini commoveri, ut mens credens de iudicio futuro, recordationem delictorum suo-
rum non absque lacrimis et lamentatione recenseat, cum quis resolutus in lacrimis dicit ad
Dominum: effundo in conspectu tuo orationem meam (Sal 141[142], 3). Auribus – ergo –
percipe lacrimas meas et ne sileas – inquit – a me (Sal 38[39], 13). Sed quid? Adhuc lo-
quente me: ecce adsum (Is 58, 9)». Anche FrLam 86 (267, 29-30), su Lam 3, 49 (Simmaco),
404 Parte seconda, Capitolo settimo
si sia reso responsabile di colpe non deve mai disperare del soccorso di
Dio, bensì avere fiducia nel suo perdono, come l’Alessandrino dichiara
con un invito pressante nella V Omelia su Isaia:
«E se anche siete peccatori, pregate! Dio ascolta i peccatori. E se temete la parola
detta nel Vangelo: Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori (Gv 9, 31), non la-
sciatevi prendere da sbigottimento, non vogliate crederlo: era “cieco” colui che
così si esprimeva! Credete piuttosto a colui che dice, e non mentisce: Anche se i
vostri peccati fossero come scarlatto, li farò diventare bianchi come lana; e se lo
vorrete e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra (Is 1, 18-19). Se soltanto
“volete ascoltare”, preghiamo in comune il Signore, perché almeno ora, per l’av-
vento del Verbo, siamo fatti capaci di volgerci alle parole del profeta»1240.

Origene raccomanda dunque la preghiera ad opera dei peccatori, an-


che se non ignora l’insidia che può comprometterla, qualora essa non av-
venga nel segno di un’autentica conversione. La XVIII Omelia su Gere-
mia, citata in precedenza, illustra il modello in negativo dell’orazione del
peccatore, esemplificata ancora una volta dalla figura emblematica del-
l’apostolo-traditore Giuda, che l’Alessandrino contrappone a quella del
giusto1241. Affinché la preghiera di chi ha peccato risulti genuina occorre
che il peccatore abbandoni la pratica del male: stando alla II Omelia su Sal-
mo 36 si tratta di un’indicazione che Origene sostiene aver trasmesso con
frequenza alla comunità1242. Se altrove il riferimento critico alla preghiera
dell’uomo peccatore serve soprattutto a far risaltare per contrasto la bontà
della preghiera che sgorga dalla coscienza del giusto, le Omelie su Salmo
37 sottolineano il fatto che Dio si aspetta un atteggiamento di penitenza e
preghiera da parte di colui che ha peccato. Proprio dal testo di questo sal-
mo esse ricavano l’istruzione sulle disposizioni d’animo più convenienti
nonché sull’atteggiamento esteriore del corpo, mentre indirizzano la sup-
plica a colui che è visto come il medico delle anime1243. Anche qui, come
nel Commento a Giovanni, il peccatore che prega è tenuto a chinare il
proprio corpo volgendo lo sguardo a terra1244. È l’atteggiamento di umiltà
che si ispira naturalmente alla figura evangelica del pubblicano – come
ricorda ancora un frammento delle Omelie su Giobbe –, piegato dal tor-
––––––––––––––––––
afferma che una preghiera prolungata e accompagnata dalle lacrime induce Dio alla mise-
ricordia: proseuch; ga;r ejktenh;" kai; dakruvwn ejpivtasi" to;n qeo;n ejfevlkei pro;" e[leon.
1240 HIs V, 2 (tr. Danieli, 114).
1241 Si veda in particolare HIer XVIII, 10, con le osservazioni formulate supra, note
321, 474, 1170, 1191.
1242 H36Ps II, 1 (80, 103-107): «Donec autem permanemus in delictis, frustra ve-
niam poscimus delictorum. Unde et memini me frequenter dixisse ad vos, quia veniam
delictorum tunc digne poscimus, cum longe positis a peccato, illam vocem possumus di-
cere: ne memineris iniquitates nostras antiquas (Sal 78[79], 8)».
1243 H37Ps I, 1 (nota 1106).
1244 H37Ps I, 5 (nota 1105).
«Come incenso al tuo cospetto» 405
mento della coscienza e dal timore di Dio1245. Non manca però talvolta
una riflessione che sembrerebbe riecheggiare il punto di vista manifestato
da un frammento sul quarto vangelo, dove si tende a far spazio alla pre-
ghiera del peccatore, anche quando costui pencoli ancora tra peccato e
conversione1246. Infatti, nel primo frammento di quelle che si ritengono
generalmente essere le Omelie su 1 Corinti l’Alessandrino, commentando
il prescritto della lettera paolina, insiste sulla distinzione fra la «chiesa di
Dio che è in Corinto» e «coloro che invocano il nome del Signore nostro
Gesù Cristo» (1Cor 1, 1). Questi ultimi sarebbero «coloro che sono bia-
simati anche se non si sono allontanati, ma combattono ancora con il pec-
cato», e perciò continuano ad invocare1247.
Che sia possibile operare una distinzione fra le diverse condizioni dei
peccatori i quali si volgono alla preghiera, risulta anche dalla XI Omelia
su Esodo, dove l’Alessandrino introduce un commento su Sal 50(51), il
salmo penitenziale per eccellenza. Chi confessa la propria colpa «davanti
a Dio», come fa qui Davide, si riconosce anche da peccatore sempre di-
nanzi al volto di Dio e insiste nell’ammissione della propria colpevolezza
per essere purificato mediante la penitenza1248. Origene si riallaccia in parte
a questa spiegazione nella V Omelia su Levitico, sviluppando l’idea di un
«sacrificio davanti al Signore» e di uno che non è tale, come avviene per
Caino il quale fugge «dalla sua faccia» (Gn 4, 14) a causa della coscienza
di aver peccato1249. Ma è chiaro che la condizione di peccatore implica
sempre la necessità di confessare le proprie colpe davanti a Dio. Così la
III Omelia su Giudici invita i fedeli ad un esame di coscienza, che li renda

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1245 FrIob (PG 12, 1040B): Kai; kuvfonta ojfqalmoi'" swvsei (Gb 22, 29). Toutevsti
to;n tapeinovfrona, to;n kavtw blevponta dia; to; dussuneivdhton kai; ajparrhsivaston, ka-
qavper oJ ejn toi'" Eujaggelivoi" dikaiwqei;" telwvnh".
1246 FrIo 70 (cfr. supra, note 473, 703).
1247 Fr1Cor 1 (52): paresthvsamen wJ" movnou" tou;" ejpainetou;" crhmativzein ejk-
klhsivan ojfeivlonta", tou;" de; yektou;" oujk ajpostavta" me;n e[ti palaivonta" th/' aJmartiva/,
ajll∆ <e[ti> ejpikaloumevnou", ouj mh;n h[dh kai; ejkklhsiva. Speuvswmen ou\n ajpo; tou' ejpi-
kalei'sqai eij" to; ajnabh'nai ejpi; th;n ejkklhsivan th;n a[spilon kai; a[mwmon. Fr1Cor 2 (52-
54) precisa l’immagine della comunità di Corinto come ejkklhsiva ajnamemigmevnh [...] to;
o{lon tou'to to; mikto;n ejk dikaivwn kai; ajdivkwn, e la richiama in HLc XVII, 11 (supra, nota
926). Conviene ricordare nuovamente la prospettiva, conflittuale e dinamica, dell’antropo-
logia origeniana, messa in luce soprattutto nell’esegesi di Rm 7; cfr. da ultimo Müller J.
1248 HEx XI , 5 (258, 11-18): «Ego amplius adhuc locum praesentem discutiens video
quia qui pleniorem scientiam Dei accipiunt et plenius divinis imbuti sunt disciplinis, isti
etiam si malum faciunt, coram Deo faciunt et in conspectu eius faciunt, sicut ille qui dixit:
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci (Sal 50[51], 6). Quid ergo plus habet, qui malum
coram Deo facit? Quod continuo poenitet et dicit: Peccavi. Qui autem discedit a conspectu
Dei, nescit converti et peccatum poenitendo purgare».
1249 HLv V, 3 (338, 5-7): «Si qui ergo est, qui habet fiduciam adstare in conspectu
Domini et non fugit a facie eius nec adspectum eius peccati conscientia declinat, iste in
conspectu Domini offert sacrificium».
406 Parte seconda, Capitolo settimo
consapevoli degli errori commessi, e li spinga alla confessione e alla peni-
tenza1250. Sul nesso fra rammemorare i propri peccati e confessione insi-
ste anche la IV Omelia su Isaia, che in questo contesto richiama Is 58, 9,
luogo scritturistico prediletto da Origene per indicare l’esaudimento del-
l’orante da parte di Dio: in questo caso si tratta del peccatore penitente
che nell’atto stesso di dichiararsi colpevole può dunque contare anche lui
sull’immediato ascolto divino1251.
Il termine tecnico per la «confessione» è ejxomolovghsi", già indicato
in Orat come componente strutturale nella preghiera formulata, situata a
mezzo fra il «ringraziamento» (eujcaristiva) e la «domanda» (ai[thsi"),
sebbene il vocabolo sia di per sé suscettibile anche in Origene di una certa
sovrapposizione semantica con i termini doxologiva e eujcaristiva, nel sen-
so di «professione di lode e ringraziamento»1252. Soprattutto nelle Omelie
su Geremia, particolarmente sensibili alla presenza del peccato nelle chie-
se1253, l’Alessandrino ha approfondito le modalità in cui può darsi veritiera
«confessione di colpa» (con l’utilizzo del sostantivo ejxomolovghsi" e del
relativo verbo ejxomologei`sqai). Nella V Omelia su Geremia, applica le
parole sul ravvedimento del popolo in Ger 3, 25 («Avvolgiamoci nella
nostra vergogna, la nostra confusione ci ricopra, perché abbiamo peccato
contro il Signore nostro Dio, noi e i nostri padri, dalla nostra giovinezza
fino ad oggi») alla situazione dei peccatori nella comunità ecclesiale. Chi
si trova ancora in una condizione di peccato non può fare proprie le pa-
role del profeta «abbiamo peccato», perché la sua confessione è falsata dal
––––––––––––––––––
1250 HIud III, 2 (482, 10-14): «Disce haec et tu, o auditor, quisque ille es, qui tibi
conscius es alicuius erroris. Et quanto tempore errasse te nosti, quanto tempore deliquisti,
tanto nihilominus tempore humilia te ipsum Deo et satisfacito ei in confessione poeni-
tentiae».
1251 HIs IV, 4 (261, 21-26): «Quam bonus Deus! Quia, inquit, audio confitentem
Isaiam [...] et ego adhuc loquente eo dico: Ecce adsum (Is 58, 9)».
1252 L’ambivalenza semantica emerge, ad esempio, dall’etimologia del nome «Giu-
dea» in FrIer 58 (227, 3-7): eij de; ejn aujtw/' ejsmen kata; to; kai; uJmei'" ejn ejmoiv, oijkodomhv-
swmen ejn tw/' dikaivw/ o[rei. tou'to de; poiei' ti" ejn ∆Ioudaiva/ genovmeno", o} eJrmhneuvetai
∆Exomologoumevnh, tw/' qew/' ejxomologouvmeno" ta;" aJmartiva" kai; eujcaristw'n: levge ga;r
su; prw'to" ta;" ajnomiva" sou, i{na dikaiwqh/'" (Is 43, 26). Si noti che la traduzione rufinia-
na delle Omelie su Salmi 36 e 37 ha preferito conservare talora il termine tecnico. Cfr.
H36Ps I, 5 (66, 19-25): «Sed et si malorum tibi conscius aliquorum fueris, noli occultare,
sed per exomologesin, revela ea Domino, et spera in eum et ipse faciet. Quid faciet? Sine
dubio sanum te faciet»; H37Ps II , 1 (290, 7-8): «ipse se ad exomologesin peccati sui moe-
roremque convertit». Invece in H37Ps II, 6 (310, 1-3) Rufino rende diversamente: «Pro-
nuntiationem iniquitatis, id est confessionem peccati, frequentius diximus». Fr1Cor 24
richiama più espressamente la disciplina ecclesiale della confessione e del pentimento: Qe-
rapeuevsqwsan ou\n oiJ kakw'" diavgonte" e[xw genovmenoi th'" poivmnh", ejxomologouvmenoi
kai; penqou'nte" ta; i[dia aJmarthvmata, ejn nhsteivai" kai; pevnqesi kai; klauqmoi'" kai; toi'"
paraplhsivoi" ta; th'" metanoiva" prosavgonte".
1253 In HIer XV, 3 Origene si chiede: «Chi di noi ha grappoli di virtù?», e in XV, 5
ribadisce l’idea che «ciascuno di noi è debitore a causa dei peccati».
«Come incenso al tuo cospetto» 407
perdurare nel male. Può dirle invece chi, avendo prima peccato, si è suc-
cessivamente impegnato con cura a convertirsi, conformemente all’indi-
cazione che l’Alessandrino ricava da due luoghi scritturistici – Dn 9, 5 Th
(«Abbiamo peccato, abbiamo trasgredito») e Sal 78(79), 8 («Non ricor-
darti delle nostre colpe antiche»). Perciò Origene si augura che i fedeli di
Cesarea confessino a loro volta non le «colpe di ieri» o di «tre giorni fa»,
ma piuttosto si dichiarino colpevoli di colpe commesse prima dell’ultimo
quindicennio! Non ha senso per lui confessare le colpe di ieri, perché tale
confessione non può ancora avere la serietà di un impegno di conversione
e penitenza maturato nel corso del tempo1254. Come in altre occasioni, in
questo stesso ciclo di omelie, si fa strada una preoccupazione di ordine
pastorale, mirante ad inculcare nei fedeli l’idea, per così dire, di un “auto-
controllo” più esigente sulle proprie parole di preghiera, per non banaliz-
zarle con una pratica troppo facile e ripetitiva. In questo senso, il passo di
Ger 3, 25 offre per l’Alessandrino l’«insegnamento sul modo migliore di
confessarsi», contrastando anche l’aspettativa troppo comoda di un pronto
esaudimento della richiesta a Dio di perdono per colui che ha peccato,
quando questi non si è ancora rimesso dal male1255.
In questa luce l’ejxomolovghsi" non può non andare di pari passo con
l’effettiva conversione, grazie alla quale – come dichiara la conclusione
della X Omelia su Geremia – colui che si confessa può fare proprie con
una rinnovata «confidenza» (parjrJhsiva) le parole della Scrittura, specie
quelle tratte dal libro dei Salmi1256. In essi il penitente trova il suo testo di
riferimento, come testimonia fra l’altro la XVII Omelia su Luca che solle-
cita a rendere noti i peccati con le parole di Sal 31(32), 5 («Ti ho manife-
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1254 HIer V, 10 (39, 14-25): Ouj taujtovn ejstin to; hJmavrtomen (Ger 3, 25) tw'/ aJmar-
tavnomen: oJ me;n ga;r e[ti ejn aJmartiva/ w]n mh; legevtw hJmavrtomen, oJ de; proamarthvsa", ajkri-
bw'" de; metanohvsa" legevtw hJmavrtomen, wJ" kai; ejn tw'/ Danih;l gevgraptai ejxomolovghsi"
tw'n mhkevti aJmartanovntwn legovntwn: ÔHmavrtomen, hjnomhvsamen (Dn 9, 5 Th), kai; ejn
Yalmoi'": Mh; mnhsqh'/" hJmw'n ajnomiw'n ajrcaivwn (Sal 78[79], 8) fhsi;n oJ profhvth". Kai;
hJmei'" ou\n ejxomologhswvmeqa ta;" aJmartiva", ei[qe mh; cqizav", ei[qe mh; triqhmerinav", ajll∆
ei[qe ejxomologouvmenoi ejxomologhswvmeqa peri; aJmarthmavtwn pro; pentekaivdeka ejtw'n
gegenhmevnwn, tw'/ mhkevti aJmartivan e[cein met∆ ejkei'na ejpi; pentekaivdeka e[th: eij de; cqe;"
hJmavrtomen, ou[pw ajxiovpistoiv ejsmen ejxomologouvmenoi peri; tw'n aJmarthmavtwn hJmw'n,
oujde; cwvran e[cei ajpaleifqh'nai ta; aJmarthvmata hJmw'n tau'ta.
1255 HIer V, 10 (39, 25-40, 2): Diovti hJmavrtomen hJmei'" kai; oiJ patevre" hJmw'n ajpo;
neovthto" hJmw'n e{w" th'" hJmevra" tauvth" (Ger 3, 25) < ejkei'na me;n a[llw" lelevcqw eij" di-
daskalivan th;n peri; trovpou ajrivstou ejxomologhvsew", tau'ta dev ejstin kathgoriva tou'
ejk pollou' aJmartavnein < ajpo; neovthto" fhsi;n e{w" th'" hJmevra" tauvth", kai; oujc uJphkouv-
samen th'" fwnh'" kurivou tou' qeou' hJmw'n (Ger 3, 25): hJmavrtomen, kai; oujc uJphkouvsamen
e{w" tou' parovnto". ei\ta ejpistrevyante" kai; ajrch;n e[conte" ejpistrofh'" levgousin to;
«hJmavrtomen, kai; oujc uJphkouvsamen». Oujde; ga;r a{ma tw'/ qevlein uJpakou'sai h[dh eujqevw"
uJpakouvomen: kai; ga;r e[ti crovnou dei', w{sper ejpi; tw'n traumavtwn pro;" th;n i[asin, ou{tw"
kai; ejpi; th'" ejpistrofh'", pro;" to; teleivw" kai; kaqarw'" ejpistrevyai pro;" to;n qeovn.
1256 HIer X, 8 (nota 1172).
408 Parte seconda, Capitolo settimo
stato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto: “Con-
fesserò al Signore le mie colpe”»)1257. Anche nella celebre XX Omelia su
Geremia Origene si augura che ciascun fedele possa fare propria la voce
del Salmista, riconoscendo i suoi peccati ed esprimendo pentimento dopo
ogni sua caduta1258. In questa stessa omelia egli prende ad esempio la
confessione pubblica del profeta – che non nasconde i suoi peccati ma al
contrario li dichiara a tutte le generazioni future – non solo per criticare le
resistenze dei fedeli che si sforzano di occultarli ma anche per accusare in
chiave autocritica la propria riluttanza a fare altrettanto davanti alla pic-
cola cerchia della comunità1259. Sul modello di Geremia, l’Alessandrino
si augura di poter sperimentare ugualmente dentro di sé il fuoco che tri-
bola e purifica, nel momento stesso in cui si rende colpevole o pronuncia
parole di peccato1260. Egli invita anche la comunità a esaminare con cura
la propria coscienza, per verificare in che cosa abbia peccato e ricono-
scere così la necessità della punizione, pregando nel contempo Dio di
poter partecipare di quello stesso fuoco che ardeva nel cuore del profeta
come più tardi in quello dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 32)1261. Anche
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1257 HLc XVII, 8 (107, 23-108, 5): «Unde et nos si peccaverimus, debemus dicere
[dia; tou'to kai; hJmei'" eja;n aJmarthvswmen, keleuovmeqa levgein: th;n ajnomivan ktl.]: pecca-
tum meum notum feci tibi, et iniquitatem meam non abscondi. Dixi: annuntiabo iniusti-
tiam meam contra me Domino (Sal 31[32], 5). Si enim hoc fecerimus et revelaverimus
peccata nostra non solum Deo, sed et his qui possunt mederi vulneribus nostris atque pec-
catis, delebuntur peccata nostra ab eo, qui ait: ecce, delebo ut nubem iniquitates tuas et si-
cut caliginem peccata tua (Is 44, 22)». Origene si basa sullo stesso salmo in CC III, 63
(257, 11-17), a riprova della volontà di conversione del peccatore: Poiva ga;r kolakeiva,
kai; poi'o" lovgo" oijktrovgoo" kata; ta;" qeiva" ginovmeno" grafav", ejpa;n oJ aJmartavnwn levgh/
ejn tai'" pro;" qeo;n eujcai'": Th;n aJmartivan mou ejgnwvrisa, kai; th;n ajnomivan mou oujk ejkav-
luya. Ei\pa: ejxagoreuvçw kat∆ ejmou' th;n ajnomivan mou tw'/ kurivw/ (Sal 31[32]. 5) kai; ta;
eJxh'"… ∆Alla; duvnatai parasth'sai o{ti oujk e[stin ejpistreptiko;n to; toiou'ton tw'n aJmar-
tanovntwn, uJpo; to;n qeo;n eJautou;" tapeinouvntwn ejn tai'" eujcai'"…
1258 HIer XX , 6 (186, 23-27): wJ" ei[qe e{kasto" hJmw'n kaq∆ e{kaston aJmavrthma
e[lege: louvsw kaq∆ eJkavsthn nuvkta th;n klivnhn mou, ejn davkrusiv mou th;n strwmnhvn mou
brevxw (Sal 6, 7). wJ" ei[qe e{kasto" hJmw'n e[legen ejpi; toi'" ijdivoi" aJmarthvmasi klaivwn:
ejgenhvqh moi ta; davkrua a[rto" hJmevra" kai; nuktov" (Sal 41[42], 4).
1259 HIer XX, 8 (189, 19-25): Ei\ta katanovhson w{" eijsin oiJ profh'tai eujgnwvmone"
a{nqrwpoi, kai; oujk ajpokruptovmenoi ta; i{dia aJmarthvmata wJ" kai; hJmei'", kai; levgonte"
oujk ejpi; tw'n tovte movnon, ajll∆ ejpi; pasw'n tw'n genew'n eij hJmarthvkasi. kajgw; me;n ojknw'
ejxomologhvsasqaiv mou ta; aJmarthvmata ejpi; tw'n ojlivgwn ejntau'qa, ejpei; mevllousiv mou
kataginwvskein oiJ ajkouvonte". oJ de; ÔIeremiva" ti paqw;n aJmarthtiko;n oujk h/jdevsqh, ajlla;
ajnevgrayen aujtou' th;n aJmartivan. Per un’analisi di questa omelia si veda Perrone 2001c;
Abbattista, 245-262.
1260 HIer XX , 8 (190, 19-21): ei[qe kajgwv, a{ma tw/' aJmarth'sai kai; eijpei'n lovgon
aJmarthtikovn, h/jsqanovmhn o{ti gevgone pu'r ejn th/' kardiva/ mou kaiovmenon kai; flegovmenon
w{ste mh; duvnasqai fevrein (Ger 20, 9).
1261 HIer XX, 9 (supra, nota 892). Anche HIs IV, 6 sfrutta il richiamo alla scena di
Emmaus (cfr. infra, nota 1292), che il predicatore riprende in chiave personale in H38Ps
I, 7 (nota 2113).
«Come incenso al tuo cospetto» 409
nella XVI Omelia su Genesi Origene si lascia andare ad una confessione
pubblica ergendosi ad accusatore di se stesso davanti al proprio uditorio
per l’incapacità a rinunciare a tutti i suoi averi per seguire il Signore
come richiesto da Lc 14, 33 («Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi
averi, non può essere mio discepolo»)1262. Al tempo stesso l’Alessandrino
nella II Omelia su Salmo 37 critica con durezza – come nel Commento a
Matteo – l’atteggiamento di quei fedeli che, invece di compatire ed in-
sieme gioire per la confessione del peccatore, si sottraggono al rapporto
con questi dopo aver appreso in pubblico delle sue colpe1263.
Per la II Omelia su Levitico, l’ejxomolovghsi", attuata coerentemente
con il pentimento, le lacrime e la manifestazione palese delle proprie
colpe, costituisce la settima forma di remissione dei peccati. Essa viene
dopo il battesimo, il martirio, l’elemosina, il perdono ai fratelli, la conver-
sione dei fratelli in errore, l’abbondanza della carità, ed è giustificata
dall’Alessandrino anche mediante il richiamo a Gc 5, 14-15, per cui «la
preghiera fatta con fede salverà il malato»1264. Si tratta di una forma certo
assai dura e faticosa di remissione, ma grazie all’impegno di penitenza e
preghiera che richiede, essa arriva per Origene ad essere assimilata al
sacrificio (conformemente a uno spunto che troviamo pure nel Commento
al Cantico a partire da Sal 50[51], 19)1265, riproponendo così sotto un al-
tro profilo l’equivalenza fra preghiera e sacrificio che già conosciamo
come motivo importante del corpus omiletico 1266. Da parte sua, la IV

––––––––––––––––––
1262 HGn XVI, 5 (142, 14-24): «Contremisco haec dicens. Meus enim primo omnium,
meus, inquam, ipse accusator existo, meas condemnationes loquor. Negat Christus suum
esse discipulum, quem viderit aliquid possidentem et eum qui non renuntiat omnibus quae
possidet. [...] Nolo duplicati criminis fieri reus. Confiteor et palam, populo audiente, con-
fiteor haec scripta esse, etiamsi nondum implesse me novi».
1263 Cfr. H37Ps II, 35 e Bendinelli 2009, 417-419.
1264 HLv II, 4 (296, 17–297, 3): «Est adhuc et septima, licet dura et laboriosa, per
paenitentiam remissio peccatorum, cum lavat peccator in lacrimis stratum (Sal 6, 7) suum
et fiunt ei lacrimae suae panes die ac nocte (Sal 41[42], 4), cum non erubescit sacerdoti
Domini indicare peccatum et quaerere medicinam, secundum eum, qui ait: Dixi: pronun-
tiabo adversum me iniustitiam meam Domino, et tu remisisti impietatem cordis mei (Sal
31[32], 5). In quo impletur et illud, quod Iacobus Apostolus dicit: Si qui autem infirmatur,
vocet presbyteros Ecclesiae, et imponant ei manus ungentes oleo in nomine Domini. Et
oratio fidei salvabit infirmum, et si in peccatis fuerit, remittentur ei (Gc 5, 14-15)».
1265 CCt II, 1, 44 (122, 23-29): «Videtur enim mihi quod ultra flumina Aethiopiae
esse dicitur ille qui nimiis et superabundantibus peccatis infuscatus est et atro malitiae fuco
infectus niger et tenebrosus est redditus; et tamen ne hos quidem repellit Dominus, sed
omnes qui sacrificia contribulati spiritus et humiliati cordis (Sal 50[51], 19) offerunt Deo,
confessionis scilicet ac paenitentiae titulo ad eum conversi, non repelluntur ab eo».
1266 HLv II, 4 (297, 21-27): «Si autem in amaritudine fletus tui fueris luctu, lacrimis
et lamentatione confectus, si carnem tuam maceraveris et ieiuniis ac multa abstinentia ari-
dam feceris et dixeris quia sicut frixorium confrixa sunt ossa mea (Sal 101[102], 4), tunc
sacrificium similam a sartagine vel a craticula obtuleris; et hoc modo invenieris tu verius
410 Parte seconda, Capitolo settimo
Omelia su Isaia esorta alla preghiera di confessione, dichiarandola «cosa
beata», mediante il richiamo a Rm 7, 24 («Sono uno sventurato! Chi mi
libererà da questo corpo votato alla morte?»), seguito subito da Rm 7, 25
(«Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!»),
conformemente all’uso del passo paolino nell’Esortazione al martirio1267.

3.3.6. Conclusione in forma di preghiera: parenesi e dossologia

Nelle omelie di Origene il commento delle letture scritturistiche si


conclude solitamente con una dossologia, preceduta da una parenesi più o
meno sviluppata, combinandosi talvolta con un’esortazione alla preghiera,
come vediamo – a titolo di esempio in lingua originale – nella brevissima
chiusa della XX Omelia su Geremia1268. In tal modo l’omileta coltiva
l’aspettativa di una risposta orante della comunità, capace di assecondare
il significato spirituale della Parola di Dio messo in luce nella predicazio-
ne e di prolungarne l’eco nella vita dei fedeli. Anche in questo caso non
ci si deve immaginare una tipologia troppo uniforme, perché la sollecita-
zione a pregare può darsi in maniera assai differenziata, come ha messo
bene in luce Sheerin, vuoi traendo spunto dalla parte terminale dell’ome-
lia, vuoi ricapitolando i suoi temi di fondo oppure ricavando ispirazione
da passi addotti a commento della pericope, o ancora concludendo una ri-
flessione di ordine morale o insistendo ulteriormente sulla comprensione
spirituale delle Scritture1269. Senza poter ripercorrere qui sistematicamente
le conclusioni in forma di preghiera, ci sforzeremo di illustrarne le modali-
tà più tipiche, a cominciare da quelle che si riallacciano allo sviluppo finale
dell’omelia. Pur essendo consapevoli dell’interrogativo critico che grava
sui testi latini della predicazione origeniana, soprattutto nella versione di
––––––––––––––––––
et perfectius secundum Evangelium offerre sacrificia, quae secundum legem iam offerre
non potest Istrahel».
1267 HIs IV , 3 (260, 14-21): «Beatum est ergo, ut miserum (cfr. Rm 7, 24) ipse me
fatear. Si me humiliavero et paenitens super peccatis meis flevero, exaudiet me Deus et
dabit mihi liberatorem et dico: Gratias Deo per Iesum Christum Dominum nostrum! (Rm
7, 25). Verum ex corde dicamus: miser ego. Unusquisque recordetur causas miseriarum
suarum et delicta et dicamus surgentes ad orationem, memores quidem quasi confitentes,
obliti autem quasi iam non facientes, et dicamus: Miser ego, quoniam compunctus sum!
(Is 6, 5)». Per l’utilizzo in EM 3, cfr. supra, p. 65.
1268 HIer XX, 9 (194, 17-19): dio; ajnastavnte" th;n ajpo; qeou' bohvqeian aijthvswmen,
i{na ejn Cristw/' ∆Ihsou' makarisqw'men, w/| hJ dovxa eij" tou;" aijwvna". ∆Amhvn.
1269 «The exhortations to prayer which conclude many of the homilies respond to
Scripture in various ways: a) most respond to the text taken up in the latter part of the hom-
ily; b) a few are general recapitulations of the entire homily; c) some respond to a spe-
cific text from outside the pericope brought in to explain, amplify, or apply the reading;
d) some prayers relate to a concluding moral reflection; and e) some are prayers for divine
aid in the growing understanding of Scripture» (Sheerin, 210-211).
«Come incenso al tuo cospetto» 411
Rufino – come abbiamo potuto verificare in precedenza –, riteniamo che
nella sostanza essi siano rappresentativi del punto di vista di Origene.
In questo senso non si deve privilegiare come termine esclusivo di
paragone la testimonianza delle omelie greche (in particolare le Omelie
su Geremia). Infatti, grazie anche al confronto con le traduzioni latine di
Gerolamo, constatiamo la grande varietà dei moduli espressivi a cui si
affidano le conclusioni oranti dei sermoni origeniani. In altre parole, fatta
eccezione tendenzialmente per la formula dossologica vera e propria, è
fuori luogo aspettarsi una uniformità più o meno costante. Del resto, non
sempre l’invito alla preghiera è distinguibile dalla parenesi di tipo mora-
le-spirituale che precede la dossologia. Inoltre, se solo in parte delle nostre
testimonianze rinveniamo l’appello esplicito alla preghiera, con l’invito
alla comunità perché si alzi in piedi per l’orazione, ciò non significa che
non fosse proprio questa verosimilmente la prassi più comune al termine
dell’omelia. Eppure, nel ciclo greco delle Omelie su Geremia abbiamo un
solo caso a questo proposito 1270, mentre in quello latino delle Omelie su
Isaia, tradotte da Gerolamo, l’invito ad alzarsi è abbastanza frequente e
trova conferme nelle Omelie su Luca nonché nelle versioni di Rufino,
quantunque in maniera più occasionale1271. Analogamente, se è giustifica-
to ipotizzare una preoccupazione di normalizzazione in senso trinitario ad
opera di Rufino, come sostenuto di recente da Grappone, si deve anche
prendere atto che essa risulta alquanto discontinua1272. Questo dato deve
––––––––––––––––––
1270 Cfr. supra, nota 1268. Un’allusione si può vedere peraltro anche nella conclu-
sione di HIer XVI, 10 (142, 26-27): ajf∆ w|n rJuvshtai hJma'" oJ tw'n o{lwn qeov", i{n∆ eij" dovxan
th;n ejn Cristw/' ajnastw'men, w| ejstin hJ dovxa kai; to kravto" eij" tou;" aijw'na". ∆Amhvn.
1271 HIs I, 5; HIs III, 3; HIs IV, 3. L’invito compare anche in HLc XII , 6 (76, 16-18):
«Quapropter consurgentes laudemus Dominum et fiamus pro carnali Israhel spiritalis Isra-
hel. Benedicamus omnipotenti Deo opere, cogitatione, sermone, in Christo Iesu cui est
gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen (1Pt 4, 11); HLc XXXVI , 3 (208, 10-14):
«Quae omnia cognoscentes, et quam multa sint genera regnorum, surgamus praecemurque
Deum, ut auferat a nobis regnum inimici et possimus sub regno esse Dei omnipotentis, id
est sub regno sapientiae, pacis, iustitiae, veritatis, quae cuncta in unigenito Dei Filio intel-
leguntur: cui est etc.»; HLc XXXIX, 7 (222, 10-12): «Quapropter surgentes oremus Deum,
ut digni simus offerre ei munera, quae nobis restituat et pro terrenis caelestia largiatur, in
Christo Iesu: cui est etc.». I luoghi corrispondenti nelle traduzioni di Rufino si trovano in
HNm XI, 9 («ut ad orationem surgimus»); HNm XX, 5 (198, 21-25): «Et ideo surgentes ore-
mus, ut inveniamus paratum semper istum gladium spiritus, per quem exterminentur et se-
mina ipsa et conceptacula peccatorum ac propitius nobis fiat Deus per verum Fineem ipsum
Dominum nostrum Iesum Christum, cui gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen».
1272 Ad esempio, nelle 16 Omelie sulla Genesi, il sospetto può indirizzarsi unica-
mente alle chiuse di HGn I, HGn II, HGn IV. Grappone 2007 ricapitola la situazione in que-
sti termini: «Osservando la distribuzione delle dossologie si può constatare come siano
stati seguiti criteri differenti a seconda delle raccolte. Troviamo infatti dossologie rivolte a
Dio o a diverse Persone della Trinità nelle omelie sul Levitico (6 casi su 16), sui Salmi (3
su 9), sui Numeri (5 su 28) e sulla Genesi (3 su 16); un caso solo tra le omelie sull’Esodo.
Le dossologie delle raccolte su Giosuè e Giudici sono tutte rivolte al Figlio» (p. 135).
412 Parte seconda, Capitolo settimo
far riflettere e invitare ad una certa cautela chi pretenda di ricostruire la
fisionomia originaria su una base tanto screziata e problematica1273.
A riprova del raccordo istituito dalla parenesi dossologica con la parte
che la precede più immediatamente, possiamo addurre la testimonianza
della I Omelia su Genesi1274. L’inabitazione di Dio nel cuore dell’uomo
auspicata qui da Origene è l’esito conforme alla prospettiva tracciata nel
sermone. Questo, infatti, interpretando il racconto della creazione come
parabola dell’esistenza spirituale, ha quale suo tema di fondo la vocazione
dei cristiani alla santità. L’Alessandrino la vede peraltro come la conse-
guenza ravvicinata dell’interpretazione spirituale delle Scritture, qualora
essa sia assecondata dai fedeli con lo sforzo per accogliere in sé la «mente
di Cristo», in linea con il luogo-chiave paolino di 1Cor 2, 16 che sorregge
tutta l’ermeneutica origeniana 1275. Un altro passo biblico cruciale anche
per il discorso sulla preghiera – Gv 14, 23 – ispira l’immagine della dimora
di Dio nell’uomo: alla venuta del Figlio insieme al Padre, secondo il te-
nore originario del luogo giovanneo, il testo affianca la presenza dello Spi-
rito. Non è necessario forse supporre un’integrazione in senso trinitario da
parte di Rufino, se si tiene conto del fatto che l’idea dell’azione preventiva
dello Spirito nel cuore dell’uomo per renderlo «tempio» adatto a ricevere
l’inabitazione trinitaria appare sostanzialmente coerente con l’approccio
di Origene1276. Del resto, l’VIII Omelia su Geremia dichiara expressis ver-
––––––––––––––––––
1273 Anche l’accurata indagine critica più recente è costretta a prenderne atto, pur
mantenendo il sospetto di correzioni rufiniane: «Interventi più importanti da parte di Ru-
fino sono da ricercare nelle dossologie che non si rivolgono al Figlio. Anche in questo caso
si tratta di una variante numericamente marginale, trattandosi di 18 casi contro 100; se
certamente è vero che questa variazione non va attribuita pregiudizialmente al traduttore,
poiché il fatto che in greco tutte le dossologie superstiti glorificano Cristo non costituisce
un argomento decisivo, si deve tuttavia pure riconoscere che la formulazione della mag-
gior parte di queste dossologie sembra effettivamente tradire l’intervento rufiniano»
(Grappone 2007, 130-131).
1274 HGn I, 17 (22, 4-12): «Sed nos secundum apostoli Pauli sententiam attenda-
mus lectioni, ut possimus, sicut ipse ait, sensum Christi accipere et scire quae a Deo donata
sunt nobis, et quae nobis ad escam data sunt, non faciamus escas porcorum vel canum,
sed tales eas praeparemus in nobis, quibus dignum sit suscipi in hospitio cordis nostri Ver-
bum ac Filium Dei venientem cum Patre suo et volentem facere apud nos mansionem in
Spiritu sancto (cfr. Gv 14, 23), cuius prius templum per sanctitatem debemus existere. Ipsi
gloria in aeterna saecula saeculorum. Amen».
1275 Circa la fondamentale importanza di tale criterio si veda supra, pp. 58, 286
(nota 858), 334 (nota 1001), 382 (nota 1157). Cfr. anche note 796, 995.
1276 Contra Grappone 2007, 133 e Simonetti (Origene. Omelie sulla Genesi, 74 ad
loc.). Anche per HGn II, 6 Grappone ritiene che la formula per Spiritum suum sanctum
rappresenti un’inserzione di Rufino. Diverso è il discorso, probabilmente, per la chiusa
così intensamente trinitaria di HGn IV , 6 (57, 17-23), dove il sospetto di una manipolazio-
ne rufiniana appare più giustificato: «Nos vero operam demus tales effici actus nostros,
talem conversationem nostram, ut digni habeamur notitia Dei, ut nos scire dignetur, ut di-
gni habeamur notitia filii eius Iesu Christi et notitia Spiritus sancti, ut agniti a Trinitate et
«Come incenso al tuo cospetto» 413
bis che l’anima è «abitata» (oijkoumevnh), quando essa è ripiena di Dio, di
Cristo e dello Spirito, confermando fra l’altro spunti analoghi che incont-
riamo pure nelle Omelie su Numeri e Giosuè1277. Su questo sfondo trinita-
rio, la dossologia vera e propria che termina l’esortazione e l’auspicio di
preghiera è indirizzata – come è nel modello più comune dei sermoni di
Origene – a Cristo, mediante il richiamo alla formula, in primo luogo, di
1Pt 4, 11 («perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo,
al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!») e,
in subordine, di Eb 13, 21 (Dio «vi renda perfetti in ogni bene, perché pos-
siate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per
mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen»)1278.
Quanto alle conclusioni dossologiche che svolgono più apertamente
una funzione di riepilogo del commento fornito dal predicatore sul testo
––––––––––––––––––
nos sacramentum Trinitatis plene et integre et perfecte mereamur agnoscere revelante Do-
mino Iesu Christo, cui est gloria et imperium in saecula saeculorum». L’«invocazione»
(ejpivklhsi") della «Trinità» (triav") in rapporto al rito battesimale è attestata da CIo VI, 33,
166 (142, 27-143, 1): to; dia; tou' u{dato" loutrovn, suvmbolon tugcavnon kaqarsivou yuch'"
pavnta rJupv on <to;n> ajpo; kakiva" ajpoplunomevnh", oujde;n h|tton kai; kaq∆ auJto; tw'/ ejmparev-
conti eJauto;n th'/ qeiovthti <dia;> th'" dunavmew" tw'n th'" proskunhth'" triavdo" ejpiklhv-
sewvn ejstin hJ carismavtwn qeivwn ajrch; kai; phghv ; e da Fr1Cor 34 (138) per l’eucarestia:
i{na de; tou;" meivzona" th'" proqevsew" lavbh/ a[rtou", ejf∆ w}n ejpikevklhtai to; o[noma tou'
qeou' kai; tou' Cristou' kai; tou' aJgivou pneuvmato", ouj pollw/' plevon ojfeivlei ti" ei\nai
kaqarwvtero". Cfr. inoltre EM 39 (nota 775); Fr1Cor 32 (infra, nota 1322); CIo I, 15, 89
(supra, nota 850); e FrIo 20 (500, 12-14): to; me;n aijsqhtw'" eJwrakevnai qeo;n tou;" aJgivou"
a[ndra" ajduvnatovn ejsti kai; sunovlw" th;n triavda h] ta; uJpo; tauvthn nohth;n u{parxin e[con-
ta; FrPs 60 (61), 3 (PG 12, 1481C). Sull’uso di Gv 14, 23 (alluso anche in HIos XXIV, 3),
si veda supra, note 552, 642, 653, 684, 1274.
1277 Cfr. supra, nota 552. Formulazioni trinitarie caratterizzano significativamente
la preghiera conclusiva di HNm XXII, 4 (219, 3-9): «Oremus ergo, ut Iesus regnet super
nos et cesset terra nostra a bellis, cesset ab impugnationibus carnalium desideriorum; et
cum ista cessaverint, tunc unusquisque requiescet sub vite sua et sub ficu sua et sub oliva
sua. Sub velamento enim Patris et Filii et Spiritus sancti requiescet anima, quae pacem in
se recuperaverit carnis ac spiritus. Ipsi aeterno Deo gloria in saecula saeculorum. Amen»;
e HIos XV, 7 (393, 10-20): «Si enim consideres te, qui venisti ad Iesum et ab eo per bapti-
smi gratiam remissionem consecutus es peccatorum, et iam in te non pugnat caro adver-
sus spiritum et spiritus adversus carnem, cessavit terra tua a bellis, si tamen mortem Iesu
Christi in corpore tuo circumferas, ita ut cessantibus in te omnibus proeliis efficiaris paci-
ficus et filius Dei voceris. Sed hoc fiet, posteaquam bella transegeris et adversarios vice-
ris. Tunc tibi dabitur requies, ut requiescas sub vite tua, qui est Christus Iesus, et sub ficu
tua, qui est Spiritus sanctus, ut ita gratias referas Deo patri omnipotenti in ipso Christo
Iesu Domino nostro, cui est gloria et imperium in s.s.A.».
1278 Si riallaccia alla parte conclusiva anche HIer V , 17. Cfr. inoltre HLv XV , 3
(491, 16-21), con una riflessione diretta a chi costruisce sul peccato: «Hoc si forte incur-
rerit aliquis, quod absit, cito redimat, cito reparet, dum tempus est reparandi, dum paeni-
tentiae locus est, deprecantes in commune, ne aeternae domus habitatione fraudemur, sed
digni habemaur recipi in aeterna tabernacula (cfr. Lc 16, 9), per Christum Dominum
nostrum, cui est gloria etc.».
414 Parte seconda, Capitolo settimo
scritturistico, ne abbiamo un esempio caratteristico nella chiusa della
I Omelia su Geremia. Origene si ricollega nuovamente alla vocazione del
profeta secondo il duplice registro, in negativo e in positivo, tracciato da
Ger 1, 10 («Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sra-
dicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare»).
Alla funzione critica e distruttiva delle parole divine nei confronti delle
condotte malvage fa seguito quella rigeneratrice e costruttiva, conforme-
mente all’idea costitutiva, per l’Alessandrino, circa l’agire provvidenziale
di Dio, il quale volge ogni cosa al bene. La prospettiva che egli disegna
per la comunità è di nuovo quella del «tempio di Dio» nel cuore dell’uomo,
contrapposta al «tempio degli idoli», senza tuttavia riproporre direttamente
il motivo dell’inabitazione in chiave trinitaria come nella conclusione
della I Omelia su Genesi. Infatti il testo, forse anche sull’onda del richia-
mo alla «gloria di Dio» nel tempio edificato a sua dimora, trapassa alla
formula dossologica «in Cristo Gesù» 1279. Qui il riferimento sembrerebbe
essere di natura binitaria, anche se il rapporto con il Padre non viene fatto
oggetto di una formulazione esplicita, diversamente da quanto riscon-
triamo altrove in questo stesso ciclo di omelie: ad esempio, nella chiusa
della IV Omelia, che invita a glorificare «Dio onnipotente nello stesso
Cristo Gesù»1280; tuttavia, in esse troviamo in prevalenza svariate clau-
sole dossologiche che si limitano a menzionare unicamente il Figlio, la-
sciando così inespressa la correlazione Cristo-Padre, anche se presumi-
bilmente sempre implicita nelle formulazioni origeniane1281. Tornando
––––––––––––––––––
1279 HIer I, 16 (16, 4-12): “Ara a[rti ejn toi'" legomevnoi" oujk e[sti duvnami", < ejan ; oJ
qeo;" didw'/ kata; to; kuvrio" dwvsei rJh'ma toi'" eujaggelizomevnoi" dunavmei pollh'/ (Sal 67-
[68], 12), < duvnami" ejkrizou'sa, ei[ ti" ajpistiva, ei[ ti" uJpovkrisi", ei[ ti" ponhriva, ei[ ti"
ajkolasiva… oujk e[sti kataskavptousa, ei[ pou eijdwlei'on wj/kodovmhtai eij" th;n kardivan…
i{na ejkeivnou kataskafevnto" oijkodomhqh'/ nao;" tou' qeou', kai; dovxa tou' qeou' euJreqh'/ ejn
tw'/ ajnoikodomhqevnti naw'/, kai; gevnhtai oujk a[lso" (cfr. Ger 33, 18), ajlla; futeiva < pa-
ravdeiso" tou' qeou', < o{pou oJ nao;" tou' qeou', ejn Cristw'/ ∆Ihsou': w|/ ejstin hJ dovxa kai; to;
kravto" eij" tou;" aijw'na" tw'n aijwvnwn. ∆Amhvn.
1280 HIer IV , 6 (30, 1-3): kai; genhvsontai miva poivmnh, ei|" poimh;n (Gv 10, 16) di-
davskwn doxavzein to;n pantokravtora qeo;n ejn aujtw'/ tw'/ Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ hJ dovxa kai; to;
kravto" eij" tou;" aijw'na" tw'n aijwvnwn. ∆Amhvn. Si concludono in maniera analoga, impli-
cando cioè il binomio Padre – Figlio, HIer V, 17 (47, 18-19): doxavzein to;n rJuovmenovn se
qeo;n ejn Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ ejstin hJ dovxa ktl.; HIer VI, 3 (51, 9-12): parakalevswmen ajpo;
tou' qeou' labei'n au[xonto" tou' lovgou ejn hJmi'n aJdrovthta kai; megaleiovthta ejn Cristw'/
∆Ihsou', i{na ajkou'sai tw'n iJerw'n kai; aJgivwn lovgwn dunhqw'men, w|/ hJ dovxa ktl.; HIer IX, 4
(70, 24-28): kai; ajei; genna'tai oJ swth;r uJpo; tou' patrov", ou{tw" kai; su; eja;n e[ch/" to; th'"
uiJoqesiva" pneu'ma (Rm 8, 15), ajei; genna'/ se ejn aujtw'/ oJ qeo;" kaq∆ e{kaston e[rgon, kaq∆
e{kaston dianovhma, kai; gennwvmeno" ou{tw" givnh/ ajei; gennwvmeno" uiJo;" qeou' ejn Cristw'/
∆Ihsou': w|/ ejstin hJ dovxa ktl.; HIer XVI , 10 (nota 1270); HIer XX, 9 (supra, nota 1268).
1281 Cfr. HIer II, 3 (20, 7-9): kai; eJtoimavsante" eij" th;n e[xodon ta; e[rga hJmw'n
ejxelqovnte" ejn aujtoi'" toi'" ajgaqoi'" paralhfqh'nai kai; ejn Cristw'/ ∆Ihsou' swqh'nai, w|/
ejstin hJ dovxa ktl.; HIer VIII, 9 (63, 6-11): Kai; pavnta ta; ejnantiva oJ swthvr mou kai; kuv-
rio" ajneivlhfen, i{na toi'" ejnantivoi" luvsh/ ta; ejnantiva, kai; hJmei'" ijscuropoihqw'men ajpo;
«Come incenso al tuo cospetto» 415
alla IV Omelia su Geremia, l’epilogo dossologico offre una ricapitolazio-
ne dei temi sviluppati dal predicatore sulla pericope commentata, unen-
dovi la raccomandazione a fare tesoro delle lettura per la vita e prospettan-
do nuovamente l’esito della salvezza finale per la chiesa dei gentili e per
Israele1282. Anche la parenesi finale della XI Omelia su Ezechiele intreccia
l’invocazione all’aiuto di Dio per la saldezza della chiesa con il richiamo
ai contenuti della pericope in oggetto1283.
––––––––––––––––––
th'" ajsqeneiva" ∆Ihsou' kai; sofisqw'men ajpo; tou' mwrou' tou' qeou' kai; eijsacqevnte" ejn
touvtoi" dunhqw'men ajnabh'nai ejpi; th;n sofivan, ejpi; th;n ijscu;n tou' qeou', Cristo;n ∆Ihsou'n,
w|/ ejstin hJ dovxa ktl.; HIer X, 8 (78, 21-25): ∆Exomologhswvmeqa peri; tw'n paraptwmavtwn
metanoou'nte", kai; toi'" qhrivoi" ouj paradoqhsovmeqa, ajll∆ ajggevloi" aJgivoi" tiqhnoi'"
ejsomevnoi", ejpi; kovlpwn bastavzousin, metabibavzousin hJma'" ajpo; tou' aijw'no" touvtou ejpi;
to;n mevllonta ejn Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ ejstin to; kravto" ktl.; HIer XII , 12 (101, 18-22): dia;
tou'to prosevcwmen eJautoi'" pavnta pravttonte", i{na oJshmevrai tou'to to; poivmnion tou'
qeou' beltiw'tai, uJgiavzhtai, qerapeuvhtai, kai; pa'sa suntribh; ajposth/' ajpo; tw'n yucw'n
hJmw'n, i{na ejn Cristw/' ∆Ihsou' teleiwqw'men, w|/ ejstin hJ dovxa ktl.; XIII, 3 (105, 20-24): eij
bouvlei mh; sumparalhfqh'nai Sodomivtai", mhvpote eij" ta; ojpivsw strafh/'" mhde; sth/'" ejn
th/' pericwvrw/ Sodovmwn mhde; ajllacou' gevnh/ h] eij" to; o[ro": ejkei' gavr ejsti movnon swqh'-
nai. e[sti de; to; o[ro" kuvrio" ∆Ihsou'", w|/ ejstin hJ dovxa ktl.; HIer XV, 6 (131, 5-8): ejp∆ oujdev-
na a[nqrwpon ejlpivzomen, ka]n dokw'sin hJmw'n ei\nai fivloi: ouj ga;r ejp∆ aujtou;" ajll∆ ejpi;
kuvrion hJmw'n ejlpivzomen, o{" ejsti Cristo;" ∆Ihsou'", w|/ ejstin hJ dovxa ktl.; HIer XVII, 6 (su-
pra, nota 1112); HIer XIX, 15 (176, 3-6): w|n pavntwn mhdamw'" peiraqeivhmen, ajlla; ejn
Cristw/' ∆Ihsou' teleiouvmenoi dikaiwqeivhmen ajxivw" tw'n eJortw'n tw'n ejpouranivwn kai;
<tou'> pavsca tou' ejkei' ejpi; th;n ajnagwgh;n ejn Cristw/' ∆Ihsou', w/| ejstin hJ dovxa ktl. Sem-
brano da ricondursi a questa tipologia anche HIer VII, 3 (54, 31-35): Eij ga;r proskunhvsa"
ti" ta; ei[dwla ejn th'/ gh'/ th'/ aJgiva/ ajpelhvluqen eij" th;n gh'n th;n ajllotrivan, proskunhvsa"
ti" to;n qeo;n ejn th'/ gh'/ th'/ ajllotriva/ ajpeleuvsetai ejpi; th;n gh'n th;n aJgivan ejn Cristw'/
∆Ihsou', w|/ hJ dovxa ktl.; HIer XI , 5 (85, 7-12): Tou'to to; perivzwma hJ ejkklhsiva ejsti;n hJ ajpo;
tw'n ejqnw'n: h{ti" i[stw o{ti «eij tw'n protevrwn oujk ejfeivsato oJ qeov", povsw/ plevon oujde;
aujth'" aJmartanouvsh" feivsetai» (cfr. Rm 11, 21.24), eja;n mh; h\/ ajxiva th'" ojsfuvo" tou' qeou':
oJ de; kollwvmeno" tw'/ kurivw/ e}n pneu'mav ejstin (1Cor 6, 17) ejn Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ ejstin hJ
dovxa ktl.; HIer XIV , 18.
1282 HIer IV, 6 (29, 22-): ÔH ou\n ajlhqw'" ejpistrofhv ejstin ajnagnw'nai ta; palaiav,
eijdevnai tou;" dikaiwqevnta", mimhvsasqai aujtouv", ajnagnw'nai ejkei'na, ijdei'n tou;" mem-
fqevnta", fulavxasqai peripesei'n tai'" mevmyesin ejkeivnai", ajnagnw'nai ta; bibliva th'"
kainh'" diaqhvkh", tw'n ajpostovlwn tou;" lovgou", meta; to; ajnagnw'nai gravyai tau'ta
pavnta eij" th;n kardivan, biw'sai kat∆ aujtav, i{na mh; kai; hJmi'n doqh'/ biblivon ajpostasivou,
ajlla; dunhqw'men h{kein ejpi; th;n klhronomivan th;n aJgivan, «kai; » meta; tou' plhrwvmato"
tw'n ejqnw'n swqevnto" dunhqh'/ tovte oJ ∆Israh;l eijselqei'n: eja;n ga;r to; plhvrwma tw'n ejqnw'n
eijsevlqh/, tovte pa'" ∆Israh;l swqhvsetai (Rm 11, 25-26).
1283 HEz XI, 5 (432, 1-21): «Absit autem a temporibus nostris, ut de summis cedri,
id est de principibus et de regio semine in Chanaan transferat. Oremus ne fiat quod saepe
factum est [...]. Quapropter diebus et noctibus tam pro nobis quam pro fratribus nostris
Dei imploremus auxilium, ne quis de Hierusalem transferatur in Chanaan, ne sententia
eius deserta a voluntate illius ad aliam tendamus aquilam et veniat super nos ira maior et
putrescat universa plantatio et fructus pariter cum radicibus arescat. Plantatio quippe Hie-
rusalem non potest in alia terra afferre fructus, non facit palmites in finibus alienis, sed
statim cum gleba sua siccatur, si non perseveraverit in voluntate Dei et in ecclesia eius, id
est in factis et sermonibus et scientia veritatis Christi Iesu, cui est gloria etc.».
416 Parte seconda, Capitolo settimo
In altri casi il richiamo ai temi affrontati nel sermone può darsi in for-
ma succinta, coniugandosi più in generale con l’esortazione a tradurre la
Parola commentata nella vita. È quanto avviene, per esempio, al termine
della II Omelia su Genesi, dedicata alla spiegazione dell’arca di Noè, dove
Origene invita a pregare Dio onnipotente, affinché egli faccia degli «udi-
tori» anche degli «operatori» del suo verbo, mandando l’acqua benefica
del diluvio, distruttore e vivificatore, sulle anime dei fedeli1284. Di natura
simile è anche la chiusa parenetica della I Omelia su Levitico, che tratta in
chiave spirituale e cristologica l’argomento dei sacrifici, con particolare
attenzione all’olocausto (Lv 1, 1-9), mediante l’invito a essere perfetti a so-
miglianza del sacrificio di Cristo1285. A sua volta, la V Omelia su Levitico,
dopo aver illustrato le diverse tipologie di riti sacrificali in Lv 5, riprende
l’idea della partecipazione al «sacrificio divino» di Cristo come auspicio
di preghiera per l’omileta e la comunità, in rapporto alla «purezza del cuo-
re» e alla «rettitudine» delle opere1286. Invece, nella XIII Omelia su Leviti-
co, il predicatore ricapitola per gli ascoltatori le pericopi che ha commen-
tato successivamente, esortandoli ad impegnarsi onde ricevere il dono del-
lo Spirito nella propria anima, divenuta ormai un «luogo santo»1287. Anche
––––––––––––––––––
1284 HGn II, 6 (38, 27–39, 2): «Omnipotentis tamen Dei misericordiam deprecemur,
qui nos non solum auditores verbi sui faciat, sed et factores, et inducat super nostras quo-
que animas diluvium aquae suae et deleat in nobis quae scit esse delenda, et vivificet quae
iudicat esse vivificanda, per Christum Dominum nostrum et per Spiritum suum sanctum.
Ipsi gloria in aeterna saecula saeculorum. Amen» (si noti l’affinità della formulazione
eucologica con HIos XVII, 3 [nota 1143]). Sui dubbi relativi all’inserimento dello Spirito
si veda supra, nota 1276.
1285 HLv I, 5 (288, 14-20): «Et ideo qui haec legimus vel audimus, in utramque par-
tem operam demus casti esse corpore, recti mente, mundi corde, moribus emendati, profi-
cere in operibus, vigilare in scientia, fide et actibus, gestis et intellectibus esse perfecti, ut
ad similitudinem hostiae Christi conformari mereamur per ipsum Dominum nostrum Ie-
sum Christum, per quem Deo Patri omnipotenti cum Spiritu sancto est gloria et imperium
in saecula saeculorum. Amen (cfr. 1Pt 4, 11)».
1286 HLv V, 12 (358, 10-17): «Haec licet in excessu quodam, necessario tamen ad-
dita videntur, ut mysterium pectusculi impositionis et bracchii separationis (cfr. Lv 7, 24)
quare scriptum sit, disceremus; quae est aeterna portio sacerdotibus data, in qua dignos
nos facere dignetur, ut pro cordis puritate et operum probitate in divino sacrificio habere
participium mereamur, per aeternum pontificem Dominum et Salvatorem nostrum Iesum
Christum, per quem est Deo Patri cum Spiritu sancto gloria et imperium in saecula saecu-
lorum. Amen (cfr. 1Pt 4, 11).
1287 HLv XIII, 6 (477, 29-478, 8): «Si ergo intelleximus primo quomodo Deus lo-
quatur ad Moysen et Moyses filiis Istrahel (cfr. Lv 24, 1), secundo etiam rationem cande-
labri mundi et lucernarum atque olei eius (cfr. Lv 24, 4), tertio quoque panes propositio-
nis ex duabus decimis singulis quosque confectos (cfr. Lv 24, 5) secundum voluntatem
Spiritus intelleximus: demus operam, quomodo et nos hoc tanto et tam sublimi intellectu
non efficiamur indigni, sed ut anima nostra prius fiat locus sanctus et in loco sancto ca-
piamus sancta mysteria per gratiam Spiritus sancti, ex quo sanctificatur omne quod sanc-
tum est. Ipsi gloria etc.». Sulla particolarità di questa conclusione che sembra applicare
allo Spirito la dossologia abitualmente rivolta al Cristo, cfr. Grappone 2007, 131.
«Come incenso al tuo cospetto» 417
nelle Omelie su Giosuè o nelle Omelie su Giudici Origene procede spesso
allo stesso modo: basti richiamare la finale della V Omelia su Giosuè, dove
egli sfrutta il motivo della «seconda circoncisione», quella operata in Cri-
sto, per esortare a «glorificare Dio in Gesù Cristo», «con le preghiere e con
le opere» 1288. Vediamo il predicatore fare altrettanto anche nella XXI Ome-
lia su Luca, che ricapitola il commento al messaggio di Giovanni Battista
(Lc 3, 1-4) invitando a preparare una strada per la venuta del Verbo, così
che egli possa camminare su di essa e svelare i suoi misteri1289.
A questa tipologia possono in parte ricondursi le conclusioni che tra-
passano dalla spiegazione delle letture alla parenesi orante sfruttando altri
luoghi biblici a sostegno di essa, come vediamo dalla conclusione della
XIV Omelia su Geremia: qui il predicatore ricapitola i temi della «conver-
sione» e della «restaurazione» salvifica alla luce di At 3, 21 («Egli dev’es-
ser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come
ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti»)1290. No-
tiamo ancora lo stesso modo di procedere, per esempio, nella chiusa della
V Omelia su Numeri, che formula un’intenzione di preghiera basandosi su
Sal 90(91), o in quella della IX Omelia su Giosuè, che da parte sua si ispira
a 1Esd 4 1291. In maniera analoga, la IV Omelia su Isaia sfrutta il richiamo
––––––––––––––––––
1288 HIos V, 6 (320, 24-321, 4): «Ideo ergo, ut in nobis vere secunda circumcisio
compleatur, per quam vetera Aegypti opprobria deponamus, ab his omnibus segregati
prorsus esse debemus, ut purificati corpore et corde puras etiam manus levemus (cfr. 1Tm
2,8), puro quoque ore et purgatis labiis ac mente sincera precibus et actibus glorificemus
Deum in Christo Iesu Domino nostro, cuius est potestas et imperium in s.s.A.». Cfr. inol-
tre HIos VI, 4; XXVI, 3 (463, 6-12): «Translata est enim ad gentes gratia Spiritus sancti,
translatae sunt sollemnitates ad nos, quia transiit ad nos et pontifex non imaginarius, sed
verus, secundum ordinem Melchisedec electus; et necesse est eum veras hostias, id est spi-
rituales, offerre apud nos, ubi aedificatur templum Dei ex lapidibus vivis, quae est ecclesia
Dei viventis, et ubi est verus Istrahel, in Christo Iesu Domino nostro, cui est gloria et im-
perium in s.s.A.». Per esempi dalle Omelie su Giudici si veda HIud II, 5; HIud III, 6; VI, 6.
1289 HLc XXI, 7 (131, 13-15): «Praepara viam Domino per conversationem bonam,
et egregiis operibus tere semitam, ut absque offensa ulla deambulet in te Verbum Dei et
donet tibi mysteriorum suorum adventusque notitiam: cui est gloria etc.».
1290 HIer XIV, 18 (124, 27-125, 6): levgei ou\n ejnqavde pro;" hJma'" tou;" ajpostrevyan-
ta" o{ti, eja;n ejpistrevywmen, ajpokatasthvsei hJma'". kai; ga;r to; tevlo" th'" ejpaggeliva"
toiou'tovn ejstin, wJ" ejn tai'" Pravxesi tw'n ajpostovlwn gevgraptai ejn tw/' a[cri crovnwn ajpo-
katastavsew" pavntwn w|n ejlavlhsen oJ qeo;" dia; stovmato" tw'n aJgivwn aujtou' ajp∆ aijw'no"
profhtw'n ejn Cristw/' ∆Ihsou', w/| ejstin hJ dovxa ktl.
1291 HNm V, 3 (30, 23-28): «Nobis autem concedat Dominus, ut a talibus operariis
portati et sublevati liberemur et defendamur a sagitta volante in tenebris et a ruina et dae-
monio meridiano, ne forte offendamus ad lapidem pedem nostrum (Sal 90[91], 5-6.12),
usque quo veniamus ad locum repromissionis sanctorum, per Christum Dominum nostrum,
cui est honor et imperium in saecula saeculorum. Amen»; HIos IX, 9 (357, 11-15): «Illo
etenim duce semper vincent milites sui, ita ut et nos dicamus, sicut in Esdra scriptum est,
quia: a te, Domine, est victoria, et ego tuus servus; benedictus es Deus veritatis (1Esd 4,
59-60). Quem semper et nos invocemus, ut det nobis victoriam in Christo Iesu Domino
418 Parte seconda, Capitolo settimo
alla scena evangelica di Emmaus (Lc 24, 32) per auspicare che il fuoco
purificatore di Dio bruci le anime e si possa rendergli grazie in Cristo di
essere fatti interamente puri grazie ad esso1292. Rientra nella medesima
tipologia anche l’VIII Omelia su Ezechiele: essa, pur essendo interamente
dedicata a commentare l’immagine di Gerusalemme «prostituta» in Ez 16,
30-33, sfrutta in special modo per la sua conclusione il v. 33 («Ad ogni
prostituta si dà un compenso, ma tu hai dato il compenso a tutti i tuoi aman-
ti e hai distribuito loro doni perché da ogni parte venissero da te per le tue
prostituzioni») associandolo ad un’allusione a Ct 1, 11, che consente al
predicatore di esortare i fedeli perché invitino il Logos sposo1293.
In molti altri sermoni la preghiera che accompagna la parenesi finale
con la dossologia insiste unicamente sulla domanda dell’interpretazione
spirituale delle Scritture e/o di una vita cristiana che si attenga ad essa, in-
dirizzando perlopiù tale richiesta al «Signore», cioè a Gesù Cristo, ma oc-
casionalmente anche a Dio, non diversamente da quanto abbiamo visto a
proposito delle preghiere che precedono o accompagnano l’esegesi delle
letture bibliche. Così, mentre la II Omelia su Geremia, con un’esortazione
rappresentativa del binomio esegesi – vita spirituale, sollecita a «deposita-
re nel proprio cuore le parole delle Scritture e a vivere secondo esse»1294,
––––––––––––––––––
nostro, cui est gloria et imperium s.s.A.». Cfr. inoltre HNm VII, 6 (48, 22-28): «Unde hoc
magis agamus, ut nobis augescentibus illi minuantur, nobis ingredientibus illi pellantur;
nobis adscendentibus illi cadant; sicut ille cecidit, de quo dicit Dominus in Evangelio:
ecce, vidi Satanan sicut fulgur cadentem de coelo (Lc 10, 18), ut illis inde proiectis
introducat nos illuc Dominus Iesus et percipere regnum suum coelestem concedat. Ipsi
gloria in aeterna saecula saeculorum! Amen».
1292 HIs IV, 6 (262, 22-27): «Ci morda la parola divina, bruci le nostre anime, di-
ciamo nell’ascoltare: Non ardeva forse in noi il nostro cuore? (Lc 24, 32). “Siano tolti –
così – le nostre iniquità e i nostri peccati” e, divenuti puri, con bocca pura, e cuore puro, e
coscienza totalmente pura, rendiamo grazie a Dio onnipotente, in Cristo Gesù, “cui appar-
tengono la gloria e il potere nei secoli dei secoli. Amen! (gratias agamus omnipotenti Deo
in Christo Jesu)”» (tr. Danieli, 108). Per altri esempi analoghi, si veda HEz VII, 10 (400,
8-12): «Qui vero tripliciter castus est, iste ab Apostolo meretur audire: Deus autem pacis
sanctificet vos per omnia, et integrum spiritum vestrum et animam et corpus sine querela
in adventu Domini nostri Iesu Christi servet (1Ts 5, 23), cui est gloria etc.».
1293 HEz VIII, 3 (405, 4-10): «Quae discentes omni custodia servemus cor nostrum,
et attendamus ne quando ea quae viri sunt tradantur amatoribus malis; quin potius invite-
mus Sponsum sermonem et veritatem, ut nobis faciat ornamenta aurea variis expressa si-
gnis per varia praecepta et ornati effecti praeparemur viro nostro Christo Iesu, cui est glo-
ria etc.».
1294 HIer II, 3 (20, 3-9): Dia; tou'to touvtwn legomevnwn, o{sh duvnami" sunagagovnte"
tou;" lovgou" tou;" tw'n grafw'n, eij" th;n kardivan ajpotiqwvmeqa aujtou;" kai; kat∆ aujtou;"
peiraqw'men zh'n, eja;n a[ra dunhqw'men pro; th'" ejxovdou kaqaroi; genevsqai, kai; eJtoimav-
sante" eij" th;n e[xodon ta; e[rga hJmw'n ejxelqovnte" ejn aujtoi'" toi'" ajgaqoi'" paralhfqh'nai
kai; ejn Cristw'/ ∆Ihsou' swqh'nai, w|/ ejstin hJ dovxa ktl. Anche in HIer IV, 6 (supra, nota
1282) Origene raccomanda di «leggere i libri del Nuovo Testamento, le parole degli apo-
stoli, e trascriverle tutte nel proprio cuore».
«Come incenso al tuo cospetto» 419
la VI Omelia su Levitico, che ha per argomento l’interpretazione delle
vesti del sommo sacerdote e dei sacerdoti, alludendo al frequente motivo
della «Legge spirituale» tratto da Rm 7, 14, si augura che la comprensione
delle Scritture e la condotta di vita siano entrambe illuminate dalla grazia
dello Spirito:
«Perciò noi, meditando tali cose, richiamandole alla memoria giorno e notte (cfr.
Sal 1,2), intenti alla preghiera e vigilando in essa, preghiamo il Signore che si
degni di rivelarci la scienza delle cose che leggiamo e di mostrarci come osser-
vare la Legge spirituale (cfr. Rm 7, 14) non solo nell’intelligenza ma anche nelle
azioni, affinché meritiamo di conseguire la grazia spirituale, illuminati per mezzo
della legge dello Spirito santo, in Cristo Gesù nostro Signore al quale è la gloria
e l’impero nei secoli dei secoli. Amen (1Pt 4, 11; Ap 1, 6)»1295.

Concludendo nella XVI Omelia su Numeri la spiegazione della se-


conda profezia di Balaam, Origene esorta ancora a pregare per poter
giungere a comprendere anche il seguito del racconto biblico come testo
ispirato dallo Spirito santo, conformemente al dettame ermeneutico di
Paolo in 1Cor 2, 13, altro testo-chiave per l’interpretazione biblica del-
l’Alessandrino1296. L’attesa per l’intelligenza spirituale del testo sacro si
estende anche al Nuovo Testamento, dal momento che la ritroviamo, per
esempio, nella I Omelia su Luca come auspicio per capire le parole del
Vangelo grazie all’aiuto di Dio e del Verbo1297. Anche altri sermoni di
questo ciclo insistono su tale esigenza, fra l’altro anticipando con un auspi-
cio di preghiera – non diversamente da quel che avviene nella XVI Omelia
su Numeri – l’interpretazione in senso spirituale del seguito del racconto
evangelico 1298. Invece, la parenesi che termina la X Omelia su Ezechiele
––––––––––––––––––
1295 HLv VI, 6 (370, 4-11): «Et ideo nos in his meditantes et haec die ac nocte ad
memoriam revocantes et orationi instantes ac vigilantes in ea deprecemur Dominum, ut
nobis ipse horum, quae legimus, scientiam revelare dignetur et ostendere, quomodo spirita-
lem legem non solum in intelligentia, sed et in actibus observemus, ut et spiritalem gratiam
consequi mereamur illuminati per legem Spiritus sancti, in Christo Iesu Domino nostro,
cui est gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen» (tr. Danieli, 145).
1296 HNm XVI, 9 (153, 1-8): «Haec interim de secunda visione Balaam dicta suffi-
ciant. Oremus autem Dominum, ut nobis etiam ad cetera, quae ab eo prophetata sunt, intel-
ligenda lucidiores quosque et veritati proximos sensus aperire dignetur, ut in spiritu consi-
derantes, quae per spiritum scripta sunt, et spiritalibus spiritalia comparantes (1Cor 2, 13)
digne Deo et sancto Spiritu, qui haec inspiravit, quae scripta sunt explicemus, in Christo
Iesu Domino nostro, cui gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen».
1297 HLc I, 6 (10, 8-11, 10): Kai; w{sper gevgraptai ejpi; tou' laou' ejxercomevnou ejk
th'" Aijguvptou, o{ti oujk h\n ejn tai'" fulai'" aujtw'n oJ ajsqenw'n (Sal 104[105], 37), ou{tw"
ei[poimi a]n, o{ti pa'" qeovfilo" kravtistov" (cfr. Lc 1, 3) ejstin e[cwn to; kravto" kai; th;n duv-
namin th;n ajpo; tou' qeou' kai; tou' lovgou aujtou': kai; ou{tw" ejpignwvsetaiv ti", peri; w|n
kathchvqh lovgwn th;n ajsfavleian (Lc 1, 4), sunei;" to;n lovgon tou' eujaggelivou.
1298 Cfr. HLc VII, 8 (46, 23-26): «Quae quam habeant interpretationem, si conces-
serit Dominus, ut rursus in ecclesiam congregemur, ut festivi veniatis ad domum Dei, et
420 Parte seconda, Capitolo settimo
invita a pregare Dio «con tutto il cuore» per resistere nel tempo della pro-
va e testimoniare «l’amore che abbiamo per Dio in Cristo»1299. Di natu-
ra prevalentemente morale sono anche le conclusioni dossologiche delle
Omelie su Salmi 36-38, conformemente alla loro preoccupazione domi-
nante, come vediamo fin dalla prima di esse1300.
Se tale è il quadro, piuttosto composito, dell’esito parenetico-dossolo-
gico nei sermoni origeniani, passando adesso ad esaminare più da vicino
il suo secondo elemento – cioè la dossologia vera e propria – notiamo ten-
denzialmente una maggiore uniformità. È vero che Crouzel, utilizzando
specialmente quale termine di confronto il testo greco delle Omelie su
Geremia, ha osservato a suo tempo la notevole varietà delle formulazioni
dossologiche che compaiono nei sermoni tradotti da Rufino, ritenendo che
traessero ispirazione da quelle in uso nella chiesa di Aquileia1301. Tutta-
via, la più recente indagine di Grappone ha ricondotto queste diversità ap-
parenti ad un’unica formula 1302. Basandosi anch’egli sulle Omelie su Ge-
––––––––––––––––––
divinae lectioni praebeatis aures, quaeremus, ventilabimus, disseremus in Christo Iesu: cui
est gloria etc.»; HLc IX, 4 (57, 1-7): «et prophetavit ea quae scripta sunt in evangelio, de
quibus praebente Domino Iesu Christo, cum tempus fuerit, disseremus: cui est gloria etc.».
1299 HEz X, 5 (423, 8-19): «Idcirco, quia ignominia et confusio aeterna nobis repo-
sita est si peccaverimus, omni corde precemur Deum, ut det nobis usque ad finem et animi
et corporis nisu pro veritate contendere, ut, etiamsi aliquod tempus institerit quod nostram
examinet fidem [...], etiamsi persecutio eruperit, inveniat nos praeparatos [...], ut, cum
flaverint venti diaboli, id est spiritus pessimi, opera nostra persistant quae usque ad hanc
diem perstiterunt, si tamen non sunt occulte subruta, et in expeditionis accinctu manife-
stemus caritatem nostram, quam habemus ad Deum in Christo Iesu, cui est gloria etc.».
Sul contesto esegetico più ampio di HEz X si veda Bucchi, 92: «Nella parenesi finale di
quest’ultima omelia dedicata a Ez 16, le citazioni di Sap 3, 6 e Mt 7, 25s. sono utilizzate
proprio nel senso di ricondurre all’uomo tutta la responsabilità della scelta tra bene e male,
lasciando intatto il valore del libero arbitrio, che non poteva in alcun modo essere sacrifi-
cato, nella cosmologia di Origene, dalla dottrina dell’apocatastasi».
1300 H36Ps I, 6 (68, 27–70, 4): «Quae scientes ita futura, deprecemur misericor-
diam Dei ut concedat nobis tales fieri qui digni habeamur, quorum Deus ipse lucen iusti-
tiae producat in medium ut iudicium nostrum sicut meridiem clarum et lucidum, habens
lucem veram in se, ipsum Dominum nostrum, cui est gloria etc.»; H37Ps II, 9 (320, 20-
27): «Et nos ergo oremus et dicamus: attende in adiutorium meum, quoniam grandis est
pugna et potentes sunt adversarii. Infestus est hostis, invisibilis inimicus per istos visibi-
les impugnat. Attende ergo in adiutorium nostrum Domine Deus noster et adiuva nos per
sanctum filium tuum Dominum nostrum Iesum Christum, per quem omnes nos redemisti,
per quem tibi gloria etc.». Cfr. inoltre H36Ps II, 8; H36Ps III, 12; H36Ps V, 7. Di tenore
simile sono anche HLc II, 7; HLc XVI, 10.
1301 Cfr. Crouzel 1980. L’analogia con le dossologie che compaiono nei Tractatus
in Matthaeum di Cromazio di Aquileia ha spinto lo studioso a ritenere che Rufino ne ab-
bia trascritto di analoghe per le sue versioni.
1302 «Traducendo le dossologie ci possiamo rendere conto come sostanzialmente si
tratti di un’unica formula, la cui sola variante di rilievo consiste nel fatto che può conte-
nere uno o due attributi della divinità: “Sono suoi la gloria e il potere in eterno”, oppure
“è sua la gloria in eterno”» (Grappone 2007, 126).
«Come incenso al tuo cospetto» 421
remia, oltre a notare che le dossologie sono lì tutte indirizzate al Figlio,
ha ipotizzato che le variazioni nelle dossologie latine dipendano dall’ini-
ziativa dei copisti di Cesarea, laddove Origene si sarebbe attenuto alla for-
mula di 1Pt 4, 11. L’argomento principale su cui si basa lo studioso è il
fatto che tale dossologia è la meglio attestata anche in latino1303. La con-
clusione a cui perviene Grappone – per quanto ci appaia plausibile – deve
comunque fare i conti con l’immagine complessiva del finale omiletico
nell’Alessandrino. Mi sembra problematico attribuirgli in linea di princi-
pio una fissità di formulazioni, che contrasterebbe così fortemente con la
capacità d’innovazione costantemente attestata da Origene, pur nell’evi-
dente continuità concettuale. In questo senso, come ho avuto modo di ri-
levare per le manifestazioni oranti all’inizio o nel corso dei sermoni, non
ritengo risolutiva la testimonianza delle Omelie su Geremia, nella misura
in cui esse hanno sempre Cristo come destinatario unico della lode.
In realtà, si deve prendere atto – come riconosciuto, del resto, dallo
stesso Grappone – di una correlazione Figlio-Padre che, pur restando per-
lopiù implicita, a volte affiora direttamente anche in questo ciclo di ome-
lie. Lo vediamo con maggior chiarezza nella IV e V Omelia su Geremia,
dove la glorificazione auspicata esperimenta, per così dire, una «iterazio-
ne»: in ambedue i sermoni si rende dapprima gloria a Dio in Cristo, che di
seguito vien fatto oggetto dell’abituale dossologia secondo 1Pt 4, 111304.
Anche la chiusa della I e della VI Omelia su Geremia lascia intravedere
un’analoga coordinazione, grazie al binomio «Dio in Cristo»1305. Benché
in forma meno evidente, lo si ritrova ugualmente al termine della VIII, IX ,
XII, XIV e XVI Omelia su Geremia1306. Questo dato non è sfuggito né a
Crouzel né a Grappone, ma entrambi non ne traggono forse tutte le con-
seguenze che esso comporta1307. Infatti, non si tratta soltanto di registrare

––––––––––––––––––
1303 «Lo scrittorio di Origene comprendeva un buon numero di copisti, tra cui evi-
dentemente era suddiviso il lavoro: ritengo che ad essi più che al maestro alessandrino si
debba la varietà delle formule dossologiche finali. Quanto al predicatore, probabilmente si
atteneva più frequentemente di quanto appaia alla formula della prima lettera di Pietro, la
più attestata anche in latino» (Grappone 2007, 127).
1304 Cfr. rispettivamente HIer IV , 6 ([30, 2] doxavzein to;n pantokravtora qeo;n ejn
aujtw'/ tw'/ Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ hJ dovxa ktl.) e HIer V, 17 ([47, 18-19] doxavzein to;n rJuovmenovn
se qeo;n ejn Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ ejstin hJ dovxa).
1305 Si vedano supra, rispettivamente le note 1279 e 1280.
1306 Cfr. HIer VIII, 9 (63, 9-11): ejpi; th;n ijscu;n tou' qeou', Cristo;n ∆Ihsou'n, w|/ ejstin
hJ dovxa ktl.; HIer IX, 4 (70, 27-28): ajei; gennwvmeno" uiJo;" qeou' ejn Cristw'/ ∆Ihsou', w|/ ej-
stin hJ dovxa ktl.; HIer XII, 12 (supra, nota 1281); HIer XIV, 18 (supra, nota 1290); HIer
XVI, 10 (supra, nota 1270).
1307 «Si tenga presente che, come giustamente ha osservato Crouzel, sebbene tutte
le dossologie greche superstiti siano riferite al Figlio, nel contesto delle frasi conclusive
delle omelie si incontra sovente la menzione del Padre: evidentemente evitando il relativo
il traduttore poteva rielaborare con più libertà la frase precedente, variando il riferimento
422 Parte seconda, Capitolo settimo
la presenza del binomio Figlio-Padre in sottofondo, ma di riconoscere an-
che le diverse modalità in cui esso può darsi, fino ai casi più espliciti della
IV e V Omelia su Geremia. È l’ennesimo indizio, a mio avviso, delle carat-
teristiche assai diversificate che contraddistinguono il tema della preghiera
nel corpus omiletico e che trovano ulteriore sostegno dal riscontro incro-
ciato fra le clausole dei sermoni origeniani in Gerolamo e Rufino.
Se guardiamo alle omelie tradotte dallo Stridonense, troviamo aspetti
che convergono largamente con i dati emergenti dalle Omelie su Geremia.
È vero che nessuna delle Omelie su Isaia indirizza la dossologia ad altri
che a Cristo, ma la chiusa della IV Omelia su Isaia esorta i fedeli a «ren-
dere grazie a Dio onnipotente, in Cristo Gesù» (che richiama abbastanza
da vicino le formulazioni della IV e V Omelia su Geremia) 1308, mentre il
raccordo Figlio-Padre si evidenzia soprattutto nella I, II, III e VI Omelia su
Isaia1309. L’immagine non cambia granché, se passiamo alle Omelie su
Ezechiele. Infatti, nella XIV Omelia su Ezechiele incontriamo di nuovo
un’espressione paragonabile a quella della IV e V Omelia su Geremia, con
l’iterazione della gloria dal Padre al Figlio: «glorificare Dio onnipotente
mediante Cristo Gesù»1310. A sua volta, la X Omelia su Ezechiele prega
affinché sia dato ai fedeli di manifestare «l’amore che essi hanno per Dio
in Cristo»1311. Inoltre, la coordinazione Dio-Cristo in prossimità della dos-
sologia figura più direttamente nella I, III, VI e IX Omelia su Ezechiele1312.
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dossologico, ma anche rendendolo volutamente ambiguo, applicabile a due o tre Persone
della Trinità» (Grappone 2007, 132).
1308 HIs IV, 6 (supra, nota 1292).
1309 HIs I, 5 (248, 6-10): «Quoniam igitur praesto est et adsistit Iesus Christus et
paratus est et praecinctus summus sacerdos offerre Patri interpellationes nostras, surgen-
tes per ipsum sacrificia Patri offeramus. Ipse enim propitiatio est pro peccatis nostris (1Gv
2, 2), cui est gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen» (1Pt 4, 11); HIs II, 2 (252,
25-29): «Propterea quia beatum est suscipere Salvatorem, apertis ostiis principalis cordis
nostri praeparemus ei mella et omnem cenam eius, ut ipse nos ducat ad magnam cenam pa-
tris in regno caelorum, quae est in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HIs III, 3 (257, 15-20):
«Idcirco surgentes oremus Deum, qui hunc misit hominem et septem mulierum spiritus in
eo requievit, ut et nobis iste homo tribuat communionem harum mulierum et adsumentes
eas fiamus sapientes et intelligentes in Deo ceteraeque virtutes exornent animam nostram
in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HIs VI , 7 (279, 6-9): «Quando videnda sunt eloquia
Dei, et convertimur et sanat (cfr. Is 6, 10) nos Deus mittens verbum, quod sanat eos, qui
volunt curari in Christo Iesu, cui est gloria etc.».
1310 HEz XIV, 3 (454, 4-7): «det nobis panem viventem (Gv 6, 51), ut cibati eo et
corroborati possimus in caelo iter facere glorificantes Deum omnipotenten per Christum
Iesum, cui est gloria etc.».
1311 HEz X, 5 (supra, nota 1299).
1312 HEz I, 16 (340, 16-19): «Haec autem omnia regit, et quocumque vult, torquet
totius universitatis Deus, in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HEz III, 8 (supra, nota 1143);
HEz VI, 11 (391, 1-3): «Deus vero omnes nos et ab his et ab aliis liberet simulacris, ut ma-
gnificemur in Christo Iesu, cui est gloria etc.»; HEz IX, 5 (415, 28-32): «Idcirco fugiamus
a Sodoma et peccatis eius, fugiamus a Samaria et criminibus quibus castigatur misera Hie-
«Come incenso al tuo cospetto» 423
Il binomio può persino dare luogo ad una dossologia apparentemente
«binitaria», come avviene nella XII Omelia su Ezechiele, che occasional-
mente associa in maniera paritaria Gesù al Padre, indicando entrambi
come destinatari della preghiera (laddove essi appaiono di solito separati,
con una netta prevalenza per Dio Padre quale destinatario)1313. Anche le
Omelie su Luca presentano casi analoghi, sebbene tendano a differen-
ziarsi per vari aspetti dalle due serie veterotestamentarie tradotte da Gero-
lamo. Così, mentre la XII Omelia su Luca esorta a «benedire Dio onnipo-
tente [...] in Cristo Gesù»1314, la chiusa della XVIII chiama i fedeli a «lo-
dare in comune il Padre e il Figlio»1315. Una variante ulteriore, rispetto
alla formulazione cristologica più abituale della dossologia, è l’inserzione
«trinitaria» dello Spirito nella III Omelia su Luca, in forza della quale il
predicatore auspica la visione di Dio onnipotente «in Cristo Gesù e nello
Spirito santo»1316. Da parte sua la XXXVII Omelia su Luca contiene una
chiusa pienamente trinitaria, poiché fa precedere la dossologia dall’invito
a «lodare Dio nel Padre, nel Figlio e nello Spirito santo»1317. Un novum
assoluto di questo ciclo di sermoni è la preghiera indirizzata nello stesso
tempo a «Dio onnipotente» e a «Gesù bambino», che compare nella XV
Omelia su Luca: se non è “farina del sacco” di Gerolamo, ispirata dal suo
ben noto legame con i Luoghi Santi e in particolar modo con la grotta di
Betlemme, possiamo pensare che la formulazione non derivi solo dal con-
testo esegetico più immediato dell’omelia, ma sia dettata anche dalla parti-
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rusalem, ut in universis Deo nobis fortitudinem ministrante, humilitatem et iustitiam con-
sequamur in Christo Iesu, cui est gloria etc.».
1313 HEz XII, 5 (439, 18-22): «Quibus dictis ut et nos revirescamus, ut fructus vale-
amus afferre, ut germinans lignum et non siccum efficiamur, ut numquam ad radices no-
stras ponatur securis quae in Evangelio praedicatur, attentius Iesum Christum Dominum
nostrum cum patre suo precemur, cui est gloria etc.».
1314 HLc XII, 6 (nota 1271).
1315 HLc XVIII, 5 (113, 27-29): «Quia igitur Salvator Creatoris est filius, in com-
mune Patrem Filiumque laudemus, cuius lex, cuius et templum est: cui est gloria etc.». Si
veda ancora la doppia attestazione della gloria di Cristo in HLc XXIII , 9 (147, 12-18):
«Venit enim non Ioannes et prophetae tantum, sed etiam ipse Salvator et hominibus et an-
gelis et virtutibus ceteris salutarem paenitentiam praedicare, ut in nomine Iesu omne genu
flectatur, caelestium, terrestrium et infernorum, et omnis lingua confiteatur, quia Domi-
nus Iesus Christus in gloria est Dei Patris: cui est gloria etc.».
1316 HLc III, 4 (22, 4-18): «Laboremus ergo et nos, ut et impraesentiarum nobis Deus
appareat – sanctus quippe scripturarum sermo promisit [...] et in futuro saeculo non abs-
condatur a nobis, sed videamus eum facie ad faciem (cfr. 1Cor 13, 12) et habeamus fidu-
ciam bonae vitae fruamurque conspectu omnipotentis Dei in Christo Iesu et Spiritu san-
cto: cui est gloria etc.». Anche in HLc XXVII, 6 (160, 20-22) troviamo il nesso Spirito –
Cristo: «omnisque sanctificatio tam in corde, quam in verbis et in opere a sancto Spiritu
veniat in Christo Iesu: cui est gloria etc.».
1317 HLc XXXVII, 5 (212, 22-25): «Propterea Domini misericordiam deprecemur, ne
nobis tacentibus lapides clamitent, sed loquamur et laudemus Deum in Patre et Filio et
Spiritu sancto: cui est gloria etc.».
424 Parte seconda, Capitolo settimo
colare devozione a Gesù che l’Alessandrino manifesta a più riprese nella
sua predicazione1318. La stretta correlazione poi che collega la manifesta-
zione della gloria nel Figlio di Dio con il Padre, e ne svela la sorgente im-
plicita, è attestata dalla XXXVI Omelia su Luca, dove Origene spiega la par-
tecipazione al «regno di Dio onnipotente» con il comunicare alle epinoiai
racchiuse nel Figlio di Dio: «sapienza, pace, giustizia e verità»1319.
Passando adesso alle versioni di Rufino a partire da tali premesse,
possiamo forse guardare con minor sospetto al fatto che parte delle dosso-
logie non sia rivolta al Figlio. Si tratta in effetti di un numero proporzio-
nalmente ridotto di casi (secondo Grappone 18 su 100 sermoni) ed essi,
almeno in via ipotetica, sembrerebbero compatibili con la misura d’inno-
vazione attestata dall’omologo Gerolamo entro un ambito più ristretto di
testi1320. Colpisce, in primo luogo, il carattere sporadico delle formulazio-
ni trinitarie, che sembrano riflettere una certa occasionalità, contrastan-
te di per sé con l’idea di una “normalizzazione” ortodossa in linea con
l’evoluzione dogmatica di fine IV secolo. L’esempio più problematico è
probabilmente la clausola della IV Omelia su Genesi, soprattutto perché
l’elaborazione trinitaria risulta qui particolarmente sviluppata, anche se
non sussistono obiezioni decisive riguardo alla sua attendibilità, tanto più
considerando il fatto che la dossologia è, come al solito, cristologica1321.
Questo discorso vale a fortiori per gli altri casi “incriminati”, a cominciare
dalla I Omelia su Genesi, dove il tema del «tempio di Dio nello Spirito»
completa trinitariamente la menzione della dimora del Padre e del Figlio
nell’«ospizio del cuore» sulla scorta di Gv 14, 23: anche in questo caso la
cornice trinitaria s’innesta su una dossologia cristologica e rispetta motivi
autenticamente origeniani, come vediamo dal commento dell’Alessandri-
no su «tempio di Dio» e «tempio dello Spirito» in 1 Cor1322. Sempre nel-
––––––––––––––––––
1318 HLc XV, 5 (94, 23-28): «Ut igitur et nos stantes in templo et tenentes Dei Fi-
lium amplexantesque eum digni remissione et profectione ad meliora simus, oremus om-
nipotentem Deum, oremus et ipsum parvulum Iesum, quem alloqui et tenere desideramus
in brachiis: cui est gloria etc.».
1319 HLc XXXVI, 3 (cfr. supra, nota 1271). Anche la fine di HLc XXXVIII, 6 e HLc
XXXIX , 7 ripresentano il binomio «Dio in Cristo».
1320 Per il dato statistico e la rassegna dei testi si veda Grappone 2007, 130-131
(supra, note 1272-1273).
1321 HGn IV, 6 (supra, nota 1276). La «materia» autenticamente origeniana della
formulazione può essere confermata dalle riflessioni dell’Alessandrino su Gal 4, 9 («ora
invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti») in CIo XIX, 4, 24-25.
1322 Secondo Fr1Cor 29 (130) su 1Cor 6, 13-14, la vocazione originaria del corpo,
conformemente al disegno divino sui protoplasti, è di essere tempio del Signore e dello
Spirito santo, con l’anima chiamata a svolgere la funzione di «sacerdote»: ei[ qevlei" to;n
prohgouvmenon lovgon maqei'n dia; tiv gevgonen, a[koue: i{na nao;" h/\ tw/' Kurivw/, kai; i{na hJ
yuch; aJgiva kai; makariva ou\sa to; pneu'ma to; a{gion wJsperei; qerapeuvousa, iJereu;"
gevnhtai tou' ejn soi; aJgivou pneuvmato". Si veda inoltre Fr1Cor 32 (132): eij" to; pneu'ma to;
a{gion ajsebou'men, kai; di∆ aujtou' eij" patevra kai; uiJo;n eij" ou}" bebaptivsmeqa, eja;n por-
«Come incenso al tuo cospetto» 425
l’ottica dell’azione esercitata dallo Spirito al fine di partecipare della vita
spirituale e delle realtà divine – tema che ci è ben noto dalla precedente
analisi di Orat ed è confermato dalla preghiera a lui indirizzata all’inizio
della I Omelia su Levitico1323 –, è possibile giustificare le clausole della
II Omelia su Genesi e della II Omelia su Esodo, quantunque di primo ac-
chito paiano indirizzare la dossologia allo Spirito: di fatto, l’impressione
di un diverso destinatario è dovuta soprattutto al passaggio dal greco al
latino più che rimandare a un intervento correttore di Rufino, per cui en-
trambe sembrano riconducibili alla formulazione cristologica 1324. Un’am-
biguità simile contraddistingue anche l’unico caso delle Omelie su Esodo:
il «Signore» a cui è indirizzata la dossologia potrebbe infatti corrispondere
a Cristo, ma a partire dall’esegesi di Origene su Es 15 si deve propendere
piuttosto per l’identificazione con il Padre1325.
––––––––––––––––––
neuvwmen: eij" Cristo;n mevn, o{tan a[ra" ta; mevlh tou' Cristou' poihvsw povrnh" mevlh: eij" to;
a{gion pneu'ma, o{tan to;n nao;n tou' ejn hJmi'n aJgivou pneuvmato" (1Cor 6, 19) fqeivrh/ ti": eij"
to;n patevra dev, o{te to;n nao;n tou' qeou' (1Cor 3, 16) fqeivrw. Sul tema del “tempio” in
Origene, cfr. Rossetti. Per il testo di HGn I, 17 si veda supra, nota 1274; forse gli si può
accostare anche HGn XV, 7 (135, 24-136, 3), data l’ambivalenza (antropologica e/o trini-
taria) del termine «spiritus»: «Atque utinam et nobis iniciat Dominus Iesus manus suas
super oculos, ut incipiamus et nos respicere non ea quae videntur, sed quae non videntur,
et aperiat nobis illos oculos, qui non intuentur praesentia sed futura, et revelet nobis cordis
adspectum, quo Deus videtur in spiritu, per ipsum Dominum Iesum Christum, cui gloria
et potestas in saecula saeculorum. Amen». Secondo Grappone 2007, 132, in HGn I e II
mancherebbe «una chiara precisazione del soggetto della lode».
1323 Cfr. supra, nota 1153. Il rinvio al ruolo dello Spirito risulta significativo anche
nelle dossologie di HLv in cui il destinatario rimane Cristo. Si veda HLv VI, 6 (supra, nota
1295) e HLv VIII, 11 (417, 13-18): «donum autem gratiae Spiritus per olei imaginem desi-
gnatur, ut non solum purgationem consequi possit is, qui convertitur a peccato, sed et
Spiritu sancto repleri, quo et recipere priorem stolam et anulum (cfr. Lc 15, 22) possit et
per omnia reconciliatus Patri in locum filii reparari, per ipsum Dominum nostrum Iesum
Christum, cui est gloria etc.».
1324 In HGn II, 6 (supra, nota 1284), il latino «per Christum Dominum nostrum et
per Spiritum suum sanctum. Ipsi gloria in aeterna saecula saeculorum», lascia presumere
in greco un’espressione del tipo dia; pneuvmato" aJgivou aujtou': w|/ ktl., per cui il destinata-
rio della dossologia risulterebbe inequivocabilmente Cristo. Il caso di HEx II, 4 (161, 12-
15) è meno ambiguo, poiché il soggetto è più facilmente identificabile in Cristo: «Et ore-
mus Dominum nostrum Iesum Christum, ut ipse nobis revelet et ostendat quomodo ma-
gnus est Moyses et quomodo sublimis est. Ipse enim revelat, quibus vult, per Spiritum
sanctum. Ipsi gloria etc.».
1325 HEx IV , 9 (183, 3-8): «Propter quod deprecemur misericordiam Domini, ut et
nos eripiat de terra Aegypti, de potestate tenebrarum, et Pharaonem cum exercitu suo tam-
quam plumbum demergat in aqua validissima (Es 15, 10). Nos autem liberati cum gaudio
et exultatione hymnum cantemus Domino, gloriose enim honorificatus est (Es 15, 1), quia
ipsi honor et gloria in s.s.A.». Da notare comunque che in HNm III, 4 (19, 12-18) la richie-
sta della «misericordia» divina è indirizzata a Cristo: «Ut autem nobis primogenitorum
benedictiones donaret, efficitur prius ipse primogenitus ex mortuis, ut sit in omnibus ipse
primatum tenens et nos credentes resurrectioni suae adsumeret pro primitivis et in primi-
426 Parte seconda, Capitolo settimo
Invece, nella cornice trinitaria che conclude I, III, IV, V e VII Omelia
su Levitico, la dossologia è sempre rivolta chiaramente al Padre1326. L’in-
novazione quanto al destinatario è accompagnata da una formulazione
che appare succinta e stereotipa, dal momento che in tutte le dossologie
l’intermediazione di Cristo (per quem o per ipsum) precede la menzione
di Dio Padre come loro destinatario, cui è associato successivamente lo
Spirito (cum Spiritu sancto). L’altra dossologia che non è rivolta a Cristo
in questo ciclo di omelie è la XIII Omelia su Levitico, indirizzata eccezio-
nalmente allo Spirito, a meno di supporre che la fraseologia stereotipa
della dossologia non abbia bisogno di esplicitare il suo destinatario più
normale e s’intenda perciò riferita a Cristo implicitamente1327. Suscitano
incertezza anche la XVIII, XXIV, XXV e XXVII Omelia su Numeri, dove po-
tremmo avere di nuovo una “variante” di traduzione, propiziata da una
citazione scritturistica in prossimità del finale, più che una rettifica dot-
trinale tesa ad indirizzare la dossologia al Padre anziché al Figlio1328. Al
––––––––––––––––––
tivorum ordinem collocaret, si tamen benedictionum gratiam usque ad finem firmam re-
tineamus adiuti misericordia ipsius Domini nostri Iesu Christi, cui est gloria etc.».
1326 Per HLv I, 5 e HL V, 12, cfr. supra rispettivamente le note 1285 e 1286. Quanto
a HLv III, 8 (316, 2-5), il testo recita: «ut sinceram fidem offerentes pretioso Christi san-
guine, tamquam immaculatae hostiae (cfr. 1Pt 1, 19), diluamur; per quem est Deo Patri om-
nipotenti cum Spiritu sancto gloria etc.». La breve conclusione di HLv IV, 10 ([332, 2-3]
Per ipsum Deo Patri cum Spiritu sancto est gloria etc.), rinvia alla prospettiva trinitaria
elaborata in HLv IV , 4 (319, 19-22), a partire da Fil 2, 1 («Se c’è pertanto qualche conso-
lazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spi-
rito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione») e 1Gv 1, 3 («La nostra comunione
è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo»): «Igitur si nobis cum Patre et Filio (cfr.
1Gv 1, 3) et cum Spiritu sancto societas data est, videndum nobis est, ne sanctam istam
divinam societatem peccando abnegemus». Il carattere “stereotipo” della conclusione dos-
sologica è attestato anche da HLv VII , 7 (393, 9-13): «A quibus omnibus spiritali nos obser-
vantia custodientes et cibum ex mundis animalibus appetentes etiam ipsi puri efficiemur
et mundi, per Christum dominum nostrum, per quem est Deo Patri cum Spiritu sancto glo-
ria etc.».
1327 HLv XIII, 6 (supra, nota 1287).
1328 HNm XVIII, 4 (176, 16-20): «Necessario ergo etiam in his declaratur quia perdit
animam suam in hoc mundo, qui cum Christo, moritur, et qui sic eam perdiderit, inveniet
eam sine dubio, ubi dicit Apostolus quia vita vestra abscondita est cum Christo in Deo
(Col 3, 3), cui gloria in aeterna saecula saeculorum. Amen». L’inciso della citazione è in-
serito in una frase riferita a Cristo; HNm XXIV, 3 (232, 11-19): «Sed nos contendere de-
bemus, ut occurramus in virum perfectum, in mensuram aetatis plenitudinis Christi (cfr.
Ef 4, 13), ut utamur libertate votorum et ita adhaerere Domino festinemus, ut cum ipso,
magis quam cum angelo, unus spiritus (cfr. 1Cor 6, 17) simus, ut et ipse in nobis maneat
et nos in ipso, et nihil in nobis femineum, nihil parvulae aetatis habeatur, nec necesse sit
nobis sub tutoribus et procuratoribus (cfr. Gal 4, 2) derelinqui a patre, sed festinemus
audire illam a Domino et Salvatore nostro vocem, qua ait: ipse pater diligit vos (cfr. Rm
11, 36). Ipsi gloria in saecula saeculorum. Amen». Per Grappone 2007 (supra, nota 1307)
questo secondo passo rientrerebbe fra i casi di “ambiguità voluta” del traduttore: un ec-
cesso di critica! Anche HNm XXV , 6 (242, 18-22) ha un inciso scritturistico che lascia
«Come incenso al tuo cospetto» 427
contrario, non sussistono dubbi significativi per la destinazione della glo-
ria a Dio Padre nella XIX e nella XXI Omelia su Numeri1329, come pure nella
IV Omelia su Salmo 36 e nella I Omelia su Salmo 371330.
Da questa analisi esce fortemente ridimensionata, sul piano quantita-
tivo come su quello ideologico, l’ipotesi di interventi aggiuntivi e corretti-
vi di Rufino traduttore. Le variazioni rispetto al modello più corrente di
dossologia possono essere ben ricondotte al predicatore stesso. Del resto,
come mostrano anche i molti passi delle omelie nella versione rufiniana
(non diversamente da quanto si è visto prima in Gerolamo), la correlazione
Cristo-Padre nel segno della «gloria» è dichiarata con frequenza dal predi-
catore1331, né Origene poteva certo ignorare le formulazioni scritturistiche
––––––––––––––––––
spazio all’incertezza, senza dover ipotizzare una manipolazione del traduttore: «Lavabitur
autem ab hoc sanguine et purificabitur in regno Dei, ut purificatus et mundus effectus pos-
sit ingredi sanctam civitatem Dei, aperiente sibi ostium Christo Iesu Domino nostro, immo
qui est ostium ipsius civitatis Dei, cui est gloria in saecula saeculorum. Amen». Analogo
è il caso di HNm XXVII, 13 (280, 9-18): «Ex horum ergo collatione etiam illa metiatur,
immo et aliquid perspicacius ac divinius contempletur [...] et optamus, ut etiam vobis ad-
spiret, quo meliora horum atque altiora in verbis Domini sentiatis iter agentes per haec,
quae pro nostra mediocritate descripsimus; ut et in illa via superiore et excelsiore etiam
nos possimus vobiscum incedere, deducente nos ipso Domino Iesu Christo, qui est via,
veritas et vita, usque quo perveniamus ad patrem, cum tradiderit regnum Deo et Patri et
subiecerit ei omne principatum et potestatem. Ipsi gloria etc.».
1329 HNm XIX, 4 (184, 26-30): «Haec etiam de ultima Balaam prophetia a nobis pro
viribus dicta sint, quae pro locorum difficultate explanandi magis quam perorandi stilo
placuit explicari. Quid enim interest, dummodo omnia ad aedificationem dicantur et om-
nia ad gloriam Dei fiant? Qui est benedictus in saecula saeculorum. Amen!»; HNm XXI, 2
(203, 20-25): «Haec omnia non sorte descendunt, sed electionis praerogativa donantur ab
eo, qui corda et mentes hominum videt solus, qui nos quoque, etiamsi non inter eximios et
electos atque illos, qui supra sortem sunt, in sortem tamen sanctorum dignentur adducere;
cui est gloria etc.».
1330 H36Ps IV, 8 (208, 20-23): «Si vero permaneat quis in verbo Dei, et sapientiae
eius adhaereat, atque in lucis aeternitate persistat, pervenit etiam in hoc, ut referat Deo
gloriam in saecula saeculorum. Amen»; H37Ps I, 6 (288, 80-86): «Ne ergo et nos eadem
patiamur sed potius ut lumen nostrum sit semper in nobis et opera lucis agentes habeamus
fiduciam tamquam filii lucis in Christo Iesu, semper oremus et Deum Patrem incessabili-
ter deprecemur, cui est gloria et potestas in saecula saeculorum. Amen». Secondo Grap-
pone 2007, 132, il traduttore avrebbe aggiunto l’inciso: «semper oremus et Deum Patrem
incessabiliter deprecemur».
1331 Cfr. ad esempio, limitatamente alle Omelie su Giosuè, HIos V, 6 (supra, nota
1288); HIos VIII, 7: «Quid enim aliud est sanctificare bellum nisi interemptis omnibus ani-
mae nostrae hostibus, quae sunt vitia peccatorum, et mortificatis membris, quae sunt super
terram atque omnibus malis cupiditatibus amputatis effici sanctum corpore et spiritu et
fortiter facientem venire ad conspectum Dei viventis et pro palma victoriae virtutis merito
coronari a Christo Iesu Domino nostro? Cui est gloria etc.»; HIos IX, 9 (supra, nota
1291); HIos XVI, 5 (400, 7-12): «Ita ergo et nos fidem plenam et opera perfecta, indesi-
nentes orationes, meditationem verbi divini, intelligentiam spiritalem colentes et in his
omnibus velut armis Dei muniti stemus adversus astutias diaboli, invocantes Deum adiu-
torem nostrum in Christo Iesu Domino nostro, cui est gloria etc.».
428 Parte seconda, Capitolo settimo
che attestano la destinazione della lode a Dio Padre1332. Basterebbe forse
quest’ultima considerazione a togliere fondamento ai dubbi formulati sulle
dossologie non cristologiche nei sermoni dell’Alessandrino, sempre atten-
tissimo al linguaggio della Scrittura, come potremo constatare di nuovo
nel prossimo capitolo. Se la formulazione in chiave cristologica risulta
prevalente rispetto alle altre, ciò riflette presumibilmente un uso liturgico
a cui Origene – come testimoniano sia Orat sia Dial – non poteva non es-
sere sensibile. Ma era chiaro per lui che rendere gloria a Cristo signifi-
cava comunque istituire una correlazione con il Padre, la cui gloria pri-
mordiale è manifestata agli uomini, per il tramite del Figlio, nell’econo-
mia della salvezza e con la cooperazione dello Spirito. Nel definire le
modalità delle dossologie in apertura e in conclusione delle preghiere, se-
condo la retorica eucologica indicata da Orat XXXIII , Origene ha indicato
espressamente la mediazione del Figlio e il legame con lo Spirito1333. È
dunque fuori luogo sospettare qui un penchant subordinazionista in Ori-
gene, tanto più che la destinazione cristologica della dossologia può a
prima vista contrastare con la prospettiva definita dall’Alessandrino nel
Trattato, la quale privilegia senza ombra di dubbio il Padre. Ma tale esito
dossologico si inquadra pienamente nella correlazione Figlio-Padre,
estendibile occasionalmente allo Spirito in un rapporto triadico, senza che
ci sia necessità cogente di ipotizzare un più o meno sistematico condizio-
namento dogmatico postniceno sui nostri testi.

––––––––––––––––––
1332 Basti rinviare, fra le attestazioni neotestamentarie, a Lc 2, 14; 17, 18; Gv 9, 24;
At 12, 23; Rm 1, 23; Rm 4, 20; Rm 5, 2; Rm 14, 11; Rm 16, 27; 1Pt 2, 12 ecc. Così, se-
condo FrLc 59 (252, 3-6) su Lc 2, 13-14 solo le potenze angeliche possono innalzare una
lode adeguata alla discesa del Figlio di Dio tra gli uomini: oujdeno;" ga;r e[sti tw'n ejpi; gh'"
ajnapevmpein th;n ejpi; th/' katabavsei tou' uJyivstou doxologivan, movli" de; tw'n ejn u{yei du-
navmewn, ai{tine" dia; tou' ajnumnei'n to;n u{yiston ma'llon uJyou'ntai: kai; wJ" o{ti aiJ <ejn
uJyivstoi"> pasw'n tw'n dunavmewn duvnantai posw'" uJmnologh'sai to;n Cristovn.
1333 Orat XXXIII, 1 (401, 14-16. 25-26): kata; duvnamin doxologiva" ejn th'/ ajrch'/ kai;
tw'/ prooimivw/ th'" eujch'" lektevon tou' qeou' dia; Cristou' sundoxologoumevnou ejn tw'/ aJgivw/
pneuvmati sunumnoumevnw/ [...] kai; ejpi; pa'si th;n eujch;n eij" doxologivan qeou' dia; Cristou'
ejn aJgivw/ pneuvmati katapaustevon.
CAPITOLO OTTAVO

I NUCLEI SCRITTURISTICI
DELLA RIFLESSIONE ORIGENIANA SULLA PREGHIERA

«Luminous meditation on God is the goal of


prayer; or, rather, it is the fountainhead of
prayers, in that prayer itself ends up in re-
flection on God»
(Isacco di Ninive)*

1. Una costellazione di luoghi biblici come fonte di ispirazione

Neppure l’estesa ricognizione che abbiamo condotto nel capitolo pre-


cedente attraverso le opere di Origene esaurisce la ricchezza degli spunti
sviluppati dall’Alessandrino sul nostro tema durante la sua lunga attività
come esegeta e teologo. Vorremmo dunque ampliare ulteriormente la
prospettiva ricomprendendo in una visione d’insieme la costellazione dei
luoghi scritturistici che hanno ispirato la riflessione origeniana sulla pre-
ghiera. Pur senza offrire un repertorio completo – data anche l’incertezza
che grava, in particolare, sui frammenti catenari tuttora privi di edizione
critica –, ci proponiamo di mettere in luce il vasto dossier dei passi biblici
con la sua articolata composizione. Muovendo inizialmente dalle citazioni
che rappresentano, per così dire, le “stelle fisse” della costellazione, ten-
teremo di ripercorrere un nutrito numero di riferimenti più sporadici che
contribuiscono anch’essi ad alimentare il pensiero di Origene. Ai passi che
ricorrono più o meno costantemente dedicheremo tendenzialmente mi-
nore attenzione, avendoli incontrati più volte nella trattazione svolta fin
qui, mentre sarà interessante verificare quali sviluppi esegetici e teologici
suggeriscano le citazioni scritturistiche più occasionali, con particolare ri-
guardo al ricorso di testi tratti dai Salmi.
Questa rassegna è dettata evidentemente dalla convinzione che la via
obbligata per comprendere la visione della preghiera nell’Alessandrino –
come d’altronde qualunque altro tema che sia stato oggetto della sua ri-
flessione – passi attraverso l’attenta ricostituzione della materia scritturi-
stica posta alla base di essa. Il riconoscimento di Origene come fonda-
mentalmente uno Schrifttheologe dovrebbe essere ormai scontato, ma non
sempre si traggono tutte le conseguenze che ciò implica. È quindi oppor-
tuno richiamarlo, anche in risposta alle attese di una presentazione siste-
––––––––––––––––––
* S. Brock, Isaac of Niniveh, II Part, X, 38, CSCO 554-555, Louvain 1995 (tr., p. 51).
430 Parte seconda, Capitolo ottavo
matica, che sono sì comprensibili e in parte legittime, ma spesso risultano
troppo speculative o ideologiche. Come abbiamo anticipato passando dal-
l’esame del trattato alla panoramica delle opere, il pensiero di Origene
sulla preghiera non è suscettibile di una sistematizzazione in astratto, ma
si commisura sempre alla “materia viva” della Scrittura, commentata di
volta in volta, procedendo però per estrapolazioni e annessioni aggiuntive
a partire da un nucleo biblico relativamente costante. In fin dei conti, lo
stesso Alessandrino ci incoraggia a perseguire questa strada, se teniamo
presente che è quella abbracciata da lui all’inizio del trattato con l’inda-
gine sulla definizione di «preghiera» nella Bibbia e poi sfruttata organi-
camente nella seconda parte di Orat con il commento del Padrenostro.
Confidiamo così che la rassegna contribuisca a far emergere i motivi ispi-
ratori più importanti per la concezione e la prassi della preghiera in Ori-
gene, rivelandone ancora una volta le nervature principali e gli accenti
più caratteristici dentro l’unico quadro ricapitolativo che riteniamo fatti-
bile. Ciò non significa negare la presenza di elementi di natura diversa,
non strettamente scritturistici oppure di carattere filosofico, ma questi
(fatta eccezione per l’agraphon sulla domanda delle «cose grandi e ce-
lesti»)1334 rivestono in ogni caso un’importanza subordinata al dato scrit-
turistico quale fonte d’ispirazione permanente.

2. Le citazioni “normative”: illustrazioni e modelli dell’atto orante

2.1. 1Tm 2, 8 (9): atteggiamento esteriore e disposizioni interiori

Le “stelle fisse” nella costellazione di luoghi scritturistici che affiora


dalle opere di Origene rinviano tutte a passi aventi un valore “normativo”
o “paradigmatico” per l’atto orante. La funzione che rivestono nell’argo-
mentazione esegetico-teologica consiste nel concorrere in maniera deter-
minante a tracciare la forma ed i contenuti della preghiera secondo l’Ales-
sandrino. Si tratta di un numero relativamente ridotto di citazioni bibliche
che può essere isolato abbastanza facilmente già a partire dal loro dato sta-
tistico1335. Sotto questo punto di vista il primo posto spetta indubbiamente
a 1Tm 2, 8 (insieme peraltro a Sal 140[141], 2), che ricorre più di una ven-
tina di volte, quasi sempre in forma isolata (come citazione integrale o
parziale oppure come semplice allusione al passo “paolino”), se si esclude
il nesso occasionale con i vv. 9 e 101336. Pertanto il suo rilievo testimoniale
––––––––––––––––––
1334 Sull’utilizzo dell’agraphon, si veda supra, p. 60, nota 169 e passim.
1335 Per l’indagine ci basiamo sugli indici di Biblia Patristica 3: Origène, Paris
1980 (= BP), mettendoli a confronto con le edizioni di riferimento.
1336 Riportiamo i passi secondo la distribuzione per generi adottata nel capitolo pre-
cedente, inserendo fra parentesi i rinvii a pagine e note della nostra trattazione, precedente
o successiva. 1Tm 2, 8 figura in Orat VIII, 1 (note 462, 622); Orat IX , 1 (note 485, 507,
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 431
non è limitato a Orat (sebbene il gruppo più cospicuo di riferimenti figuri
proprio qui), ma si estende significativamente ad altri scritti. È un passo-
chiave – come spiega il trattato (e come conferma eloquentemente FrIer
68) 1337 –, perché raffigura in maniera “plastica” l’atto orante illustrando
nel contempo le disposizioni interiori e l’atteggiamento esteriore (rispetti-
vamente la katavstasi" e lo sch'ma nella dizione di Orat) che debbono pre-
siedere ad esso1338. Ma la costanza del richiamo all’auctoritas apostolica
si presta anche ad essere apprezzata come segno della continuità ideale
fra la visione elaborata dal trattato e il resto dell’opera di Origene.
A completamento di quanto abbiamo visto in precedenza aggiungia-
mo alcuni luoghi tratti dal Contro Celso, dal Commento a Romani e dalle
omelie. Oltre l’allusione al fatto di pregare «in ogni luogo» (ejn panti; tov-
pw/ ), contenuta nella fondamentale descrizione di CC VII , 44 riguardo al-
l’orazione cristiana quale ascensione della mente e colloquio con Dio –
che afferma indirettamente il superamento del regime dei templi e dei sa-
crifici ad opera della nuova religione –, l’apologia richiama il motivo delle
«mani sante» in CC III, 601339.
Se in generale 1Tm 2, 8 illustra l’immagine più tipica dei gesti del-
l’orante, qui è di nuovo ricollegato all’idea della santità di vita richiesta a
colui che prega, poiché Origene, in polemica con Celso, rivendica il fatto
che il cristianesimo è un messaggio diretto a quanti vogliono impegnarsi
a vivere una vita moralmente retta1340. Il simbolismo delle «mani» (al-
––––––––––––––––––
577); Orat XXXI, 1 (p. 165); Orat XXXI , 2 (note 468, 503, 505); Orat XXXI, 4 (nota 523);
CC III, 60 (nota 1340); CC VII , 44 (pp. 278 ss.); CIo XXVIII, 5, 36 (nota 896); CRm VI, 1
(nota 1342); CRm IX, 42 (nota 1343); CRm X, 15 (pp. 321-322); CMtS 69 (p. 357 e nota
1074); HEx III, 3 (nota 1346); HEx XI, 4 (nota 507); HLv XIII, 5 (note 467, 1091); HNm
XXVI, 2 (nota 1347); HIos V, 6 (nota 1288); HIer V, 9 (nota 1170); FrIer 68 (nota 1100);
FrPs 27 (28) (note 506, 1410); Ps.Cat F (87, 23 Devreesse, 87) = FrPs 133 (134), 2, che
l’unisce a Sal 140(141), 2 (Kalw'" de; to; ejpavrate, kai; ouj to; ejkteivnate. Kai; ga;r e[parsiv"
fhsi tw'n ceirw'n mou, oujci; e[ktasi", qusiva ejsperinhv kai; bouvlomai ktl.). BP rimanda
anche a due luoghi incerti: ?Ps.Cat B (482, 1); ?Ps.Hom. 5, 23 (192, 10). Inoltre Orat II, 2
cita 1Tm 2, 8-10 (nota 467), mentre CCt I, 1, 4 (nota 915) rinvia a 1Tm 2, 8-9. A sua volta,
Orat IX , 1 rimanda a 1Tm 2, 9-10 (nota 498) e HNm II, 1 (note 1345, 1348) a 1Tm 2, 9. Nel
citare l’Alessandrino alterna il singolare dialogismou' con il plurale dialogismw'n.
1337 Cfr. supra, note 467, 474, 883, 1100, 1170.
1338 Secondo Orat XXXI , 1 (395, 19-24), Paolo avrebbe tratto indicazioni da Sal
140(141), 2: fhsi; toivnun oJ Pau'lo" [...] th;n katavstasin uJpogravfwn ejn tw'/ dei'n proseuv-
cesqai cwri;" ojrgh'" kai; dialogismou', to; de sch'ma ejn tw'/ ejpaivronta" oJsivou" cei'ra"
(1Tm 2, 8): o{per eijlhfevnai moi dokei' ajpo; tw'n yalmw'n, ou{tw" e[con: e[parsi" tw'n
ceirw'n mou qusiva eJsperinhv (Sal 140[141], 2b).
1339 Sull’interpretazione di CC VII, 44, cfr. supra, pp. 278-281.
1340 CC III, 60 (254, 16-20): Kai; didavskonte" o{ti eij" kakovtecnon yuch;n oujk
eijseleuvsetai sofiva oujde; katoikhvsei ejn swvmati katavcrew/ aJmartiva" (Sap 1, 4) famevn:
o{sti" cei'ra" kaqaro;" kai; dia; tou't∆ ejpaivrwn cei'ra" oJsivou" (1Tm 2, 8) tw'/ qew'/ kai;
para; to; dihrmevna kai; oujravnia ejpitelei'n duvnatai levgein: “Eparsi" tw'n ceirw'n mou
qusiva eJsperinhv (Sal 140[141], 2), hJkevtw pro;" hJma'" .
432 Parte seconda, Capitolo ottavo
zate) = «azioni» rette non è esclusivo del passo paolino, perché anche in
CC III, 60 l’Alessandrino vi associa Sal 140(141), 2; inoltre, altrove si serve
con questo stesso risvolto interpretativo della figura di Mosè che prega a
braccia alzate durante la battaglia di Israele con Amalek (Es 17, 8-16). In
ogni caso, il ricorrere del motivo delle «mani sante» focalizza il nesso tra
preghiera e santità di vita che appare al centro della riflessione di Orat.
Esso è ribadito dai due luoghi del Commento a Romani che, in aggiunta a
CRm X , 151341, ripropongono 1Tm 2, 8: CRm VI, 1 e IX, 42. Nel primo la
menzione attira più semplicemente l’equivalenza consueta di «mani san-
te» con «azioni sante» 1342, senza interesse manifesto per il legame con la
preghiera, mentre nel secondo passo il discorso sulle cose monde e im-
monde (1Tm 4, 4-5) contiene già nel testo paolino l’idea che la preghiera
sia produttrice di santificazione. L’Alessandrino la fa propria, a patto ov-
viamente che la preghiera venga da chi vive lui stesso una vita santa; in
particolar modo, occorre partecipare di quella condizione spirituale che
l’Apostolo caratterizza come «priva d’ira e di contese», condizione parti-
colarmente ardua nelle vicissitudini del combattimeto spirituale (come
Origene ha sottolineato soprattutto in CRm X , 15)1343. In CRm IX, 42, ac-
cennando di passaggio alla prassi cristiana della benedizione – che in ge-
nerale sembra restare un po’ in ombra nel suo discorso sulla preghiera
(quantunque a tratti con spunti di notevole interesse)1344 –, egli valorizza
––––––––––––––––––
1341 Sulla ripresa di 1Tm 2, 8 in CRm X, 15 si veda supra, pp. 321-322.
1342 CRm VI, 1: «Come infatti sono chiamate “mani sante” quelle che si sono occu-
pate di azioni sante, secondo quanto dice l’Apostolo: Alzando mani pure senza ira e di-
scussione (1Tm 2, 8), e viceversa sono chiamate “mani piene di sangue” quelle che si sono
occupate di spargere il sangue» (tr. Cocchini I, 305).
1343 CRm IX, 42: «Sono infatti santificate mediante la parola di Dio e la preghiera,
poiché ogni creatura di Dio è buona e niente deve essere rigettato di ciò che viene preso
con azione di grazie (1Tm 4, 5.4); non però con la preghiera di una persona qualsiasi le
cose vengono santificate, ma con quella di coloro che innalzano mani pure senza ira e di-
scussione (1Tm 2, 8)» (tr. Cocchini II, 154). La santificazione mediante la preghiera è cosa
del tutto normale per il santo: «E non vi è neppure nulla di straordinario se chi è santo
santifica con la parola di Dio e con la preghiera il cibo che prende, dal momento che sono
santi perfino gli abiti stessi con cui egli è rivestito» (p. 155).
1344 Tra i passi più rilevanti su benedizione e vita cristiana, cfr. CRm VI , 4 («La lin-
gua che è abituata agli insulti, alle maledizioni e al turpiloquio, si converta ora a benedire
il Signore in ogni tempo...» [tr. Cocchini I, 313]) e CRm IX, 14 («l’apostolo, trattando più
estesamente la parte morale, regola le azioni, la mente, il proposito, perfino la bocca
stessa dei discepoli e il linguaggio. Egli non vuole che i credenti in Cristo pronuncino con
la loro bocca una maledizione, ma vuole che bene parlino, bene dicano, bene preghino...»
[II , 115]). Si veda anche la riflessione, di natura analoga a quella sul rapporto preghiera –
vita, in FrLc 257 (336, 1-5), a proposito della benedizione di Aronne: Toiou'ton dev ti kai;
peri; tou' ∆Aarw;n ejn tw/' Leui>tikw'/ gevgraptai, o{ti ejxavra" ta;" cei'ra" aujtou' ejpi; to;n lao;n
hujloghsen aujtouv" (Lv 9, 22). uJpolambavnw de; ejnqavde aijnivssesqai to;n lovgon, o{ti dei'
to;n eujlogou'ntav tina kekosmh'sqai ejn e[rgoi" diafevrousi kai; ejphrmevnoi" para; tou;"
pollouv": aiJ ga;r cei're" ∆Aarw;n a[nw ejxaivrontai, o{te mevllei eujlogei'n to;n laovn. Fra le
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 433
al massimo la condizione di santità, tanto da dichiarare che investe perfino
gli abiti di colui che è santo, mentre appare del tutto normale che l’orazio-
ne del santo sia fonte di santificazione1345.
––––––––––––––––––
possibili spigolature al riguardo si veda CRm I, 10 (8) (64, 9-10), per cui la benedizione
dell’Apostolo in Rm 1, 7 non è inferiore alle benedizioni di Noè per Sem e Iafet, di Mel-
chisedek per Abramo, di Isacco per Giacobbe, di Giacobbe per i dodici patriarchi («Non
ergo his omnibus inferiorem duco hanc apostoli benedictionem, qua benedixit ecclesias
Christi»). Per FrEph I, 3 (236), la condizione di coloro che sono benedetti da Dio è quella
di chi conversa costantemente con le realtà spirituali (Kai; o{ra ei[ duvnatai to; ejn toi'" ejpou-
ranivoi" ei\nai ajnti; tou' ejn toi'" nohtoi'" kai; e[xw aijsqhvsewn: ou{tw ga;r kai; qhsaurivzei
ti" ejn oujranoi'", kai; th;n kardivan oujkevti e[cei ejpi; gh'", toutevstin ejn toi'" uJlikoi'" kai;
swmatikoi'", ajll∆ ejn oujranw'/, th/' nohth/' fuvsei ajei; oJmilw'n). A loro volta, riprendono for-
mule di benedizione le dossologie di HNm XIX , 4 (supra, nota 1329); HNm XXVIII, 4 ([285,
14-19] «Beati qui ad hanc pervenient beatitudinis summam; beati qui ad ista conscen-
derunt fastigia meritorum, et benedictus Deus noster, qui haec promisit diligentibus se. Hi
sunt ipsi vere sacris numeris numerati apud Deum, immo ipsi sunt, quorum etiam capilli
capitis numerati sunt per Iesum Christum Dominum nostrum, cui est gloria etc.»); HIos
IX, 9 («Illo etenim duce semper vincent milites sui, ita ut et nos dicamus, sicut in Esdra
scriptum est, quia: a te, Domine, est victoria, et ego tuus servus; benedictus es Deus veri-
tatis [1Esd 4, 59-60]. Quem semper et nos invocemus, ut det nobis victoriam in Christo
Iesu Domino nostro, cui est gloria etc.)»; HIos XX, 6 («Hoc ergo est accepisse in benedic-
tione Gonetlam superiorem et Gonetlam inferiorem. Quam benedictionem oremus ut et
nos consequi mereamur per Christum Dominum nostrum, cui est gloria etc.»); H36Ps III,
12 ([162, 34-41] «Propterea ergo contineamus linguam nostram et servos Domini admire-
mur et benedicamus iustos et nunquam detrahamus de eis, nec aperiamus os nostrum ad
male loquendum, ne forte exterminemur, sed benedicamus, ut et nos benedictionem con-
sequamur per Christum Dominum nostrum, cui est gloria etc.»); HLc XII, 6 (supra, nota
1271). Cfr. inoltre CCt III, 14, 2; HNm XXVII, 12 (nota 1592); HIs V, 2 ([265, 6-7] «Timeo
enim, ne me fugiat, ne benedictionem quoque meam dedignetur»). Se si esclude la conti-
guità semantica fra la preghiera di lode o benedizione e il ringraziamento in Orat XIV, 5
(su cui si veda supra, p. 132 e nota 393), la benedizione non pare divenire oggetto di una
specifica riflessione eucologica, a parte i temi esegetici, su cui si vedano, ad esempio, Orat
XVI , 3 (nota 451) e HIer XII, 3 ([89, 24-26] wJ" pavlin eujlogivai tinev" eijsin iJeratikaiv,
peri; w|n qeou' didovnto" ouj makravn, ajlla; meta; th;n ejxevtasin tou' lovgou tou' profhtikou'
eijsovmeqa ajnaginwskomevnwn tw'n ∆Ariqmw'n). Non bisogna comunque dimenticare i cenni
al rapporto fra eujcaristiva ed eujlogiva in CMt X, 15 (20, 4), a commento del racconto
della moltiplicazione (ejsqivomen ga;r ejn eujlogiva/ ta; palaiav, tou;" profhtikou;" lovgou"
ktl.); CMt X , 25 ([34, 13] tou;" th'" eujlogiva" a[rtou"); CMt XI, 2 ([36, 22-23] tw/' lovgw/
kai; th/' eujlogiva/ au[xwn kai; plhquvnwn aujtouv"); CMt XI, 19 ([68, 28-29] Kreivttou" dev
eijsin, oi\mai, oiJ fagovnte" ajpo; tw'n eJpta; eujcaristhqevntwn a[rtwn tw'n fagovntwn ajpo; tw'n
pevnte eujloghqevntwn). Di particolare interesse è la riflessione di Origene sulle condizioni
per partecipare del pane eucaristico «santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera»
(1Tm 4, 5) in CMt XI , 14 (57, 21), senza che si soffermi peraltro sul termine e[nteuxi" con-
tenuto nel passo paolino. Cfr. anche CRm X, 3: «Quando dunque tutti i gentili sono mon-
dati dalla contaminazione mediante la conoscenza della fede, allora anche ogni cibo viene
purificato dalla parola del Signore e dalla preghiera» (tr. Cocchini II, 160). In HNm XIII,
4, dopo aver messo in guardia da un’accezione magica della preghiera, Origene osserva
che l’arte magica è incapace di benedire, ma sa solo maledire.
1345 L’estrapolazione risulta più facilmente comprensibile, se tiene presente quanto
Origene sostiene in HNm II, 1, 2 con riferimento proprio a 1Tm 2, 9.
434 Parte seconda, Capitolo ottavo
Quanto poi all’associazione simbolica delle mani levate in preghiera
con la figura di Cristo in croce – suscitata peraltro anche dall’immagine
di Mosè orante contro Amalek –, essa appare limitata alle Omelie su Eso-
do, senza che si possa riscontrare un nesso diretto con la pratica del segno
di croce. Tuttavia, il gesto di alzare le braccia per pregare configura cer-
tamente l’orante sull’immagine del Cristo crocifisso e richiama la forza
vittoriosa che promana dalla croce1346. Invece, in HNm XXVI, 2 Origene
torna a privilegiare il discorso sulla prassi di vita, inculcando con l’appog-
gio del luogo paolino la necessità della concordia ecclesiale quale condi-
zione per vincere le forze del male. Nondimeno, il nesso con la preghiera
è suggerito indirettamente dall’abbinamento con Mt 5, 23-24 («Se dunque
presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche
cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a ricon-
ciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono»), per cui solo
una disposizione d’animo nel segno della riconciliazione fraterna può
presiedere all’atto orante, benché l’Alessandrino non utilizzi quasi mai il
passo matteano per il suo discorso sulla preghiera1347.
L’abbinamento più occasionale di 1Tm 2, 8 con 2, 9(-10) rafforza
anch’esso l’applicazione del passo paolino prevalentemente agli aspetti
morali e spirituali più che all’universalità del luogo di preghiera o all’at-
teggiamento esteriore dell’orante, come attestano sia Orat sia il Com-
mento al Cantico dei Cantici. A sua volta HNm II, 1, 2 sfrutta la racco-
mandazione dell’Apostolo alle donne perché si adornino con un «abito
ordinato» (ejn katastolh/' kosmivw/) con l’intento di rafforzare l’idea di un
«ordine» nella chiesa, che si estende fino alle vesti del cristiano1348. In
conclusione, Origene trae da questo riferimento un nucleo tematico che
orienta ripetutamente la sua riflessione sulla preghiera cristiana – spesso,
––––––––––––––––––
1346 HEx III, 3 (170, 19-25): «Et vere illud impletur in nobis in quo Moyses dedit fi-
guram: cum enim ipse elevaret manus, vincebatur Amalech; si vero velut lassas eas deice-
ret et bracchia infirma deponeret, invalescebat Amalech (Es 17, 11). Ita ergo etiam nos in
virtute crucis Christi extollamus bracchia et elevemus in oratione sanctas manus in omni
loco sine ira et disceptatione (1Tm 2, 8), ut Domini mereamur auxilium». Cfr. anche HEx
XI, 4, dove tuttavia il richiamo alle braccia del Crocifisso sottolinea lo scarto con il tipo di
Mosè orante, mentre riconduce il discorso alla prassi di una vita retta (note 507, 589,
1223); FrLc 257 (nota 1406).
1347 HNm XXVI, 2, 2 (244, 23-245, 1) sui combattenti di Nm 31, 49-50: «Istos puto
esse secundum Evangelium, qui praeceptum illud diligenter observant, quod mandat Do-
minus et Salvator: Si autem offers munus tuum ad altare et rememoratus fueris, quia frater
tuus habet aliquid adversum te, relinque ibi munus tuus ad altare, et vade prius reconci-
liari fratri tuo, et tunc veniens offeres munus tuum (Mt 5, 23-24), quo scilicet leuent ma-
nus suas ad Deum sine ira et dissensione (1Tm 2, 8)». Mt 5, 23-24 è citato altrimenti solo
in Orat II, 2.
1348 HNm II, 1, 2 (9, 15-17): «Paulus vero, tamquam evangelii minister, non solum
in actibus sed in ipso habitu ordinatum vult esse christianum, et idem dicit: Mulieres simi-
liter in habitu ordinato (1Tm 2, 9)».
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 435
come constateremo nuovamente fra breve, in combinazione con le altre
citazioni paradigmatiche – nel senso di mettere in luce il suo profilo di
«preghiera spirituale». L’ampio sfruttamento di 1Tm 2, 8-9(10) rappresen-
ta inoltre un elemento distintivo dell’Alessandrino, che valorizza il testo
dell’Apostolo ben aldilà di quanto avesse fatto Clemente nel VII libro
degli Stromati, anche perché egli è il primo a citarlo in extenso1349. L’im-
portanza del riferimento paolino per il discorso sulla preghiera troverà
invece conferma in Evagrio Pontico: sebbene egli non se ne serva con al-
trettanta frequenza e in maniera così marcata, l’impostazione abbozzata
dall’Alessandrino a partire da 1Tm 2, 8-9 sembra influenzare anche la sua
visione della preghiera e della vita spirituale1350.

2.2. 1Tm 2, 1(-2): tipi di preghiere e loro gerarchia

Vi è un altro luogo della stessa lettera paolina che, seppure utilizzato


più raramente, ha tuttavia offerto ad Origene spunti importanti per artico-
lare la visione della preghiera: 1Tm 2, 1, occasionalmente associato con il
v. 21351. In Orat l’Alessandrino basa su di esso il tentativo, non piena-
mente riuscito, di fissare con precisione una tipologia delle preghiere. In
ogni modo, egli ha certamente visto in questo passo la fonte più ricca per
la terminologia della preghiera, richiamandosi di conseguenza ad essa an-
che altrove come semplice catalogo delle orazioni da indirizzare a Dio (ad
esempio, in HNm XI, 9). Peraltro questa ripresa si rivela non priva di po-
larità, anche assai forti, sotto un duplice profilo: da un lato, l’individua-
zione dei destinatari dei quattro tipi di preghiere indicati dall’Apostolo
(«domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti») e, dall’altro, la loro
gerarchizzazione. Così, a differenza di Orat XV, 1, che riservava netta-
mente la proseuchv solo al Padre, CC V , 4 e ancor più apertamente CRm
VIII, 5 tendono ad equiparare il Figlio al Padre come destinatario. Se non
è giusto vedervi una vera e propria retractatio delle posizioni espresse in
Orat, abbiamo comunque un indizio significativo di ripensamento o ag-
giustamento da parte dell’Alessandrino 1352.
––––––––––––––––––
1349 Sull’uso più limitato in Clemente, cfr. Le Boulluec 2003, 147 (supra, nota 467).
1350 Cfr. Evagrio, De cogit. 5, 25; 32, 8 (supra, nota 971). Anche De orat. 9 (PG 79,
1169, 18) potrebbe contenere un’eco del nostro passo: Sth'qi ejmpovnw", kai; proseuvcou
eujtovnw", kai; ajpostrevfou ta;" tw'n frontivdwn kai; dialogismw'n ejpiteuvxei".
1351 Le occorrenze di 1Tm 2, 1 attestate da BP sono: Orat XIV, 2 (nota 377); CC V, 4
(nota 410); HNm XI, 9 (nota 1094); FrPs 27 (28) (nota 1353); ?PsCat A (117 B6). Più che
una citazione esplicita, Orat XVI, 1 ([336, 10-12] proseucwvmeqa toivnun wJ" qew'/ ejntug-
cavnwmen de; wJ" patri; dewvmeqa de; wJ" kurivou eujcaristw'men de; wJ" qew'/ kai; patri; kai;
kurivw/) e CRm VIII, 5 (p. 138 e nota 411) contengono un’allusione. A sua volta CC VIII, 73
(p. 274) cita 1Tm 2, 1-2, mentre CRm IX , 29 (nota 1357) rinvia a 1Tm 2, 2.
1352 Cfr. supra, pp. 133 ss.
436 Parte seconda, Capitolo ottavo
Quanto alla gerarchizzazione dei quattro tipi di preghiera, il frammen-
to catenario di un commento a Sal 27(28) risulta metterla in discussione,
dal momento che grazie ad una rilettura in scala ascendente di 1Tm 2, 1
attribuisce il primato non più alla proseuchv bensì alla eujcaristiva1353. In
questo caso la gerarchizzazione non è più dettata in primo luogo dalla
considerazione del destinatario, come avveniva in Orat, per cui essendo
la proseuchv indirizzata al Padre, in quanto espressione della «preghiera
spirituale» per eccellenza, essa era collocata al primo posto. Qui intervie-
ne in misura altrettanto determinante la considerazione dell’orante: alla
prospettiva ex parte Dei si affianca quella ex parte hominis. Infatti, il rin-
graziamento è dichiarato essere la preghiera di colui che è divenuto ormai
da tempo «amico di Dio». Indubbiamente l’accento è cambiato rispetto al
trattato, pur senza che si possa parlare di una revisione radicale del suo
punto di vista (come vorrebbe Völker, il quale sostiene l’idea della pre-
ghiera di mera adorazione come il vertice perseguito da Origene)1354. È
vero che a prima vista risulta problematica l’affermazione per cui la e[n-
teuxi" viene ad essere «più grande» della proseuchv, se messa a confron-
to con la definizione che ne dà Orat XIV, 5. Eppure, proprio qui Origene
ne ha fornito la prima giustificazione dichiarando che l’e[nteuxi" è pro-
pria dello Spirito, in quanto egli «è migliore» dell’uomo (wJ" kreivttono"
o[nto")1355. Inoltre, le tracce delle caratteristiche assegnate dall’Alessandri-
no alla proseuchv si ritrovano anche nel frammento: essa, infatti, conti-
nua ad essere la preghiera di domanda per eccellenza, quella che si confà
più adeguatamente alla “dignità di Dio” nel momento in cui mi rivolgo a
lui per chiedergli qualcosa di cui ho bisogno. Se dunque vi è mutamento
di orizzonte, esso è indicato dal possibile superamento del “regime della
richiesta”. Ma l’accenno sommario alla condizione di colui che è «amico
di Dio» e si dispone in quanto tale a far propria una “disciplina eucaristi-
ca” è troppo rapido ed elusivo per poterne dedurre una svolta radicale,
anche considerando quanto l’idea del combattimento spirituale rimanga
determinante per l’Alessandrino in tutta la sua opera. Ora, colui che è in
lotta, ha sempre bisogno di domandare l’aiuto divino. D’altra parte, l’in-
tera vita dell’uomo non può non essere sempre situata nel segno del rin-
––––––––––––––––––
1353 FrPs 27 (28), 6 (PG 12, 1285A-B): ∆Emoi; dokei' diafevrein eujch; dehvsew", kai;
dokei' moi oJ ∆Apovstolo" pleivona ojnovmata eij" tauvthn th;n diafora;n diaqevsqai levgwn:
Parakalw' prw'ton pavntwn poiei'sqai dehvsei" proseucav" ejnteuvxei" eujcaristiva" uJpe;r
pavntwn ajnqrwvpwn (1Tm 2, 1), meivzona levgwn wJ" ejmoi; dokei' th'" dehvsew" th;n proseu-
chvn, kai; touvtwn th;n e[nteuxin, pavntwn de; th;n eujcaristivan. Ei[poim∆ a]n ou\n, o{ti tou' e[ti
ejndeou'", kai; oi|" ejndei' tina, touvtwn ejsti;n hJ devhsi". ”Ote de; to; ajxivwma tou' Qeou' nohv-
sa" aijtw' ti para; tou' Qeou', tovte proseuvcomai: o{te de; fivlo" ejpi; plei'on gevnwmai, tovte
eujcaristw' tw/' Qew/'.
1354 Si veda supra, p. 33.
1355 Orat XIV, 5 (supra, nota 388).
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 437
graziamento verso Colui che – come ricorda un magnifico frammento del
Commento a Efesini – lo ha chiamato «dal non essere all’essere» e gli «ha
fatto dono della somiglianza e dell’immagine» di sé1356.
L’aggiunta del v. 2 a 1Tm 2, 1 in CC VIII, 73 o la sua citazione isolata
in CRm IX, 29 concorrono – come si è visto a proposito del Contro Celso –
ad argomentare la posizione di Origene in merito al problema politico
della preghiera1357. Il rilievo testimoniale del luogo paolino appare minore,
rispetto non solo agli altri versetti della medesima lettera, ma anche al pa-
radigma di Mosè orante in Es 17, 8-16, che – come vedremo fra breve –
doveva prestarsi meglio per sviscerare all’occorrenza le conseguenze po-
litiche dell’orazione cristiana1358. In ogni caso, il fatto che 1Tm 2, 2 non
compaia per nulla nel trattato è indice della rilevanza, tutto sommato, ri-
dotta che la dimensione politica della preghiera dovette assumere agli oc-
chi di Origene. Certo il dibattito con Celso l’ha reso più consapevole di
tale aspetto, ma in generale la sua attenzione appare rivolta piuttosto alle
dimensioni personali ed ecclesiali dell’atto di pregare. C’è da dire inoltre
che l’Alessandrino, pur avendo ben presente la preghiera d’intercessione
(a cominciare, come è ovvio, dallo stesso testo di 1Tm 2, 1 con la corri-
spondente trattazione sull’e[nteuxi" in Orat), non l’ha fatta oggetto di una
riflessione più organica. Anziché appuntarsi sui contenuti – il che avrebbe
determinato anche un interesse più specifico per il bene della politeia ro-
mana –, egli sembra guardare soprattutto alle persone degli intercesso-
ri1359 : in primis Gesù Cristo e lo Spirito santo (cui spetta, in un certo
senso, per eccellenza la preghiera di e[nteuxi"), in subordine Mosè e gli
altri santi dell’Antico Testamento, ai quali si aggiungono la chiesa celeste
e terrena, con gli angeli, gli apostoli (primo fra tutti Paolo)1360, i martiri e
i confessori. In particolare l’Alessandrino si mostra sensibile alle moda-
––––––––––––––––––
1356 FrEph I, 2 (232): ∆Ea;n gavr ti" meteschkw;" tou' ei\nai, ejpilaqovmeno" th'" me-
toch'", eJautw'/ katacarivshtai th;n tou' ei\nai aivtivan, kai; mh; th;n pa'san eujcaristivan ajna-
fevrh/ ejpi; to;n ejk tou' mh; ei\nai to; ei\nai aujtw'/ o{moion kai; kat∆ eijkovna carisavmenon, tovte
katargei'tai to; o[n.
1357 Cfr. supra, pp. 274-275. Del resto CRm IX, 29 (752, 3–753, 6) su Rm 13, 5-6
guarda a tale questione nell’ottica della pax ecclesiae: «Ordinat quidem per haec Paulus
ecclesiam Dei, ut nihil adversi principibus et potestatibus saeculi gerens per quietem et
tranquillitatem vitae (cfr. 1Tm 2, 2), opus iustitiae et pietatis exerceat».
1358 Oltre a CC VIII, 73, troviamo tale implicazione anche in HNm XIII , 4 (nota
1196). Cfr. la trattazione su Es 17, 8-16 (pp. 451-453).
1359 Del resto, la stessa apologia della politeia giudaica in CC non valorizza speci-
ficamente la forza della preghiera di Israele in chiave politica (cfr. Perrone 2003b).
1360 Sulla preghiera d’intercessione di Paolo si veda, ad esempio, HEz IX, 5 (414,
32-415, 2) a commento di 2Cor 12, 7-9: «Tantus vir Apostolus Paulus necessarium habuit
colaphum angeli Satanae, ut eum colaphizaret, ne elevaretur multum, quia orans et depre-
cans Deum impetravit pro multis saepe quod petiit». Fra gli angeli, la figura preminente
dell’intercessore risulta essere Michele (cfr. supra, nota 749; infra, nota 1385). In CC VIII,
13 si ricordano Gabriele e Michele come «ministri di Dio».
438 Parte seconda, Capitolo ottavo
lità di esercizio ecclesiale del potere d’intercessione, che è prerogativa
dei santi, mentre il pensiero sull’oggetto di intercessione risulta essen-
zialmente diretto all’obiettivo della salvezza spirituale 1361.

2.3. Sal 140(141), 2: preghiera come offerta di una vita santa

Spesso abbinato con 1Tm 2, 8, il riferimento a Sal 140(141), 2 si


presenta anch’esso come particolarmente rilevante, non solo sotto il pro-
filo quantitativo ma anche per i risvolti tematici1362. Il luogo veterotesta-
mentario sostiene, infatti, l’idea della preghiera in Origene, poiché concor-
re egualmente ad illustrarne gli aspetti esteriori e le dimensioni interiori.
In particolare, esso fornisce all’Alessandrino il corredo più ricco di imma-
gini per identificare l’atto orante secondo il modello da lui auspicato:
l’incenso (v. 2a), l’elevazione delle mani e il sacrificio vespertino (v. 2b).
Tuttavia, il rilievo testimoniale del nostro salmo sembrerebbe emergere
solo gradualmente nella riflessione origeniana. Infatti, nel trattato si cita
unicamente Sal 140(141), 2b, per corroborare prima la consuetudine della
preghiera serale (Orat XII, 2) e poi l’atteggiamento esteriore di preghiera
(Orat XXXI, 1), senza quindi sfruttarlo al fine d’esemplificare le disposi-
––––––––––––––––––
1361 Sulle figure degli intercessori si veda supra, pp. 271, 339 (Gesù Cristo); 326 (lo
Spirito); 394 (Mosè); 301, 354 (santi dell’Antico Testamento); 356 (la chiesa); 257 (mar-
tiri); 400 (confessori).
1362 Origene cita abitualmente Sal 140(141), 2 nella seguente forma: genhqhvtw (ka-
teuqunqevtw Rahlfs) hJ proseuchv mou wJ" qumivama ejnwvpion sou, e[parsi" tw'n ceirw'n mou
qusiva ejsperinhv. Solo in FrPs 140 (141), 2 (PG 12, 1665A), peraltro restituito da Rondeau
a Evagrio Pontico (infra, nota 1842), troviamo kateuqunqevtw ktl. I riferimenti compaio-
no in Orat XII, 2; Orat XXXI, 1 (nota 1338); Dial 20 (nota 506); CC III, 60 (nota 1340); CC
VIII, 17 (nota 476); CIo XXVIII, 5, 36-37 (nota 896); HGn XI, 2 (nota 590); HEx XI, 4 (nota
507); HLv IX, 8 (nota 1090); HLv XIII, 5 (nota 1091); HNm XXIII, 3 (note 531, 1561); HReL
I, 9 (nota 1098); HIer XVIII, 10 (nota 1191); FrIer 11 ([203, 4-10] w|n hJ proseuch; wJ" qu-
mivama kai; hJ e[parsi" tw'n ceirw'n qusiva eJsperinhv. oi} kai; prosfevrousi livbanon, o{per
eJrmhneuvetai Leukasmov", pa'san ajpobavllonte" zofwvdh diavqesin, wJ" aJrmovttein aujtoi'"
to; tiv" au{th hJ ajnabaivnousa leleukanqismevnh [Ct 8, 5]: ou{tw ga;r kai; th;n ai[nesin
dunhvsontai fevrein eij" oi\kon kurivou, mh; e[conte" spi'lon h] rJutivda h[ ti tw'n toiouvtwn
[Ef 5, 27] prostribomevnwn th'/ tou' Cristou' ejkklhsiva)/ ; FrIer 68 (nota 1100); HEz XI, 5
(nota 1190); FrPs 17 (18), 21 ([PG 12, 1232C] ÔO ejpaivrwn oJsivou" cei'ra", kai; qarjrJw'n
eijpei'n: “Eparsi" tw'n ceirw'n mou qusiva ejsperinh;, kai; kaqarovthta ceirw'n oJmologhv-
sei e[cein); FrPs 133 (134), 2 (nota 1336). BP registra inoltre: Fr 29 (34, 1); ?Ps.Cat B
(482, 3). FrPs 118 (119), 48 Harl (SC 189, p. 268, 4-7) riprende il motivo delle «mani» =
«azioni», senza riferimento al nostro salmo. Si veda infine FrLc 165 (nota 1411). Contra
Bradshaw, 48-49, 62-64, Phillips ritiene che Sal 140(141), 2 sia da collegare alla preghiera
dell’ora nona: «Origen was acquainted with the works of Josephus and may well have
known that the hour of the evening sacrifice was three o’clock in the afternoon. There-
fore, even if Origen construed the third day hour to be evening prayer, he could still have
connected it to the ninth hour of the day» (p. 42). L’A. nota anche il suo uso successivo
come «the standard psalm for the evening service, at least in the eastern churches» (p. 48).
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 439
zioni interiori dell’orante. Diversamente da ciò che avviene successiva-
mente in altri scritti, Origene non vi utilizza l’immagine dell’incenso né
trae dall’equivalenza «sacrificio» = «preghiera» l’implicazione relativa al
«cuore» dell’orante quale «altare» su cui offrire come «vittime» le proprie
preghiere, che invece svilupperà nel Contro Celso e (sebbene indipenden-
temente dal nostro salmo) nel Commento a Matteo1363.
L’importanza paradigmatica di Sal 140(141), 2b, in relazione all’«ele-
vare le mani», è ribadita da Dial, sia pure esplicando l’equivalenza sim-
bolica con le «buone azioni» sul piano della condotta morale, cioè senza
ricollegare il gesto più direttamente alla prassi di preghiera. Al contrario,
il contesto orante emerge espressamente in un passo del Commento a
Giovanni (CIo XXVIII, 5, 36-37) che raccoglie, per così dire, il «canone»
essenziale dei luoghi scritturistici nel discorso origeniano sulla preghiera:
introdotto rispettivamente da 1Tm 2, 8 e dal richiamo alla figura di Mosè
orante contro gli Amaleciti (Es 17, 11), Sal 140(141), 2b viene a confer-
mare, come terzo riferimento normativo, l’idea di un orante impegnato
sul cammino del perfezionamento spirituale. La combinazione con 1Tm
2, 8 tende a diventare topica, come mostra fra l’altro HLv XIII, 5. Ma essa
si dà questa volta con Sal 140(141), 2a, suscitata dall’immagine dell’in-
censo che diventerà lo spunto dominante anche in altre citazioni del salmo.
L’ordine delle idee però non cambia perché concerne sempre anzitutto il
requisito della vita morale pienamente virtuosa o, per meglio dire, santa,
entro la quale soltanto può nascere una preghiera autentica. Così per HLv
IX, 8 l’incenso sono le «opere sante» compiute da Gesù il quale, proprio
in forza di esse, ha potuto fare della sua vita quell’offerta purissima
d’«incenso» prefigurata da Lv 16, 12 («Poi prenderà l’incensiere pieno di
brace tolta dall’altare davanti al Signore e due manciate di incenso odoroso
polverizzato») e attestata anche dalle parole del salmo. Analogamente,
solo chi ha «un cuore puro e una buona coscienza» può innalzare come
«incenso» la propria preghiera, secondo quanto dichiara HLv XIII , 51364.
Anche CC VIII, 17 si richiama all’immagine dell’incenso in Sal 140(141),
2a – insieme a Ap 5, 8 – per inculcare l’idea che il vero tempio del cri-
stiano è la «coscienza pura» da cui si innalzano a Dio le preghiere, come
su un altare.
Benché la I Omelia su I Regni sembri manifestare l’esigenza di svi-
scerare una diversa comprensione della preghiera e dei suoi riferimenti
scritturistici – fra l’altro, anche alla luce di Sal 140(141), 2a –, solo con il
commento del libro di Geremia Origene si rifà all’immagine dell’«in-
––––––––––––––––––
1363 Cfr. supra, nota 476. Sul complesso di motivi legati alle immagini dell’«incen-
so» e del «sacrificio» si veda, in particolare, nota 2 (l’uso di qumivama in Orat XXXI, 4
deriva dalla citazione di Mal 1, 11).
1364 Anche CC III, 60 ricava tale significato (supra, nota 1340).
440 Parte seconda, Capitolo ottavo
censo» in una prospettiva tendenzialmente diversa. Da un lato, FrIer 68,
uno dei luoghi sicuramente più significativi al di fuori del trattato, non
solo l’approfondisce positivamente in relazione a Ap 5, 8, di nuovo citato
per presentare l’incenso come la «preghiera del santo», ma la caratterizza
anche in rapporto a Sal 108(109), 7, che illustra per l’Alessandrino il mo-
dello negativo della preghiera del peccatore. Inoltre, in HIer XVIII, 10,
spiegando Ger 18, 15 («Poiché il mio popolo si è dimenticato di me, mi
hanno offerto incenso invano»), egli sviscera ancora una volta le implica-
zioni del simbolismo che l’immagine racchiude: non più solo il «buon
odore» dell’incenso contrapposto al «fetore» del peccato, ma anche il mo-
tivo del fumo che si innalza verso il cielo e della sua leggerezza per accen-
nare all’elevazione spirituale dell’anima orante. Colui che prega in tali
condizioni di spirito è capace di comporre «una preghiera sottile di con-
cetti sottili» che si innalzano da un «cuore sottile». La formulazione reto-
ricamente insistita lascia trasparire una diversa attenzione, intesa a meglio
caratterizzare l’applicazione dell’immagine alla «preghiera spirituale». Ma
proprio l’uso singolare dell’aggettivo leptov", ripetuto per ben tre volte,
riconduce questo passo all’interpretazione di HLv IX , 8 su Lv 16, 12 LXX,
con l’immagine delle «mani riempite di una composizione sottile di incen-
so» (plhvsei ta;" ceivra" qumiavmato" sunqevsew" lepth'"). Benché il testo
trádito di HIer XVIII, 10 non citi tale versetto, è evidente che Origene si è
ispirato ad esso per associazioni di idee, ridisegnando in un certo senso
l’atto orante alla luce del linguaggio di Lv 16, 12, pur senza anticipare i
motivi che avrebbe poi sviluppato in HLv IX, 8-9: la «composizione» delle
virtù e la «sottigliezza» dell’interpretazione spirituale1365. Oppure l’Ales-
sandrino si è sovvenuto di Es 30, 7 LXX (kai; qumiavsei ejp∆ aujtou' Aarwn
qumivama suvnqeton leptovn), in cui compaiono egualmente i tre termini in
questione, ma il passo non figura nell’elenco delle sue citazioni1366.
––––––––––––––––––
1365 Da notare che il termine leptov" è assente nel vocabolario di Orat, mentre se-
condo BP Origene cita Lv 16, 12 unicamente in HLv IX . Peraltro, in HLv IX, 8 (433, 7-13)
il motivo della «composizione» rimanda alla varietà delle opere virtuose, mentre l’«incen-
so minuto» indica la comprensione spirituale delle Scritture: «Quare autem compositionis
incensum dicitur? Quia non est una species operum, sed ex iustitia et ex pietate, ex conti-
nentia, ex prudentia et ex omnibus huiuscemodi virtutibus componitur hoc quod placetur
Deo. Sed et minutum quod addidit, non otiose intelligimus. Non enim vult eum, qui ad
perfectionem tendit, verbum Dei crasse et carnaliter intelligere, sed minutum in his sen-
sum subtilemque perquirere». Cfr. anche HLv IX, 9 (437, 11-14): «Beatus, in cuius corde
invenerit tam subtilem, tam minutum tamque spiritalem sensum et ita diversa virtutum
suavitate compositum, ut replere dignetur ex eo manus suas Deoque Patri suavem odorem
intelligentiae eius offerre».
1366 Che la reminiscenza riguardi Lv 16, 12 LXX più che Es 30, 7 LXX sembrerebbe
rafforzato dal fatto che Origene non cita i paralleli come Es 30, 37 (qumivama kata; th;n
suvnqesin tauvthn); 31, 11 (to; qumivama th'" sunqevsew" tou' aJgivou); 35, 19 (to; qumivama
th'" sunqevsew"); 38, 25 (th;n suvnqesin tou' qumiavmato"); 39, 15 (to; qumivama th'" sunqev-
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 441
Il rilievo particolare di Sal 140(141), 2 per la concezione e la prassi
della preghiera nell’Alessandrino traspare anche dalla distinta applicazio-
ne esegetica di HNm XXIII, 31367. In questo caso, infatti, la sua interpreta-
zione è condizionata dal riferimento, da un lato, a 1Ts 5, 17, con la rac-
comandazione a «pregare senza interruzione», e dall’altro all’astensione
dalla preghiera prevista in 1Cor 7, 5 per le coppie sposate che assolvono i
loro doveri coniugali. Il tema della preghiera nel matrimonio, sulla scorta
del luogo paolino, è stato affrontato da Origene in svariati scritti – come
avremo modo di verificare più avanti –, ma nell’omelia in esame l’im-
magine del «sacrificio», suggerita dal nostro salmo, ha spinto l’Alessan-
drino ad interrogarsi sulla possibilità che i coniugi offrano un «sacrificio
ininterrotto», con l’offerta ad un tempo dell’oratio continua e di una vita
santa. La risposta è negativa: soltanto chi si vota ad una vita continente e
casta può offrire a Dio un «sacrificio ininterrotto». Il diverso contesto ese-
getico che richiama qui la citazione di Sal 140(141), 2 ne ribadisce in ogni
caso la valenza primaria per la riflessione di Origene sulla preghiera: l’uso
del salmo è sempre finalizzato a ribadire idealmente l’identificazione più
piena ed adeguata della figura dell’orante con colui che conduce una vita
santa, pur non ignorando mai i limiti della condizione terrena. Non a caso,
nel seguito della riflessione in HNm XXIII si lascia intendere che forse
solo post mortem diverrà realmente possibile compiere un «sacrificio
ininterrotto»1368.

2.4. Ap 5, 8: postilla sulla preghiera come «profumo dei santi»

Come si è appena visto, l’immagine dell’«incenso» (qumivama) in Sal


140(141), 2b attira in alcune occasioni la combinazione con Ap 5, 8, dove
si parla di «coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi
(fiavla" crusa'" gemouvsa" qumiamavtwn, ai{ eijsin aiJ proseucai; tw'n aJgiv-
wn)». L’analogia di vocabolario non poteva sfuggire a un attentissimo co-
noscitore della Bibbia come era Origene, anche se egli non ha attribuito
al passo lo stesso valore testimoniale che contraddistingue l’uso ben più
rilevante di Sal 140(141), 2b (come, del resto, non l’ha assegnato nemme-
no a Mal 1, 11, che contiene anch’esso il termine qumivama e compare in
––––––––––––––––––
sew"); Es 40, 27 (kai; ejqumivase ejp∆ aujtou' to; qumivama th'" sunqevsew"). Solo HEx XIII, 7
(279, 3-5) rimanda a Es 35, 28, ma senza accennare alla «sottigliezza» dell’incenso: «Sed
et incensi compositionem (Es 35, 28) principes offerunt, quae componatur per Moysen in
odorem suavitatis Domino (Es 29, 41), ut et ipsi dicant quia Christi bonus odor sumus
(2Cor 2, 15)». Per l’uso dell’immagine in Clemente Alessandrino, Strom. VII, 6, 34, 2 si
veda infra, nota 1699.
1367 Cfr. supra, nota 531.
1368 HNm XXIII, 3 (nota 531).
442 Parte seconda, Capitolo ottavo
Orat XXXI , 4)1369. Lo conferma implicitamente anche la sua mancata
citazione in Orat, diversamente dai luoghi scritturistici che abbiamo pas-
sato in rassegna finora. Ciò non toglie che l’Alessandrino abbia ritenuto
importante citarlo nel contesto di taluni passaggi significativi della sua ri-
flessione sulla preghiera. In tal modo, egli dà l’impressione di aver voluto
arricchire un dossier di riferimenti biblici che, in buona parte, tende a ri-
manere identico ed abbastanza ristretto1370.
In FrIer 68 la citazione è addotta a commento di Ger 51, 21 LXX
(«Non dell’incenso, che avete incensato nelle città di Giuda e fuori Geru-
salemme voi e i vostri padri e i vostri re e i vostri capi e il popolo della
terra, si è ricordato il Signore»), dove l’«incenso» di cui parla il profeta è
quello offerto dagli Israeliti agli idoli. Ora, anche se l’Alessandrino è di-
sposto ad ammettere l’offerta a Dio dell’incenso secondo la lettera, pur-
ché sia accompagnata dal «buon profumo» nell’intimo dell’animo, egli
ricorda nondimeno che per il cristiano il regime dei sacrifici è definitiva-
mente superato. Sono i demoni a rallegrarsi del sangue e del fumo delle
vittime, mentre Dio si compiace «della giustizia e della perfezione». Ri-
torna dunque la prospettiva dell’offerta di un sacrificio spirituale, esem-
plificata con il richiamo ad intendere allegoricamente (eij" nou'n) l’imma-
gine dell’incenso in Sal 140(141), 2a, alla luce appunto di Ap 5, 8, che ne
offre la chiave ermeneutica. Stabilita così l’equivalenza simbolica «incen-
so» = «preghiera», Origene le contrappone la preghiera del peccatore co-
me offerta di «cattivo odore» servendosi della citazione per lui topica di
Sal 108(109), 7, cui aggiunge per una volta Is 1, 13 («l’incenso è un abo-
minio per me»).
Il nesso concettuale, per opposizione, con l’incenso offerto agli idoli
riappare in HEz VII , 3, a commento di Ez 16, 18 («davanti a quelle imma-
gini presentasti il mio olio e i miei profumi»)1371. Qui, a modo di defini-
zione riepilogativa, le «preghiere dei santi» secondo Ap 5, 8 sono quelle
––––––––––––––––––
1369 Cfr. supra, nota 2, p. 171 e nota 523. Mal 1, 11 («Poiché dall’oriente all’occi-
dente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e
una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eser-
citi») si ritrova ancora in HGn XIII, 3 ([118, 7-9] «Aperuit ergo puteos et docuit nos, ut
non in loco aliquo quaeramus Deum, sed sciamus quia in omni terra offertur sacrificium
nomini eius») e ?Fr 29 (35, 1).
1370 Ap 5, 8 figura in CC VIII, 17 (nota 476); HEz VII , 3 (nota 1371); FrIer 68 (note
1100, 1170). BP riporta ancora due passi dall’autenticità controversa: ?Fr 29 (34, 17-18);
?Fr 29 (34, 6).
1371 HEz VII, 3 (394, 16-22): «Scriptura docente didicimus quia sanctorum oratio sit
incensum; ait enim: Incensum autem orationes sanctorum sunt (Ap 5, 8). Si ergo institu-
ti ad orationem, cum illam Deo debeamus offerre, id est Deo legis et prophetarum, Deo
Abraham, Deo Isaac, Deo Iacob, et Patri Iesu Christi, offerimus his quae ipsi confinxi-
mus, in tantum ut incensum Dei proponamus idolis, facimus id quod dicitur in praesenti:
Oleum meum et incensum meum posuisti ante faciem eorum (Ez 16, 18)».
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 443
indirizzate al Dio dei patriarchi, della legge e dei profeti, nonché Padre di
Gesù Cristo. Anche CC VIII, 17 se ne serve con un intento analogo – uni-
tamente a Sal 140(141), 2 – onde ribattere a Celso che il vero altare per i
cristiani è «l’organo direttivo (hJgemonikovn) dei giusti», sul quale si offro-
no gli incensi davvero profumati, che sono da intendersi in senso spiri-
tuale (nohtw'") e corrispondono alle preghiere di Ap 5, 8. Come si vede an-
che da questi altri due passi, il riferimento scritturistico non gode di vita
propria, ma interagisce con un complesso di luoghi biblici e di temi con-
vergenti. In questo senso, non è forse fuori luogo vedervi una “postilla”
che Origene ha aggiunto al dossier su incensi e profumi come espressione
simbolica della santità e la preghiera come offerta a Dio di una vita inte-
gralmente virtuosa, nelle parole e nelle opere.

2.5. 1Ts 5, 17: vita come preghiera continua

Con 1Ts 5, 17 torniamo ad un luogo scritturistico che ricopre un’in-


cidenza strutturale per il pensiero di Origene. L’invito dell’Apostolo a
«pregare senza interruzione» gli ha fornito ripetutamente materia di rifles-
sione, dal trattato al resto degli scritti1372. Per Orat XII, 1-2 l’esortazione
di Paolo conferma l’insegnamento di Gesù sulla preghiera come tratto
costitutivo dell’esistenza cristiana, contrastando così qualunque tentativo
di ridimensionarla o trascurarla. Da questo punto di vista, il Padrenostro è
presentato da Origene come il modello di preghiera che risponde piena-
mente alle esigenze dell’oratio continua in quanto esso è il programma di
vita per coloro che vogliono essere «figli di Dio». La preghiera ininterrotta
può infatti essere realizzata solo se preghiere e azioni si combinano fra
loro, venendo ad intrecciare in pratica un’«unica grande preghiera»1373.
Tale prospettiva finisce per ricomprendere anche le ore di preghiera, che
––––––––––––––––––
1372 Per una prima rassegna sull’uso origeniano di 1Ts 5, 17 si veda supra, nota 589.
BP elenca i seguenti passi: Orat XII, 1 (nota 1458); Orat XII, 2 (nota 595); Orat XXII, 5
(nota 596); Orat XXV, 2 (nota 1375); CRm I, 11 (nota 961); CMt XIV, 25 ([347, 3-9] crh;
de; to;n aijtou'nta poiei'n pavnta ta; par∆ aujtw/', i{na proseuvchtai pneuvmati, proseuvcetai
de; kai; tw/' noi? [1Cor 14, 15], kai; <tou'> ajdialeivptw" proseuvcesqe [1Ts 5, 17] memnhmev-
non kai; tou' e[lege de; parabolh;n aujtoi'" pro;" to; dei'n pavntote proseuvcesqai [Lc 18, 1]:
note 533, 589); CMt XIV, 25 (nota 1053); CMt XVI, 22 (nota 595); Mat.Cat 118; FrEph III,
70 ([340] ejn th/' pro;" Qessalonikei'" protevra/ fhsiv pavntote caivrete ajdialeivptw" pro-
seuvcesqe ejn panti; eujcaristei'te [1Ts 5, 16-18]. tauvthn dh; thrhvsei th;n ejntolh;n oJ diei-
lhfw;" peri; th'" pronoiva" fqanouvsh" kai; ejpi; ta; bV ajssarivwn pwlouvmena pevnte strou-
qiva w|n e}n ouj pivptei eij" pagivda cwri;" tou' ejn oujranoi'" patrov" [Mt 10, 29; Lc 12, 6]);
HGn X, 1 (note 589, 1226); HGn XI, 2 (nota 590); HEx XI, 4 (note 589, 1223); HNm XIV , 2
(nota 1385); HNm XXIII, 3 (nota 1561); HIos XVI, 5 (nota 1223); HReL I, 9 (note 1096-
1098); FrPs 1, 2 (PG 12, 1088B).
1373 Orat XII, 2 (nota 595). Belda, 269 indica qui una probabile ispirazione clemen-
tina (con riferimento a Strom. VII , 7, 49, 6-7).
444 Parte seconda, Capitolo ottavo
risultano quindi essere parti di essa, senza che l’Alessandrino avverta il
bisogno di approfondire ulteriormente il problema dei «tempi», aldilà
delle poche precisazioni fornite da Orat in linea con la prassi ecclesiale
dell’epoca. L’esigenza primaria di fronte al luogo paolino rimane sempre
quella di comprendere in qual maniera sia possibile attuare una vita fatta
interamente di preghiera, superando l’apparente paradosso insito nelle pa-
role dell’Apostolo. Essa ispira anche la ripresa di 1Ts 5, 17 nel commento
alla preghiera per eccellenza del cristiano: secondo quanto afferma Orat
XXII, 5 non è tanto questione di recitare formule di preghiera in momenti
distinti dell’esistenza e destinati appositamente a ciò, quanto piuttosto di
dire «Padre nostro che sei nei cieli» in tutta la propria vita1374. Avendo di
mira il continuo cammino di perfezionamento spirituale, Origene lo ri-
badisce anche per l’interpretazione della prima e della seconda petizione:
si tratta nuovamente di pregare senza posa per la santificazione del nome
di Dio e la venuta del suo regno, con una disposizione interiore resa “dei-
fica” dall’azione del Logos divino sull’anima, affidandosi cioè al suo dono
di grazia perché egli trasformi sempre più la vita del cristiano a immagine
della comunione futura con il Padre1375.
L’indicazione offerta da Origene in Orat trova conferme sostanziali
sia nel Commento a Matteo sia nella I Omelia su Regni e in un frammento
su Sal 1, 2. Nel primo caso (CMt XVI, 22), a commento dell’episodio della
cacciata dei mercanti dal tempio, egli ricorda come la chiesa possa essere
autenticamente «casa di preghiera» (Is 56, 7; Mt 21, 13) solo se in lei non
v’è altro che preghiera. Ciò è possibile unicamente se ogni «azione buona»
è «computata a titolo di orazione», che è poi il solo modo praticabile per
poter adempiere all’invito dell’Apostolo1376. Se questo passo lascia in-
travedere di nuovo la paradossalità racchiusa in 1Ts 5, 17, l’Alessandrino
evidenzia di proposito l’aporia fra la preghiera e le esigenze della vita
quotidiana in HReL I, 9, per riproporre la soluzione già contemplata: ogni
azione del «giusto» va valutata alla stregua di una preghiera, per cui nel
momento in cui egli trasgredisce l’opera della giustizia, smette anche di
pregare. Analogamente, FrPs 1, 2, riconosciuta dapprima l’aporeticità di
1Ts 5, 17, afferma anch’esso che le azioni di colui che agisce sempre con-
formemente al Logos sono da annoverarsi come preghiera1377. In tutti que-
––––––––––––––––––
1374 Orat XXII, 5 (nota 596).
1375 Orat XXV, 2 (358, 22-24): dia; tou'to ajdialeivptw" proseucovmenoi meta;
diaqevsew" tw'/ lovgw/ qeopoioumevnh" levgwmen tw'/ ejn oujranoi'" patri; hJmw'n: aJgiasqhvtw to;
o[nomav sou: ejlqevtw hJ basileiva sou (Mt 6, 9-10; Lc 11, 2).
1376 Cfr. supra, p. 354 e note 595, 1062.
1377 FrPs 1, 2 (PG 12, 1088B): Dia; touvtou luvetai kai; ta; para; tw/' ∆Apostovlw/ ajpo-
rouvmena levgonti: ajdialeivptw" proseuvcesqe (1Ts 5, 17). Pw'" ga;r koimwvmenov" ti" eu[xe-
tai, kai; pravttwn ti tw'n eij" ajnqrwvpou" kaqhkovntwn, h] to; eJautou' sw'ma qerapeuvwn…
∆Alla; kai; ejpi; touvtou famevn: o{ti kevkrage pro;" Qeo;n kai; aijtei' aujto;n ta; kavllista
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 445
sti passi, è chiaro che il riferimento alla prassi non significa per Origene
sopprimere le parole di preghiera, bensì richiamarne l’indispensabile
complemento nella vita del giusto. Lo vediamo non solo dall’occasionale
rimprovero che il predicatore rivolge in HGn X, 1 ai fedeli che non parte-
cipano alle riunioni di preghiera se non nei giorni di festa, chiedendosi
appunto come potranno rispettare la consegna dell’Apostolo1378, ma so-
prattutto dalla ripresa di 1Ts 5, 17 in connessione con la disciplina su ma-
trimonio e preghiera stabilita da Paolo in 1Cor 7, 5. Come si è visto a pro-
posito di Sal 140(141), 2, l’Alessandrino ne tratta in HNm XXIII, non sen-
za percepire lui stesso un’evidente polarità con il modello proposto per
l’oratio continua: da un lato, egli ritiene che l’esercizio dei doveri coniu-
gali arrivi a sospenderla; dall’altro, con l’Apostolo non può non riconosce-
re la loro liceità. Di conseguenza, per Origene solo chi è votato a una vita
di castità realizza l’invito a pregare senza interruzione, mentre offre a Dio
un «sacrificio ininterrotto». A ben vedere, però, la stessa omelia sembre-
rebbe ridimensionarne concretamente l’effettiva possibilità in questa vita,
allorché prospetta l’orizzonte escatologico come quello che solo consente
forse di attuarlo pienamente1379. Tuttavia, come vedremo in seguito anche
dall’analisi dei frammenti su 1Cor 7, 5 che trattano più organicamente la
questione, Origene tende a mantenere lo stesso punto di vista: solo chi ri-
nuncia all’esercizio della sessualità, può assicurare l’oratio continua.
Oltre alle combinazioni già note con alcuni dei luoghi scritturistici
esaminati in precedenza quali Sal 140(141), 2, in CMt XIV, 25 Origene
associa 1Ts 5, 17 a Lc 18, 1 («Disse loro una parabola sulla necessità di
pregare sempre, senza stancarsi»). L’accostamento fra gli avverbi ajdia-
leivptw" di 1Ts 5, 18 e pavntote di Lc 18, 1 serve qui a inculcare la neces-
sità di insistere nella preghiera, senza mai venire meno ad essa, come con-
dizione per essere esauditi1380. L’abbinamento acquista particolare rilievo,
perché conclude l’interpretazione sull’apparente ajduvnaton di Mt 19, 12
riguardo l’eunuchìa per il regno dei cieli, a riprova dell’efficacia garantita
ad una preghiera che non demorde. Al di fuori di questo passo nel com-
mentario matteano, l’Alessandrino cita Lc 18, 1 unicamente in Orat, inse-
rendolo in un insieme più ampio di luoghi scritturistici funzionali a cor-
––––––––––––––––––
prokalouvmeno" ejpi; to; parascei'n oJ tevleio", pavnta kata; to;n lovgon poiw'n, w{ste pa'san
aujtou' pra'xin eujch;n ei\nai.
1378 Si veda supra, nota 1219.
1379 HNm XXIII, 3, 2 (216, 30–217, 6): «In quo sabbato concedat etiam nobis Deus
diem festum agere secum et cum sanctis angelis suis festa celebrare, offerentes sacrificium
laudis et reddentes altissimo vota (Sal 49[50], 14) nostra, quae hic distinxerunt labia no-
stra (Sal 65[66], 14). Tunc fortassis et sacrificium indesinens, de quo supra exposuimus,
melius offeretur. Tunc enim melius indesinenter adsistere anima poterit Deo et offerre sa-
crificium laudis per pontificem magnum, qui est sacerdos in aeternum secundum ordinem
Melchisedech (Eb 6, 20)».
1380 Cfr. note 1053, 1372.
446 Parte seconda, Capitolo ottavo
roborare la sua visuale dell’esaudimento della preghiera – s’intende per
chi, come Gesù in Gv 11, 42 («Io sapevo che sempre mi dài ascolto»), si
trovi nella condizione spirituale per essere ascoltato da Dio 1381. Basta del
resto richiamare a volte il semplice avverbio ajdialeivptw" per far capire
al lettore che Origene tiene sempre presente la lezione di 1Ts 5, 17, come
avviene in CRm I, 11, dove Paolo è mostrato come ottemperante lui stesso
al suo precetto di pregare senza interruzione1382. Il raccordo con le aspet-
tative dell’esaudimento è attestato anche da HIos XVI, 5 e da HEx XI, 4,
che disegnano entrambe la prospettiva della vittoria sugli avversari per co-
lui che prega incessantemente1383. Infine, l’intreccio o, per meglio dire, la
circolarità che contraddistingue il dossier dei luoghi scritturistici e delle
immagini racchiuse in esso torna a manifestarsi con HGn XI, 2, secondo
la quale solo chi pratica l’oratio continua offre costantemente a Dio del-
l’«incenso»1384. Secondo HNm XIV, 2, un orante siffatto può chiedere e
sperare d’essere associato all’ufficio dell’arcangelo Michele e degli altri
angeli, partecipando con essi alla perenne liturgia dei cieli1385.

2.6. Is 58, 9: promessa di esaudimento e sue condizioni

Fra i diversi luoghi scritturistici addotti da Origene a sostegno del-


l’idea che la preghiera trovi ascolto presso Dio, il posto principale spetta
senza dubbio a Is 58, 9. La prova della sua particolare rilevanza è data dal
fatto che l’Alessandrino non solo se ne serve in numerosi scritti, ma anche
che ripropone la citazione isaiana in combinazione con gli altri passi biblici
più frequentemente utilizzati, come vediamo specialmente in FrIer 681386.
Se il suo utilizzo rimanda in generale alla ferma convinzione di Origene
––––––––––––––––––
1381 Orat X, 2 (nota 559). In Orat XIII, 1, Origene allude a Lc 18, 1, a commento di
Gv 11, 42 (ejgw; de; h[/dein o{ti pavntotev mou ajkouvei").
1382 Cfr. note 589, 961 a proposito di Rm 1, 9 (wJ" ajdialeivptw" mneivan uJmw'n poiou'-
mai).
1383 Si veda rispettivamente HEx XI, 4 (note 589, 1223) e HIos XVI , 5 (nota 1223).
1384 HGn XI, 2 (nota 590).
1385 HNm XIV, 2 (124, 26–125, 1): «Sed satis age, quomodo magis adsumaris ad
societatem Michael angeli, qui orationes sanctorum semper offert Deo. Adsumeris autem
in hunc numerum vel in istud officium, si insistas semper orationi et vigiles in ea et im-
pleas, quod Apostolus ait: sine cessatione orantes (1Ts 5, 17)».
1386 L’elenco di BP è incompleto, rispetto alla lista che segue: Orat X , 1 (nota 883);
CIo XXVIII, 6, 39 (p. 296); CCt I, 2, 2 (note 883, 921, 1388); CMt XI, 6 (nota 1017); Mat.
Cat 230; HCt I , 2 (nota 883); HIs IV, 4 (nota 1251); FrIer 68 (p. 367 e nota 1100); H38Ps
II , 10 (nota 1239); HLc XI, 4 (nota 1204); FrPs 3, 3 (PG 12, 1121A-B); FrPs 4, 2 (PG 12,
1136A); FrPs 12 (13), 6 (PG 12, 1205A). Sull’esegesi patristica di Is 58, 9 si veda supra,
nota 882. Si noti che Origene non usa quasi mai il parallelo di Is 65, 24 («Prima che mi
invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati»), che ri-
corre in Afraate.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 447
circa l’esaudimento della preghiera – che egli ha ribadito attraverso tutta
la sua opera –, nondimeno l’interpretazione di Is 58, 9 può dar luogo ad
estrapolazioni o accentuazioni diversificate. In sostanza abbiamo a che fare
con tre tipi di applicazioni diversamente attestate. Nel distinto contesto
del trattato il richiamo al luogo profetico serve a porre in luce la presenza
di Dio, su cui l’orante può contare per così dire immediatamente, nel
momento stesso in cui si dispone a pregare attenendosi alle giuste dispo-
sizioni spirituali, in special modo liberandosi da qualunque sentimento di
scontentezza nei confronti della provvidenza divina (Orat X, 1). In questo
caso Is 58, 9, più che fondare la certezza dell’esaudimento della domanda,
concorre a mostrare l’utilità più diretta della preghiera, che consiste nel
prospettare all’orante la presenza di Dio al suo colloquio con lui. Dello
stesso genere è l’interpretazione proposta in HLc XI, 4 a proposito di Gio-
vanni Battista, il quale conversa con Dio nel deserto e sperimenta così
l’immediatezza della risposta divina alle sue invocazioni1387.
Il secondo tipo di applicazione esegetico-teologica è senz’altro il più
frequente e verte proprio sull’esaudimento delle aspettative che spingono
l’orante a pregare. Sotto tale profilo, il passo isaiano è sfruttato dall’Ales-
sandrino per inculcare la certezza dell’esaudimento, a patto – come già
sappiamo – che l’orante si trovi nelle condizioni spirituali che danno titolo
per ricevere ascolto. Il modello di un esaudimento immediato si attua co-
munque a giudizio di Origene con modalità distinte, come vediamo spe-
cialmente da CIo XXVIII, 6, 39: mentre Gesù non ha neppure bisogno di
formulare la sua richiesta al Padre perché Lazzaro ritorni in vita, l’orante
che sia «degno» o «giusto» perviene ad essere ascoltato da Dio solo dopo
che si impegna nella preghiera. La trattazione del commentario giovanneo,
rilevando lo scarto che esiste fra Gesù e i «giusti», tende dunque a ridi-
mensionare l’automatismo dell’esaudimento per il «santo», anche se que-
sti partecipa sempre della certezza della promessa divina di ascolto. Orige-
ne lo ha riaffermato a proposito della donna, interpretata allegoricamente
come la chiesa o l’anima, in attesa dello sposo – Cristo o Logos – nelle
Omelie e nel Commento al Cantico dei Cantici: la sposa è esaudita nel-
l’atto stesso in cui formula la preghiera al Padre, perché la sua condizione
spirituale è tale che su di lei si compie la promessa di Is 58, 91388. Allo
stesso modo, secondo un frammento catenario su Sal 3, 2, i «giusti», che
sono oppressi dalla tribolazione, possono contare anch’essi sull’ascolto di
––––––––––––––––––
1387 HLc XI, 4 (supra, p. 394 e nota 1204).
1388 HCt I, 1-2: «Primum sponsa orat et statim in mediis precibus auditur. Videt
praesentem sponsum, videt adulescentulas suo comitatui copulatas. [...] Orat igitur sponsi
patrem et dicit ad eum: osculetur me ab osculis oris sui (Ct 1, 2). Et quia talis est ut com-
pleatur super ea propheticum illud in quo dicitur: adhuc loquente te dicam, ecce adsum (Is
58, 9), sponsam sponsi pater exaudit, mittit filium suum». Per l’allusione in CCt I, 2, 2
cfr. supra, nota 921.
448 Parte seconda, Capitolo ottavo
Dio 1389. Tuttavia, un’altra ripresa del luogo isaiano in CMt XI, 6 accentua
maggiormente il distacco dal modello di Gesù orante e sembra predisporre
il terzo tipo di applicazione. In questo caso la figura dell’orante è Pietro:
egli va incontro a Gesù che cammina sulle acque ed è soccorso da lui nel
momento in cui rischia di affondare per la sua «pochezza di fede». Anche
se l’apostolo è ancora in una condizione spirituale imperfetta ed immatura,
ciò non toglie che la sua richiesta di aiuto venga accolta dal Logos1390.
Se teniamo presente la figura di Pietro, possiamo capire come Orige-
ne si sia spinto ad un’ulteriore interpretazione di Is 58, 9, che a prima vista
appare alquanto lontana dalle precedenti. Sinora, infatti, la prospettiva del-
l’esaudimento divino riferita al nostro passo ci è sempre apparsa collegata
alle condizioni spirituali dell’orante, nel senso cioè che questi ne partecipa
nella misura in cui egli è giusto o santo. Tuttavia, l’esemplificazione della
titubanza di Pietro, ancora in uno stato di imperfezione spirituale, prelude
all’uso che ritroviamo in H38Ps II, 10 per la preghiera del peccatore che
si pente. Anche il pentimento sincero, accompagnato dal tormento della
coscienza, dalle lacrime e dalla confessione delle colpe è assecondato per
l’Alessandrino dalla medesima certezza dell’ascolto immediato di Dio,
come avviene secondo HIs IV, 4 per il profeta Isaia all’atto di confessarsi
colpevole1391. Si può dunque concludere che l’elemento costante alla base
delle diverse applicazioni di Is 58, 9 consiste nel nesso fra la preghiera
come colloquio e/o invocazione di Dio e l’immediatezza del suo ascolto,
che si traduce nella sua presenza e/o nel soccorso prestato. Se è vero che
la concomitanza fra invocazione ed esaudimento è lo specifico del passo
isaiano – come rileva ancora espressamente un frammento su Sal 41392 –,
ciononostante Origene tradisce di nuovo una polarità nella sua riflessione
sulla preghiera, nel momento in cui non considera più Is 58, 9 come privi-
legio esclusivo dei «santi» o dei «giusti», ma giunge a disegnare la pro-
spettiva dell’esaudimento anche per i peccatori sulla via del pentimento.
Ma l’apparente aporia forse si può risolvere pensando che in ogni caso
l’essenziale è per l’Alessandrino pregare rettamente, sia l’orante «giusto»
o «santo», o ancora sulla via del perfezionamento spirituale, o appena al-
l’inizio di essa, come accade al peccatore che confessa le proprie colpe1393.
––––––––––––––––––
1389 FrPs 3, 3 (PG 12, 1121A-B): kai; ei[pote oJ divkaio" ejpaporw'n levgoi tw/' Qew/':
Tiv ejplhquvnqhsan oiJ qlivbontev" me… e[ti aujtou' lalou'nto" ejrei': ∆Idou; pavreimi (Is 58, 9),
i{na bavro" dovxh" ejrgavshtaiv soi to; parautivka ejlafro;n th'" qlivyew" kaq∆ uJperbolhvn.
1390 Si veda il passo supra, nota 1017.
1391 HIs IV, 4 (supra, nota 1251). Per H38Ps II, 10 cfr. supra, nota 1239.
1392 FrPs 4, 2 (PG 12, 1136A): Dhloi' de; ta; rJhta; to; eijsakouvesqai oujci; meta; to;
ejpikeklh'sqai, ajll∆ ejn tw/' ejpikalei'sqai. Toi'" ga;r aJgivoi" kai; pavnth ajkouvousi tw'n
qeivwn prostagmavtwn ejpaggeliva kekhvruktai kata; to;n profhvthn ÔHsai?an tov: “Eti la-
lou'nto" ktl.
1393 In questo senso FrPs 12 (13), 6 (PG 12, 1205A) insiste sull’assicurazione del-
l’esaudimento per coloro che pregano rettamente: ÔO de; eujpaqw;n ejpinivkion u{mnon pro-
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 449
2.7. Sal 108(109), 7: un modello in negativo – la preghiera del peccatore
Con Sal 108(109), 7 abbiamo un ulteriore indizio della compattezza
esegetica e teologica che contraddistingue la visione della preghiera in
Origene, pur senza voler ignorare le tensioni che essa indubbiamente rac-
chiude. Anche questo luogo scritturistico, infatti, costituisce una delle co-
stanti più significative, poiché l’Alessandrino vi ricorre regolarmente per
mettere a fuoco il suo paradigma normativo contrastandolo appunto con il
modello negativo della preghiera del peccatore1394. Non che mancassero
altri testi biblici suscettibili di illustrare un’esemplificazione e contrario,
come evidenzia lo stesso corredo di paralleli che si affiancano al nostro
salmo e gli conferiscono così un contesto interpretativo (in particolare
quelli attratti dall’immagine dell’incenso con il connesso motivo del «fe-
tore» opposto al «profumo» della preghiera genuina)1395, ma evidentemen-
te nessuno di essi si prestava meglio di Sal 108(109), 7 per l’Alessandri-
no. Il suo uso, suggerito già in Orat dal ricorso del termine-chiave pro-
seuchv, era in certo senso predeterminato dalla tradizione esegetica sul
salmo che fin da At 1, 16-20 lo aveva ricollegato a Giuda richiamando in
particolare il v. 8 («il suo incarico lo prenda un altro»)1396. Sappiamo
quanto la figura dell’apostolo traditore abbia impegnato la riflessione del-
l’Alessandrino nel corso degli anni, a cominciare da quel Commento alla
Genesi che offre lo sfondo più ravvicinato alla discussione delle aporie su
preghiera e libero arbitrio nel trattato, anche in risposta alla dottrina valen-
tiniana delle nature1397. Oltre a CGn III1398, troviamo tracce dell’interpreta-
zione del salmo in un frammento della IV Omelia su Atti conservatoci dalla
––––––––––––––––––
savgei levgwn: a[/sw tw/' Kurivw/ tw/' eujergethvsantiv me kai; yalw' tw/' ojnovmati kurivou tou'
uJyivstou, pragmatikw'" maqw;n to; pro;" tou;" eujcomevnou" kalw'" uJpo; tou' Kurivou levgo-
menon: “Eti sou lalou'nto" ejrw': ∆Idou; pavreimi (Is 58, 9). Levgei toi'" sunou'sin wJ" w|n
h[qelen e[tuce: dio; kai; uJmnei'. Ou{tw dei' kai; hJma'" kaq∆ eJkavsthn a/[dein eujergesivan th/'
qewriva/, kai; tw/' yavllein pra'xin ejpavgonta".
1394 Il dossier dei riferimenti in BP comprende i seguenti scritti: Orat V, 5 (note 13,
1397); CRm VII, 10 (nota 322); CRm X, 5 (nota 322, 1404); CMtS 27 (nota 1070); HLv V,
9 («Impariamo da ciò quanto grande macchia minacci la condizione umana dei peccatori,
dal momento che nasce un peccato anche là dove si offre la vittima di propiziazione» [tr.
Danieli, 120]); HIer XVIII, 10 (note 321, 474, 1100, 1170); FrIer 68 (note 474, 1100, 1170);
FrIob 20, 6 (nota 1405); FrIob 20, 6 (PG 17, 72D); Ps.Cat E (Cadiou) 108, 7 (96, 2); ?Ps.
Cat C (Pitra) (312, 27). Riferimenti in generale a Sal 108(109) si trovano in Orat XXIV, 5
(nota 321); CC II, 11 (nota 1400); CC II, 20 (nota 1401); CMtS 104 (nota 321).
1395 Ad esempio, Is 1, 13 (nota 1100) o Ger 18, 15 (nota 1191).
1396 Per altri salmi associati a Sal 108(109) si veda nota 323.
1397 Orat V, 5 (310, 27-311, 1: i{na tiv de; kai; ∆Iouvda" proseuvcetai, w{ste kai; th;n
proseuch;n aujtou' genhqh'nai eij" aJmartivan (Sal 108[109], 7), ajpo; tw'n Daui÷d crovnwn
prokhrucqei;" wJ" ajpolevswn th;n ejpiskoph;n (Sal 108[109], 8), eJtevrou lhyomevnou ajnt∆
aujtou' aujthvn… (si veda supra, pp. 106-107). L’indagine più recente sulla figura di Giuda in
Origene, con particolare riguardo a CIo, è offerta da Drecoll.
1398 CGn III = Phil 23, 8 (nota 323).
450 Parte seconda, Capitolo ottavo
Filocalia; esso s’interroga sulla sua esegesi prosopologica, distinguendo
le parti da attribuire alla persona di Cristo1399. Ma fin da Orat XXIV, 5
l’Alessandrino vede l’intero salmo come una «richiesta» (ai[thsi") perché
si attuino per Giuda le profezie che esso contiene a suo riguardo, idea ri-
badita anche in CMtS 104 nonché in CC II, 11 e II, 201400. Anche nel se-
condo passo dell’apologia egli identifica nel Salvatore il «soggetto che
parla» (to; provswpon levgon) nel salmo1401.
Nonostante l’interesse manifestato per il contenuto di Sal 108(109) in
generale, di fatto l’attenzione di Origene si appunta di preferenza su v. 7.
È implicito che l’associazione con Giuda ne qualifichi a priori l’uso per
esemplificare una preghiera che contrasta alla radice con la preghiera spi-
rituale, soprattutto per dare risalto alla condizione del peccatore come an-
titetica a quella del vero orante. Pertanto, l’uso che l’Alessandrino ne fa
nel nostro contesto non si commisura in alcun modo alla difficile situazio-
ne psicologica e spirituale di Giuda, come egli si è sforzato invece di pro-
vare nel Contro Celso, mettendo in luce il dramma interiore dell’apostolo
traditore e i fermenti di bene che ancora attecchiscono in lui. Né Origene
si richiama significativamente al nostro salmo nella trattazione ugualmen-
te intensa e partecipe che egli dedica alla figura di Giuda in CIo XXXII.
L’impiego di Sal 108(109), 7 prescinde insomma del tutto da quelle atten-
zioni e aperture che altrove si spingono a riconoscere, in varia misura, la
possibilità che anche il peccatore preghi. Esso serve a profilare un’alterna-
tiva spirituale netta – illustrata in particolar modo da HIer XVIII e FrIer
681402 –, mettendo così in guardia il cristiano perché non avvenga di lui
quel che è capitato a Giuda, secondo l’esortazione formulata in CRm VII,
––––––––––––––––––
1399 HAct IV = Phil 7, 2: ejn w|/ yalmw/' ta; peri; tou' ∆Iouvda gevgraptai ei[poi ti" a]n
o{ti ouj to; pneu'ma to; a{gion lalei': safw'" ga;r tou' swth'rov" eijsin oiJ lovgoi, levgonto": ÔO
qeo;" th;n ai[nhsivn mou mh; parasiwphvsh/": o{ti stovma aJmartwlou' kai; stovma dolivou ejp∆
ejme; hjnoivcqh: kai; ta; eJxh'", e{w": Kai; th;n ejpiskoph;n aujtou' lavboi e{tero" (Sal 108[109],
1-8). Secondo Harl (Philocalie, 1-20, 325 n. 3), «Origène n’a probablement pas commenté
ce psaume», mentre il problema prosopologico non è dei più rilevanti: «L’exemple fourni
par le Psaume 108, où l’hésitation est mineure (est-ce l’Esprit Saint ou est-ce le Christ qui
prononce ce verset prophétique?), est moins significatif que tant d’autres psaumes» (p. 331).
1400 CC II, 11 (140, 1-5): Eij de; dei' kai; peri; tou' ∆Iouvda duswphtikovn tina paraqev-
sqai lovgon, fhvsomen o{ti ejn th'/ bivblw/ tw'n yalmw'n o{lo" oJ eJkatosto;" o[gdoo" yalmo;"
th;n peri; tou' ∆Iouvda perievcei profhteivan, ou| hJ ajrchv: ÔO qeov", th;n ai[nesivn mou mh; para-
siwphvsh/", o{ti stovma aJmartwlou' kai; stovma dolivou ejp∆ ejme; hjnoivcqh (Sal 108[109], 1-2).
Su Orat XXIV, 5 e CMtS 104, cfr. supra, nota 321.
1401 CC II, 20: Peri; tou' ∆Iouvda toivnun ejn eJkatostw'/ kai; ojgdovw/ levgetai ejk pro-
swvpou tou' swth'ro" yalmw'/, ou| hJ ajrchv: ÔO qeov", th;n ai[nesivn mou mh; parasiwphvsh/": o{ti
stovma aJmartwlou' kai; stovma dolivou ejp∆ ejme; hjnoivcqh (Sal 108[109], 1-2). Kai; thrhvsa"
ge ta; ejn tw'/ yalmw'/ gegrammevna euJrhvsei" o{ti, wJ" proevgnwstai prodwvswn to;n swth'ra,
ou{tw" kai; ai[tio" w]n th'" prodosiva" kai; a[xio" tw'n ejn th'/ profhteiva/ legomevnwn dia; th;n
kakivan aujtou' ajrw'n.
1402 Si veda supra, p. 440.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 451
11 o l’avvertenza contro il rischio di «preghiere turpi» in CMtS 271403. È
quanto succede, stando a CRm X, 51404, per le azioni apparentemente buone
compiute dagli eretici, mentre un frammento delle Omelie su Giobbe lo
applica più specificamente alle loro preghiere, che sono votate alla perdi-
zione nell’atto stesso in cui le pronunciano1405. In questo senso, la cita-
zione di Sal 108(109), 7 concorre a sostenere la radicalità dell’atto orante
come manifestazione di una fondamentale santità di vita.

2.8. Es 17, 11: la preghiera e la lotta spirituale

La nota di radicalità, che contraddistingue la visione della preghiera


in Origene come appello esigente ad una vita santa, si combina con l’«ago-
nismo» dell’esistenza cristiana in lotta con le forze del male nell’uso, an-
ch’esso particolarmente significativo, di Es 17, 11. Benché la pericope
della battaglia d’Israele contro Amalek (Es 17, 8-16) sia più volte citata
dall’Alessandrino per questo o quel versetto, egli mostra di privilegiare
nettamente la scena centrale dell’episodio che vede Mosè intento a pre-
gare durante il combattimento (Es 17, 11): finché egli resiste con le mani
alzate in preghiera, gli Israeliti hanno la meglio sugli Amaleciti, ma
quando le lascia cadere, i nemici prendono il sopravvento1406. Con nostra
sorpresa il riferimento è assente dal discorso di Orat, dove – come sap-
piamo – Origene preferisce basarsi piuttosto su altri paradigmi di oranti
veterotestamentari, pur senza ignorare completamente il modello di Mosè.
––––––––––––––––––
1403 Cfr. supra, rispettivamente note 322 e 1070.
1404 CRm X, 5: «Perciò occorre vedere se per caso, anche qualora si realizzi presso
di loro una qualche buona azione, poiché essa non è fatta in base alla fede, non si tra-
sformi in peccato, così come è stato detto di uno: La sua preghiera diventi peccato (Sal
108[109], 7)» (tr. Cocchini II, 164).
1405 FrIob 20, 6 (PG 12, 1033B-C): ∆Ea;n ajnabh/' eij" oujrano;n aujtou' ta; dw'ra (Gb
20, 6). Kai; oJ aiJretiko;" o{tan eu[xhtai, o{tan hJ qusiva aujtou' ajnabh/' th/' uJyhgoriva/, o{tan
dokh/' katesthrivcqai, tovte eij" tevlo" ajpolei'tai: hJ ga;r eujch; aujtou' logivzetai aujtw/' eij"
aJmartivan (Sal 108[109], 7).
1406 Es 17, 11 è citato isolatamente in: CIo XXVIII, 5, 37 (nota 896); HEx III, 3 (nota
1346); HEx XI , 4 (note 589, 1223, 1346); HNm XIII, 4 (nota 1196); HIos I, 2 (289,1); HIos
I, 3 (nota 1414); HReL I, 9 (p. 366); FrIer 68 (nota 1100); FrPs 27 (28) (nota 1410);
?Ps.Cat A (117, B13); ?Ps.Cat B (481,32); ?Ps.Cat B (482,6); FrLc 257 ([336, 5-10] wJ"
ei[pevr ti" kavtw e[coi ta;" cei'ra" eij" ta; ghvi>na, oujk a]n ajnuvsai boulovmeno" eujlogei'n
tina, w{sper oujde; kavtw keivmenai aiJ Mwusevw" cei're" wjfevloun to;n laovn, a[ll∆ o{te ejphv-
ronto. touvtou suvmbolon h\n kai; hJ e[parsi" tw'n ceirw'n tou' swth'ro": tai'" ga;r uJpe;r a[n-
qrwpon pravxesin u{ywsen aujtou' ta;" cei'ra" kai; e[swse tou;" pisteuvonta". tavca toivnun
pa'" oJ tai'" pravxesin ejphrmevno" ejstauvrwtai). Inoltre, il nostro versetto compare in cita-
zioni cumulative, come Es 17, 8-16 in HEx XI, 3; Es 17, 8-13 in HNm I , 2 e HNm XXVII, 4;
Es 17, 9-11 in HNm XIX, 1 (nota 1116); Es 17, 10-13 in HNm XIX, 1 (178, 24–179, 1),
Ps.Cat E 118,47 (109,4) e FrLc 165 (infra, nota 1411); Es 17, 11-13 in HLv VI, 6 (no-
ta 1168).
452 Parte seconda, Capitolo ottavo
Più di quanto non avvenisse fin qui con i luoghi scritturistici che abbiamo
passato in rassegna, sembrerebbe dunque trattarsi di uno sviluppo special-
mente caro al predicatore. In effetti, la maggior parte delle citazioni com-
paiono proprio nel corpus omiletico, anche se spesso risultano accompa-
gnate dai riferimenti più costanti, a riprova della sostanziale stabilità del
dossier scritturistico principale (l’esempio più completo al riguardo è –
come si è visto prima – FrIer 68)1407. C’è anche un altro aspetto che si fa
luce nell’applicazione origeniana di Es 17, 11: egli lo riprende da una tra-
dizione esegetica anteriore che l’aveva sfruttato soprattutto per indicare
nella figura di Mosè orante a braccia levate il «tipo», o figura anticipata,
del Cristo in croce (laddove Giosuè è, a sua volta, anticipazione di Gesù
che sconfigge la potenza del male)1408. Tuttavia, come abbiamo visto a pro-
posito della I Omelia su Regni, l’Alessandrino tende a prendere le distan-
ze dalla lettura tipologica tradizionale: anche se egli non la respinge come
inadeguata, non l’assume però come elemento rilevante della propria inter-
pretazione. In pratica, il nesso fra il gesto orante di Mosè e la crocifissio-
ne rimane per lui, tutto sommato, un motivo secondario. Anzi, occasional-
mente Origene si spinge fino a ridimensionare ulteriormente la sua portata
cristologica per rilevare lo scarto che esiste fra Mosè e il gesto di Cristo
sulla croce: questi non solleva semplicemente le mani come fa il profeta,
bensì le distende aprendole quasi ad abbracciare il mondo (HEx XI, 4)1409.
Predomina invece, nella ripresa di Es 17, 11, l’interferenza simbolica
con il gesto delle mani alzate – attestato congiuntamente da 1Tm 2, 8 e Sal
140(141), 2 –, per cui l’accezione privilegiata dall’Alessandrino riporta
sempre al discorso sul perfezionamento spirituale: si tratta cioè di innalzare
la propria condotta di vita con le opere delle virtù, sola condizione che può
aiutare a sconfiggere le potenze nemiche. L’accento risulta dunque simile
a quello che emergeva nell’uso di 1Tm 2, 8 e Sal 140(141), 2, ma con la
differenza che il riferimento a Es 17, 11 fa intravedere più chiaramente lo
scenario del combattimento spirituale. Così, l’Alessandrino in un fram-
mento catenario su Sal 27(28), mentre ammette di aver già parlato ripetu-
tamente dell’«elevazione delle mani» e cita ancora una volta i due luoghi
paralleli più prossimi, ricollega questo gesto più direttamente alla batta-
glia con Amalek1410. A sua volta, un frammento su Lc – che pure rimanda
––––––––––––––––––
1407 Cfr. supra, nota 1100.
1408 Si veda supra, nota 508. Anche Origene riprende la collaudata tipologia di
Giosuè = Gesù, sviluppandola soprattutto in HIos; nel contesto del nostro passo si veda
HEx XI, 3 (255, 6-9): «ipse est qui confligit cum Amalech. Ipse est enim qui intrat in do-
mum fortis et alligat fortem et vasa eius diripit (cfr. Mt 12, 29)».
1409 Cfr. supra, p. 166 e nota 509. Il legame più esplicito con la croce si ritrova in
HEx III, 3.
1410 FrPs 27(28), 2 (PG 12, 1285B-C): Pollavki" ejlevgomen peri; th'" ejpavrsew"
tw'n ceirw'n. ∆Eph're Mwu>sh'" ta;" cei'ra", kai; kativscusen oJ ∆Israhvl: o{te de; kaqh'ke ta;"
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 453
anch’esso al parallelo con Sal 140(141), 2 – identifica tout court l’«eleva-
zione delle mani» con la «sconfitta di Amalek» 1411. L’esemplificazione
più organica dell’utilizzo di Es 17, 11 in chiave soprattutto morale e spiri-
tuale è data da un passo del Commento a Giovanni: anche qui le citazioni
convergenti di 1Tm 2, 8 e Sal 140(141), 2 sono funzionali a dare risalto al
paradigma di Mosè come orante vittorioso per la sconfitta dei nemici
spirituali1412.
Molto più marginale è lo sfruttamento di Es 17, 11 in rapporto al di-
scorso politico della preghiera, anche se proprio questo episodio biblico si
prestava indubbiamente per essere valorizzato in tal senso. Tuttavia, Ori-
gene ne ha fatto un uso abbastanza moderato, limitandosi ad alludere al
nostro passo in CC VIII , 69, a rinforzo di Es 14, 14 e Mt 18, 19. Qui, del
resto, preme all’Alessandrino rimarcare soprattutto l’efficacia della con-
cordia orante, che è una premessa indispensabile per l’esaudimento di-
vino di una richiesta collettiva: ora, nel caso della comunità cristiana, tale
efficacia risulta per lui tanto più grande di quella che Mosè potè assicu-
rarsi con la sua preghiera per il popolo d’Israele1413. Anche in HNm XIII, 4
la ripresa di Es 17, 11 è affiancata da Es 14, 14, ma in questo caso Ori-
gene dà maggiore risalto alla forza della preghiera come lo specifico del
popolo di Dio, antico e nuovo, in alternativa alla forza delle armi1414. In
conclusione, anche dall’esame dell’interpretazione di questo luogo scrit-
turistico emerge nuovamente la compattezza della prospettiva origeniana
sulla preghiera, sempre focalizzata su una costellazione di testimonia ab-
bastanza circoscritti, i quali rinviano ad alcuni assi di pensiero chiara-
mente individuabili nella loro portata strutturale.
––––––––––––––––––
cei'ra", kativscusen oJ ∆Amalhvk: kai;, ∆Epaivronte" oJsivou" cei'ra" cwri;" ojrgh'" kai; dia-
logismou' (1Tm 2, 8) kai;, “Eparsi" tw'n ceirw'n mou qusiva ejsperinhv (Sal 140[141], 2).
Ei[poimi a]n ou\n, o{ti aiJ cei're" hJmw'n eijsin aiJ kata; qeosevbeian pravxei". ∆Ea;n qhsau-
rivzwmen ejn oujranoi'", e[comen ta;" cei'ra" ejphrmevna" pro;" to;n Qeo;n, kai; nikw'men to;n
ejcqrovn: o{tan de; hJmw'n aiJ cei're" kavtw gevnwntai, ajnavgkh hJma'" nika'sqai. ”Otan ou\n
ejpaivrw ta;" ceirav" mou pro;" to;n Qeovn, kai; dia; tw'n ceirw'n th'" yuch'" uJyw'mai pro;" auj-
tovn, nika'tai uJp∆ ejmou' oJ ∆Amalh;k kai; oujdamou' ejstin. Oujkou'n dei' ejpaivrein cei'ra" pro;"
nao;n a{gion tou' Qeou'. ÔO nao;" de; tou' Qeou' dovxa ejsti;n tou' Qeou'.
1411 FrLc 165 (294, 18-21): pw'" de; ouj makavrioi kai; oiJ povde" oiJ mh; proskovyan-
te" mhde; saleuqevnte", ajll∆ wJrai'oi tw'n eujaggelizomevnwn ta; ajgaqav (Is 52, 7): kai; ma-
kavriai aiJ cei're", w|n hJ e[parsi" qusiva ejsperinhv (Sal 140[141], 2), kai; w|n hJ e[parsi"
nivkh me;n tou' ∆Israhvl, h\tta de; tou' ∆Amalhvk.
1412 Cfr. CIo XXVIII, 5, 36-37 (nota 896).
1413 CC VIII, 69 (286, 18-23): Eu[xontai ga;r tw'/ kai; provteron eijpovnti pro;" tou;"
ÔEbraivou" katadiwkomevnou" uJpo; Aijguptivwn lovgw/: Kuvrio" polemhvsei uJpe;r uJmw'n, kai;
uJmei'" sighvsesqe (Es 14, 14), kai; meta; pavsh" sumfwniva" eujxavmenoi pollw'/ pleivona"
dunhvsontai katalu'sai ejcqrou;" ejpidiwvkonta", h] ou}" kaqei'len hJ Mwu>sevw" pro;" to;n
qeo;n bow'nto" kai; tw'n su;n aujtw'/ eujchv.
1414 Cfr. supra, nota 1196. In HIos I, 2 Origene richiama l’episodio nel contesto
della riflessione su Mosè e Giosuè (Gesù), senza nesso con la preghiera.
454 Parte seconda, Capitolo ottavo
3. Le citazioni collaterali: complementi di riflessione su modalità e signi-
ficato della preghiera

Circoscritta in tal modo la costellazione dei passi biblici che ispirano


più direttamente e costantemente la riflessione di Origene sulla preghiera,
possiamo adesso tentare di approfondire la vasta “nebulosa” dei suoi rife-
rimenti scritturistici più occasionali e sporadici. Anche in questo secondo
gruppo si lasciano isolare alcune citazioni più significative, senza dover
passare in rassegna tutti gli obiter dicta. Si tratta di riferimenti che ven-
gono a completare, per così dire, il discorso su modalità e significato del-
l’atto orante, sia pure in via subordinata e collaterale rispetto alle coordi-
nate bibliche più frequenti, a volte affiancandosi a queste e in ogni caso
arricchendo il dossier più consueto. La visuale della preghiera secondo
l’Alessandrino non risulta modificata da tali riferimenti, bensì viene ad
essere ulteriormente ampliata e completata nelle sue linee fondamentali
che abbiamo già tracciato in precedenza.

3.1. Sal 122(123), 1: gli occhi del corpo e gli occhi dell’anima

Conviene in primo luogo considerare due citazioni che concorrono ad


approfondire il discorso su gesti esteriori e disposizioni interiori della pre-
ghiera: Sal 122(123), 1 e Sal 24(25), 1. Origene le abbina occasionalmente
in Orat IX, un passo peraltro cruciale per l’esito contemplativo, se non in
ipotesi “mistico”, dell’orazione nel trattato, sebbene altrove ricorra di pre-
ferenza alla prima che gli porgeva l’immagine degli «occhi» rivolti in al-
to 1415. Entrambe gli offrono comunque non solo la possibilità di completare
l’immagine esterna dell’orante – dopo che si è soffermato principalmente
sul gesto di braccia e mani levate in alto –, ma soprattutto di passare dagli
––––––––––––––––––
1415 Sal 122(123), 1 compare in: Orat IX , 2 (note 490 e nota 574); Orat XXIII , 4
([352, 15-17] wJ" ou\n ejn toi'" aJgivoi" ejnoikei', ou{tw" kai; ejn oujranw'/, h[toi panti; aJgivw/ kai;
forou'nti th;n eijkovna tou' ejpouranivou h] tw'/ Cristw'/, ejn w|/ eijsi pavnte" oiJ sw/zovmenoi
«fwsth're"» kai; ajstevre" tou' oujranou', h] kai; dia; tou;" ejn oujranw'/ aJgivou" katoikei'
<ejkei' kata;> to; eijrhmevnon: pro;" se; h\ra tou;" ojfqalmouv" mou, to;n katoikou'nta ejn tw'/
oujranw'/); CIo XXVIII, 4, 33 (nota 893); CMt XIII, 25 (249, 2-3); FrLc 14 ([232, 6-8] kai;
dia; panto;" to; th'" yuch'" o[mma pro;" qeo;n ajnateivnwn kai; pro;" aujto;n movnon blevpwn
kata; to;n levgonta: pro;" se; h\ra tou;" ojfqalmou;" mou, to;n katoikou'nta ejn tw/' oujranw/');
Ps.Cat E 120,1 (119,2); Ps.Cat E 120,1 (120,12); Ps.Cat E 122,1 (122,2). Un’allusione a
Sal 122(123), 1, non rilevata da BP, è giustamente segnalata da Danieli in HIs V, 3 (267,
12-13 [p. 118]): «Cum moritur rex pessimus, erigo ad caelum oculos et exaudit vocem
meam Deus»; invece, è più incerta in Prin IV, 1, 7 (304, 9-11), anche se non da escludere
del tutto: nu'n de; tw/' ejpavranti tou;" ojfqalmou;" safe;" o{ti oJ lovgo" kai; to; khvrugma para;
toi'" polloi'" deduvnhtai oujk ejn peiqoi'" sofiva" lovgoi"... ( 1Cor 2, 4). Quanto a Sal
24(25), 1, esso è citato due volte – rispettivamente Sal 24(25), 1-2 e Sal 24 (25), 1 – in
Orat IX , 2 (note 574, 585).
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 455
occhi del corpo agli occhi dell’anima, in linea con la dinamica di spiritua-
lizzazione che sorregge tutto quanto il suo discorso, così da configurare
l’elevazione interiore che si dà per l’anima orante nell’atto di pregare.
L’Alessandrino non mancava certamente di riferimenti scritturistici per ri-
flettere, alla luce della sua ermeneutica spirituale, sul gesto di «levare gli
occhi in alto», come attesta in particolare la trattazione di CIo XIII a pro-
posito di Gv 11, 41, dove egli raduna un piccolo dossier tematico1416. In ag-
giunta, poteva rifarsi a passi come Sal 120(121), 1 («Alzo gli occhi verso i
monti: da dove mi verrà l’aiuto?»), oppure Sal 85(86), 4 («Rallegra la vita
del tuo servo, perché a te, Signore, innalzo l’anima mia») e Sal 142(143),
8 («Al mattino fammi sentire la tua grazia, poiché in te confido. Fammi
conoscere la strada da percorrere, perché a te si innalza l’anima mia»), che
parlano entrambi di «innalzare l’anima» come in Sal 24(25), 11417. Tutta-
via, nessuno di questi altri luoghi è stato utilizzato da Origene per conno-
tare l’atto orante in quanto tale, anche se la sua riflessione sull’aspetto
degli occhi deve essere inquadrata in una cornice più ampia.
Non si può dimenticare l’importanza preminente che assume l’organo
della vista per la dottrina origeniana dei sensi spirituali: nell’antropologia
dell’«uomo interiore» gli occhi indicano la mente dell’essere razionale che
accede alla comprensione del mistero nascosto di Dio, conformemente al
frequente richiamo a Sal 118(119), 18 che compare nelle preghiere for-
mulate dall’Alessandrino al fine di pervenire all’intelligenza delle Scrit-
ture1418. L’apertura degli occhi e il loro innalzamento implicano dunque,
in generale, un processo di trascendimento della realtà immediata, che va
dal superamento del significato letterale del testo sacro e dell’ambito sen-
sibile fino ad arrivare alle realtà intellettuali e al loro culmine in Dio stes-
––––––––––––––––––
1416 CIo XIII, 42, 274 (267, 30-33) sottolinea la specificità scritturistica: Pollacou'
th'" grafh'" kei'tai to; ∆Epavrate tou;" ojfqalmou;" uJmw'n protrepomevnou hJma'" tou' qeivou
lovgou uJyou'n kai; ejpaivrein ta; fronhvmata kai; to; dioratiko;n kavtw pou keivmenon kai;
sugkuvpton, mh; duvnamenovn te ajnakuvyai eij" to; pantele;" metewrivsai. Cfr. anche supra,
nota 893, con gli ulteriori rinvii a Gv 4, 35 (ijdou; levgw uJmi'n, ejpavrate tou;" ojfqalmou;"
uJmw'n kai; qeavsasqe ta;" cwvra" o{ti leukaiv eijsin pro;" qerismovn); e Is 40, 26.
1417 Riferimenti a Sal 120(121), 1 figurano in CCt III, 12, 6 (205, 11); HGn V , 1
([58, 16-17] «perfectorum namque est dicere: Levavi oculos meos in montes»); HIos I, 5;
CMtS 44, su Mt 24, 20 ([89, 21-90, 2] «Qui autem fugit, debet cognoscere etiam locum ad
quem fugere debet, et orare etiam propter tempus. [...] Et qui fugit in istos montes dicat
Psalmum graduum sic habentem: Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mi-
hi»); FrPs 120 (121) (PG 12, 1628D); Ps.Cat E 120, 1 (119,1); Ps.Cat E 120, 1 (119,5+);
Ps.Cat E 120, 1 (120,7+); ?Ps.Cat (1632, B 3: ∆Egw; me;n h\ra, fhsi;, tou;" ojfqalmouv" mou
eij" ta; o[rh, tou;" aJgivou" ajggevlou", wJ" mevllwn uJpov tino" aujtw'n bohqei'sqai). Al contra-
rio, sia Sal 85(86), 4 che Sal 142(143), 8 non sembrano godere di attenzioni da parte di
Origene, nonostante il titolo di Sal 85 lo indichi come Proseuch; tw/' Dauid; BP indica ri-
spettivamente ?Ps.Cat C (148,18) e Ps.Cat E 142, 8 (132,1).
1418 Si veda supra, p. 267 e note 800, 1127. Circa gli «occhi» come organo del-
l’«uomo interiore», cfr. in particolare Dial 16; CC VII, 34.
456 Parte seconda, Capitolo ottavo
so. Si tratta essenzialmente di compiere un «esercizio spirituale», chiuden-
do gli «occhi del corpo» e aprendo invece gli «occhi dell’anima», com’è
esemplificato in una prospettiva di chiara impronta platonica nel passo
famoso di CC VII , 44, che rappresenta al meglio tale tematica, senza d’al-
tronde richiamare nessuno dei luoghi biblici evocati in precedenza1419. Se
la matrice filosofica risulta più nettamente percepibile nello scritto apo-
logetico, ciò non toglie che altrove Origene l’intrecci intimamente con i
dati scritturistici a sua disposizione. Basti ricordare quale attenzione egli
riservi a Gv 4, 35 («Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene
la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che
già biondeggiano per la mietitura») e agli altri passi biblici in cui ritorna
il motivo del «levare gli occhi» o quando richiama un’esperienza di vi-
sione1420. Così in CMtS 95, il sonno dei discepoli, mentre Gesù prega nel
Getsemani, dipende dal fatto che i loro occhi non sono ancora stati liberati
del gravame, che pesa su di essi, ad opera dello Spirito1421. A sua volta
HIs V, 3, a commento di Is 6, osserva che il profeta ricevette la visione di
Dio solo dopo la morte del re Ozia, intendendo in chiave spirituale che la
manifestazione divina può darsi unicamente dopo che si è debellata la
presenza del male, di cui Ozia è simbolo con la sua condotta riprovevo-
le1422. Nel caso di Isaia, l’esperienza visionaria esige preliminarmente un
processo di purificazione che solo può permettere di fruire della vista in-
teriore1423. È significativo che nella stessa omelia questo schema sia appli-
––––––––––––––––––
1419 Cfr. supra, nota 833.
1420 Ad esempio, in CMt XVI, 11 commentando la guarigione accordata da Gesù ai
due ciechi di Gerico (supra, nota 1006). Quanto a Gv 4, 35, oltre a spiegarlo diffusamente
in CIo XIII, 42, 274 (infra, nota 1423) e a richiamarlo in CIo XXVIII, 4, 31 (nota 893), Ori-
gene se ne serve anche in Orat XIII, 5 (329, 19–330, 1): panti; ga;r aJgivw/ kai; tw'/ ∆Ihsou'
gnhsivw" maqhteuvonti uJpo; tou' kurivou levgetai: ejpavrate tou;" ojfqalmou;" uJmw'n kai; qeav-
sasqe ta;" cwvra" o{ti leukaiv eijsi pro;" qerismo;n h[dh. oJ qerivzwn misqo;n lambavnei kai;
sunavgei karpo;n eij" zwh;n aijwvnion (Gv 4, 35-36). ejn tw'/ kairw'/ dh; touvtw/ tou' qerismou'
mevga rJh'ma oJ kuvrio" poiei' kat∆ ojfqalmou;" (1Sam 12, 16-17) tw'n ajkouovntwn tou;"
profhvta": ejpikalesamevnou ga;r tou' kekosmhmevnou tw'/ aJgivw/ pneuvmati pro;" to;n kuvrion,
divdwsin oJ qeo;" oujranovqen fwna;" kai; to;n potivzonta th;n yuch;n uJeto;n, i{na oJ provteron
ejn th'/ kakiva/ w]n fobhqh'/ sfovdra to;n kuvrion kai; to;n uJphrevthn th'" eujergesiva" tou' qeou',
aijdevsimon kai; sebavsmion di∆ w|n ejpakouvetai pefanerwmevnon.
1421 CMtS 95 (214, 29–215, 6): «Adhuc enim nondum amoverat ab oculis discipu-
lorum suorum gravamen inpositum, nec enim fuerat adhuc honorificatus (Gv 7, 39). Et
sicut nondum erat Spiritus Sanctus, quoniam Iesus nondum erat honorificatus, sic oculi
eorum nondum fuerant revelati a gravamine quoniam Iesus nondum fuerat honorificatus.
Unde non eos reprehendit, sed vadens iterum tertia vice oravit idipsum, docens et nos per
hoc ipsum, ut non deficiamus in oratione sed permaneamus in ipso verbo orationis, donec
impetremus ea quae postulare iam coepimus».
1422 HIs V, 3 (266, 21-23): «Quamdiu vero vixit leprosus, Isaias immunda labia ha-
buit; quamdiu vixit iniquus, non potuit Isaias Dominum Sabaoth videre».
1423 Secondo CIo XIII, 42, 278 (268, 9-14), chi è implicato nelle passioni o nelle
realtà materiali, non ha ancora «sollevato gli occhi»: Kai; oujdeiv" ge ejn pavqesin w]n kai; th/'
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 457
cato per parallelismo all’atto orante, che secondo l’Alessandrino si rende
possibile ed efficace solo nel momento in cui per colui che prega si deter-
mina una «conversione» dal male al bene; soltanto quando Satana muore
in noi, possiamo «innalzare gli occhi» a Dio, essere esauditi nelle nostre
suppliche e godere della sua visione 1424.
La pagina biblica conferisce qui all’«esercizio spirituale» della vista
interiore, con la dimensione orante che lo sostiene, un diverso spessore
dalla visuale più strettamente filosofica di CC VII, 44, facendolo rientrare
non solo in un percorso di conversione meno direttamente ispirato da
preoccupazioni intellettualistiche, ma anche segnalando la necessità del-
l’aiuto di Dio per intraprendere tale cammino 1425. Troviamo del resto una
situazione analoga nell’interpretazione del gesto degli occhi fornita da
Origene in CIo XXVIII, 4, alla luce del modello di Gesù orante in Gv 11,
41, anche con l’ausilio cumulativo di Sal 122(123), 1. Lo sguardo rivolto
al cielo non si risolve per il Salvatore nel mero trascendimento intellet-
tuale delle realtà sensoriali mediante un processo interiore di «anacoresi»
e di «anabasi» – che pure Gesù attua senza dubbio nella sua preghiera al
Padre –, poiché esso richiama al suo centro l’esperienza del colloquio
orante con Dio, attraverso la manifestazione di «parole grandi e celesti»
da parte di colui che prega il Padre1426. Inoltre, la spiegazione della scena
evangelica attira un secondo aspetto importante che concorre a disegnare
la cornice entro la quale bisogna intendere il valore del gesto degli occhi

––––––––––––––––––
sarki; prostethkw;" h] toi'" uJlikoi'" ejmpefurmevno", ejthvrhsen th;n levgousan ejntolhvn:
ejpavrate tou;" ojfqalmou;" uJmw'n , diovper oJ toiou'to" oujde; qeavsetai ta;" cwvra" ka]n w\sin
leukaiv pro;" qerismo;n h[dh. “Eti de; oujdei;" ejrgazovmeno" ta; e[rga th'" sarko;" ejph'ren
tou;" ojfqalmouv".
1424 HIs V, 3 (266, 28–267, 9) indica un’analogia con Es 2, 23: «Quamdiu vixit Pha-
rao, non suspiraverunt filii Istrahel et in poenis positi nec gemendi quidem liberam habuere
facultatem; vivebat quippe rex, qui imperabat iis et lateres et paleas facere. Quamdiu vixit
Pharao, non suspiraverunt ad Deum; cum mortuus est Pharao, tunc valuerunt madida ora
fletibus sustollere. Vivit rex malignus in pectore nostro, quamdiu vivit Pharao Zabulus.
Tunc lateres operamur et paleas, tunc lacrimas intra silentium devoramus et iniquitatis
opera prima facimus; cum autem mortuus fuerit Domino Deo nos visitante, tunc suspira-
mus ad Dominum. Idcirco oremus, ut regnum peccati, quod est in mortali nostro corpore,
moriatur».
1425 S’inserisce bene nel nostro contesto la riflessione di CIo X, 28, 172-173 (201,
14-22) sugli «occhi di colomba» che consentono di vedere per il dono dello Spirito: Oujde;
ga;r ajqovlwton hJmw'n ejstin to; hJgemonikovn, oujde; ojfqalmoi; oJpoivou" dei' ei\nai tou;" th'"
kalh'" nuvmfh" Cristou' ojfqalmouv", peri; w|n fhsin oJ numfivo": ∆Ofqalmoiv sou periste-
raiv (Ct 1, 15; 4, 1), tavca aijnissovmeno" th;n tw'n pneumatikw'n katanohtikh;n duvnamin,
dia; to; kai; to; pneu'ma to; a{gion wJ" peristera;n ejlhluqevnai ejpi; to;n kuvrion <∆Ihsou'n>
kai; to;n ejn eJkavstw/ kuvrion: ajll∆ o{mw" kai; ou{tw" e[conte" oujk ajpoknhvsomen, yhlafw'n-
te" tou;" eijrhmevnou" th'" zwh'" lovgou", peiraqh'nai labevsqai aujtw'n th'" ajporreouvsh"
eij" to;n meta; pivstew" aJyavmenon dunavmew".
1426 Cfr. CIo XXVIII, 4, 25 (supra, nota 879).
458 Parte seconda, Capitolo ottavo
per l’Alessandrino. Egli stabilisce infatti un confronto tra l’atteggiamento
di Gesù orante e quello del pubblicano (Lc 18, 13), che non osa alzare gli
occhi, riportando il discorso – come in HIs V, 3 – sulle condizioni spiri-
tuali di colui che prega. Di nuovo, anche se il paradigma ideale non viene
meno, la sua esemplarità effettiva deve essere commisurata ai singoli in-
dividui oranti con le loro diverse dinamiche di crescita spirituale.
Si può dunque riconsiderare conclusivamente il rilievo specifico dei
riferimenti scritturistici al gesto di levare gli occhi. Fatta eccezione per
Orat IX, 2, né Sal 122(123), 1 né tanto meno Sal 24(25), 1 godono di uno
statuto paragonabile a quello osservato in precedenza per le citazioni più
costanti. Il motivo è attestato più ampiamente nel testo biblico, anche a
prescindere da essi; di conseguenza, Origene lo ha richiamato spesso alla
luce di altri passi. Senza nulla togliere al significato fondamentale che il
tema della vista interiore riveste nella dottrina spirituale dell’Alessandri-
no, il suo discorso sulla preghiera lo sfrutta assai meno di quel che ci si
potrebbe aspettare. In tal senso, nessun altro scritto presenta una prospet-
tiva che sia direttamente paragonabile a Orat IX, 2, dove i nostri due ver-
setti sorreggono lo sviluppo più significativo ed originale della riflessione
origeniana sul rapporto fra preghiera e “mistica”. D’altra parte, neppure
la rilettura filosofica dell’orazione in CC VII, 44 si richiama espressa-
mente ad essi. Si è dunque tentati di constatare a prima vista una diversità
di accenti fra il trattato e il resto delle testimonianze sulla preghiera nel-
l’opera dell’Alessandrino. In realtà, il più ridotto ancoraggio scritturistico
del gesto degli occhi levati induce a pensare che, proprio in forza della sua
accezione filosofica più pregnante, si prestasse solo in parte a illustrare le
modalità e il significato dell’atto orante. Questo eccede invece di per sé la
configurazione esclusiva di un esercizio spirituale tout court, anche se ne
assume le forme, come Origene lascia intendere nel suo riepilogo in Orat
XXXI, 2 coniugando ancora una volta istanze filosofiche e motivi scrittu-
ristici alla luce dei passi evangelici sulla riconciliazione fraterna1427.

3.2. At 10, 9: la preghiera come “ascesa” – nell’unione di corpo, anima e


spirito

Fra i testimonia scritturistici a cui Origene attinge per il suo discorso


sulla preghiera, At 10, 9 («Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a
pregare») si è prestato a focalizzazioni diversificate. Esse investono sia il
tempo e il luogo destinati all’orazione, sia soprattutto – sulla scorta del-
l’indicazione locale – le disposizioni interiori con cui essa si attua. Seb-
bene la scena di Pietro orante, susseguente alla visione di Cornelio (del
––––––––––––––––––
1427 Si veda supra, nota 468.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 459
quale HNm XI, 3 ricorda con At 10, 4 le preghiere esaudite)1428, non rap-
presenti che il proemio ad un passo di ben altra rilevanza esegetica e dot-
trinale, proprio la sua connessione con esso non poteva non metterla in
evidenza nel complesso dei luoghi neotestamentari che descrivono l’espe-
rienza di preghiera della comunità primitiva. La consapevolezza dell’Ales-
sandrino al riguardo traspare dal fatto che l’ha inserito nel dossier delle
sue citazioni, pur facendone un uso contenuto 1429. Nel trattato Origene se
ne serve unicamente per stabilire su base scritturistica l’usanza di pregare
a mezzogiorno, quale preghiera «intermedia» nel ritmo giornaliero dei tre
tempi destinati all’orazione (Orat XII, 2)1430, mentre sfrutta più diffusa-
mente l’episodio di Giaffa (At 10, 1-15) nell’argomentazione sui cibi spi-
rituali a commento della quarta domanda del Padrenostro (Orat XXVII,
12). Nel secondo caso la scena della visione di Pietro è posta in relazione
con l’imminente incontro con Cornelio, senza tuttavia evocare la sua pre-
messa orante nell’apostolo, come avviene del resto anche in CC II, 1, dove
prova il definitivo superamento dell’economia della «lettera» in contrap-
posizione con il giudeocristianesimo1431. Analizzando il trattato, abbiamo
visto come l’Alessandrino nutra un interesse moderato per la questione
dei momenti consacrati alla preghiera nel ciclo quotidiano, sebbene la sua
testimonianza aiuti anch’essa ad illuminare lo sviluppo della «liturgia
delle ore» nel primo cristianesimo1432. Quando egli torna ad occuparsi di
un argomento affine nella polemica con Celso (CC VIII, 22), si preoccupa
di prendere le distanze dalla ritualità pagana ridimensionando l’importan-
za delle feste cristiane sia per il ciclo settimanale sia per le stesse cele-
––––––––––––––––––
1428 HNm XI, 3 (81, 13-16): «Denique invenimus ipsum Cornelium, antequam doc-
trinam verbi Dei vel gratiam baptismi susciperet a Petro, audisse ab angelo quia orationes
eius et eleemosynae adscendissent ad Deum (At 10, 4), unde et per ipsum angelum videtur
Deo primitiae oblatus esse Cornelius». Cfr. anche HNm III, 1.
1429 BP riporta le seguenti occorrenze di At 10, 9: Orat XII, 2 (nota 594); HLv VII, 5
(nota 497); HIer XIX, 13 (nota 1140). Rimanda altresì a CC II , 1 per At 10, 9-15. Origene
alterna la lezione uJperw/von invece di dw'ma (ajnevbh Pevtro" ejpi; to; dw'ma proseuvxasqai
peri; w{ran e{kthn) in CC II, 1.
1430 Orat XII, 2 (325, 7-10): kai; oJ Pevtro" de; ajnabaivnwn eij" to; dw'ma <peri;> th;n
e{kthn proseuvxasqai, o{te kai; eJwvra to; ejx oujranou' kaqievmenon skeu'o", tevtrasin ajr-
cai'" kaqievmenon, parivsthsi th;n mevshn tw'n triw'n eujch;n. Anche Tertulliano, De orat. 25
si serve del passo come testimonium per la preghiera di mezzogiorno.
1431 Orat XXVII, 12 (371, 12-15): koinwnei'n gou'n tw'/ eJkatontavrcw/ Kornhlivw/ kai;
toi'" a{ma sunacqei'sin ejn th'/ Kaisareiva/ oJ Pevtro" mevllwn meta; de; tau'ta kai; toi'" e[q-
nesi metadwvsein tw'n lovgwn tou' qeou', oJra'/ to; tevttarsin ajrcai'" kaqievmenon oujranov-
qen skeu'o" (At 10, 11). Si veda anche CC II, 1 (127, 2-5): Kai; oJ Pevtro" de; mevcri pollou'
faivnetai ta; kata; to;n Mwu>sevw" novmon ijoudai>ka; e[qh tethrhkevnai, wJ" mhdevpw ajpo; tou'
∆Ihsou' maqw;n ajnabaivnein ajpo; tou' kata; to; gravmma novmou ejpi; to;n kata; to; pneu'ma.
1432 Cfr. supra, nota 594. Per Phillips, 38-39, che si basa sia su Clemente Alessan-
drino (Strom. VII, 7, 40, 3) che su Origene, le tre ore di preghiera rifletterebbero la consue-
tudine in uso nella chiesa di Alessandria.
460 Parte seconda, Capitolo ottavo
brazioni di Pasqua e Pentecoste, onde ribadire il principio, molto pros-
simo alla prospettiva di un Clemente Alessandrino, che il «perfetto» vive
perennemente nello spirito della festa1433; proprio per questa via egli è in
grado di attuare quell’oratio continua che rappresenta il vero sacrificio
(CC VIII, 21)1434.
Una visuale siffatta spiega le ragioni per cui i successivi ricorsi di At
10, 9 si premurano di mettere in luce altri aspetti, senza più considerare le
circostanze temporali. Essi s’imperniano piuttosto sull’idea dell’«ascesa»
di Pietro per pregare in un «luogo elevato», cioè la «terrazza» (dw'ma) di
cui parla il nostro passo, scambiando peraltro questo termine con l’espres-
sione analoga «il piano superiore» (uJperw'/on) nella precedente scena di
At 1, 13-14 («13Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano.
C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso,
Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di
Giacomo. 14Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme
con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui»),
dove si descrive l’assiduità e la concordia oranti della prima comunità di
Gerusalemme in attesa della discesa dello Spirito1435. L’Alessandrino dà
qui risalto all’unanimità della preghiera della chiesa primitiva, ma non
perde di vista l’ambientazione locale, che lo porta a ripensare l’orazione
––––––––––––––––––
1433 CC VIII, 22 (239, 11-240, 2): ∆Ea;n dev ti" pro;" tau'ta ajnqupofevrh/ ta; peri; tw'n
par∆ hJmi'n kuriakw'n h] paraskeuw'n h] tou' Pavsca h] th'" Penthkosth'" di∆ hJmerw'n ginov-
mena, lektevon kai; pro;" tou'to o{ti oJ me;n tevleio", ajei; ejn toi'" lovgoi" w]n kai; toi'" e[rgoi"
kai; toi'" dianohvmasi tou' th'/ fuvsei kurivou lovgou qeou', ajeiv ejstin aujtou' ejn tai'" hJmevrai"
kai; ajei; a[gei kuriaka;" hJmevra": ajlla; kai; <oJ> ajei; paraskeuavzwn eJauto;n pro;" to;
ajlhqinw'" zh'n kai; ajpecovmeno" tw'n tou' bivou hJdevwn kai; tou;" pollou;" ajpatwvntwn kai;
mh; trevfwn to; frovnhma th'" sarko;" (Rm 8, 6) ajll∆ uJpwpiavzwn auJtou' to; sw'ma kai; dou-
lagwgw'n ajei; a[gei ta;" paraskeuav". “Eti de; oJ nohvsa" o{ti to; pavsca hJmw'n ejtuvqh Cri-
stov" (1Cor 5, 7), kai; crh; eJortavzein ejsqivonta th'" sarko;" tou' lovgou, oujk e[stin o{te ouj
poiei' to; pavsca, o{per eJrmhneuvetai diabathvria, diabaivnwn ajei; tw'/ logismw'/ kai; panti;
lovgw/ kai; pavsh/ pravxei ajpo; tw'n tou' bivou pragmavtwn ejpi; to;n qeovn, kai; ejpi; th;n povlin
aujtou' speuvdwn. Pro;" touvtoi" de; oJ dunavmeno" met∆ ajlhqeiva" levgein: Sunanevsthmen tw'/
Cristw'/ ajlla; kai; tov: Sunhvgeire kai; sunekavqisen hJma'" ejn toi'" ejpouranivoi" ejn Cristw'/
ajeiv ejstin ejn tai'" th'" Penthkosth'" hJmevrai", kai; mavlista o{te kai; eij" to; uJperw'/on wJ" oiJ
ajpovstoloi tou' ∆Ihsou' ajnaba;" scolavzei th'/ dehvsei kai; th'/ proseuch'/ (At 1, 14), wJ" a[xio"
genevsqai th'" feromevnh" pnoh'" biaiva" ejx oujranou', biazomevnh" ejxafanivsai th;n ejn
ajnqrwvpoi" kakivan kai; ta; ajp∆ aujth'", a[xio" de; kaiv tino" merismou' glwvssh" ajpo; qeou'
purivnh". In proposito si veda Buchinger 2005, 353-356: «Wie alle ihm bekannten Feiern
im Rhythmus der Zeit, unterzieht Origenes auch das Pascha einer spiritualisierenden Uni-
versalierung: durch seine moralische Praxis realisiere der Vollkommene die überkomme-
nen Festinhalte ohne zeitliche Einschränkung» (p. 355).
1434 CC VIII, 21 (239, 5-7): eJortavzei ge kata; ajlhvqeian oJ ta; devonta pravttwn, ajei;
eujcovmeno", dia; panto;" quvwn ta;" ajnaimavktou" ejn tai'" pro;" to; qei'on eujcai'" qusiva".
1435 Riferimenti a At 1, 13-14 figurano in CC VIII, 22 (supra, nota 1433); HIer XIX,
13; CRm X , 7 (806, 27-30). A loro volta, CMtS 121 rimanda ad At 1, 13, mentre HIos VII,
2 (nota 1540) e HIos IX, 2 (nota 1095) citano At 1, 14.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 461
secondo lo schema concettuale dell’«elevazione» interiore. Così in HIer
XIX, 13 sfrutta la coincidenza lessicale riscontrata fra At 1, 13 e Ger 20, 2
LXX – dove il profeta è «messo in ceppi nella prigione che si trovava pres-
so la porta superiore di Beniamino, nel tempio del Signore (ejn th/' puvlh/
Beniami;n tou' uJperw/vou ejn oi[kw/ kurivou)» –, per chiarire appunto il si-
gnificato spirituale di uJperw'/on, associandolo nel contempo a dw'ma come
suo sinonimo. Egli dichiara che il termine è da intendere alla stregua di
«mente innalzata e sollevata» e corrobora tale equivalenza con l’ausilio
di vari passi scritturistici, fra i quali le due scene di preghiera che com-
paiono in At 1 e At 101436. Essere sulla «terrazza» o nel «piano superiore»
significa allora per l’Alessandrino partecipare di una condizione spirituale
«elevata» dalla quale non bisogna «scendere», attenendosi al modello de-
gli apostoli, che in At 1, 14 si dedicano alla preghiera e alla Parola di Dio
e in tal modo pongono i presupposti spirituali per ricevere il dono dello
Spirito; altrettanto fa Pietro in At 10, 9, prima di fruire della visione ri-
guardo ai cibi. L’esegesi proposta dal predicatore, pur nutrita di numerosi
riferimenti alle Scritture, si appunta in sostanza sull’invito parenetico ad
innalzarsi, attirando a conclusione di questi spunti, anche l’immagine de-
gli occhi sollevati in alto, collegata all’allusione decontestualizzata a Is
37, 23 («Chi hai insultato e schernito? Contro chi hai alzato la voce e hai
elevato, superbo, gli occhi tuoi? Contro il Santo di Israele!»), quale ulte-
riore manifestazione dell’ascesa interiore1437. Anche se Origene evita nuo-
vamente di servirsi del termine ajnavbasi" per designare l’atto orante, egli
rimanda implicitamente a tale designazione attraverso l’uso ripetuto del
verbo ajnabaivnw1438.
Ritornando su At 10, 9 in HLv VII, 3 la riflessione dell’Alessandrino
fa un ulteriore passo in avanti, poiché mette meglio a fuoco la dinamica
spirituale della preghiera e va perciò oltre la sua generica riproposizione
in senso parenetico-morale come «elevazione». Conviene rammentare il
contesto dell’omelia, tra le più ricche di riflessioni interessanti il nostro
––––––––––––––––––
1436 HIer XIX, 13 (168, 31-169, 1): uJperw/'on de; to;n nou'n to;n uJyhlo;n kai; ejphrmev-
non deivxw <ejk > th'" grafh'", o{te marturei' toi'" aJgivoi" o{ti eij" ta; uJperw/'a tou;" profhvta"
uJpedevxanto.
1437 HIer XIX, 13 (169, 11-17): Kalo;n ou\n ejn uJperw/voi" ei\nai, kalo;n ejn dwvmasin
ei\nai kai; a[nw pou tugcavnein. kai; oiJ qaumavsioi de; ajpovstoloi, wJ" ejn tai'" Pravxesin
ajnagevgraptai aujtw'n, hJnivka ejpi; to; aujto; o[ntwn aujtw'n ejscovlazon tai'" eujcai'" kai; tw/'
lovgw/ tou' qeou', ejn uJperw/'w/ h\san. kai; ejpei; h\san ejn uJperw/'w/ oujk h\san kavtw. dia; tou'to
w[fqhsan aujtoi'" diamerizovmenai glw'ssai wjsei; purov" (At 2, 3). ajlla; kai; Pevtro", hJnivka
ajnevpempe th;n eujch;n tw/' qew/', ajnevbh eij" to; dw'ma (At 10, 9).
1438 HIer XIX, 13 (169, 33-170, 3): Dia; tou'to parakalou'men uJma'": ajnabaivnete
eij" u{yo" (cfr. Is 37, 24; 40, 9), ai{rete eij" u{yo" tou;" ojfqalmou;" (cfr. Is 37, 23) uJmw'n.
Kajmoi; dev, eja;n didavskw to;n qei'on lovgon, fhsi;n oJ lovgo": ∆Ep∆ o[ro" uJyhlo;n ajnavbhqi, oJ
eujaggelizovmeno" Siwvn: u{ywson th/' ijscuvi> th;n fwnhvn sou, oJ eujaggelizovmeno" ÔIerou-
salhvm: uJywvsate, mh; fobei'sqe (Is 40, 9).
462 Parte seconda, Capitolo ottavo
tema in tutto quanto il corpus dei sermoni. Il riferimento alla preghiera di
Pietro sulla «terrazza» interviene infatti dopo una serie di considerazioni
che riguardano dapprima il ruolo dei sacerdoti come intermediari delle
preghiere dei fedeli e intercessori per i peccatori (HLv VII, 1), quindi la
funzione unica spettante a Gesù in qualità di sommo sacerdote e media-
tore, sia pure nell’ambito della communio sanctorum che è attestata dal-
l’assistenza solidale dei santi, anch’essi partecipi nel dolore e nella gioia
delle sorti dei peccatori (HLv VII, 2). La scena di Giaffa interviene allora
come corollario sulla preghiera dei santi (HLv VII , 3). Origene si riallaccia
alla precedente riflessione sul luogo in cui Pietro prega, per osservare che
l’Apostolo non l’ha scelto a caso, bensì perché egli vive nello spirito
della Pasqua e come tale «ricerca le cose che sono in alto» (Col 3, 1-2).
L’argomentazione sembrerebbe ripercorrere la linea che già conosciamo,
riecheggiando accenti riscontrabili anche in CC VIII, 221439, ma l’Ales-
sandrino ci riserva una sorpresa. Non ritorna infatti semplicemente alla
nozione della preghiera come «elevazione», ma la caratterizza questa volta
come un’anabasi integrale, per cui l’ascensione orante di Pietro coinvolge
corpo, anima e spirito1440. Sappiamo del ruolo riconosciuto al corpo per
l’attuazione di una prassi orante nel trattato e in altri scritti, ma solo in
questo passo e in CC II, 51 Origene mette espressamente in gioco la sua
visuale antropologica per illustrare la manifestazione più compiuta della
preghiera. In entrambi i casi l’introduce nella forma di un’interrogativa
retorica, come se volesse evitare di disegnare in recto questa prospettiva.
Del resto, la contiguità di HLv VII, 3 con CC II, 51 è suggerita principal-
mente dalla coordinata spaziale, perché nell’apologia l’affermazione che
qui ci interessa cade nel contesto di una discussione sulla magia che oppo-
ne la pratica pagana a quella cristiana, sostenuta appunto dal ricorso alla
preghiera. Ma gli accenti sono, per così dire invertiti: mentre in HLv VII, 3
il coinvolgimento del corpo è dato per scontato e si tratta di sottolineare la
partecipazione dell’anima e dello spirito, in CC II, 51 l’elemento del cor-
po si aggiunge al «presupposto» di anima e spirito1441. In entrambi i casi,
––––––––––––––––––
1439 Cfr. supra, nota 1433.
1440 HLv VII, 4 (nota 497): «Non volle pregare in luoghi inferiori, ma salì in un
luogo alto... (At 10, 9). Giacché la volontà di un così grande apostolo non scelse un luogo
alto per la preghiera in maniera superflua, ma, per come penso io, per mostrare che Pietro,
in quanto era morto con Cristo, cercava le cose dell’alto... (Col 3, 1-2). Non ti sembra
che Pietro sia salito nel luogo alto non solo con il corpo, ma anche con l’anima e lo spi-
rito?» (tr. Danieli, 162-163).
1441 CC II, 51: tiv" d∆ ejn cwvra/ kaqara'/ kai; aJgiva/ genovmeno" kata; th;n yuch;n eJau-
tou' kai; to; pneu'ma, oi\mai de; kai; to; sw'ma, tw'/ qew'/, paradexavmeno" qei'ovn ti pneu'ma ta;
toiau'ta eij" wjfevleian ajnqrwvpwn kai; protroph;n th;n ejpi; to; pisteuvein qew'/ ajlhqinw'/
pravttei… Per l’interpretazione di questo passo si veda Fédou, 361-362 (nota 497); Sfa-
meni Gasparro 2003. Cfr. anche supra, nota 1344 (con riferimento a HNm XIII, 4) sui rap-
porti fra preghiera e magia.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 463
dunque, le formulazioni oblique lasciano intravedere l’elaborazione par-
ziale di un motivo che, pur essendo indubbiamente compreso nella visua-
le origeniana dell’atto orante, non dispiega appieno le sue potenzialità.
Senza voler rilevare, per così dire, un punctum dolens del suo discorso
sulla preghiera, ne ricaviamo piuttosto ancora una volta la constatazione
che il pensiero di Origene riflette altre priorità, per cui all’interno di una
antropologia tricotomica il binomio anima-corpo ha senz’altro il soprav-
vento. L’interpretazione di At 10, 9 corregge il tiro, ma non modifica l’im-
postazione predominante.

3.3. 1Gv 2, 1(-2): Gesù Cristo come intercessore presso il Padre

Insieme alla dimensione antropologica, il discorso di Origene tiene


sempre presente l’«orizzonte celeste» dell’orante con gli interlocutori che
lo animano: non solo per quanto riguarda la persona del Padre come desti-
natario primo della preghiera, pur con le distinzioni apportate nel corso
della nostra esposizione; accanto a lui, la riflessione eucologica dell’Ales-
sandrino considera egualmente la figura del Figlio come, per altro verso,
mette in gioco l’azione dello Spirito e, in subordine, di angeli e santi.
Ognuno di questi aspetti trova giustificazioni scritturistiche a vario titolo,
ma è specialmente la mediazione di Gesù Cristo come sommo sacerdote e
intercessore presso il Padre che è oggetto di riprese e sviluppi passando
dal trattato al resto degli scritti. Essi traggono spunto specialmente dal ri-
chiamo a 1Gv 2, 1(-2) («Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non
pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Pa-
dre: Gesù Cristo giusto. 2Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati;
non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo»), sebbene
la figura di Cristo come sommo sacerdote sia illustrata dall’Alessandrino
anche alla luce della Lettera agli Ebrei, come vediamo da Orat X, 21442.
––––––––––––––––––
1442 1Gv 2, 1(-2) è citato o alluso in Orat X , 2 (nota 559); Orat XV, 4 (nota 416);
Prin II, 7, 4 (nota 1444); CC VIII, 13 (note 412, 840); CIo I, 22, 138 (27, 23-26): ∆En de; th'/
kaqolikh'/ ejpistolh'/ oJ ∆Iwavnnh" paravklhton peri; tw'n yucw'n hJmw'n pro;" to;n patevra fh-
si;n aujto;n ei\nai levgwn; CIo I, 33, 240 (42, 28–43, 1): Oujde;n de; tw'n proeirhmevnwn ojno-
mavtwn th;n peri; hJmw'n pro;" to;n patevra prostasivan aujtou' dhloi', parakalou'nto" uJpe;r
th'" ajnqrwvpwn fuvsew" kai; iJlaskomevnou, wJ" oJ paravklhto" kai; <oJ > iJlasmo;" kai; to; iJla-
sthvrion: oJ me;n paravklhto" ejn th'/ ∆Iwavnnou legovmeno" ejpistolh'/: ∆Ea;n gavr ti" aJmavrth/,
paravklhton e[comen pro;" to;n patevra ∆Ihsou'n Cristo;n divkaion, kai; ou|to" iJlasmov" ejsti
peri; tw'n aJmartiw'n hJmw'n (1Gv 2, 1-2); CIo I, 33, 241; CIo I, 35, 255 (45, 13-18): <Auj>to;"
dh; oJ ta; tosau'ta tugcavnwn, oJ paravklhto", oJ iJlasmov", to; iJlasthvrion, sumpaqhvsa" tai'"
ajsqeneivai" hJmw'n tw'/ pepeira'sqai kata; pavnta ta; ajnqrwvpina kaq∆ oJmoiovthta cwri;" aJma-
rtiva", mevga" ejsti;n ajrciereuv", oujc uJpe;r ajnqrwvpwn movnwn ajlla; kai; panto;" logikou'
th;n a{pax qusivan prosenecqei'san eJauto;n ajnenegkwvn ; CIo I, 37, 267; CIo II , 34, 209
(92, 34-93, 4): ÔW" ga;r hJ qeosevbeia kekovsmhtai tw'n dia; mesivtou kai; ajrcierevw" kai;
paraklhvtou kai; ejpisthmonikw'" prosercomevnwn tw'/ tw'n o{lwn qew'/, skavzousa a]n eij mh;
464 Parte seconda, Capitolo ottavo
Tuttavia, già in questo passo – come farà poco più avanti in Orat XV, 4 –
egli collega fra loro i due titoli di ajrciereuv" («sommo sacerdote») e pa-
ravklhto" («avvocato» o «difensore»), fondendo così la prospettiva di Eb
con 1Gv 2, 1(-2); lo stesso fa anche nel Commento a Giovanni, dove tratta
ripetutamente della designazione del Figlio quale paravklhto", precisan-
do che questa epinoia «illustra il suo patrocinio presso il Padre in nostro
favore, la sua intercessione»1443. A sua volta, Prin II, 7, 4 stabilisce il di-
verso significato del termine, qualora venga applicato a Cristo o allo
Spirito, intendendolo nel primo caso con l’accezione di «avvocato» e nel
secondo di «consolatore»1444. Nel nostro contesto non ci interessa la pro-
blematica cristologica vera e propria (e neppure quella pneumatologica),
bensì la sua rilevanza per il discorso sulla preghiera, come appare impli-
citamente dal richiamo alla necessità della mediazione di Cristo «sommo
sacerdote e difensore» per il «culto di Dio» nel commentario giovanneo
(CIo II, 34, 209) 1445, ma soprattutto dall’uso ad hoc di 1Gv 2, 1(-2) nel
trattato. Nel primo dei due passi (Orat X, 2) l’interesse di Origene sembra
rivolto soprattutto a sviscerare le implicazioni del titolo di paravklhto"
attribuito al Figlio di Dio insistendo sull’idea che la sua mediazione
orante implica il coinvolgimento attivo di coloro che pregano. Si profila
così una sinergia tra l’intermediario presso il Padre e la persona dell’oran-
––––––––––––––––––
dia; th'" quvra" ti" eijsivoi pro;" to;n patevra, ou{tw" kai; hJ tw'n pavlai qeosevbeia th'/ nohvsei
kai; pivstei kai; prosdokiva/ Cristou' iJera; h\n kai; para; qew'/ ajpodekthv; CIo VI, 55, 285;
CIo VI, 59, 305; CCt III, 1, 12 (infra, nota 1444); CRm II, 5 (infra, nota 1452); CRm VII, 4
(infra, nota 1450); CRm VII, 8 (infra, nota 1450); HLv VII, 2 (nota 1211); HLv IX, 5 (p. 397
e nota 1215); HNm VIII, 1 (nota 1208); HNm IX, 4 (nota 1202); FrIob 35, 5-6 (PG 17, 96B):
∆Ea;n ajnablevyh/" eij" to;n oujrano;n kai; katanohvsh/" ta; nevfh, nohvsei" tiv h{marte". Tiv se
pra'xai dei'… Prosevrcesqai tw/' ajrcierei' kai; parakalei'n, i{na oJ ajrciereu;" prosagavgh/
qusivan peri; sou'.
1443 CIo I, 33, 240 (supra, nota 1442 [Corsini, 184]). In CIo I , 35, 255 Origene rac-
corda con paravklhto" l’epinoia ajrciereuv", sottolineando però l’aspetto sacrificale (Eb
9, 28) insieme alla compartecipazione alle infermità degli uomini (Eb 4, 15); cfr. anche
CIo VI, 55, 285 e CIo VI, 59, 304.
1444 Prin II , 7, 4 (151, 25–152, 7): «Consideremus ne forte aliud significet haec appel-
latio “paracleti” de salvatore, aliud de spiritu sancto. Videtur enim de salvatore “paracletus”
dici “deprecator”, utrumque enim significat in graeco “paracletus”, et “consolator” et “de-
precator”. Propter eum ergo qui subsequitur sermonem, quo ait quia ipse est repropitiatio
pro peccatis nostris (1Gv 2, 2), magis in salvatore nomen “paracleti” pro “deprecatore” in-
telligendum videtur; deprecari enim patrem pro peccatis nostris dicitur. De spiritu vero san-
cto “paracletus” “consolator” debet intellegi, pro eo quod consolationem praestat anima-
bus, quibus aperit et revelat sensum scientiae spiritalis». Si veda ugualmente CCt III, 1, 12
(174, 15-19): «Et ne mireris, si columbae simul dicantur, cum uterque similiter advocatus
dicatur, sicut Iohannes evangelista declarat Spiritum quidem sanctum dicens Paracletum
(cfr. Gv 14, 16-17), quod est advocatus; et de Iesu Christo nihilominus in epistola sua dicit
quia ipse sit advocatus apud Patrem (1Gv 2, 1) pro peccatis nostris». Sull’importanza della
distinzione di Origene per l’esegesi patristica, cfr. Pastorelli 2006a; Pastorelli 2006b, 91-94.
1445 Cfr. supra, nota 1442.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 465
te, corroborata dalla parabola sulla vedova e il giudice iniquo che contie-
ne il pressante invito a non venir meno nella preghiera (Lc 18, 1)1446. Se
le offerte presentate da Gesù al Padre come «sommo sacerdote» sono le
preghiere dei fedeli, il suo ruolo di «avvocato» e intercessore rafforza an-
ch’esso la necessità che i fedeli preghino. È evidente dunque come il ricor-
so di 1Gv 2, 1(-2) calzi qui perfettamente con la preoccupazione centrale
del trattato circa l’utilità della preghiera, grazie anche al supporto aggiun-
tivo di Lc 18, 1, che rientra – come sappiamo – fra i testimonia relativi al-
l’efficacia della preghiera1447. Invece, nel secondo luogo del trattato (Orat
XV, 4) il nuovo rinvio all’intermediazione orante del Figlio quale «som-
mo sacerdote» e «avvocato» sostiene adesso la raccomandazione a non
indirizzare la preghiera a lui bensì al Padre, in quanto anche il Figlio lo
prega come un «fratello» insieme a noi e per noi 1448. A distanza di anni,
Origene ritornerà sull’argomento in CC VIII, 13, riproponendo l’idea del-
l’ineludibile intermediazione di Cristo per le preghiere rivolte dai fedeli a
Dio, in quanto egli è «sommo sacerdote» e «propiziazione» per i peccati
(1Gv 2, 2), ancorché senza designarlo espressamente come «avvocato»1449.
Pur operando la suddetta distinzione semantica nel significato di pa-
ravklhto" con la relativa ripartizione di ruoli fra Cristo come «avvocato»
e lo Spirito come «consolatore», l’Alessandrino non ignora certo il ruolo
di intercessore che anche lo Spirito può assumere, soprattutto alla luce
del fondamentale passo di Rm 8, 26. Non a caso nel Commento a Romani
egli mette tale funzione dello Spirito direttamente in relazione a 1Gv 2,
1(-2), sostenendo appunto che egli «intercede per noi» allo stesso modo
di Gesù1450. Tuttavia, nel commentario paolino Origene avverte che l’in-
tercessione dell’«avvocato» giova nella misura in cui il fedele l’asseconda
con la propria condotta di vita, ricordando nel contempo come Cristo riu-
nisca in sé i ruoli, da un lato, di «vittima» e «sacerdote», dall’altro di «av-
––––––––––––––––––
1446 Orat X , 2 (320, 20-26): ajrciereu;" ga;r tw'n prosforw'n hJmw'n kai; pro;" to;n
patevra paravklhtov" ejstin oJ uiJo;" tou' qeou', eujcovmeno" uJpe;r tw'n eujcomevnwn kai; sum-
parakalw'n toi'" parakalou'sin, oujk a]n wJ" uJpe;r oijkeivwn eujxovmeno" tw'n mh; di∆ aujtou'
sunecevsteron eujcomevnwn oujd∆ a]n wJ" uJpe;r h[dh ijdivwn paravklhto" ejsovmeno" pro;" to;n
qeo;n tw'n mh; peiqomevnwn tai'" eij" to; dei'n pavntote proseuvceçqai kai; mh; ejkkakei'n di-
daskalivai" (Lc 18, 1).
1447 Sull’utilizzo di Lc 18, 1 si veda supra, pp. 352, 445.
1448 Orat XV, 4 (336, 1-4): ajdelfw'/ de; proseuvcesqai tou;" kathxiwmevnou" eJno;"
aujtw'n patro;" oujk e[stin eu[logon: movnw/ ga;r tw'/ patri; met∆ ejmou' kai; di∆ ejmou' ajnapemp-
tevon ejsti;n uJmi'n proseuchvn.
1449 Cfr. supra, nota 840.
1450 CRm VII, 4 (579, 45-47): «Sed videamus quid est quod dicit: ipse spiritus pro
nobis interpellat (Rm 8, 26). Hoc enim et Iohanes Iesum facere designat cum dicit: filioli
etc.». Anche CRm VII, 8 (598, 15-17), discutendo l’azione di Cristo come advocatus mette
in parallelo l’intercessione dello Spirito e quella del Figlio: «In superioribus Sanctus Spi-
ritus interpellat inquit pro nobis gemitibus inenarrabilibus; hic Christus Iesus qui mortuus
est et resurrexit ipse interpellat pro nobis».
466 Parte seconda, Capitolo ottavo
vocato» e «giudice»1451. È vero comunque che proprio 1Gv 2, 1(-2) atte-
sta come a nessuno degli stessi credenti in Cristo sia possibile sfuggire al
peccato 1452; di conseguenza, tutti sono rinviati al suo patrocinio di inter-
cessore. Di esso l’Alessandrino ha parlato con accenti inediti e toccanti
nelle Omelie su Levitico, sviscerando le implicazioni della “compartecipa-
zione” assicurata dal sommo sacerdote privo di colpa alle infermità degli
uomini peccatori (secondo le indicazioni della Lettera agli Ebrei), di cui
si fa «avvocato» e «difensore». Al tempo stesso egli ha rivisitato il patro-
cinio di «propiziazione» ad opera di Cristo attraverso l’interpretazione del
rituale del giorno dell’espiazione1453.

4. Nuovi affondi: prospettive inedite su dottrina e prassi della preghiera

Oltre ai luoghi scritturistici che per Origene rappresentano dei punti


di riferimento permanenti e a quelli che vi si affiancano e li integrano an-
ch’essi in forma strutturale, nel corso della sua opera egli ha acquisito
nuova ispirazione per l’immagine della preghiera da altri nuclei biblici
che ricorrono in forma più marginale e meno significativa in Orat oppure
vi sono del tutto assenti. Benché alcuni di tali passi siano trattati in ma-
niera occasionale, spesso sul filo del testo che è oggetto dell’esegesi im-
mediata dell’Alessandrino, per loro tramite egli arriva a mettere in luce
aspetti inediti o poco consueti nella sua riflessione sulla preghiera. In
ogni caso, più che con ripensamenti o revisioni della visuale elaborata nel
trattato, abbiamo a che fare con ulteriori approfondimenti che non solo
arricchiscono ancor più il ventaglio della nostra problematica, ma soprat-
tutto confermano le caratteristiche fondamentali del suo pensiero: anche
riguardo alla preghiera esso coniuga un modello ben definito nei suoi li-
neamenti essenziali con un dinamismo concettuale che rimane sempre
aperto a nuove idee.

4.1. 1Cor 14, 15: preghiera vocale, preghiera silenziosa

Ci si potrebbe chiedere se 1Cor 14, 15 non sia piuttosto da annove-


rare fra le citazioni collaterali, considerando anche l’entità del suo ricorso
––––––––––––––––––
1451 CRm VII, 8 (599, 38-42): «sicut ipse est hostia et sacerdos, et ipse est in forma
servi et in forma Dei, sic ipse est et advocatus et iudex».
1452 CRm II, 5 (130, 349-355): «Quotus enim quisque invenietur in terris, qui ita vi-
tam suam libret, ut in nullo penitus delinquat? Sed et Iohanes apostolus in epistula sua evi-
denter etiam opinionem huiusmodi notat, cum dicit: Si quis dicit, quia peccatum non ha-
bet, hic mendax est, et veritas in eo non est. Si autem confiteamur peccata nostra, habemus
advocatum apud patrem Iesum iustum, qui exorat pro peccatis nostris (1Gv 2, 1).
1453 Cfr. supra, pp. 395-398.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 467
in varî scritti e la concomitanza con taluni dei rinvii più costanti, ma
Völker ha enfatizzato la diversità della dottrina sulla preghiera in Orat,
specialmente rispetto alle omelie, basandosi fra l’altro sulla distinta inter-
pretazione che Origene vi avrebbe dato del nostro passo1454. Ora, è inne-
gabile che le attestazioni di 1Cor 14, (14-)15 nel corpus omiletico con-
corrano a sviscerare il tema della preghiera silenziosa meglio di quanto
egli avesse fatto in precedenza 1455. Eppure non sarebbe corretto sostenere
che tale aspetto fosse ignorato dal trattato, come si può notare ad un esame
approfondito dei due luoghi in cui troviamo citato il versetto paolino1456.
In Orat II, 4 il riferimento è inquadrato significativamente da Rm 8, 26 e
mira così a ribadire l’indispensabilità del soccorso dello Spirito perché
possa darsi la «preghiera spirituale», cioè l’orazione nella sua forma più
alta ed autentica. Se è vero che qui l’Alessandrino approfondisce essen-
zialmente l’iniziativa dello Spirito nell’orante, non manca però di notare
come essa sia finalizzata a far sì che anche la «mente» (nou'") preghi. Indi-
cando, sia pure en passant, l’organo della preghiera nella «mente», Orige-
ne pare rimandare implicitamente alla preghiera silenziosa, di cui del resto
è il primo interprete proprio lo Spirito1457. L’implicazione risulta forse più
––––––––––––––––––
1454 Si veda supra, p. 34 e note 91-92.
1455 Conviene considerare insieme 1Cor 14, 14-15: «14 Quando infatti prego con il
dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia intelligenza rimane senza frutto. 15 Che
fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo
spirito, ma canterò anche con l’intelligenza». Completando le indicazioni di BP si posso-
no raccogliere i seguenti riferimenti a 1Cor 14, 15, non tutti rilevanti ai fini del nostro
tema: Orat II, 4 (nota 1457); Orat XII, 1 (nota 1458); Prin II , 8, 2 (nota 749); CRm VII, 6
(pp. 325-326 e nota 978); RomCat B 46; HNm X, 3 (p. 363 e nota 1092); HNm XI , 9 (p. 364
e nota 1094); HEz II, 3 (nota 1093); FrIer 15 (nota 1463); FrEz 13, 3 (nota 1462); FrPs
29 (30), 5 (PG 12, 1293B); ?PsCat (1304 C 8); ?PsCat (1437 B 6); PsCat C (136, 15);
Fr1Cor 61; Fr1Cor 62; FrEph II, 43 (infra, nota 1459); FrEph III, 87. Troviamo invece ri-
ferimenti a 1Cor 14, 14 in HLv V , 8 (349, 11-13); HIos XX , 1 = Phil 12 ([390, 24-30]
“Estin ou\n plh'qov" ti ejn hJmi'n dunavmewn keklhrwmevnwn hJmw'n ta;" yuca;" kai; ta; swv-
mata: ai{tine", eja;n w\sin a{giai, th'" grafh'" ajnagignwskomevnh" wjfelou'ntai kai; givnon-
tai ijscurovterai, ka]n <oJ > nou'" hJmw'n <a[karpo" h/\ >, wJ" gevgraptai peri; <tou' glwvssh/ la-
lou'nto">, o{ti: To; pneu'mav mou proseuvcetai, oJ de; nou'" mou a[karpov" e[sti); HReG V, 9
(202, 10-13); FrIos (417, 29); FrIos (418, 23); FrIos (420, 27); RomCat B 48. FrIer 15
(205, 27-28) rinvia a 1Cor 14, 15 in forma diversa dal testo tràdito: proseuvcomai tw/' stov-
mati, proseuvcomai de; kai; tw/' noi? (cfr. Hannah, 254).
1456 Lo stesso Völker, del resto, è costretto ad ammetterlo (supra, nota 92).
1457 Orat II, 4 (301, 25-302, 6): ejcovmenon de; tou' tiv de; dei' proseuvxasqai kaqo;
dei' oujk oi[damen, ajlla; to; pneu'ma stenagmoi'" ajlalhvtoi" uJperentugcavnei tw'/ qew'/ (Rm
8, 26) to; proseuvxomai tw'/ pneuvmati, proseuvxomai de; kai; tw'/ noi?: yalw' tw'/ pneuvmati,
yalw' <de;> kai; tw'/ noi? (1Cor 14, 15). oujde; ga;r duvnatai hJmw'n oJ nou'" proseuvxasqai,
ejan; mh; pro; aujtou' to; pneu'ma proseuvxhtai oiJonei; ejn uJphkovw/ aujtou', w{sper oujde; ya'lai
kai; eujruvqmw" kai; ejmmelw'" kai; ejmmevtrw" kai; sumfwvnw" uJmnh'sai to;n patevra ejn Cri-
stw'/, eja;n mh; to; pneu'ma to; pavnta ejreunw'n, kai; ta; bavqh tou' qeou' (Rm 8, 27) provteron
aijnevsh/ kai; uJmnhvsh/ tou'ton, ou| ta; bavqh hjreuvnhke kai;, wJ" ejxivscuse, kateivlhfen.
468 Parte seconda, Capitolo ottavo
diretta in Orat XII , 1, dove egli illustra la potenza della «preghiera dei san-
ti» sulle forze del male, preludendo in certo senso allo sviluppo evagriano
della preghiera antirretica. In questo caso la «mente» (diavnoia) dell’orante
è richiamata insieme alla «bocca», onde inculcare il motivo, per così dire,
di una convergenza operativa fra l’uno e l’altro organo1458. Certamente non
vi è privilegio della preghiera silenziosa sulla preghiera vocale, a differen-
za di quanto avviene nelle omelie; semmai il modello suggerito sembre-
rebbe prevedere la duplice articolazione – silenziosa e vocale. Ma è chiaro
che la preghiera silenziosa è quella formulata dall’orante nella sua interio-
rità: non a caso il passo dettaglia quest’ultima secondo un’ampia gamma
delle designazioni più usuali nell’antropologia origeniana, includendo ac-
canto all’«anima» (yuchv) l’«organo direttivo» (hJgemonikovn) dell’essere
razionale, termine che rinvia indirettamente all’equivalente kardiva.
Lo sfruttamento di 1Cor 14, 15 per la riflessione sulla preghiera non
deve far dimenticare che l’Alessandrino mostra anzitutto un interesse di
natura antropologico-spirituale verso il passo paolino, che utilizza per arti-
colare il legame dinamico tra anima e pneuma e intravedere conseguente-
mente l’accesso alla conoscenza delle realtà divine. Ciò comporta peral-
tro una sua appropriazione non priva di tensioni, dovuta alla difficoltà di
combinarsi con lo schema triadico e gerarchico che soggiace all’antropo-
logia origeniana (corpo, anima e spirito). Così nel trattatello sull’anima di
Prin II, 8, egli opera una distinzione aggiuntiva, poiché introduce la «men-
te» come la componente chiamata ad unirsi più direttamente con lo Spi-
rito, attribuendo all’anima una posizione intermedia fra corpo e mente1459.
Tuttavia, il modello disegnato dalla “dogmatica” origeniana sul piano on-
tologico tende a convergere con quello tracciato in Orat a livello di prassi
––––––––––––––––––
1458 Orat XII, 1 (324, 13-20): Pro;" de; touvtoi" dunavmew" peplhrwmevnou" nomivzw
tou;" lovgou" th'" tw'n aJgivwn eujch'", mavlista o{te proseucovmenoi pneuvmati proseuvcon-
tai kai; tw'/ noi÷ (1Cor 14, 15), fwti; ejoikovti ajnatevllonti ajpo; th'" tou' eujcomevnou dia-
noiva" kai; proi>ovnti ejk stovmato" aujtou' uJpekluvein dunavmei qeou' to;n ejnievmenon nohto;n
ijo;n ajpo; tw'n ajntikeimevnwn dunavmewn tw'/ hJgemonikw'/ tw'n ajmelouvntwn tou' eu[cesqai kai;
to; ajdialeivptw" proseuvcesqe (1Ts 5, 17) ajkolouvqw" tai'" tou' ∆Ihsou' protropai'" eijrh-
mevnon para; tw'/ Pauvlw/ mh; fulattovntwn.
1459 Prin II, 8, 2 (154, 30–155, 4): «hac fortasse de causa evidentius nos Paulus do-
cere volens, quid sit per quod “ea, quae sunt spiritus”, id est spiritalia, intellegere possi-
mus, mentem magis quam animam spiritui sancto coniungit et sociat. Haec enim eum puto
ostendere cum dicit: Orabo spiritu, orabo et mente; psalmum dicam spiritu, psalmum di-
cam et mente». È interessante la quaestio sollevata dal confronto tra il passo paolino e 1Pt
1, 9: «si anima cum spiritu nec orat nec psallit, quomodo sperabit “salutem”» (II , 8, 3 [155,
10-11]). La relativa flessibilità dell’antropologia tricotomica è attestata anche da FrEph II,
43 (310), dove a commento di Ef 4, 23 («dovete rinnovarvi nello spirito della vostra men-
te») si formula una quaestio sullo «spirito della mente» accostandovi 1Cor 14, 15 come
luogo parallelo: ∆Episthvsei" ou\n eij, w{sper e[sti polla; pneuvmata kai; e{kastovn tini wj/keiv-
wtai, ou{tw" e[stin ti pneu'ma w/jkeiwmevnon hJmw'n tw/' noi?, o{per tou' noo;" hJmw'n ajpokaqai-
romevnou kai; pa'san ajpobalovnto" ajclu;n wj/keiwmevnon aujtw/' ajnaneoi' hJma'".
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 469
orante: se in Prin l’«anima» rinvia etimologicamente e ontologicamente
alla condizione originaria di «intelletto» o «mente», dalla quale essa è de-
caduta per la colpa antemondana, in Orat IX, 2 l’«anima» è chiamata ad
innalzarsi e unirsi allo «pneuma», anzi a trasformarsi essa stessa in «pneu-
ma»1460. Benché Origene non citi 1Cor 14, 15 nel contesto di questo passo,
i due concetti-chiave del luogo paolino – «pneuma» e «mente» – non po-
tevano non evocare per lui lo scenario antropologico connesso al proces-
so di trasformazione spirituale ad immagine del Figlio, che egli illustra
soprattutto alla luce di 2Cor 3, 18. La medesima prospettiva riappare in
CRm VII, 6, sebbene essa vi si esplichi con un’accentuazione più forte del
mistero che si compie nell’anima orante per l’intervento dello Spirito,
com’è indicato dall’Apostolo in Rm 8, 26-271461. Anche HEz II, 3 rimane
in sostanza sulla stessa lunghezza d’onda, quantunque vi si possa intrave-
dere un accenno alla preghiera nell’intimità del «cuore» («qui sensus ha-
bet in corde habitaculum») da parte di un orante che è «santo», analoga-
mente alla prospettiva già abbozzata dal trattato. D’altra parte, in questa
omelia l’Alessandrino ricollega di preferenza il passo alle problematiche
dell’intelligenza spirituale, con la comprensione del mistero divino nella
sequela dello Spirito, a cui anche il predicatore si augura di poter parteci-
pare1462. Lo stesso dicasi dell’utilizzo di 1Cor 14, 15 in FrIer 15, che ar-
gomenta analogamente la verità della rivelazione profetica con il rinvio al
passo paolino, o di FrEph III, 87, secondo cui la «parola che risana scorre
dallo Spirito divino» e aiuta «coloro che “in ogni occasione pregano” (Ef
6, 18) e pregano nello Spirito»1463.
––––––––––––––––––
1460 Cfr. supra, pp. 189-193.
1461 CRm VII, 6 (p. 325 e nota 978).
1462 HEz II, 3 (supra, nota 1093). Si veda anche FrEz 13, 3 (PG 13, 804, 46): Oujai;
toi'" profhteuvousin ajpo; kardiva" aujtw'n. ÔO poreuovmeno" ojpivsw tou' pneuvmato" aujtou'
toi'" qelhvmasi th'" yuch'" ajkolouqei': oJ poreuovmeno" ojpivsw tou' aJgivou pneuvmato", ojpiv-
sw Kurivou tou' Qeou', poiw'n aujtou' ta; qelhvmata. [...] Toi'" poreuomevnoi" ojpivsw tou'
pneuvmato" aujtw'n oJ ∆Apovstolo" levgei: Proseuvxomai ktl.
1463 FrIer 15 (205, 22-28): nou'" ga;r ejpibavllwn pravgmasi cwri;" qeou' bohqeiva"
o{rasin kardiva" oujk ajpo; stovmato" lalei' tou' corhgou'nto" eijpei'n kai; fwtivzonto". e[sti
de; o{te suntrevcei kardiva" o{rasi" kai stovmato" kurivou lovgo": o{qen oujk ajplw'" yevgei
th;n o{rasin th'" kardiva", a[ll∆ o{tan mh; prosh/' to; e{teron. suntrevcei de; para; tw/' levgonti:
proseuvcomai ktl. Quanto a FrEph III, 87 (362), a quanto pare, è l’unico passo in cui ri-
corre Ef 6, 18 («Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche
nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi»),
che Origene associa a Eb 4, 12, per cui la Parola di Dio tevmnei te kai; diairei', ajnuvwn kai;
dia; th'" proseuch'" kai; dehvsew" toi'" ejn panti; kairw/' proseucomevnoi" kai; proseucomev-
noi" pneuvmati kata; to; proseuvxomai pneuvmati (1Cor 14, 15). kai; ajnuvei toi'" uJpe;r tou'
plouth'sai ejn rJhvmati qeou' (Eb 4, 12) ajgrupnou'si, kai; proskartepou'si th/' touvtou kthv-
sei, ejpi; tw/' kai; a[llou" wjfelh'sai kai; toi'" wfelou'si dia; tw'n eujcw'n ejnergh'sai. Nessun
acquisto diretto per il nostro tema ci viene invece da Fr1Cor 61-62, che vertono entrambi
sulla dimensione ecclesiale e l’intelligenza spirituale delle Scritture.
470 Parte seconda, Capitolo ottavo
È dunque solo con le Omelie su Numeri che Origene sente il bisogno
di soffermarsi espressamente sulla distinzione fra preghiera silenziosa e
preghiera vocale, benché la sua riflessione avesse posto altre premesse per
questo ulteriore sviluppo, sia pure – come vedremo fra breve – senza pas-
sare necessariamente per il nostro luogo paolino1464. In HNm X, 3, 3, sta-
bilendo un collegamento fra l’immagine dei due altari (Es 20, 24; 27, 1)
e la «cameretta» di Mt 6, 6, egli adduce 1Cor 14, 15 a conferma di due
distinte manifestazioni oranti: l’una esteriore e vocale, l’altra interiore e
silenziosa. Nel contesto di questa omelia non traspare però alcun giudizio
di valore implicante una gerarchizzazione a favore dell’orazione in silen-
zio, né lo si avverte nella successiva (HNm XI, 9), dove l’Alessandrino
ripropone alla comunità l’intima dinamica dell’atto orante. Adesso il ri-
chiamo alla preghiera silenziosa serve soprattutto a far in modo che la pre-
ghiera dei fedeli, da intendersi evidentemente come l’espressione voca-
le che si realizzerà a conclusione dell’omelia, giunga ad attuarsi con una
piena concentrazione interiore1465. In sostanza, più che immaginare una
preghiera silenziosa concepita in forma autonoma, cogliamo semmai l’in-
vito a realizzare l’accordo fra preghiera della bocca e preghiera del cuore.
Nessuno dei due passi tende dunque a privilegiare apertamente la preghie-
ra fatta nel silenzio e tanto meno a conferirle una valenza “mistica” par-
ticolare.
In realtà, l’importanza dell’orazione silenziosa quale espressione forte
della «preghiera dei santi» emerge in Origene entro diversi contesti, ma
senza che egli la riconduca unicamente all’interpretazione di 1Cor 14, 15.
Infatti l’ha evocata specialmente grazie al richiamo a Rm 8, 26-27 e attra-
verso le figure esemplari di oranti, da Gesù ai santi dell’Antico Testa-
mento, in primo luogo Mosè. Commentando, ad esempio, in EM 29 le pa-
role pronunciate da Gesù nell’orto del Getsemani secondo Mt 26, 39 («Pa-
dre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio
io, ma come vuoi tu!»), l’Alessandrino suppone che Gesù «abbia rifiutato,
del martirio, questa specie di morte e ne abbia implorato, forse in silenzio,
una più dolorosa, per così procurare per mezzo di quest’altro calice, un
beneficio più universale ed esteso a un numero più grande di uomini»1466.
Si potrebbe pensare che anche nella scena della resurrezione di Lazzaro il
Salvatore formuli comunque una preghiera silenziosa (secondo lo schema
che prevede l’esaudimento nell’atto stesso della sua formulazione per
––––––––––––––––––
1464 HNm X, 3, 3 (nota 1092).
1465 HNm XI, 9 (nota 1094).
1466 EM 29 (26, 5-10): kai; provsce" eij dunato;n ejnorw'nta to;n swth'ra toi'" ei[de-
sin, i{n∆ ou{tw" ojnomavsw, tw'n pothrivwn kai; toi'" di∆ e{kaston genomevnoi" a]n, kai; kata-
lambavnonta metav tino" baqutavth" sofiva" ta;" diafora;" tovde to; ei\do" th'" ejxovdou pa-
raitei'sqai tou' marturivou a[llo de; tavca baruvteron aijtei'n lelhqovtw", i{na kaqolikwv-
terovn ti kai; ejpi; pleivou" fqavnon eujergevthma ajnusqh'/ di∆ eJtevrou pothrivou.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 471
l’orante che sia giusto o santo)1467, se non fosse che Origene insiste espres-
samente sulla prerogativa di Cristo rispetto ai «santi», in forza della quale
è esaudito dal Padre senza neppure aver bisogno di formulare la sua richie-
sta1468. D’altronde, l’Alessandrino sottolinea sia nel Commento a Giovan-
ni sia nel Commento a Matteo la forza della parola di Gesù, mettendola
piuttosto a confronto con il suo silenzio autoimposto, il quale non dà
luogo come tale al manifestarsi della sua potenza divina1469. L’apparente
contrasto tra le due preghiere di Cristo in croce – il grido di derelizione in
Mt 27, 46 e la vox magna del Crocifisso prima di morire in Mt 27, 50 – e
la preghiera silenziosa dei santi ai quali lo Spirito, secondo Origene, dà
voce nel silenzio, forse potrebbe essere risolto intendendo la duplice pre-
ghiera di Gesù crocifisso con 1Cor 14, 15, cioè quale preghiera vocale a
beneficio degli astanti, e più in generale degli uomini chiamati alla sal-
vezza, e come espressione del ruolo sacerdotale che Cristo assume nel
suo sacrificio.
Nondimeno, come si è già accennato, il modello della «preghiera dei
santi» quale preghiera silenziosa rimanda piuttosto a Rm 8, 26-27 asso-
ciandovi all’occorrenza altri luoghi scritturistici, tra cui Es 14, 14 («Il Si-
gnore combatterà per voi e voi starete in silenzio»), che l’Alessandrino
sfrutta principalmente – come si è visto in precedenza – per mettere in luce
la rilevanza politica della preghiera1470. Fin dal VI libro del Commento a
Giovanni, e pertanto più o meno in contemporanea con la stesura del trat-
tato, egli attua già la distinzione fra preghiera vocale e preghiera silen-
ziosa mettendola in rapporto con la figura di Mosè e la sua intercessione
presso Dio a beneficio d’Israele, con il conforto di Es 14, 15 («Il Signore
disse a Mosè: “Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di ripren-
dere il cammino”»). Ora, non si deve pensare che Mosè gridasse verso
Dio con uno «strepito sensibile», dal momento che faceva ricorso alla
«voce intelligibile di coloro che pregano», «quella voce che può essere
––––––––––––––––––
1467 È il modello contemplato, ad esempio, dal testo attribuito a Origene in FrPs 3, 5
(PG 12, 1124A-B), dove si chiede perché l’esaudimento preceda la preghiera? L’aporia è
risolta in due possibili modi: a) è l’annuncio della preghiera avvenuta, secondo una dina-
mica «preghiera silenziosa – esaudimento» che richiede di anticipare il «ringraziamento»
alla «narrazione» (Oujci; eujchv ejsti to; legovmenon ejnqavde, ajll∆ ajpaggeliva peri; tou' th;n
eujch;n gegonevnai. ∆Epei; ga;r eujch; kata; to; siwpwvmenon gevgone, kai; a{ma tw/' eu[xasqai
ejpevtuce, labw;n o} ejbouvleto oJ th;n e[nteuxin tw/' Qew/' prosagagw;n kalw'" protavssei th;n
pro;" Qeo;n eujcaristivan th;n pro;" ajnqrwvpou" dihghvsew" peri; tou' tivna eu[xato); b) l’ini-
zio del salmo contiene di fatto una preghiera e di seguito un ringraziamento, che è la spie-
gazione ritenuta migliore. Cfr. anche FrPs 16 (17), 6 (nota 1476).
1468 Si veda supra, pp. 296-298.
1469 Cfr. rispettivamente CIo XIX, 10, 60 (supra, nota 1041) e CMtS 135 e CMtS
138 (supra, pp. 346-349).
1470 Si veda supra, pp. 274, 453. Es 14, 14 compare in CC VIII, 69 (nota 822);
Ep.Fir (250,9-10); HEx XI , 3; HNm XIII, 4 (nota 1196); HIud VI , 2; ?Ps.Cat C (45,19).
472 Parte seconda, Capitolo ottavo
udita da Dio solo»1471. Anche in HEx V , 4 il profeta offre il paradigma
della preghiera silenziosa, ma in questo caso Origene va al di là dell’al-
ternativa sensibile/intelligibile per mettere in evidenza il protagonismo
dello Spirito con il rinvio sia a Gal 4, 6 («E che voi siete figli ne è prova
il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che
grida: Abbà, Padre!») sia a Rm 8, 26-27: quando lo Spirito intercede in tal
modo presso Dio, «si ascolta il suo clamore attraverso il silenzio dei
santi»1472. È significativo che l’Alessandrino riprenda qui Gal 4, 6, un
passo paolino sfruttato da lui assai meno di quanto ci si potrebbe aspet-
tare, ma che compariva fin da Orat II, 3 unitamente alla citazione di Rm
8, 26-271473. Dunque, il motivo della presenza dello Spirito che anima la
preghiera nei cuori dei santi era ben radicato anche nel trattato, sebbene
Origene non l’abbia enucleato allora come avrebbe fatto in seguito.
Il motivo è assai frequente nei frammenti sui Salmi, a cominciare da
FrPs 3, dove Origene commentando il v. 5 («Al Signore ho gridato con la
mia voce e mi ha ascoltato dal suo monte santo») richiama due suoi luo-
ghi chiave a sostegno dell’idea che «spesso la preghiera dei santi a Dio si
attua mediante un grido». Infatti, con il primo di essi rimanda all’esempio
di Gesù in Gv 7, 37 («Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa,
Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e
beva”»), su cui l’Alessandrino si è soffermato nel Commento a Giovanni,
ricollegando all’«alta voce» del Salvatore anche la preghiera di Mosè1474.
Nell’introdurre pure qui l’implicazione insita nel «grido» di preghiera,
che rinvia alla «voce intelligibile» quale «voce dell’anima», il testo pro-
segue con un’affermazione di carattere generale basata sul secondo testi-
monium scritturistico: è lo Spirito che grida nei cuori dei santi, secondo
quel che attesta Paolo in Gal 4, 6; è lo Spirito, dunque, che parla nel loro
hJgemonikovn. Coloro che gridano a Dio con questa «voce intelligibile»
hanno la garanzia dell’esaudimento, anche se questo rimane sempre a di-
screzione del volere divino 1475. Come appare già da FrPs 3, la «voce»
––––––––––––––––––
1471 CIo VI, 18, 101 (127, 14-21 [tr. Corsini, 318]): ∆Ea;n de; mh; pantelw'" h\/ hJ nohth;
tw'n eujcomevnwn fwnh; megavlh kai; ouj bracei'a, oujde; a]n aujxhvswsi th;n boh;n kai; th;n
kraugh;n ajkouvei tw'n ou{tw" eujcomevnwn oJ qeo;" oJ levgwn pro;" Mwseva: Tiv boa'/" pro;" mev
(Es 14, 15) oujk aijsqhtw'" bebohkovta < ouj ga;r ajnagevgraptai tou'to ejn th'/ ∆Exovdw/ <, me-
gavlw" de; th;n ajkouomevnhn movnw/ qew'/ fwnh;n bebohkovta dia; th'" eujch'". Dia; tou'to kai;
Dabivd fhsi: Fwnh'/ mou pro;" kuvrion ejkevkraxa kai; ejphvkousevn mou (Sal 3, 5).
1472 HEx V, 4 (supra, nota 555). Cfr. anche Gerolamo (Origene?), Tr. in Ps. 5, 2;
76, 3; 149, 6, dove si dice che il cuore di Mosè gridava: «Abbà, Padre» (tr. Coppa, pp.
105, 167, 561).
1473 Si veda supra, nota 181.
1474 CIo VI, 18, 100-101 (supra, nota 1471).
1475 FrPs 3, 5 (PG 12, 1124C-D): Divdwsi toivnun hJmi'n oJ ∆Apovstolo" ajformav",
eijpw;n to; pneu'ma kaqolikw'" ejn tai'" kardivai" tw'n ajgivwn kravzein: ∆Abba' oJ Pathvr (Gal
4, 6), wJ" e[sti nohth; kraugh; ejpitetamevnh, h{ti" dhv ejsti fwnh; yuch'", h/| tavca crh'tai ajpo-
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 473
intelligibile dell’anima diventa «grido», quando la mente orante riflette
sulle «realtà più grandi», allusione abbastanza riconoscibile all’agraphon
sui «beni grandi e celesti», che è citato direttamente in FrPs 41476.
Anche questo salmo si prestava per Origene ad una nuova riflessione
su «preghiera vocale» e «preghiera silenziosa», poiché Sal 4, 4 ripropone
il binomio grido-esaudimento («riconoscete che il Signore fa prodigi sul
suo santo; il Signore mi esaudirà nel mio gridare a lui»). Respinta subito
l’idea che si tratti di una voce sensibile che percuota l’aria con più vigore,
la voce di colui che grida a Dio è per l’Alessandrino il «discorrere puro e
immacolato dell’egemonico attraverso le parole indirizzate a lui»1477. È
l’atto che si compie nel silenzio della propria interiorità, sul modello del
ritirarsi nella propria «cameretta» descritto da Mt 6, 6, mediante il trascen-
dimento della realtà sensoriale e corporea. Ed è di nuovo una «voce» che
solo Dio può ascoltare, conformemente a quella articolata da Mosè in
Es 14, 15, secondo il paradigma ormai familiare. Così, la riflessione del-
l’Alessandrino sulla preghiera silenziosa riconduce lo schema dell’atto
orante quale «esercizio spirituale» finalizzato ad un’anabasi intelligibile
come in CC VII, 44. Ma si osservi come la sua riproposizione sia accompa-
gnata ancora una volta dal richiamo ai «beni grandi e celesti»: la preghie-
ra silenziosa non è rinuncia al «discorso» (dievxodo") fra l’orante e Dio,
bensì è la formulazione di parole e pensieri ispirata dal logion di Gesù
quale criterio normativo per l’orazione al Padre1478. Anche in questo caso,

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qemevnh to; o[rganon di∆ ou| toiau'ta fwnei'. Kai; oijovmeqav ge th;n logikh;n dievxodon th;n ejn
tw/' hJgemonikw/' kat∆ aujto; givnomevnhn th;n th'" yuch'" ei\nai fwnhvn: h} eja;n de; h/\ pragmati-
kwtevra, kai; peri; meizovnwn tinw'n kai; mh; kavtw keimevnwn kai; tapeinw'n diexodeuvousa,
h; nohth; a]n ei[h kraughv. Tauvthn ou\n th;n kraugh;n oiJ kekragovte" pro;" Qeo;n ejpakouvon-
tai, plh;n eij mh; kat∆ oijkonomivan kataleivpointo uJpe;r tou' meivzona" stefavnou" ejn
meivzosin ajgw'sin ajpenevgkasqai, w{sper ejn tw/' ∆Ambakou;m ei[rhtai: ”Ew" tivno", Kuvrie,
kekravxomai, kai; ouj mh; eijsakouvsh/… Bohvsomai pro;" se; ajdikouvmeno", kai; ouj swvsei" me…
”Ina tiv dev moi e[deixa" kovpou" kai; povnou", ejpiblevpein ejpi; talaipwrivan kai; ajsevbeian…
(Ab 1, 2-3).
1476 Anche FrPs 16 (17), 6 (PG 12, 1217D), sia o meno autentico, contiene un’al-
lusione corrispondente nella seconda delle due spiegazioni su Sal 16(17), 6: ”Wsper ejpa-
kousqevnte" pri;n eu[xasqai eujcovmenoi kekravgamen. ‘H eij kalo;n to; kekragevnai mh; mi-
kra; kai; eujkatafrovnhta levgein, ajlla; megavla eujxavmenoi kai; ejpitucovnte", kekravga-
men o{te ou{tw kekravgamen.
1477 FrPs 4, 4 (PG 12, 1141B): Megavlh fwnh; hJ fqavnousa pro;" Qeo;n oujc hJ para;
toi'" ajnqrwvpoi" e[sti; gegwnui'a kai; ejpitetamevnh kata; th;n meivzona plhgh;n tou' ajevro",
ajll∆ hJ tou' hJgemonikou' kaqara; kai; ajqwvloto" dievxodo" tw'n pro;" Qeo;n ajnapempomevnwn
lovgwn. Da notare che CMt X, 7 (8, 10) attesta la stessa coppia di aggettivi (kaqara'" kai;
ajqwlovtou periaugh'"), mentre CIo X , 28, 173 (201, 14) qualifica lo hJgemonikovn come
ajqwvloton (Oujde; ga;r ajqovlwton hJmw'n ejstin to; hJgemonikovn).
1478 FrPs 4, 4 (PG 12, 1141B-C): ∆Istevon ga;r o{ti e[sti ti" kai; tou' kruptou' th'"
kardiva" ajnqrwvpou fwnh; mh; sugcrwmevnh tw/' swvmati, h}n e[sq∆ o{te eij" aujto;n sunacqei;"
kai; eijselqw;n eij" to; tamiei'on sou, kai; th;n quvran tw'n aijsqhthrivwn ajpokleivsa" (cfr.
474 Parte seconda, Capitolo ottavo
pertanto, non viene meno lo statuto costitutivo della preghiera come do-
manda (ai[thsi") a Dio, senza che essa si risolva nel mero «colloquio»
(oJmiliva) meditativo con lui o nella contemplazione silenziosa.
Anche FrPs 27 (28) – addotto da Völker a testimonianza di un cam-
biamento d’idee sui tipi di preghiere rispetto al trattato, in seguito al pri-
vilegio attribuito qui all’eujcaristiva – tende a confermare la medesima
impostazione, sebbene Origene si soffermi maggiormente sull’aspetto del
«colloquio» con Dio. Nel commentare Sal 27(28), 1 («A te grido, Signo-
re; non restare in silenzio, mio Dio, perché, se tu non mi parli, io sono
come chi scende nella fossa») riprende dapprima la sua riflessione sulla
preghiera silenziosa nella linea di FrPs 4, dal momento che si rifà non
solo all’agraphon ma anche a Mt 6, 6. Pure in questo testo il «grido» cor-
risponde alla voce intelligibile di colui che richiede a Dio le «cose celesti»
al posto di quelle «terrene», dopo essersi ritirato nella «cameretta» della
sua interiorità dove può ascoltare le parole di Dio. L’anacoresi è dunque
ripagata dall’esperienza del dialogo con lui nell’intimo dell’orante. Che
Dio parli all’uomo – ricorda ancora l’Alessandrino – è attestato dai dialo-
ghi che egli conduce nelle Scritture con Mosè, Aronne e Giosuè. Ma non
si deve pensare ad una voce che arriva dall’esterno; in realtà Dio parla
dentro il cuore di chi prega attraverso i pensieri santi che sgorgano in
esso1479. Neanche in questo caso la preghiera silenziosa sembrerebbe ri-
solversi in un superamento o annullamento di parole e pensieri dentro
l’unio mystica con Dio, sebbene Origene concluda la sua esegesi con un
cenno alla dottrina dei «sensi spirituali». Infatti, l’«udito» che consente di
ascoltare la voce di Dio è un «senso divino» (qeiva ai[sqhsi"), capace di
––––––––––––––––––
Mt 6, 6), kai; pa'" genovmeno" e[xw swvmato" ajnapevmpei pro;" to;n movnon ajkouvonta toiauv-
th" fwnh'". Dia; tou'to moi mhdemia'" aijsqhth'" fwnh'" uJpo; tou' Mwu>sevw" ajnagegrammevnh"
gegonevnai fhsi; pro;" aujtovn, wJ" ajpo; th'" ∆Exovdou memaqhvkamen: Tiv boa/'" prov" me… Bra-
cei'a de; pa'sa fwnh; hJ peri; tw'n ejpigeivwn kai; mikrw'n kai; tapeinw'n dievxodo" kai; ai[th-
si" ajpo; Qeou': h}n ajpagoreuvwn oJ Swthvr prosfevrein tw/' Patriv fhsin: Aijtei'te ta; megavla,
kai; ta; mikra; uJmi'n prosteqhvsetai: aijtei'te ta; ejpouravnia, kai; ta; ejpivgeia prosteqhvse-
tai uJmi'n. Mortley 1986 non tiene conto di ciò, allorché afferma: «this form of prayer [...]
transcends verbal communication» (p. 70); o ancora: «prayer approaches silent contem-
plation in which ordinary human epistemological modes are eclipsed» (p. 71).
1479 FrPs 27 (28), 1 (PG 12, 1284A-B): Tw'n pro;" to;n Qeo;n bowvntwn kai; ajnafe-
rovntwn ta;" eujcav", eij me;n ta; ejpivgeiav ti" aijtei', ejsti;n hJ fwnh; aujtou' bracei'a: eij de; ta;
ejpouravniav ti" aijtei', boa/.' ”Oqen pollavki" levgetai ejn tai'" Grafai'" peri; tw'n aJgivwn, o{ti
pro;" to;n Qeo;n ejkevkraxan. Peiravsqw toivnun e{kasto" eu[cesqai tw/' Qew/' kekragw;" kai;
paradoxovteron ejrw' pw'" kekragwv". Eijselqw;n eij" to; tamiei'on aujtou' kleivei th;n quvran
(cfr. Mt 6, 6), kai; ou{tw" kevkrage pro;" to;n Qeovn: Mh; parasiwphvsh/" ajp∆ ejmou' (Sal
27[28], 1). Qeo;" ajnagevgraptai lelalhkevnai pro;" Mwu>seva, kai; pro;" ∆Aarw;n kai; pro;"
∆Ihsou'n to;n tou' Nauh'. Toiou'toi ga;r h\san i{na lalh/' pro;" aujtou;" oJ Qeov". Kai; dia; tw'n
profhtw'n, o{te oJ lao;" h\n tou' Qeou', oujk ejsiwvpa. Kai; mh; nomivswmen e[xwqen hJmi'n la-
lei'n to;n Qeovn: ajlla; ga;r ta; ajnabaivnonta hJmw'n ejpi; th;n kardivan a{gia ejkei'nav ejstin a}
lalei' hJmi'n oJ Qeov".
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 475
«fondere» e «unire» al Logos1480. Se a prima vista il linguaggio sembre-
rebbe quello più tipico della fusione mistica con Dio, Origene in realtà lo
applica in particolare all’esperienza profetica, come capacità di «vedere»
e «ascoltare» Dio e trasmettere la sua rivelazione all’uomo1481.
L’excursus suggeritoci dall’uso origeniano di 1Cor 14, 15 ha permes-
so di mostrare come l’Alessandrino disponesse fin dal trattato, o in con-
temporanea con esso, di uno schema interpretativo capace di includere la
preghiera silenziosa accanto alla preghiera orale. Egli si serve all’occor-
renza del passo paolino, ma trae ispirazione soprattutto da altri riferimenti
scritturistici, fra i quali Rm 8, 26-27; Gal 4, 6; Mt 6, 6. Proprio il rilievo
particolare attribuito al passo matteano insieme ai due luoghi paolini ci fa
propendere ancora una volta per l’idea di una compattezza sostanziale
della riflessione di Origene sulla preghiera, con al centro la prospettiva da
lui fissata nel trattato. Il rilievo attribuito da Völker alla preghiera silen-
ziosa quale espressione dell’unio mystica rischia dunque di assimilare
impropriamente il pensiero dell’Alessandrino ad orizzonti ascetico-mi-
stici estranei alla sua concezione dell’atto orante ed alla dottrina spiri-
tuale a cui questo rinvia: non è l’esito del «silenzio» che sta a cuore ad
Origene, bensì quello della «parola» che è il Logos.

4.2. Gv 17: la preghiera di Gesù «sommo sacerdote» per l’unità in Dio di


tutti gli uomini

Uno dei più ragguardevoli testi di preghiera del Nuovo Testamento,


la «preghiera sacerdotale» di Gesù in Gv 17, possiede sorprendentemente
scarso rilievo fra i numerosi riferimenti scritturistici di Orat, benché lo
scritto sia ricco di richiami proprio al quarto vangelo1482. In questo caso,
dunque, appare più giustificato parlare di un “nuovo affondo”, dal momen-
to che le citazioni del passo giovanneo spingono Origene a focalizzare
ulteriormente l’immagine della prassi orante di Gesù, così presente nella
riflessione del trattato, illustrandone l’importanza per la vita intradivina e
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1480 FrPs 27 (28), 1 (PG 12, 1284B): “Ecomen a[llhn ajkoh;n ajkouvousan lovgon
Qeou'. Qeiva ejsti;n h{ ai[sqhsi" ejkeivnh hJ ou{tw para; Solomw'nti ojnomazomevnh, hJ ajkouvou-
sa lovgon Qeou', ajnakekramevnh/ aujtw/' kai; hJnwmevnh. Oltre al nostro passo, Sal 27(28), 1 è
citato in Ps.Cat (1284, C10) e ?Pr.Cat (192, D1).
1481 Sull’idea di un «senso divino» come caratteristica dei profeti si veda CC I , 48
(nota 581).
1482 Sulle caratteristiche della preghiera in Gv, cfr. supra, nota 869. Secondo Coc-
chini 1996, 221, «il ricorso privilegiato, per non dire esclusivo, al vangelo di Giovanni
appare motivato dal concetto che di tale vangelo, colto nella sua globalità, Origene si era
fatto distinguendolo dagli altri: lo aveva infatti presentato nel I libro del Commentario
come rivelatore della divinità di Gesù, scritto da colui, Giovanni, che a tale divinità aveva
aderito, con lo scopo di rendere tutti i credenti altrettanti Giovanni».
476 Parte seconda, Capitolo ottavo
per la salvezza degli uomini1483. In Orat XIII, 1 il riferimento a Gv 17, 1
concorre a sostenere il paradigma normativo di Gesù in una breve rassegna
delle testimonianze evangeliche sulla sua prassi di preghiera che riunisce
luoghi sinottici e giovannei: Mc 1, 35 («Al mattino si alzò quando ancora
era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava»); Lc
11, 1 («Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe
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1483 Riportiamo le molte citazioni di Gv 17 secondo l’ordine adottato in precedenza,
indicando altresì i versetti con la lista corretta di BP: Orat XIII, 1 su Gv 17, 1 (nota 1486);
Prin I, 2, 10 su Gv 17, 10 (nota 1501); Fr. Giustiniano: Prin I, 2, 13 su Gv 17, 3 (nota
1491); Prin I, 6, 2 su Gv 17, 20-21. 22-23 (nota 1516); Prin II, 3, 5 su Gv 17, 21.24 (nota
1517); Prin II, 3, 6 su Gv 17, 14.16 (nota 1507); Prin II , 5, 4 su Gv 17, 25 (nota 1528); Prin
III, 5, 6 su Gv 17, 5 (nota 1494); Prin III, 6, 1.4.6 su Gv 17, 21.24 (note 747, 1522-1524);
EM 39 Gv 17, 21 (nota 775); CC III, 37 su Gv 17, 3 (nota 1490); CC VIII, 12 su Gv 17, 21-
22 (nota 1509); CIo I, 21, 128 su Gv 17, 1 (nota 1487); CIo I, 26, 174 su Gv 17, 21 (nota
1513); CIo II, 2, 17 su Gv 17, 3 (nota 871); CIo XIX, 22, 148-149 su Gv 17, 24 (nota 1525);
CIo XX, 38, 354 su Gv 17, 10 (nota 1502); CIo XX, 38, 356 su Gv 17, 22 ([379, 33-380, 2]
e[cei dev tina kai; ajtufiva" e[mfasin prepouvsh" tw/' swth'ri to; legovmenon ejn tw/' ∆Egw; de; ouj
zhtw' th;n dovxan mou: oujde; ga;r pavnu e[prepen aujto;n th;n eJautou' dovxan ajpaitei'n kai; ejpi;
touvtw/ krivnein tou;" mh; ajpodedwkovta" aujthvn, ajll∆ ejcrh'n to;n patevra dovxan dedwkovta
tw/' uiJw/' ajpaitei'n aujth;n ajpo; tw'n ajposterouvntwn kai; krivnein aujtou;" ejpi; tauvth/); CIo
XXVIII, 21, 184 su Gv 17, 21 (nota 1515); FrIo 95 su Gv 17, 3 (nota 1490); CCt Prol. 2, 28
su Gv 17, 3 (nota 1490); CCt I, 4, 9 su Gv 17, 21 (nota 1520); CCt III, 9, 6 su Gv 17, 1 (no-
ta 1488); CCt III, 3, 2 su Gv 17, 10 (nota 1503); CCt IV, 2, 30 su Gv 17, 24 (nota 1527);
CRm I , 5 su Gv 17, 10 (nota 1503); CRm II, 5 su Gv 17, 3 (nota 1490); CRm II, 6 (8) su Gv
17, 12 ([133, 54-56] «Et cum ipse Dominus dicit: omnes inquit quos dedisti mihi servavi et
nullus ex eis periit; non dixit nullum ex eis perdidi»); CRm III, 1 su Gv 17, 3 (nota 1490);
CRm IV, 9 su Gv 17, 21 (nota 953); CRm V, 9 su Gv 17, 21.24 (nota 1521); CRm VI, 5 su
Gv 17, 3 (nota 1490); CRm VI, 13 su Gv 17, 10 (nota 1504); CRm VII, 1 su Gv 17, 24 (nota
1526); CRm VII , 3 su Gv 17, 10 (nota 1500); CRm VIII, 2 su Gv 17, 3 (nota 1490); CRm
VIII, 12 su Gv 17, 10 (nota 1504); CRm IX, 41 su Gv 17, 10 (nota 1503); CMt XII, 39 su Gv
17, 1-3 (nota 1493); CMt XIII, 20 su Gv 17, 5 (nota 1495) e Gv 17, 9 ([236, 27-30] peri;
w|n oJ swth;r ejrwta/' to;n patevra movnwn, kai; ouj peri; tou' kovsmou o{lou tw'n ajnqrwvpwn);
CMt XIII, 20 su Gv 17, 11 (nota 1495), Gv 17, 13 e Gv 17, 16; CMt XIII, 21 su Gv 17, 14.16
(nota 1507); CMt XV, 23 su Gv 17, 5 (nota 1496); CMt XVI, 5 su Gv 17, 5 (note 1022, 1496);
CMtS 45 su Gv 17, 3; CMtS 50 su Gv 17, 5; CMtS 74 su Gv 17, 1; CMtS 135 su Gv 17, 5
([279, 22-24] «faciens conparationem gloriae illius quam habuit apud Patrem ad confusio-
nem quam sustinuit in cruce»); Pas I, 11 su Gv 17, 5; Pas II , 47 su Gv 17, 19-20; Phil 8 =
COs su Gv 17, 11.21 (nota 1519); HGn I, 13 su Gv 17, 21-22 (nota 1514); HEx VI, 1 (192,
17-18) su Gv 17, 1 («Erat ergo ei gloria etiam passio crucis; verum gloria haec non erat
gloriosa, sed humilis»); HEx VIII, 2 su Gv 17, 10 (nota 1505); HLv VII, 2 su Gv 17, 4-5 (no-
te 1498-1499); HLv VII, 2 su Gv 17, 11 (nota 1498); HNm XI, 8 su Gv 17, 19 ([91, 9-14]
«Nam secundum spiritum pariter et secundum carnem Christus dicit: Ego sanctifico me
ipsum pro iis, ut qui sanctificat, secundum spiritum intellegatur, qui autem sanctificatur
pro discipulis secundum carnem, unus tamen atque idem Christus sit, qui nunc in spiritu
sanctificat, nunc sanctificatur in carne»); HNm XVI, 6 su Gv 17, 21 (nota 1524); HNm XXI,
3 su Gv 17, 21.24 (nota 1526); HNm XXVII, 10 su Gv 17, 3 (nota 1490); HNm XXVIII, 4 su
Gv 17, 24 (nota 1526); HIos XVII, 2 su Gv 21-22.24 (nota 1526); HEz IX, 1 su Gv 17, 11.
21 (nota 1506); FrPs 4, 9 (nota 1497); FrLc 175 su Gv 17, 3 (nota 1492). Riguardo alla
forma testuale si vedano Kim; Ehrman-Fee-Holmes, 315-319, 451-455.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 477
finito uno dei discepoli gli disse»); Lc 6, 12 («e passò la notte pregando
Dio»); Gv 17, 1 («Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse:
“Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi
te”»); e Gv 11, 42 («Io sapevo che sempre mi dai ascolto»)1484. Sarebbe
riduttivo riconoscergli qui un mero valore cumulativo, poiché Origene se-
gnala il fatto che Giovanni «trascrive una preghiera di Gesù» (eujch;n...
ajnagravfei), come più avanti osserverà che Marco non ha trascritto un
testo analogo al Padrenostro di Matteo e Luca1485; ma l’attenzione è diretta
in primo luogo a corroborare un comportamento esemplare e frequente,
per cui è soprattutto la citazione di Gv 11, 42 ad acquisire rilevanza di-
mostrativa in favore di una prassi che il lettore del trattato è sollecitato ad
imitare: Gesù è sempre esaudito, perché prega sempre1486. Ben più signifi-
cativo è invece l’utilizzo del capitolo giovanneo, tra le opere antecedenti
o contemporanee a Orat, sia in Prin che in CIo, dove se ne richiamano
singoli versetti in diverse occasioni, facendo emergere il suo interesse per
il discorso eucologico accanto a quello cristologico, cosmologico e/o esca-
tologico che rimangono comunque preminenti. Notevole è inoltre la pre-
senza di Gv 17 nei commentari successivi – specialmente CRm e CMt –
e, sia pure in misura minore, nelle omelie. Le citazioni privilegiano, in
particolare, alcuni passi del testo giovanneo: Gv 17, 3; 17, 5; 17, 10; 17,
14; 17, 21-22; 17, 24. Solo una porzione di esse riguarda ovviamente il
nostro tema, dato che perlopiù vengono estrapolate dal loro contesto per
ragioni esegetiche e dottrinali senza rammentarne la genesi orante.
Vi sono tuttavia casi in cui Origene non trascura di ricordarla, ap-
prezzando più direttamente anche tale aspetto. Se Gv 17, 1 introduce per
Origene la preghiera di Gesù come espressione del rapporto di figliolanza
divina con il Padre1487 e preannuncia nel contempo il motivo della glorifi-
cazione del Figlio in seguito alla passione1488, a sua volta Gv 17, 3 («Que-
––––––––––––––––––
1484 Diversamente dagli altri testi citati, Mc 1, 35 e Lc 6, 12 ricorrono unicamente
in questo passo.
1485 Cfr. Orat XVIII, 3. L’espressione di Orat XIII, 1 (nota 1486) ricorda anche il
preannuncio dell’esegesi del Padrenostro in Orat II, 6 (303, 23–304, 1): aiJ ejn toi'" eujag-
gelivoi" ajnagegrammevnai safhnisqw'sin eujcaiv.
1486 Orat XIII, 1 (326, 5-11): oJ de; ∆Iwavnnh" eujch;n aujtou' ajnagravfei levgwn: tau'ta
ejlavlhsen oJ ∆Ihsou'", kai; ejpavra" tou;" ojfqalmou;" auJtou' eij" to;n oujrano;n ei\pe: pavter,
ejlhvluqen hJ w{ra: dovxasovn sou to;n uiJo;n, i{na kai; oJ uiJov" sou doxavsh/ se (Gv 17, 1): kai;
to; h[/dein de; o{ti pavntotev mou ajkouvei" (Gv 11, 42) para; tw'/ aujtw'/ ajnagegrammevnon uJpo;
tou' kurivou eijrhmevnon dhloi' o{ti pavntote eujcovmeno" pavntote ejpakouvetai.
1487 CIo I, 21, 128 (26, 11-15): ∆Alla; kai; uiJo;n ei\nai qeou' safw'" eJauto;n katag-
gevllei levgwn: ’On oJ path;r hJgivase kai; ajpevsteilen eij" to;n kovsmon uJmei'" levgete o{ti:
Blasfhmei'", o{ti ei\pon: UiJo;" tou' qeou' eijmi… (Gv 10, 36) kaiv: Pavter, ejlhvluqen hJ w{ra:
dovxasovn sou to;n uiJovn, i{na oJ uiJo;" doxavsh/ se (Gv 17, 1).
1488 CCt III, 9, 6 (196, 22-25): «Quae autem est gloria? Illa sine dubio de qua dicit:
Pater, clarifica Filium tuum, passionis sine dubio gloriam designans. Fides ergo passionis
Christi gloria et divitiae sunt ecclesiae, quae in laeva eius continentur» (cfr. Ct 2, 6).
478 Parte seconda, Capitolo ottavo
sta è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai
mandato, Gesù Cristo») risulta essere uno dei versetti più ampiamente
sfruttati dall’Alessandrino. Esso gli offre lo spunto per una fondamentale
messa a fuoco del rapporto tra il Padre e il Figlio in CIo II, 2, 17, che ri-
veste conseguenze decisive – come ormai sappiamo – per l’espressione
stessa della preghiera1489. Il Padre, in quanto «Dio in sé» (aujtovqeo"), è il
destinatario primo dell’orazione, senza che ciò comporti il misconoscere
il Figlio come «Dio»: si tratta invece di accoglierlo quale mediatore fra il
Padre e gli uomini e artefice della nostra deificazione, quest’ultima essen-
do vista in particolare come una partecipazione nel Figlio alla contempla-
zione delle profondità di Dio. In tal modo, la chiarificazione teologica in-
dotta dal riferimento a Gv 17, 3 prende forma nel contesto di un’esperien-
za di preghiera in cerca di un preciso ancoraggio dottrinale (come emerge,
del resto, ancor più apertamente in Dial e in Orat), mentre orienta que-
st’ultima verso un esito spirituale di segno “mistico”-contemplativo. A
differenza degli altri testi, che in genere valorizzano semplicemente
l’elemento dottrinale di Gv 17, 3 per ribadire la professione di fede cri-
stiana o l’insegnamento sulla vita eterna come la conoscenza del Padre e
del Figlio 1490 – in particolare, un frammento di Prin addotto come capo
––––––––––––––––––
1489 Si veda supra, pp. 290-291.
1490 Ad esempio, CC III, 37 (233, 17-21): Cristianoi'" de; memaqhkovsi th;n aijwvnion
aujtoi'" ei\nai zwh;n ejn tw'/ ginwvskein to;n movnon ejpi; pa'sin ajlhqino;n qeo;n kai; o}n ejkei'no"
ajpevsteilen ∆Ihsou'n Cristovn, maqou'si de; kai; o{ti pavnte" me;n oiJ qeoi; tw'n ejqnw'n eijsi
daimovnia (Sal 95[96], 5); CCt Prol. 2, 28 (70, 7-9): «Quid autem aliud immortalitas nisi
vita aeterna est, quam daturum se promittit Deus credentibus in ipsum solum verum
Deum, et, quem misit, Iesum Christum filium eius?»; FrIo 95 (558, 20-27): Kai; oi\da o{ti
hJ ejntolh; aujtou' zwh; aijwvniov" ejsti (Gv 12, 50). peri; ou| zhthvsai ti" a]n dia; tiv mh; levlek-
tai o{ti zwh;n aijwvnion peripoiei' hJ ejntolh; tou' qeou', ajll∆ o{ti aujthv ejsti kaq∆ uJpovstasin
hJ aijwvnio" zwhv, wJ" kai; to; ginwvskein to;n movnon ajlhqino;n qeo;n kai; o}n ajpevsteilen
∆Ihsou'n Cristovn (cfr. Gv 17, 3). e[stin ou\n hJ aijwvnio" zwh; eJkavteron aujtw'n. eij mevntoi hJ
ejntolh; tou' qeou' zwh; aijwvniov" ejstin, ejsti; de; ejn tw'/ dikaivw/ hJ ejntolh; tou' qeou', tw'/ zw'nti
makarivw" di∆ aujthvn, aiJrethv ejstin hJ zwhv. Rientrano nella stessa ottica anche le numerose
citazioni in CRm, privilegiando esse da un lato il motivo della «vita» e dall’altro preci-
sandola come la fede nel Padre e nel Figlio. Cfr. CRm II , 5 (126, 276-127, 282; 127, 299-
128, 302): «vis scire quia nullius est vita aeterna nisi eius qui credit in Christum? Audi
salvatoris ipsius vocem evidenter in evangeliis designantem: haec est autem vita aeterna
ut cognoscant te solum verum Deum et quem misisti Iesum Christum (Gv 17, 3). Omnis
ergo qui non agnovit patrem Domini nostri Iesu Christi solum verum Deum et filium eius
Iesum Christum alienus est ab aeternitate vitae. [...] Hic etiamsi vitam non habet aeternam
quia credens soli vero Deo non credidit et filio eius Iesu Christo, quem misit, tamen gloria
operum eius et honor et pax poterit non perire»; CRm III, 1 (201, 187-189): «Sed intuere
nunc quomodo is qui veritatem Dei defendit et qui secundum Christum qui est Dei veritas
et Dei sapientia filosofus est docet homines summum bonum esse aeternam vitam; hanc
autem esse aeternam vitam etc.»; CRm VI, 5 (478, 122-126): «Ubi vero dicit vitam aeter-
nam ad illud aspiciendum est quod ipse salvator dixit: haec est autem vita aeterna etc.»;
CRm VIII , 2 (645, 26-29): «Illa enim iustitia Dei, id est Christus qui factus est nobis iusti-
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 479
d’accusa del subordinazionismo origeniano1491 –, FrLc 175, estratto da una
spiegazione della prima domanda del Padrenostro forse appartenente al
perduto commentario sul terzo vangelo, unisce il riconoscimento dell’«uni-
co vero Dio», contenuto nel versetto giovanneo, alla preghiera per la san-
tificazione del suo nome, presentandola in prospettiva escatologica anche
grazie alla saldatura con la domanda per la venuta del regno1492. Anche la
rapida allusione di CMt XII, 39 nel commento al racconto della Trasfigura-
zione in una variante marciana richiama la dimensione orante del rapporto
tra il Padre e il Figlio sullo sfondo implicito della distinzione tracciata in
CIo II, 2, 17, dal momento che vede «l’unico vero Dio» come l’interlocu-
tore di Gesù in atto di pregare quale «vero sommo sacerdote» 1493.
Gv 17, 5 («E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che
avevo presso di te prima che il mondo fosse»), oltre a suggerire in forma
compendiosa la parabola storico-salvifica dell’Incarnato fino alla sua esal-
tazione finale, come avviene in Prin III, 6, 51494, si prestava per essere ap-
––––––––––––––––––
tia a Deo et pax, vide quomodo dicit: haec est autem vita aeterna etc.». Il luogo ricorre,
con valore parenetico, anche in HNm XXVII, 10 (270, 8-11): «Sed nos interim cum vene-
rimus ad transitum maris, etiamsi videamus Pharaonem et Aegyptios insequentes, nihil
trepidemus, nullus de his metus, nulla formido sit. Credamus tantum in unum verum Deum
et quem misit filium suum Iesum Christum (Gv 17, 3).
1491 Fr. Giustiniano su Prin I, 2, 13 (47, 3-9): ou{tw toivnun hJgou'mai kai; ejpi; tou'
swth'ro" kalw'" a]n lecqhvsesqai o{ti eijkw;n ajgaqovthto" tou' qeou' (Sap 7, 26) ejstin, ajll∆
oujk aujtoagaqovn. Kai; tavca kai; oJ uiJo;" ajgaqov", ajll∆ oujk aJplw'" ajgaqov". Kai; w{sper
eijkwvn ejsti tou' qeou' tou' ajoravtou (Col 1, 15) kai; kata; tou'to qeov", ajll∆ ouj peri; ou| lev-
gei oJ Cristov", i{na ginwvskousiv se to;n movnon ajlhqino;n qeovn (Gv 17, 3), ou{tw" eijkw;n th'"
ajgaqovthto", ajll∆ oujc wJ" oJ path;r ajparallavktw" ajgaqov".
1492 FrLc 175 (300, 1-7): ‘H tavca, eij hJ qeo;" ojnomasiva uJpo; tw'n ajpopiptovntwn th'"
ajlhqeiva" tavssetai ejpi; tw'n gluptw'n kai; tw'n daimonivwn h] kai; th'" ktivsew" para; to;n
ktivsanta, oujdevpw hJgiavsqh to; o[noma tou' Qeou' oujde; kecwvristai, w|n crh; aujto;n kecw-
rivsqai. didavskei ou\n hJma'" eu[cesqai tavcion to; crhsto;n genevsqai tevlo", i{na ejfarmo-
sqh/' tw/' kurivw/ wJ" movnw/ ajlhqinw/' qew/' hJ qeo;" proshgoriva. safw'" de; tauvth/ th/' ejkdoch/'
ejfarmovzein dunavmeqa kai; to; eJxh'": poi'on dh; tou'to… ejlqevtw hJ basileiva sou (Mt 6, 10;
Lc 11, 2).
1493 CMt XII, 39 (155, 30-156, 13): Ei\t∆ , ejpei; kata; to;n Ma'rkon dehvsei dihghvsa-
sqai to; kai; ejn tw/' proseuvcesqai aujto;n metemorfwvqh e[mprosqen aujtw'n (Mc 9, 2), le-
ktevon o{ti mhvpote mavlista ijdei'n to;n lovgon e[mprosqen hJmw'n metamorfouvmenon, eja;n ta;
proeirhmevna poihvswmen kai; ajnabw'men eij" to; o[ro" kai; i[dwmen to;n aujtovlogon koino-
logouvmenon pro;" to;n patevra kai; eujcovmenon aujtw/', uJpe;r w|n eu[xait∆ a]n ajlhqino;" ajrcie-
reu;" ajlhqinw/' movnw/ qew/'. i{na de; ou{tw qew/' oJmilh/' kai; proseuvxhtai tw/' patriv, ajnabaivnei
eij" to; o[ro". Cfr. supra, p. 341.
1494 Prin III, 5, 6 (277, 3-11) sfrutta tra l’altro l’umiliazione dell’Incarnato per incul-
care nei governanti l’idea del servizio: «Unde unigenitus filius dei, qui erat verbum et sa-
pientia patris, cum esset in ea gloria apud patrem, quam habuit antequam mundus esset
(Gv 17, 5), exinanivit semet ipsum et formam servi accipiens efficitur oboediens usque ad
mortem (Fil 2, 8), ut oboedientiam doceret eos, qui non aliter nisi per oboedientiam salu-
tem consequi poterant, regendi quoque regnandique corruptas restitueret leges, dum om-
nes inimicos subicit pedibus suis (1Cor 15, 25), et per hoc quod necesse est eum regnare,
480 Parte seconda, Capitolo ottavo
profondito di conseguenza in chiave cosmologica e/o escatologica. Orige-
ne se ne serve, ad esempio, in CMt XIII, 20 nella discussione sulla nozione
di kovsmo" come l’insieme degli uomini chiamati alla salvezza, combinan-
dolo con altri versetti (Gv 17, 6.11.13.14) e ricordando solo en passant
che il testo figura nella «preghiera del Salvatore al Padre»1495. Viceversa
CMt XV, 23 evoca l’orizzonte escatologico della glorificazione del Figlio
come l’adempimento finale della richiesta rivolta da Gesù al Padre in Gv
17, 51496. Anche per FrPs 4, l’«apocatastasi» del Figlio – nel senso del ri-
pristino nella sua piena condizione gloriosa, compiuta l’economia di sal-
vezza di cui egli è il protagonista principale – rappresenta l’esaudimen-
to della domanda del Salvatore1497. Dal canto suo, HLv VII , 2 unendo al
nostro versetto Gv 17, 4 («Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo
l’opera che mi hai dato da fare») nonché Gv 17, 11 («Io non sono più nel
mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodi-
sci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come
noi»), ribadisce l’idea che l’opera di Cristo potrà dirsi compiuta solo
quando la redenzione si sarà estesa a tutti coloro che sono ancora imper-
fetti1498; è per tale motivo che egli effonde la sua preghiera al Padre, con-
––––––––––––––––––
donec ponat inimicos suos sub pedibus suis et novissimum inimicum destruat mortem
(1Cor 15, 25-26), rectores ipsos regendi doceat moderamina». Crouzel-Simonetti, IV (SC
269), 113 ad loc. rinvia ad altri luoghi origeniani sull’unione escatologica in Cristo: «Ils
seront devenus “tous exactement un Fils” dans le Fils Unique et, devenus intérieurs au Fils,
verront le Père de la même façon que celui-ci le voit (ComJn I, 16, 92), la médiation de ce
dernier ayant changé de mode (ibi, XX, 7, 47-48). Ou, en d’autres termes, ils deviendront
tous ensemble un seul Soleil (ComMatth. X, 3), le Christ ayant alors logé son Église dans
le Soleil de Justice qu’il est lui-même (SelPs. 18,6-6 dans PG 12, 1241 selon Pamphile)».
1495 CMt XIII, 20 (235, 33-236, 5): ajlla; kai; o{tan levghtai uJpo; tou' swth'ro" ejn th/'
pro;" to;n patevra eujch/': kai; nu'n dovxasovn me, pavter, para; seautw'/ th'/ dovxh/ h|/ ei\con pro;
tou' to;n kovsmon ei\nai para; soiv (Gv 17, 5), crh; ajkouvein kovsmon levgesqai th;n kaq∆ hJma'"
ejpi; gh'" oijkoumevnhn. Si veda anche il seguente passo: ajpo; ga;r touvtou tou' kovsmou e[dwke
tw/' uiJw/' oJ path;r ajnqrwvpou", peri; w|n oJ swth;r ejrwta' to;n patevra movnwn, kai; ouj peri; tou'
kovsmou o{lou tw'n ajnqrwvpwn. safw'" de; ou|to" shmaivnetai kai; ejk tou' kai; oJ kovsmo" ejmiv-
shsen aujtou;", o{ti oujk eijsi;n ejk tou' kovsmou: ejmivshse ga;r hJma'" (ejx ou| mhkevti sko-
pou'men ta; blepovmena ajlla; ta; mh; blepovmena) dia; th;n ∆Ihsou' didaskalivan ouj kovsmo"
ejx oujranou' kai; gh'" kai; tw'n ejn aujtoi'" sunesthkw;" pa'", ajll∆ oiJ ejpi; gh'" meq∆ hJmw'n a[n-
qrwpoi.
1496 CMt XV , 23 (419, 24-29): tovte de; kai; ajpodivdotai ta; th'" eujch'" tw/' swth'ri
eujxamevnw/ kai; eijpovnti: pavter, dovxasovn me th'/ dovxh/ h|/ ei\con para; soi; pro; tou' to;n kovsmon
ei\nai. Quanto a CMt XVI, 5, si può parlare tutt’al più di una generica allusione, anche se
Origene riflette qui sul ruolo della preghiera nei miracoli compiuti da Gesù (supra, p. 342).
1497 FrPs 4, 9 (PG 12, 1168C): To; de; ejp∆ ejlpivdi, eja;n me;n oJ Swth;r levgh/ kata; th;n
oijkonomivan, ouj qaumasto;n ejlpivzonta aujto;n th;n ijdivan ajpokatavstasin levgein ejp∆ ejl-
pivdi katw/kivsqai uJpo; tou' qeou', kata; to; dovxasovn me, pavter, th'/ dovxh/ h|/ ei\con pro; tou' kov-
smon ei\nai para; soiv.
1498 HLv VII, 2 (376, 10-15): «Exspectat laetitiam. Quando exspectat? Cum consum-
mavero, inquit, opus tuum. Quando consummat hoc opus? Quando me, qui sum ultimus et
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 481
tinuando ad esercitare quella funzione di mediatore salvifico e sommo sa-
cerdote, di cui l’omelia ci offre una delle illustrazioni più pregnanti in tutta
l’opera dell’Alessandrino1499.
Gv 17, 10 («Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e
io sono glorificato in loro») riporta nuovamente l’attenzione sull’aspetto
cristologico, mettendo in luce il rapporto di comunione che c’è tra il Padre
e il Figlio e adottando così a prima vista un “contrappeso” paritario alla
concezione subordinazionista1500. Origene sembra essersi rifatto unica-
mente a questo tipo d’interpretazione, senza alcun riferimento all’aspetto
eucologico, come risulta fra l’altro dal suo uso in Prin I, 2, 101501 e in CIo
XX, 38, 3541502, oppure dall’allusione in CCt III1503. Stando a CRm VI , 13,
questo rapporto di comunione tende ad includere anche lo Spirito1504. Ma
––––––––––––––––––
nequior omnium peccatorum, consummatum fecerit et perfectum, tunc consummat opus
eius; nunc enim adhuc imperfectum est opus eius, donec ego maneo imperfectus».
1499 HLv VII, 2 (378, 23–379, 3): «Quod si tibi, qui membrum es, non videtur esse
perfecta laetitia, si desit aliud membrum, quanto magis Dominus et Salvator noster, qui
“caput” et auctor est totius corporis, non sibi perfectam ducit esse laetitiam, donec aliquid
ex membris deesse corpori suo videt! Et propterea forte orationem fundebat ad patrem di-
cens: Pater sancte, glorifica me illa gloria, quam habui apud te, priusquam mundus esset».
Cfr. anche (377, 1-5): «Cum vero consummaverit opus suum et universam creaturam
suam ad summam perfectionis adduxerit, tunc ipse dicitur subiectus in his, quos subdidit
patri, et in quibus opus, quod ei pater dederat, consummavit, ut sit Deus omnia in omni-
bus». Si veda inoltre supra, pp. 395-396.
1500 Questa preoccupazione affiora soprattutto in CRm VII, 3 (573, 63-64): «Quo-
modo enim inferior dici potest qui filius est et omnia est quae pater? Omnia enim inquit
pater tua mea sunt» (Gv 17, 10).
1501 Prin I, 2, 10 (43, 14-22): «Et sicut nemo debet offendi, cum deus sit pater,
quod etiam salvator deus est: ita et cum omnipotens dicitur pater, nullus debet offendi,
quod etiam filius dei omnipotens dicitur. Hoc namque modo verum erit illud, quod ipse
dicit ad patrem quia omnia mea tua sunt et tua mea, et glorificatus sum in eis (Gv 17, 10).
Si vero omnia quae patris sunt, Christi sunt, inter omnia vero quae est pater, est etiam
omnipotens, sine dubio etiam unigenitus filius esse debet omnipotens, ut omnia quae ha-
bet pater etiam filius habeat. Et glorificatus sum, inquit, in eis (Gv 17, 10)».
1502 CIo XX, 38, 354 (379, 26-30): ka]n levgh/ de; o{ti ÔH krivsi" hJ ejme; dikaiva ejstin,
a[koue ejn tw/' aujtw/' eujaggelivw/ legomevnou tou' Pavnta ta; ejma; sav ejsti, dh'lon o{ti kai
aujth; hJ krivsi" peri; h|" fhsin: ÔH krivsi" hJ ejme; dikaiva ejstin tou' patrov" ejstin krivsi".
1503 CCt III, 3, 2 (177, 2-3): «Si ergo ecclesia domus Dei est, quia omnia, quae ha-
bet pater, filii sunt (cfr. Gv 17, 10), ecclesia domus filii Dei est». Anche CRm I, 5 (53, 50-
52) presenta la stessa applicazione: «et iterum dicit ad Patrem: Omnia mea tua sunt et tua
mea et glorificatus sum in his (Gv 17, 10); ergo et evangelium patris evangelium filii est»;
cfr. anche CRm IX, 41 (775, 76-): «Quod vero in praesenti quidem loco tribunal Dei, ad
Corinthios vero tribunal Christi posuit, ego quidem nullam puto esse differentiam quomi-
nus unum atque idem tribunal Christi et tribunal Dei nominetur secundum quod ipse sal-
vator in evangeliis dicit: omnia quae habet Pater mea sunt; et iterum: Pater omnia mea tua
sunt et tua mea (Gv 17, 10)».
1504 CRm VI, 13 (532, 21-533, 29): «Sed quantum vel consequentiam loci praesentis
intueor vel illud quod salvator in evangeliis de Spiritu sancto dicit: quia a patre procedit;
et de meo accipiet; et huius verbi explanationem in consequentibus iungit dicens: pater
482 Parte seconda, Capitolo ottavo
in HEx VIII , 2 è sfruttato anche in chiave storico-salvifica per asserire la
partecipazione dei cristiani all’alleanza con Dio in quanto essi sono l’Israe-
le secondo lo spirito1505.
Quanto a Gv 17, 11 («Io non sono più nel mondo; essi invece sono
nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro
che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi»), pur con la sua
fondamentale richiesta dell’unità fra i discepoli di Cristo, a imitazione del-
l’unione fra il Padre e il Figlio, sembra essere rimasto un poco in ombra
rispetto al cruciale passo di Gv 17, 21(-22), dove la medesima intenzione
di preghiera ritorna in forma ancor più incisiva. Tuttavia, HEz IX, 1, fon-
dendo ambedue i passi, lascia già intravedere l’implicazione pneumato-
logica dell’unità come vedremo dai commenti su Gv 17, 21(-22)1506. Da
parte sua Gv 17, 14 («Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati
perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo») viene ri-
chiamato in chiave cosmologica non solo in CMt XIII, 20-21, ma anche in
Prin II, 3, 6, sia pure per sottolineare adesso la distinzione del «mondo»
del Figlio dal «mondo» degli uomini e l’appartenenza ad esso dei veri di-
scepoli di Cristo1507.
Il «cuore» dell’interpretazione origeniana del capitolo giovanneo si
disvela soprattutto in relazione a Gv 17, 21(-22) («21perché tutti siano una
sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una
cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. 22E la gloria che
tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola»).
Si tratta in assoluto del passo che ricorre con maggior frequenza negli
scritti dell’Alessandrino, peraltro senza che egli avverta la necessità di ri-
chiamare il nesso con la premessa di Gv 17, 20 («Non prego solo per que-
––––––––––––––––––
omnia mea tua sunt et tua mea, et propterea dixi quia de meo accipiet; cum inquam tan-
tam hanc unitatis inter patrem et filium aspicio rationem spiritus Dei et spiritus Christi
unus atque idem mihi spiritus dici videtur». Cfr. inoltre CRm VIII, 12 (708, 87-91): «Et
ideo hanc altitudinem Dei quam et inscrutabilem dicit et ininvestigabilem creaturae omni
inscrutabilem et ininvestigabilem dicit. De Filio vero et Spiritu sancto dicere ista non po-
terat quia Filius in evangelio dicit ad Patrem: Pater omnia mea sunt et tua mea».
1505 HEx VIII, 2 (220, 28-221, 5): «Nam et si in carne gentes sumus, in spiritu Istra-
hel sumus, propter eum, qui dixit: pete a me, et dabo tibi gentes haereditatem tuam et
possessionem tuam terminos terrae (Sal 2, 8) et propter eum, qui iterum dixit: Pater, om-
nia mea tua sunt et tua mea, et glorificatus sum in his; si tamen ita agas, ut dignus sis pars
esse Dei et in funiculo haereditatis eius (cfr. Dt 32, 9; 4, 27) metiri».
1506 HEz IX, 1 (406, 12-15): «Nam ut Pater et Filius unum sunt, sic, qui unum Spiri-
tum habent in unionem coartantur; ait quippe Salvator: Ego et Pater unum sumus et: Pater
sancte, sicut ego et tu unum sumus, ut et isti in nobis unum sint».
1507 Prin II, 3, 6 (121, 22-25): «Designat sane et alium quendam mundum praeter
hunc visibilem etiam dominus et salvator noster, quem re vera describere ac designare
difficile est; ait namque: Ego non sum ex hoc mundo (Gv 17, 14.16). Tamquam enim qui
ex alio quodam esset mundo, ita dixit quia non sum ex hoc mundo». Su CMt XIII, 20-21,
cfr. nota 1495.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 483
sti, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me»)1508. In
ogni caso è il luogo in cui il momento orante torna a manifestarsi in tutta
la sua densità, in seguito alla domanda per l’unità contenuta nella preghie-
ra di Gesù. Questa domanda, da un lato, richiama la prospettiva dell’inti-
mo rapporto di comunione che lega fra loro Padre e Figlio; dall’altro, fa
scaturire dall’orizzonte della comunione intratrinitaria (anche nella misura
in cui questa si estende allo Spirito) l’impegno all’unità fra i seguaci di
Cristo e con esso la loro partecipazione alla vita intradivina.
Così CC VIII, 12 – quasi a controbilanciare la distinzione tra Padre e
Figlio tracciata da CIo II, 2, 17 in riferimento a Gv 17, 3 – insiste sul-
l’unione del Logos in quanto Dio con Dio Padre1509. Nondimeno, il senso
della precisazione fornita nell’apologia converge con quanto asserito nel
commentario giovanneo: infatti Origene, in polemica con Celso, ribadi-
sce l’idea che il culto ecclesiale s’indirizza non a due dèi ma a un unico
Dio, anche se ora associa più direttamente il Figlio nella comunione con
il Padre, sottolineando gli elementi di unità pur nella distinzione delle due
ipostasi 1510. Abbiamo dunque a che fare con una unione di intenti, come
appare dall’analogia addotta con la comunità primitiva di Gerusalemme,
connotata da «un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32)1511.
Ora, l’intimo legame tra il Figlio e il Padre acquista un valore para-
digmatico per la condotta dei cristiani e al tempo stesso prefigura l’oriz-
zonte finale della salvezza per tutti gli uomini. Ma il significato parene-
tico-spirituale di Gv 17, 21(-22) può darsi per l’Alessandrino, anche sen-
za che egli abbia sempre in mente l’esito dell’apocatastasi. È vero che in
FrEph I, 11 la riflessione di Origene richiama il luogo giovanneo soprat-
tutto per sanzionare con esso la redenzione finale a cui tutti sono chiamati,
a commento della «ricchezza della grazia» che Cristo «ha abbondante-
mente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza» (Ef 1, 7-8)1512;
––––––––––––––––––
1508 Gv 17, 20 figura solo in Pas II , 47 e Prin I, 8, 2.
1509 CC VIII, 12 (229, 16-20): ei[per nenohvkei oJ Kevlso" to; ∆Egw; kai; oJ path;r e{n
ejsmen (Gv 10, 30) kai; to; ejn eujch'/ eijrhmevnon uJpo; tou' uiJou' tou' qeou' ejn tw'/ ÔW" ejgw; kai;
su; e{n ejsmen, oujk a]n w[/eto hJma'" kai; a[llon qerapeuvein para; to;n ejpi; pa'si qeovn.
1510 CC VIII, 12 (229, 31–230, 2): ”Ena ou\n qeovn, wJ" ajpodedwvkamen, to;n patevra
kai; to;n uiJo;n qerapeuvomen. [...] Qrhskeuvomen ou\n to;n patevra th'" ajlhqeiva" kai; to;n
uiJo;n th;n ajlhvqeian, o[nta duvo th'/ uJpostavsei pravgmata, e}n de; th'/ oJmonoiva/ kai; th'/ sumfw-
niva/ kai; th'/ tautovthti tou' boulhvmato".
1511 CC VIII, 12 (229, 21-24): Eij dev ti" ejk touvtwn perispasqhvsetai, mhv ph/ aujto-
molw'men pro;" tou;" ajnairou'nta" duvo ei\nai uJpostavsei", patevra kai; uiJovn, ejpisthsavtw
tw'/ “Hn de; pavntwn tw'n pisteusavntwn hJ kardiva kai; hJ yuch; miva, i{na qewrhvsh/ to; ∆Egw;
kai; oJ path;r e{n ejsmen.
1512 FrEph I, 11 (244-246): e[ti de; ma'llon to;n plou'ton th'" crhstovthto" aujtou' h|"
ejperivvsseusen eij" tou;" makarivou" meivzon∆ <a[n> ti" katanohvsai qewrw'n to; oujk oi[date
o{ti ajggevlou" krinou'men (1Cor 6, 3)… kai; to; eij" a} ejpiqumou'si a[ggeloi parakuvyai (1Pt
1, 12), kai; to; peri; tou' ejpi; pa'si legomevnou e[sesqai, do;" i{na wJ" ejgw; kai; su; e{n ejsmen,
i{na kai; aujtoi; ejn hJmi'n e}n w\si.
484 Parte seconda, Capitolo ottavo
ma, come mostra anche il parallelo di CIo I, 26, 174, il discorso verte es-
senzialmente sul privilegio attribuito agli uomini nel disegno salvifico ri-
spetto agli esseri celesti e alla creazione materiale1513. Altrove, come in
HGn I, 13, la domanda di Gesù al Padre consiste nella richiesta di restau-
rare nei discepoli l’immagine divina offuscata dal peccato1514. L’allusione
all’apocatastasi sembra essere piuttosto velata in CIo XXVIII, 21, 184, dove
Origene si interroga sulla portata universale della redenzione1515, mentre
essa risulta più esplicita nelle trattazioni sulla fine contenute rispettiva-
mente in Prin I, 6, 21516 e in Prin II, 3, 51517. Tuttavia – come evidenzia
Prin I, 6, 2 –, il discorso sull’unità escatologica comporta la sua antici-
pazione nel presente attraverso l’impegno a fare unità.
In questo senso la vocazione all’unità in Dio di tutti gli uomini rac-
chiusa in Gv 17, 21(-22) diventa per EM 39 un appello a vivere secondo
––––––––––––––––––
1513 CIo I, 26, 174 (32, 21-23): To; ga;r ÔW" ejgw; kai; su; e{n ejsmen, i{na kai; aujtoi; ejn
hJmi'n e}n w\si kai; ”Opou eijmi; ejgwv, ejkei' kai; oJ diavkono" oJ ejmo;" e[stai (Gv 12, 26) safw'"
peri; ajnqrwvpwn ajnagevgraptai.
1514 HGn I, 13 (17, 23-25): «Ipse enim iam petierat patrem pro discipulis suis, ut iis
similitudo pristina redderetur, cum dicit: Pater da, ut sicut ego et tu unum sumus, ita et
isti in nobis unum sint».
1515 CIo XXVIII, 21, 184 (416, 2-12): e[melle ou\n ∆Ihsou'" ajpoqnhvskein uJpe;r me;n
tou' e[qnou" i{na mh; ajpovlhtai, uJpe;r de; tw'n tevknwn tou' qeou' o[ntwn ejn diaskorpismw/',
i{na sunacqw'sin eij" e}n <kai; ou{tw> genhvswntai miva poivmnh, ei|" poimhvn (cfr. Gv 10, 16):
o{te oi\mai plhrou'sqai th;n tou' swth'ro" eujch;n levgonto": ÔW" ejgw; kai; su; e{n ejsmen, i{na
kai; aujtoi; ejn hJmi'n e}n w\si (Gv 17, 21). eij dev ti kai; baquvterovn ejstin peri; ∆Israh;l ouj fuv-
sew" ajlla; gevnou" eijpei'n, peri; ou| gevgraptai: UiJo;" prwtovtokov" mou ∆Israhvl ejstin, ge-
nomevnou ejn diaskorpismw/', kai; aujto;" ejpisthvsei", wJ" ei\nai touvtou" ta; tevkna tou' qeou'
ta; dieskorpismevna, uJpe;r w|n e[mellen ajpoqnhvskein ∆Ihsou'", i{na aujta; sunagavgh/ eij" e{n.
1516 Prin I, 6, 2 (82, 4-12): «Ex quibus aestimo, prout ego sentire possum, hunc or-
dinem humani generis institutum, qui utique in futuro saeculo vel in supervenientibus
saeculis, cum caelum novum et terra nova secundum Esaiam erit (Is 65, 17; 66, 22), resti-
tuetur in illam unitatem, quam promittit dominus Iesus dicens ad deum patrem de discipu-
lis suis: Non pro istis rogo solis, sed et pro omnibus qui credituri sunt per verbum eorum
in me, ut omnes unum sint, sicut ego in te, pater, et tu in me, ita et isti in nobis unum sint
(Gv 17, 20-21); et iterum ubi ait: Ut sint unum, sicut nos sumus unum, ego in ipsis, et tu in
me, ut sint et ipsi consummati in uno (Gv 17, 22-23); et sicut confirmat nihilominus etiam
Paulus apostolus dicens: Donec occurramus omnes in unitatem fidei in virum perfectum,
in mensuram aetatis plenitudinis Christi (Ef 4, 13); et sicut idem apostolus iam nos etiam
in praesenti vita in ecclesia positos, in qua utique futuri regni est imitatio, ad hanc eandem
unitatis similitudinem cohortatur dicens: Ut eadem dicatis omnes, et non sint in vobis
schismata, sitis autem perfecti in uno eodemque sensu atque in una eademque sententia
(1Cor 1, 10)». Sul rapporto della chiesa terrestre con la chiesa celeste si veda il commento
ad loc. in Crouzel-Simonetti, II (SC 253), 97.
1517 Prin II, 3, 5 (120, 24-29): «et vide ne illud quod dicit salvator quia Volo ubi
ego sum ut et isti ibi sint mecum (Gv 17, 24) et Sicut ego et tu unum sumus, ut et isti in
nobis unum sint (Gv 17, 21) ostendere videatur plus aliquid quam est saeculum vel sae-
cula, forte etiam plus quam est saecula saeculorum, id videlicet cum iam non in saeculo
sunt omnia, sed omnia et in omnibus deus (cfr. 1Cor 15, 28)».
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 485
il volere divino per attuare l’unità in Dio Padre, Figlio e Spirito1518. L’im-
plicazione trinitaria della preghiera di Gesù emerge qui nitidamente, seb-
bene Origene sottolinei fortemente la dimensione dell’unità. In realtà, es-
sere in Dio significa essere ricondotti dalla frammentazione all’unità, co-
me l’Alessandrino ha precisato in un frammento del Commento a Osea:
Gv 17, 21-(22) rammenta che quanti si sforzano di piacere a Dio vengono
a formare una sola cosa con lui1519. Che si tratti comunque di una mèta
raggiungibile solo in sede escatologica lo ricorda anche CCt I, osservando
che la corsa delle fanciulle-anime dietro lo Sposo-Logos si arresterà nella
comunione di amore con Dio, che darà compimento all’invocazione di
Gesù 1520. Il dinamismo dell’amore intratrinitario fra Padre, Figlio e Spiri-
to, al quale gli uomini sono associati con l’opera della redenzione, emerge
nuovamente in CRm IV, 9:
«Ora, se c’è uno Spirito di amore e un Figlio dell’amore e se Dio è amore, è
certo che dall’unica fonte della divinità del Padre occorre intendere sia il Figlio
sia lo Spirito santo e dalla sua abbondanza è infusa l’abbondanza dell’amore an-
che nei cuori dei santi, perché ricevano la partecipazione alla natura divina [...]
affinché mediante questo dono dello Spirito santo, trovi compimento quella frase
pronunciata dal Signore: Come tu Padre in me ed io in te, anche questi siano una
cosa sola in noi: siano resi cioè partecipi della natura divina per l’abbondanza
dell’amore donato per mezzo dello Spirito santo»1521.

Qui la risposta del Padre alla preghiera di Gesù per l’unità è vista nel
dono dello Spirito che restaura l’immagine divina nell’anima (un motivo
presente anche in HGn I, 13) trasformandola così in «un solo spirito» con
il Logos. Questo sfondo riaffiora anche nella trattazione sulla «fine del
mondo» in Prin III, 6: se il sommo bene dell’uomo consiste nel «divenire
––––––––––––––––––
1518 EM 39 (nota 775).
1519 Phil 8 = COs: o{ti oiJ eujarestou'nte" tw/' kurivw/ e}n eijsin, ajpo; th'" proseuch'",
h|" oJ swth;r eu[cetai pro;" to;n patevra peri; tw'n maqhtw'n aujtou', e[stin ijdei'n: Pavter gavr,
fhsin, a{gie, do;" i{na kaqw;" kai; su; e{n ejsmen ou{tw kai; ou|toi ejn hJmi'n e}n w\sin (cfr. Gv 17,
11.21). o{tan de; kai; ajllhvlwn mevlh ei\nai levgwntai oiJ a{gioi, tiv a[llo eij mh; e}n sw'mav eijsi.
Il fr. contiene un’affermazione che ricorda sia Orat XXI, 2 (nota 619) sia CIo V: ÔO ga;r ei|"
o{te aJmartavnei pollostov" ejstin, ajposcizovmeno" ajpo; qeou' kai; merizovmeno" kai; th'"
eJnovthto" ejkpeswvn: oiJ de; polloi; tai'" ejntolai'" eJpovmenai tai'" tou' qeou' ei|" eijsiv.
1520 CCt I, 4, 9 (103, 12-17): «Ego puto quod, si ad hoc aliquando pervenerint, iam
non ambulent neque currant, sed vinculis quibusdam caritatis eius adstrictae adhaereant ei
nec ultra mobilitatis alicuius ullus in iis resideat locus, sed sint cum eo unus spiritus et
compleatur in illis hoc, quod scriptum est: sicut tu pater in me et ego in te unum sumus,
ita et isti in nobis unum sint».
1521 CRm IV, 9 (nota 953 [tr. Cocchini I, 223]). In CRm V, 9 (435, 82-83) il riferi-
mento si applica alla trasformazione in Cristo della vita presente: «Et iterum ipse salvator
dicit: pater volo ut ubi ego sum et isti sint me cum; et iterum: sicut ego in te et tu in me ut
et isti in nobis unum sint (Gv 17, 21). Quod utique de illis dicit qui in praesenti vita com-
plantati fuerint similitudini mortis eius».
486 Parte seconda, Capitolo ottavo
simili» a Dio, con una formulazione a prima vista di natura dichiarata-
mente filosofica, tale fine in realtà è già iscritto nella creazione dell’uomo
«ad immagine di Dio» secondo le Scritture, che implica l’impegno ad at-
tuare la «somiglianza» con lui in una vita segnata dall’imitazione di Dio.
Ma la piena attuazione dell’immagine non può essere opera dell’uomo: in
definitiva, non solo è di carattere escatologico, ma essa si dà anche in ri-
sposta alla preghiera di Gesù in Gv 17, 211522. Sempre sulla scorta del no-
stro versetto la riflessione di Origene si spinge ancora a chiedersi in che
misura il corpo sia suscettibile di partecipare al processo di unificazione
di tutti gli esseri razionali in Dio 1523. La risposta non può non essere posi-
tiva, dal momento che l’Alessandrino si richiama alla categoria paolina di
«corpo spirituale» o incorruttibile (1Cor 15, 53) per intravedere così un
lungo processo di metamorfosi in senso spirituale della nostra realtà cor-
porea, conseguente alla trasformazione dell’«anima» in «spirito» e alla sua
unione con Dio1524.
Per finire, Origene si rifà spesso a Gv 17, 24 («Padre, voglio che an-
che quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino
la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della
––––––––––––––––––
1522 Prin III, 6, 1 (280, 22-281, 5): «Ipse quoque dominus in evangelio haec eadem
non solum futura, verum etiam sui intercessione futura designat, dum ipse hoc a patre di-
scipulis suis impetrare dignatur dicens: Pater, volo ut ubi ego sum et isti me cum sint (Gv
17, 24); et sicut ego et tu unum sumus, ita et isti in nobis unum sint (Gv 10, 30; 17, 21). In
quo iam videtur ipsa similitudo, si dici potest, proficere et ex simili unum iam fieri, pro eo
sine dubio quod in consummatione vel fine omnia et in omnibus deus est». Origene sol-
leva qui la questione se e in che misura il corpo partecipi dell’unione con Dio (281, 6-12):
«In quo requiritur a nonnullis, si ratio naturae corporeae, quamvis expurgatae ad liquidum
et penitus spiritalis effectae, non videatur obsistere vel ad similitudinis dignitatem vel ad
unitatis proprietatem, quod naturae divinae, quae utique principaliter incorporea est, nec
similis videatur posse dici quae in corpore est natura nec unum cum ea vere ac merito de-
signari, maxime cum id, quod unum est filius cum patre, ad naturae proprietatem referen-
dum fidei veritas doceat». Secondo un fr. conservato in Gerolamo, Ep. 124, 9 (282, 7-12),
Origene in realtà avrebbe sfruttato proprio il nostro versetto per la tesi dell’incorporeità
finale: «Ut autem incorporeum finem omnium rerum esse credamus, illa nos salvatoris
oratio provocat, in qua ait: Ut quomodo ego et tu unum sumus, sic et isti in nobis unum
sint (Gv 17, 26). Etenim scire debemus quid sit deus et quid sit futurus in fine salvator, et
quomodo sanctis similitudo patris et filii repromissa sit, ut quomodo illi in se unum sunt,
sic et isti in eis unum sint».
1523 Prin III, 6, 4 (286, 6-9): «Cum vero res ad illud coeperint festinare, ut sint om-
nes unum, sicut est pater cum filio unum (Gv 17, 21; 10, 30), consequenter intellegi datur
quod, ubi omnes unum sunt, iam diversitas non erit».
1524 Prin III, 6, 6 (287, 21-23): «In hunc ergo statum omnem hanc nostram substan-
tiam corporalem putandum est perducendam, tunc cum omnia restituentur, ut unum sint, et
cum deus fuerit omnia in omnibus». Cfr. anche HNm XVI, 6 (145, 3-8): «Erit ergo, inquit, ei,
hoc est Istraheli illi spiritali, gloria, sicut est gloria unicornis. Sic enim et ipse in evangelio
Dominus dicit: Pater, da eis, ut sicut ego et tu unum sumus, ita et isti in nobis unum sint
(Gv 17, 21). Et ideo similis gloria dabitur Istraheli, sicut est gloria unicornis, maxime cum
transformabit corpus humilitatis nostrae conforme corpori gloriae suae (cfr. Fil 3, 21)».
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 487
creazione del mondo»), sviluppando ulteriormente considerazioni di ordi-
ne cristologico, cosmologico ed ecclesiologico1525, ma anche insinuando il
motivo della sorte beata dei perfetti1526, o il dono di sé alla sposa-Chiesa
da parte di Cristo1527. Analogamente sfrutta occasionalmente Gv 17, 25
(«Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; que-
sti sanno che tu mi hai mandato») in polemica antimarcionita per asserire
l’unicità del Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento 1528.
In conclusione, sebbene il capitolo giovanneo si sia prestato a molte-
plici estrapolazioni di diversa natura nell’interpretazione di Origene, la
centralità che esso vi assume per argomentare alcune delle sue dottrine
peculiari si riverbera anche sulla sua immagine della preghiera. Non solo
l’Alessandrino dà particolare risalto al testo che, insieme al Padrenostro,
si presenta come l’altro grande testimone della preghiera di Gesù, ma egli
ne illumina il contenuto come il cuore stesso dell’economia della salvez-
za. Nella preghiera del Salvatore si manifesta il suo rapporto filiale con il
Padre, laddove Gesù viene nuovamente ad assumere lo statuto di colui che
è l’orante per eccellenza. Anche se solo in parte dei passi considerati viene
sottolineata apertamente la natura decisiva dell’orazione di Gesù, Origene
––––––––––––––––––
1525 CIo XIX, 22, 148-149 (324, 13-18): kai; o{ra eij duvnatai oJ levgwn: Oujk eijmi;
ejgw; ejk tou' kovsmou touvtou hJ yuch; ei\nai tou' ∆Ihsou' ejmpoliteuomevnh tw/' o{lw/ kovsmw/
ejkeivnw/ kai; pavnta aujto;n ejmperiercomevnh kai; ceiragwgou'sa ejp∆ aujto;n tou;" maqh-
teuomevnou". oujde;n e[cei ejkei'no" oJ kovsmo" kavtw, wJ" oujde; ou|to", wJ" pro;" to; ajkribe;"
ejxetavzonti, a[nw. pw'" ga;r duvnatai e[cein ti oJ kovsmo" ou|to" a[nw, ou| hJ ktivsi" katabolhv
ejstin… Cfr. anche Prin II, 3, 5 (nota 1517).
1526 Cfr. HNm XXI , 3 (203, 15-17): «Aut non tibi videtur simile aliquid suae beati-
tudinis carissimis suis conferre discipulis, cum dicit: Pater volo, ut, ubi ego sum, et isti
sint mecum, et cum iterum dicit quia: sedebitis et vos super duodecim thronos iudicantes
duodecim tribus Istrahel, et iterum: sicut tu in me, pater, et ego in te, ut et isti in nobis
unum sint»; HNm XXVIII, 4 (285, 11-14): «De quibus dicat: pater volo, ut, ubi ego sum, et
ipsi sint mecum; volo etiam istos esse reges, ut ego sim rex regum; volo et istos habere
dominationem, ut et ego sim Dominus dominantium»; HIos XVII, 2 (403, 25-404, 2):
«Beatus ergo est qui se exhibet talem et in istis omnibus, quae praecepit Iesus, invenitur
esse perfectus, ut ab Iesu sortem coelestis mansionis accipiat in futuro; de quo dicit ipse
Dominus Iesus: Pater volo, ut, ubi ego sum, et isti sint mecum, et: Sicut ego in te et tu in
me unum sumus, ut et isti in nobis unum sint». Si veda inoltre CRm VII, 1 (559, 122-126):
«coheres vero Christi cum transformabit corpus humilitatis nostrae conforme corpori cla-
ritatis suae, sed et cum illud adipisci meruerit quod dixit ipse salvator: Pater volo ut ubi
ego sum et isti sint mecum».
1527 CCt IV, 2, 30 (235, 7-10): «Illuc ergo evocat sponsam suam Christus, ut et de
omnibus eam, quae apud patrem habentur, edoceat et dicat: quia omnia vobis nota feci,
quae audivi a patre meo et ut iterum dicat: pater, volo, ut, ubi ego sum, et isti sint mecum».
1528 Prin II, 5, 4 (138, 21-26): «Denique in evangelio secundum Iohannem orans
ipse dominus noster ad patrem dicit: Pater iuste, et mundus te non agnovit (Gv 17, 25). Et
ne forte dicant quia etiam mundi creatorem pro adsumptione carnis patrem vocabat et ip-
sum iustum nominabat, excluduntur ab eo sermone, qui statim prosequitur: ait enim: Et
mundus te non agnovit (Gv 17, 25)».
488 Parte seconda, Capitolo ottavo
vi coglie nel suo nucleo centrale l’aspettativa della salvezza universale,
per i singoli e per la chiesa. Se la preghiera, intesa sempre e primariamen-
te come «domanda» anche dove (come in questo caso) si dà «colloquio»
con Dio, deve indirizzarsi per l’Alessandrino ai beni celesti, l’invocazione
all’unità da parte di Gesù mira al compimento escatologico del «Dio tutto
in tutti». In tal modo la «preghiera sacerdotale» di Gv 17 si palesa come
l’espressione più alta di quel ruolo di «Sommo sacerdote» che attribuisce
al ministero salvifico del Figlio di Dio una sua fondamentale strutturazio-
ne orante.

4.3. Mt 18, 19: la necessità della preghiera concorde, in Cristo e nello


Spirito
Abbiamo visto come l’unità finale di tutti gli uomini in Dio, che è al
centro della preghiera di Gesù in Gv 17, solleciti l’attuazione di senti-
menti concordi d’unione nella vita dei credenti. Origene ha raccomandato
questa necessità della concordia anche in relazione alla preghiera, rifa-
cendosi specialmente a Mt 18, 19 e collegandovi eventualmente anche il
v. 20 («19In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorde-
ranno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la
concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in
mezzo a loro»). Il luogo matteano non figura tra le citazioni di Orat, ma
l’Alessandrino vi ricorre altrove per illustrare l’idea secondo cui la pre-
ghiera unanime è garanzia di esaudimento1529. Egli lo ha commentato este-
samente in CMt XIV, 1-4, anche con il supporto di ulteriori passi biblici
che – come 1Cor 7, 5 e At 4, 32 – prospettano ugualmente l’esperienza di
una «sinfonia» orante1530. Nel commentario matteano si avverte la dialet-
tica sinergica fra impegno umano e iniziativa divina, con la chiara impres-
sione che solo grazie a quest’ultima possa darsi un’effettiva concordia di
preghiera, altrimenti difficile da realizzare sia nella vita di coppia che nel-
la comunità cristiana. Infatti, fonte e fondamento di tale concordia è il Lo-
gos, la cui presenza cementa con Mt 18, 20 l’unione tra i fedeli, facendo
così della loro preghiera sinfonica un riverbero della “musica” celeste.
L’esegesi polifonica proposta nel commentario, sfruttando lo spunto di
«due o tre» nel testo evangelico, esplora diversi livelli e manifestazioni
dell’unanimità orante – l’intesa della coppia sposata, l’armonia fra le tre
––––––––––––––––––
1529 Riferimenti a Mt 18, 19 compaiono in: CC VIII, 69 (p. 273 e nota 822); CRm X, 7
(nota 1533); CMt XIV, 1 (p. 350); CMt XIV, 2 (p. 351 e nota 533); CMt XIV, 3 (nota 1051);
CMt XIV, 4 (p. 352 e nota 1052); CMtS 89 (nota 1067); HEx XIII, 5 (nota 1531); HIos VII,
2 (note 1095, 1539); FrMt 381 (162, 1); FrLc 158 (nota 1537); Fr1Cor 16 (nota 1538).
Mt 18, 19-20 è citato in CMt XIV, 1.3. Sul tema della sumfwniva orante in Orat cfr. supra,
nota 533.
1530 Cfr. supra, 349-351.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 489
componenti dell’uomo sotto il governo dello spirito, l’accordo fra Antico
e Nuovo Testamento operato mediante l’intervento unificante dello Pneu-
ma –, in vista di inculcare la convinzione che tanto maggiore è l’unità,
tanto più certo l’esaudimento1531. Ciò aiuta a comprendere la posizione a
prima vista intransigente di CMtS 89, secondo cui la comunità ecclesiale
deve evitare di pregare insieme agli «indegni»: non si tratta di far prova
di un rigorismo pastorale profondamente estraneo all’animo di Origene,
bensì di assicurare quell’intima concordia spirituale, che sola offre la ga-
ranzia di un ascolto presso Dio1532.
Questa «unanimità» ha per CRm X, 7 il valore di una «grazia» pos-
sente, in quanto essa fa perno su Cristo e sulla promessa della sua sicura
presenza secondo Mt 18, 201533. Per illustrarne la forza l’Alessandrino ri-
corre anche qui all’esempio della comunità primitiva di Gerusalemme
riunita in preghiera (At 1, 14): alla sua unanimità orante risponde il dono
dello Spirito nella Pentecoste1534. Origene richiama egualmente l’esempio
dei tre figli di Core, addotto da CMt XIV, 1 in riferimento ai salmi loro at-
tribuiti, presentandolo però qui come una tradizione recepita dall’esegesi
giudeocristiana1535. Se nel commentario matteano la concordia fra Assir,
––––––––––––––––––
1531 Il tema dell’accordo fra carne e spirito si ritrova anche in HEx XIII, 5 (277, 14-
16): «Bona est caro quae iam spiritui non repugnat, sed obtemperat et consentit et ideo si
duobus vel tribus in vobis convenerint, ex quacumque re petieritis, fiet vobis (Mt 18, 19)
dixit Dominus».
1532 Si veda p. 355 e nota 1067.
1533 CRm X, 7 (805, 18-806, 25) commenta la benedizione di Rm 15, 5 («E il Dio
della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi
sentimenti ad esempio di Cristo Gesù»): «Grandis est ista benedictio ut unum sapiant om-
nes atque unum sentiant et sicut sibi ita unusquisque velit et proximo suo. Vis autem scire
quantum valeat unanimitatis gratia? Salvator in evangeliis pronuntiat: quia si duo vel tres
in unum consenserint de omni re quacumque petierint a Deo fiet eis (Mt 18, 19); et iterum
de semet ipso dicit: quia ubi fuerint duo vel tres congregati in nomine meo; hoc est unum
atque idem sentientes in nomine Christi; ibi inquit ero in medio eorum (Mt 18, 20)».
1534 CRm X, 7 (806, 27-30): «Vide in Actibus Apostolorum quomodo post ascen-
sionem Domini cum elevassent inquit undecim apostoli cum ceteris vocem et unanimiter
orassent motus est locus in quo stabant et praesentiam sancti Spiritus meruerunt».
1535 È interessante mettere a confronto i due testi: a parte la spiegazione etimolo-
gica dei nomi, il loro profilo risulta distinto proprio a seguito della peculiare tradizione
esegetica recepita da Origene in CRm. L’interpretazione offerta qui trova riscontro in
HReL I, 1 (98, 41-45): «Observatum tamen est etiam a prioribus nostris, quod in psalmis
tantummodo illis, qui attitulantur “filiis Chore”, in ipsis solis nihil amaritudinis vel austeri-
tatis videtur inferri». Secondo Nautin, ad loc. (p. 98), Origene si riferirebbe a Ippolito, ma
CRm X, 7 fa pensare senz’altro ad un’esegesi giudeocristiana. Krauss, 152-153, nota che
«only that part of this beautiful Agada which refers to the repentance of Korah’s sons is to
be found in Jewish sources. [...] In the Jewish sources we miss the fine touches of the gift
of prophecy bestowed on Korah’s sons, and of the always comforting nature of the Kora-
chide Psalms». Gerolamo, Tr. in Ps. 83 (CCL 78, p. 95, 6-11) riflette l’interpretazione ori-
geniana, senza tuttavia menzionare il motivo della concordia orante: «quicumque psalmus
praescribitur filiorum Chore, nihil triste habet, sed semper laeta significat. Quoniam enim
490 Parte seconda, Capitolo ottavo
Elkana e Abiasaf è frutto dello Spirito che li tiene uniti e ispira le loro
«profezie» in comune, nel Commento a Romani viene dato rilievo all’ora-
zione penitenziale, con la richiesta di perdono, che i tre avrebbero formu-
lato dopo la ribellione del Padre (Nm 16); in tal modo avrebbero ottenuto
da Dio non solo il perdono, ma anche la grazia della profezia. Tuttavia, il
motivo dell’unità che scaturisce dal dono dello Spirito ritorna più diretta-
mente nel seguito dell’argomentazione, poiché Origene evoca alcuni pre-
scritti delle lettere paoline nei quali l’apostolo si associa altri collaborato-
ri: essi attestano dunque che «essendosi trovati due o tre riuniti insieme,
lo Spirito santo ha fatto uscire da loro un unico pensiero e un unico discor-
so»1536. Anche in questo caso l’unanimità predispone l’intervento dello
Spirito che fa parlare di conseguenza con una sola voce.
––––––––––––––––––
Chore et Dathan et Abiron fecerunt contra Moysen, et a domino puniti sunt, filii chore,
qui non sunt secuti patrem suum, aeterno gaudio benedicti sunt».

CMt XIV , 1 (274, 19–275, 15) CRm X, 7 (806, 30-807, 47)


Eij de; kai; ajpo; tw'n palaiw'n grammavtwn «Ut autem adhuc quanta sit unanimitatis
dehvsei parasth'sai tou;" sumfwnhvsanta" virtus et quanta gratia clarius fiat non puto
ejpi; gh'" trei'", wJ" ei\nai to;n lovgon ejn mevsw/ absurdum videri si ea quae nobis etiam in
aujtw'n eJnou'nta aujtouv", ejpivsthson th/' ejpi- Veteri Testamento a patribus rationabiliter
grafh/' tw'n Yalmw'n, wJ" th/' tou' tessara- tradita sunt his scilicet qui ex Hebraeis ad
kostou' prwvtou ou{tw" ejcouvsh/: eij" to; tev- Christi fidem venerunt in medium profera-
lo": eij" suvnesin toi'" uiJoi'" Kovre (Sal 41 mus.
[42], 1). triw'n ga;r o[ntwn uiJwn' Kovre, w|n ta; Aiebant ergo tres illos filios Chore quorum
ojnovmata ejn th/' ∆Exovdw/ eu{romen (cfr. Es 6, nomina invenimus in Exodo, id est Asir qui
24), tou' ∆Ashvr, o}" eJrmeneuvetai PAIDEIA, interpretatur eruditio, et Elchan qui in nostra
kai; tou' deutevrou tou' ÔElkanav, o}" meta- lingua dicitur possessio Dei, et Abiasa qui
lambavnetai eij" to; QEOU KTHSIS, kai; triv- in Latino sermone indicat congregationem
tou tou' ∆Abiasavf, o}" ÔEllavdi fwnh'/ levgoit∆ patris, cum pater eorum Chore peccasset
a]n PATROS SUNAGWGH, aiJ profhtei'ai ouj una cum Dathan et Abiron et omnibus qui
dih/revqesan, ajll∆ wJ" uJpo; eJno;" pneuvmato" consenserunt eis et divinae ultionis in eos
kai; mia'" fwnh'" ejn mia'/ yuch/' ajlhqw'" sum- pararetur excidium (Nm 16, 1-33), istos se-
fwvnw" ejnergou'nto" kai; ei[rhntai kai; ejg- gregasse se a coetu nefario et ab impia con-
ravfhsan, kai; lalou'<si levgo>nte" oiJ trei'" spiratione sequestratos unanimiter ad Deum
wJ" ei|": o}n trovpon ejpipoqei' hJ e[lafo" ejpi; precem paenitentiae profudisse; atque exau-
ta;" phga;" tw'n uJdavtwn, ou{tw" ejpipoqei' hJ ditos a Deo non solum veniam poenae sed
yuchv mou pro;" sev, oJ qeov" (Sal 41[42], 2). et prophetiae gratiam meruisse; et hoc quo-
fasi; de; kai; plhquntikw'" ejn tw/' tessara- que eis a Deo poscentibus praestitum ne
kostw/' trivtw/: oJ qeov", ejn toi'" wjsi;n hJmw'n quid triste aut exitiabile prophetare iuberen-
hjkouvsamen (Sal 43[44], 2). tur; et ob hoc omnes psalmos quicumque
nominibus eorum attitulati referuntur nihil
triste adversum peccatores aut asperum con-
tinere».
1536 CRm X, 7 (807, 50-58): «Ego etiam illud quod Paulus in quibusdam epistulis
aliorum vocabula secum iungit et dicit: Paulus et Sostenes frater; et alibi: Paulus et Silva-
nus et Timotheus; puto non inaniter factum, sed per hoc ostendit quia duobus vel tribus in
uno positis Spiritus sanctus unum de eis sensum atque unum elicuerit sermonem; ut qui
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 491
Una considerazione analoga ispira la ripresa di Mt 18, 19 in FrLc
158, dove la missione concorde di Paolo e Barnaba offre l’esempio di
«due che si accordano sopra la terra» 1537, mentre Fr1Cor 16 ribadisce la
forza che scaturisce dalla preghiera sinfonica per la comunità ecclesiale
evocando di nuovo l’armonia orante della prima comunità apostolica1538.
Lo stesso paradigma ritorna in combinazione con il nostro luogo mattea-
no nell’esegesi della conquista di Gerico ad opera degli Israeliti in HIos
VII, 2: il clamore unanime del «grido di guerra» (Gs 6, 5.16.20) del po-
polo davanti alle mura della città è interpretato spiritualmente da Origene
come conforme al modello della preghiera concorde raccomandato da Mt
18, 19 e rappresentato con non minore forza ed efficacia dalla chiesa pri-
mitiva di Gerusalemme1539; dalla sua orazione unanime scaturisce infatti
il «terremoto» che annuncia la venuta dello Spirito nella Pentecoste1540. Il
potere che scaturisce dal pregare di comune accordo riepiloga anche la ri-
sposta finale dell’Alessandrino alla richiesta di Celso che i cristiani si
mobilitino in difesa dello stato romano. La dimensione politica dell’ora-
zione trova così in CC VIII, 69 la sua espressione più convinta. Basandosi
sull’assioma per cui Dio «si compiace dell’accordo fra gli esseri razionali
e condanna il disaccordo», l’Alessandrino fa intravedere la forza che pos-
siederebbe una preghiera fatta «in completo accordo» da tutti gli abitanti
dell’impero romano per difenderlo dai suoi nemici. Con una simile pre-
––––––––––––––––––
ecclesias docere cupiebant unum dicere omnes atque unum sapere ipsi prius unum se dice-
re et unum sapere demonstrarent, et uno ore honorificarent Deum et Patrem Domini nostri
Iesu Christi». Un identico motivo, più ampiamente orchestrato, compare in CMt XIV, 1.
1537 FrLc 158 (290, 9-14): ajlla; kai; u{steron Pau'lon kai; Barnavban ejxapevstei-
len eij" ta; e[qnh, kai; paravdeigmav ge oiJ toiou'toi h\san tw'n sumfwnouvntwn duvo ejpi; gh'".
ejfarmovsei" de; touvtoi" kai; tov: ajdelfo;" uJpo; ajdelfou' bohqouvmeno", wJ" povli" ojcurav (Pr
18, 19 LXX), kai; to;: ajgaqoi; oiJ duvo uJpe;r to;n e{na. to; de; kata; duvo tetavcqai kai; tou;" dwv-
deka ejmfaivnei ejn tw/' katalovgw/ aujtw'n oJ Matqai'o", kata; suzugivan aujtou;" tavxa".
1538 Fr1Cor 16 (86): Dei' ou\n mhdevna livqon ajnavrmoston ei\nai th/' oijkodomh/': eja;n
ga;r duvo fhsi; sumfwnhvswsin ejx uJmw'n ejpi; th'" gh'" peri; panto;" pravgmato" ou| eja;n aijthv-
swsi, genhvsetai aujtoi'" para; tou' Patro;" tou' ejn toi'" oujranoi'" (Mt 18, 19), povsw/ ou\n
plevon, eja;n pavnte" oiJ livqoi sumfwnhvswsin eij" mivan aJrmonivan kai; gevnhtai pavntwn hJ
kardiva kai; hJ yuch; miva (cfr. At 4, 32), hJ eujch; aujtw'n dunhvsetai kai; ijscuvsei.
1539 HIos VII, 2 (329, 2-5): «Unde mihi videtur iubilatio ista indicare quendam con-
cordiae et unanimitatis affectum. Qui si incidat in duos vel tres Christi discipulos, omnia,
quaecumque petierint in nomine Salvatoris, praestat iis pater coelestis (Mt 18, 19)».
1540 HIos VII, 2 (329, 5-12): «Si vero tanta fuerit beatitudo, ut universus populus
concors et unanimis maneat, ut eadem dicant omnes in eodem sensu atque in eadem sen-
tentia permanentes (At 1, 14), isto tali populo vocem unanimiter elevante fiet illud, quod
scriptum est in Actibus Apostolorum quia terrae motus factus est magnus, ubi tunc unani-
mes orabant Apostoli cum mulieribus et Maria matre Iesu; et terrae motu facto destruen-
tur et cadent omnia, quae terrena sunt, ac mundus ipse subvertetur». L’interpretazione di
At 2, 2 come «terremoto» ricorda la spiegazione fornita in CMtS 139 (supra, nota 888)
circa il terremoto di Mt 27, 51 visto come il segno della novità sconvolgente del Verbo
che scuote ogni carne raggiunta dal messaggio degli apostoli.
492 Parte seconda, Capitolo ottavo
ghiera essi offrirebbero la garanzia più solida per la sua protezione, come
avviene sempre con gli «uomini di Dio» che mantengono in vita il mondo
grazie alle loro preghiere1541.
Sull’onda della sua rinnovata riflessione sulla «sinfonia» orante, Ori-
gene arriva qui – con una formulazione che sembra peraltro rimanere unica
in tutta la sua opera – ad anticipare l’idea dello holy man nella tarda anti-
chità, caratterizzandolo come tale in forza della sua preghiera, concepita
sull’esempio di Abramo che intercede per Sodoma, più che per l’eserci-
zio di un potere taumaturgico più o meno indipendente da essa. È dunque
lecito scorgere in ciò un segno ulteriore – e forse il più eloquente – della
fecondità suscitata dal ricorso a Mt 18, 19 per la visuale della preghiera
aldilà del trattato. Anziché appuntare il proprio sguardo direttamente verso
la prospettiva dell’esaudimento – anche se essa risulta centrale in tutto il
discorso dell’Alessandrino –, il passo matteano illumina per lui come po-
chi altri l’atteggiamento spirituale richiesto per ricevere ascolto da Dio:
l’armonia orante si sintonizza intimamente con la prospettiva escatologica
dell’unione in Dio, mentre partecipa in sé di un dinamismo trinitario,
essendo fondata sulla presenza del Logos e sul dono dello Spirito. L’aspet-
to collettivo prevale su quello individuale nell’interpretazione origeniana
di Mt 18, 19 – com’è naturale, dato il tenore originario del passo –, ma
l’Alessandrino non ha tralasciato di servirsene anche per raccomandare
l’armonia personale dell’orante che fa delle sue diverse dimensioni antro-
pologiche un “uno” sinfonico.

4.4. 1Cor 7, 5: sessualità e preghiera

Apparentato agli occhi di Origene con Mt 18, 19 per l’affinità di lin-


guaggio che rimanda alla comune idea di una «sinfonia orante»1542, 1Cor
––––––––––––––––––
1541 CC VIII, 70 (286, 30-287, 5): ∆All∆ oiJ kaq∆ uJpovqesin Kevlsou pavnte" a]n pei-
sqevnte" ÔRwmai'oi eujcovmenoi perievsontai tw'n polemivwn h] oujde; th;n ajrch;n polemhvson-
tai, frourouvmenoi uJpo; qeiva" dunavmew", th'" dia; penthvkonta dikaivou" pevnte povlei"
o{la" ejpaggeilamevnh" diasw'sai (Gn 18, 24.26). ”Ale" gavr eijsi thrhtikoi; tw'n ejpi; gh'"
sustavsewn tou' kovsmou oiJ tou' qeou' a[nqrwpoi, kai; sunevsthke ta; ejpi; gh'", o{son oiJ a{le"
ouj trevpontai.
1542 La consonanza di 1Cor 7, 5 è data dall’espressione ejk sumfwvnou (o ejk sum-
fwniva"). Sulla particolare forma testuale in Origene si veda Hannah, 78-79 (supra, nota
529). Da notare la peculiare lezione i{na mh; ejpicarh'/ uJmi'n [peiravzh/ uJma'" NTG] oJ Sa-
tana'", «perché Satana non gioisca di voi» esclusiva di Origene (Orat II, 2), che secondo
Oulton, 332 potrebbe essere l’originaria: «In spite of its weak attestation, there are two
points that may be urged in favour of ejpicarh'/ uJmi'n being the true reading: (1) it would be
fatally easy for a scribe to alter ejpicarh'/ to peiravzh/ in a reference to Satan; and (2) if
Paul wrote ejpicarh'/ it would give additional point to I Cor. 13:6: hJ ajgavph [...] ouj caivrei
ejpi; th/' ajdikiva/».
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 493
7, 5 («Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporanea-
mente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché
Satana non vi tenti nei momenti di passione») non solo è uno fra i luoghi
paolini più influenti nel suo discorso sulla preghiera, ma soprattutto rinvia
ad una sfera d’esperienza che ne tradisce l’impatto auspicato sui diversi
stati di vita, a partire dalla condizione matrimoniale. La sua importanza si
è già potuta cogliere nell’esame del trattato, anche se le citazioni sono re-
lativamente ridotte1543. Tuttavia, ad uno sguardo complessivo sull’utilizzo
di 1Cor 7, 5, il rilievo si manifesta come ancora più cospicuo nel seguito
dell’opera, poiché l’Alessandrino fa emergere problematiche sottaciute in
Orat. Ciò avviene non soltanto nel commento ad hoc tramandatoci dai
frammenti di quelle che si ritengono essere le Omelie su 1 Corinzi, ma
anche in contesti esegetici diversi1544.
Origene si è accostato al cruciale capitolo paolino nel solco di una
tradizione interpretativa che ne aveva già messo a nudo le tensioni deri-
vanti dal difficile equilibrio perseguito dall’Apostolo fra esercizio della
sessualità all’interno del matrimonio e primato riconosciuto alla castità1545.
––––––––––––––––––
1543 La prima compare in Orat II, 2 (300, 15-18): e[ti de; tou' kaqo; dei' tov: mh; ajpo-
sterei'te ajllhvlou", eja;n mhv ti ejk sumfwniva" pro;" kairo;n, i{na scolavshte th'/ proseuch'/
kai; pavlin ejpi; to; aujto; h\te, i{na mh; ejpicarh'/ uJmi'n oJ satana'" dia; th;n ajkrasivan uJmw'n
(1Cor 7, 5). A sua volta, Orat XXVIII, 4 (377, 21-24) unisce 1Cor 7, 3 («Il marito compia
il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito») a 7, 5 nel com-
mento della quinta petizione, a proposito del «debito comune» cui, secondo Paolo, sono
tenuti reciprocamente marito e moglie: h[dh de; oJ ajpovstolo" ojfeilhvn tina koinh;n wjnov-
masen ajndro;" kai; gunaiko;" levgwn: th'/ gunaiki; oJ ajnh;r th;n ojfeilh;n ajpodidovtw, oJmoivw"
kai; hJ gunh; tw'/ ajndriv (1Cor 7, 3): kai; ejpifevrei: mh; ajposterei'te ajllhvlou" (1Cor 7, 5).
La terza occorrenza – 1Cor 7, 5-6 – figura in Orat XXXI, 4 (nota 528).
1544 Al di fuori di Orat registriamo il seguente elenco: Fr1Cor 34 (138) cita 1Cor
7, 5-6, mentre il nostro versetto compare ulteriormente in Fr1Cor 29 (nota 1549); Fr1Cor
33 (nota 1551); Fr1Cor 38 ([152] Dou'lo" ou|n ejklhvqh"… mhv soi melevtw: ajll∆ eij kai; duvna-
sai ejleuvqero" genevsqai, ma'llon crh'sai [1Cor 7, 21]: tou't∆ e[stin, eij mh; paranomei'"
kata; to;n lovgon, duvnasai ejleuvqero" ei\nai: pw'"… ejk sumfwvnou i{na scolavshte th/' pro-
seuch/' meta; pavsh" oJmonoiva"). Cfr. inoltre CRm I, 1 (nota 1557); CRm IX, 1 (nota 1558);
CMt XIII, 7 (nota 1236); CMt XIV, 1 (nota 1565); CMt XIV , 2 (nota 1567); CMt XVII, 35
([699, 5-12] ou{tw" kai; ta; peri; gavmwn gegrammevna kai; ajndrw'n kai; gunaikw'n
throu'nte" ejpi; tou' rJhtou' kai; oijovmenoi sunousivai" hJma'" kai; tovte crhvsesqai, di∆ a}"
oujde; scolavzein ejsti; th/' proseuch/' dunato;n ejn molusmw/' pw'" o[ntwn kai; ajkaqarsiva/ tini;
tw'n crwmevnwn ajfrodisivoi"); HNm XXIII, 3 (nota 531); FrPs 6, 7 (nota 1562); FrPs 62
(63), 7 (nota 1563); FrQo 3, 5 b (nota 1564); FrRm 8 Staab (78, 10; nota 1559).
1545 Sul dibattito esegetico-dottrinale intorno a 1Cor 7 si veda Clark; Hunter. Mi
sono soffermato su 1Cor 7 e le ragioni dell’ascetismo protocristiano in Perrone 2002a.
Sull’interpretazione origeniana di 1Cor si veda Cocchini, 82-88: Origene «costantemen-
te qualifica questa lettera come uno scritto rivolto a una comunità in pericolo sia perché,
come quella dei Galati, non era ancora sufficientemente formata, sia perché, a motivo del
contesto pagano in cui era inserita e che doveva essere particolarmente fiorente, aveva
“fama di fornicazione, di idolatria e di consumo di carni immolate agli idoli” e si vantava
di possedere una sapienza che in realtà non corrispondeva né a quella “dei veri saggi” che
494 Parte seconda, Capitolo ottavo
Respingendo le posizioni encratite abbracciate da Taziano ed anche da
Marcione, e riallacciandosi in ciò a Clemente Alessandrino, egli difende
la liceità del matrimonio cristiano, ma nello stesso tempo non nasconde la
difficoltà a conciliare l’esercizio della sessualità con la vita di preghiera.
Lo avvertiamo fin dal trattato, allorché nell’esemplificare il «modo di pre-
gare» (to; kaqo; dei'), Origene dapprima raccomanda da un lato l’accordo
di coppia per l’astinenza sessuale in vista della preghiera e dall’altro una
pratica sessuale che sia sottomessa al controllo della ragione (Orat II, 2)1546.
Ora, se tale indicazione si presenta a prima vista come una soluzione po-
tenzialmente equilibrata, che sfrutta in senso positivo la «sinfonia orante»
per attuare la stessa comunione sessuale sul piano coniugale, in seguito
proprio la pratica dichiarata legittima, purché «sinfonica», viene a conflig-
gere per l’Alessandrino con le modalità concrete dell’atto orante. Così
Orat XXXI, 4 sembrerebbe abbracciare la sofferta opinione che sconsiglia
di pregare nella camera nuziale, ancorché la condotta sessuale vi si esplichi
nei termini consentiti dall’Apostolo1547. La riluttanza chiaramente percepi-
bile qui deriva dalla concezione della sessualità come apportatrice d’impu-
rità; in quanto tale, l’Alessandrino l’include necessariamente nel processo
di purificazione che accompagna preliminarmente l’atto orante1548.
Origene ha riflettuto in maniera più approfondita su tali aspetti nel
commentare 1Cor per la comunità di Cesarea, mettendo in luce l’incompa-
tibilità di un rapporto diretto e positivo fra vita sessuale e vita di preghiera.
L’interpretazione di 1Cor 7 è inquadrata da alcune premesse di ordine an-
tropologico-spirituale e storico-ecclesiale. Origene sostiene anzitutto che
la vocazione originaria del corpo, conformemente al disegno divino sui
protoplasti, è quella di essere tempio dello Spirito santo, con l’anima chia-
mata a svolgere il ruolo di suo «sacerdote»1549. In questa cornice egli riaf-
ferma il primato della verginità, della continenza e della consacrazione
alla preghiera, dal momento che il corpo di colui che è divenuto «confor-
––––––––––––––––––
abbondavano nel suo stesso ambiente né a quella “secondo Dio”, ed era pertanto giusta-
mente fatta oggetto dei rimproveri da parte dell’Apostolo» (pp. 84-85).
1546 Orat II, 2 (300, 18-23): dia; touvtwn ga;r ejmpodivzetai to; kaqo; dei', eja;n mh; kai;
tw'n kata; to;n gavmon siwpa'sqai ajxivwn musthrivwn to; e[rgon semnovteron kai; braduvte-
ron kai; ajpaqevsteron givnhtai, th'" legomevnh" ejntauqoi' sumfwniva" to; ajsuvmfwnon tou'
pavqou" ajfanizouvsh" kai; th;n ajkrasivan ajnaliskouvsh" tou' te satana' to; ejpicairhsiv-
kakon kwluouvsh".
1547 Orat XXXI, 4 (nota 528).
1548 Cfr. supra, pp. 172-173. Per Sfameni Gasparro 2000b, 269, l’esegesi di 1Cor 7
induce Origene a ritenere l’attività coniugale «un ostacolo alla preghiera stessa e in gene-
rale alla pratica religiosa del cristiano».
1549 Fr1Cor 29 (130) su 1Cor 6, 13-14: ei[ qevlei" to;n prohgouvmenon lovgon
maqei'n dia; tiv gevgonen, a[koue: i{na nao;" h/\ tw/' Kurivw/, kai; i{na hJ yuch; aJgiva kai; makariva
ou\sa to; pneu'ma to; a{gion wJsperei; qerapeuvousa, iJereu;" gevnhtai tou' ejn soi; aJgivou
pneuvmato".
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 495
me a Cristo» appartiene al Signore1550. Pur nelle tensioni che oppongono
a Corinto «forti» e «deboli», è quindi naturale che Paolo inizi il suo di-
scorso da ciò che assiologicamente occupa il primo posto, riconoscendo
anzitutto il valore della castità (1Cor 7, 1). Ma d’altra parte l’Apostolo
non può non tener conto dell’«umana debolezza», in considerazione della
quale subordina la pratica della verginità e della preghiera a una decisione
condivisa da entrambi i coniugi: è preferibile, infatti, salvarsi nelle «opere
del matrimonio» piuttosto che lasciare che uno dei due si perda1551. In
ogni caso – come nota l’Alessandrino entrando nel vivo della spiegazione
di 1Cor 7, 5 –, non è la stessa cosa accostarsi alla preghiera in una con-
dizione di purità sessuale (kaqarovth") o a partire dalla «comunione»
coniugale (koinwniva) 1552. La distinzione è rafforzata dal confronto con la
religiosità pagana: se gli stessi pagani si astengono dai rapporti sessuali
prima di offrire agli idoli, quanto più è tenuto a farlo il cristiano «che
prega il Dio dell’universo»!
Di conseguenza, la giusta regola per la coppia è accondiscendere al
sesso a causa dell’«umana debolezza», ma astenersi da esso «a motivo
delle preghiere». Con ciò Origene intende fra l’altro, in modo più circo-
stanziato, la partecipazione alla celebrazione eucaristica, come chiarisce
l’argomentazione scritturistica ad hoc. Egli rammenta infatti non solo la
purificazione preliminare di tre giorni, richiesta da Mosè agli israeliti af-
finché potessero divenire «ascoltatori di Dio» (Es 19, 15), ma anche l’epi-
sodio dei giovani di David, i quali essendo «mondi dalle donne», cioè le
loro mogli, possono accostarsi ai «pani della proposizione» (1Sam 21, 4).
A fortiori, si deve essere puri, quando si ricevono i pani ben più grandi dei
«pani della proposizione», con un chiaro riferimento all’epiclesi trinitaria
nella celebrazione eucaristica e alla partecipazione alla comunione1553.
Pertanto non è possibile conciliare l’assolvimento del «debito» coniugale
con le preghiere, né si può dire che sia pura l’orazione di colui che intrat-
––––––––––––––––––
1550 Fr1Cor 29 (130): To; ga;r prohgouvmenon aJgneuvein kai; kaqareuvein kai; sco-
lavzein th/' proseuch/'. Tou' ga;r h[dh ejgerqevnto" meta; Cristou' kai; summovrfou genomev-
nou th/' ajnavstasei aujtou' kai; th/' kainovthti th'" zwh'" to; sw'ma ojfeivlei ei\nai oujdeno;" h]
tou' Kurivou.
1551 Fr1Cor 33 (136): AiJretwvteron ga;r tw'n duvo swqh'nai euJriskomevnoi" ejn toi'"
e[rgoi" tou' gavmou h] th/' profavsei tou' eJno;" to;n e{teron ejkpesei'n th'" ejlpivdo" th'" ejn
Cristw/': pw'" ga;r kai; swqhvsetai e[noco" w]n tw/' qanavtw/ th'" gunaikov"… oujk e[stin ou\n
kaqara; hJ semnovth" tou' ajndro;" o{te mh; ejk sumfwniva" th'" gunaiko;" givnhtai hJ a[skhsi"
ajmfotevroi" uJpe;r tou' scolavsai tai'" kata; Qeo;n eujcai'".
1552 Fr1Cor 34 (136): ∆Ofeivlete ga;r ajmfovteroi eijdevnai o{ti oujk e[stin hJ aujth;
eujch; ajpo; kaqarovthto" ajndro;" kai; gunaiko;" kai; eujch; ajpo; koinwniva".
1553 Fr1Cor 34 (138): i{na de; tou;" meivzona" th'" proqevsew" lavbh/ a[rtou", ejf∆ w}n
ejpikevklhtai to; o[noma tou' qeou' kai; tou' Cristou' kai; tou' aJgivou pneuvmato", ouj pollw/'
plevon ojfeivlei ti" ei\nai kaqarwvtero". Sulla dimensione eucaristica si veda supra, note
673, 1276, 1344.
496 Parte seconda, Capitolo ottavo
tiene rapporti sessuali, anche nel quadro del matrimonio1554; in particolare,
nel tempo riservato al digiuno e alla preghiera occorre sempre essere mon-
di dal rapporto con la propria moglie1555. Nondimeno, l’incompatibilità
dichiarata fra esercizio del sesso ed espressione della preghiera non com-
porta per l’Alessandrino l’incapacità per i coniugi di vivere il loro stato
come una condizione gradita a Dio. Dopo aver reciso il legame diretto fra
sesso e preghiera, Origene si premura di mostrare come nell’economia
complessiva della vita coniugale si attui una vocazione cristiana che in-
treccia di fatto il rapporto sessuale e la procreazione con la preghiera e
giunge a fare del matrimonio un vero e proprio «carisma»: «il matrimo-
nio ha il profumo di un dono», soprattutto quando rispecchia intimamente
quella «sinfonia» raccomandata da 1Cor 7, 51556.
Anche nel Commento a Romani l’Alessandrino è tornato a citare il
nostro passo, facendolo oggetto di un’interpretazione che converge con
quella fornita in Fr1Cor. Esso aiuta anzi a comprendere lo stesso profilo
biografico dell’Apostolo, il quale – pur essendo per Origene presumibil-
mente sposato – di comune accordo con la moglie ha deciso di votarsi alla
castità: servo nel matrimonio, si rende pertanto servo di Cristo nella con-
tinenza1557. Non per questo si deve sminuire il valore cristiano dello stato
matrimoniale, pur venendo esso in quint’ordine dopo apostoli, martiri,
vergini e continenti; anzi, se le nozze sono vissute santamente dai coniugi,
questi anche da sposati possono fare offerta a Dio dei loro corpi «come
––––––––––––––––––
1554 Fr1Cor 34 (138): oujk e[nesti kai; qew/' ajpodidovnai deovntw" ta;" eujca;" kai;
ajpodou'nai th;n ojfeilh;n to;n gegamhkovta th'/ gunaikiv: diovper to; ojfeivlhma to; eij" Qeo;n
eja;n ejpeivgh/, dei' to; e{teron ajposterei'n. “Akoue ga;r aujtou' levgonto": mh; ajposterei'te
ajllhvlou", eij mhv ti a]n ejk sumfwvnou pro;" kairo;n i{na scolavshte th'/ proseuch'/ kai; pav-
lin ejpi; to; aujto; h\te: wJ" mh; kaqara'" ajnapempomevnh" th'" eujch'" toi'" kai; sunelhluqov-
sin, eij kai; nomivmw" sunelhluvqasin.
1555 Fr1Cor 34 (138): Kai; dei' kaqareuvein pavntw" kai; ajpo; th'" ijdiva" gunaiko;" ejn
kairw/' eujch'" kai; nhsteiva".
1556 Fr1Cor 34 (140): Pnevei carivsmato" oJ gavmo", o{te ta; mevtra threi'tai, tou' ejk
sumfwniva". Kai; ajlhqw'" e[stin eijpei'n ejpiv tinwn o{ti touvtw/ oJ gavmo" cavrismav ejstin, o{te
oujk ajkastasiva, o{te pa'sa eijrhvnh, pa'sa sumfwniva. Cfr. anche Fr1Cor 35 (144): ejpi; de;
tw'n pistw'n, o{te ajmfovteroi koinwnou'si kai; eujcw'n kai; paidopoiiva" aJgiva" kai; pavntwn
w|n cristianou;" koinwnei'n dei', levgei o{ti oJ gavmo" oujk ajllovtriov" ejsti qeou'. In FrRm
(cfr. CRm I, 14 [72, 10-15]) il matrimonio è annoverato fra i carivsmata ouj pneumatikav.
1557 CRm I, 1 (47, 35-41.49-52): «Est ergo servus vocatus qui in coniugio positus
venit ad Christum, cui dicitur: servus vocatus es? nihil ad te attineat; sed et si potes liber
fieri magis utere (1Cor 7, 21); quia in coniugibus alterius continentiae libertas alteri gene-
rat periculum castitatis. Non enim debent nisi ex consensu ad tempus vacare orationi et
iterum in id ipsum esse ne eos temtet Satanas propter incontinentiam suam. [...] Paulus
ergo si ut quidam tradunt cum uxore vocatus, de qua dicit ad Filippenses scribens: rogo
etiam te germane compar adiuva illas; quia cum ipsa ex consensu liber effectus est ser-
vum se nominat Christi». Cocchini, 32 ss., basandosi in particolare su Fr1Cor 35, deduce
che «per l’Alessandrino Paolo doveva essere stato sposato e poi o si era separato dalla mo-
glie o era rimasto vedovo» (p. 35).
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 497
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12, 1), alternando i tempi
dedicati dietro mutuo consenso alla preghiera con i momenti dello scam-
bio coniugale1558. Più che allo stato di celibe o di sposato considerato in
astratto, per Origene importa verificare le modalità con le quali esso viene
vissuto. Resta peraltro vero che anche l’offerta santa di sé a Dio non rea-
lizza interamente secondo l’Alessandrino le esigenze dell’oratio continua,
nella misura in cui la pratica sessuale, fonte di impurità, osta ad una sua
piena attuazione: come precisa un frammento del Commento a Romani,
«l’unione fra l’uomo e la donna impedisce la preghiera»1559. Egli lo ribadi-
sce nelle Omelie su Numeri, dove fra l’altro ricorda che persino il profeta
che attende all’esercizio della generazione, nel compiere ciò è privato del-
la presenza dello Spirito1560. Analogamente, solo chi pratica la continenza
è in grado di fare della propria vita un sacrificio perenne a Dio, senza
quella forzata alternanza fra sesso e preghiera per chi si attenga ai doveri
coniugali1561. In questo stesso ordine di idee si collocano due frammenti
sui Salmi, qualora li si possa ritenere autentici, che sfruttano entrambi la
citazione di 1Cor 7, 5 per ribadire l’idea secondo cui solo chi si astiene
dal sesso, può vivere integralmente una vita di preghiera. Un commento a
––––––––––––––––––
1558 CRm IX, 1 (714, 81–715, 95): «Et quamvis in ecclesia prima post apostolos ho-
stia martyrum secunda virginum videatur tertia continentium; puto tamen quod nec hi qui
in coniugiis positi sunt et ex consensu ad tempus vacant orationi (1Cor 7, 5) velut Naza-
raeorum vota solventes si in ceteris sancte agant et iuste negandi sunt corpora sua exhi-
bere posse hostiam viventem sanctam placentem Deo (Rm 12, 1); nec rursum corpora vir-
ginum vel continentium si aut superbiae macula aut avaritiae sordibus aut linguae maledi-
cae vel mendacii immunditia polluantur hostiam sanctam et Deo placentem putandi sunt
ex sola virginitate corporis obtulisse; quia et in lege hostia cum offerretur inspiciebatur a
sacerdote diligentius non solum si ex mundis esset animalibus sed ne aut in oculo haberet
vitium aut in auribus aut in pedibus ne claudum ne luscum ne vulsum animal divino am-
moveretur altari».
1559 FrRm (cfr. CRm I, 14): to; ga;r pneumatiko;n oujk a[n pote ejmpodivsh/ proseuch/,'
hJ de; ejpi; to; aujto; suvnodo" ajndro;" kai; gunaiko;" kwluvei (Staab 78, 10)
1560 HNm VI, 3 (35, 16-18): «conubia legitima carent quidem peccato nec tamen
tempore illo, quo coniugales actus geruntur, praesentia sancti Spiritus dabitur, etiamsi pro-
pheta esse videatur, qui officio generationis obsequitur».
1561 HNm XXIII, 3 (214, 22-25): «Dies ergo festus est Domini, si ei sacrificium inde-
sinenter offeramus, si sine intermissione oremus (1Ts 5, 17), ita ut adscendat oratio nostra
sicut incensum in conspectu eius mane, et elevatio manuum nostrarum fiat ei sacrificium
vespertinum (Sal 140[141], 1-2)». La riserva per i coniugi, a partire da 1Cor 7, 5, è così
motivata (215, 13-14): «Unde videtur mihi quod illius est solius offerre sacrificium inde-
sinens, qui indesinenti et perpetuae se devoverit castitati». Ma forse è solo nella vita futura
che potrà essere offerto questo sacrificio ininterrotto (216, 30–217, 6): «In quo sabbato
concedat etiam nobis Deus diem festum agere secum et cum sanctis angelis suis festa cele-
brare, offerentes sacrificium laudis et reddentes altissimo vota (Sal 49[50, 14) nostra, quae
hic distinxerunt labia nostra (Sal 65[66], 14). Tunc fortassis et sacrificium indesinens, de
quo supra exposuimus, melius offeretur. Tunc enim melius indesinenter adsistere anima
poterit Deo et offerre sacrificium laudis per pontificem magnum, qui est sacerdos in aeter-
num secundum ordinem Melchisedech (Eb 6, 20)».
498 Parte seconda, Capitolo ottavo
Sal 6, 7 («ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, irroro di lacrime il
mio letto»), vi ricava «un’esortazione alla castità»: solo chi si mantiene
puro dalla contaminazione sessuale è in grado di far proprie le parole del
salmo, piangendo i propri peccati passati1562. Identica interpretazione è
tratta da un frammento su Sal 62(63), 7 («nel mio giaciglio di te mi ricor-
do e penso a te nelle veglie notturne»): colui che si vota alla preghiera, si
mantiene puro 1563. Da parte sua un frammento dal Commento a Ecclesia-
ste, senza contraddire l’impostazione suddetta, distingue nettamente il
tempo dedicato alla preghiera da quello volto all’attività sessuale, o me-
glio alla procreazione1564.
La ripresa di 1Cor 7, 5 in CMt XIV rappresenta in un certo senso la
sintesi della riflessione origeniana sul passo paolino. L’Alessandrino l’ha
addotto, come si è visto sopra, nella sua spiegazione di Mt 18, 19, per cui
l’accento batte principalmente sulla dimensione «sinfonica» del rapporto
fra matrimonio e preghiera. Uno dei frutti della concordia coniugale, vista
come una manifestazione dell’armonia divina, è proprio la vita di preghie-
ra condivisa gioiosamente tra marito e moglie1565. Ad una coppia siffatta
si applica la seconda delle spiegazioni fornite da Origene su Mt 18, 19-20,
tratta a suo dire da «uno dei suoi predecessori», il quale avrebbe inteso
così «esortare alla castità e alla purezza». L’accordo che il Logos vorrebbe
veder realizzato sulla terra fra «due o tre» riguarda dunque la coppia, che
è chiamata a vivere il proprio rapporto secondo l’indicazione dell’Apo-
stolo in 1Cor 7, 5, cioè astenendosi dai rapporti sessuali per la preghiera.
Ora, a chi attua questa «sinfonia» Gesù promette sicuro esaudimento da
––––––––––––––––––
1562 FrPs 6, 7 (PG 12, 1176C): Carievntw" de; eij" protroph;n aJgneiva" crhsovmeqa
tw/' lovgw touvtw//: Louvsw kaq∆ eJkavsthn nuvkta th;n klivnhn mou, uJpo; movnwn tw'n ajei; kaqa-
reuovntwn ajpo; mivxew" favskonte" kalw'" levgesqai to;: Louvsw kaq∆ eJkavsthn nuvkta th;n
klivnhn mou (Sal 6, 7): ou|toi de; kai; scolavzonte" th/' proseuch/' (1Cor 7, 5), ejn davkrusi
brevcousin eJautw'n ejn toi'" hJmarthmevnoi" pavlai th;n strwmnhvn. Si noti l’espressione eij"
protroph;n aJgneiva" che ricorda l’analoga formulazione di CMt XIV, 2 (nota 1567).
1563 FrPs 62 (63), 7 (PG 12, 1489A-B): Piqano;n eij" aJgneivan protreptikovn: wJ"
tou' ejpi; th'" strwmnh'" mnhmoneuvonto" tw'n kata; qeovn, pavntw" kaqareuvonto". ÔOmoivw"
kai; to; ∆En davkrusiv mou th;n strwmnhvn mou brevxw. Kai; ga;r ajposterou'sin ajllhvlou" oiJ
scolavzonte" th/' proseuch/'.
1564 FrQo su Qo 3, 5 b («un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli
abbracci»): ”Epetai tw/' lovgw/ to; mh; ajposterei'te ajllhvlou", eij mhvti ejk sumfwvnou gevnh-
tai pro;" kairovn, i{na scolavzhte th/' proseuch/' . Meta; de; th;n proseuchvn, kairo;" perilhv-
yew" oJ th'" paidopoii?a" (Leanza, 14; Leanza 1983, 24-25).
1565 CMt XIV, 1 (272, 30-273, 12): ou{tw" ejgw; ajkouvw kai; tou' ajpostolikou' rJhtou':
mh; ajposterei'te ajllhvlou", eij mhv ti a]n ejk sumfwvnou pro;" kairo;n i{na scolavshte th'/
proseuch'/. ejpei; ga;r to; th'" aJrmoniva" o[noma ejpi; tw'n kata; qeo;n gamouvntwn tevtaktai ejn
tw/' ou{tw" ejk Paroimiw'n tetagmevnw/ rJhtw/': oi\kon kai; u{parxin meriou'ntai patevre" pai-
siv, para; de; qeou' aJrmovzetai gunh; ajndriv (Pr 19, 14), ajkovlouqovn ejsti th/' ajpo; qeou' aJrmo-
niva/ to; o[noma kai; to; e[rgon ajpolauvein th'" sumfwniva" eij" eujchvn, o{per dhlou'tai ejn tw/'
eij mhv ti a]n ejk sumfwvnou.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 499
parte del Padre celeste per qualunque domanda gli verrà indirizzata1566.
Riportata l’esegesi altrui, l’Alessandrino si preoccupa di far notare che
una simile interpretazione non comporta affatto lo scioglimento del vin-
colo matrimoniale, ma deve piuttosto spingere a vivere un’intesa più pro-
fonda nella vita di coppia. Ancora una volta però questa visione ideale
dell’armonia coniugale espressa attraverso la preghiera condivisa degli
sposi sembra dover sfociare per Origene nell’astensione dal sesso. Egli
osserva infatti che la promessa di Mt 18, 19-20 non vale per coloro che si
accordano “al basso”, quando cioè uno dei coniugi non voglia o non possa
praticare la continenza1567. In conclusione, se 1Cor 7, 5 implica un risvolto
negativo in rapporto all’esercizio della sessualità, l’Alessandrino ne in-
dica positivamente il potenziale armonico per una vita di coppia quando
essa faccia perno sulla comune preghiera dei due coniugi.

4.5. Mt 5, 44: la preghiera per i nemici e l’universalità dell’amore

Nel trattato Origene ha indicato con grande chiarezza la necessità del


perdono e della riconciliazione fraterna quali requisiti preliminari per
l’orazione spirituale, anche se ha sfruttato assai poco Mt 5, 23, il luogo
evangelico che inculca per eccellenza l’ineludibile nesso fra preghiera,
perdono e riconciliazione, preferendogli il parallelo di Mc 11, 25 («Quan-
do vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, per-
ché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati»)1568.
––––––––––––––––––
1566 CMt XIV, 2 (277, 30-278, 14): h[dh de; kai; a[llh" dihghvsew" aJywvmeqa, h}n
e[legev ti" tw'n pro; hJmw'n, protrevpwn ejpi; aJgneivan kai; kaqarovthta tou;" gegamhkovta".
duvo gavr, ou}" bouvlhtai (fhsi;n) oJ lovgo" sumfwnei'n ejpi; th'" gh'", a[ndra kai; gunai'ka noh-
tevon, ejk sumfwniva" ajposterou'nta" ajllhvlou" swmatikh'" oJmiliva", i{na scolavswsi th'/
proseuch'/, o{te proseucovmenoi peri; panto;" pravgmato" ou| eja;n aijthvswntai lhvyontai,
gignomevnou aujtoi'" tou' ajpo; toiauvth" sumfwniva" aijthvmato" para; tou' ejn oujranoi'" pa-
tro;" ∆Ihsou' Cristou'.
1567 CMt XIV , 2 (278, 15-27): kai; e[oiken hJmi'n hJ dihvghsi" au{th ouj diavlusin
poiei'n gavmou, ajll∆ ejpi; sumfwnivan protrophvn: wJ" eij oJ e{tero" me;n bouvloito kaqareuv-
ein, oJ de; e{tero" mh; qevloi <h] mh; duvnaito> kai; dia; tou'to sugkatabaivnoi tw/' h] mh; qevlonti
h] mh; dunamevnw/ oJ kai; boulovmeno" kai; dunavmeno" to; krei'tton, oujk a]n e[coien ajmfovte-
roi to; peri; panto;" pravgmato" ou| eja;n aijthvswntai, givnesqai aujtoi'" para; tou' ejn oujra-
noi'" patro;" ∆Ihsou' Cristou'.
1568 Egli si serve di Mt 5, 23 unicamente in Orat II, 2 e HNm XXVI , 2, dove lo mette
in relazione con 1Tm 2, 8 (supra, pp. 6, 434 e nota 1347). Invece cita o allude a Mc 11, 25
in Orat II , 2 ([300, 23-25] pro;" touvtoi" tou' kaqo; dei' ejsti didaskaliko;n tov: eja;n sthvkhte
proseucovmenoi, ajfivete, ei[ ti a]n e[chte katav tino"); VIII , 1 ([317, 2-4] ajll∆ oujde; ajfev-
sew" aJmarthmavtwn oi|ovn te tucei'n to;n eujcovmenon, mh; ajpo; th'" kardiva" ajfievnta tw'/ pe-
plhmmelhkovti kai; suggnwvmh" tucei'n ajxiou'nti ajdelfw/'); IX , 1 (nota 485); IX, 3 (nota
486). Estrapolato dalla problematica del perdono, Mc 11, 25 ricorre ancora in CMt XIV, 25
nel contesto di una riflessione sull’efficacia della preghiera (note 1053, 1372). È interes-
sante notare che Evagrio, nel suo scritto sulla preghiera, non cita né Mt 5, 44 o Lc 6, 28 né
500 Parte seconda, Capitolo ottavo
D’altra parte, sia in Orat che altrove, egli ha insistito sulla disposizione
d’animo riconciliata e pacifica in colui che si accinge a pregare, servendosi
del concetto di ajmnhsikakiva : l’«oblio dei torti» subìti, cioè l’abbandono
di ogni sentimento di irosità e rancore (mnhsikakiva) verso il prossimo,
occasionalmente ricondotto come sua giustificazione scritturistica a Zc 7,
10 e considerato anzi alla luce di questo passo come la “ricapitolazione”
stessa di tutta la legge («Non frodate la vedova, l’orfano, il pellegrino, il
misero e nessuno nel cuore trami il male contro il proprio fratello [LXX:
mnhsikakeivtw, “provi nel suo cuore del rancore verso il prossimo”]»)1569.
Il termine ajmnhsikakiva, di origine scritturistica (3Mac 3, 21) e (a diffe-
renza del suo contrario mnhsikakiva ) di uso esclusivamente cristiano, era
stato adoperato ancor più estesamente da Clemente Alessandrino – in spe-
cial modo nella trattazione sulla preghiera del VII libro degli Stromati – e
verrà utilizzato successivamente, fra gli altri, da Evagrio Pontico, a ulte-
riore conferma di un aspetto giudicato cruciale per una prassi orante che
intenda essere coerente con il modello evangelico1570.
In conformità con tale atteggiamento spirituale, Origene ha ripreso il
precetto di Gesù sull’amore verso i nemici e la preghiera a beneficio di
essi in Mt 5, 44, mettendo più volte in evidenza quanto tale insegnamento
risulti decisivo per il suo discorso sull’orazione. Il passo matteano si
trova al centro di una sezione del discorso della montagna (Mt 5, 43-45),
frequentemente commentata dall’Alessandrino, in particolar modo per
quanto riguarda il versetto conclusivo, che sorregge la sua riflessione sia
sulla bontà di Dio sia sulla carità a cui i cristiani sono chiamati verso tutti
gli uomini («43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai
il tuo nemico; 44 ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori, 45 perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il
suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra
gli ingiusti»)1571. Tuttavia, in Orat II, 2 Origene si richiama piuttosto al-
––––––––––––––––––
Mc 11, 25, ma parafrasa Mt 5, 23: Eij to;n meta; dwvrou proselqovnta ejpi; to; qusiasthvrion
oujk ejdevxato, oJ ajnendeh;" kai; ajdevkasto" e{w" tou' diallagh'nai tw/' plhsivon lupoumevnw/
pro;" aujtovn, skovpei povsh" fulakh'" kai; diakrivsew" creiva, i{na eujsprovsdekton dw'men
tw/' Qew/' qumivama ejn tw/' nohtw/' qusiasthrivw/ (De orat. 147).
1569 Orat IX , 3 (nota 486); Orat XXXI , 2 (nota 468: mnhsikakiva e ajmnhsikakevw;
cfr. inoltre note 486, 702). In CMt XIV, 6 la nozione di ajmnhsikakiva è approfondita alla
luce della parabola sul servo malvagio (Mt 18, 23-35). È curioso che in Orat IX, 3 come in
FrPs 4, 6 (PG 12, 1148A) Origene attribuisca a Geremia un testo che in realtà fonde Ger
7, 22-23 con Zc 7, 10, ma anche Barnaba (2, 8) e Clemente Alessandrino (Paed. III, 12, 91)
sono testimoni dello stesso testo a differenza di Teofilo d’Antiochia (Ad Autol. III, 12, 28).
1570 Cfr. rispettivamente Clemente Alessandrino, Strom. VII, 14, 85, 2.5; VII, 14, 86,
5; ed Evagrio Pontico, De mal. cog. 3; De orat., Prol. Evagrio si serve assai più abbondan-
temente di mnhsikakiva.
1571 Secondo Harl (La chaîne palestinienne sur le Psaume 118), 633, si tratta di
«une citation chère à Origène (Matth. 5, 44-45 sert souvent à recommander l’amour de
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 501
l’analogo luogo di Lc 6, 28 («benedite coloro che vi maledicono, pregate
per coloro che vi maltrattano»), che in generale ricorre in lui più rara-
mente di Mt 5, 44 e soprattutto per caratterizzare il discorso dei cristiani
quale linguaggio di benedizione, come vediamo tra l’altro nella Lettera
agli amici di Alessandria1572. Successivamente, in Orat XXII, 4, rinvia
unicamente a Mt 5, 45 al fine di orchestrare il motivo dell’attuazione del-
l’«immagine di Dio» in coloro che sono chiamati ad essere suoi figli1573.
In altri scritti troviamo invece una riflessione più direttamente collegata
con il nostro passo, sia pure sempre in connessione con la prospettiva della
figliolanza divina tracciata dal luogo matteano e illustrata ampiamente da
Origene nel suo commento del Padrenostro 1574. Bisogna comunque tenere
––––––––––––––––––
tous, à l’imitation de la magnanimité de Dieu)». In questo senso FrPs 118 (119), 64a Harl
(SC 189, p. 288, 1-7) sfrutta Mt 5, 45 a riprova della pazienza e misericordia divina verso
gli uomini: ∆Ea;n katanohvsh/" to; plh'qo" tw'n aJmartanovntwn, tw'n ajsebouvntwn, tw'n ajdi-
kivan eij" u{yo" lalouvntwn, kai; i[dh/" tou' qeou' th;n makroqumivan ejpi; ta; tosau'ta aJmar-
thvmata, pw'" kai; meta; tau'ta pavnta ajnatevllei to;n h{lion ejpi; ponhrou;" kai; ajgaqou;" kai;
brevcei ejpi; dikaivou" kai; ajdivkou", ejrei'": tou' ejlevou" Kurivou plhvrh" hJ gh', ta; dikaiwv-
matav sou divdaxovn me. A sua volta HNm XXIII , 4, 3 (216, 15-17) si serve di Mt 5, 45 per ar-
gomentare l’idea della costante attività provvidenziale di Dio («Semper enim Deum vide-
mus operari et nullum Sabbatum est, in quo non Deus operetur, in quo non producat solem
suum super bonos et malos et pluat super iustos et iniustos»). Cenni sull’interpretazione
del luogo matteano si trovano in Pietras; Cocchini 2000a. Le citazioni di Mt 5, 44 non sono
molto frequenti. Mettendo a confronto BP con TLG si registrano 10 occorrenze, di cui ben
8 nel commento al quarto vangelo: FrIo 35 (su Gv 3, 3); FrLc 174; Sch. in Lc 17, 353; CIo
XX, 13, 106; XX, 13, 107; XX, 17, 142; XX, 17, 147; XX, 17, 149; XX, 33, 290; XX, 33, 292.
1572 EpCar = Gerolamo, Apol. contra Ruf. II , 18, CCL 79, 53, 37-40 («Quorum
magis misereri quam eos odisse debemus, et orare pro illis quam eis maledicere. Ad bene-
dicendum enim et non ad maledicendum creati sumus»). Convergono perlopiù con questa
applicazione CC VIII, 41 ([256, 1-5] hJmei'" oujdeni; loidorouvmeqa peiqovmenoi o{ti loivdo-
roi basileivan qeou' ouj klhronomhvsousi, kai; ajnaginwvskonte" to; eujlogei'te tou;" ka-
tarwmevnou" uJmi'n <kai;> eujlogei'te kai; mh; katara'sqe, eijdovte" de; kai; to; loidorouvme-
noi eujlogou'men); Fr1Cor 26 ([122] kai; oJ loivdoro" h[dh ejcqrov" ejsti th'" ejkklhsiva".
Dia; tou'to ajkouvomen tou' Kurivou levgonto": eujlogei'te tou;" katarwmevnou" uJma'"); HIos
IX, 9 ([356, 7-12] «Aut non tibi videtur inter mulieres aestimandus ille vir, qui dicit: non
possum observare, quae scripta sunt, vendere quae habeo et dare pauperibus [Mt 19, 21]
non possum, percutienti maxillam praebere alteram non possum, maledicentem benedice-
re non possum, blasphematus deprecari [Lc 6, 28-29] non possum, persecutionem pati et
sustinere [1Cor 4, 12] non possum)». Anche CC VIII, 66 (282, 18-20) sembra alludere a
Lc 6, 28 piuttosto che a Mt 5, 44, dal momento che si tratta nuovamente di «benedire» i
nemici (Fame;n ou\n o{ti ouj perimevnomen eujfhmh'sai to;n ”Hlion to;n keleuvonta, oiJ ma-
qovnte" ouj movnon tou;" th'/ diatavxei uJpotetagmevnou" eujfhmei'n ajlla; kai; tou;" ejcqrouv").
Invece CIo XX, 33, 292 (nota 1577) cita Mt 5, 44, ma allude anche a Lc 6, 28.
1573 Cfr. supra, nota 640.
1574 Il v. 44 ricorre nel contesto di Mt 5, 43-45 in CIo XX, 13, 106-107 (nota 1576);
CIo XX, 17, 141. H37Ps II, 1 (296, 79-85) allude a Mt 5, 44, mentre cita il v. 45 («Utinam
possemus etiam his qui oderunt nos reddere bona pro malis et inimicis nostris vel suadere
quae bona sunt vel optare feroces animos eorum ad concordiam atque pacem revocare, ut
per hoc efficiamur filii Patris qui in caelis est, qui solem suum oriri iubet super bonos et
502 Parte seconda, Capitolo ottavo
conto del fatto che una parte dei riferimenti si configura tendenzialmente
nei termini di un’allusione, più o meno generica, al tema dell’amore dei
nemici, che è suscettibile di riecheggiare altri luoghi paralleli, a comin-
ciare da Lc 6, 27 («Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici,
fate del bene a coloro che vi odiano»)1575.
La trattazione più approfondita su Mt 5, 44 in rapporto al nostro
tema è contenuta nel XX Libro del Commento a Giovanni. Questo scritto
rimanda più volte al luogo matteano, in concomitanza con la polemica
condotta dall’Alessandrino verso la dottrina valentiniana delle «nature
fisse»: non si è «figli di Dio» per suo arbitrio imperscrutabile o per legge
di natura, bensì il Padre ci chiama a divenire tali, affidando anche a noi la
capacità di attuare tale vocazione con la nostra condotta1576. Ora, l’amore
verso i nemici e la preghiera per loro sono tra i segni più evidenti della
figliolanza divina acquisita; anzi, Origene arriva a dire, parafrasando Mt
––––––––––––––––––
malos et pluit super iustos et iniustos»). Anche CC IV, 28 cita Mt 5, 45, ma lo ricollega alla
preghiera dei cristiani per tutti gli uomini (nota 1584). Per altre citazioni di Mt 5, 44-45 si
veda CC VIII, 35 (nota 1585); CIo XX, 33, 290 (nota 1576); CIo XX, 33, 292 (nota 1577);
CIo XX, 34, 309 (nota 1578); FrIo 35 (nota 1579); FrLc 174 (nota 1582). In CIo XX, 17,
149-151 si discute la forma testuale di Mt 5, 45. Riferimenti più diretti a Mt 5, 44 si danno
in CCt III, 7, 13 (nota 1575); HNm IX, 3-4 (nota 1202); HNm XI, 8, 3 (nota 1575); HCt II, 8
(nota 1575); FrPs 118 (119), 98 e 118 (119), 113b (nota 1575); FrPr 24 (nota 1583).
1575 Di particolare interesse è il rinvio a Mt 5, 44 (Lc 6, 27) nella trattazione
sull’‘amore ordinato’ in HCt II, 8 ([86, 42-45] «Non est inordinatus sermo divinus nec im-
possibilia praecipit nec dicit: Diligite inimicos vestros ut vosmetipsos, sed tantum: Diligite
inimicos vestros. Sufficit eis quod eos diligimus et odio non habemus»). Di tenore simile
è la spiegazione in HNm XI, 8, 3 ([91, 23-27] «Illae ergo primitiae caritatis offeruntur per
Pontificem, haec vero quae secundo in loco sunt meis usibus relinquuntur. Puto adhuc
esse aliquid ex hoc fructu quod tertio loco habendum sit: ut diligam etiam inimicos meos),
mentre CCt III, 7, 13 (188, 7-10) s’interroga sui modi diversi di amare i nemici («Est adhuc
alius ordo caritatis. Iubemur enim et inimicos nostros diligere. Sed videamus si etiam in
ipsis unus solus modus erit dilectionis an et ibi habebit locum sermo iste qui dicit: Ordi-
nate in me caritatem). Cfr. inoltre FrPs 3, 8 (PG 12, 1129C): ∆Ecqrou' de; kat∆ oujdevn ejsti
lovgo": meta; ga;r tw'n misouvntwn th;n eijrhvnhn oJ a{giov" ejstin eijrhnikov", ajgapw'n tou;" ejc-
qrouv". FrPs 118 (119), 98 Harl (SC 189, p. 346, 6) applica il precetto all’amore per i giu-
dei (dia; tou'to duvnamai noh'sai baquvteron to; eijrhmevnon uJpo; tou' Kurivou: ∆Agapa'te
tou;" ejcqrou;" uJmw'n [Mt 5, 44 (Lc 6, 27)]: ejcqroi; ga;r hJmw'n eijsin ejkei'noi oiJ e[conte"
zh'lon qeou', ajll∆ ouj kat∆ ejpivgnwsin [Rm 10, 2]). A sua volta FrPs 118 (119), 113b Harl
(SC 189, p. 372, 3) solleva una quaestio in rapporto a Lc 14, 26 (Mt 10, 37): Zhth'sai de;
dei' pw'", tou' Eujaggelivou levgonto": ajgapa'te tou;" ejcqrou;" uJmw'n, to; aujtov fhsin o{ti dei'
misei'n patevra kai; mhtevra i{na ajgaphvswmen to;n qeo;n kai; tw/' uiJw/' ajkolouqhvswmen.
1576 Cfr. CIo XX, 13, 106-107 (in particolare § 107 [344, 6-9]: prosevcete ga;r o{ti
ejk tou' ajgapa'te tou;" ejcqrou;" kai; proseuvcesqe uJpe;r tw'n diwkovntwn oJ mh; provteron
tou' ejn oujranoi'" patrov", u{steron aujtou' givnetai uiJov"); CIo XX, 33, 290 ([370, 29-371, 1]
o{ti ga;r kaqovlou oujdei;" ajnqrwvpwn ajrch'qen uiJo"v ejstin qeou', dh'lon me;n ejk tou' “Hmeqa
tevkna fuvsei ojrgh'" ªuJpo;º Pauvlou kai; peri; eJautou' tou'to eijrhkovto": safe;" de; kai; ejk
tou': ∆Egw; de; levgw uJmi'n: ∆Agaphvsate tou;" ejcqrou;" uJmw'n kai; proseuvcesqe uJpe;r tw'n
diwkovntwn uJma'", o{pw" gevnhsqe uiJoi; tou' patro;" uJmw'n tou' ejn toi'" oujranoi'").
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 503
5, 44, che soltanto se si è capaci di amare i nemici e pregare per loro, si
diventa veramente «figli» del Padre senza restare «servi di Dio»1577. La
preghiera per i nemici è dunque un connotato essenziale della vocazione
cristiana e dell’impegno di vita che essa comporta1578. Non a caso l’Ales-
sandrino associa Mt 5, 44 al tema della «rinascita» in Gv 3, 3, che si rea-
lizza «con l’acquisizione delle virtù e l’osservanza dei suoi precetti»; que-
sti, in base al luogo matteano, si ricapitolano per lui nell’amare i nemici e
pregare per essi1579. Così facendo, si opera quell’«assimilazione» a Dio
che è iscritta nel fatto che l’uomo è stato originariamente creato «a sua im-
magine e somiglianza»:
«Infatti in colui che ama i propri nemici e prega per i suoi persecutori si manife-
sta la somiglianza con Dio e l’imitazione di lui che ama tutti gli esseri e nulla
aborre di quanto ha fatto e tutto conserva (perché tutto appartiene a questo Si-
gnore che ama la vita)»1580.
Giocando sulle immagini del «sole» e della «pioggia» contenute in
Mt 5, 44, Origene vede l’amore per i nemici come il «sole» che si irradia
dal cuore del «santo» e la preghiera come la «pioggia» benefica che esso
è capace di irrorare, riprendendo in tal modo una similitudine attestata
anche dal trattato per designare gli effetti positivi dell’intercessione a van-
taggio altrui:
«al modo del Padre nei cieli che fa sorgere il sole sopra i malvagi e i buoni, cia-
scuno dei figli di Dio, possedendo in sé l’amore a guisa di un sole, lo fa spuntare
sui malvagi in virtù del suo amore per i propri nemici. E come [il Padre] fa pio-
––––––––––––––––––
1577 CIo XX , 33, 292 (371, 4-10): kai; eij oujk a[llw" givnetaiv ti" uiJo;" tou' ejn toi'"
oujranoi'" patro;" h] ejk tou' ajgapa'n tou;" ejcqrou;" eJautou' kai; proseuvcesqai uJpe;r tw'n
diwkovntwn aujtovn, dh'lon o{ti oujdei;" tw/' fuvsei ei\nai ejk tou' qeou' ta; rJhvmata tou' qeou'
ajkouvei, ajlla; tw/' labei'n ejxousivan tevknon qeou' genevsqai kai; kecrh'sqai eij" devon th/'
ejxousiva/, kai; tw/' hjgaphkevnai tou;" ejcqrou;" kai; proseuvcesqai uJpe;r tw'n ejphreazovntwn
genovmeno" uiJo;" tou' ejn oujranoi'" patrov". Sulla distinzione tra «servi» e «figli di Dio» si
veda CIo XX, 17, 146.
1578 CIo XX, 34, 309 (373, 13-19): oJsavki" de; rJhmavtwn legomevnwn tou' qeou' oujk
ajkouvomen, tou't∆ e[stin ouj sunivemen aujtw'n, tosautavki" nomistevon ejlevgcesqai wJ" oujk
o[nta" ejk tou' qeou'. dia; tou'to ga;r oujk ajkouvei oJ mh; ajkouvwn rJhmavtwn qeou', ejpeivper ejk
tou' qeou' oujk e[stin, kai; ejk tou' qeou' oujk e[stin par∆ eJautovn: kaivtoi ge e[sq∆ o{te labw;n
h[dh ejxousivan tevknon qeou' genevsqai, kai; dunavmeno" ejk tou' ajgapa'n tou;" ejcqrou;" kai;
proseuvcesqai uJpe;r tw'n ejphreazovntwn genevsqai uiJo;" tou' ejn oujranoi'" patrov".
1579 FrIo 35 (510, 13-17): givnetai de; hJ a[nwqen gevnnhsi", peri; h|" oJ swth;r didav-
skei, ejx ajnalhvyew" ajreth'" kai; thrhvsew" tw'n ejntolw'n aujtou'. fhsi; ga;r pro;" tou;" ma-
qhtav": ∆Agapa'te tou;" ejcqrou;" uJmw'n kai; proseuvcesqe uJpe;r tw'n diwkovntwn uJma'", i{na
gevnhsqe uiJoi; tou' patro;" uJmw'n tou' ejn toi'" oujranoi'".
1580 CIo XX, 17, 148 (349, 27-31: Kai; ga;r ejmfaivnetai hJ pro;" qeo;n oJmoiovth" kai;
mivmhsi" aujtou' ajgapw'nto" ta; o[nta pavnta kai; mhde;n bdhlussomevnou w|n ejpoivhse kai;
feidomevnou pavntwn, ejpeivper aujtou' tou' filoyuvcou despovtou ejsti;n ta; pavnta (cfr. Sap
11, 24-26), ejn tw/' ajgapw'nti tou;" ejcqrou;" eJautou' kai; proseucomevnw/ uJpe;r tw'n diw-
kovntwn aujtovn (Corsini, 631).
504 Parte seconda, Capitolo ottavo
vere sui giusti e gli ingiusti, così il santo manda la sua preghiera a guisa di una
pioggia su quelli che in qualche modo stanno al di sotto di lui, dal momento che
lo perseguitano, mentre egli prega anche per gente come loro»1581.
Essendo così collocata al vertice dell’esistenza cristiana come figlio-
lanza di Dio, è naturale che la preghiera per i nemici venga assunta da Ori-
gene come criterio per verificare l’autenticità di chi recita il Padrenostro,
la preghiera per eccellenza del cristiano in quanto «figlio di Dio». Secondo
un frammento sul Vangelo di Luca può invocare autenticamente il Padre
solo colui che è ripieno dello «spirito di figliolanza adottiva» (Rm 8, 15)
e osserva il precetto di amare i nemici e pregare per loro1582. Di conseguen-
za, secondo un commento su Pr 24 attribuito all’Alessandrino, si rende si-
mile al diavolo colui che si rallegra della dannazione altrui, laddove il Si-
gnore ci ha comandato «di pregare per i nemici, cioè per gli uomini»1583.
Diventa così ancora più esplicita l’implicazione di un amore universale
legata al precetto di Gesù sulla preghiera per i nemici e Origene l’ha fatta
valere pienamente nel replicare alle accuse di Celso. In CC IV, 28 egli ad-
duce infatti Mt 5, 44 a testimonianza del fatto che i cristiani, senza affatto
considerarsi il centro del mondo ed essere ripiegati su se stessi, doman-
dano a Dio di operare benefici a beneficio di tutti gli uomini1584. Questo
rilievo universale della preghiera per i nemici è ribadito indirettamente in
CC VIII, 35, dove l’Alessandrino accosta per esigenze di natura apologe-
tica all’insegnamento di Gesù e alla condotta dei suoi discepoli gli ante-
cedenti pagani relativi all’amore del nemico1585. Ma in HNm IX, 3-4 egli
––––––––––––––––––
1581 CIo XX, 17, 151 (Corsini, 631; cfr. Pietras, 157). In Orat l’immagine della
«pioggia» è attirata dai paradigmi veterotestamentari della preghiera, in particolare Elia.
Cfr. Orat XIII, 5 (nota 1420). Si veda inoltre Orat XXIV, 3.
1582 FrLc 174 (299, 1-6): Oi\mai dev, o{ti oujdei;" a]n levgoi tw'/ qew'/ to; pavter, mh; pe-
plhrwmevno" tou' th'" uiJoqesiva" pneuvmato", kai; uiJo;" doxavzwn patevra levgoi a]n pavter,
fulavxa" de; kai; th;n ejntolh;n th;n levgousan: ajgapa'te tou;" ejcqrou;" uJmw'n, proseuvcesqe
uJpe;r tw'n diwkovntwn uJma'", o{pw" gevnhsqe uiJoi; tou' patro;" uJmw'n tou' ejn toi'" oujranoi'",
o{ti to;n h{lion aujtou' ajnatevllei ejpi; ponhrou;" kai; ajgaqou;" kai; brevcei ejpi; dikaivou" kai;
ajdivkou".
1583 FrPr 24 (PG 17, 228C): pa'" ga;r oJ ejpicaivrwn ejpi; ajpollumevnh/ yuch/', o{moiov"
ejsti tw/' diabovlw/ tw/' mh; qevlonti pavnta" ajnqrwvpou" swqh'nai kai; eij" ejpivgnwsin ajlh-
qeiva" ejlqei'n: kai; ga;r oJ Kuvrio" ejn toi'" Eujaggelivoi" nenomoqevthken eu[cesqai uJpe;r
tw'n ejcqrw'n hJmw'n, h[goun tw'n ajnqrwvpwn.
1584 CC IV, 28 (297, 10-16): Oi{tine" ejn tai'" eujcai'" eu{romen dei'n ti levgein fro-
nou'nta" o{ti tou' ejlevou" kurivou plhvrh" hJ gh', kai; e[leo" kurivou ejpi; pa'san savrka, kai;
o{ti ajgaqo;" w]n oJ qeo;" ajnatevllei to;n h{lion aujtou' ejpi; ponhrou;" kai; ajgaqou;" kai; brevcei
ejpi; dikaivou" kai; ajdivkou", kai; hJma'", i{na genwvmeqa aujtou' uiJoiv, ejpi; ta; paraplhvsia
protrevpwn kai; didavskwn eij" pavnta" hJma'" ajnqrwvpou" kata; to; dunato;n ejkteivnein ta;"
eujpoii?a".
1585 CC VIII, 35 (251, 3-7): Kai; oujdevpw levgw tou;" kata; th;n didaskalivan ∆Ihsou'
pepoiwmevnou" kai; ajkouvsanta" tou' ∆Agapa'te tou;" ejcqrou;" uJmw'n kai; proseuvcesqe
uJpe;r tw'n ejphreazovntwn uJma'", o{pw" gevnhsqe uiJoi; tou' patro;" uJmw'n tou' ejn toi'" oujra-
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 505
giunge a ritrovarne l’anticipazione anche nell’Antico Testamento, dove
Mosè e Aronne pregano già secondo il modello evangelico della pre-
ghiera per i nemici1586.

5. Conclusione: l’universo scritturistico della preghiera e le sue rifrazio-


ni in Origene

L’esteso reticolo di citazioni scritturistiche che innervano il discorso


di Origene sulla preghiera ci ha permesso di cogliere la sua fondamentale
ispirazione biblica e verificare la sua articolazione esegetica anche al di
fuori di Orat. Come si è potuto constatare nell’analisi della loro diversa
incidenza, ad un nucleo sostanzialmente stabile di riferimenti “normati-
vi” – che configurano l’orazione cristiana nei suoi tratti distintivi – si sono
affiancati una serie di corollari più immediatamente legati ad esso e anche
nuovi sviluppi suggeriti da altri passi. La distinzione dei tre livelli è sen-
z’altro un poco schematica e a volte problematica per singole attribuzioni,
ma essa può risultare utile per comprendere meglio la continuità e insieme
il dinamismo intrinseco alla riflessione origeniana. L’idea che il nostro
reticolo sembra suggerire è che, pur caratterizzato coerentemente nei suoi
lineamenti essenziali – tracciati, in sostanza, nel trattato con il suo modello
della «preghiera spirituale» –, il pensiero dell’Alessandrino sia suscettibile
di ulteriori acquisizioni e precisazioni, senza che ciò significhi in alcun
modo una revisione o addirittura una ritrattazione del quadro teorico di
Orat. Ciò deriva in larga parte dalla sua recettività nei confronti dell’im-
magine biblica della preghiera – dall’Antico al Nuovo Testamento –, che
nutre in profondità sia il trattato sia il resto dell’opera. In effetti, più che
trarre spunto dalla concreta esperienza orante delle comunità cristiane del
suo tempo – che non è quasi mai messa a tema, ancorché non sia affatto
ignorata (come mostrano, in particolare, occasionali cenni nelle omelie) –,
Origene si commisura sempre in primo luogo con l’universo concettuale
delle Scritture, da cui trae la sua perenne fonte d’ispirazione e riflessio-
ne1587. Da tale punto di vista, come si vedrà nel capitolo seguente, la sua
posizione rimane decisamente originale se non unica, nel panorama com-
––––––––––––––––––
noi'", o}" to;n h{lion aujtou' ajnatevllei ejpi; ponhrou;" kai; ajgaqou;" kai; brevcei ejpi; dikaivou"
kai; ajdivkou".
1586 HNm IX, 3-4 (nota 1202).
1587 Si osservi, ad esempio, la riflessione sul tirare a sorte accompagnato dalla pre-
ghiera, a commento della scelta di Mattia come sostituto di Giuda (At 1, 23-26) in HIos
XXIII, 2 (441, 16-17; 412, 8-11): «Praecedente namque oratione non iam casu, sed provi-
dentia sors divinum iudicium deferebat (= th'" eujch'" ejpi; tou'ton ejnegkouvsh" to;n klh'ron).
[...] Illud tamen, in quantum res patitur, contigisse sufficiat, quod nobis ab Apostolis sors
ducta designat, quia, ubi ex fide integra et oratione praemissa sors ducitur, ea, quae Dei
voluntas continet in occulto, sors hominibus declarat in manifesto».
506 Parte seconda, Capitolo ottavo
plessivo della teologia cristiana della preghiera fra II e IV secolo. Nessuno
infatti si è rapportato alla materia scritturistica con altrettanta ampiezza e
intensità per ricavare la sua immagine della preghiera a partire da questa.
Lo si potrebbe dimostrare, in aggiunta ai dati raccolti precedentemen-
te, con la rassegna delle osservazioni fatte una tantum, che investono un
raggio ulteriormente allargato di rimandi scritturistici. Si pensi alla clas-
sificazione, registrata solo in parte nel nostro studio, di singoli passaggi
come testi di preghiere nell’intento di definire meglio il registro eucolo-
gico vero e proprio1588. Ma soprattutto queste caratteristiche emergereb-
bero con accresciuta nettezza, se potessimo sfruttare con maggiore cer-
tezza di autenticità il vasto complesso dei frammenti origeniani su Salmi,
tuttora in attesa di un vaglio critico, aldilà di ciò che siamo riusciti a ri-
chiamare singolarmente nelle nostre analisi. Del resto, l’Alessandrino nel
corso della sua opera offre ripetutamente delle indicazioni interessanti per
connotare questo o quel salmo in un determinato senso e predisporne così
non solo la comprensione in senso spirituale, ma anche la fruizione orante
da parte dei fedeli1589. Si ricordi in proposito l’uso «antirretico» dei salmi
nell’Esortazione al martirio, che mostra come essi possano essere fatti
propri dentro un’esperienza personale di preghiera anticipando significa-
tivamente la prassi monastica teorizzata da Evagrio 1590. Ma non c’è biso-
gno di rammentare quanto la presenza dei salmi sia pervasiva anche nel
resto degli scritti, a cominciare dal loro uso nei commentari, dove non si
riduce mai unicamente all’aspetto esegetico ma implica anche il ricono-
scimento della loro originaria natura di testi di preghiera1591. Tanto più
––––––––––––––––––
1588 Cfr. supra, p. 387. In questo senso la Praefatio al Commento a Salmi (Nautin,
249-250, 275-279) contiene importanti distinzioni terminologiche che confermano la par-
ticolare attenzione di Origene per il linguaggio della preghiera. Cfr. FrPs Praef. (PG 12,
1065 e 1069A), dove distingue i salmi privi di una designazione generica come contenenti
insegnamenti ed esortazioni: OiJ de; mhd∆ e{tera ejpigegrammevnoi tw'n yalmw'n, levgw de;
mhvte w/jdhv, mhvte u{mno", mhvte yalmov", mhvte mhlw/vdhma, mhvte ai[nesi", mhvte proseuchv,
mhvte ti tw'n toiouvtwn, wjfelivmou" tina;" ejoivkasi didaskaliva" perievcein, kai; lovgou"
parainetikou;" kai; protreptikou;" eij" eujsebeiva" ajnavlhyin. Valorizza poi più specifi-
camente come «preghiere» quelli designati appunto come proseucaiv (1065C-D): OiJ ejpi-
gegrammevnoi “proseuchv”, mhvpote oujk eijsi; yalmoiv, oujde; w/jdaiv, oujdev u{mnoi, ajll∆ aujto;
tou'to yilai; proseucai; th/' tw'n eujxamevnwn aJrmovttousai diaqevsei, th/' te peri; aujtou;"
katastavsei kai; pa'si toi'" ejn i[sh/ diaqevsei tugcavnousin.
1589 Si veda, ad esempio, HLv VII, 2 (379, 15-20) dove Origene indica Sal 34(35),
10 come inno di giubilo per la letizia perfetta: «Cum autem coniuncta fuerint ossa ad ossa
et iuncturae ad iuncturas, secundum hoc quod supra diximus, tunc etiam ipse dicet de no-
bis illud propheticum: omnia ossa mea dicent: Domine, quis similis tibi? Omnia namque
ossa ista loquuntur et hymnum dicunt et gratias agunt Deo. Meminerunt enim beneficii
eius et ideo omnia ossa mea dicent: Domine, quis similis tibi?».
1590 Cfr. supra, pp. 255-257.
1591 A titolo di esempio si può segnalare CRm II , 14; III, 5; III, 7; IV, 1; IV, 11; ecc.
Si veda l’uso esegetico di Sal in FrLam 83 (267, 5-8), nel contesto di una “confessione di
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 507
scontato è il fatto che ciò avvenga nelle omelie dove la spiegazione delle
Scritture è inserita ancor più direttamente in un contesto orante. Di con-
seguenza, esso conduce spesso il predicatore a richiamare un versetto sal-
mico che la comunità è chiamata a far proprio, quando non è l’interprete
stesso a riprenderlo come espressione personale di preghiera1592.
L’evidente impatto dei salmi come paradigma esemplare su cui medi-
tare o da assecondare nella propria prassi, non deve farci perdere di vista
quello che rimane comunque il cuore profondo del nucleo scritturistico
nel discorso di Origene sulla preghiera, almeno nella misura in cui gli ha
consentito gli affondi più rilevanti e duraturi. È vero che egli è egualmen-
te attento alle testimonianze di performances oranti nell’Antico come nel
Nuovo Testamento, dalle figure veterotestamentarie più emblematiche,
prima fra tutte Mosè, alla prassi di Gesù e della comunità primitiva, al
punto che risulta difficile indicare un’eventuale lacuna o mancanza di at-
––––––––––––––––––
colpa”: kai; ejpeivper aiJ aJmartivai hJmw'n diivstwn hJma'" ajpo; sou' w{sper diateicizouvsh"
nefevlh", oujk e[fqanen hJmw'n hJ proseuch; prov" se: ouj ga;r ei[comen ptevruga" peristera'"
(Sal 54[55], 7) uJperivptasqaiv te kai; levgein: ejn tw'/ qew'/ uJperbhvsomai tei'co" (Sal 17[18],
30). Che il ricorso di riferimenti a Sal non sia però meramente esegetico lo si può arguire
dai passi in cui anche qui si prefigura una performance orante, quali CRm X, 5 (797, 64-
70): «Et ideo debemus indesinenter precari auxilium Domini et sperare quod ipse eripiet
nos de laqueo venantium ut et nos dicamus: quia anima nostra sicut passer erepta est de
laqueo venantium; laqueus contritus est et nos liberati sumus. Adiutorium nostrum in no-
mine Domini qui fecit caelum et terram» (Sal 123[124], 7-8).
1592 Per quanto riguarda il primo aspetto, si veda, ad esempio, HIer X , 8 (nota
1172); HEx IV, 2 (173, 25-29), dove la preghiera come confessione del mistero di Dio si
serve del riferimento al De profundis: «Unde et nobis haec observasse tantum et inspexisse
sufficiat atque ostendisse auditoribus quanta sint in lege divina profundis demersa myste-
riis, pro quibus dicere in oratione debeamus: De profundis clamavi ad te, Domine (Sal
129[130], 1)»; HLv V, 4 (341, 25–342, 2): «Similiter enim iubentur adipes arietis hi, qui
circa renes sunt, et hi, qui interiora operiunt, imponi super altare; ut et tu, qui haec audis,
scias, omne quod est intra te crassius et operit interiora tua, debere te offerre igni altaris,
ut purgentur omnia interiora tua et dicas et tu, sicut et David dicebat: benedic anima mea
Dominum, et omnia interiora mea nomen sanctum eius (Sal 102[103], 1); HIud VII, 2 (506,
22-25): «Propterea ergo, fratres, deprecemur Dominum confitentes ei infirmitatem no-
stram, ne nos tradat in manus Madian (Sal 73[74], 19), ne tradat bestiis animam confiten-
tem sibi»; H36Ps II, 1 (nota 1242) con il rinvio a Sal 78(79), 8; HEz XIII, 1 (442, 22-25):
«Verum Domini deprecemur auxilium, ut infirmos habeant conatus tanti adversarii contra
humanam animam dimicantes, et dicamus: Nisi quia Dominus era in nobis, in eo cum
exsurgerent homines in nos, forsitan vivos deglutissent nos (Sal 123[124, 1-3)». Si veda
inoltre HIer XX, 6 (nota 1258) con il richiamo a Sal 6, 7 e Sal 41(42), 4; H38Ps II, 12 (Sal
62[63], 9); HLc XVII, 8 (nota 1257) con l’uso di Sal 31(32), 5. Quanto al predicatore
stesso, cfr. ad esempio HNm XXVII, 12 (272, 21-23): «Sunt enim multi animae languores:
avaritia languor eius est, et quidem pessimus; superbia, ira, iactantia, formido, inconstan-
tia, pusillanimitas et horum similia. Quando me, Domine, ab his omnibus languoribus cu-
rabis? Quando sanabis, ut et ego dicam: benedic anima mea Dominum, qui sanat omnes
languores tuos (Sal 102[103], 1), ut possim et ego mansionem facere in Raphaea, quod
est sanitas?».
508 Parte seconda, Capitolo ottavo
tenzione nell’Alessandrino rispetto al patrimonio di figure e testi che gli
porgeva la Bibbia. Tuttavia, non si può fare a meno di notare l’impronta
decisiva lasciata, in particolare, da due luoghi scritturistici: da un lato, il
rinvio al Paolo di Rm 8, 26-27 – a partire dal quale il trattato ricava, in
buona parte, il suo modello della «preghiera spirituale» – e, dall’altro, a
Mt 6, 5-8 – che fra tutti i luoghi richiamati dall’Alessandrino offre non
solo l’indicazione più circostanziata sulle modalità dell’atto orante ma an-
che la più autorevole, risalendo all’istruzione impartita da Gesù stesso ed
esemplificata con il susseguente paradigma del Padrenostro (Mt 6, 9-13;
Lc 11, 2-4). Proprio per il loro rilievo peculiare non li abbiamo presi in
considerazione nell’esame dei diversi tipi di nuclei scritturistici, ma la fi-
sionomia complessiva della “costellazione” disegnata da questo insieme di
passi risulterebbe priva del suo “baricentro”, se non li si tenesse anch’essi
presenti. Lo facciamo ora, a titolo sia retrospettivo che conclusivo, onde
meglio precisare la natura dell’incidenza biblica sul pensiero di Origene.
A questo riguardo si dovrà subito notare il diverso peso specifico dei
luoghi evangelici, rispetto al passo paolino. Infatti, se Rm 8, 26-27 svolge
un ruolo assolutamente centrale in Orat, esso riappare in maniera signifi-
cativa solo nel Commento a Romani, tanto ridotte sono tutto sommato le
sue citazioni nel resto dell’opera1593. Senza ripetere quanto abbiamo osser-
vato a proposito del trattato e del commentario paolino, con Rm 8, 26-27
l’Alessandrino ha messo a fuoco il «problema della preghiera» come non
ha fatto alla luce di nessun altro riferimento scritturistico. Sebbene egli,
dopo il trattato, lo abbia ripreso direttamente solo in CRm VII, 61594, limi-
tandosi ad alluderlo in FrLc 1721595, ciò tradisce comunque che quella li-
nea di pensiero rimane ancora attuale per lui e del resto essa lascia tracce
indirettamente anche altrove. Possiamo insomma considerarlo un presup-
posto acquisito, anche se non necessariamente manifesto. Al tempo stesso,
nella dialettica che scaturisce dallo stesso argomentare di Paolo, la risposta
––––––––––––––––––
1593 In aggiunta a Orat (II, 1-3; XIV, 5) e CRm (VII, 6-7.9-10), Rm 8, 26 figura solo
in HEx V, 4 (nota 555); HIos IX, 2 (nota 1095); HIud VI, 6 ([504, 9-11] «Quomodo enim
non haec tanta spirituum vis longe sit humana fragilitate vehementior? Sed in eo Deus
adiuvat infirmitatem nostram [Rm 8, 26], in quo dicit Apostolus: omnia possum in eo, qui
me confortat, Christo [Fil 4, 13])»; FrPs 129 (130), 1 (Devreesse, 86); FrLc 172 (nota
199); FrRm (Ramsbotham, 18, 1-2). A sua volta, troviamo Rm 8, 27 in Orat II , 3; Orat XIV ,
5; CRm (Scherer, 148, 3); CRm VII, 6; HEx V, 4 (nota 555); FrRm (Ramsbotham, 220, 12).
FrPs 129 (130), 1 risulta di particolare interesse, perché riprende il motivo della preghiera
silenziosa ad opera dello Spirito come il proprium del «popolo di Cristo» con il rinvio a
1Cor 2, 10: oJ Cristou' lao;" didavsketai levgein: ∆Ek baqewvn ejkevkraxav se, Kuvrie dia;
to; metevcein Pneuvmato". [...] ÔO de; baqu;" th/' dianoiva/ lao;", ou|to" de; h\n oJ [...] eijpw;n ouj
toi'" ceivlesi oujde; th/' fwnh/', ajll∆ ejk stevrnwn kai; muelw'n, stenagmoi'" ajlalhvtoi" uJper-
entugcavnwn boa/' pro;" to;n Qeovn (Devreesse, 86).
1594 Cfr. supra, pp. 323-326.
1595 Si veda la nota 199.
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera 509
dell’Apostolo al «problema della preghiera», evidenziato da lui e rielabo-
rato dal suo interprete, è quella che anche Origene considera decisiva: il
soccorso dello Spirito che concorre con la voce dell’orante. Questo aspetto
è più chiaramente percepibile dell’elemento critico nella riflessione del-
l’Alessandrino (ad esempio nelle considerazioni riguardo alle «preghiere
dei santi», anche sulla scorta di altri riferimenti scritturistici), ma non può
essere per lui separato dal primo non meno che per il testo di partenza. In
definitiva, il marchio paolino impresso sul discorso di Origene da Rm 8,
26-27 rimane un suo connotato costitutivo, anche dove non risulta esplici-
tamente: esso combina così la consapevolezza critica sempre vigile sui
limiti dell’uomo e sulla sua possibilità di rivolgersi a Dio nella preghiera
con la convinzione che l’aiuto di Dio mediante il dono dello Spirito su-
pera in ultima analisi questa antinomia.
Come si è detto, per Mt 6, 5-8 registriamo una presenza più diffusa
di riferimenti che in generale ci attesta come l’Alessandrino abbia letto in
questo passo un compendio dell’ars orandi, almeno per alcune delle sue
disposizioni spirituali di fondo. Egli di conseguenza lo ha richiamate in
molteplici occasioni, anche se nei testi tràditi non ci ha più lasciato un’ese-
gesi diretta del brano né del testo del Padrenostro, se non nell’affrontare
la versione lucana1596. La ripresa più eloquente è forse quella contenuta
nel Commento al Cantico dei Cantici, poiché Origene vi sovrappone l’im-
magine della «cameretta» di Mt 6, 6 al cubiculum di Ct 1, 4 configurando
il rapporto fra la Sposa-anima e il Verbo nei termini stessi dell’atto oran-
te1597. Orat non contiene riferimenti a Ct 1, 4, ma il commentario mostra
come Origene possa richiamarsi allo schema elaborato nel trattato ed
estenderne l’applicazione ad altri testimoni scritturistici. Anche un fram-
mento sul libro di Ezechiele ribadisce un punto fermo della trattazione
origeniana: l’equivalenza fra la «cameretta» e l’«animo» dell’orante, o per
meglio dire il suo «organo direttivo» (hJgemonikovn) che antropologicamen-
te è deputato a presiedere all’esperienza di preghiera1598. Pertanto, l’ora-
––––––––––––––––––
1596 Mt 6, 1-6: CMtS 18. Mt 6, 3-6: CMtS 11. Mt 6, 5-9: Orat XIX , 1. Mt 6, 5-6:
FrMt 117; Mt 6, 5: Orat XIX, 2-3; Orat XX, 1-2; Orat XXI, 1; Orat XXIX, 8; FrMt 116 (62,
1-3): ejn oJdw/' kai; ejn klivnh/ kai; ejn trapevzh/ kai; ejn panti; tovpw/ th'" despoteiva" aujtou' ka-
lovn ejsti to; eu[cesqai; FrIo 114; CMtS 10 (nota 551); HEx II, 3 (nota 539); H36Ps I, 5;
FrIob 1, 19 (PG 17, 60B-C): To; tw'n gwniw'n th'" oijkiva" a{yasqai to; pneu'ma, ejpivsthson,
o{ti ejn tai'" tw'n gwniw'n plateivai" oiJ uJpokritai; eJstw'te" proseuvcontai: pa'" de; oJ mh; ejpi-
bebhkw;" eujqeiva" oJdou', tai'" gwnivai" kevcrhtai. Platei'a de; gwniva hJ pollh; kai; ajnei-
mevnh kakiva. Mt 6, 6: Orat XX, 1; Orat XX, 2; CC VIII, 74; CCt I, 5, 10 (nota 922); CMtS
10 (nota 551); HNm X , 3 (nota 1092); HNm XXI, 2 (nota 1600); FrPs 4, 4 (nota 1478);
FrEz 8, 12 (nota 1598).
1597 CCt I, 5, 10 (nota 922).
1598 FrEz 8, 12 (PG 13, 797, 33): Diovti ei\pon: ∆Egkatalevloipen oJ Kuvrio". Oujk h\n
periv tina e{na pote; ejnapotetagmevnon tovpon, ajlla; peri; to;n eJkavstou koitw'na ta; eJwra-
mevna: kai; koitw'nav ge to;n kruptovn, e[qou" o[nto" th/' Grafh/' ta; kata; to; hJgemoniko;n kai;
510 Parte seconda, Capitolo ottavo
zione cristiana, alla luce del luogo matteano, è contraddistinta in maniera
costitutiva per l’Alessandrino da un processo di “nascondimento” o inte-
riorizzazione onde evitare il pericolo sia della ritualizzazione meramente
esteriore sia della sua falsificazione esibizionistica, com’egli dichiara nuo-
vamente in CMtS 101599. Ciò non significa che la preghiera sia condan-
nata all’intimismo, dal momento che pregare nel nascondimento non osta
secondo HNm XXI, 2 alla manifestazione in pubblico, purché ciò avvenga
secondo il volere di Dio 1600. Alla luce di Mt 6, 6 Origene ha potuto anche
operare la distinzione fra preghiera vocale e preghiera silenziosa, che egli
ha tratto peraltro in primo luogo da 1Cor 14, 151601. Tuttavia, il privilegio
riconosciuto alla preghiera silenziosa come «preghiera dei santi», sfruttan-
do l’istruzione di Gesù in Mt 6, 6 in combinazione con altri luoghi scrit-
turistici (in particolare quelli che danno rilievo in essi all’iniziativa dello
Spirito), non si risolve affatto nel trascendimento interiore delle parole e
nel silenzio mistico, stando a quanto Origene afferma nel suo commento
a Sal 41602. In altri termini, la distinzione apportata in forma più esplicita
rispetto al trattato non ne tradisce l’impostazione, ma anzi la conferma e
l’arricchisce. Di conseguenza, anche attraverso la verifica dell’impatto di
Mt 6, 5-8, che risulta frequente e sostanzialmente omogeneo, il discorso
origeniano sulla preghiera ci manifesta ancora una volta la sua fisionomia
unitaria e coerente determinata dalla ricchissima sorgente scritturistica che
lo irriga e lo feconda.

––––––––––––––––––
krupto;n kalei'n, e[sq∆ o{te kai; tamiei'on. Toiou'ton gavr ejsti to; Ei[selqe eij" to; tamiei'on
sou: kai; tov:ÔO blevpwn ejn tw/' kruptw/' ajpodwvsei soi (Mt 6, 6).
1599 Cfr. supra, nota 551.
1600 HNm XXI, 2 (202, 18-21): «In quo et hoc intuere, quomodo iustus intus est et in
interioribus semper consistit, quia intus in abscondito orat Patrem (Mt 6, 6) et omnis glo-
riae filiae regis, id est animae regalis, intrinsecus est; sed tamen Deus educit eum foras,
cum res postulat et rerum visibilium ratio deposcit».
1601 Cfr. HNm X, 3 (nota 1092).
1602 Cfr. supra, note 1477-1478.
CAPITOLO NONO

LA COSTRUZIONE DI UN MODELLO
Origene e il discorso cristiano sulla preghiera
da Tertulliano ad Agostino

«Questa è dunque l’attività del perfetto gnosti-


co: conversare con Dio attraverso il grande
Sommo Sacerdote, assimilandosi per quanto
possibile al Signore in tutto il suo culto di Dio»
(Clemente Alessandrino)1603

1. Origene e la riflessione sulla preghiera fra II e V secolo

Per valutare con maggior precisione l’apporto di Origene alla rifles-


sione cristiana sulla preghiera conviene infine considerare in che modo
tale discorso si è sviluppato nel cristianesimo antico da Tertulliano ad
Agostino. Ovviamente non è possibile offrire qui una presentazione esau-
stiva dei suoi molteplici interpreti e della varietà di fonti in cui esso ha
preso forma. Si tratta invece di proporre più semplicemente una panora-
mica essenziale, limitata ai protagonisti principali. In particolare, la scelta
si è indirizzata verso gli autori di scritti appositi sulla preghiera, siano que-
sti commenti al Padrenostro o trattazioni specifiche di carattere autonomo
oppure inserite in opere di argomento vario. L’arco cronologico è ristretto
volutamente al periodo più ravvicinato all’Alessandrino, sia a monte che
a valle, onde rievocare alcune delle premesse ideali per il pensiero orige-
niano e sondarne eventualmente gli echi successivi. Sotto quest’ultimo
profilo, a dire il vero, si potrebbe estendere l’indagine fino ad arrivare,
nel VII secolo, a Massimo il Confessore, includendo così anche la ricca
letteratura sulla preghiera in lingua siriaca, ma ciò porterebbe ad una dila-
tazione eccessiva non solo dell’arco temporale ma anche dell’area geo-
grafica e culturale1604. Del resto, l’obiettivo di questo capitolo non è tanto
di tracciare una storia della ricezione di Orat a margine della storia del-
l’origenismo (greco, latino e siriaco), bensì è nuovamente quello di far
emergere i tratti dominanti del modello origeniano anche attraverso il con-
fronto con altre elaborazioni, antecedenti e successive. In questo senso si
––––––––––––––––––
1603Strom. VII, 3, 13, 2 (infra, nota 1688).
1604Per una sintesi sull’area siriaca cfr. Brock. Quanto a Massimo il Confessore, si
veda Cooper.
512 Parte seconda, Capitolo nono
riprenderanno più organicamente gli spunti di comparazione fra il pensiero
dell’Alessandrino e le formulazioni di altri autori che si sono introdotti oc-
casionalmente nel corso dell’esposizione precedente.
Come si è detto, la nostra attenzione è rivolta unicamente agli aspetti
di natura “dottrinale”. Non è la pratica dell’orazione fra II e V secolo che
ci preme adesso ricostruire nelle sue diverse forme, cioè in relazione alla
preghiera personale o alle espressioni liturgiche. Tanto meno ci preoccupa
l’abusato interrogativo contemporaneo sulla questione dell’«identità» cri-
stiana perseguita attraverso la prassi o il discorso sulla preghiera. È evi-
dente che non possiamo ignorare la vicenda storica, almeno nella misura
in cui riusciamo oggi a tracciare una “storia della preghiera” nel cristia-
nesimo antico, specialmente a partire dal momento in cui uno stato di vita
come il monachesimo arriva a consacrarsi prioritariamente proprio a
questa attività1605. Né siamo certo insensibili al fatto che anche la pre-
ghiera ha concorso, in maniera più o meno determinante, ad assicurare il
distinto profilo religioso delle comunità cristiane nei primi secoli, rispetto
sia al giudaismo che al paganesimo1606. Tuttavia, questi diversi aspetti di
carattere storico rimarranno in secondo piano rispetto allo sforzo d’illu-
minare anzitutto l’immagine della preghiera nel pensiero degli autori presi
in esame singolarmente, con le rispettive argomentazioni esegetiche, teo-
logiche o pastorali che contribuiscono di volta in volta ad articolarlo. Solo
in tal modo, infatti, sarà possibile stabilire il raccordo con la riflessione di
Origene. Come si vedrà, non mancano elementi di continuità anche signi-
ficativi tra i vari abbozzi di una “teologia della preghiera”, in parte garan-
titi dagli analoghi presupposti scritturistici, primo fra tutti, com’è ovvio,
il riferimento al Padrenostro. Ma vi compaiono anche differenze spesso
rilevanti, che sono determinate ora dalle singole individualità, ora dalla
natura diversificata degli scritti o dalle mutate circostanze storiche.
Dato comune ai differenti interpreti, pur con le loro distinte sensibi-
lità ed urgenze, è la convinzione che la preghiera richieda una riflessione
specifica. Sebbene ne riconoscano tutti le caratteristiche di esperienza nor-
male e diffusa, nell’ottica di questi autori emerge la consapevolezza che
l’orazione esige anche di essere disciplinata e compresa nel suo significa-
––––––––––––––––––
1605 Le difficoltà di una «storia della preghiera» nel cristianesimo antico appaiono
evidenti dai risultati, solo in parte soddisfacenti, del più recente contributo al riguardo:
Hammerling 2008a. Dal momento che l’opera si riduce ad essere soprattutto una «storia
delle idee» sulla preghiera, stupisce che non vi figuri un capitolo su Origene, mentre ben
due saggi sono dedicati ad Evagrio. Resta fuori dal nostro esame anche lo studio della teo-
logia della preghiera nel momento liturgico su cui si veda da ultimo Markschies 2007a,
136-211.
1606 Ne ho trattato del resto io stesso in Perrone 2004a. Benché verta soprattutto
sulla preghiera istituzionalizzata, merita di essere segnalata l’importante raccolta di studi:
Gerhards-Doeker-Ebenbauer.
La costruzione di un modello 513
to più profondo. Basandosi in generale sullo stesso paradigma neotesta-
mentario del Padrenostro, essi insistono pertanto sul fatto che bisogna im-
parare a pregare e a tal fine disegnano un modello che, a seconda dei casi,
riflette la sollecitazione di particolari accenti spirituali. La necessità di un
atteggiamento più consapevole da parte dell’orante spinge così a proporre
l’interpretazione del Padrenostro quale testo normativo per la preghiera
del cristiano, attualizzandone il significato personale e comunitario entro i
differenti orizzonti storici del cristianesimo durante i primi quattro secoli.
Come avviene nel caso di Origene, le istanze teologiche e pastorali si co-
niugano in maniera diversificata. Ora viene privilegiata la dimensione spe-
culativa e dottrinale (com’è il caso soprattutto di Clemente Alessandrino
e in parte di Evagrio Pontico), ora si preferisce un approccio catechetico e
pastorale, come notiamo specialmente con autori quali Tertulliano, Cipria-
no o Gregorio di Nissa.
Resta ancora da indicare preliminarmente verso quali figure si è indi-
rizzata la scelta dei testimoni più significativi. Va da sé che la nostra pre-
sentazione inizi da Tertulliano, autore con il De oratione del più antico
trattato specificamente dedicato alla preghiera, che comprende anche il
primo commento del Padrenostro. Più o meno nello stesso torno di anni si
colloca sul versante greco Clemente Alessandrino, il quale consacra al no-
stro tema parte del VII libro degli Stromati. Se questi due autori precedono
entrambi Origene, il terzo gli è contemporaneo. Si tratta di Cipriano di Car-
tagine, con un’opera catechetica, il De dominica oratione, che riprende
l’agenda tematica di Tertulliano e di Origene, fornendo sia un commento
del Padrenostro sia una riflessione riguardo alla preghiera in generale. Con
Afraate e la sua IV Esposizione, che spiega il significato della preghiera
appoggiandosi principalmente alla fonte biblica, entreremo per un momen-
to nell’area siriaca fra III e IV secolo, anche per verificare meglio l’entità
di un comune patrimonio scritturistico nel discorso protocristiano sulla
preghiera. Avanzando cronologicamente si esaminerà di seguito Evagrio
Pontico, autore non solo di uno scritto apposito Sulla preghiera ma più in
generale impegnato a riflettere su di essa alla luce dell’esperienza mona-
stica. Con le Omelie sul Padrenostro di Gregorio di Nissa sarà possibile
verificare i nuovi approfondimenti del discorso sulla preghiera in un auto-
re appartenente alla tradizione origeniano-alessandrina. Prima di conclu-
dere con Agostino, prenderemo ancora in esame il contributo di Giovanni
Cassiano agli inizi del V secolo, anche nella sua qualità di mediatore del-
l’eredità di Origene ed Evagrio al mondo latino. Quanto all’apporto del-
l’Ipponate, nell’economia complessiva di questa rassegna, merita di es-
sere messo in luce soprattutto per i sermoni sulla Preghiera del Signore e
per l’Epistola 130, come rappresentativa per la sua organicità della più
ampia riflessione agostiniana sul tema. Anche se questa scelta omette di
necessità altri testimoni, che meriterebbero di essere presi in considera-
514 Parte seconda, Capitolo nono
zione, essa ci appare abbastanza rappresentativa ai fini dello scopo che ci
siamo proposti1607. Del resto, non mancheremo di richiamare queste ulte-
riori testimonianze dove esse risulteranno più pertinenti.

2. Tertulliano: la novità dell’ oratio christiana come preghiera spirituale

Agli inizi del III secolo, il trattato di Tertulliano sulla preghiera ci si


presenta come il primo frutto di un graduale avvicinamento alla nostra pro-
blematica nel cristianesimo delle origini. Sebbene il Nuovo Testamento
racchiuda già fondamentali premesse per la riflessione cristiana – soprat-
tutto con le indicazioni contenute nell’istruzione di Gesù che precede il
Padrenostro nel vangelo di Matteo (Mt 6, 5-8)1608 –, una dottrina riguardo
al modo di pregare dei cristiani poteva svilupparsi solo in un secondo tem-
po, a seguito di una prassi ormai consolidata e ben connotata. Ciò avviene
infatti a partire dalla fase storica in cui le comunità cristiane iniziano a go-
dere di un profilo autonomo rispetto alla matrice giudaica e al tempo stesso
chiaramente alternativo anche nei riguardi delle manifestazioni oranti del
mondo pagano. Non a caso i primi abbozzi di riflessione emergono all’in-
terno della letteratura apologetica, come risvolto della polemica condotta
nei confronti delle espressioni di culto e di preghiera presso i pagani1609.
––––––––––––––––––
1607 Froehlich segnala ancora, in ambito greco, Cirillo di Gerusalemme (V Cateche-
si Mistagogica), Teodoro di Mopsuestia (XI Omelia Catechetica), Giovanni Crisostomo
(Commento a Matteo [PG 57, 278-283]), Cirillo di Alessandria (Commento a Luca); in
ambito latino, Ambrogio (De sacramentis V, 4, 18-30), Gerolamo (Commento a Matteo),
Sedulio (Inno di Pasqua, II 231-300; Paschale Opus II , 17), l’Opus imperfectum in Mat-
thaeum, Pietro Crisologo (Serm. 67-72) e numerose omelie anonime giunteci sotto il nome
di Agostino, Giovanni Crisostomo e Quodvultdeus (l’elenco si basa, in particolare, su
Schnurr). A sua volta Gioanni, 125 aggiunge all’elenco Ambrogio, de Cain et Abel I , 9,
34-39, «qui contient un petit traité sur les conditions et l’efficacité de la prière» (è interes-
sante notare la diversa periodizzazione adottata dall’autore: a) II -III secolo; b) IV-VI secolo).
Per l’ambito greco la ricerca più estesa è ancora Walther. Come mostra anche Stritzky,
l’indagine sul pensiero eucologico del primo cristianesimo passa necessariamente attraver-
so l’interpretazione del Padrenostro, senza essere stata finora oggetto di una considera-
zione più globale. Fra i contributi più recenti si veda Lombino; Vigne 2009a.
1608 Secondo Scrofani, la pericope matteana non sarebbe priva di punti di contatto
con le posizioni espresse in ambito filosofico da Massimo di Tiro: «L’affermazione del-
l’onniscienza di Dio colloca l’insegnamento di Mt 6, 7-8 in un orizzonte di pensiero con-
diviso anche dagli intellettuali “greci” dell’epoca» (p. 328). Tuttavia, il riconoscimento
della preghiera di domanda restringe in parte le affinità: «affrontando un tema discusso
anche dalle scuole filosofiche dell’epoca Matteo fornisce una risposta per molti versi ori-
ginale: attraverso quest’introduzione, il Padre nostro viene definito dalla prospettiva di
Dio. Le richieste espresse nella preghiera non riguardano i desideri dell’uomo o le sue
ambizioni: la preghiera esprime fede e abbandono alla volontà di Dio» (p. 330).
1609 Riassumo qui l’analisi che ho sviluppato in Perrone 2009b. Cfr. inoltre supra,
nota 107.
La costruzione di un modello 515
Fin dall’Apologia di Aristide notiamo alcune formulazioni che contribui-
scono a predisporre la piattaforma ideale alla quale dapprima soprattutto
Clemente Alessandrino e in seguito Origene daranno la configurazione
più articolata. In questo senso Aristide propone un modello di orazione in
cui la lode e il ringraziamento appaiono come i tratti dominanti. Ora, se il
ritmo giornaliero è governato dal ringraziamento a Dio per la sua benevo-
lenza verso gli uomini, ciò vale in particolare per i momenti iniziale e fi-
nale della vita 1610. Anche quando pregano Dio per le loro necessità, i cri-
stiani si rivolgono a lui domandandogli cose che è conveniente donare da
parte di Dio e ricevere da parte degli uomini1611. Con simili formulazioni
Aristide pare anticipare la visione di una preghiera “normata”, conforme
cioè a parametri sia biblici che filosofici, quale prenderà forma nelle suc-
cessive trattazioni eucologiche. C’è ancora un altro aspetto che merita at-
tenzione in Aristide: stando alla recensione siriaca dell’Apologia, solo la
preghiera d’intercessione dei cristiani a favore del mondo intero assicura
la sua sopravvivenza1612. In questo modo Aristide concorre anch’egli a di-
segnare l’immagine del culto cristiano come «culto razionale» (per richia-
mare l’espressione paolina di Rm 12, 1), nella misura in cui esso è imper-
niato essenzialmente sulla preghiera1613. Al tempo stesso mostra di voler
tener conto delle implicazioni politiche della religione romana affermando
il ruolo fondamentale dell’intercessione presso Dio ad opera dei cristiani,
come anche Origene farà successivamente nel Contro Celso, insieme pe-
raltro a molti esponenti della letteratura apologetica1614.
Intorno alla metà del II secolo, la I Apologia di Giustino contiene un
breve passaggio che converge con la visuale di Aristide. Esso delinea il
posto essenziale della preghiera nella vita dei cristiani in contrapposizio-
ne con la pratica pagana dei sacrifici, implicando pertanto la loro sostitu-
zione o equiparazione con la preghiera1615. Anche nel suo caso l’accento
cade sulla preghiera a Dio nella forma del ringraziamento e della lode per
i beni donati agli uomini. D’altro canto egli ribadisce la preghiera di do-
manda a partire da disposizioni di fede, collocandola in certo senso ad un
––––––––––––––––––
1610 Aristide, Apol. 15, 8-9.
1611 Aristide, Apol. 16, 1 (123), secondo la recensione siriaca, mentre il testo greco
recita (p. 122): w|n creivan aujtoi; e[cousi tou' Qeou' aijtou'ntai par∆ aujtou'.
1612 Aristide, Apol. 16, 7. Il motivo sembra preludere all’idea espressa in A Dio-
gneto 6, 7, benché in questo scritto non appaia un nesso diretto con la preghiera.
1613 Si noti comunque la scarsa incidenza del luogo paolino nella riflessione di Ori-
gene sulla preghiera.
1614 La «preghiera politica» non è che l’estrinsecazione dell’intercessione «per tutti
gli uomini», che secondo Michel era componente fissa della celebrazione liturgica (Mi-
chel- Klauser, 19).
1615 Giustino, I Apol. 13, 1. Egli afferma espressamente tale equazione in Dial. 117,
2 (496-498): o{ti me;n ou\n kai; eujcai; kai; eujcaristivai, uJpo; tw`n ajxivwn ginovmenai, tevleiai
movnai kai; eujavrestoiv eijsi tw/` qew/` qusivai, kai; aujtov~ fhmi.
516 Parte seconda, Capitolo nono
livello ancora più elevato che in Aristide, poiché il suo oggetto viene ad
essere indicato, in una chiave interamente spirituale, come la richiesta del-
l’«incorruttibilità»1616. Con queste ed altre osservazioni Giustino sembre-
rebbe tradire la consapevolezza del dibattito d’ispirazione filosofica in
merito al paradigma di una preghiera «spirituale» che si preoccupi unica-
mente dei beni celesti, laddove l’ottenimento dei beni materiali dovrebbe
essere lasciato all’iniziativa della provvidenza divina1617. A dire il vero, la
prospettiva di Giustino si rivela più complessa, poiché la preghiera non
esaurisce per lui il culto dei cristiani, che trova la sua manifestazione per
eccellenza nelle azioni liturgiche; ma indubbiamente egli sostiene in larga
misura la linea di pensiero avviata con Aristide e proseguita a sua volta
da Atenagora. Anche per l’autore della Legatio la preghiera è nuovamente
rivendicata come la manifestazione propria del culto, in opposizione al
sacrificio, mentre viene sottolineata particolarmente la sua importanza
per l’impero1618. Di fatto, la cornice politica dello stato romano determina
un impatto sensibilmente più forte sulla visuale della preghiera in Atena-
gora. Non è più soltanto l’intercessione per il benessere della società in
generale, come avveniva con Aristide, ma più precisamente la preghiera
per la continuità dinastica degli imperatori e per l’espansione e la crescita
dell’impero1619. Analogamente, nell’Ad Autolico Teofilo proclama la pre-
ghiera come la via attraverso la quale i cristiani onorano l’imperatore in-
vece di adorarlo, ritornando così ad esprimersi in termini più cauti e co-
munque analoghi tendenzialmente a quelli che Origene adotterà nella sua
risposta a Celso 1620.
Bisogna però attendere Tertulliano per trovare una riflessione capace
non solo di sfruttare la cornice della risposta apologetica al paganesimo
ma anche di spingersi oltre elaborando un discorso d’insieme. È merito

––––––––––––––––––
1616 Giustino, I Apol. 13, 2 (158, 7-160, 3): ejkeivnw/ de; eujcarivstou~ o[nta~ dia;
lovgou pompa;~ kai; u{mnou~ pevmpein uJpevr te tou` gegonevnai kai; tw`n eij~ eujrwstivan povrwn
pavntwn, poiothvtwn me;n genw`n kai; metabolw`n wJrw`n, kai; tou` pavlin ejn ajfqarsiva/ ge-
nevsqai dia; pivstin th;n ejn aujtw/` aijthvsei~ pevmponte~.
1617 Tale consapevolezza è attestata anche dalle sue osservazioni in Dial 1, 4 (si
veda Pépin; cfr. supra, nota 258).
1618 L’apologia di Atenagora sembrerebbe contenere solo un’allusione alla dimen-
sione liturgica della vita cristiana, sempre che l’accenno al bacio tra i fedeli in Legat. 32, 5
sia da mettere in relazione con il costume attestato anche da Giustino, I Apol. 65, 2; Tertul-
liano, De orat. 18, 1; Clemente Alessandrino, Paed. III, 81, 2.
1619 Atenagora, Legat. 37, 2 (208, 6-10): tivne~ ga;r kai; dikaiovteroi w\n devontai
tucei`n h] oi{tine~ peri; me;n th`~ ajrch`~ th`~ uJmetevra~ eujcovmeqa, i{na pai`~ me;n para; patro;~
kata; to; dikaiovtaton diadevchsqe th;n basileivan, au[xhn de; kai; ejpivdosin kai; hJ ajrch;
uJmw`n, pavntwn uJpoceirivwn gignomevnwn, lambavnh/…
1620 Teofilo di Antiochia, Ad Autol. I, 11 (30, 1-3): Toigarou`n ma`llon timhvsw to;n
basileva, ouj proskunw`n aujtw/`, ajlla; eujcovmeno~ uJpe;r aujtou`. qew/` de; tw/` o[ntw~ qew/` kai;
ajlhqei` proskunw`, eijdw;~ o{ti oJ basileu;~ uJp∆ aujtou` gevgonen.
La costruzione di un modello 517
anzitutto dell’Apologetico aver messo a tema la diversità della preghiera
cristiana rispetto agli equivalenti pagani, laddove Tertulliano insiste più
ampiamente sul sostegno offerto dai cristiani allo stato mediante l’orazio-
ne1621. Tuttavia, anziché limitarsi a ribadire la professione di lealismo ver-
so l’impero romano e i suoi governanti, insieme all’assicurazione che il
bene della società poggia sulla preghiera dei propri correligionari – come
avevano fatto i precedenti apologisti –, il Cartaginese sfrutta l’occasione
per tracciare una diversa immagine della preghiera1622. Così egli interpreta
il gesto delle «mani spiegate» (manibus expansis) come segno d’innocenza
(riferendosi implicitamente al Cristo in croce quale modello per coloro
che pregano, come risulta chiaro di seguito)1623, mentre la mancanza di un
copricapo non fa che sottolineare ulteriormente la sincerità delle disposi-
zioni spirituali1624. Questo atteggiamento interiore di autenticità culmina in
una preghiera personale «silenziosa» (de pectore), cioè senza dover asse-
condare le istruzioni di altri, incaricati dell’esecuzione di determinati riti.
In questo modo l’atto della preghiera diventa per Tertulliano un vero sa-
crificio spirituale, l’unico che Dio si aspetti da parte degli uomini, e coloro
che lo compiono sono i suoi sacerdoti autentici, sicché il regime della reli-
gione romana subisce, sotto entrambi gli aspetti, una metamorfosi cristia-
na1625. Fin dall’Apologetico emerge dunque un’immagine della preghiera
––––––––––––––––––
1621 Tertulliano, Apol. 30, 1 (141, 1-3): «Nos enim pro salute imperatorum Deum
invocamus aeternum, Deum verum, Deum vivum, quem et ipsi imperatores propitium sibi
praeter ceteros malunt».
1622 Tertulliano, Apol. 30, 4 (141, 17-23): «Illuc sursum suspicientes Christiani ma-
nibus expansis, quia innocuis, capite nudato, quia non erubescimus, denique sine moni-
tore, quia de pectore oramus, precantes sumus semper pro omnibus imperatoribus, vitam
illis prolixam, imperium securum, domum tutam, exercitus fortes, senatum fidelem, popu-
lum probum, orbem quietum, quaecumque hominis et Caesaris vota sunt». Rispetto alla
«preghiera del cuore» rivendicata qui da Tertulliano, non bisogna dimenticare che la sup-
plica per i governanti aveva da tempo assunto caratteristiche consolidate, come vediamo
ad esempio in 1Clem 61, 1-2 (cfr. Löhr 2003a, 297; Löhr 2003b). D’altra parte, Hamman
1980, 1223 sottolinea come principale elemento di differenziazione la preferenza accorda-
ta dai cristiani alla preghiera «spontanea» invece che a formule fisse.
1623 Tertulliano, Apol. 30, 7 (142, 35-38): «Sic itaque nos ad Deum expansos un-
gulae fodiant, cruces suspendant, ignes lambant, gladii guttera detruncent, bestiae insi-
liant: paratus est ad omne supplicium ipse habitus orantis Christiani». In proposito, cfr.
Saxer, 338.
1624 Per valutare criticamente l’immagine negativa della preghiera romana proposta
da Tertulliano in questo passo si veda Severus, 1157-1160.
1625 Tertulliano, Apol. 30, 5-6 (141, 23–142, 34): «Haec ab alio orare non possum,
quam a quo me scio consecuturum, quoniam et ipse est qui solus praestat, et ego sum cui
impetrare debetur, famulus eius, qui eum solus observo, qui pro disciplina eius occidor,
qui ei offero opimam et maiorem hostiam, quam ipse mandavit, orationem de carne pudi-
ca, de anima innocenti, de spiritu sancto profectam, non granam turis unius assis, Arabi-
cae arboris lacrimas, nec duas meri guttas, nec sanguinem reprobi bovis mori optantis, et
post omnia inquinamenta etiam conscientiam spurcam: ut mirer, cum hostiae probantur
518 Parte seconda, Capitolo nono
cristiana come «preghiera spirituale», non solo a motivo delle disposizioni
interiori dell’orante, più volte richiamate dal Cartaginese, ma anche perché
egli la qualifica come «mossa dallo Spirito» («de spiritu sancto profec-
tam»). Inoltre Tertulliano, ad ulteriore conferma delle sue caratteristiche
distintive, rafforza l’idea dell’originalità della preghiera cristiana, richia-
mando anche il precetto evangelico di pregare per i nemici1626. Comple-
tando infine l’argomentazione in sede apologetica secondo la linea già
espressa da altri Apologisti, Tertulliano propone il «sacrificio» della pre-
ghiera come l’unico mezzo efficace per impedire la fine del mondo e as-
sicurare di conseguenza la permanenza dell’impero romano1627. La pro-
spettiva circoscritta dall’Apologetico racchiude insomma le premesse es-
senziali per il De oratione, anche perché – uscendo dai limiti più abituali
del discorso apologetico, con la sola eccezione di Giustino tra i suoi pre-
decessori – Tertulliano accenna ancora alle dimensioni comunitarie della
preghiera, pur senza soffermarsi più direttamente sui riti sacramentali
della chiesa diversamente da Giustino1628.
In ogni caso, con il De oratione, Tertulliano rimanda a un’esperienza
di preghiera che si esplica in chiave sia individuale che collettiva. L’opera,
ascrivibile al periodo di poco successivo alla stesura dell’Apologetico (fra
il 200 e il 206), è un trattato con intenti catechetici e pastorali che illustra
la preghiera alla luce del Padrenostro, rivolgendosi ad un pubblico com-
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penes vos a vitiosissimis sacerdotibus, cur praecordia potius victimarum quam ipsorum
sacrificantium examinantur».
1626 Tertulliano, Apol. 31 invoca l’autorità delle Scritture (31, 2 [142, 6-9]: «scitote
ex illis, praeceptum esse nobis ad redundantiam benignitatis, etiam pro inimicis Deum
orare et persecutoribus nostris bona precari»), citando anche 1Tm 2, 1-2. Pure Atenagora,
Legat. 37, 3 e Teofilo, Ad Autol. 3, 14 rinviano a 1Tm 2, 1, come farà in seguito Origene,
CC VIII, 73 (supra, pp. 274-275).
1627 Tertulliano, Apol. 32, 1 (142, 1–143, 7): «Est et alia maior necessitas nobis
orandi pro imperatoribus, etiam pro omni statu imperii rebusque Romanis, qui vim maxi-
mam universo orbi imminentem ipsamque clausulam saeculi acerbitates horrendas com-
minantem Romani imperii commeatu scimus retardari. Itaque nolumus experiri et, dum
precamur differri, Romanae diuturnitati favemus». Si veda anche 40, 13 (155, 51-54): «Et
tamen, si pristinas clades comparemus, leviora nunc accidunt, ex quo Christianos a Deo
orbis accepit. Exinde enim et innocentia saeculi iniquitates temperavit et deprecatores Dei
esse coeperunt».
1628 Tertulliano, Apol. 39, 2-3 (150, 5-6.9-14): «Coimus in coetum et congregatio-
nem, ut ad Deum quasi manu facta precationibus ambiamus. [...] Coimus ad litterarum
divinarum commemorationem, si quid praesentium temporum qualitas aut praemonere
cogit aut recognoscere. Certe fidem sanctis vocibus pascimus, spem erigimus, fiduciam
figimus, disciplinam praeceptorum nihilominus inculcationibus densamus». Sulla preghie-
ra nella cornice comunitaria cfr. inoltre Apol. 39, 18 (152, 83–153, 88): «Ita saturantur, ut
qui meminerint etiam per noctem adorandum Deum sibi esse; ita fabulantur, ut qui sciant
Deum audire. Post aquam manualem et lumina, ut quisque de scripturis sanctis vel de
proprio ingenio potest, provocatur in medium Deo canere: hinc probatur quomodo biberit.
Aeque oratio convivium dirimit».
La costruzione di un modello 519
posto verosimilmente sia dai neofiti sia dall’insieme dei fedeli1629. Forse
anche in considerazione di ciò si spiega l’assenza di riferimenti al dibat-
tito filosofico sulla preghiera o al suo possibile esito «mistico» a diffe-
renza di Clemente e Origene1630. Tertulliano affronta in apertura il com-
mento del Padrenostro e trapassa quindi ad una problematica di carattere
generale riguardo alla preghiera, tracciando così un’agenda tematica che
ispirerà, pur in diversa maniera, i trattati eucologici di Origene e Cipria-
no1631. Prima esposizione organica sul tema, il De oratione è anche la pri-
ma a poggiare sulla convinzione che la preghiera debba essere appresa e
che il suo vero maestro non possa essere altri che Dio stesso. È per questa
ragione che Gesù, con il Padrenostro, ha trasmesso ai suoi discepoli un
modello (forma) da seguire. Attenendosi a tale «disciplina di preghiera»
(«ordinata religio orationis») l’orazione, animata dallo Spirito di Dio, sale
al cielo affidando al Padre quanto ci ha insegnato il suo Figlio1632. Di
conseguenza, Tertulliano – conformemente del resto agli sviluppi del suo
pensiero teologico – guarda alla preghiera cristiana per eccellenza come
ad un atto che immette costitutivamente in una dimensione trinitaria: essa
è indirizzata al Padre, sotto la guida del Figlio e con il sostegno dello
Spirito. In più Tertulliano, preludendo in ciò alla trattazione di Cipriano,
connota l’Oratio dominica in senso ecclesiale: colui che recita il Padre-
nostro si relaziona ugualmente alla chiesa Mater1633. Il rilievo comunita-
rio dell’oratio dominica l’induce pertanto a giudicare severamente il fatto

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1629 Circa la datazione e le particolarità letterarie si veda Schleyer (Tertullian. De
baptismo, De oratione, 19-27). Considerando De orat. in nesso con De bapt. 20, 5, dove i
neofiti sono ammessi a partecipare alla preghiera della Madre Chiesa («Igitur benedicti,
quos gratia dei expectat, cum de illo sanctissimo lavacro novi natalis [Tit 3, 5] ascenditis
et primas manus apud matrem cum fratribus aperitis»), egli ricava la destinazione cate-
chetica dello scritto. D’altra parte, non solo ammette di non poter fare affermazioni sicure
sulla recita del Pater nella liturgia eucaristica, ma rileva anche come i capp. 11-29 si ri-
volgano all’intera comunità dei fedeli. Su De bapt. 20 si veda Dölger. Tra i contributi più
recenti sulla visuale tertullianea della preghiera, cfr. Schnurr, 23-44; Stritzky, 50-69;
Brown; Chapot; Lombino, 133-163.
1630 Cfr. Jay, (supra, nota 109).
1631 Come illustrato più dettagliatamente da Schleyer, 20-21, al prologo (De orat.
1) segue il commento del Padrenostro (2-9), mentre la parte residua dello scritto (10-29)
si riferisce alla preghiera nelle sue manifestazioni personali e liturgiche.
1632 Tertulliano, De orat. 9, 3 (263, 8-12): «Deus solus docere potuit, quomodo se
vellet orari. Ab ipso igitur ordinata religio orationis et de spiritu ipsius iam tunc, cum ex
ore divino ferretur, animata suo privilegio ascendit in caelum commendans Patri, quae Fi-
lius docuit».
1633 De orat. 2, 6 (258, 14-16): «Ne mater quidem ecclesia praeteritur, siquidem in
filio et patre mater recognoscitur, de qua constat et patris et filii nomen». Cfr. anche De
bapt. 20, 5 (nota 1629). Le implicazioni trinitarie dell’oratio christiana emergono anche
dalla trattazione sulle ore di preghiera in De orat. 25, 5 (272, 14-15): «ne minus ter die
saltem adoremus, debitores trium: Patris et Filii et Spiritus sancti».
520 Parte seconda, Capitolo nono
che taluni fedeli, a conclusione di essa, si sottraggano al bacio di pace nei
giorni di digiuno1634.
Anche Origene e Cipriano ribadiranno l’iniziativa divina di traccia-
re, attraverso un testo esemplare, un paradigma normativo a beneficio dei
fedeli di Cristo. Ma Tertulliano vi pone senza dubbio un accento più forte,
insistendo nel prologo, con accurata elaborazione retorica, sull’idea del
contrasto e della «novità»1635: la «vecchia» economia dell’Antico Testa-
mento, che arriva ad includere anche la prassi di preghiera del Battista e
dei suoi discepoli, è superata dalla venuta di Cristo. Pertanto la preghiera
cristiana è chiamata a fungere da sostituto del sacrificio, essendo essa la
vera «vittima spirituale», in conformità con le indicazioni espresse da Ge-
sù nel dialogo con la Samaritana (Gv 4, 23-24)1636. L’equazione fra pre-
ghiera e sacrificio non è certo un aspetto inedito, dato che già alcuni apolo-
gisti – come abbiamo visto – l’avevano fatta propria, riprendendo peraltro
un tema presente tanto nel giudaismo ellenistico come a Qumran ed atte-
stato egualmente nel giudaismo rabbinico1637. Tuttavia Tertulliano, grazie
anche allo sfruttamento particolarmente significativo di Gv 4, 23-24, ripro-
pone il motivo nei termini di una drastica rottura con il culto sacrifica-
le, che pertanto non conserva più alcun diritto accanto alla preghiera1638.
L’ oratio christiana è ulteriormente qualificata mediante la sua distinzione
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1634 De orat. 18, 1 (267, 3) presenta il bacio di pace come signaculum orationis
(cfr. Thraede, 513-514). Secondo Grossi, «Tertulliano rileva che il segno della fratellanza,
che deriva dalla preghiera in comune, non può essere messo al secondo posto; esso è un
elemento primario della preghiera eucaristica cui bisogna adeguare ogni altro atto di pietà
privata» (p. 65 nota 35).
1635 De orat. 1, 1 (257, 3-7): «Iesus Christus dominus noster novis discipulis novi
testamenti novam orationis formam determinavit. Oportebat enim in hac quoque specie
novum vinum novis utribus recondi et novam plagulam novo adsui vestimento».
1636 De orat. 28, 1 (273, 6): «Haec est enim hostia spiritalis quae pristina sacrificia
delevit». Gv 4, 23 è citato in questo contesto, così da sottolineare il culto spirituale dei
cristiani (28, 3 [273, 7-10]): «Deus enim spiritus est, et adoratores itaque tales requirit. Nos
sumus veri adoratores et veri sacerdotes, qui spiritu orantes spiritu sacrificamus orationem
hostiam Dei propriam et acceptabilem». Come si è visto in precedenza, il luogo giovan-
neo non riveste un’importanza primaria per la riflessione origeniana sulla preghiera.
1637 Per la valorizzazione della preghiera a Qumran come conseguenza del rigetto
del culto del Tempio, si veda Severus, 1168; Chazon-Bernstein, 9: «[prayer] provided an
alternative means of worship as well as an instrument for the atonement of sin. The sectar-
ian documents regularly refer to prayer in sacrificial terms, equating it with sacrifice met-
aphorically as well as functionally». A sua volta Maier, analizza i testi qumranici più co-
me documenti dello sforzo per mantenere la tradizione che come «prassi della comunità»
(p. 71); peraltro «der liturgische Charakter dieser Gebete unterscheidet sich grundlegend
von dem, was später als Gebet des Einzelnen und allmählich auch im Vorfeld des syna-
gogalen Gottesdienstes üblich war» (p. 93). Quanto al giudaismo rabbinico, cfr. Van der
Horst 2002, 71, nota 39.
1638 Si veda per converso come Filone riesca a coniugare sacrificio e preghiera in
Leonhardt, 124-132.
La costruzione di un modello 521
con la vetus oratio in rapporto ai contenuti: invece di rivolgere a Dio do-
mande per «cose carnali» (carnalia), i cristiani pregano per «cose spiritua-
li» (spiritalia) e sono mossi a pregare così da un atteggiamento di amore
che s’indirizza verso tutti gli uomini. Proprio perché tale, la «nuova» pre-
ghiera dei cristiani è di gran lunga più efficace della «vecchia»1639.
Valorizzata in tal modo la novità della preghiera cristiana, che deriva
dalla «Sapienza» (sophia) stessa di Dio, Tertulliano si sforza nel contem-
po d’assicurare la continuità del Padrenostro non solo con il messaggio di
Gesù – per cui la preghiera del Signore, secondo una formulazione giusta-
mente celebre, viene ad essere un «compendio dell’intero vangelo» (bre-
viarium totius evangelii) – ma anche con la rivelazione biblica nel suo in-
sieme 1640. È pur vero che l’appellativo di «Padre» rappresenta anche a suo
dire un novum assoluto, ma al tempo stesso Tertulliano considera il Padre-
nostro come la sintesi di tutta quanta la Scrittura1641. Tenendo inoltre pre-
sente anche l’istruzione introduttiva al Padrenostro (Mt 6, 5-8), egli de-
scrive le modalità, le funzioni ed i contenuti costitutivi dell’orazione dei
cristiani. Il precetto di adorare nel segreto implica allora una disposizione
di fede nei riguardi della presenza di Dio e l’astensione da qualunque
ostentazione da parte dell’orante, che si rivolge in esclusiva a Dio come
colui a cui egli offre la sua preghiera1642. Tertulliano accenna così in ma-
niera originale a motivi che compaiono anche in Clemente Alessandrino
e Origene, anticipando l’importanza del riferimento neotestamentario per
la definizione della visuale cristiana. D’altra parte, la consapevolezza dello
sguardo di Dio sopra l’orante non significa istituire un rapporto esclusivo
con lui, dal momento che anche l’«angelo dell’orazione» assiste ad essa
quale suo intermediario, secondo un motivo più ampiamente ripreso da
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1639 De orat. 29, 1-2 (273, 1–274, 2.16-18): «Quid enim orationi de spiritu et veri-
tate venienti negabit deus, qui eam exigit? [...] Sola est oratio quae deum vincit; sed Chri-
stus eam nihil mali voluit operari, omnem illi virtutem de bono contulit».
1640 De orat. 1, 6 (258, 37-41): «Neque enim propria tantum orationis officia com-
plexa est, vel venerationem Dei aut hominis petitionem, sed omnem paene sermonem Do-
mini, omnem commemorationem disciplinae, ut revera in oratione breviarium totius Evan-
gelii comprehendatur».
1641 De orat. 9, 1 (262, 1–263, 3): «Compendiis pauculorum verborum quot attin-
guntur edicta prophetarum, evangeliorum, apostolorum, sermones Domini, parabolae,
exempla, praecepta!».
1642 De orat. 1, 4 (257, 26–258, 31): «Consideremus itaque, benedicti, caelestem
eius sophiam, inprimis de praecepto secrete adorandi (cfr. Mt 6, 6), quo et fidem hominis
exigebat, ut Dei omnipotentis et conspectum et auditum sub tectis et in abditum etiam
adesse confideret, et modestiam fidei desiderabat, ut, quem ubique audire et videre fide-
ret, ei soli religionem suam offerret». Allude allo stesso precetto anche De orat. 17, 4,
dove Tertulliano critica la preghiera a voce alta. Peraltro Tertulliano si sforza anche di
raccordare 1Tm 2, 8 con Mt 6, 6; cfr. De orat. 24 (272, 17-19): «Sed quomodo omni loco
cum prohibeamur in publico? Omni inquit loco, quem oportunitas aut etiam necessitas
importarit».
522 Parte seconda, Capitolo nono
Origene1643. A sua volta la raccomandazione della brevità nel pregare è
associata per Tertulliano all’idea che Dio non fa mai mancare la sua assi-
stenza provvidenziale, secondo l’insegnamento trasmesso da Mt 6, 81644.
Nell’accezione di «preghiera» che emerge dal De oratione si nota la
prevalenza della sua caratterizzazione come «domanda» (petitio), ma Ter-
tulliano non ignora affatto che essa può manifestarsi in forme diverse. In
prima approssimazione, due sono le funzioni (officia) essenziali che egli
assegna all’orazione: da un lato, la celebrazione della «gloria» di Dio o
l’adorazione (in altri termini l’aspetto dossologico della veneratio o bene-
dictio); dall’altro, la richiesta dell’uomo1645. È questa infatti, nell’interpre-
tazione di Tertulliano, la strutturazione principale che emerge dalla Pre-
ghiera del Signore, sapientemente predisposta in tal senso per soddisfare
l’ossequio a Dio ed insieme i bisogni degli uomini. In particolare, egli
spiega la domanda per la santificazione del Nome come l’equivalente della
«benedizione», alla quale ogni uomo è sempre tenuto nel ricordo dei bene-
fici ricevuti da Dio, e l’esemplifica nella sua manifestazione più alta con
la dossologia angelica del Sanctus1646. Se la preghiera di domanda implica
la richiesta di beni sia spirituali che materiali, una forma speciale di essa –
segnalata anche dal suo calco greco addotto come terminus technicus – è
la richiesta di perdono (exomologesis o petitio veniae), oggetto della quin-
ta petizione del Padrenostro, dalla quale nessun uomo è esente1647. Anche
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1643 Tertulliano accenna all’intermediazione angelica criticando l’uso di sedersi
dopo aver pregato. Cfr. De orat. 16, 6 (266, 14-19): «Si quidem inreverens est assidere
sub conspectu contraque conspectum eius, quem cum maxime reverearis ac venereris,
quanto magis sub conspectu Dei vivi angelo adhuc orationis adstante factum istud inreli-
giosissimum est! Nisi exprobramus Deo, quod nos oratio fatigaverit». Il riferimento scrit-
turistico è Tb 12, 12. Per l’associazione alla liturgia celeste degli angeli, cfr. De orat. 3,
2-3 (nota 1646).
1644 De orat. 1, 5 (258, 31-34): «Sophia in sequenti praecepto proinde pertineat ad
fidem et modestiam fidei, si non agmine verborum adeundum putemus ad Dominum,
quem ultro suis prospicere certi sumus».
1645 Severus, 1235 richiama l’attenzione sul fatto che «anstelle von prex und ande-
ren Termini das nicht mehr umgangsprachliche oratio und orare für Gebet durchgesetzt
hat und zum Terminus technicus geworden ist». Nondimeno, il vocabolario attesta anche la
parola prex (De orat. 17, 1.2), mentre le forme verbali testimoniate nel trattato includono
un lessico meno univoco con termini come adorare (De orat. 16, 3; 17, 1.5), precari (7, 1),
deprecari (23, 4), impetrari (28, 4). Sul fissarsi dell’accezione di oratio come «preghiera»
si veda da ultimo Gavoille, 121-136, per il quale nel latino classico orare ha il significato
di «discours argumenté où l’orant plaide sa cause devant la divinité» (p. 136).
1646 De orat. 3, 2-3 (259, 8-14): «plane benedici Deum omni loco et tempore con-
decet ob debitam semper memoriam beneficiorum eius ab omni homine: sed et hoc bene-
dictionis vice fungitur. Ceterum quando non sanctum et sanctificatum est per semetipsum
nomen Dei, cum ceteros sanctificet ex semetipso? Cui illa angelorum circumstantia non
cessant dicere: Sanctus, sanctus, sanctus (Is 6, 3)». Secondo Grossi, 47, nota 12, «il c. 3 è
la più antica testimonianza latina del prefazio della messa».
1647 De orat. 7, 1 (261, 3-6): «Sciebat Dominus se solum sine delicto esse. Docet
La costruzione di un modello 523
quando arriva a trattare della genuflessione, in concomitanza con i digiu-
ni e le stazioni, Tertulliano sottolinea gli aspetti penitenziali dell’orazio-
ne, per cui la preghiera si esprime come supplica e soddisfazione resa a
Dio 1648. Anzi l’accezione penitenziale della preghiera accompagna sempre
le sue manifestazioni, fatta salva la domenica come giorno della resurre-
zione e il periodo da Pasqua a Pentecoste che è il tempo consacrato alla
gioia1649. Possiamo aggiungere che egli ha ben presente anche la preghie-
ra d’intercessione, come risultava del resto già dalla sua riflessione in sede
apologetica. Infatti, spiega la prima petizione come invocazione a Dio
perché la sua santificazione si attui da parte di tutti gli uomini, inclusi i
nemici, e non esclusivamente nei fedeli1650.
Quando Tertulliano affronta l’esame dei contenuti della preghiera,
egli ricava l’indicazione principale dal Padrenostro, senza forzare troppo
lo schema iniziale dell’antitesi fra carnalia e spiritalia. Nella sua sapiente
articolazione la Preghiera del Signore dà la precedenza ai «beni celesti»
(caelestia), che sono oggetto delle prime tre petizioni, e solo in secondo
luogo fa spazio alle «necessità terrene» 1651. Tale schema, diversamente da
Origene, guida l’interpretazione della quarta petizione sotto un duplice
profilo, per cui il «pane» da richiedere è sì anzitutto Cristo1652, ma esso
può pure significare il pane corporeo, implicando però una richiesta dello
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itaque petamus dimitti nobis debita nostra (Mt 6, 12; Lc 11, 4)». «Exomologesis est peti-
tio veniae, quia qui petit veniam, delictum confitetur». Cfr. anche De orat. 9, 2 (263, 6-7):
«exomologesis debitorum in deprecatione». Circa l’equivalenza con confessio si veda
Stritzky, 63.
1648 De orat. 23, 3-4 (272, 10-15): «Ceterum omni die quis dubitet prosternere se
Deo vel prima saltem oratione, qua lucem ingredimur? Ieiuniis autem et stationibus nulla
oratio sine genu et reliquo humilitatis more celebranda est. Non enim oramus tantum, sed
et deprecamur et satisfacimus Deo Domino nostro».
1649 De orat. 23, 2 (271, 5–272, 10): «Nos vero, sicut accepimus, solo die Domini-
cae resurrectionis non ab isto tantum [la genuflessione], sed omni anxietatis habitu et of-
ficio cavere debemus, differentes etiam negotia, ne quem diabolo locum demus. Tantun-
dem et spatio pentecostes, quae eadem exultationis sollemnitate dispungitur».
1650 De orat. 3, 4 (259, 19-23): «petimus, ut sanctificetur in nobis, qui in illo sumus,
simul et in caeteris, quos adhuc gratia Dei expectat, ut et huic praecepto pareamus orando
pro omnibus, etiam pro inimicis nostris. Ideoque suspensa enuntiatione non dicentes: “san-
ctificetur in nobis”, “in omnibus” dicimus». Per Stritzky, 58, l’intercessione per i nemici
vuole sottolineare la diversità della preghiera cristiana, anche rispetto alla concezione stoi-
ca della filantropia.
1651 De orat. 6, 1 (260, 1–261, 5): «Sed quam eleganter divina sapientia ordinem
orationis instruxit, ut post caelestia, id est post Dei nomen, Dei voluntatem et Dei regnum,
terrenis quoque necessitatibus petitioni locum faceret! Nam et edixerat Dominus: Quae-
rite prius regnum et tunc vobis etiam haec adicientur (Mt 6, 33; Lc 12, 31)».
1652 De orat. 6, 2 (261, 11-12): «Itaque petendo panem quotidianum perpetuitatem
postulamus in Christo et individuitatem a corpore eius». Per Santiago Vázquez si deve
intendere il pane eucaristico, come pegno del nutrimento di Dio attraverso il Verbo. Cfr.
anche Dürig, 77-78.
524 Parte seconda, Capitolo nono
stretto necessario e la rinuncia al superfluo, con un risvolto polemico ver-
so i pagani1653. In ogni modo, secondo Tertulliano, Cristo dà spazio nel
suo insegnamento sulla preghiera alla manifestazione dei bisogni umani a
seconda delle diverse circostanze, purché l’orazione sia sempre edificata
sul fondamento del Padrenostro come suo presupposto e paradigma nor-
mativo. Al tempo stesso l’invito a pregare, con la prospettiva di ricevere,
secondo la promessa di Gesù nel vangelo (Gv 16, 24; Mt 7, 7-8; Lc 11, 9-
10), implica per l’orante che egli formuli le sue richieste tenendo presenti
anche i comandamenti di Dio: l’orazione cristiana non può insomma mai
prescindere dal rispetto del volere divino come suo metro essenziale di ri-
ferimento1654.
Tertulliano si preoccupa anche di fornire indicazioni sull’atteggia-
mento spirituale che deve presiedere alla preghiera. Pure in questo caso si
nota in lui lo sforzo di ancorare, per quanto possibile, la propria riflessio-
ne alla testimonianza scritturistica, sia essa esplicita o implicita. Di fatto,
nel richiamare le disposizioni interiori ed esteriori dell’orante è evidente
l’influsso di 1Tm 2, 8-9, benché egli non citi espressamente il luogo paoli-
no1655. Tuttavia, la raccomandazione di deporre l’ira e di pregare con ani-
mo riconciliato è ricondotta anzitutto all’insegnamento evangelico (Mt 5,
23-24), visto come il primo requisito per poter accedere alla preghiera1656.
L’importanza accordata da Tertulliano al precetto di Gesù l’accomuna ad
autori come Origene ed Evagrio, che insistono anch’essi particolarmente
su questo punto. Sembra invece rinviare più direttamente a 1Tm 2, 8 l’ul-
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1653 De orat. 6, 3 (261, 13-16): «Sed et qua carnaliter admittitur ista vox, non sine
religione potest fieri et spiritalis disciplinae. Panem enim peti mandat, quod solum fideli-
bus necessarium est; cetera enim nationes requirunt».
1654 Si veda in proposito l’ampio rilievo dato alla terza petizione del Padrenostro,
secondo Schleyer anticipata rispetto alla seconda, «offenbar aus didaktischen Gründen»
(p. 120). Cfr. De orat. 4, 3 (259, 14–260, 19): «Si enim ipse pronuntiavit non suam, sed
Patris facere se voluntatem, sine dubio, quae faciebat, ea erat voluntas Patris, ad quae nunc
nos velut ad exemplaria provocamur, ut et praedicemus et operemur et sustineamus ad mor-
tem usque. Quae ut implere possimus, opus est Dei voluntate». Per Chapot, 119, «c’est
[...] le concours de trois sources – le texte du Notre Père de Matthieu, celui de Luc et la
remarque de Jésus en Mt 6, 33 – qui autorise et incite Tertullien à réaliser l’inversion».
1655 Allusioni a 1Tm 2, 9-10 affiorano in De orat. 15, 2 (265, 9): gli apostoli, «qui
de habitu orandi docent», non hanno lasciato istruzioni sull’uso di deporre il mantello pri-
ma di pregare; 20, 2 (268, 4-8): «De modestia quidem cultus et ornatus aperta praescriptio
est, etiam Petri, cohibentis eodem ore, quia eodem et spiritu, quo Paulus, et vestium gloriam
et auri superbiam et crinium lenonem morositatem» (cfr. 1Pt 3, 3). Il luogo paolino è citato
solo in De orat. 24, 1, a proposito del precetto di pregare «in ogni luogo» (1Tm 2, 8).
1656 De orat. 11, 1 (263, 1–264, 7): «Memoria praeceptorum viam orationibus ster-
nit ad caelum; quorum praecipuum est, ne prius ascendamus ad altare Dei, quam, si quid
discordiae vel offensae cum fratribus contraxerimus, resolvamus. Quale est enim ad pa-
cem Dei accedere sine pace? Ad remissionem debitorum cum retentione? Quomodo pla-
cabit Patrem iratus in fratrem, cum omnis ira ab initio interdicta sit nobis?».
La costruzione di un modello 525
teriore raccomandazione a tenere sgombro l’animo da ogni «confusione».
Possiamo cogliervi l’invito alla concentrazione interiore, ma senza appa-
renti concessioni alla prassi degli esercizi spirituali e alle problematiche
collegate a questi1657. Piuttosto Tertulliano appare preoccupato di disegna-
re l’immagine di un orante che si conforma nel suo animo allo «spirito»
verso cui s’indirizza nella preghiera1658. Per questa via l’orante assicura
una «congenialità», cioè un’affinità spirituale che solo può consentirgli di
entrare in dialogo con Dio. Accennando nuovamente all’aspetto pneuma-
tologico, sia pure in termini che non risultano troppo definiti, Tertulliano
torna dunque a profilare la preghiera del cristiano come «orazione spiri-
tuale»1659. L’ispirazione del luogo paolino sembra dettare implicitamente
anche le osservazioni sulla purificazione delle mani, che non avviene certo
mediante le abluzioni di una prassi esteriore aspramente contraddetta dal
Cartaginese, in nome di una ribadita autenticità interiore. Egli stabilisce
invece l’equivalenza fra le mani pure e la condotta che si astiene dal com-
piere il male, secondo l’identificazione simbolica proposta tradizional-
mente a commento di 1Tm 2, 81660. Quanto al gesto di levare le mani verso
l’alto, presente nel testo paolino, Tertulliano, riformulando qui la spiega-
zione dell’Apologetico, l’interpreta non tanto come la proiezione esteriore
di uno stato d’animo volto ad un’elevazione spirituale, bensì come imi-
tatio crucis: il fedele è chiamato infatti non solo ad innalzare le mani ma
anche a spiegarle seguendo l’esempio del Cristo crocifisso1661. Inoltre,

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1657 Tuttavia, a giudizio di Grossi, «è qui presente il motivo dell’apatheia» (p. 59,
nota 25).
1658 De orat. 12 (264, 1-6): «Nec ab ira solummodo, sed omni omnino confusione
animi libera esse debet orationis intentio de tali spiritu emissa, qualis est spiritus ad quem
emittitur. Neque enim agnosci poterit spiritu sancto spiritus inquinatus aut tristis a laeto
aut impeditus a libero. Nemo adversarium recipit, nemo nisi comparem suum admittit».
1659 Per Grossi, 59, il nesso pneumatologico è esplicito: «Lo Spirito santo non potrà
mai riconoscere uno spirito inquinato, triste o schiavo, per uno spirito lieto e libero. Nes-
suno accetta con sè un avversario, o uno che non gli sia alla pari». Ma Schleyer, 241
rende diversamente: «Denn von einem reinen Geist wird ein verunreinigter Geist nicht
anerkannt werden können oder ein finsterer von einem heiteren und freundlichen oder ein
in Verstrickungen gefangener von einem freien Geist. Niemand nimmt bei sich jemandem
auf, der gegensätzlich geartet ist, ein jeder gewährt nur einem Geistesverwandtem Zu-
tritt». L’implicazione pneumatologica è ammessa anche da Stritzky, 66-67, che nota qui
anche la ripresa, decontestualizzata, del teorema filosofico per cui «die Grundbedingung
für die Erkenntnis [...] in dem Zusammentreffen zweier o{moia besteht» (p. 67).
1660 De orat. 13, 1 (264, 1-6): «Ceterum quae ratio est manibus quidem ablutis, spi-
ritu vero sordente orationem obire, quando et ipsis manibus spiritales munditiae sint ne-
cessariae, ut a falso, a caede, a saevitia, a veneficiis, ab idololatria ceterisque maculis,
quae spiritu conceptae manuum opera transiguntur, purae alleventur?
1661 De orat. 14 (265, 6-8): «Nos vero non attollimus tantum, sed etiam expandi-
mus et, Dominica passione modula<ta>, tum et orantes confitemur Christo». Cfr. anche
29, 4 (274, 34-35): «Sed et aves tunc exsurgentes eriguntur ad caelum et alarum crucem
526 Parte seconda, Capitolo nono
questo gesto deve essere compiuto con l’umiltà che contraddistingue la
preghiera del pubblicano, atteggiando il volto a sentimenti di ritegno e
modestia1662, ed evitando nel contempo di affidare la preghiera alla forza
della voce, dal momento che Dio sta in ascolto del cuore1663.
L’atto della preghiera, così descritto da Tertulliano nei lineamenti es-
senziali a partire dai suoi criteri normativi, si commisura a una prassi con-
creta, contraddistinta da una serie di consuetudini che sono oggetto di un
vaglio critico da parte del Cartaginese. In nessun altro trattato eucologico
dei primi secoli incontriamo una ricchezza di esperienze paragonabile agli
spunti che Tertulliano ci offre sulle usanze del suo tempo, a completamento
delle indicazioni offerte nell’Apologetico. Essi interessano soprattutto la
storia della preghiera come pratica, ma permettono comunque di comple-
tare l’immagine dell’orazione cristiana tracciata con grande nitidezza dalla
riflessione del Cartaginese. Si noterà in primo luogo la norma dell’aucto-
ritas scritturistica, che permea in profondità tutto il suo discorso renden-
dolo, sotto tale punto di vista, prossimo a Origene, sebbene il ricorso alla
fonte biblica non raggiunga l’intensità dell’Alessandrino e sia apprezzato
tendenzialmente in chiave etico-normativa1664. In tal senso la misura per
giudicare i singoli comportamenti dell’orante è ricavata per Tertulliano
dall’insegnamento del Signore e degli apostoli, con esplicita riserva verso
scritti quali il Pastore di Erma che non rivestono un identico statuto cano-
nico1665. Il richiamo a questo metro di giudizio introduce nella trattazione
una componente più apertamente polemica che si esplica in direzione dei
giudei, ma soprattutto dei pagani, nell’intento di meglio precisare i tratti
caratterizzanti l’oratio christiana. Non a caso egli si sovviene qui del «cul-
to razionale» di Rm 12, 1 per deprezzare i costumi criticati come forma di
superstitio invece che di religio 1666. Si tratta dell’usanza di pregare dopo
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pro manibus expandunt»; De an. 51, 6; supra, nota 1622. Sul significato del gesto si veda
Bellis; Severus, 1231-1232.
1662 De orat. 17, 1-2 (266, 1-6): «Atqui cum modestia et humilitate adorantes ma-
gis commendabimus Deo preces nostras, ne ipsis quidem manibus sublimius elatis, sed
temperate ac probe elatis, ne vultu quidem in audaciam erecto. Nam et ille publicanus, qui
non tantum prece, sed et vultu humiliatus atque deiectus orabat, iustificatior pharisaeo
procacissimo discessit».
1663 De orat. 17, 3. Non si tratta comunque di proporre il modello di una preghiera
silenziosa, ma di moderare la voce onde non dar luogo ad un’ostentazione orante.
1664 Per l’uso dei «paradigmi di salvezza» si veda supra, nota 436. Opportuna-
mente Stritzky, 65, ricorda la mens giuridica dell’autore che impronta anche la sua inter-
pretazione del Padrenostro.
1665 De orat. 15, 1 (265, 1-4): «Sed quoniam unum aliquod attigimus vacuae ob-
servationis, non pigebit cetera quoque denotare, quibus merito vanitas exprobranda est,
siquidem sine ullius aut Domini aut apostolici praecepti auctoritate fiunt».
1666 De orat. 15, 1 (265, 4-6): «Huiusmodi enim non religioni, sed superstitioni de-
putantur, affectata et coacta et curiosi potius quam rationalis officii (cfr. Rm 12, 1), certe
vel eo coercenda, quod gentilibus adaequent».
La costruzione di un modello 527
aver deposto il mantello oppure di sedersi conclusa l’orazione, l’una e l’al-
tra ritenute da Tertulliano un’assimilazione alle abitudini degli oranti pa-
gani1667. Ma l’analisi investe anche problematiche più strettamente con-
nesse alla prassi ecclesiale, come il velare o meno il capo per le vergini
della comunità di Cartagine o la pratica della genuflessione1668.
Quanto ai tempi di preghiera, Tertulliano si premura di rammentare
preliminarmente la base scritturistica anche per le tre ore «canoniche»
(terza, sesta e nona): pur senza renderle vincolanti, incoraggia la loro ado-
zione come «regola» ternaria, nel segno di una spiritualità «eucaristica»
indirizzata alla Trinità1669. Egli non riflette apparentemente su come si
debba attuare l’oratio continua in risposta al mandato di 1Ts 5, 17, ma le
sue ulteriori indicazioni sfociano in pratica nel disegnare un orizzonte di
preghiera per la vita quotidiana del cristiano. Questi è chiamato a iniziare
e concludere le sue giornate con l’orazione, rispettando i due momenti,
alba e tramonto, che Tertulliano considera di rito. Ma al tempo stesso il
fedele accompagna con la preghiera le sue attività giorno per giorno, ri-
spettando in tal modo il primato delle realtà spirituali sulle cose ter-
rene1670. Dovrà dunque pregare prima dei pasti e prima di fare il bagno,
nell’accogliere in casa sua l’ospite e soprattutto lo straniero, e rispondere
a sua volta con la preghiera a chi lo accoglierà in questa stessa ma-
niera1671. Nell’individuare gli spazi quotidiani per l’orazione Tertulliano
ne evidenzia l’aspetto strutturale e insieme dinamico, che si rende ancor
più manifesto nella condotta di coloro che «con maggior diligenza» ag-
giungono alle loro preghiere «Alleluia» e salmi1672. Tutto ciò non fa che
arricchire l’espressione della preghiera rendendola un «sacrificio pingue»
offerto a Dio1673. Né Tertulliano dimentica la componente agonica della
preghiera: il fedele deve sempre munirsi di essa come un’arma in risposta
all’insidia costante del nemico1674.
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1667 De orat. 15-16 (cfr. Dölger 1936).
1668 Anche l’ampia trattazione sul velo delle vergini in De orat. 21-22 trae spunto
dal vincolo scritturistico. Infatti, Tertulliano si richiama da un lato a 1Cor 11, 5-15; dal-
l’altro invita a considerare l’uso scritturistico di mulier. Invece per la pratica della genu-
flessione si rifà ad una consuetudine tradizionale che dovrebbe superare la varietatem ob-
servationis (23, 1).
1669 De orat. 25, 5 (nota 1633).
1670 De orat. 25, 6 (273, 17-20): «Sed et cibum non prius sumere et lavacrum non
prius adire quam interposita oratione fideles decet. Priora enim habenda sunt spiritus re-
frigeria et pabula quam carnis, quia priora caelestia quam terrena».
1671 De orat. 26.
1672 De orat. 27.
1673 De orat. 27 (273, 3-5): «Et est optimum utique institutum omni quod praepo-
nendo et honorando Deo competit saturatam orationem velut opimam hostiam admo-
vere». Schleyer, 243 segnala opportunatamente l’allusione a Sal 140(141), 2.
1674 De orat. 29, 3 (274, 26-30): «Oratio murus est fidei, arma et tela nostra adver-
sus hostem, qui nos undique observat. Itaque numquam inermes incedamus. Die stationis,
528 Parte seconda, Capitolo nono
La conclusione dello scritto di Tertulliano costituisce un elogio della
preghiera, sorretto da tutta la sua abilità di retore. Ma al di là della forma,
non si deve perdere di vista il motivo dominante: l’efficacia della pre-
ghiera cristiana rispetto alla vetus oratio, che deriva ancora una volta dai
suoi caratteri distintivi di preghiera «in spirito e verità». Coronata dal-
l’amore insieme alle altre virtù e affiancata dalle opere, nella celebrazio-
ne della lode di Dio con salmi ed inni, la preghiera è il sacrificio che può
ottenere tutto da lui1675. Se la vetus oratio ci attesta la sua efficacia attra-
verso i paradigmi degli oranti veterotestamentari, richiamati da Tertul-
liano solo al termine della sua trattazione (e di fatto ridimensionati nella
loro portata perché relativi a benefici materiali), quanto maggiori bisogna
considerare gli effetti dell’oratio christiana! A cominciare dall’esperien-
za di coloro che soffrono persecuzioni i quali, invece di ricevere il soc-
corso fisico come gli antichi protagonisti delle storie di salvezza, proprio
alla luce della preghiera comprendono e accolgono le loro sofferenze per
la fede1676. La contrapposizione con la vetus oratio è poi rafforzata dal-
l’idea della trasformazione «agapica» che essa subisce nella nuova veste
dell’oratio christiana: anziché infliggere pene, sconfiggere eserciti ne-
mici e trattenere la pioggia benefica, adesso la preghiera allontana l’ira
di Dio, veglia intercedendo per i nemici, supplica per i persecutori, grazie
al mutamento apportato da Cristo, il quale vuole che essa operi unica-
mente il bene 1677. Al termine di un crescendo che non è solo un’amplifi-
cazione retorica ma intende illustrare la novità della preghiera cristiana
attraverso le sue molteplici ricadute benefiche, Tertulliano approda infi-
ne al riconoscimento dell’esperienza orante come esperienza universale,
––––––––––––––––––
nocte vigiliae meminerimus. Sub armis orationis signum nostri imperatoris custodiamus,
tubam angeli expectemus orantem».
1675 De orat. 28, 4 (273, 11-15): «Hanc de toto corde devotam, fide pastam, veritate
curatam, innocentia integram, castitate mundam, agape coronatam cum pompa operum
bonorum inter psalmos et hymnos deducere ad Dei altare debemus omnia nobis a Deo
impetraturam».
1676 De orat. 29, 1 (274, 5-11): «Ceterum quanto amplius operatur oratio christiana!
Non roris angelum in mediis ignibus sistit nec ora leonibus obstruit (cfr. Dn 3, 49-50; 6,
23) nec esurientibus rusticorum prandium transfert (cfr. Dn 14, 33-39), nullum sensum
passionis delegata gratia avertit, sed patientes et sentienties et dolentes sufferentia instruit,
virtute ampliat gratiam, ut sciat fides, quid a Domino consequatur, intellegens, quid pro
Dei nomine patiatur». La svalutazione degli esempi veterotestamentari è più sensibile in
Tertulliano, rispetto ad Origene, che applica loro un’esegesi spirituale (cfr. supra, 140 ss.).
1677 De orat. 29, 2 (274, 17-25): «Christus eam nihil mali voluit operari, omnem illi
virtutem de bono contulit. Itaque nihil novit nisi defunctorum animas de ipso mortis iti-
nere revocare, debiles reformare, aegros remediare, daemoniacos expiare, claustra carce-
ris aperire, vincula innocentium solvere. Eadem diluit delicta, temptationes repellit, perse-
cutiones extinguit, pusillanimos consolatur, magnanimos oblectat, peregrinantes deducit,
fluctus mitigat, latrones obstupefacit, alit pauperes, regit divites, lapsos erigit, cadentes
suspendit, stantes continet».
La costruzione di un modello 529
della quale partecipano non solo gli uomini ma anche gli angeli e perfino
gli animali1678.
Anche questo cenno finale conferisce forte originalità ad una tratta-
zione che riflette la vigorosa e lucida personalità del suo autore. Aliena da
problematiche filosofiche, nemmeno echeggiate fra le righe, come pure
da un’argomentazione esegetica approfondita, la trattazione di Tertullia-
no è mossa dalla prospettiva, ideale e concreta, della prassi orante1679. Il
ricco vissuto cristiano a cui egli rimanda ci si presenta come un tratto spe-
cifico dello scritto, ma esso interagisce con una visuale teologica essenzia-
le: il modello dell’oratio christiana come preghiera spirituale a partire
dal paradigma della Preghiera del Signore. A questo livello la riflessione
del Cartaginese s’incontra senza dubbio con quella di Origene, dal mo-
mento che per entrambi gli autori la categoria risolutiva è proprio quella
di «preghiera spirituale». Sia per Tertulliano che per Origene ciò significa
un diverso ordine di valori che presiede alla preghiera, riassumibile per
comodità nella distinzione o contrasto fra i «beni celesti» e i «beni terreni»,
ma anche un’implicazione pneumatologica pur diversamente calibrata.
Come mostra l’assenza di commenti su Rm 8, 26-27 nello scritto di Ter-
tulliano, il riconoscimento della preghiera «mossa dallo Spirito» non assu-
me il rilievo che ha in Origene, ma ciò non toglie che si possa riscontrare
almeno una sintonia tendenziale. Inoltre, sebbene i nuclei scritturistici – a
prescindere dal comune riferimento alla Preghiera del Signore – assuma-
no configurazioni diverse nei due scrittori, non mancano tra loro gli ele-
menti di convergenza per l’uso di singole citazioni. Più in generale l’an-
coraggio della prassi orante all’auctoritas biblica non può non segnalare
un’affinità con l’Alessandrino, sebbene questi ci appaia meno condiziona-
to dall’esigenza normativa e disciplinare. Anche il commento del Padre-
nostro, quantunque esso risulti assai rapido nel Cartaginese, mostra delle
significative convergenze interpretative1680. Infine, se in Tertulliano non
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1678 De orat. 29, 4 (274, 31-36): «Orant etiam angeli omnes, orat omnis creatura,
orant pecudes et ferae et genua declinant et egredientes de stabulis ac speluncis ad caelum
non otioso ore suspiciunt vibrantes spiritum suo more. Sed et aves tunc exsurgentes eri-
guntur ad caelum et alarum crucem pro manibus expandunt et dicunt aliquid, quod oratio
videatur».
1679 L’interpretazione di Stritzky talora forza filosoficamente il testo di Tertulliano,
sintonizzandolo fra l’altro con il dibattito contemporaneo sulla preghiera (pp. 67-68).
1680 In particolare, Schleyer nota le seguenti affinità nell’interpretazione della terza
petizione: «Die Auslegung des Origenes, orat. 26 (GCS 359-363), kommt der tertulliani-
schen in mehrfacher Hinsicht nahe: 1. im Bezug auf alle Menschen, Christen und Nicht-
christen (orat. 26, 4 [GCS 361]); 2. im Bezug auf die Getauften bzw. die Kirche (orat. 26,
3 [GCS 360f); 3. in der Beziehung auf das Vorbild Christi (orat. 26, 3 [GCS 360f]); 4. in
der eschatologischen Perspektive des “seligen Ziels” (tevlo" makavrion: orat. 26, 4 [GCS
361])» (p. 124, nota 528). A suo avviso Tertulliano (De orat. 6, 1) condivide con Origene
(Orat XXVI, 2) anche l’idea che le prime tre domande costituiscano una unità (p. 126, nota
530 Parte seconda, Capitolo nono
sembra avvertirsi per nulla la consapevolezza della preghiera come «pro-
blema», diversamente dall’approccio sviluppato da Origene nel trattato,
l’uno e l’altro si ritrovano insieme nel professare convintamente l’idea
dell’efficacia della preghiera.

3. Clemente Alessandrino: la pietà del cristiano come il vero «gnostico»

Può darsi che il VII libro degli Stromati di Clemente Alessandrino –


o, per essere più precisi, un’ampia porzione di esso (Strom. VII, 7, 35, 1–
49, 8) – rappresenti il più antico trattato cristiano sulla preghiera, sebbene
gli incerti indizi cronologici di cui disponiamo facciano pensare piuttosto
ad una sua contemporaneità con il De oratione tertullianeo1681. Quello
che è certo è il fatto che nei due scritti si respira un’atmosfera profonda-
mente diversa, anche se ciò non significa – come vedremo – una totale
incomunicabilità dei rispettivi orizzonti spirituali. Bisogna anzitutto con-
siderare la fisionomia distinta dell’opera e del pubblico a cui Clemente si
rivolge, senza mai dimenticare ovviamente il profilo culturale dell’autore
quale esponente di spicco del platonismo cristiano di Alessandria. Ora, la
sua trattazione ha di mira i «Greci» (”Ellhne"), cioè i pagani colti, special-
mente quanti hanno ricevuto una formazione filosofica e si fanno un’idea
erronea della religione cristiana accusando di «ateismo» i suoi seguaci.
Pertanto l’esposizione clementina, diversamente dal De oratione di Ter-
tulliano, nasce con intenti apologetici a senso unico, cioè senza preoccu-
pazioni identitarie rispetto al giudaismo, affrontando peraltro il tema della
preghiera nel quadro di una più ampia riflessione sulla pietà del perfetto
––––––––––––––––––
536). Anche nella spiegazione della sesta e della settima non mancano paralleli, sia pure
integrando la visuale con il de fuga in persecutione: «In fug. (CSEL 76, 21f) unterscheidet
Tertullian drei Arten von Versuchungen: ex causa probationis “zur Bewährung”, ex causa
reprobationis “zur Verwerfung”, ex causa cohibitionis, “zur Zähmung und Mäßigung”.
Vgl. Origenes: 1. zur Bewährung (orat. 29, 2-4 [GCS 382f]), 2. zur Selbsterkenntnis und
Bewahrung vor Hybris (orat. 29, 17 [GCS 391f]), 3. zur Preisgabe an die Sünde und end-
gültigen Heilung (orat. 29, 13 [GCS 387f])»; «Wichtige gemeinsame Züge in der Ausle-
gung der sechsten und siebten Bitte bei Tertullian und Origenes: 1. der Sinn der sechsten
Bitte: nicht Befreiung von, sondern Bewährung in Versuchungen (Origenes, orat. 29, 2-4
[GCS 382f]); 29, 9 [GCS 385]; 30, 1 [GCS 393]; 29, 11 [GCS 386]; 30, 3 [GCS 394f]).
2. Der Versucher, Satan, steht dabei unter der Macht Gottes (orat. 30, 2 [GCS 393]). 3. In
der siebten Bitte: die Auffassung von a malo (= a diabolo): orat. 30, 1 (GCS 393). 4. Beide
Bitten bilden eine Sinn-Einheit: orat. 29, 1; 30, 1 (GCS 381f. 393)» (p. 136, nota 579).
1681 A giudizio di Le Boulluec questo «long exposé [...] est le premier traité con-
servé sur la prière chrétienne» (Clément d’Alexandrie. Les Stromates: Stromate VII, 13). Il
possibile arco temporale va, secondo Roukema, dal 193 al 215 (Clemens van Alexandrië.
Het gebed van de gnosticus en andere teksten. Een keuze uit Clemens’ Stromateis boek
VII, 7). Per la traduzione italiana si veda Pini (Clemente Alessandrino. Stromati. Note di
vera filosofia).
La costruzione di un modello 531
cristiano in quanto «gnostico» autentico. La preghiera è insomma un aspet-
to, benché centrale se non ricapitolativo, dell’ideale di perfezione traccia-
to da Clemente in risposta alla critica filosofica del cristianesimo1682. La
diversità dei destinatari e delle finalità perseguite spiega dunque il diverso
profilo dello scritto dal punto di vista letterario e argomentativo. Come
dichiara in apertura lo stesso autore, egli ha volutamente adottato un lin-
guaggio capace di essere compreso dal suo pubblico, rinunciando almeno
inizialmente a sostenere le proprie argomentazioni con l’ausilio delle te-
stimonianze scritturistiche. Tuttavia, a scanso di fraintendimenti da parte
della maggioranza dei suoi correligionari, Clemente avverte subito che le
«Scritture del Signore» sono comunque la fonte nascosta dalla quale tutto
il suo discorso trae ispirazione1683. Del resto, nonostante la dichiarazione
di metodo, Clemente non si fa scrupolo di richiamare riferimenti scrittu-
ristici, più o meno espliciti, fin dalla parte introduttiva del VII libro, né il
trattato eucologico fa eccezione al riguardo, come risulterà dall’esame del
suo dossier di citazioni.
La messa a fuoco preliminare del culto reso dallo gnostico al vero
Dio procede con una preoccupazione di carattere sistematico che tradisce
l’intento di combinare il messaggio cristiano con la riflessione filosofica
di stampo soprattutto platonico ma anche stoico. Clemente illustra così la
dottrina su Dio che presiede alla pietà dei cristiani, intesa da lui non tanto
come manifestazione liturgica o devozionale, bensì come forma di vita
perfetta che si estrinseca anche nel culto e nella preghiera1684. La teolo-
gia clementina parte infatti dal riconoscimento del «Padre dell’univer-
so» come causa prima, reso possibile ad opera del Figlio. Egli è la via
d’accesso alla divinità trascendente del Padre, Dio sommo, e in quanto
tale apofaticamente oggetto d’adorazione nel silenzio della contemplazio-
––––––––––––––––––
1682 Contra Brown, 122, che inverte i termini del problema: «Since this is a treatise
on prayer, it involves the issue of eujsevbeia» (p. 132). Secondo Völker 1952, la preghiera
in Clemente non è solo il passaggio obbligato per il rapporto con Dio (p. 411), ma anche
la quintessenza della vita spirituale: «Das Gebet erscheint Clemens als das Wertvollste
und das Wesen der Christen am meisten kennzeichnende». Per una presentazione recente
della dottrina clementina, cfr. Bianco, 202-229.
1683 Strom. VII, 1, 1, 4 (40, 19-23): Ka]n eJteroi'av tisi tw'n pollw'n katafaivnhtai ta;
uJf∆ hJmw'n legovmena tw'n kuriakw'n grafw'n, ijstevon o{ti ejkei'qen ajnapnei' te kai; zh/', kai;
ta;" ajforma;" ajp∆ aujtw'n e[conta to;n nou'n movnon, ouj th;n levxin, parista'n ejpaggevlletai.
Sull’uso criptico delle Scritture in Clemente, cfr. Rizzi 2001, 94. Contro la tradizionale in-
terpretazione in senso spiritualistico, è bene rammentare che in Clemente l’identità cristia-
na «non si dà nella sola dimensione interiore, né in quella di una pratica tutta interna al
gruppo di appartenenza, ma, essendo (come ogni identità) essenzialmente relazionale,
deve necessariamente esprimersi anche all’esterno, nel rapporto con tutti gli altri soggetti
sociali» (Lugaresi 2003a, 11). Per un nuovo esame della questione identitaria si veda Le
Boulluec 2009b.
1684 Strom. VII, 1, 2, 1 (40, 1-3): Provkeitai toivnun parasth'sai hJmi'n movnon to;n
gnwstiko;n o{siovn te kai; eujsebh', qeoprepw'" to;n tw/' o{nti qeo;n qrhskeuvonta.
532 Parte seconda, Capitolo nono
ne1685. Di seguito però l’attenzione si sposta sulla figura del Figlio, media-
tore della conoscenza del Padre ma anche modello di condotta per il cri-
stiano, mentre Clemente tratteggia le linee della risposta di fede entro una
prassi di vita virtuosa1686. Già qui la perfezione spirituale dello gnostico
non si presenta come un obiettivo solipsistico, poiché la «cura di sé» non
è mai disgiunta dall’interesse per l’«altro», in forza dell’«amore» (ajgavph)
di cui il fedele partecipa1687. La correzione della prospettiva filosofica in
senso cristiano si dà soprattutto in relazione all’obiettivo ultimo del «culto
divino» indicato da Clemente nell’assimilazione a Dio, secondo una no-
zione tipica della tradizione platonica, ma rivisitata in chiave cristiana: i
cristiani perfetti sono coloro che hanno familiarità con Dio perché «con-
versano con lui» attraverso il Sommo Sacerdote Cristo, rendendosi simili
al Signore in tutta la loro condotta di vita1688. Già qui, attraverso il tema
dell’imitatio Christi, affiora l’immagine della preghiera come «colloquio»
(oJmiliva) con Dio, secondo la definizione proposta in antecedenza da Mas-
simo di Tiro, che caratterizza la visuale clementina dell’orazione, sia pure
dentro una cornice profondamente mutata1689.
––––––––––––––––––
1685 Strom. II, 1, 2, 3 (42, 10-14): par∆ ou| ejkmanqavnein to; ejpevkeina ai[tion, to;n
patevra tw'n o{lwn, to; prevsbiston kai; pavntwn eujergetikwvtaton, oujkevti fwnh/' paradi-
dovmenon, sebavsmati de; kai; sigh/' meta; ejkplhvxew" aJgiva" sebasto;n kai; septo;n kuriwv-
tata. Mortley, 201-202 segnala l’importanza di questo passo per la visuale della preghie-
ra: «Silence is the symbol of a higher form of knowledge. Clement’s concept of prayer,
which is defined as inward contact with God, confirms this impression. To understand
prayer on the simple model of verbal contact is insufficient, for the spirit ascends to the
nohth;n oujsivan. Prayer denotes a state of being; it is oJmiliva with God. Since [...] words
belong to the realm of the senses, true prayer is accomplished in silence: meta; sigh'" pros-
lalw'men. This further paradox simply attests the fact that real knowledge cannot be com-
municated by the word, for the mind has no need of the crutches provided by the sensible
world in order to make its ascension».
1686 La «natura del Figlio» è al vertice della scala degli esseri – in ordine ascenden-
te, uomini e angeli – e la più prossima al Padre (Strom. VII, 2, 5, 3), essendo in perenne
contemplazione di lui.
1687 Per la centralità dell’ajgavph nell’ideale clementino di perfezione, aldilà di un
mero intellettualismo, si veda Rizzi 2001, 100: «fondandosi sulla fede, il cristiano vive
nella speranza, e il suo tevlo", fine e perfezione, al tempo stesso, è l’ajgavph. Si tratta di un
programma contemporaneamente epistemologico, perché il fine ultimo ne è la visione di
Dio, in cui però la qewriva platonica risulta sagomata entro il contesto cristiano dell’oJ-
moivwsi" per ajgavph al Logos, e di vita spirituale, di progressione nelle virtù paoline, in cui
alla pienezza della contemplazione corrisponde la pienezza delle virtù e il loro assorbi-
mento nell’ajgavph divina».
1688 Strom. VII , 1, 3, 13 (68, 14-70, 2): Au{th toivnun hJ ejnevrgeia tou' teleiwqevnto"
gnwstikou', prosomilei'n tw/' qew/' dia; tou' megavlou ajrcierevw", ejxomoiouvmenon eij" duvna-
min tw/' kurivw/ dia; pavsh" th'" eij" to;n qeo;n qerapeiva", h{ti" eij" th;n tw'n ajnqrwvpwn diateiv-
nei swthrivan kata; khdemonivan th'" eij" hJma'" eujergesiva" katav te au\ th;n leitourgivan
katav te th;n didaskalivan katav te di∆ e[rgwn eujpoiivan.
1689 Come nota Le Boulluec (Clément d’Alexandrie. Les Stromates: Stromate VII, 69,
nota 7), il motivo è sviluppato in Strom. VII , 7, 39, 6 (cfr. nota 40); 42, 1; 49, 1; 12, 73, 1.
La costruzione di un modello 533
La trasformazione è indicata in primo luogo proprio dalla fondazio-
ne cristologica della preghiera. Non a caso l’inizio della trattazione euco-
logica vera e propria è segnato dall’affermazione che il Figlio è il media-
tore nel rapporto orante fra i cristiani e il Padre: i fedeli sono tenuti ad
«onorare il Logos» in ogni tempo e mediante lui il Padre1690. Grazie alla
conoscenza trasmessa dal Logos, essi glorificano Dio nella preghiera at-
traverso la persona del Mediatore1691, designata significativamente per tale
funzione con il termine di «Sommo Sacerdote» tratto dalla Lettera agli
Ebrei (Eb 4, 14)1692. Inoltre, Clemente accenna anche alla presenza dello
Spirito, sebbene il riconoscimento della dimensione pneumatologica sia
assai meno esplicito che in Tertulliano, per non dire di Origene. Un’allu-
sione rimanda comunque ai «gemiti inenarrabili» di Rm 8, 261693, mentre
l’orante gnostico, nello sforzarsi di essere «spirituale» si unisce allo Spiri-
to mediante l’amore, con il che ritroviamo un’idea affine all’assimilazione
pneumatica dell’orante evocata da Tertulliano1694. Un ulteriore elemento
che concorre a disegnare la cornice biblica e cristiana della visuale cle-
mentina della preghiera è dato dal riferimento agli angeli come il corri-
spettivo celeste della condizione dell’orante sulla terra. Lo gnostico, nel
formulare la sua preghiera a partire da una retta concezione di Dio, è asso-
ciato al coro degli angeli e partecipa delle loro stesse virtù1695. Ma questa
associazione si manifesta per Clemente anche tramite la vita di preghiera
dello gnostico intesa come oratio continua, cioè in quanto memoria perpe-
tua di Dio che lo immette nella contemplazione delle realtà celesti1696.
––––––––––––––––––
1690 Strom. VII, 7, 35, 1 (128, 1-5): Sevbein de; dei'n ejgkeleuovmeqa kai; tima'n to;n
lovgon, swth'rav te aujto;n kai; hJgemovna ei\nai peisqevnte", kai; di∆ aujtou' to;n patevra, oujk
ejn ejxairevtoi" hJmevrai", w{sper a[lloi tinev", ajlla; sunecw'" to;n o{lon bivon tou'to pravtton-
te" kai; kata; pavnta trovpon.
1691 Strom. VII , 6, 31, 7 (116, 25-30): oujk ajpeikovtw" hJmei'" di∆ eujch'" timw'men to;n
qeovn, kai; tauvthn th;n qusivan ajrivsthn kai; aJgiwtavthn meta; dikaiosuvnh" ajnapevmpomen,
tw/' dikaiotavtw/ lovgw/ geraivronte", di∆ ou| paralambavnomen th;n gnw'sin, dia; touvtou do-
xavzonte" a} memaqhvkamen.
1692 Strom. VII, 7, 45, 3 (156, 16-18): e[st∆ a]n ejp∆ aujto; ajfivkwntai to; ajgaqovn, ejpi;
proquvroi" wJ" eijpei'n tou' patro;" prosecei'" tw/' megavlw/ ajrcierei' genovmenai. Il titolo
compare anche in VII, 2, 9, 2; 3, 13, 2.
1693 Strom. VII , 7, 49, 7 (168, 25-26): ajlalhvtoi" stenagmoi'" ejpikalevshtai to;n
patevra.
1694 Strom. VII, 7, 44, 5 (152, 16-154, 19): to; pantokratoriko;n de; bouvlhma ejgnw-
kwv", kai; e[cwn a{ma kai; eujcovmeno", prosech;" th/' pansqenei' dunavmei genovmeno", pneu-
matiko;" ei\nai spoudavsa" dia; th'" ajorivstou ajgavph" h{nwtai tw/' pneuvmati. Per il con-
fronto con Tertulliano si veda supra, p. 530 e note 1658-1659.
1695 Strom. VII, 7, 45, 1 (156, 1-6): ∆Axiolovgw" gou'n ta; peri; qeou' dieilhfw'" pro;"
aujth'" th'" ajlhqeiva" corou' mustikou', lovgw/ tw/' protrevponti to; mevgeqo" th'" ajreth'", kat∆
ajxivan aujthvn te kai; ta; ajp∆ aujth'" ejndeiknumevnw/, crh'tai, meta; diavrmato" ejnqevou th'"
eujch'" toi'" nohtoi'" kai; pneumatikoi'" w{" e[ni mavlista gnwstikw'" oijkeiouvmeno".
1696 Strom. VII , 7, 49, 4 (166, 14-16): Dia; touvtwn eJauto;n eJnopoiei' tw/' qeivw/ corw/',
ejk th'" sunecou'" mnhvmh" eij" ajeivmnhston qewrivan ejntetagmevno". Il nesso fra preghiera
534 Parte seconda, Capitolo nono
Così, la condizione di perfetto lo rende già in terra «uguale agli angeli» e
la sua preghiera individuale non è mai solitaria, perché è sempre inserita
nella comunione dei santi1697. Questa coralità dell’orazione cristiana emer-
ge per Clemente anche in chiave cosmica ed ecclesiale. Infatti, egli non
ignora la dimensione agonistica, tanto influente e significativa nella rifles-
sione di Origene, per cui il mondo è visto come uno «stadio» o un «tea-
tro» che coinvolge a vari livelli Dio Padre, il Figlio e gli angeli come spet-
tatori partecipi della lotta condotta dallo gnostico contro le potenze demo-
niache1698. È vero che Clemente, diversamente da Origene, non associa
immediatamente la figura dell’«atleta» gnostico al cristiano in preghiera,
ma la sua riflessione s’inserisce comunque nella visuale complessiva della
pietà del perfetto che implica anche la manifestazione orante. Quanto poi
allo scenario ecclesiale, esso affiora nell’idea del sacrificio puro, assimi-
lato all’immagine dell’«incenso composto» (in Es 30, 34-37 o Lv 16, 12)
e risultante dall’unione orante di una pluralità di lingue e di voci secondo
l’immagine della chiesa come corpo di Cristo in Ef 4, 131699.
Il tema del «sacrificio puro» concorre a sviscerare ulteriormente lo
sfondo ecclesiale della preghiera, in quanto espressione più alta di tale
culto spirituale, mentre focalizza il contrasto con la tradizione religiosa
pagana. I suoi riti sacrificali, dai quali Clemente aveva preso le distanze
già nel Protrettico (pur rimodellando in parte le manifestazioni liturgiche

––––––––––––––––––
interiore e contemplazione è messo in rilievo da Völker 1952, 419: «während des geistigen
Gebetes erfolgt die Schau, jenes ist das Mittel, um diese zu erlangen. Der Betende, der von
unstillbarer Sehnsucht nach Gott erfüllt ist [...], sinkt gleichsam in die göttliche Welt ein.
Clemens hat also dafür ein lebhaftes Empfinden, daß jeder mystische Aufstieg zugleich
ein Wachsen im Gebet ist, daß dieser nur in der Form höheren Gebetsgnaden erfolgt».
1697 Strom. VII, 12, 78, 6 (240, 25-242, 28): ÔO de; kai; met∆ ajggevlwn eu[cetai, wJ" a]n
h[dh kai; ijsavggelo", oujde; e[xw pote; th'" aJgiva" froura'" givnetai: to;n tw'n aJgivwn coro;n
sunistavmenon e[cei.
1698 Strom. VII, 3, 20, 3-4 (86, 1-13): Ou|tov" ejstin, ou|to" oJ ajqlhth;" ajlhqw'" oJ ejn
tw/' megavlw/ stadivw/, tw/' kalw/' kovsmw/, th;n ajlhqinh;n nivkhn kata; pavntwn stefanouvmeno"
tw'n paqw'n. ”O te ga;r ajgwnoqevth" oJ pantokravtwr qeov", o{ te brabeuth;" oJ monogenh;"
uiJo;" tou' qeou', qeatai; de; a[ggeloi kai; qeoiv, kai; to; pagkravtion to; pavmmacon ouj pro;"
ai|ma kai; savrka, ajlla; ta;" dia; sarkw'n ejnergouvsa" pneumatika;" ejxousiva" ejmpaqw'n
paqw'n touvtwn periginovmeno" tw'n megavlwn ajntagwnismavtwn. Sul più ampio contesto di
questo passo si veda Lugaresi 2008, 489-509.
1699 Strom. VII, 6, 34, 2 (126, 7-14): Dei' toivnun «qusiva" prosfevrein tw/' qew/' mh;
polutelei'", ajlla; qeofilei'" » (Teofrasto, De piet. fr. 9 Pötscher), kai; to; qumivama ejkei'no
to; suvnqeton to; ejn tw/' novmw/ to; ejk pollw'n glwssw'n te kai; fwnw'n kata; th;n eujch;n sug-
keivmenon, ma'llon de; to; ejk diafovrwn ejqnw'n te kai; fuvsewn th/' kata; ta;" diaqhvka" dovsei
skeuazovmenon eij" th;n eJnovthta th'" pivstew" (cfr. Ef 4, 13) kai; kata; tou;" ai[nou" suna-
govmenon, kaqarw'/ me;n tw/' nw/', dikaiva/ de; kai; ojrqh/' th/' politeiva/, ejx oJsivwn e[rgwn eujch'" te
dikaiva". Le Boulluec (p. 126, ad loc.) rinvia a Es 30, 34-37 per to; qumivama... to; suvn-
qeton, ma si potrebbe pensare anche a Lv 16, 12, considerando l’uso che ne fa Origene
(supra, nota 1366).
La costruzione di un modello 535
dei cristiani sul linguaggio delle religioni misteriche)1700, sono ormai su-
perati dal culto di Dio del vero gnostico. Sulla traccia del precedente scrit-
to apologetico la critica investe non solo i sacrifici, ma anche gli idoli e i
templi degli dèi. Il vero tempio è invece per Clemente l’assemblea della
chiesa, intesa non in senso locale bensì come la «riunione degli eletti»,
santificata dalla conoscenza del vero Dio e consacrata a lui1701. Ma anche
lo gnostico può essere visto come tempio di Dio, reso santo dalla sua pre-
senza in lui, dal momento che l’anima del perfetto, a mo’ di statua, ripro-
duce in se stessa l’immagine del Logos divino1702. Non vi è dunque più
bisogno di offrire sacrifici a Dio; ormai è la preghiera l’offerta da presen-
tare alla divinità. Come per il tempio, Clemente stabilisce l’equivalenza
sacrificio = preghiera ad un duplice livello: comunitario e personale. La
preghiera, in quanto è «la vittima migliore e più santa», è in prima istanza
il sacrificio della chiesa, offerto sull’altare formato dall’assemblea terrena
dei fedeli, che con le loro orazioni partecipano di «una sola voce e un solo
pensiero»1703. È a tale sacrificio ecclesiale che si addice l’«esalazione»
veritiera, consistente nell’offerta del Logos che si innalza come profumo
dalle anime sante, interamente orientate verso Dio 1704. A livello personale,
poi, la vita del perfetto è sempre una festa, una celebrazione ininterrotta
di Dio, laddove egli offre come sacrifici le proprie preghiere1705.
Nell’economia della trattazione clementina – che non è facile siste-
matizzare, poiché l’autore procede per associazioni più che per concate-
nazioni logiche, attenendosi al modello descritto a conclusione del VII li-
bro 1706 – un dato appare particolarmente rilevante: è appunto la prospettiva
––––––––––––––––––
1700 Cfr. Protr. XII, 118, 4 (188): tovte mou katopteuvsei" to;n qeo;n kai; toi'" aJgivoi"
ejkeivnoi" telesqhvsh/ musthrivoi"; 12, 119, 1 (188): deivxw soi to;n lovgon kai; tou' lovgou
ta; musthvria, kata; th;n sh;n dihgouvmeno" eijkovna; e specialmente 12, 120, 1-3. Sui limiti
di tale appropriazione cfr. Jourdan; sulla preghiera nei misteri Serra Zanetti.
1701 Strom. VII, 5, 29, 4 (110, 18-20): Ouj ga;r nu'n to;n tovpon, ajlla; to; a[qroisma
tw'n ejklektw'n ejkklhsivan kalw'. ∆Ameivnwn oJ new;" ou|to" eij" paradoch;n megevqou" ajxiva"
tou' qeou'. To; ga;r peri; pollou' a[xion zw/'on tw/' tou' panto;" a[xivw/, ma'llon de; oujdeno;" ajnta-
xivw/, di∆ uJperbolh;n aJgiovthto" kaqievrwtai.
1702 Strom. VII, 5, 29, 5-8.
1703 Strom. VII, 6, 31, 8 (116, 30-118, 2): “Esti gou'n to; par∆ hJmi'n qusiasthvrion
ejntau'qa to; ejpivgeion a[qroisma tw'n tai'" eujcai'" ajnakeimevnwn, mivan w{sper e[con fwnh;n
th;n koinh;n kai; mivan gnwvmhn.
1704 Strom. VII , 6, 32, 4 (118, 12-15): ÔH suvmpnoia de; ejpi; th'" ejkklhsiva" levgetai
kurivw". Kai; gavr ejstin hJ qusiva th'" ejkklhsiva" lovgo" ajpo; tw'n aJgivwn yucw'n ajnaqumivw-
meno", ejkkaluptomevnh" a{ma th/' qusiva/ kai; th'" dianoiva" aJpavsh" tw/' qew/'.
1705 Strom. VII, 7, 49, 4 (166, 11-14)): Aujtivka qusivai me;n aujtw/' eujcaiv te kai;
ai\noi kai; aiJ pro; th'" eJstiavsew" ejnteuvxei" tw'n grafw'n, yalmoi; de; kai; u{mnoi para; th;n
eJstivasin prov te th'" koivth", ajlla; kai; nuvktwr eujcai; pavlin.
1706 Strom. VII, 18, 111, 1-4. Völker 1952, 410, riconosce le difficoltà, ma eccede
nell’attribuire a Strom. VII un carattere tendenzioso: «es ist im übrigen nicht einfach, ja fast
kaum möglich, ein in sich zusammenhängendes Bild von Clemens als Beter zu entwerfen,
536 Parte seconda, Capitolo nono
dell’oratio continua come quella che ingloba i diversi spunti di riflessione
sulla preghiera. Questo motivo è senz’altro il più congeniale a Clemente,
alla luce dell’ideale di perfezione legato alla figura dello gnostico. Infatti,
la trattazione specifica inizia con il respingere l’idea di tempi e luoghi ri-
servati alla preghiera. Ciò significherebbe in pratica ridurla ad attività
complementare, se non accessoria e secondaria. Invece tutta la vita deve
essere permeata di preghiera, come suggerisce la raccomandazione di pre-
gare «sette volte al giorno». Intesa nel suo significato simbolico, la men-
zione di Sal 118(119), 164 («Sette volte al giorno ti ho lodato per i giudizi
della tua giustizia») equivale a fondere la preghiera con la vita, in un col-
loquio permanente con Dio, sia che ciò avvenga individualmente sia nel
concerto dei fedeli1707. In questo senso la vita dello gnostico è una festa
ininterrotta, vissuta sotto lo sguardo perennemente presente e partecipe di
Dio, mentre egli con la sua condotta ne celebra le lodi nelle più svariate
situazioni1708. Sotto questo profilo, fatte salve le distinzioni di categorie
concettuali e di linguaggio, Clemente si ricollega alla visuale di Tertullia-
no, riconoscendo anch’egli la preghiera quale componente strutturale nella
vita del cristiano, benché nell’ottica dell’Alessandrino ciò valga essenzial-
mente per il perfetto. Di conseguenza, sebbene Clemente conosca al pari
di Tertulliano l’usanza di tre «ore canoniche» (w{ra" taktav") di preghiera
(terza, sesta e nona), esse non sono legge per lo gnostico, dedito com’egli è
al culto di Dio in tutta quanta la sua vita1709. D’altra parte, l’insistenza ri-
petuta sul fatto che come ogni momento, così anche qualsiasi luogo è adat-
to alla preghiera – mentre recepisce a fondo l’indicazione di 1Tm 2, 8 –,
ignora palesemente sia l’interrogativo sollevato da Origene in relazione
all’interpretazione di 1Cor 7, 5, sia anche il relativo privilegio riconosciu-
to da questi al luogo della riunione ecclesiale1710. Comunque, anche Cle-

––––––––––––––––––
weil uns in seinen Werken nur verstreute Andeutungen begegnen, die meist fragmentari-
schen Charakter tragen. Allein in Strom. VII finden sich ausführlichere Darlegungen über
das gnostische Beten. Sie sind aber nicht immer klar und vor allem stark tendenziös; sol-
len sie doch den Nachweis erbringen, daß der heidnische Vorwurf der ajsevbeia den Chri-
sten nicht treffe, da dieser der wahrhaft Fromme sei».
1707 Strom. VII, 7, 35, 3 (128, 7–130, 13): ”Oqen ou[te wJrismevnon tovpon ou[te ejxaiv-
reton iJero;n oujde; mh;n eJortav" tina" kai; hJmevra" ajpotetagmevna", ajlla; to;n pavnta bivon oJ
gnwstiko;" ejn panti; tovpw/, ka]n kaq∆ eJauto;n movno" tugcavnh/ kai; o{pou tina;" a]n tw'n oJmoiv-
w" pepisteukovtwn e[ch/, tima'/ to;n qeovn, toutevstin cavrin oJmologei' th'" gnwvsew" kai; th'"
politeiva".
1708 Strom. VII , 7, 35, 6 (130, 22-26): Pavnta toivnun to;n bivon eJorth;n a[gonte", pavnth/
pavntoqen parei'nai to;n qeo;n pepeismevnoi, gewrgou'men aijnou'nte", plevomen uJmnou'nte",
kata; th;n a[llhn politeivan ejntevcnw" ajnastrefovmeqa.
1709 Strom. VII , 7, 40, 3. Sul rilievo assegnato da Tertulliano alle tre ore fisse si
veda supra, p. 527 e nota 1669.
1710 Sull’interpretazione di 1Cor 7, 5, cfr. Le Boulluec 2003, 407: «il semble qu’Ori-
gène soit enclin à en restreindre l’usage tel que l’exposait Clément, plus attaché, lui, à ce
La costruzione di un modello 537
mente esemplifica alla maniera di Tertulliano la compenetrazione della
preghiera nella vita quotidiana dello gnostico: dalle «preghiere» e «inni»
che tramano in generale la sua giornata alle letture delle Scritture prima
dei pasti, ai salmi ed inni durante i pasti o prima di andare a letto, fino alle
preghiere durante la notte1711. Pur senza fare oggetto 1Ts 5, 17 di un com-
mento specifico – analogamente, del resto, a Tertulliano –, Clemente ar-
riva a disegnare una visione che converge di fatto con l’idea origeniana
della vita come un’unica grande preghiera, formata dall’intreccio di ora-
zioni e azioni1712. Tuttavia, la formulazione clementina risulta diversa,
nella misura in cui tende ad attribuire alla preghiera un rilievo, per così
dire, di contesto o atmosfera spirituale più che equiparare in senso stretto
l’«azione» all’«orazione»1713.
Ciò deriva anche dall’accezione predominante di «preghiera». La de-
finizione che Clemente fa propria è – come s’è visto – quella di oJmiliva,
«conversazione» o «colloquio» con Dio, anche se ammette una certa «ar-
ditezza» di tale rappresentazione1714. Su questo punto la sua sensibilità ci
appare molto diversa da quella di Origene, che praticamente non si serve
mai di tale nozione. Invece Clemente considera come mèta dell’ideale di
perfezione l’acquisire la familiarità del dialogo a tu per tu con Dio, lad-
dove l’espressione della preghiera si configura anzitutto nella lode e nel
ringraziamento; solo in subordine egli prende in considerazione la pre-
ghiera di richiesta. La vita dello gnostico, pertanto, in ogni luogo e in ogni
momento si svolge nel segno della gratitudine per la conoscenza donata
da Dio e per la forma di esistenza basata su di essa, nel passato, nel pre-
sente e nel futuro 1715. Nondimeno Clemente riconosce la legittimità della
preghiera di domanda, in polemica con le tesi dell’eretico Prodico, sia
pure vincolandola nei contenuti e nelle modalità alla condizione spirituale
del perfetto. Al dire dell’Alessandrino, l’esponente della gnosi ereticale
avrebbe sostenuto che «non si deve pregare», allineandosi con ciò alla tesi
formulata in antecedenza da Massimo di Tiro; ma noi non conosciamo
––––––––––––––––––
sujet, à défendre la sainteté du mariage» (con il rinvio rispettivamente a Orat II, 2 e XXXI,
4 e a Strom. III, 12, 79, 1 e 81, 1-82).
1711 Strom. VII, 7, 49, 4 (supra, nota 1705).
1712 Le Boulluec segnala un’allusione al luogo paolino in Strom. VII , 7, 35, 4 (130,
15-19): oJ sumparw;n ajei; dia; th'" gnwvsew" kai; tou' bivou kai; th'" eujcaristiva" ajdialeiv-
ptw" tw/' qew/'.
1713 Cfr. Strom. VII , 7, 49, 7 (168, 22-24): o} de; kai; peripavtw/ crwvmeno" kai; oJmiliva/
kai; hJsuciva/ kai; ajnagnwvsei kai; toi'" e[rgoi" toi'" kata; lovgon pavnta trovpon eu[cetai.
1714 Strom. VII, 7, 39, 6 (note 40, 1734).
1715 Strom. VII, 7, 35, 3 (130, 9-13): to;n pavnta bivon oJ gnwstiko;" ejn panti; tovpw/
[...] cavrin oJmologei' th'" gnwvsew" kai; th'" politeiva". Cfr. anche VII, 12, 79, 2 (242, 9-12):
To; de; ei\do" aujto; th'" eujch'" eujcaristiva ejpiv te toi'" progegonovsin ejpiv te toi'" ejnestw'sin
ejpiv te toi'" mevllousin, wJ" h[dh dia; th;n pivstin parou'sin: touvtou de; hJgei'tai to; eijlhfevnai
th;n gnw'sin.
538 Parte seconda, Capitolo nono
con precisione le sue idee, perché Clemente, dopo aver accostato Prodico
ai Cirenaici come suoi predecessori filosofici, rimanda ad altra occasione
una loro confutazione dettagliata1716. Invece si preoccupa di fissare con
precisione le condizioni alle quali la preghiera di richiesta è accettabile
agli occhi di Dio e trova ascolto presso di lui.
Nello gnostico la domanda (ai[thsi") è unita alla preghiera di ringra-
ziamento (eujcaristiva) e s’esprime come richiesta della salvezza per gli
altri uomini 1717. In generale, la domanda è ammessa purché sia indirizzata
ad ottenere beni spirituali, quelli che vanno a vantaggio dell’anima – una
preoccupazione condivisa sia da Tertulliano sia, in forma ancor più esclu-
siva da Origene, nonostante gli accenti risultino assai diversi tra loro. Anzi,
lo gnostico prega non soltanto per ottenere dei beni, che rimangono in
qualche modo esterni a lui, bensì per divenire buono egli stesso, concor-
rendo con il proprio impegno alla realizzazione di tale mèta1718. L’impat-
to della concezione filosofica della preghiera (quale era stata espressa,
ad esempio, da Pitagora) si avverte con chiarezza, allorché Clemente os-
serva che hanno titolo a rivolgere domande a Dio soprattutto coloro che
hanno la giusta nozione di lui e di ciò che conviene chiedergli, confor-
mandosi insieme a Dio per la loro virtù. Al tempo stesso, però, egli enun-
cia qui il duplice motivo «che cosa» e «come si debba chiedere» che avrà
grande rilievo in Origene alla luce di Rm 8, 26 1719. La prospettiva cle-
mentina invero non tradisce alcuna difficoltà al riguardo, dal momento
che lo gnostico sa bene come comportarsi nel formulare le sue richieste a
Dio. Anzi, in essa non sembrerebbe quasi affiorare la consapevolezza
dell’ineludibilità della preghiera di domanda come una necessità a cui
l’uomo, in quanto creatura sempre bisognosa dell’aiuto divino, non può
mai sfuggire. Lo gnostico di Clemente ci si presenta invece come chi già
possiede ciò che domanda per altri oppure domanda per mantenere e ac-
crescere il possesso del bene. Il confronto con gli oranti «malvagi» (mo-
cqeroiv ) non fa che sottolineare la condizione privilegiata dello gnosti-
co agli occhi di Clemente: essi pregano Dio per acquisire ciò che non
posseggono e domandano ciò che sembra loro buono, ma in realtà non è

––––––––––––––––––
1716 Strom. VII, 7, 41, 1-3 (supra, pp. 92-93 e note 262-264, 471).
1717 Strom. VII , 7, 41, 6 (146, 20-22): Aujtivka h{ te eujcaristiva h[ te tw'n pevla" eij"
ejpistrofh;n ai[thsi" e[rgovn ejsti; tou' gnwstikou'.
1718 Strom. VII, 7, 38, 4 (138, 16-20): <∆Aei;> toivnun oJ gnwstiko;" th;n eujch;n kai;
th;n ai[thsin tw'n o[ntw" ajgaqw'n tw'n peri; yuch'" poiei'tai, kai; eu[cetai sunergw'n a{ma
kai; aujto;" eij" e{xin ajgaqovthto" ejlqei'n, wJ" mhkevti e[cein ta; ajgaqa; kaqavper maqhvmatav
tina parakeivmena, ei\nai de; ajgaqovn; 44, 3 (152, 10-11): ta; de; o[ntw" ajgaqa; ta; peri; yu-
ch;n eu[cetai ei\naiv te aujtw/' kai; paramei'nai.
1719 Strom. VII, 7, 39, 1 (138, 1-4): Dio; kai; touvtoi" mavlista proshvkei eu[cesqai
toi'" eijdo;si te to; qei'on wJ" crh; kai; th;n provsforon ajreth;n e[cousin aujtw/', oi} i[sasi tivna
ta; o[ntw" ajgaqa; kai; tivna aijthtevon kai; povte kai; pw'" e{kasta.
La costruzione di un modello 539
tale1720. All’opposto, lo gnostico è «autosufficiente e non è bisognoso
degli altri», per cui «non prova neppure il desiderio delle cose assenti, ma
si accontenta delle presenti». Egli «non manca dei beni appropriati, es-
sendo già divenuto capace in forza della grazia e della conoscenza di-
vine»1721. In ogni caso, essendo ormai arrivato in alto, non si preoccupa di
ricevere da Dio beni materiali alla maniera dell’«uomo comune»1722. Tut-
tavia, l’ottimismo clementino sul cristiano perfetto non è così cieco da non
avvertire che egli sia suscettibile di cadere, com’è successo perfino agli
angeli; perciò anche lo gnostico continua ad affidarsi a Dio nella preghie-
ra, chiedendogli di non venir meno alla virtù1723. Con un’ulteriore appros-
simazione comparativa, Clemente dichiara che il pagano che si converte,
domanderà a Dio la fede, mentre colui che progredisce nella conoscenza
domanderà la perfezione dell’agape1724.
Al contrario di Origene, la visuale clementina non sembra lasciare
alcuno spazio alla preghiera del peccatore1725. Con un approccio che ri-
chiama nuovamente l’impostazione filosofica, nella fattispecie quella di
Platone, l’orante che si dispone al colloquio con Dio deve avere l’anima
«immacolata», essendosi reso «perfettamente buono», o deve comunque
essersi distaccato completamente dalle opere del male1726. Probabilmente
l’ottica di un orante già perfetto e come tale virtuoso spiega anche il fatto
che Clemente non si soffermi a prima vista sulle disposizioni preliminari
––––––––––––––––––
1720 Strom. VII, 7, 44, 2 (152, 5-7): Oi} me;n ga;r a} oujk e[cousin eu[contai kthvsa-
sqai, kai; ta; dokou'nta ajgaqav, ouj ta; o[nta, aijtou'ntai.
1721 Strom. VII, 7, 44, 4-5 (152, 11–154, 1): Tauvth/ oujde; ojrevgetaiv tino" tw'n ajpovn-
twn, ajrkouvmeno" toi'" parou'sin. Ouj ga;r ejlliph;" tw'n oijkeivwn ajgaqw'n, iJkano;" w]n h[dh
eJautw/' ejk th'" qeiva" cavritov" te kai; gnwvsew": ajlla; aujtavrkh" me;n genovmeno" ajnendehv"
te tw'n a[llwn, to; pantokratoriko;n de; bouvlhma ejgnwkwv", kai; e[cwn a{ma kai; eujcovmeno".
1722 Strom. VII, 7, 46, 4 (158, 9-11): Korufai'o" d∆ h[dh oJ gnwstiko;" qewrivan
eu[cetai au[xein te kai; paramevnein, kaqavper oJ koino;" a[nqrwpo" to; sunece;" uJgiaivnein.
1723 Strom. VII, 7, 46, 5 (158, 11-13): Nai; mh;n mhde; ajpopesei'n pote th'" ajreth'"
aijthvsetai, sunergw'n mavlista pro;" to; a[ptwto" diagenevsqai. Cfr. Strom. VII, 12, 79, 3
(242, 12-15): Kai; dh; kai; aijtei'tai ou{tw" zh'sai to;n wJrismevnon ejn th/' sarki; bivon, wJ"
gnwstikov", wJ" a[sarko", kai; tucei'n meta; tw'n ajrivstwn, fugei'n de; ta; ceivrona.
1724 Strom. VII, 7, 46, 3.
1725 Tuttavia in Strom. VII, 12, 73, 3-4 Clemente deve fare i conti con il fatto che
Dio può esaudire anche le preghiere dei peccatori (cfr. infra, nota 1739).
1726 Strom. VII, 7, 49, 1 (166, 1-5): Dio; kai; a[cranton th;n yuch;n e[cein crh; kai;
ajmivanton eijlikrinw'" to;n prosomilou'nta tw/' qew/', mavlista me;n ajgaqo;n televw" eJauto;n
ejxeirgasmevnon, eij dh; mhv, ka]n prokovptonta ejpi; th;n gnw'sin kai; ejfiemevnon aujth'", tw'n de;
th'" kakiva" e[rgwn tevleon ajpespasmevnon. Tuttavia in Strom. VI, 12, 102, 1 (264, 1-8) pre-
vede la richiesta del perdono dei peccati in un cammino ascendente di perfezione: Eu[ce-
tai toivnun oJ gnwstiko;" kai; kata; th;n e[nnoian pa'san th;n w{ran, di∆ ajgavph" oijkeiouvmeno"
tw/' qew/'. Kai; ta; me;n prw'ta a[fesin aJmartiw'n aijthvsetai, meta; de; to; mhkevti aJmartavnein
ejpi; to; eu\ poiei'n duvnasqai kai; pa'san th;n kata; to;n kuvrion dhmiourgivan te kai; oijkono-
mivan sunievnai, i{na dhv, kaqaro;" th;n kardivan genovmeno", di∆ ejpignwvsew" th'" dia; tou'
uiJou' tou' qeou' provswpon pro;" provswpon th;n makarivan qevan muhqh/'.
540 Parte seconda, Capitolo nono
all’atto della preghiera, come avviene invece con le raccomandazioni di
Tertulliano, Origene o Evagrio riguardo al perdono e alla riconciliazione
fraterna. Semmai lo gnostico prega per la remissione delle colpe altrui e
l’acquisizione della conoscenza1727, quantunque l’unica citazione del Pa-
drenostro riguardi proprio la quinta domanda come manifestazione di ajm-
nhsikakiva1728. Né Clemente si mostra interessato ad approfondire le cir-
costanze esteriori dell’atto orante, come avviene specialmente in Tertullia-
no, presumibilmente ancora in ragione del fatto che egli vede in primo
luogo la preghiera come oJmiliva. Non manca tuttavia una fugace descrizio-
ne dell’immagine dell’orante che rispecchia più direttamente l’afflato spi-
ritualistico della visuale di Clemente1729. Infatti, egli lo disegna con il capo
rivolto in alto e le mani protese verso il cielo, conformemente alla raffigu-
razione più tradizionale dell’orante, ma aggiunge un particolare inedito,
anch’esso simbolicamente espressivo dell’elevazione spirituale che si com-
pie nell’atto della preghiera: nel concludere questa con la consueta accla-
mazione, l’orante si solleva sulla punta dei piedi1730. Per il resto, Clemente
tace significativamente su altri gesti di preghiera, come la genuflessione o
il segno della croce1731. Egli precisa però la direzione: l’orante cristiano
––––––––––––––––––
1727 Strom. VII , 12, 79, 4 (242, 15-17): Aijtei'tai de; kai; ejpikoufismo;n peri; w}n
hJmarthvsamen hJmei'" kai; ejpistrofh;n eij" ejpivgnwsin.
1728 Strom. VII, 13, 81, 1 (244, 1-3): Oujdevpote tw'n eij" aujto;n aJmarthsavntwn mev-
mnhtai, ajlla; ajfivhsi. Dio; kai; dikaivw" eu[cetai, a[fe" hJmi'n levgwn: kai; ga;r hJmei'" ajfive-
men (Lc 11, 4; cfr. Mt 6, 12). Esaminando la presenza del Padrenostro in Clemente, Brown,
124 ignora questo passo (come le allusioni segnalate infra, p. 544). Senza avvertire la di-
pendenza dal passo lucano, osserva: «This language recalls the doctrine of God’s prov-
noia» (p. 152).
1729 Severus, 1216 sottolinea la corrispondenza fra atteggiamento interiore e dispo-
sizioni esteriori dell’orante: «Wenn wir auch von Clemens von Alexandrien kaum Proben
wirklichen Betens erhalten, [...] so verdanken wir ihm doch einen wichtigen Hinweis auf
die Einheit inneren Betens und äußerer Gebetshaltung, der für die Gebetsgebärde charakte-
ristisch ist».
1730 Strom. VII, 7, 40, 1 (140, 1-142, 4): Tauvth/ kai; prosanateivnomen th;n kefalh;n
kai; ta;" cei'ra" eij" oujrano;n ai[romen touv" te povda" ejpegeivromen kata; th;n teleutaivan
th'" eujch'" sunekfwvnhsin, ejpakolouqou'nte" th/' proqumiva/ tou' pneuvmato" eij" th;n nohth;n
oujsivan, kaiv, sunanafistavnein tw/' lovgw/ to; sw'ma th'" gh'" peirwvmenoi, metavrsion poih-
savmenoi th;n yuch;n ejpterwmevnhn tw/' povqw/ tw'n kreittovnwn, ejpi; ta; a{gia cwrei'n biazov-
meqa, tou' desmou' katamegalofronou'nte" tou' sarkikou'. Severus, 1216, mentre segnala
l’influsso platonico, nota anche la diversità da Origene: «Während Clemens hier von plato-
nischen Gedankengängen beeinflußt ist, finden sich die gleichen Anschauungen bei Ori-
genes ohne diese Bezugnahme». Quanto al gesto di sollevarsi sulla punta dei piedi, esso
tende a conferire carattere rituale alla preghiera, ma l’autore non aggiunge altri elementi
per meglio contestualizzarlo. Le motivazioni che spiegano l’atteggiamento dell’orante, im-
plicando il tema platonico del «volo dell’anima», suggeriscono un’analogia con Origene
soprattutto per CC VII, 44.
1731 Severus, 1217. L’accenno al «portare il segno (della croce)», inteso come ri-
nuncia al mondo, non sembra implicare la pratica del segno di croce nella preghiera.
La costruzione di un modello 541
prega verso l’oriente, rivolto al sole che sorge – inteso implicitamente co-
me simbolo della luce di Cristo che illumina il mondo – e mantenendo tale
orientamento verso il luogo della nascita della luce anche al tramonto1732.
Più che sulle modalità interiori od esteriori dell’atto orante, la rifles-
sione di Clemente privilegia il tema della preghiera silenziosa che – seb-
bene non sia affatto sconosciuto ad Origene e nemmeno a Tertulliano –
assume però in lui un rilievo speciale. Si tratta evidentemente della con-
seguenza più diretta della visuale clementina dell’orazione come oJmiliva,
«conversazione» con Dio. La giustificazione della preferenza per la pre-
ghiera silenziosa rispetto a quella orale nasce già, in chiave antropolo-
gica, dal riconoscimento della componente intellettuale nel processo sen-
soriale di audizione. Ma, a fortiori vale per Dio il fatto che egli, ancor
prima della voce, intenda i pensieri che essa manifesta; anzi, li conosce
senza che vi sia bisogno di alcuna loro manifestazione sensibile, essendo
«tutt’orecchio e tutt’occhio»1733. Perciò, anche se la nostra preghiera si
esprime con un mormorio o nel silenzio, è come se essa fosse interiormen-
te un «grido» di cui Dio è in ascolto senza posa1734. Anche su questo punto
è possibile misurare distinzioni e affinità tra Clemente e Origene: l’accen-
tuazione della preghiera silenziosa rimane indubbiamente caratteristica di
Clemente, ma l’associazione fra la preghiera silenziosa e il grido interiore
predispone di fatto lo schema di riferimento per l’elaborazione del tema
in Origene, dove il protagonista del grido diventa lo Spirito che prega nei
santi. Se è vero che anche in Clemente compare un cenno «pneumatologi-
co» a tale riguardo, esso sembra però risolversi unicamente in senso antro-
pologico-spirituale nella tensione «spirituale» (to; pneumatikovn) rivolta
ad esprimere la «voce intelligibile», in un atteggiamento di «conversione»
totale dell’intelletto a Dio1735. Nondimeno, altrove l’allusione a Rm 8, 26
––––––––––––––––––
1732 Strom. VII, 7, 43, 6 (150, 20-24): ∆Epei; de; geneqlivou hJmevra" eijkw;n hJ ajnatolh;
kajkei'qen to; fw'" au[xetai ejk skovtou" lavmyan to; prw'ton, ajlla; kai; toi'" ejn ajgnoiva/ ka-
lindoumevnoi" ajnevteilen gnwvsew" ajlhqeiva" hJmevra kata; lovgon tou' hJlivou, pro;" th;n eJw-
qinh;n ajnatolh;n aiJ eujcaiv. Wallraff 2001, 63-64 nota la diversità di Clemente rispetto a
Origene nel giustificare l’usanza: «Während Klemens bei seiner Deutung keinen spezifisch
christlichen Aspekt zur Erklärung der Gebetsostung herausarbeitet, begegnet bei Origenes
wenig später zum ersten Mal der Versuch, sowohl Abgrenzung als auch Anknüpfung an
pagane Bräuche durch das Motiv der Überbietung zusammenzuführen» (cfr. anche supra,
pp. 175-176, note 537-538). La direzione verso est per la preghiera della sera è suggerita
dalla citazione di Sal 140(141), 2.
1733 Strom. VII, 7, 36, 5-37, 6.
1734 Strom. VII, 7, 39, 6 (140, 17-21): “Estin ou\n, wJ" eijpei'n tolmhrovteron, oJmiliva
pro;" to;n qeo;n hJ eujchv: ka]n yiqurivzonte" a[ra mhde; ta; ceivlh ajnoivgonte" meta; sigh'"
proslalw'men, e[ndoqen kekravgamen: pa'san ga;r th;n ejndiavqeton oJmilivan oJ qeo;" ajdia-
leivptw" ejpai?ei.
1735 Strom. VII, 7, 43, 5 (150, 16-19): “Exestin ou\n mhde; fwnh/' th;n eujch;n parapevm-
pein, sunteivnonta movnon e[ndoqen to; pneumatiko;n pa'n eij" fwnh;n th;n nohth;n kata; th;n
ajperivspaston pro;" to;n qeo;n ejpistrofhvn.
542 Parte seconda, Capitolo nono
parrebbe essere più diretta, come vedremo esaminando fra breve i riferi-
menti scritturistici della riflessione clementina.
Occorre infatti considerare ancora un risvolto centrale della visuale
di Clemente che l’accomuna senz’altro sia a Tertulliano sia anche ad Ori-
gene, ma sempre facendo salva l’individualità della sua impostazione pe-
culiare. È il motivo dell’efficacia della preghiera, contestata dalla critica
filosofica ed ereticale, che Clemente esemplifica nelle posizioni di Prodico
da lui combattute. Ora, la sua idea al riguardo si avvicina ad una forma di
automatismo, per cui lo gnostico, in forza della condizione virtuosa di cui
partecipa e dell’orazione spirituale che egli formula, è certo dell’esaudi-
mento da parte di Dio1736. Clemente è costretto qui a trovare una soluzione
di compromesso fra spinte contrastanti. Da un lato, infatti, il cristiano per-
fetto è preparato a non ricevere, se non a lasciare all’iniziativa della prov-
videnza divina la concessione dei beni di cui ha bisogno, o a non esprime-
re neppure la domanda; o tutt’al più la formula unicamente con il pensiero,
alla maniera di Anna, come Clemente aveva già indicato nel VI libro1737.
Dall’altro lato, senza sopprimere in tal modo la necessità della preghiera
di richiesta, Clemente incoraggia la domanda dello gnostico a beneficio di
altri. In ogni caso, anche sotto questo profilo egli manifesta le conseguen-
ze a vasto raggio risultanti dalla sua nozione della preghiera come oJmiliva.
Non v’è in sostanza necessità di domandare, dove si è in relazione co-
stante con Dio: la purezza della condizione spirituale dello gnostico è già
di per sé una garanzia sufficiente perché la sua richiesta sia accolta e del
resto ciò che gli giova, lo riceverà all’istante1738. Clemente non può pe-
raltro evitare l’obiezione che anche i peccatori ottengono a volte ascolto
presso Dio, ma egli risponde che ciò avviene raramente e mira a fare sì che
altri ricevano aiuto. In questi casi, comunque, il dono non è da commisu-
rare alla persona dell’orante bensì al disegno provvidenziale di Dio1739,
––––––––––––––––––
1736 Strom. VII, 7, 41, 4 (146, 14-15): ”Wsper ga;r pa'n o} bouvletai, duvnatai oJ qeov",
ou{tw" pa'n o} a]n aijthvsh/, oJ gnwstiko;" lambavnei.
1737 Per Le Boulluec, «la prière parfaite, du gnostique, est celle qui se fait non plus
par demande, mais en pensée (Strom. VI 12, 101, 3), par le moyen de l’amour qui appa-
rente à Dieu (cfr. Strom. VI 12, 102, 1); 9, 77, 2 s.)» (p. 146, nota 1). Cfr. Strom. VI, 12,
101, 4 (262, 11-14): Aujtivka th/' “Annh/ ejnnohqeivsh/ movnon tou' paido;" ejdovqh suvllhyi" tou'
Samouhvl. Ai[thsai, fhsi;n hJ grafhv, kai; poihvsw: ejnnovhqhti kai; dwvsw (l’editore rinvia a
1Re 12, 24d LXX o Mt 7, 7).
1738 Strom. VII , 12, 73, 1 (228, 1-8): ÔO me;n ou\n gnwstiko;" di∆ uJperbolh;n oJsiovth-
to" aijtouvmeno" ma'llon ajpotucei'n e{toimo" h] mh; aijtouvmeno" tucei'n. Eujch; ga;r aujtw/' oJ
bivo" a{pa" kai; oJmiliva pro;" qeovn, ka]n kaqaro;" h\/ aJmarthmavtwn, pavntw" ou| bouvletai
teuvxetai. Levgei ga;r oJ qeo;" tw/' dikaivw:/ Ai[thsai, kai; dwvsw soiv: ejnnohvqhti, kai; poihvsw.
∆Ea;n me;n ou\n sumfevronta h\/, paracrh'ma lhvyetai: ajsuvmfora oujdevpote aijthvsetai, dio;
oujde; lhvyetai. Ou{tw" e[stai o} bouvletai. Il riferimento a Mt 7, 7 è sussunto qui nell’agra-
phon 14 Resch.
1739 Strom. VII, 12, 73, 3-4 (228, 9-14): Ka[n ti" hJmi'n levgh/ ejpitugcavnein tina;" tw'n
aJmartwlw'n kata; ta;" aijthvsei", spanivw" me;n tou'to dia; th;n tou' qeou' dikaivan ajgaqovth-
La costruzione di un modello 543
mentre per Clemente rimane decisivo il principio dell’orante «degno» di
ricevere come prerequisito e fattore determinante l’esaudimento, anche
senza che egli richieda1740.
A conclusione della nostra analisi non si può fare a meno di rilevare
anche nel caso di Clemente la compattezza della sua dottrina sulla pre-
ghiera, espressione di un pensiero «forte», quantunque diversamente orien-
tato rispetto non solo prevedibilmente a Tertulliano ma pure al suo stesso
«discepolo» Origene. Pur avendo di mira un orante «degno» o «santo» –
com’è tendenzialmente anche nell’impostazione del trattato di Origene –,
Clemente perviene a risultati sensibilmente diversi. O almeno si dovrà ri-
conoscere che la nota dominante è un’altra: in Clemente prevale infatti
l’accento ottimistico sulla possibilità della preghiera, sulla sua effettiva
attuazione nell’oratio continua come prassi di vita, sulla sua ineludibile
efficacia. Nella riflessione di Clemente insomma manca del tutto il regi-
stro problematico e drammatico1741, o meglio ancora quella «meravigliosa
forza dei sentimenti» che secondo Völker contraddistingue la riflessione
di Origene, al punto che è ragionevole pensare che questi abbia consape-
volmente rivisitato l’argomento differenziandosi dal suo predecessore1742.
Sarebbe però riduttivo considerare il pensiero di Clemente come «viziato»
dalle contaminazioni filosofiche, del resto perseguite appositamente dal-
l’autore in ragione delle proprie finalità apologetiche. Non solo occorre
riconoscere lo sforzo di modulare in chiave cristiana i temi ripresi dalla
tradizione filosofica, ma l’ideale di perfezione tracciato da Clemente trova
un suo radicamento nella cornice ecclesiale e all’occorrenza rivela anche
le sue fondazioni scritturistiche1743. A conferma della fondamentale «ispi-

––––––––––––––––––
ta, divdotai de; toi'" kai; a[llou" eujergetei'n dunamevnoi". ”Oqen ouj dia; to;n aijthvsanta hJ
dovsi" givnetai, ajll∆ hJ oijkonomiva tou' sw/vzesqai di∆ aujtou' mevllonta proorwmevnh dikaivan
pavlin poiei'tai th;n dwreavn.
1740 Strom. VII , 12, 73, 4 (228, 15-16): Toi'" d∆ o{soi a[xioi ta; o[ntw" ajgaqa; kai; mh;
aijtoumevnoi" divdotai.
1741 Völker 1952, 421 nota una tendenza ad assimilare lo gnostico al saggio stoico,
laddove Origene è più fedele alla Bibbia: «Origenes lenkt hier entschlossen zu biblischen
Vorstellungen zurück. Er ist davon fest überzeugt, daß alles innere Wachsen stets durch
die Versuchung bedroht ist, die sich ebenfalls steigert, er verlangt vom Vollkommenen
eine ständige Bußstimmung».
1742 Questa conclusione è puntualmente argomentata da Le Boulluec 2003. Völker
1952, 411, ritiene che la dottrina di Clemente «in manchen Zügen origenistische Anschau-
ungen vorwegnimmt, wenn sie auch dessen inneren Reichtum, Glut und Innigkeit bei wei-
tem nicht erreicht und, verglichen mit dessen wunderbarer Gefühlsstärke, fast kalt und
trocken wirkt».
1743 Secondo Jay, 34, «in spite of the tendency towards an intellectual mysticism in
Clement’s doctrine of prayer, he still regards it, for a great part of the time, as does the
“average” Christian, as the converse of the soul with God, expressing its wonder at God’s
greatness in praise, its gratitude for God's goodness in thanksgiving, its sense of unworthi-
544 Parte seconda, Capitolo nono
razione» biblica rivendicata all’inizio del VII libro, Clemente non ha na-
scosto alcune tracce significative al riguardo, configurando anch’egli un
dossier di citazioni in parte conforme al discorso protocristiano sulla pre-
ghiera. Così anche Clemente cita l’affermazione sull’onniscienza divina
dalla storia di Susanna (Sus 42 = Dn 13, 42), che figura tra i testimonia
degli avversari della preghiera in Orat V, 21744. Paradossalmente Clemente
si allinea in un certo senso sulle loro posizioni, poiché si serve del passo a
sostegno della preghiera silenziosa, senza bisogno di formulare la doman-
da a un Dio che è onnisciente. Al contrario, Origene collega strettamente
la prospettiva dell’onniscienza divina alla formulazione della preghiera di
domanda. Altro luogo veterotestamentario comune ai due alessandrini è
Sal 140(141), 2. L’unica citazione clementina, rispetto al suo uso intensivo
in Origene, interviene sorprendentemente non tanto a raffigurare l’orazio-
ne nell’immagine dell’«incenso», bensì a commento della preghiera rivolta
ad oriente, forse con un richiamo alla pratica della preghiera serale1745.
Più consistenti per numero risultano essere i riferimenti neotestamentari,
a cominciare dall’istruzione premessa al Padrenostro nel Vangelo di Mat-
teo: la messa in guardia di Mt 6, 7 dal «moltiplicare le parole» nell’ora-
zione deve ispirare anche per Clemente l’espressione verbale contenuta
da parte dell’orante come anche il suo ritegno in pubblico, secondo il pre-
cetto di Gesù in Mt 6, 5. Benché egli vi dedichi appena un cenno essen-
ziale, la preghiera vocale ha comunque il suo paradigma normativo nel
Padrenostro 1746. Tuttavia, è evidente che fra questi passi è soprattutto Mt
6, 8 a pesare nel quadro, perché concorre a sostenere l’idea dell’esaudi-
mento divino anche senza domanda1747. Non manca infine un’allusione
––––––––––––––––––
ness in confession, and its needs in petition». Tale giudizio è condiviso anche da Simonetti
1997, 85-86.
1744 Strom. VII, 7, 37, 5 (136, 15-17): Tivna kai; fwnh;n ajnamei'nai oJ kata; provqesin
to;n ejklekto;n kai; pro; th'" genevsew" tov <te> ejsovmenon wJ" h[dh uJpavrcon ejgnwkwv". Sul-
l’argomentazione in Orat V, 1, cfr. supra, nota 295.
1745 Strom. VII , 7, 43, 8 (supra, nota 1732). Per l’uso dell’immagine, a prescindere
dal passo biblico, cfr. Strom. VII, 6, 32, 5 (120, 18-20): bwmo;n de; ajlhqw'" a{gion th;n di-
kaivan yuch;n kai; to; ajp∆ aujth'" qumivama th;n oJsivan eujchvn; VII , 6, 34, 2 (supra, nota 1699).
1746 Strom. VII, 7, 49, 6 (168, 19-22): ∆Alla; th/' dia; stovmato" eujch/' ouj polulovgw/
crh'tai, para; tou' kurivou kai; a} crh; aijtei'sqai maqwvn. ∆En panti; toivnun tovpw/, oujk a[nti-
kru" de; oujde; ejmfanw'" toi'" polloi'" eu[xetai. Sull’interpretazione clementina del Padre-
nostro cfr. Walther, 1-4; Brown, 124-125, 153-159, le cui conclusioni peraltro sono inac-
cettabili. A suo giudizio Clemente non avrebbe menzionato il Padrenostro perché non
conforme al modello di preghiera elaborato in Strom. VII. Purtroppo, non solo sfuggono a
Brown i riferimenti evangelici, incluso il passo riportato sopra, ma egli sembra anche igno-
rare che la Preghiera del Signore poteva essere oggetto di un’interpretazione spirituale
compatibile con la visione clementina, come avverrà in Origene. Per un’allusione a Gv 17
si veda infra, nota 1757.
1747 Strom. VII, 7, 46, 1 (158, 3-4): pepeismevno" wJ" oJ ta; pavnta eijdw;" qeo;" o{ ti a]n
sumfevrh/ kai; oujk aijtouvmeno" toi`" ajgaqoi`" cwrhgei'.
La costruzione di un modello 545
alla «cameretta» di Mt 6, 6 unitamente a Rm 8, 26, luogo chiave della dot-
trina origeniana sulla preghiera: è un cenno troppo succinto per ricavarne
indicazioni più precise riguardo al ruolo dello Spirito, ma esso sembra
intervenire soprattutto a sostegno della preghiera silenziosa e della voce
interiore che essa manifesta1748. D’altra parte, il medesimo passo contiene
anche un richiamo a Is 58, 9, altro luogo sfruttato ripetutamente da Ori-
gene, in particolare per indicare l’immediato esaudimento della preghiera
del Figlio. Anche grazie a questo dossier scritturistico, quantunque assai
ridotto, Clemente mostra di inserirsi con il suo profilo inconfondibile nel
discorso protocristiano sulla preghiera.

4. Cipriano: la preghiera del Maestro nella comunione della chiesa

Il De dominica oratione di Cipriano è uno scritto affine per ambien-


tazione, tematiche e finalità al trattato di Tertulliano. Redatto dal vescovo
di Cartagine a circa mezzo secolo di distanza (verosimilmente fra 251 e
252), è anch’esso un’opera di natura catechetica e pastorale, che si pone
idealmente in continuità con il De oratione del suo predecessore, a tratti
riformulando alcuni dei suoi spunti principali 1749. Al pari di Tertulliano, an-
che Cipriano fornisce un commento del Padrenostro inquadrando l’oratio
dominica entro una riflessione di carattere più generale sulla preghiera.
Essa però, oltre ad essere meno circostanziata, manifesta delle caratteristi-
che distinte che sono da porre in relazione alla forte personalità dell’autore
e al suo ruolo nella storia del cristianesimo antico. Due motivi tendono,
in particolare, a marcare la visuale della preghiera in Cipriano, entrambi
strettamente dipendenti dalla sua esegesi del Padrenostro: in primo luogo,
la preghiera cristiana è da qualificare come oratio spiritalis in forza del
fatto che ci è stata insegnata dal Figlio; in secondo luogo, l’oratio domini-
ca è vista come espressione dell’appartenenza ecclesiale del fedele. Se il
primo tema può essere considerato uno sviluppo del pensiero di Tertullia-
no, il secondo è sicuramente una peculiarità del vescovo di Cartagine, im-
pegnato a promuovere l’unità della chiesa in una fase in cui era sottoposta
––––––––––––––––––
1748 Strom. VII, 7, 49, 7 (168, 24-27): ka]n ejn aujtw/' tw/' tamieivw/ th'" yuch'" ejnnohqh'/
movnon kai; ajlalhvtoi" stenagmoi'" ejpikalevshtai to;n patevra, o} de; ejggu;" kai; e[ti la-
lou'nto" pavrestin. Clemente cita Mt 6, 6 insieme a Gv 4, 23-24 in Strom. I, 6, 34, 1: «E
se tu preghi nella tua stanza, come ha insegnato il Signore, in adorazione di spirito, non ne
trarrai soltanto l’ordine della casa, ma anche l’ordine della tua anima» (tr. Pini, 48).
1749 Circa la data cfr. Severus, 1235, che segnala le analogie con il De catholicae
ecclesiae unitate, datato al 251. Quanto al profilo letterario, «è un commento al Pater di
genere omiletico, in connessione con la catechesi battesimale sulla preghiera» (Grossi,
83). Sul rapporto con il De orat. di Tertulliano si veda Schnurr, 60-64; Chapot, 106 ss.
Per maggiori approfondimenti e una bibliografia dettagliata cfr. Lombino, 173-192.
546 Parte seconda, Capitolo nono
a forti tensioni e lacerazioni, a seguito del conflitto sui lapsi1750. Peraltro,
l’implicazione della Mater Ecclesia nella recita del Pater, che emergeva
dall’esegesi di Tertulliano anche in rapporto con l’esperienza battesimale,
indicava già la direzione che Cipriano fa propria in maniera originale1751.
A sua volta l’assenza di preoccupazioni identitarie – diversamente da
Tertulliano e Clemente – avvicina Cipriano ad Origene, mostrandoci di
nuovo una delle molte combinazioni possibili, sia pure sotto profili assai
diversi, tra gli interpreti del discorso protocristiano sulla preghiera1752.
Cipriano si riallaccia a Tertulliano nel prospettare inizialmente l’esem-
plarità normativa del Padrenostro per l’orazione del cristiano. Anche il
vescovo di Cartagine accenna nel prologo (capp. 1-8) al rapporto fra rive-
lazione veterotestamentaria e messaggio evangelico onde argomentare la
superiorità dell’insegnamento di Gesù, ma senza riproporre la contrappo-
sizione tertullianea fra l’antico e il nuovo orchestrata mediante l’antitesi
carnalia – spiritalia1753. Gli preme soprattutto inculcare l’idea che il Fi-
glio è il maestro del nostro colloquio orante con il Padre, avendo Gesù
tracciato la sua forma paradigmatica nell’oratio dominica1754. Anche Ci-
priano comunque riconosce con il suo «maestro» la novità della preghiera
cristiana quale spiritalis oratio richiamandosi a Gv 4, 23, ma più di lui in-
siste sul motivo della «familiarità» con Dio Padre assicurata dalla pre-
ghiera insegnataci dal Figlio e come tale definita amica et familiaris ora-
tio 1755. Inoltre, se già Tertulliano suggeriva la partecipazione al dialogo
intratrinitario attraverso il Padrenostro, Cipriano approfondisce l’idea svi-
––––––––––––––––––
1750 L’originalità del De dominica oratione consiste per Grossi, 83, «nel considerare
il Pater all’interno della preghiera ecclesiale. Tale insistenza, sul carattere comunitario
della preghiera cristiana, è assente in Tertulliano. Alla preoccupazione di Tertulliano nel
precisare la peculiarità della religione cristiana, partendo dal culto che si esprime nella pre-
ghiera, prevale in Cipriano la preoccupazione comunitaria della preghiera cristiana». Per
un raffronto con Tertulliano, si veda Crouzel 1975, con le mie osservazioni in Perrone
1993, 358-368; Schleyer, Tertullian. De baptismo, De oratione, in part. 119-130.
1751 Cfr. supra, nota 1633.
1752 Solo la conclusione accenna brevemente all’alternativa con pagani e giudei
(De dom. or. 36).
1753 De dom. or. 1 (90, 6-8): «Multa et per prophetas servos suos dici Deus voluit et
audiri: sed quanto maiora sunt quae filius loquitur, quae Dei sermo, qui in prophetis fuit,
propria voce testatur».
1754 De dom. or. 3 (91, 29-30): «Oremus itaque, fratres dilectissimi, sicut magister
Deus docuit».
1755 De dom. or. 2 (90, 15-18): «Qui fecit vivere docuit et orare, benignitate ea scili-
cet qua et cetera dare et conferre dignatus est, ut dum prece et oratione quam filius docuit
apud patrem loquimur, facilius audiamur». L’impiego di Gv 4, 23 serve anche a precisare
meglio il significato della spiritalis oratio in rapporto allo Spirito; cfr. ibi (90, 22-26):
«Quae enim potest esse spiritalis oratio quam quae a Christo nobis data est, a quo nobis et
sanctus Spiritus missus est? Quae vera apud patrem precatio quam quae a filio, qui est ve-
ritas, de eius ore prolata est?».
La costruzione di un modello 547
scerando il motivo dell’identificazione dell’orante con il Figlio. Essendo
questi dentro il nostro cuore (pectus), è lui stesso a parlare attraverso la
nostra voce, anche assumendo su di sé la condizione dell’uomo peccatore
e intercedendo per noi come nostro «avvocato»1756. In tal modo Cipriano
fa proprio un riferimento scritturistico importante anche per Origene come
1Gv 2, 1-2, dando ugualmente risalto alla figura di Gesù come orante, che
invece era appena abbozzata sia in Tertulliano che in Clemente1757. Per il
vescovo di Cartagine Gesù è maestro di preghiera non solo a parole ma
anche nei fatti, offrendoci un modello di condotta tanto più vincolante per
noi che diversamente da lui siamo nella condizione di peccatori e in quan-
to tali siamo tenuti a pregare1758. Nel sottolineare l’importanza della pre-
ghiera di Gesù Cipriano osserva ancora che Cristo non s’è accontentato di
offrire il suo sangue per redimerci, ma ha voluto anche pregare per la no-
stra salvezza.
È significativo che il secondo motivo caratteristico del De dominica
oratione sia collegato al primo, fra l’altro, grazie proprio al paradigma di
Gesù orante, nel prosieguo di una riflessione suscitata dalla «preghiera
sacerdotale» in Gv 171759. L’oggetto della preghiera di Gesù al Padre è in-
fatti la domanda per l’unità tra i suoi fedeli ad imitazione dell’unione tra
lui e il Padre, laddove chi rompe la comunione ecclesiale va contro il desi-

––––––––––––––––––
1756 De dom. or. 3 (91, 30-35): «Amica et familiaris oratio est Deum de suo rogare,
ad aures eius ascendere Christi orationem. Agnoscat pater filii sui verba, cum precem fa-
cimus: qui habitat intus in pectore ipse sit et in voce, et cum ipsum habeamus apud patrem
advocatum pro peccatis nostris, quando peccatores pro delictis nostris petimus, advocati
nostri verba promamus». Cfr. anche Ep. 11, 5, 3 (62, 99–63, 104): «Habemus advocatum
et deprecatorem pro peccatis nostris Iesum Christum dominum et deum nostrum, si modo
nos in praeteritum peccasse paeniteat, et confitentes atque intellegentes delicta nostra qui-
bus nunc dominum offendimus, vel de cetero nos ambulare in viis eius et praecepta eius
metuere spondeamus». Sull’uso origeniano di 1Gv 2, 1 si veda supra, pp. 463-466.
1757 In Tertulliano emerge solo a conclusione (De orat. 29, 4 [274, 36-37]: «Quid
ergo amplius de officio orationis? Etiam ipse Dominus oravit»), mentre Clemente sfrutta
l’immagine di Gesù orante come esempio della preghiera dello gnostico alludendo a Gv 17
(Strom. VII , 7, 41, 7 [146, 22-27]: »H/ kai; oJ Kuvrio" hu[ceto, eujcaristw'n me;n ejf∆ oi|" ejte-
leivwsen th;n diakonivan, eujcovmeno" de; wJ" pleivstou" o{sou" ejn ejpignwvsei genevsqai, i{n∆
ejn toi'" sw/zomevnoi" dia; th'" swthriva" kat∆ ejpivgnwsin oJ qeo;" doxavzhtai kai; oJ movno" ajga-
qo;" kai; oJ movno" swth;r di∆ uiJou' ejx aijw'no" eij" aijw'na ejpiginwvskhtai).
1758 De dom. or. 29 (108, 536-538. 541-544): «Nec verbis tantum sed et factis Do-
minus orare nos docuit ipse orans frequenter et deprecans et quid nos facere oporteret
exempli sui contestatione demonstrans. [...] Quodsi ille orabat qui sine peccato erat,
quanto magis peccatores oportet orare».
1759 Da notare che Tertulliano si limita a citare Gv 17, 6 (De orat. 3, 1 [258, 3-259,
6, nel testo di Schleyer]: «Et quis enim filius non patris nomen est? Ego veni, inquit, in
nomine patris [Gv 5, 43], et rursus: Pater, glorifica nomen tuum [Gv 12, 28], et apertius:
Nomen tuum manifestavi hominibus [Gv 17, 6])», mentre Clemente vi allude soltanto
(supra, nota 1757). Per il suo impiego in Origene cfr. supra, pp. 475-488.
548 Parte seconda, Capitolo nono
derio di Gesù1760. Ma la dimensione comunitaria della preghiera cristiana
è iscritta fondamentalmente per Cipriano nel testo stesso dell’oratio domi-
nica. L’insegnamento di Gesù, «dottore della pace e maestro dell’unità»,
mira dunque a promuovere non una preghiera individuale e solitaria, bensì
un’orazione dal respiro comunitario, designata perciò, con l’incisività che
contraddistingue spesso le formulazioni del vescovo di Cartagine, come
publica et communis oratio1761. Per tale ragione Gesù ci chiama ad invo-
care «Padre nostro», anziché «Padre mio», e quando si domanda la remis-
sione dei debiti o di non essere indotti in tentazione e di essere liberati dal
male, non si prega solo per se stessi, bensì per tutti. Pertanto la preghiera
personale va sempre pensata come espressione del corpo ecclesiale, dal
momento che il singolo supplica Dio a nome di tutto il popolo, mentre il
popolo a sua volta costituisce un’unità; del resto, è sempre un’unità che si
basa su Cristo in quanto egli porta in sé l’intera umanità peccatrice1762. A
conferma dello spirito che contraddistingue l’oratio dominica, Cipriano
ritrova nell’Antico e nel Nuovo Testamento gli esempi di preghiere con-
cordi, espressioni di unità e pace e, in quanto tali, manifestazioni della
«preghiera spirituale» già nell’economia veterotestamentaria: da un lato, i
tre giovani nella fornace ardente (Dn 3, 51); dall’altro, la preghiera unani-
me della comunità primitiva (At 1, 14) – due paradigmi ben presenti alla
riflessione di Origene, anch’egli sensibile al tema della concordia orante
come condizione per l’efficacia della preghiera, che a sua volta considera
egualmente il cantico dei tre fanciulli una «preghiera spirituale»1763. In
––––––––––––––––––
1760 De dom. or. 30 (108, 555–109, 561): «Rogantis autem desiderium videte quod
fuerit. ut quomodo unum sunt pater et filius, sic et nos in ipsa unitate maneamus: ut hinc
quoque possit intellegi quantum delinquat qui unitatem scindit et pacem, cum pro hoc et
rogaverit Dominus volens scilicet plebem suam vivere, cum sciret ad regnum Dei discor-
diam non venire».
1761 De dom. or. 8 (93, 101-103): «Ante omnia pacis doctor atque unitatis magister
singillatim noluit et privatim precem fieri, ut quis cum precatur pro se tantum precetur».
Cfr. Ep. 11, 7, 3 (65, 137-141): «Unusquisque oret deum, non pro se tantum, sed pro om-
nibus fratribus, sicut dominus orare nos docuit, ubi non singulis privatam precem manda-
vit, sed oratione communi et concordi prece orantes pro omnibus iussit orare». Cuva se-
gnala il motivo della preghiera unanime anche in De cath. eccl. unit. 12, 25.
1762 De dom. or. 8 (93, 106-108): «Publica est nobis et communis oratio, et quando
oramus, non pro uno sed pro populo toto rogamus, quia totus populus unum sumus. Deus
pacis et concordiae magister qui docuit unitatem, sic orare unum pro omnibus voluit, quo-
modo in uno omnes ipse portavit». Grossi, 94, nota 7 segnala il parallelo con Ep. 63, 13
(406, 227): «quia nos omnes portabat Christus qui et peccata nostra portabat».
1763 De dom. or. 8 (93, 111-113.115–94, 120): «Hanc orationis legem servaverunt
tres pueri in camino ignis inclusi consonantes in prece et spiritus consensiones concordes.
[...] Loquebantur quasi ex uno ore, et nondum illos Christus docuerat orare. Et idcirco
orantibus fuit impetrabilis et efficax sermo, quia promerebatur Deum pacifica et simplex et
spiritalis oratio». Quanto al modello orante della comunità apostolica, ibi (94, 123-127):
«Perseverabant in oratione unanimes orationis suae et instantiam simul et concordiam de-
La costruzione di un modello 549
aggiunta, il vescovo di Cartagine commentando la quinta petizione sfrutta
nel medesimo senso il rinvio a due luoghi tradizionali come Mc 11, 25-26
e Mt 5, 23-24, che invitano entrambi a riconciliarsi con i fratelli prima di
pregare, ma facendo derivare più direttamente la pace e la concordia fra-
terna nella comunità ecclesiale dall’unità tra Padre, Figlio e Spirito in seno
alla Trinità: più ancora della preghiera in sé, la comunione pacifica della
chiesa è il «sacrificio più grande» offerto a Dio1764.
La ricchezza dei riferimenti vetero- e neotestamentari che accompa-
gnano la trattazione di Cipriano, con un corredo biblico paragonabile sep-
pure da lontano solo ad Origene, mette in evidenza un altro motivo che
egli ha ricavato dal De oratione di Tertulliano, sia pure modulandolo se-
condo la sua diversa sensibilità teologica e pastorale. È l’idea del Padreno-
stro come «compendio» della dottrina cristiana, che qualifica ulteriormen-
te la sua esemplarità per il fedele a partire dal retroterra scritturistico.
Non solo la Preghiera del Signore ricapitola in se stessa tutto ciò che è og-
getto delle richieste rivolte dai cristiani a Dio, ma essa riassume anche in
forma sintetica ed efficace gli insegnamenti del Verbo divino1765. Avanzan-
do ulteriormente nella direzione indicata dal suo predecessore, il vescovo
di Cartagine mette in evidenza l’aspetto didascalico che caratterizza l’in-
segnamento di Gesù. Rivolto ai dotti come agli indotti, esso mira a facili-
tare l’apprendimento dei precetti e la loro messa in pratica da parte di
tutti1766. La preoccupazione di natura catechetica ed ecclesiale torna qui a
farsi sentire con più forza, benché Cipriano non trascuri di segnalare anche
la profondità di significati racchiusi in una preghiera tanto essenziale, ac-
cennando all’esigenza di una comprensione spirituale del Padrenostro1767.
––––––––––––––––––
clarantes, quia Deus qui inhabitare facit unanimes in domo (Sal 68[69], 7) non admittit in
divinam et aeternam domum nisi apud quos est unanimis oratio». In Ep. 11, 3, 1-2 (60,
58-61) Cipriano si serve di Mt 18, 19 per unire il motivo della concordia orante a quello
dell’efficacia della preghiera: «Quod si duo unanimes tantum possunt, quid si unanimitas
apud omnes esset, quid si secundum pacem quam dominus nobis dedit universis fratribus
conveniret?».
1764 De dom. or. 23 (105, 445-449): «Sic nec sacrificium Deus recipit dissidentis et
ab altari revertentem prius fratri reconciliari iubet, ut pacificis precibus et Deus possit esse
pacatus. Sacrificium Deo maius est pax nostra et fraterna concordia et de unitate Patris et
Filii et Spiritus sancti plebs adunata.
1765 De dom. or. 28 (107, 513-515): «Quid mirum, fratres dilectissimi, si oratio
talis est quam Deus docuit, qui magisterio suo omnem precem nostram salutari sermone
breviavit?».
1766 De dom. or. 28 (107, 519-524): «Nam cum Dei sermo Dominus noster Iesus
Christus omnibus venerit et colligens doctos pariter et indoctos omni sexu atque aetati
praecepta salutis ediderit, praeceptorum suorum fecit grande compendium, ut in disciplina
caelesti discentium memoria non laboraret, sed quod esset simplici fidei necessarium ve-
lociter disceret».
1767 De dom. or. 9 (94, 128-132): «Qualia autem sunt, fratres dilectissimi, orationis
dominicae sacramenta, quam multa, quam magna, breviter in sermone collecta sed in
550 Parte seconda, Capitolo nono
L’impatto della dimensione ecclesiale sulla visione della preghiera
in Cipriano si avverte anche nella particolare inflessione alla quale egli
piega i suoi testi scritturistici. In questo senso, se non sorprende che il pa-
radigma veterotestamentario di Anna venga sfruttato per illustrare le mo-
dalità di un’orazione interiore «tacita e modesta», analogamente a quanto
avveniva in Clemente di Alessandria, è però significativo che la madre di
Samuele sia introdotta dal vescovo di Cartagine a titolo di «figura della
chiesa» (ecclesiae typus)1768. Anche l’istruzione che precede il testo del
Padrenostro in Matteo, luogo consueto di riflessioni per tutti gli autori
presi finora in esame, porta Cipriano ad applicare alla comunità cristiana
riunita in preghiera l’atteggiamento spirituale raccomandato dal passo
evangelico a un orante individuale1769. Allo stesso modo di colui che prega
nel segreto conformemente a Mt 6, 6, anche colui che lo fa nell’assem-
blea dei fratelli deve concentrarsi interiormente nella preghiera, sapendo
di essere alla presenza di Dio e assumendo un atteggiamento esteriore
controllato nei gesti e nella voce onde evitare ogni esibizionismo ed ecces-
so1770. D’altra parte, l’invito del sacerdote ad innalzare i cuori a Dio come
premessa alla preghiera ecclesiale concorre ad argomentare le modalità
dell’atto orante in generale, sottolineando l’esigenza dell’accordo fra la
voce e la mente di chi prega, in modo che i suoi pensieri siano rivolti uni-
camente a Dio1771. Applicando qui alla chiesa l’esegesi prosopologica di
––––––––––––––––––
virtute spiritaliter copiosa, ut nihil omnino praetermissum sit quod non in precibus atque
orationibus nostris caelestis doctrinae compendio comprehendatur?». Poirier sottolinea in
Cipriano la consapevolezza delle apparenti aporie del Pater.
1768 De dom. or. 5 (92, 61-66): «Quod Anna in primo Regnorum libro ecclesiae ty-
pum portans custodit et servat, quae Deum non clamosa petitione sed tacite et modeste
intra ipsas pectoris latebras precabatur. Loquebatur prece occulta sed manifesta fide, lo-
quebatur non voce sed corde, quia sic Dominum sciebat audire, et impetravit efficaciter
quod petit, quia fideliter postulavit». Sull’interpretazione clementina della figura di Anna
si veda supra, p. 542.
1769 De dom. or. 4 (91, 39-43): «Sit autem orantibus sermo et precatio cum disci-
plina quietem continens et pudorem, cogitemus nos sub conspectu Dei stare, placendum
est divinis oculis et habitu corporis et modo vocis. Nam ut impudentis est clamoribus stre-
pere, ita contra congruit verecundo modestis precibus orare».
1770 De dom. or. 4 (91, 52-57): «Et quando in unum cum fratribus convenimus et
sacrificia divina cum Dei sacerdote celebramus, verecundiae et disciplinae memores esse
debemus, non passim ventilare preces nostras inconditis vocibus nec petitionem commen-
dandam modeste Deo tumultuosa loquacitate iactare, quia Deus non vocis sed cordis audi-
tor est». Si noti la ripresa letterale di Tertulliano, De orat. 17, 3 (266, 6-9): «Sono etiam
vocis subiectos oportet, aut quantis arteriis opus est, si pro sono audiamur! Deus autem,
non vocis, sed cordis auditor est, sicut conspector». Tuttavia, come segnala Chapot, 110,
Cipriano argomenta diversamente, proponendo qui un ampio florilegio scritturistico.
1771 De dom. or. 31 (109, 562-565): «Quando autem stamus ad orationem, fratres
dilectissimi, invigilare et incumbere ad preces toto corde debemus. Cogitatio omnis carna-
lis et saecularis abscedat nec quicquam tunc animus quam id solum cogitet quod precatur».
Cfr. anche supra, nota 970.
La costruzione di un modello 551
Ct 5, 2 («Io dormo, ma il mio cuore veglia»), per cui essa è intenta a «ve-
gliare con il cuore, mentre dorme con gli occhi», Cipriano ne trae l’indica-
zione esemplare sulla vigilanza interiore che è sempre richiesta all’oran-
te1772. Pertanto il modello dell’orazione personale, tendenzialmente intima
e silenziosa, è trasferito senza problemi dal vescovo di Cartagine all’ora-
zione comunitaria e viceversa questa aiuta ad illuminare le sue manifesta-
zioni individuali. Egli lo ribadisce implicitamente nel commentare la para-
bola del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 10-14), che pregano insieme nel
tempio, riprendendo nuovamente quasi alla lettera Tertulliano1773.
Ma il richiamo al paradigma evangelico aiuta ad intravedere un altro
aspetto interessante della dottrina di Cipriano sulla preghiera. Infatti, la
preghiera umile e contrita del pubblicano lo spinge ad una considerazione
di portata più generale: se il pubblicano si riconosce colpevole, nessuno
di fatto è innocente1774. Così, la condizione dell’uomo in quanto peccato-
re davanti a Dio si presenta al vescovo di Cartagine come una ragione
fondamentale che giustifica la necessità di pregare, com’egli rileva in più
luoghi del suo scritto. Oltre a precisarla in relazione alla figura di Gesù
orante, come abbiamo visto in precedenza, egli l’approfondisce particolar-
mente nel commento al Padrenostro. Recitando quotidianamente l’oratio
dominica, il cristiano è istruito ogni giorno da Gesù a non presumere di
sé, confessando invece di peccare ogni giorno; perciò egli ha sempre bi-
sogno di richiedere a Dio il perdono delle proprie colpe e la sua santifica-
zione1775. Anche la domanda per non cadere nella tentazione ha lo scopo
––––––––––––––––––
1772 De dom. or. 31 (109, 580-585): «Hoc est ab hoste in totum non cavere, hoc est,
quando oras Deum, maiestatem Dei neglegentia orationis offendere, hoc est vigilare oculis
et corde dormire, cum debeat christianus et cum dormit oculis corde vigilare, sicut scriptum
est ex persona ecclesiae loquentis in Cantico Canticorum: Ego dormio et cor meum vigilat
(Ct 5, 2)».
1773 De dom. or. 6 (92, 73): «Adorans autem, fratres dilectissimi, nec illud ignoret,
quemadmodum in templo cum pharisaeo publicanus oraverit. Non allevatis in caelum im-
pudenter oculis nec manibus insolenter erectis, pectum suum pulsans et peccata intus inclu-
sa contestans divinae misericordiae implorabat auxilium». Origene ha approfondito l’ese-
gesi della parabola lucana soprattutto in CIo (cfr. supra, pp. 298-303). Cfr. Tertulliano,
De orat. 17, 1-2 (nota 1662).
1774 De dom. or. 6 (92, 77-81): «et cum sibi pharisaeus placeret, sanctificari hic
magis meruit qui sic rogavit, qui spem salutis non in fiducia innocentiae suae posuit, cum
innocens nemo sit, sed peccata confessus humiliter oravit, et exaudivit orantem qui humi-
libus ignoscit».
1775 De dom. or. 12 (96, 199-202): «Et hoc cotidie deprecamur. Opus est enim no-
bis cotidiana sanctificatio, ut qui cotidie delinquimus delicta nostra sanctificatione assidua
repurgemus»; 22 (104, 409): «Quam necessario autem, quam providenter et salubriter ad-
monemur quod peccatores sumus, qui pro peccatis rogare compellimur, ut dum indulgentia
de Deo petitur, conscientiae suae animus recordetur! Ne quis sibi quasi innocens placeat
et se extollendo plus pereat, instruitur et docetur peccare se cotidie, dum cotidie pro pec-
catis iubetur orare».
552 Parte seconda, Capitolo nono
di rammentare al fedele la sua debolezza costitutiva insieme al ricono-
scimento che l’aiuto decisivo nella prova può venirgli unicamente dalla
grazia divina1776. Con tali riflessioni Cipriano non solo coglie lucidamente
il contesto agonico dell’esistenza cristiana, che anche per Origene implica
il costante ricorso all’aiuto divino, ma apre inoltre la strada ad Agostino e
alla sua interpretazione del Padrenostro nell’ottica dell’uomo peccatore,
costantemente bisognoso di perdono.
Dalla consapevolezza circa la preghiera come necessità ineludibile
dell’uomo peccatore deriva un ulteriore aspetto significativo, che può es-
sere visto come sua conseguenza diretta: l’enfasi di Cipriano sulla quoti-
dianità e sulla continuità della preghiera. Quantunque neppure lui abbia
tematizzato la questione dell’oratio continua a partire da 1Ts 5, 17, in
pratica risponde alla stessa esigenza con il raccomandare la costanza e la
frequenza della preghiera. Mentre sottolinea più volte il fatto che il Pa-
drenostro è l’orazione quotidiana del fedele, sollecita a pregare in conti-
nuazione, notte e giorno, perché non cadiamo nel peccato e si compia la
nostra santificazione1777. Analogamente, bisogna pregare continuamente
per non essere esclusi dal regno dei cieli1778, come anche perché si compia
la volontà di Dio in cielo e in terra1779. La frequenza nella preghiera è in-
culcata anche per la notte con l’esempio di Gesù che la trascorre pregando
senza interruzione (Lc 6, 12) 1780. E quando Cipriano introduce l’esempio

––––––––––––––––––
1776 De dom. or. 26 (106, 491-500): «Quando autem rogamus ne in temptationem
veniamus, admonemur infirmitatis et imbecillitatis nostrae dum sic rogamus, ne quis se
insolenter extollat, ne quis sibi superbe atque arroganter aliquid adsumat, ne quis aut con-
fessionis aut passionis gloriam suam ducat [...] ut dum praecedit humilis et summissa con-
fessio et datur totum Deo quidquid suppliciter cum timore et honore Dei petitur ipsius
pietate praestetur». Anche De dom. or. 14 (98, 251-252) commentando la terza petizione
inculca l’idea che nessuno è in grado di fare la volontà di Dio senza il suo aiuto: «nemo
suis viribus fortis est sed Dei indulgentia et misericordia». Chapot, 112 mostra in propo-
sito la rielaborazione di un motivo di Tertulliano, de orat. 4, 2: «Ainsi la doctrine cypria-
nique de la grâce, sur laquelle Augustin s’est tant appuyé [...] s’est nourrie d’une distinc-
tion et d’une formule tertullianéennes».
1777 De dom. or. 12 (97, 210-215): «Haec sanctificatio ut in nobis permaneat ora-
mus, et quia Dominus et iudex noster sanato a se et vivificato comminatur iam non delin-
quere, ne quid ei deterius fiat, hanc continuis orationibus precem facimus, hoc diebus ac
noctibus postulamus ut sanctificatio et vivificatio quae de Dei gratia sumitur ipsius pro-
tectione servetur».
1778 De dom. or. 13 (97, 233-234): «Continua autem oratione et prece opus est, ne
excidamus de regno caelesti».
1779 De dom. or. 16 (100, 304-306): «Et idcirco cotidianis immo continuis oratio-
nibus hoc precamur et in caelo et in terra voluntatem circa nos Dei fieri».
1780 De dom. or. 29 (108, 542-544): «et si ille per totam noctem iugiter vigilans
continuis precibus orabat, quanto nos magis in frequentanda oratione debemus nocte vigi-
lare!». Cfr. anche Ep. 11, 5, 2 (62, 87-91): «Nam et apostoli orare diebus ac noctibus non
destiterunt, et dominus quoque ipse disciplinae magister et exempli nostri via frequenter
La costruzione di un modello 553
di Tobi, a sostegno della raccomandazione ad unire le preghiere alle opere,
evitando una sterilis oratio, lo descrive come intento perennemente a pre-
gare e ad operare1781. Sono quindi da considerare in tale prospettiva le in-
dicazioni fornite dal vescovo di Cartagine sui tempi di preghiera. La pras-
si delle tre ore tradizionali di terza, sesta e nona, ricondotta dapprima al
modello di Daniele e dei tre giovani oranti, è ormai giustificata tipologi-
camente, sulla linea tracciata da Tertulliano, come figura della Trinità1782.
Ma Cipriano nota subito che per i cristiani sono cresciuti «gli spazi e i sa-
cramenti della preghiera», per cui il fedele è ora chiamato a pregare anche
al mattino in ricordo della risurrezione di Cristo e così pure al tramon-
to, per domandare nuovamente la sua venuta in quanto «vero sole e vero
giorno». Proprio la fondazione cristologica che sostiene l’indicazione dei
tempi di preghiera, secondo la linea di tendenza che vediamo espressa si-
stematicamente nella Tradizione apostolica, conduce Cipriano a formulare
l’esigenza di una oratio continua:
«Se, dunque, nelle sante Scritture il giorno vero e il sole vero è Cristo, per i cri-
stiani non è esclusa nessun’ora per pregare Dio frequentemente e sempre. Perché
noi viviamo in Cristo, in Colui cioè che è il vero sole e il giorno vero, ci appli-
chiamo costantemente a pregare Dio durante tutto il giorno. Quando poi la legge
del tempo, per il suo vicendevole alternarsi fa seguire la notte al giorno, quelli che
pregano non temeranno alcun male dalle tenebre della notte, perché per i figli del-
la luce è giorno anche di notte. Mai infatti è senza luce chi ha nel cuore la vera
luce, e mai mancherà sole e luce a colui cui Cristo è sole e luce»1783.

––––––––––––––––––
et vigilanter oravit, sicut in evangelio legimus: exiit in montem orare et fuit pernoctans in
oratione dei (Lc 6, 12)».
1781 De dom. or. 33 (110, 603-605): «Cito orationes ad Deum ascendunt quas ad
Deum merita nostri operis imponunt. Sic et Raphael angelus Tobiae oranti semper et
semper operanti testis fuit».
1782 De dom. or. 34 (111, 633-636): «In orationibus vero celebrandis invenimus ob-
servasse cum Danihele tres pueros in fide fortes et in captivitate victores horam tertiam
sextam nonam, sacramento scilicet trinitatis quae in novissimis temporibus manifestari
habebat». Tuttavia, non solo la giustificazione trinitaria è più ampiamente sviluppata dal
vescovo di Cartagine, ma nell’argomentazione esegetica egli introduce anche la motiva-
zione cristologica dell’ora sesta e della nona, preludendo così allo sviluppo attestato dalla
Tradizione apostolica. In Trad. ap. 41 il nesso con la passione di Cristo offre la motiva-
zione per la preghiera all’ora terza, sesta e nona come anche al primo canto del gallo (cfr.
Jay, 41; Ruggiero).
1783 De dom. or. 35 (112, 671–113, 680): «Quodsi in scripturis sanctis sol verus et
dies verus est Christus, nulla hora excipitur christianis quominus frequenter ac semper
Deus debeat adorari, ut qui in Christo, hoc est in sole et in die vero, sumus instemus per
totum diem precibus et oremus: et quando mundi lege decurrens vicibus alternis nox revo-
luta succedit, nullum de nocturnis tenebris esse orantibus damnum potest, quia filiis lucis
et in noctibus dies est. Quando enim sine lumine est cui lumen in corde est? Aut quando
sol ei et dies non est cui sol et dies Christus est?».
554 Parte seconda, Capitolo nono
I cristiani, che sono perennemente nella luce di Cristo, non cessano
dunque di pregare neanche di notte1784. Questo costante atteggiamento
orante del cristiano è per il vescovo di Cartagine l’anticipazione sulla terra
della nostra futura condizione celeste, nella quale non cesseremo di pre-
gare e rendere grazia a Dio1785.
Senza essere affatto un “epigono” di Tertulliano, bensì sviluppando
un “controcanto” sempre intenso e creativo con il suo maestro, anche Ci-
priano arriva a disegnare un’idea forte della preghiera cristiana che occu-
pa un posto significativo nel discorso eucologico fra II e V secolo. La sua
visuale della preghiera come atto costitutivamente ecclesiale non è priva
di analogie anche con il pensiero di Origene, per il quale l’atto orante –
pure nelle sue manifestazioni più personali ed intime – è sempre un atto
di comunione dalla valenza sia cosmica che ecclesiale. Inoltre il vescovo
di Cartagine ha in comune con l’Alessandrino un ricco patrimonio di ri-
ferimenti scritturistici, a cominciare dai paradigmi veterotestamentari di
oranti. Non diversamente da Origene, anche Cipriano mostra con essi la
continuità della «preghiera spirituale» dall’Antico al Nuovo Testamento,
quantunque egli non ignori la novità apportata dal messaggio di Cristo. Un
altro punto di convergenza è dato dal motivo della preghiera concorde e,
come tale, destinata a trovare ascolto presso Dio. Anche la prospettiva di-
segnata da Cipriano per una preghiera che tende ormai ad essere un’oratio
continua, pur essendo più prossima a Tertulliano, si muove in una lun-
ghezza d’onda parallela alla concezione origeniana. Infine, l’acuta consa-
pevolezza che il vescovo di Cartagine manifesta riguardo alla condizione
peccatrice degli uomini e alla conseguente imprescindibilità della preghie-
ra fa emergere un’ulteriore affinità tra i due autori. Soprattutto, è proprio
l’insistenza pressoché esclusiva di Cipriano sull’orazione quale richiesta
dell’aiuto divino, a renderlo più vicino spiritualmente all’Alessandrino
che privilegia nettamente la preghiera come domanda.

5. Afraate: la forza della preghiera del cuore in accordo con le opere

I protagonisti del discorso cristiano sulla preghiera fra II e III secolo


si collocano tutti dentro un orizzonte culturale condiviso o, almeno in
parte, affine e intrecciano anche un dialogo fra loro, come mostrano ri-
spettivamente Origene con Clemente e Cipriano con Tertulliano. A prima
––––––––––––––––––
1784 De dom. or. 36 (113, 681-682): «Qui autem in Christo, hoc est in lumine, sem-
per sumus nec noctibus ab oratione cessemus».
1785 De dom. or. 36 (113, 692-697): «Per Dei indulgentiam recreati spiritaliter et
renati imitemur quod futuri sumus: habituri in regno sine interventu noctis solum diem,
sic nocte quasi in luce vigilemus; oraturi semper et acturi gratias Deo hic quoque orare et
gratias agere non desinamus».
La costruzione di un modello 555
vista ciò non sembrerebbe possibile nel caso del «saggio persiano» Afraate,
autore di area siro-mesopotamica che nella prima metà del IV secolo dà
voce ad una distinta tradizione religiosa rispecchiando il profilo originale
del cristianesimo siriaco. In realtà, un’analisi della IV Dimostrazione di
Afraate – che ha per argomento la preghiera – fornisce interessanti termini
di confronto per la nostra problematica. Anziché essere una voce disso-
nante ed estranea agli sviluppi in ambiente greco-romano, anche lo scrit-
tore siriaco rivela interessi e sensibilità che si possono accostare a quelli
degli interpreti cristiani greci e latini. La comunanza di idee non è data
soltanto dalla sostanza eminentemente biblica della riflessione di Afraate,
ma anche dai motivi più significativi che egli enuclea a partire da essa.
Questi dimostrano come fosse consapevole degli interrogativi suscitati
dall’esperienza orante dei fedeli e delle risposte che teologi e pastori si
sforzavano di dare. Benché le sue preoccupazioni siano soprattutto di
carattere pratico più che teologico, Afraate propone una catechesi biblica,
la quale passa in rassegna l’Antico Testamento alla luce dei suoi perso-
naggi principali considerando in pratica la storia salvifica sub specie ora-
tionis. Solo in un secondo tempo l’autore lascia intravedere le circostanze
che lo spingono a fornire un’istruzione sulla preghiera agli asceti destina-
tari della sua opera: egli vuole caratterizzare l’orazione come esperienza
personale ed interiore per contrastare le tendenze “giudaizzanti”, combat-
tute anche in altri luoghi delle Dimostrazioni, le quali portano invece ad
enfatizzare le dimensioni esteriori, collettive e rituali della preghiera.
Il motivo iniziale della IV Dimostrazione, databile al 336-337, annun-
cia il suo tema di fondo: la forza dell’orazione, qualora si dia nella forma
di «preghiera pura», com’è avvenuto con «i nostri Padri giusti e antichi»
(abhâhain kinê qadhmâyê)1786. L’amplissimo ricorso alla fonte scritturi-
stica, in particolare l’Antico Testamento, si spiega anche in rapporto alle
finalità polemiche. Afraate si sforza infatti di appropriarsi dell’auctoritas
condivisa dagli avversari per corroborare il modello di preghiera spirituale
ed interiore che gli preme promuovere. Anche se non adopera il termine
«spirituale» per indicarla (né accenna inoltre al ruolo dello Spirito) 1787, è

––––––––––––––––––
1786 Circa la datazione e l’ambientanzione si veda Brock, 2-4. Il testo siriaco, a cura
di Parisot, si trova in Patrologia Syriaca, I, Paris 1894, 137-182. La traduzione italiana è
tratta da Pericoli Ridolfini (cfr. inoltre Pierre). Per un ritratto del «saggio persiano» nella
storia della spiritualità si veda Hausherr; sul motivo dell’oratio continua, Hausherr 1966,
262-266.
1787 Sulle concezioni pneumatologiche di Afraate cfr. Kofsky-Ruzer, 358-359, se-
condo cui «it can be plausibly argued that while Aphrahat envisioned the Holy Spirit, like
the Logos, as derived from the essence of the Father, yet unlike the Logos, the Spirit was
perceived by him as a particle of the Godhead diffused among many, possibly indicating
the subordinated status of the Spirit in relation to the Christ-Logos». In questo senso gli
asceti destinatari delle Dimostrazioni partecipano continuamente dello Spirito che dimora
556 Parte seconda, Capitolo nono
evidente che mediante la categoria di «preghiera pura» (sluthâ dhkithâ)
elabora anch’egli un modello normativo, rispetto ad una prassi ritenuta
problematica e bisognosa di orientamento. Afraate lo chiarisce in rapporto
all’alternativa fra orazione esteriore ed interiore o, più precisamente, fra
orazione vocale e silenziosa, laddove la «purezza del cuore» (dakhiuthâ
lebbâ) diventa un elemento discriminante per qualificare l’autenticità di
una preghiera fatta nell’intimo1788. Nel segno di tale spiritualizzazione, la
«preghiera pura» diventa per il cristiano l’equivalente del «sacrificio»,
anzi il sacrificio gradito a Dio per eccellenza. L’offerta bene accetta deter-
mina nel contempo la sua efficacia, assicurata dalla risposta divina alla
richiesta del fedele. Questo insieme di riflessioni manifesta subito come
Afraate si avvicini alle formulazioni degli autori esaminati in precedenza
per i quali – come abbiamo osservato specialmente in Tertulliano e Cle-
mente, ma anche in Origene – l’orazione sostituisce ormai il regime dei
sacrifici. D’altra parte Afraate argomenta la stessa tesi in maniera piutto-
sto originale, adducendo un’ampia elaborazione esegetica ispirata dal ri-
ferimento ai «Padri giusti e antichi».
L’encomio tracciato a conclusione del prologo ( IV, 1) per illustrare
la forza della preghiera pura anticipa globalmente i riferimenti scritturi-
stici all’Antico Testamento che Afraate introdurrà di seguito (IV, 2-9).
Egli accenna invero anche ad altri luoghi veterotestamentari sui quali poi
non si sofferma, ma fin d’ora esemplifica il suo modo di procedere. Più di
quanto abbiamo constatato negli altri interpreti – in particolare, Origene e
Cipriano –, Afraate trae spunto da una «paradigmatica biblica» che riepi-
loga le vicende della storia sacra in alcuni protagonisti esemplari, facen-
doli interloquire con l’argomento trattato. Il catalogo degli oranti veterote-
stamentari è ben più ricco nel «saggio persiano», dal momento che già in
prima battuta include le figure di Abele, Noè, Sara, Anna, Mosè, Giosuè,
Elia, Daniele, i Tre Giovani, Giona1789; ma nel prosieguo esso si arricchi-
––––––––––––––––––
in loro (pp. 374-375). Citando 1Cor 3, 16 (infra, nota 1798), Afraate dà rilievo al motivo
del «tempio di Dio» nel fedele attraverso Cristo, senza fare menzione dello Spirito.
1788 Dim. IV, 1 (137, 1-4): «La purezza di cuore è preghiera più valida di tutte le
preghiere che vengono fatte a voce alta, e il silenzio (shethkâ), quando è unito ad una
mente (re‘yânâ) pura, vale più della voce alta quando uno declama» (p. 99).
1789 Dim. IV , 1 (137, 9-17): «Con la preghiera infatti vengono accolte le offerte (qur-
bânê); ed essa poi fa ritrarre il diluvio, ed essa cura la sterilità, ed essa distrugge gli eserciti,
ed essa svela i misteri, ed essa divide il mare ed essa apre il Giordano e trattiene il sole e fa
fermare la luna; ed essa distrugge gli impuri e fa discendere il fuoco, ed essa trattiene i cie-
li, ed essa fa salire dalla fossa e fa uscire dal fuoco e salva dal mare». Brock, 26-27 segnala
la predilezione di Afraate per queste liste di esempi biblici e individua i seguenti riferimen-
ti, non senza qualche incertezza: «Gen 4:4 (Abel), 8:20-22 (Noah), 1Sam 1-2 (Hannah; or
Gen 18, Sarah), Josh 12, Ex 3:2 (or Dan 8:16), Ex 14, Josh 4, 10:12, Lev 10:2 or Num 16:
35, 1 Kgs 18:38 (or 2 Kgs 1:10), 1 Kgs 17:1, Dan 6, Dan 3 and Jon 2». Per altre esemplifi-
cazioni scritturistiche in forma di catalogo si veda Dim. I, 14-16; V, 2-3; IX, 3, 8-9; XIV, 10.
La costruzione di un modello 557
sce di altri protagonisti della storia biblica della preghiera. Colpisce nella
trattazione di Afraate non solo il numero degli esempi ma anche il caratte-
re diseguale dell’attenzione riservata agli oranti veterotestamentari. Così,
due protagonisti maggiori come Abramo (IV, 4) e Mosè (IV, 7), evidente-
mente perché più noti e consueti, vengono presentati in forma più sbriga-
tiva, mentre l’esposizione si focalizza su Abele (IV, 2), Giacobbe (IV, 5-6)
e Giosuè (IV , 7). Questi diversi livelli di approfondimento non vanno però
sopravvalutati, anche perché Afraate, a proposito della preghiera di Mosè,
dichiara che essa ha una «forza senza limite» ed è, «a narrarsi, più di quel-
la di Giacobbe», facendo suo di fatto il privilegio riconosciuto tradizional-
mente al profeta1790.
Non possiamo qui approfondire l’esegesi sviluppata da Afraate, che
si rifà anche a fonti extracanoniche e materiali midrashici, se non ad inter-
pretazioni peculiari dell’ambiente siriaco sfruttando largamente l’approc-
cio tipologico1791. Ci interessa invece mettere in luce i principi ordinatori
della rassegna paradigmatica che sono, da un lato, l’idea della «preghiera
pura» e, dall’altro lato, il riconoscimento che i sacrifici veterotestamentari
sono accolti da Dio proprio in forza di una preghiera siffatta. Cominciando
quindi dal primo esempio della serie, Afraate dichiara che «per la purezza
del cuore (dakhyuth lebbeh) di Abele la sua offerta fu accetta davanti a
Dio e quella di Caino fu respinta»1792. Precisando inoltre che proprio la
«purezza del cuore [...] fu la sua preghiera», egli sembra perfino prendere
le distanze da una formulazione espressa della domanda in nome di una
piena interiorizzazione della prassi orante1793. Tuttavia, Afraate – che
spesso si lascia attirare da excursus tematici – nel seguito tende a mettere
da parte i due criteri e ad imperniare tutto il ragionamento sul terzo, che
ne è il corollario principale: l’efficacia della preghiera in quanto tale, sot-
tintendendo ovviamente che si tratti sempre di «preghiera pura» e, come
apparirà fra breve, in linea di principio silenziosa. Sotto questo profilo il
––––––––––––––––––
1790 Dim. IV, 7 (149, 25-152, 13): «Che cosa poi diremo della preghiera di Mosè
che non ha limite (lait lâh sakhâ)? La sua preghiera infatti lo liberò dalle mani del Fa-
raone, e gli mostrò l’abitazione del suo Dio; e con la sua preghiera fece venire dieci pia-
ghe al Faraone. Ed essa poi, la sua preghiera, divise il mare e rese dolci le acque amare e
fece discendere la manna e fece salire la quaglia e ruppe la pietra e fece fluire le acque e
vinse Amalec e dette forza a Giosuè e mise sossopra Hog e Sehon nella mischia e fece
scendere i cattivi nello Sheol e distornò l’ira del suo Dio dal suo popolo e fece a pezzi il
vitello del peccato e portò giù le tavole dal monte e rese splendente il suo aspetto; e la sua
preghiera è, a narrarsi, più di quella di Giacobbe» (p. 103).
1791 Si veda, ad esempio, Tripaldi-Stori.
1792 Dim. IV, 2 (p. 99). Basandosi su una tradizione extrabiblica, egli dichiara che il
fuoco disceso dal cielo a consumare il sacrificio è la conferma del gradimento divino. In
IV, 3 offre la prova scritturistica passando in rassegna le manifestazioni del fuoco divino
in relazione ai sacrifici. In proposito, cfr. Brock, 3, 27 nota 3.
1793 Dim. IV, 2 (p. 100).
558 Parte seconda, Capitolo nono
suo uso dei paradigmi degli oranti veterotestamentari non è molto dissi-
mile da quello che ne fa Origene nel trattato. Ma l’Alessandrino, per cor-
roborare l’esistenza di preghiere spirituali nell’Antico Testamento, non
s’accontenta di annettere valore alla lettera del testo biblico ed applica
pertanto la sua ermeneutica pneumatica come quella realmente persua-
siva, laddove Afraate non mostra alcuna preoccupazione in questo senso.
Perseguendo la sua linea argomentativa, tutt’al più si lascia andare ad an-
notazioni slegate dal contesto immediato quali la preghiera in silenzio di
Anna1794, o la mediazione di Gabriele che offre a Dio la preghiera di
Giona dalle profondità del mare 1795, o ancora la metamorfosi dei leoni in
oranti ad imitazione di Daniele 1796. Questo accattivante spunto esegetico
di natura midrashica permette se non altro di constatare che le riflessioni
di Tertulliano sulla preghiera degli animali non rimangono un fatto iso-
lato nella letteratura patristica. Il Leitmotiv della «potenza» insita nella
preghiera trova quindi una sanzione conclusiva nell’affermazione che
essa è l’«armatura» (zainâ) alla quale i Padri sono ricorsi nel momento
della tribolazione1797.
Il motivo iniziale, passato apparentemente in secondo piano nella pre-
sentazione degli esempi veterotestamentari, torna a guidare l’esposizione,
allorché Afraate trapassa al modello della preghiera insegnata dal Salva-
tore. Anche l’autore siriaco si richiama all’istruzione introduttiva al Pa-
drenostro, in particolare a Mt 6, 6 con il precetto a pregare in segreto. Ciò
equivale per lui ad inculcare la preghiera del cuore, nella forma della pre-
ghiera silenziosa (la porta da chiudere venendo a significare la bocca),
come quella che più si confà al cristiano in quanto tempio di Cristo1798.
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1794 Dim. IV, 8 (152, 19-20): «Andiamo ora alla preghiera che in silenzio (sluthâ
dh-shethqâ) pregò Anna, madre di Samuele» (p. 104).
1795 Dim. IV, 8 (153, 16-23): «E Giona pure pregò davanti a Dio dalle profondità
del mare e fu ascoltato e fu esaudito e (ne) uscì incolume. Infatti la sua preghiera perforò
gli abissi e superò i flutti e prevalse sulle tempeste e perforò la nube e volò nell’aere ed
aprì il cielo e si avvicinò davanti al trono della Maestà (divina), per mezzo di Gabriele che
offre la preghiera (mekarreb slawâthâ) davanti a Dio» (p. 104).
1796 Dim. IV, 9 (156, 10-12): «E quando Daniele si alzò nella fossa per pregare,
distesero le loro mani al cielo (pshat idhayhon la-shmâyâ), anche essi a somiglianza di
Daniele».
1797 Dim. IV, 9 (157, 6-9): «E ciascuno dei nostri Padri giusti quando avevano il
momento della tribolazione prendevano su di loro l’arma della preghiera e con essa erano
liberati dalla tribolazione» (p. 105). Circa la preghiera di tutte le creature in Tertulliano,
cfr. supra, nota 1678.
1798 Dim. IV, 10 (157, 19-26): «Prega infatti in segreto (cioè) nel tuo cuore, e chiudi
la porta (Mt 6, 6). E che cos’è la porta che ha detto di chiudere se non la tua bocca che è
proprio il tempio in cui abita Cristo, come disse l’Apostolo: Voi siete il tempio di Lui, del
Signore (1Cor 3, 16) che entra nell’uomo interiore, in questa casa, e la purifica da ogni
cosa che è immonda quando è chiusa la porta che è la tua bocca». Brock, XXVI segnala
l’affinità di Afraate ed Efrem (De fide XX, 6) con Origene (Orat XX, 2) e Ambrogio (De
La costruzione di un modello 559
Che si tratti di pregare nel proprio cuore è evidente dal seguito dell’ar-
gomentazione di Afraate, il quale ribadisce il significato del comando
evangelico con una considerazione paradossale: se esso fosse da prendere
alla lettera, come sarebbe possibile rispettarlo trovandosi in un campo o
su una montagna? Ma soprattutto è decisiva l’affermazione riguardo alla
presenza di Dio nel tempio dell’«uomo interiore», ricavata da Paolo ed ap-
poggiata ancora al testo evangelico con la citazione di Mt 6, 8, per cui il
Padre sa cosa ci è necessario prima ancora che noi lo chiediamo. L’idea
dell’onniscienza preveniente e provvidente di Dio nei confronti dei suoi
eletti è rafforzata dal rinvio a Is 65, 24 («Prima che mi invochino, io ri-
sponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati»), luogo
parallelo a Is 58, 9, frequentemente utilizzato da Origene per sostenere
l’immediatezza dell’ascolto divino, prevenendo la stessa domanda del-
l’orante come nel caso di Gesù1799.
Afraate poi rafforza la proposta della preghiera del cuore median-
te un’argomentazione originale a sostegno dell’orazione solitaria, ch’egli
trae da un passo a prima vista di segno contrario come Mt 18, 20. L’espres-
sione «due o tre riuniti nel nome di Cristo» non implica che i cristiani deb-
bano pregare in maniera pubblica e collettiva. Sarebbe assurdo pensare
che Cristo non sia presente in colui che prega individualmente. Non è il
numero a fare la bontà della preghiera, fossero anche mille riuniti nel suo
nome, bensì il fatto che egli dimora nel cuore del fedele. Ora, «quando uno
si raccoglie nel nome di Cristo, Cristo abita in lui, e Dio abita in Cristo:
dunque per sé quell’uomo è uno (costituito) da tre: la sua persona e Cristo
che abita in lui, e Dio che (è) nel Cristo (qnomeh wa-mshîchâ dh-‘âmar
beh w-alâhâ dh-ba-mshîchâ)»1800. In tal modo Afraate, procedendo sem-
pre su base scritturistica, con un approccio del tutto alieno da considera-
zioni filosofiche ispirate al modello degli esercizi spirituali, presenta una
visuale dell’interiorità orante che condivide significativamente con Orige-
ne l’idea paolina e giovannea dell’inabitazione di Dio nell’animo. D’altra
parte, l’autore siriaco si premura di provare la correttezza della sua pecu-
liare esegesi di Mt 18, 20 mediante una serie di riscontri sui «Padri giu-
––––––––––––––––––
mysteriis VI, 12-13): «the location where the offering of prayer should be made is likewise
identified as the heart, on the basis of Matthew 6:6». L’Alessandrino peraltro non tema-
tizza l’aspetto del silenzio in Orat XX , 2.
1799 Dim. IV, 10 (160, 6-13): «E questo (è ciò) che dimostrò il nostro Redentore che
Dio (cioè) conosce la volontà del cuore e della mente (b-sebhyânâ dh-lebbâ wa-dh-ma-
chshavtâ), come ha scritto Nostro Signore: Il Padre vostro conosce, prima che lo chie-
diate, che cosa vi è necessario (Mt 6, 8). E nel profeta Isaia (sta) scritto: Prima che (mi)
invochino quelli che per me (sono) eletti, (io) li ascolto e prima che gridino io rispondo
loro (Is 65, 24)». Sull’impiego di Is 58, 9 in Origene si veda supra, pp. 446-448.
1800 Dim. IV, 11 (161, 13-17 [p. 106]). L’enfasi cristocentrica non sembra confer-
mare la tesi di Kofsky-Ruzer, 371: «This amounts to constituting a psychological trinity
of sorts, likewise devaluing the uniqueness of the divine presence in Christ».
560 Parte seconda, Capitolo nono
sti» dell’Antico Testamento che sfocia in una nuova catalogazione para-
digmatica del tipo che già conosciamo. L’elenco degli oranti solitari, che
sono stati esauditi da Dio in quanto egli dimorava in loro, si focalizza su
Mosè, Elia, Giona ed Eliseo. In particolare, la figura di Elia si prestava
bene al ragionamento di Afraate, che ricorda come la preghiera solitaria
del profeta si sia opposta con successo alle inefficaci invocazioni collet-
tive degli adoratori di Baal1801.
Solo a questo punto viene alla luce l’esigenza polemica che muove
l’istruzione di Afraate, benché egli accenni molto genericamente al con-
testo. Riallacciandosi a Mt 6, 6, egli riepiloga l’esposizione precedente e
tratteggia ancora una volta l’atto orante come l’atto, solitario ed interiore,
di colui che porta il «cuore in alto» e gli «occhi in basso»1802. Ora però
esso è visto anche in antitesi a quei fedeli «che moltiplicano le preghiere
e prolungano la supplica e si curvano e tendono le loro mani», mentre «le
opere della preghiera sono lontane da loro»1803. Il discorso trapassa così
alla denuncia di una pratica di preghiera tutta esteriore e autocontraddit-
toria, perché priva di conseguenze pratiche. L’incoerenza fra orazione e
vita è esemplificata dal fatto che questi oranti, al dire di Afraate, recitano
il Padrenostro senza assecondarlo concretamente, com’egli rileva in parti-
colare per la richiesta del perdono nella Preghiera del Signore. Solo con-
formandosi al precetto di Gesù in Mt 5, 23-24, è possibile presentare a
Dio la domanda di perdono. Anche Afraate dunque vincola l’atto della
preghiera, sottolineato fin qui nel suo aspetto interiore ed individuale, alla
riconciliazione fraterna, in quello stesso spirito che Origene ha descritto
con il termine ajmnhsikakiva. La convergenza ideale con la prospettiva
dell’Alessandrino è ribadita dal richiamo alla parabola del debitore impie-
toso (Mt 18, 23-35), ma Afraate accompagna nuovamente l’identica piat-
taforma scritturistica con uno sviluppo esegetico peculiare: la preghiera
di colui che prega senza aver prima perdonato rimane priva di seguito,
perché «colui che porta a Dio le preghiere (mekarreb slawâthâ)» non la
––––––––––––––––––
1801 Dim. IV, 12 (164, 6-20): «Anche Elia sul monte Carmelo era soltanto lui, e(ppu-
re) la sua preghiera mostrò forze mirabili; con la sua preghiera infatti furono trattenuti i
cieli (cfr. 1Re 17, 1) e con essa ancora, con la sua preghiera, furono sciolti i loro legami
(cfr. 1Re 18, 42-45); e la sua preghiera strappò dalle mani della morte e liberò dallo Sheol
(cfr. 1Re 17, 17-24); e la sua preghiera inoltre estirpò la contaminazione da Israele; e la sua
preghiera fece scendere il fuoco tre volte: una sull’altare (cfr. 1Re 18, 36-38) e due sui prin-
cipi (cfr. 2Re 1, 9-15) e il fuoco fece per lui vendetta quando discese per la sua preghiera:
ed (egli) si piegò sulle ginocchia e pregò e fu esaudito subito. E quattrocento cinquanta
(uomini) che gridavano con voce alta non furono ascoltati poiché invocavano nel nome di
Baal, invece Elia, pur essendo da solo, fu assai ascoltato (cfr. 1Re 18, 19-50)» (p. 107).
1802 Dim. IV, 13 (165, 7-11): «nel momento in cui preghi porta il tuo cuore in alto e
i tuoi occhi in basso (habh lebbâkh l‘el w-‘ainaik l-tacht) ed entra in te, dentro l’uomo in-
teriore e prega in segreto il Padre tuo che (è) nei cieli» (p. 108).
1803 Dim. IV, 13 (p. 108).
La costruzione di un modello 561
solleva da terra1804. Afraate riprende così il motivo dell’angelo Gabriele
quale intermediario degli oranti, che compare più volte nella IV Dimostra-
zione1805. Benché il ministero angelico agli oranti, riassunto qui nel ruo-
lo attribuito a Gabriele, non sia messo specificamente a tema da questo
scritto (anche perché l’autore se n’era occupato trattando del digiuno nella
III Dimostrazione), l’insistenza di Afraate al riguardo lascia nuovamente
intravedere una consonanza specialmente con Origene. Anche per l’Ales-
sandrino, infatti, la mediazione degli angeli, compartecipi della preghiera
dei fedeli, riveste un’importanza strutturale.
Grazie allo spunto polemico verso la preghiera priva delle opere,
Afraate giunge anche a toccare indirettamente il tema dell’oratio continua.
In ogni caso egli propone un rapporto fra preghiera e opere che sfocia po-
tenzialmente nella preghiera ininterrotta. Infatti, l’autenticità della pre-
ghiera si manifesta nelle azioni conformi a Dio, specialmente nelle opere
di misericordia. Ora, con Is 28, 12, il «sollievo» degli afflitti è per l’auto-
re siriaco il «riposo di Dio»; pertanto, le azioni compiute a beneficio di
afflitti, malati e poveri sono da computarsi alla stregua di preghiere1806.
Afraate arriva a dire che quando si tratta di compiere un’azione conforme
al volere di Dio, essa ha priorità sulla stessa preghiera. Anche in questo
caso l’argomentazione scritturistica tende a forzare gli esempi tratti dal-
l’Antico Testamento per poter corroborare l’equivalenza fra azione e pre-
ghiera. Peraltro Afraate richiama anche le parole di Gesù nel giudizio fi-
nale sull’aiuto ai bisognosi (Mt 25, 35-36) nell’intento di ribadire che le
necessità dei fratelli hanno la precedenza sull’osservanza della preghie-
ra 1807. Dopo aver criticato le manifestazioni esteriori di preghiera, in nome
dell’autenticità interiore dell’orante, il «saggio persiano» mostra così di
voler prendere le distanze anche dal ritualismo sempre in agguato nelle

––––––––––––––––––
1804 Dim. IV, 13 (168, 11-15): «Nella tua mente immaginati così: che la tua pre-
ghiera è lasciata davanti all’altare e (che) colui che porta (a Dio) le preghiere non vuole
sollevarla da terra poiché esamina la tua offerta se è inquinata o no: se è pura, la fa salire
davanti a Dio» (p. 108).
1805 Dim. IV, 13 (pp. 108-109). Cfr. anche IV , 8 (nota 1795). In III, 14 Afraate ri-
corda l’aiuto prestato da Gabriele a Daniele (anche con il concorso di Michele) e ad altri
personaggi biblici (come Zaccaria, padre di Giovanni Battista, e Maria), osservando che è
l’angelo che accoglie le preghiere, le porta a Dio e comunica agli oranti l’esaudimento
della loro richiesta.
1806 Dim. IV, 14 (169, 17-21): «Opera dunque il riposo di Dio (nyâchâ dh-alâhâ), o
uomo, e non sarà a te necessario (dire): Perdonami. Fa riposare gli afflitti, visita i malati e
sostenta i poveri: e questa è preghiera» (p. 109).
1807 Dim. IV, 15 (172, 18-25): «Se ti capita di andare per una strada lontana e ti ca-
pita di avere sete per il caldo e ti imbatti in uno dei fratelli e dici a lui: “Sollevami dal tor-
mento della sete”, ed egli ti dice: “È il momento della preghiera: pregherò e poi verrò da
te” e mentre prega e viene da te tu muori per la sete, che cosa ti sembra meglio: che egli
vada a pregare o che sollevi il tuo tormento?» (p. 110).
562 Parte seconda, Capitolo nono
espressioni più consuete della preghiera come sono i tempi dedicati ad
essa. Non è forse un caso che nel preannunciare una spiegazione circa
i «momenti della preghiera» (‘edhâneih da-sluthâ), Afraate si soffermi
piuttosto sui diversi modi di essa riformulando implicitamente l’elenco di
1Tm 2, 1.
Egli indica tre forme dell’orazione: 1. La «supplica» (ba‘ûthâ), che ha
per oggetto la richiesta del perdono per i peccati; 2. Il «ringraziamento»
(tawdîthâ) al Padre che è nei cieli per i benefici da lui donati; 3. La «lo-
de» (teshbuchtâ) a celebrazione delle opere di Dio1808. La tripartizione di
Afraate, pur diversa dallo schema paolino a quattro termini (1Tm 2, 1)
come anche dalla sua ripresa in Origene, è assai significativa nella sua
scansione interna. La preghiera di domanda, che s’identifica tacitamente
con il concetto di «preghiera pura», si focalizza adesso sulla richiesta del
perdono, mentre con il ringraziamento e la lode sembra innescarsi una
dinamica spirituale che tende a trascendere, per così dire, la dimensione
della domanda. È sicuramente eccessivo forzare in questo senso la rifles-
sione del «saggio persiano», ma avviandosi a concludere egli introduce
espressamente la nozione della preghiera come «colloquio con Dio», fa-
cendo propria in pratica la sua definizione di oJmiliva. Se a prima vista
l’esortazione a praticare una «preghiera che parli per te a Dio (sluthâ
dha-memallelâ chlâphaik ‘am alâhâ)» punta ancora ad inculcare l’idea
della «preghiera pura» come il sacrificio perfetto1809, in seguito Afraate,
dall’esegesi del testo di Is 1 che critica la condotta del popolo d’Israele e i
suoi sacrifici, ricava la conclusione che l’unico modo di parlare rettamen-
te con Dio è proprio la preghiera1810. Tuttavia, l’ultima parola di Afraate
sul nostro argomento nelle esortazioni conclusive insiste ancora sulla ne-
cessità di coltivare la preghiera di domanda: «ama la preghiera pura e sii
impegnato nella supplica (ba‘ûthâ)»1811. Non solo, egli raccomanda –
come aveva fatto Tertulliano – l’esemplarità fondativa del Padrenostro
––––––––––––––––––
1808 Dim. IV, 17 (176, 4-12): «C’è infatti la domanda e la confessione e la lode. La
domanda c’è quando uno chiede misericordia per i suoi peccati; la confessione quando tu
rendi grazie al Padre tuo che (è) nei cieli; e la lode quando tu lo glorifichi per le sue opere;
quando hai tribolazione offri la supplica; e quando sei provvisto dei suoi beni, rendi grazie
al donatore; e quando (è) gioiosa la tua mente offri la lode» (pp. 110-111). Dei quattro
termini di 1Tm 2, 1 troviamo qui l’equivalente solo per devhsi" (ba‘ûthâ) e eujcaristiva
(tawdîthâ). Afraate non menziona infatti tachnantâ (= e[nteuxi"), mentre si serve abitual-
mente di sluthâ (= proseuchv).
1809 Dim. IV, 18 (177, 7-13): «una preghiera pura è migliore di tutte le offerte. Im-
pegnati dunque, mio caro, in una preghiera che parli per te con Dio come (sta) scritto nel
profeta Isaia quando fece conoscere ai figli di Israele i loro peccati e li chiamò principi di
Sodoma» (p. 111).
1810 Dim. IV, 18 (180, 18-20): «E come parleranno gli uomini con Dio se non con la
preghiera quando in essa non c’è macchia?» (p. 112).
1811 Dim. IV, 19 (181, 18-19 [p. 113]).
La costruzione di un modello 563
per ogni preghiera del cristiano: «all’inizio di tutte le tue preghiere, pro-
nuncia la preghiera del tuo Signore (slûtheh d-mârâkh)»1812.
Anche il «saggio persiano» offre dunque un contributo prezioso al di-
scorso eucologico nel cristianesimo dei primi secoli, testimoniando altresì
numerosi punti di contatto con gli apporti forniti in precedenza dagli autori
greci e latini, incluso lo stesso Origene, nonostante la diversità dei rispet-
tivi contesti culturali. Dalla sua riflessione emerge di nuovo un’immagine
fortemente caratterizzata della preghiera cristiana che Afraate disegna –
non senza analogie con l’Alessandrino anche sotto questo profilo – a par-
tire da una rilettura orientata della Bibbia, in primo luogo dell’Antico Te-
stamento. Al centro di essa sta l’idea della «preghiera pura», sostituto dei
sacrifici dell’antica alleanza, intesa essenzialmente come preghiera indi-
viduale e silenziosa. Questo modello di orazione, però, non sfocia in una
prospettiva intimistica nemmeno nel caso di Afraate, ma egli l’elabora in
vista di assicurare alla preghiera quella forza interiore capace di sottrarla
al ritualismo esteriore e spiritualmente sterile. Ciò che gli importa è assi-
curare l’autenticità della preghiera facendo in modo che trovi la sua veri-
fica e conferma in una prassi di vita conforme ad essa. Soltanto unendo
orazione e vita, si può essere certi dell’esaudimento divino che viene in-
contro alle richieste del giusto e testimonia sempre l’efficacia di una pre-
ghiera genuina. Pur essendo imperniato sulla richiesta, il paradigma dise-
gnato da Afraate conosce altre modulazioni che indirizzano la preghiera
verso il ringraziamento e la lode, mentre la condotta di vita che s’ispira al
vangelo viene ad essere connotata essa stessa come preghiera. Non sfug-
gono anche qui le analogie con gli autori precedenti, che appaiono parti-
colarmente evidenti – per i risvolti pratici – con autori come Tertulliano e
Cipriano. A somiglianza di Tertulliano, che si è fatto «poeta» della pre-
ghiera, anche Afraate ha saputo adottare i toni dell’«encomio» a sostegno
della propria istruzione, tracciando con essi un compendio eloquente
delle qualità costitutive dell’orazione:
«La preghiera è bella e le sue opere sono belle. E la preghiera è accetta quando in
essa c’è il sollievo (degli altri); e la preghiera è esaudita quando in essa si trova il
perdono; e la preghiera (è) gradita quando è pura da ogni inganno e la preghiera
è potente quando la forza di Dio si compie in essa. E questo che ti scrivo, mio
caro, che cioè quando si fa la volontà di Dio ciò è preghiera, a me sembra bello;
e non astenerti [...] ma ancor più applicati alla preghiera e non ti dia noia ciò che
è scritto che disse nostro Signore: Pregate e non desistete (Lc 18, 1); e nella vigi-
lanza sii impegnato e allontana da te la sonnolenza e la pigrizia, e sii vigilante di
giorno e di notte e non lasciarti sopraffare»1813.

––––––––––––––––––
1812 Dim. IV, 19 (181, 19-21 [p. 113]). Cfr. Tertulliano, De orat. 10.
1813 Dim. IV, 16 (173, 14–176, 3 [p. 110]).
564 Parte seconda, Capitolo nono
6. Evagrio Pontico: la «preghiera pura» come vertice dell’itinerario mo-
nastico di perfezione

Insieme a Clemente Alessandrino, nel solco di quella medesima tradi-


zione teologica e spirituale di cui è anch’egli un protagonista di assoluto
rilievo, Evagrio Pontico offre sicuramente il termine di comparazione più
prossimo per la riflessione eucologica di Origene. Eppure questo confronto
è tutt’altro che facile, considerando sia lo scenario profondamente mutato
dell’Egitto di fine IV secolo, sia il profilo originale dell’autore e dei suoi
scritti, l’uno e gli altri con caratteristiche nettamente diverse dall’Alessan-
drino. Se con Afraate avvertivamo già l’incidenza dell’esperienza ascetico-
monastica nel discorso sulla preghiera, l’orizzonte degli scritti di Evagrio
è ormai disegnato dal fiorire del monachesimo, in primo luogo nella sua
espressione eremitica. Così i lettori potenziali sono in un certo senso i “pro-
fessionisti della preghiera” e mai come in Evagrio la pratica orante si col-
loca al centro della vita monastica e pertanto della riflessione di cui il mo-
naco di Kellia l’ha fatta oggetto1814. Del resto, egli conosceva per primo ciò
di cui ha scritto in numerose opere, mettendo a fuoco con geniale acutezza
le problematiche della condizione monastica. Come ci racconta Palladio
nella Storia Lausiaca, Evagrio era capace di una performance orante che
nel ricordo biografico del suo discepolo si avvicina al tratto agiografico:
allo stesso modo di Macario Alessandrino, uno dei maestri che lo hanno
più influenzato, anche Evagrio faceva ogni giorno «cento preghiere»1815.
È dunque a partire da questo contesto monastico, fatto per sua stessa natura
di osservanze disciplinate ed evidenziato anche dall’innovativo richiamo
alle tradizioni apoftegmatiche dei Padri del deserto come auctoritas asce-
tica e teologica, che bisogna comprendere il pensiero di Evagrio sull’ora-
zione, senza ridurlo alla prospettiva del «filosofo nel deserto», secondo la
pur assai suggestiva formulazione di Antoine Guillaumont1816. Benché es-
sa colga efficacemente una dimensione costitutiva del profilo spirituale di
Evagrio, presa isolatamente rischia di falsarne l’immagine contribuendo a
rafforzare l’impressione di un eccessivo “intellettualismo”.
Senza dubbio la dinamica della riflessione evagriana è contraddistinta
strutturalmente dal passaggio dalla prassi (praktikhv) alla gnosi (gnw'si"),
––––––––––––––––––
1814 Riguardo alla preghiera nel primo monachesimo, dentro il contesto del più am-
pio discorso eucologico, si veda da ultimo Danieli 2009.
1815 Palladio, Hist. Laus. 38, 10 (200, 87): ejpoivei de; eujca;" eJkatovn. In Hist. Laus.
20, 3 (104, 20-21), Macario attesta la stessa pratica «dopo sessant’anni» di vita monastica.
Insiste opportunamente su questo punto anche Stewart 2001.
1816 Cfr. Guillaumont 2004. Per accostarsi in maniera equilibrata alle problemati-
che dello studio di Evagrio si veda la bella introduzione di Bettiolo a Evagrio Pontico.
Per conoscere lui, 9-87. Circa la dottrina della preghiera cfr. in particolare Bunge 1987a;
Bunge 1987b; Dysinger.
La costruzione di un modello 565
cioè per un lato dall’impegno più strettamente ascetico in vista di con-
trastare le passioni (catalogate e scrutate nei loro meccanismi secondo lo
schema degli otto «pensieri» o «spiriti malvagi») e pervenire al loro pieno
controllo o «impassibilità» (ajpavqeia), e per l’altro dalla preoccupazione
di assicurare allo sforzo «pratico» lo sbocco «mistico-contemplativo» at-
traverso la conoscenza dapprima dell’azione di Dio nel mondo creato e al
di là di questo della stessa Trinità. Sotto tale profilo la preghiera assume
un’importanza fondamentale, poiché non solo è una componente impre-
scindibile della condotta ascetica ma è anche la sua mèta stessa grazie al-
l’espressione più alta e perfetta dell’orazione che Evagrio designa ugual-
mente come «preghiera pura»1817. Di conseguenza l’analisi dell’atto orante
è sorretta anzitutto nel Pontico – molto più di quanto avvenisse in prece-
denza con tutti gli altri interpreti (Origene incluso) – da un’estrema at-
tenzione per gli aspetti antropologico-psicologici dell’orazione. Se il suo
organo è per eccellenza l’«intelletto» (nou'"), in linea con l’impostazione
abbozzata da Origene in Orat e altrove1818, l’interesse di Evagrio s’indi-
rizza alla complessa fenomenologia che coinvolge il corpo e l’anima nelle
manifestazioni oranti: ruolo dei sentimenti e delle passioni, memoria e
immaginazione, forme in cui può darsi una preghiera priva di distrazioni
e tutta concentrata nel colloquio con Dio. Ma, come si è detto, l’originalità
di Evagrio non s’esaurisce nella finezza psicologica del maestro spirituale
provato, capace di riflettere a fondo su compiti e difficoltà dell’ascesi
personale e altrui, poiché egli colloca la preghiera al vertice dell’itinerario
monastico di perfezione, concepito comunque non in termini troppo sche-
matici. Nella condizione terrena il progresso spirituale non è mai acquisito
definitivamente e la «preghiera pura» che attua la vocazione contemplati-
va del monaco non può quindi darsi come possesso permanente. D’altra
parte Evagrio, unendo dialetticamente la dimensione «pratica» a quella
«gnostica», indica la preghiera come la sola attività a cui i monaci deb-
bono dedicarsi in permanenza. Come dichiara nel Pratico, «non ci è stato
prescritto di lavorare e vegliare e digiunare di continuo, ma ci è stata fatta
legge di pregare incessantemente (1Ts 5, 17)», mentre l’attività della pre-
ghiera «rende vigoroso e puro per il combattimento l’intelletto, che è na-
turalmente fatto per pregare, anche separatamente da questo corpo»1819.
––––––––––––––––––
1817 Nella lettera che funge da proemio al De orat. Evagrio richiama entrambi gli
aspetti: Oujkou'n kai; proseuch'" ditto;" oJ trovpo", oJ mevn ti" praktikov", oJ de; qewrhtikov"
(PG 79, 1165B).
1818 Peraltro, secondo O’Laughlin, l’importanza assegnata al nou'" conferisce all’an-
tropologia evagriana un accento in parte diverso; fra l’altro, il Pontico usa più raramente il
termine hJgemonikovn (l’unica occorrenza nei Capitoli sulla preghiera è in De orat. 21).
1819 Pratico, 49 (610-612): ∆Ergavzesqai me;n dia; panto;" kai; ajgrupnei'n kai; nh-
steuvein ouj prostetavgmeqa, proseuvcesqai de; hJmi'n ajdialeivptw" (1Ts 5, 17) nenomoqev-
thtai: diovti ejkei'na me;n to; paqhtiko;n mevro" th'" yuch'" qerapeuvonta kai; tou' swvmato"
566 Parte seconda, Capitolo nono
La visuale dinamica della preghiera imperniata sulla scansione fra
«prassi» e «gnosi» prende forma in Evagrio principalmente nello scritto
Sulla preghiera (Peri; proseuch'"). Anch’esso adotta il genere letterario
prediletto dei kephalaia, allineando una serie di brevi sentenze che con-
densano, senza ordine apparente, i temi della sua riflessione per favorire
la loro fruizione «sapienziale»1820. Come apprendiamo da un preannuncio
dell’autore contenuto nel trattato Sui pensieri, Evagrio deve averlo com-
posto verso la fine della sua attività letteraria raffinando ulteriormente il
proprio pensiero, peraltro già ben definito1821. Benché dispersa in 153
capitoli, la dottrina di Evagrio sull’orazione possiede invero un respiro
sistematico, come testimonia del resto il ricorrere degli stessi concetti por-
tanti nel resto dei suoi scritti, sia quelli «pratici» (come, appunto, il Pra-
tico o l’Antirretico) sia quelli «gnostici» (come lo Gnostico o i Capitoli
Gnostici) dove il nostro tema è sempre presente 1822. La diversità di stile
rispetto ad Origene non è dunque dovuta soltanto al ricorso ad un genere
letterario differente dal trattato ad un tempo protrettico ed esegetico del-
l’Alessandrino, ma anche al fatto che la riflessione di Evagrio sulla pre-
ghiera si caratterizza per una sua organicità ben più serrata ed evidente sul
piano concettuale, smentendo di fatto la contrapposizione suggerita da Do-
minique Bertrand fra il «professore» Origene ed il «monaco» Evagrio1823.
––––––––––––––––––
hJmw'n eij" th;n ejrgasivan prosdei'tai, o{per di∆ oijkeivan ajsqevneian pro;" tou;" povnou" oujk
ejparkei': hJ de; proseuch; to;n nou'n ejrrwmevnon kai; kaqaro;n pro;" th;n pavlhn paraskeuav-
zei, pefukovta proseuvcesqai kai; divca touvtou tou' swvmato" kai; uJpe;r pasw'n tw'n th'"
yuch'" dunavmewn toi'" daivmosi mavcesqai (tr. Bettiolo, 204). Si veda anche Ad virg. 5
(146): Proseuvcou ajdialeivptw", kai; mevmnhso Cristou' tou' gennhvsantov" se.
1820 Cfr. PG 79, 1165A-1200C; Guillaumont 2004, 125-129. Circa la numerazione
dei capitoli ci atterremo all’edizione di Tugwell, che aggiunge un’unità da 35 a 78. Per
una traduzione italiana si veda Evagrio Pontico. La preghiera, a cura di Messana. Haus-
herr 1960, 141, ricollega l’utilizzo dei kephalaia alla tradizione apoftegmatica, attestata
anche dal Gerontikon in De orat. 106-112: «Il est le premier écrivain chrétien qui ait em-
ployé le genre littéraire des Sentences. Si nous avons cette inappréciable collection des
Apophthegmes des Pères, c’est certainement pour une bonne part à son exemple et à sa
doctrine que nous le devons». Per Stewart 2003, 207, «memorized kephalaia could be
pondered to release their meaning gradually».
1821 De cogit. 22 (232, 20-22): Tiv" de; hJ aijtiva tou' ta; nohvmata tw'n aijsqhtw'n
pragmavtwn cronivzonta diafqeivrein th;n gnw'sin ejn toi'" peri; proseuch'" kefalaivoi"
lecqhvsetai.
1822 Secondo Bertrand 2001, 10, «on peut bien parler de système au sujet de l’œuvre
d’Évagre, toute morcelée qu’elle apparaît à travers le genre littéraire de l’apophthegme».
Quanto alle fonti, Stewart 2001, 183, privilegia il De cogitationibus e gli Skemmata ac-
canto a De orat.: «One can understand On the Thoughts, Reflections, and On Prayer as
advanced works in two ways: they probe their topics in greater depth than do Evagrius’
other works; they are probably the fruit of his mature consideration».
1823 «Compte tenu du tempérament d’Évagre, il n’est pas improbable qu’il y a chez
lui, dans le mode d’expression lui-même, un choix de distanciation par rapport à son de-
vancier. Il se trahit comme origénien en cela même que, délibérement, il écrit autrement
La costruzione di un modello 567
Ciò non significa dover prendere atto della mancata continuità fra i nostri
due autori, perché a giudizio di vari studiosi tali differenze sono invece
suscettibili di apprezzamento positivo, nel senso che il Pontico avrebbe
ripreso fedelmente l’impostazione dell’Alessandrino, pur sviluppandola
in forma più sistematica1824. In realtà, per corroborare più esattamente le
affinità ideali fra Evagrio ed Origene dovremmo procedere ad un confron-
to approfondito fra i Capitoli sulla preghiera e il trattato, che non è possi-
bile offrire in questa sede né del resto è stato ancora sviscerato come sa-
rebbe opportuno1825. Tuttavia, facendo tesoro delle osservazioni che sono
state proposte negli studi anteriori, possiamo notare in primo luogo come
il discorso eucologico di Evagrio sembri dipendere dalla cornice dottrinale
elaborata da Origene in misura sorprendentemente più stretta ed univoca
di quel che abbiamo constatato nel caso dello stesso Alessandrino. Con ciò
non intendiamo riferirci ovviamente al modello del progresso spirituale,
tracciato da Origene nel Commento al Cantico dei Cantici secondo la tri-
partizione «morale-fisica-epoptica», che ispira da vicino lo schema eva-
griano del rapporto «prassi-gnosi», sia pure con una sua diversa enuncia-
zione anche a livello terminologico1826, né alle premesse tracciate dal-
––––––––––––––––––
qu’Origène, outrant en quelque sorte le moine en lui-même pour se démarquer du profes-
seur qui est aussi, pour une plus grande part, son maître. Voilà du moins ce que la lecture
parallèle des deux Peri; eujch'" permet de pressentir» (Bertrand 1999, 357). L’autore di-
stingue inoltre De orat. in quanto “protrettico” dal trattato di Origene: «Ce qu’il propose,
c’est un protreptique, le plus dénué de pathos qu’il soit possible, et il l’adresse à l’homme
de prière pour qu’il persévère jusqu’au bout en elle et par elle» (p. 362). Ma con ciò non
sembra tenere adeguatamente conto della natura di tale genere letterario e del «problema
della preghiera» per l’Alessandrino, “riducendo” quest’ultimo al combattimento spirituale
con i demoni.
1824 Crouzel 1987, 231-235 critica Evagrio per aver smarrito l’aspetto zetetico del
pensiero origeniano irrigidendolo in un sistema che si attirerà la condanna dogmatica. In-
vece Stewart 2001, 181-182 rileva l’appropriazione creativa degli schemi di pensiero ori-
geniani: «The framework Evagrius found in Origen’s writings and then made his own al-
lowed him to understand prayer not as escape from the world or avoidance of the complex-
ity of human life, but as move toward keener awareness of the vastness and intricacies of
God’s work in Creation, and thereby toward knowledge of God. In the progress from
wordy to wordless prayer, from image-filled to imageless prayer, Evagrius could anticipate
the return to integrated, unified knowledge that he believed to be human destiny».
1825 Bertrand 1999 ha segnalato per primo l’urgenza del confronto notando come
Hausherr 1960, che nella sua analisi del De orat. richiama spesso luoghi origeniani, l’ac-
costi solo in un caso ad Orat. Lo stesso Bertrand, pur offrendo molti spunti interessanti
di comparazione tra i due autori, ammette di aver condotto ancora un esame preliminare
(p. 363).
1826 Si veda, ad esempio, il modo in cui Evagrio lo riprende in chiave eucaristico-
cristologica nello scritto Ai monaci nei cenobi e nelle comunità, 118-120: «Carni del Cristo
sono le virtù pratiche (praktikai; ajretaiv): chi le mangerà diverrà impassibile. Sangue del
Cristo è la contemplazione degli esseri divenuti (qewriva tw'n gegonovtwn), e chi ne beve
sarà da lui reso sapiente. Petto del Signore è la conoscenza di Dio: chi è chino (cfr. Gv 13,
568 Parte seconda, Capitolo nono
l’Alessandrino per la dottrina evagriana dei «pensieri» (logismoiv), bensì
alle coordinate più ideologiche e insieme più controverse del “sistema”
origeniano consistenti rispettivamente nella dottrina della preesistenza e
in quella dell’apocatastasi con i loro corollari antropologici e cristologici.
Come abbiamo visto in precedenza, l’orizzonte della riflessione di Origene
sulla preghiera, diversamente da quanto avviene in Evagrio, sembra poter
prescindere dal condizionamento di questi due postulati dottrinali. In ogni
caso, a titolo di impressione preliminare, si può ben dire che l’esito della
«preghiera pura» nel Pontico declina in termini originali il paradigma
della «preghiera spirituale» elaborato dall’Alessandrino.
Lo vediamo con più precisione nel modo in cui Evagrio disegna l’im-
magine dell’atto orante con i suoi fattori costitutivi, le modalità auspica-
te e le difficoltà a cui esso deve fare fronte. L’obiettivo della «preghiera
pura», priva delle rappresentazioni del mondo dei sensi e delle loro imma-
gini mentali per aprirsi alla realtà trascendente del Dio trinitario, indica il
cammino di un’«anacoresi» sensoriale che Origene aveva tracciato a gran-
di linee nel trattato, sullo sfondo della sua antropologia tricotomica di cor-
po, anima e spirito nonché delle coordinate scritturistiche che tramano
tutto il suo discorso eucologico1827. Evagrio qui affina l’analisi, mettendo
in luce i meccanismi della rappresentazione, attraverso il gioco di stimoli
ed agenti esterni, in negativo ed in positivo, ed accentuando il ruolo pre-
minente dell’«intelletto» come l’elemento qualificante la natura propria
degli esseri razionali. La configurazione della preghiera come «esercizio
spirituale» è insomma più immediata ed appariscente in Evagrio rispetto
ad Origene, il quale non solo manca del tecnicismo psicologico che con-
traddistingue la visuale del Pontico, ma appare anche alieno dal supera-
mento del regno della «parola» nel silenzio assoluto della «preghiera
pura»1828. Tra le varie definizioni, in negativo o in positivo, dell’orazione
fornite da Evagrio, troviamo il concetto della preghiera come ajnavbasi",
«ascensione» dell’intelletto a Dio1829. In che modo questa si attui, lo chia-
––––––––––––––––––
25) su di esso sarà teologo (qeolovgo" e[stai)» (Evagrio Pontico. Per conoscere lui, 158).
Comunque, sia De orat. Prol. sia Sch. in Prov. 50 presentano la triade origeniana praktikhv
(hjqikhv), fusikhv, qeologikhv.
1827 Stewart 2001, 190 collega, in particolare, De orat. 71 (nota 1830) a Orat XX, 2.
1828 Si veda la sentenza di Gnost. 41 (166), che rifiuta l’uso della dialettica nella teo-
logia trinitaria: Siwph/' proskuneivsqw to; a[rrhton. Fra l’altro, la definizione dell’anacoresi
in Pratico 52 (618) riprende la concettualità di matrice platonica, tipica degli esercizi spiri-
tuali nella filosofia tardoantica, attribuendola ai suoi «Padri» (qui Clemente Alessandrino
e Gregorio di Nazianzo): th;n ajnacwvrhsin melevthn qanavtou kai; fugh;n tou' swvmato" oiJ
Patevre" hJmw'n ojnomavzousin. Konstantinovsky 2009, 86-94 richiama il retroterra filosofi-
co, pur senza menzionare la tradizione degli esercizi spirituali approfondita da Hadot.
1829 De orat. 35 (1173 D): Proseuchv ejstin ajnavbasi" nou' pro;" Qeovn. Méhat
1995, 117 ritiene Evagrio il «creatore della definizione», ma Dorival 2000, 100 segnala la
consonanza con la terminologia neoplatonica.
La costruzione di un modello 569
risce la formula secondo cui l’orazione implica il «disfarsi delle rappre-
sentazioni»1830. Solo per questa via l’intelletto può svolgere il suo com-
pito naturale: essere l’organo della conoscenza di Dio, che è senza forma
e figura. Così la prospettiva di Evagrio arriva a legare molto più stretta-
mente la preghiera alla contemplazione. Ma l’uso del termine oJmiliva,
ereditato da Clemente Alessandrino (con altri aspetti che tradiscono la
sintonia fra i due autori, specie quanto al discorso eucologico)1831 per de-
signare il «colloquio» dell’intelletto con Dio, tende a preservare l’imma-
gine più naturale ed immediata dell’orante come colui che s’intrattiene
con l’interlocutore divino affidandogli le sue attese di salvezza, quantun-
que la nota “intellettualistica” rimanga sempre dominante nel modello di
preghiera spirituale proposto da Evagrio1832. Anche la visuale della pre-
ghiera nella prassi ascetica contribuisce del resto a ricollegare la prospet-
tiva del Pontico a quella di Origene e, più in generale, al discorso proto-
cristiano sulla preghiera. Infatti, egli è ben consapevole del ruolo della
preghiera come «opera» che concorre insieme ad altri mezzi nel realiz-
zare l’obiettivo della lotta contro le passioni e a predisporre così l’accesso
alla contemplazione1833. Inoltre, se è vero che per Evagrio la preghiera
rientra fra quelle attività che rendono gli uomini simili agli angeli1834, egli
––––––––––––––––––
1830 De orat. 71 (1181 C): proseuch; gavr ejstin ajpovqesi" nohmavtwn.
1831 Pur senza rinviare alla dottrina della preghiera, Guillaumont sottolinea la di-
pendenza di Evagrio, in particolare, per i concetti di ajpavqeia, ajgavph e gnw'si".
1832 L’unico impiego del termine nel nostro scritto figura in De orat. 3 (1168D):
ÔH proseuch; oJmiliva ejsti; nou' pro;" qeovn . Hausherr 1960, 17 osserva che «Homilia et son
équivalent conversatio désignent quelque chose d’à la fois plus vaste et plus profond que
les paroles, même intérieures: la réunion, le commerce habituel, la fréquentation assidue».
Il motivo della «conversazione» nella preghiera ricorre ancora in De orat. 34 ([1173D] tiv
ga;r aujtou' ajnwvteron tou' tw/' qew/' prosomilei'n kai; th/' pro;" aujto;n sunousiva/ perispa'-
sqai…) e 55 ([1177D] oJ ajgapw'n to;n Qeovn, touvtw/ wJ" Patri; ajei; sunomilei', ajpostrefov-
meno" pa'n novhma ejmpaqev"). La designazione della preghiera come oJmiliva si ritrova anche
in Sch. in Ps. 140(141), 2 (nota 1842) e in Skemmata 28 (nota 1847). Per Stewart 2001,
191, «Evagrius’ use of that definition of prayer inherited from Clement of Alexandria is
more than just a bow to tradition. Prayer is an encounter with a personal God, and Evagrius
keeps biblical words and imagery in play even in his description of the highest stages of
prayer».
1833 Il motivo è presente anche nei kephalaia raccolti dai discepoli di Evagrio. Si
veda il commento di Géhin (SC 514), 64-65: «La prière représente la forme supérieure de
l’activité de l’intellect. Cela dit, la simple évocation de la prière n’implique pas qu’on se
situe toujours à ces altitudes. Il existe aussi des formes de prière qui relèvent des pratiques
ascétiques courantes». Cfr. Capit. disc. 83 (176): prw'ton di∆ e[rgwn polemei' oJ nou'", kai;
deuvteron dia; lovgwn: oi|on to; me;n prw'ton proseuvcetai, yavllei, ajnacwrei'; 156 (230): hJ
a[kra ejgkravteia kai; hJ praovth" kai; hJ ejlehmosuvnh kai; to; dihnekw'" proseuvcesqai
panto;" kakou' to;n nou'n ejleuqeroi'.
1834 Capit. disc. 11 (114): ajnamevson daimovnwn kai; ajggevlwn, ajnamevson o[fewn
kai; peristerw'n ei\nai tou;" ajnqrwvpou" ei\pe: kai; ga;r kthnw'n kai; daimovnwn kai; ajggevlwn
oiJ a[nqrwpoi mevsoi. Trwvgonte" me;n ou\n kai; pivnonte" kai; kaqeuvdonte" kai; ta; a[loga
570 Parte seconda, Capitolo nono
ne sottolinea la gradualità di espressioni ed ancor più la componente ago-
nica, come vedremo fra breve, avvicinandosi nuovamente da questo punto
di vista alle idee espresse da Origene1835.
Il quadro che emerge da queste prime considerazioni fa dunque intra-
vedere punti di contatto ed insieme differenze più o meno rilevanti fra i
due interpreti. Un passaggio decisivo di tale confronto non può non pren-
dere in esame il terreno dei riferimenti scritturistici. Qui si può constatare
ancora una volta, almeno di primo acchito, la diversità di stile fra Evagrio
ed Origene: la mediazione biblica ci appare più ridotta ed occasionale nel
Pontico, senza assumere mai quel peso di natura strutturale che contrad-
distingue invece l’impostazione dell’Alessandrino. Ma l’impressione im-
mediata può risultare superficiale, tanto più se si tiene presente che Eva-
grio è anche autore di scolii su alcuni libri biblici (Salmi, Proverbi, Eccle-
siaste e Giobbe) nonché dell’Antirretico, un vasto “prontuario” di passi
scritturistici per combattere i pensieri malvagi, a riprova dell’attenzione
rivolta all’uso della Bibbia nella vita monastica e dello sforzo per assicu-
rarne l’interpretazione spirituale conformemente alla tradizione alessan-
drino-origeniana. Non a caso la lettera dedicatoria che serve da proemio
ai Capitoli sulla preghiera è intessuta di richiami scritturistici interpretati
in chiave allegorica, a cominciare dal numero stesso dei kephalaia che
rimanda simbolicamente alla pesca miracolosa in Gv 21, 11 («Allora Si-
mon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquanta-
tré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò»)1836. Non
sorprende perciò che proprio nel primo capitolo Evagrio richiami l’im-
magine più consueta, di matrice scritturistica, della preghiera come eujw'-
de" qumivama, «incenso profumato»1837, ampiamente sfruttata da Clemente

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pavqh ejnergou'nte" wJ" kthvnh kinou'ntai: oJrgizovmenoi de; kai; mnhsikakou'nte", wJ" daiv-
mone": eujcovmenoi de; kai; yavllonte" kai; qeologou'nte" kai; qewrou'nte", wJ" a[ggeloi.
1835 Come ricorda Géhin, «il est impossible de brûler les étapes et d’aller de l’im-
passibilité à la prière sans forme directement, sans passer par l’étape intermédiaire de la
contemplation naturelle» (SC 514, p. 144). Cfr. Capit. disc. 39 (144): ouj ga;r ejk prakti-
kh'" movnh" duvnatai katorqw'sai to; ajneivdeon ei\nai aujto;n ejn th/' proseuch/', eij mhv ti pro-
paraskeuasqh/' ejn th/' th'" qewriva" gnwvsei; 78 (174): Prokovptwn oJ nou'" ejn th/' praktikh/,'
kouvfa e[cei ta; nohvmata tw'n aijsqhtw'n: prokovptwn de; ejn th/' gnwvsei, poikivla e{xei ta;
qewrhvmata: prokovptwn de; ejn th/' proseuch/', lavmproteron kai; faidrovteron o[yetai to;
i[dion fw'"; 100 (190): Oujk e[sti parautivka yavllein kai; eu[cesqai ajperispavstw": pol-
lh'" ga;r proparaskeuh'" dei'tai kai; sterhvsew" pavntwn tw'n paqw'n, ejpiqumiva", qumou',
kenodoxiva" kai; tw'n loipw'n.
1836 Evagrio enuncia espressamente il paradigma ermeneutico di «lettera e allego-
ria» in De orat. Prol. (1165B): ∆All∆ ejpei; pavnta dissav, e}n kat∆ e[nanti tou' eJnov", kata;
to;n sofo;n ∆Ihsou'n (Sir 42, 24), devcou pro;" tw/' gravmmati kai; tw/' pneuvmati kai; suvne", wJ"
pavntw" tou' gravmmato" nou'" prohgei'tai: oujk o[nto" ga;r touvtou, oujde; gravmma e[stai.
1837 De orat. 1 (1168C): Ei[ ti" bouvloito eujw'de" qumivama skeuavsai, to;n diafanh'
livbanon, kai; th;n kassivan kai; to;n o[nuca, kai; th;n stavkthn ejxivsou sunqhvsei kata; to;n
La costruzione di un modello 571
e Origene1838. L’associazione di idee con l’Alessandrino sembrerebbe es-
sere suggerita anche dal modo in cui il Pontico elabora il motivo, ricor-
dando l’«incenso composto» secondo le indicazioni di Es 30, 34-37 o Lv
16, 12 (analogamente all’interpretazione fornita dall’Alessandrino nelle
Omelie su Geremia) e chiarendone il senso con il ricorso alla spiegazione
allegorica per cui la preghiera può risultare gradita a Dio solo con il con-
corso equilibrato delle virtù. Evagrio riformula così la raccomandazione
più volte attestata da Origene sul necessario rapporto fra prassi virtuosa
e manifestazione orante, accentuandone comunque l’implicazione agoni-
ca1839. L’immagine dell’«incenso» (qumivama) riappare nuovamente verso
la conclusione dell’opera, in due capitoli (141 e 147) che ribadiscono en-
trambi l’idea della preghiera come offerta e sacrificio che sale a Dio da un
intelletto capace di dominare le passioni1840.
Nei Capitoli sulla preghiera l’uso della metafora dell’«incenso» o
«profumo», anziché rifarsi direttamente a Sal 140(141), 2, come avveniva
per lo più in Origene, pare ispirarsi ad altri luoghi scritturistici, anch’essi
familiari all’Alessandrino quali Ap 5, 8 oppure Mt 5, 231841. Tuttavia, ne-
gli Scolii ai Salmi il commento a Sal 140(141), 2 dà luogo ad un’impor-
tante precisazione circa la «preghiera pura» sulla scia della sua rinnovata
definizione come oJmiliva:
«Si indirizza come incenso (Sal 140[141], 2) la preghiera di chi può dire: Siamo
soave odore di Cristo tra coloro che si salvano e tra coloro che si perdono (2Cor
2, 15). E v’è un’unica specie di preghiera, la conversazione dell’intelletto con
Dio che serba l’intelletto privo d’impronte. Dico poi privo d’impronte l’intelletto
che al momento della preghiera non si immagina alcunché di corporeo» 1842.
––––––––––––––––––
novmon. Tau'ta dev ejstin hJ tetra;" tw'n ajretw'n: eja;n ga;r plhrevstatai kai; i[sai tugcavnw-
sin, ouj prodoqhvsetai oJ nou'".
1838 Cfr. supra, pp. 438-441 e nota 2.
1839 «C’est-à-dire, sans métaphore, qu’il faut les quatre vertus cardinales et toutes
celles qui s’y ramènent pour arriver à l’oraison sans s’exposer à une attaque brusquée de
l’ennemi» (Hausherr 1960, 13).
1840 De orat. 141 (1197A): ejf∆ o{son oujk ajpetavxw toi'" pavqesin, ajll∆ oJ nou'" sou
ejnantiou'tai th/' ajreth/' kai; th/' ajlhqeiva/, oujk euJrhvsei" eujw'de" qumivama ejn tw/' kovlpw/
sou; 147 (1197 D): skovpei povsh" fulakh'" kai; diakrivsew" creiva, i{na eujprovsdekton
dw'men tw/' qew/' qumivama.
1841 Del resto, a parte De orat., nei testi tràditi in greco l’immagine figura solo in
De octo spir. con una applicazione in positivo e in negativo (2 [PG 79, 1148A]: ∆Atmi;"
qumiavmato" eujwdiavzei ajevra, kai; proseuch; ejgkratou'" o[sfrhsin Qeou'; 10 [1156A]:
Qumwvdou" proseuch; ejbdelugmevnon qumivama).
1842 Sch. in Ps. 140(141), 2 (PG 12, 1665A): Touvtou kateuquvnetai hJ proseuch;
wJ" qumivama, tou' dunamevnou eijpei'n: Cristou' eujwdiva ejsme;n ejn toi'" swzomevnoi" kai; ejn
toi'" ajpollumevnoi" (2Cor 2, 15). Kai; ejsti;n e}n ei\do" proseuch'" oJmiliva nou' pro;" Qeo;n
ajtuvpwton to;n nou'n diaswvzousa: ajtuvpwton de; levgw to;n nou'n mhde;n swmatiko;n kata;
to;n kairo;n th'" proseuch'" fantazovmenon: movna ga;r ejkei'na tw'n ojnomavtwn kai; rJhmavtwn
tupoi' to;n nou'n hJmw'n kai; schmativzei ta; shmaivnontav ti tw'n aijsqhtw'n: proseucovmenon
572 Parte seconda, Capitolo nono
Quanto ad Ap 5, 8, utilizzato significativamente da Origene, il suo ri-
lievo per Evagrio è rafforzato dal richiamo ad Ap 8, 3 («Poi venne un altro
angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati
molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi
bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono»)1843. Oltre a citare en-
trambi i passi nei Capitoli sulla preghiera, valorizzando particolarmente
il secondo per il sostegno offerto dagli angeli all’orazione «in spirito e
verità» (Gv 4, 23)1844, il Pontico si è servito di Ap 8, 3 anche negli Skem-
mata (Riflessioni), dove spiega l’«incensiere» come «l’intelletto che al
momento della preghiera non offre nulla di sensibile»1845. In tal modo
l’immagine dell’«incenso» o «profumo» è messa a frutto da Evagrio come
equivalente scritturistico più ravvicinato del suo modello di «preghiera
pura», non diversamente dalla sensibilità di Origene, ma con l’apporto di
una concettualità che – come si è detto più volte – trova nell’Alessandri-
no solo riscontri parziali.
Lo spettro dei rimandi scritturistici può essere esteso ad altri passi
che rivelano come Evagrio si collochi pienamente, da tale punto di vista,
nella corrente della tradizione esegetico-dottrinale sulla preghiera, affian-
cando il discorso di Origene e di altri autori dei primi secoli. Come ci mo-
strano i capitoli degli Skemmata, Evagrio fa proprio con 1Tm 2, 1 il pri-
mato assegnato dall’Alessandrino alla proseuchv come l’«orazione» per
eccellenza rispetto agli altri tipi di preghiera, sia pure elencando questi
parzialmente. Il suo catalogo infatti comprende nell’ordine solo: proseu-
chv («orazione»), devhsi" («richiesta»), eujchv («voto»), e[nteuxi" («interces-
sione»), senza includervi l’eujcaristiva; ma quel che più conta è che di
ciascuno di questi termini esso offre una definizione originale1846. Benché
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de; nou'n pavnth dei' tw'n aijsqhtw'n ejleuvqeron ei\nai: to; de; tou' Qeou' novhma diaswvzei to;n
nou'n ajnagkaivw" ajtuvpwton: ouj gavr ejsti sw'ma (tr. it. in Evagrio Pontico. Per conoscere
lui, p. 178, nota 2). Si veda anche Guillaumont 2004, 298, nota 10 e 305.
1843 Cfr. rispettivamente De orat. 77 e 76.
1844 De orat. 76 (1183C): To; levgein ejn th/' ∆Apokaluvyei komivzesqai to;n a[ggelon
qumivama i{na dw/' eij" ta;" proseuca;" tw'n aJgivwn, oi\mai th;n cavrin ei\nai tauvthn dia; tou'
ajggevlou ejnergoumevnhn: gnw'sin ga;r ejmpoiei' th'" ajlhqou'" proseuch'", w{ste eJstavnai
loipo;n ejkto;" panto;" klovnou, ajkhdiva" te kai; ojligwriva" to;n nou'n. Hausherr 1960, 109
accosta De orat. 77 a Origene, FrEz 16, 18.
1845 Skemm. 6 (Muyldermans, 374): qumiathvriovn ejsti nou'" kaqaro;" kata; to;n
kairo;n th'" proseuch'", mh; ejfaptovmeno" pravgmato" aijsqhtou'. Ap 8, 3 non figura tra le
citazioni di Origene. Si veda anche Keph. Gnost. V, 53 (198-199): «Le sacrifice spirituel
est la conscience pure qui met sur l’état du nous comme sur un autel».
1846 Skemm. 26-30 (Muyldermans, 374-380). Cfr. Hausherr 1960, 55: «la devhsi",
c’est un commerce de l’intelligence avec Dieu, accompagné de supplication et dans lequel
se trouve une demande de secours au temps du combat, et une demande de bien, inspirée
par l’espérance». Cfr. anche Guillaumont 2004, 189. Evagrio non contempla il termine
eujcaristiva, presente nel passo paolino, di cui fa in generale un uso assai ristretto e con-
centrato soprattutto nel trattato Ad Eulogio. Nei Capitoli sulla preghiera compare una sola
La costruzione di un modello 573
qui la devhsi" sia designata anch’essa un po’ sorprendentemente come oJmi-
liva 1847, l’eccellenza della proseuchv è data non solo dalla sua doppia de-
finizione come «stato dell’intelletto», ma soprattutto dal fatto che essa, da
un lato, implica l’eliminazione di ogni «rappresentazione terrena» e, dal-
l’altro, è frutto della luce donata dalla Trinità1848. Quanto a eujchv ed e[nteu-
xi", Evagrio si ricollega alle definizioni origeniane del trattato, indicando
con il primo termine il «voto» e con il secondo la «supplica» di qualcuno
«più grande» per la salvezza di altri, con una riscrittura abbastanza traspa-
rente delle formulazioni di Orat1849. Oltre dunque a improntare il vocabo-
lario eucologico di Evagrio con una netta preferenza per il termine pro-
seuchv1850, la ripresa delle definizioni di Orat negli Scolii ai Salmi offre la
prova della conoscenza del trattato di Origene da parte del Pontico. Al
tempo stesso, però, la sua lettura selettiva, con la riformulazione in pro-
prio del significato dei termini negli Skemmata, sia pure accanto alla ripro-
posta del primato della proseuchv, conferma l’autonomia creativa del pen-
siero eucologico di Evagrio sotto il profilo lessicale e concettuale1851.
––––––––––––––––––
volta nella definizione della preghiera come «espressione di gioia e riconoscenza» in De
orat. 15 (1169D): proseuchv ejsti cara'" kai; eujcaristiva" provblhma.
1847 Skemm. 28 (Muyldermans, 377): Devhsiv" ejstin oJmiliva nou' pro;" Qeo;n meq∆
iJkesiva" bohvqeian h] ai[thsin ajgaqw'n perievcousa.
1848 Skemm. 26 (Muyldermans, 377): Proseuchv ejsti katavstasi" nou', fqartikh;
panto;" ejpigeivou nohvmato"; 27 (377): Proseuchv ejsti katavstasi" nou', uJpo; fwto;" movnou
ginomevnh th'" aJgiva" Triavdo". Sullo «stato dell’intelletto» si veda anche 2 e 4 (374) che ri-
chiamano la visione della luce come dono di Dio.
1849 Skemm. 29 (Muyldermans, 377): Eujchv ejstin uJpovscesi" ajgaqw'n eJkouvsio"; 30
(377): e[nteuxiv" ejsti paravklhsi" uJpo; meivzono" prosagomevnh tw/' Qew/' peri; swthriva"
eJtevrwn.
1850 Il dato statistico caratterizza specialmente De Orat., anche se non manca a
volte l’equivalenza semantica di eujchv con proseuchv. Evagrio impiega spesso eujchv al plu-
rale, come in Ad Eul. ([PG 79, 1104] ejpiqumivai ajpotucou'sai futeuvousi luvpa": eujcai;
de; kai; eujcaristivai maraivnousi tauvta"), Pract. Epil. ([712, 7] eujcai'" kai; presbeivai"
tou' dikaivou Grhgorivou), Schol. in Prov. 196, associandola alla proseuchv ([292, 2-3]
oujk aJgnai; eujcai; [...] ouj kaqarai; givnontai proseucaiv). In Rer. mon. rat. 11 (infra, nota
1881) la proseuchv è raccordata con devhsi" e iJkethriva. L’ultimo vocabolo figura solo in
questo scritto.
1851 Sch. in Ps. contiene tre citazioni di Orat, la prima delle quali si riferisce alla
devhsi", le altre due alla proseuchv: a) Schol. 1-2 ad Ps. 60 (61) [v. 2: eijsavkouson, oJ
qeov", th'" dehsewv" mou, provsce" th/' proseuch/' mou; v. 6: o{ti suv, oJ qeov", eijshvkousa" tw'n
eujcw'n mou; v. 9: tou' ajpodou'naiv me ta;" eujcav" mou hJmevran ejx hJmevra"]: devhsiv" ejstin
ejlleivpontov" tino" meq∆ iJkesiva" peri; tou' ejkeivnou tucei'n ajnapempomevnh eujchv (cfr. Orat
XIV, 2 [331, 4-5]: hJgou'mai toivnun devhsin me;n ei\nai th;n ejlleivpontov" tini meq∆ iJkesiva"
peri; tou' ejkeivnou tucei'n ajnapempomevnhn eujch;n); b) proseuch; dev ejstin hJ meta; do-
xologiva" peri; meizovnwn megalofuevsteron ajnapempomevnh uJp∆ aujtou' (cfr. Orat XIV , 2
[331, 5-7]: th;n de; proseuch;n th;n meta; doxologiva" peri; meizovnwn megalofuevsteron
ajnapempomevnhn uJpov tou); c) Schol. 1 ad Ps. 85 (86) [Rubrica: Proseuch; tw/' Dauid! Ma
anche passi importanti sulla terminologia della preghiera, come v. 6: ejnwvtisai, kuvrie, th;n
proseuchvn mou kai; provsce" th/' fwnh/' th'" dehvsewv" mou]: proseuchv ejstin hJ meta; doxo-
574 Parte seconda, Capitolo nono
Considerazioni analoghe possono valere per l’impiego dei paradigmi
di oranti, specialmente dell’Antico Testamento, così caratteristico della
visuale di Origene. Il Pontico tende a farne un uso molto più sobrio, seb-
bene egli non neghi affatto l’«istruzione» che può trarre dagli esempi bibli-
ci (sia in positivo che in negativo) colui che s’impegna sulla strada della
«pratica» ascetica mediante la preghiera1852. Tra le figure di oranti vetero-
testamentari rievocate dall’Alessandrino, a parte un accenno a Daniele1853,
l’unico ad essere menzionato nei Capitoli sulla preghiera è Mosè, il cui
gesto di togliersi i calzari è assunto simbolicamente da Evagrio come mo-
dello di colui che si è liberato da ogni rappresentazione passionale nel suo
colloquio con Dio1854. Altrove il profeta è lodato dal Pontico per la sua
mitezza, con riferimento a Nm 12, 3 («Ora Mosè era molto più mansueto
di ogni uomo che è sulla terra»), che lo spinge a intercedere presso Dio
per la salvezza del popolo ribelle ai comandi divini (Es 31, 32)1855. Colpi-
sce qui, nel confronto con l’Alessandrino, l’assenza di rinvii paradigma-
tici non solo alle altre figure di oranti più consuete (quali, ad esempio, nel
Nuovo Testamento, Paolo) ma soprattutto il mancato richiamo a Gesù co-
me modello di preghiera, sebbene Evagrio non ignori affatto la prospetti-
va dell’intercessione universale per le creature razionali legata alla funzio-
ne sacerdotale di Gesù, come emerge soprattutto dalla Lettera agli Ebrei,
e con essa la preghiera di Gesù per la salvezza finale in Gv 17, 211856.
L’apparente lacuna è rafforzata inoltre dalla minore incidenza della Pre-
––––––––––––––––––
logiva" peri; meizovnwn megalofuevsteron ajnapempomevnh uJp∆ aujtou' (Orat XIV, 2). Ambe-
due i salmi non figurano tra le citazioni bibliche di Orat, benché risultino particolarmente
ricchi per la terminologia della preghiera. Evagrio riporta i passi in forma leggermente
modificata.
1852 De orat. 104 (1189C) ricorda il prerequisito del perdono e della riconciliazione
alla luce della parabola del servo impietoso in Mt 18, 23-35: ÔO crewfeilevth" tw'n murivwn
talavntwn paideuevtw se, wJ", eij mh; ajfhvsh/" tw/' ojfeilevth/, oujde; aujto;" teuvxh/ th'" ajfevsew":
parevdwke gavr, fhsivn, aujto;" toi'" basanistai'".
1853 De orat. 80 (1184D): ∆Ea;n ajlhqw'" proseuvch/, pollh;n plhroforivan euJrhvsei",
kai; a[ggeloi suneleuvsontaiv soi wJ" kai; tw/' Danih;l kai; tou;" lovgou" tw'n ginomevmwn fw-
tiou'si. Come mostra anche Hausherr 1960, 123, Evagrio ha in mente l’arrivo di Gabriele
durante la preghiera del profeta e la sua istruzione da parte dell’angelo (Dn 9, 20-22).
1854 De orat. 4 (1167 D): Eij th/' ejpi; gh'" bavtw/ flegomevnh/ proseggivsai peiravsa"
Mwu>sh'" kwluvetai, a[cri" ou| luvsei to; uJpovdhma tw'n podw'n, pw'" aujto;" to;n uJpe;r pa'san
e[nnoian kai; ai[sqhsin ijdei'n boulovmeno", kai; sunovmilo" aujtw/' genevsqai, ouj luvei" ejk
sou pa'n novhma ejmpaqev"… D’altra parte, il valore del paradigma di Mosè è relativo:
«Moïse est souvent mentionné par Évagre [...] mais il n’est en général que le symbole de
la contemplation inférieure qui porte sur les créatures» (Hausherr 1960, 18).
1855 Cfr. Ep. 28 e il commento di Hausherr 1960, 40-43.
1856 Secondo Keph. Gnost. V, 46 (196-197), «le grand prêtre est celui qui adresse
des supplications à Dieu pour toutes les natures raisonnables». In Sch. in Eccl. 25 (100, 7-
10) troviamo il seguente rinvio a Gv 17, 21: dei' ga;r to;n qeo;n pavntw" genevsqai ta; pavnta
ejn pa'si kai; tou' Cristou' plhrwqh'nai th;n eujch;n th;n levgousan: do;" aujtoi'" i{na kai; auj-
toi; ejn hJmi'n w\sin e}n, kaqw;" kajgw; kai; su; e{n ejsmen, pavter.
La costruzione di un modello 575
ghiera del Signore sul discorso evagriano. Il Padrenostro è appena citato
nei Capitoli sulla preghiera, ma un testo raccolto presumibilmente dai di-
scepoli e tramandato in copto e in arabo ci ha conservato una breve spie-
gazione della versione matteana che tradisce la dipendenza dalla preceden-
te tradizione esegetica e si pone in continuità con il De oratione, special-
mente per quanto riguarda il commento della seconda petizione1857.
Stando a questo testo, Evagrio riconosce che altri «più grandi di lui»
hanno commentato la preghiera di Gesù – un’allusione che è quasi sicura-
mente da riferire ad Origene – e dichiara di volersi attenere al loro inse-
gnamento. L’affermazione trova invero diversi riscontri nell’interpretazio-
ne del Pontico, anche se la premessa contenente l’idea che il Padrenostro
«è adatto a condurre l’uomo alla natura primitiva (kata; fuvsin), se gli
prestiamo tutta l’attenzione» possibile, riflette più immediatamente la vi-
suale ascetico-dottrinale del Pontico1858. In linea con la tradizione è il
commento dell’invocazione iniziale e della prima domanda del Pater,
dove si accenna rapidamente al tema della figliolanza divina come condi-
zione e titolo per invocare il Padre e alla santificazione del Nome come
compito da attuare mediante le opere buone, a testimonianza di lui per le
nazioni. Invece, per la seconda domanda, pur commentando il testo di Mt
6, 10, Evagrio sembra seguire la variante di Lc 11, 2 («Venga il tuo Spirito
santo sopra di noi e ci purifichi»), analogamente a quanto vediamo in Gre-
gorio di Nissa1859. Infatti Evagrio introduce l’equivalenza «regno» = «Spi-
rito», per cui il senso della seconda domanda consiste nel chiedere a Dio
il dono dello Spirito. Quanto alla terza domanda, il Pontico torna ad ispi-
rarsi più immediatamente alla precedente esegesi, o per meglio dire ad
Origene stesso, ma nel contempo introduce una formulazione a prima vi-
sta più marcatamente “origenista”: con questa precisa che «la volontà di
Dio è la salvezza di ogni anima razionale» (swthriva th'" o{lh" ktivsew"
logikh'"), mentre ricorda l’Alessandrino l’idea per cui supplichiamo che
avvenga anche sulla terra ciò che avviene presso le potenze celesti
(dunavmei" noerai; ejn oujranw/'). Infine, Evagrio offre una suggestiva in-
terpretazione mistico-escatologica della quarta domanda: «Il nostro pane
di domani è l’eredità di Dio. Noi preghiamo adesso perché ce ne dia il
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1857 PG Suppl. 2461 = Catenae in Evangelia aegyptiacae quae supersunt, ed. P. de
Lagarde, Göttingen 1886, 13-14. Per Guillaumont 2004, 155-156, si tratterebbe di «une
sorte de lettre écrite spécialement à cette fin». Hausherr 1960, 83 riporta una traduzione
parziale, riscontrata nel copto con l’aiuto di Alberto Camplani, che desidero ringraziare
anche per la proposta di retroversione in greco.
1858 «Elle est apte à conduire l’homme à la nature primitive, si nous lui prêtons toute
notre attention» (Hausherr 1960, 83).
1859 Gregorio di Nissa, De or. dom. III (39, 15 ss. [cfr. Fritz; Lozza, 216-217; Ale-
xandre 2008]). La dossologia ribadisce l’identificazione del «regno» con lo Spirito: «Tua
è la potenza, cioè il Figlio, e il regno, cioè lo Spirito santo».
576 Parte seconda, Capitolo nono
pegno oggi, cioè affinché la sua dolcezza si faccia sentire in noi in questo
secolo, suscitando una sete ardente». Sono infine in piena continuità con
la tradizione esegetica le brevi spiegazioni della quinta e della sesta do-
manda, con l’esortazione rispettivamente a praticare l’ajmnhsikakiva e ad
evitare di finire in tentazione senza il volere di Dio.
La paternità evagriana di questo frammento, quantunque assai succin-
to, è suscettibile di essere rafforzata dal punto di contatto più significativo
con i Capitoli sulla preghiera, che registrano anch’essi una spiegazione
analoga per la seconda domanda del Padrenostro. Anche in questo caso il
testo (cap. 59) è connotato da un’estrema brevità, ma ciò non toglie che
aiuti ad intravedere un nucleo concettuale molto importante1860. La prima
formulazione fa propria in termini sintetici un’idea che è fondamentale
per Origene, e che s’incontra del resto anche in altri protagonisti del di-
scorso cristiano sulla preghiera, soprattutto in relazione al modello della
Preghiera del Signore: chi vuole pregare ha bisogno dell’aiuto divino; è
Dio stesso che dona la grazia della preghiera e lo fa già offrendone il para-
digma esemplare nel Padrenostro. Evagrio pertanto raccomanda di pregare
secondo questo modello, invocando il sostegno del Padre con la recita
della preghiera insegnata da Gesù. Poi lo esemplifica con la prima e la
seconda petizione, precisando che quest’ultima ha per oggetto la richiesta
della venuta dello Spirito e del Figlio unigenito, senza cioè riproporre
l’equivalenza più ristretta del «regno» con lo «Spirito». Infine Evagrio ri-
badisce il valore esemplare del Padrenostro, ricordando che questo è l’in-
segnamento stesso di Gesù e accosta Mt 6, 9-10 a Gv 4, 23-24: pregare
il Padrenostro equivale in tal modo ad «adorare in spirito e in verità». Il
luogo giovanneo offre così la chiave di lettura del Padrenostro, come
conferma anche il testo del capitolo successivo (cap. 60), dove il Pontico
afferma che «colui che prega in spirito e verità non trae più dalle creature
le lodi che dona al Creatore, ma loda Dio da Dio stesso»1861.

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1860 De orat. 59 (1180A-B): eij proseuvxasqai bouvlei, Qeou' creiva tou' didovnto"
eujch;n tw/' eujcomevnw/: oujkou'n ejpikalou' aujto;n levgwn, ÔAgiasqhvtw to; o[nomav sou, ejlqevtw
hJ basileiva sou (Mt 6, 9-10), toutevsti to; a{gion Pneu'ma, kai; oJ monogenhv" sou UiJov":
ou{tw ga;r ejdivdaxe, levgwn, ejn Pneuvmati kai; ajlhqeiva/ proskunei'sqai (Gv 4, 23) to;n
Qeovn, toutevsti to;n Patevra, ejpei; kai; ta; triva Qeov". Hausherr 1960, 82, nota 12 ritiene
una glossa toutevsti... Qeov", ma l’implicazione trinitaria sembra del tutto naturale. In altri
testi evagriani citati da Hausherr, il dono di Dio consiste nello «stato di orazione», cioè la
contemplazione della Trinità (ibi, 82-83, con riferimento a Keph. gnost. V, 79 [210]).
1861 De orat. 60 (1180 B): ÔO ejn pneuvmati kai; ajlhqeiva/ proseucovmeno" oujkevti ejk
tw'n ktismavtwn to;n Dhmiourgo;n geraivrei, ajll∆ ejx aujtou' aujto;n ajnumnei'. Altre allusioni
a Gv 4, 23-24 compaiono in De orat. 78 (1184C): fiavlhn de; uJpolhptevon th;n pro;" Qeo;n
filivan, h[toi th;n teleivan kai; pneumatikh;n ajgavphn, ejn h/| proseuch; ejnergei'tai ejn pneuv-
mati kai; ajlhqeiva/; 141 (1197D): hJ th'" ejn pneuvmati kai; ajlhqeiva/ fobera'" kai; uJper-
fuou'" proseuch'" ajnatuvpwsi".
La costruzione di un modello 577
Vi è ancora un altro passo in cui i Capitoli sulla preghiera richiama-
no espressamente l’esemplarità del Padrenostro per la prassi orante. Si
tratta del cap. 31 che, unitamente ai capp. 32-34, tratta la questione del
contenuto della preghiera, della sua rispondenza alla volontà di Dio e del
suo esaudimento. Colui che prega deve sempre ispirarsi all’indicazione
racchiusa nella terza domanda – «Sia fatta la tua volontà» (Mt 6, 10) –
senza aspettarsi di veder realizzato il proprio volere, che in genere non
s’accorda con il volere di Dio1862. Evagrio non menziona la preghiera di
Gesù nel Getsemani (Mt 26, 39.42), ma la sua riflessione sembra impli-
carla, non senza associarvi indirettamente un’allusione alla provvidenza
onnisciente di Dio in Mt 6, 8. Conformemente alla riserva sull’adeguatez-
za dei contenuti delle domande, già formulata in antico da Pitagora, Eva-
grio dichiara che colui che prega non è in grado di riconoscere ciò che è
veramente bene per lui, ma egli sa anche che Dio vuole sempre quanto è
«buono e utile all’anima». Come Gesù nella scena del Getsemani, l’orante
deve quindi rimettersi al volere di Dio su di lui, senza pretendere di indi-
rizzarlo in alcun modo. A rafforzare l’idea interviene anche una confes-
sione personale sulla sua esperienza di orante: il Pontico ammette di aver
voluto talora “forzare la mano” a Dio, insistendo nella richiesta e doman-
dandogli di attuare le proprie volontà anziché rimettersi al suo volere
provvidenziale, salvo poi rendersi conto che l’esaudimento non poteva
non risultare diverso dalle attese 1863. In realtà, come precisa il cap. 33,
l’unico vero bene è Dio e noi non dobbiamo far altro che affidarci inte-
ramente al suo disegno provvidenziale 1864. Osservata integralmente, que-
sta indicazione finirebbe per sopprimere la necessità della preghiera di
domanda, che sta tanto a cuore alla riflessione di Origene. Non è questo
però l’obiettivo di Evagrio, come appare anche dal capitolo conclusivo di
questa sezione (cap. 34), dove egli si misura con il problema del ritardo
nell’esaudimento. Ciò si verifica perché Dio vuole realizzare un beneficio
più grande con chi persevera nella preghiera e tale beneficio – sembra
suggerire il Pontico – consiste proprio nel protrarre il dialogo orante con
––––––––––––––––––
1862 De orat. 31 (1173B-C): Mh; proseuvcou ta; sa; qelhvmata genevsqai: oujde; ga;r
pavntw" sumfwnou'si tw/' qelhvmati tou' Qeou', ajlla; ma'llon kaqw;" ejdidavcqh", proseuv-
cou levgwn: Genhqhvtw to; qevlhmav sou ejn ejmoiv: kai; ejpi; panti; pravgmati ou{tw" aujto;n
ai[tei i{na to; aujtou' gevnhtai qevlhma. qevlei ga;r to; ajgaqo;n kai; sumfevron th/' yuch/', su; de;
ouj pavntw" tou'to zhtei'". Per la forma del testo si veda Hausherr 1960, 50.
1863 De orat. 32 (1173C): Pollavki" proseucovmeno" h/jthsavmhn genevsqai moi o}
e[doxa kalo;n ei\naiv moi, kai; ejpevmenon tw/' aijthvmati, ajlovgw" biazovmeno" to; qevlhma tou'
Qeou', kai; mh; ajpodidou;" aujtw/', i{na o} oi\de sumfevron aujto;" ma'llon oijkonomhvsh/, kai;
mevntoi labwvn, u{steron hjcqevsqhn livan, diovti ma'llon to; bouvlhma eJautou' h/jthsavmhn ge-
nevsqai: ouj ga;r toiou'tovn moi ajphvnthse to; pra'gma, oi|on ejnovmizon.
1864 De orat. 33 (1173D): Tiv a[llo ajgaqovn, ajll∆ h] Qeov"… Oujkou'n aujtw/' ajpodw'men
pavnta ta; kaq∆ hJma'", kai; eu\ hJmi'n e[stai: oJ ga;r ajgaqo;" pavntw", kai; ajgaqw'n ejsti paro-
ceu;" dwrew'n.
578 Parte seconda, Capitolo nono
lui 1865. È vero che qui ritorna il tema dell’orazione come oJmiliva, ma il col-
legamento con la «domanda» (ai[thma) non viene meno (chiarendo meglio
così il nesso fra devhsi" e oJmiliva, che abbiamo incontrato negli Skemma-
ta)1866. Semmai la considerazione per cui il protrarre la preghiera è accom-
pagnato dal beneficio unico del colloquio con Dio richiama alla memoria
le analoghe riflessioni di Clemente Alessandrino ed Origene sui vantaggi
dell’atto orante in quanto tale1867. Nondimeno, come evidenzia ancora il
cap. 88, dove Evagrio cita la parabola di Lc 18, 2-6 che inculca la perseve-
ranza nella preghiera, egli esorta ad insistere nella richiesta a Dio senza
disperare di essere esauditi da lui, perché Dio alla fine lo concederà1868.
Come non ha affatto ignorato il Padrenostro, ma anzi ne ha tratto
spunti importanti per la dottrina sull’orazione, allo stesso modo Evagrio
non poteva trascurare l’istruzione preliminare alla Preghiera del Signo-
re in Mt 6, 5-8, che in Origene ci è apparsa come la fonte d’ispirazione
scritturistica più ravvicinata per descrivere l’atto orante. L’avvertimento
di Gesù contro il modo appariscente di pregare degli «ipocriti», vogliosi
del riconoscimento altrui (Mt 6, 5), pare riecheggiare, in particolare, nel
cap. 41. Il Pontico invita qui all’autoanalisi per considerare se nel modo
di pregare ci si lasci vincere dall’aspettativa di essere lodati. È il pericolo
della vanagloria denunciato negli scritti pratici come l’ultimo e più insi-
dioso ostacolo sul cammino verso l’ajpavqeia insieme alla superbia1869. Il
rischio è collegato in Evagrio anche all’altra ammonizione evangelica, che
invita ad astenersi da un eccesso di parole (Mt 6, 7), come vediamo dalla
raccomandazione del cap. 148 a non compiacersi né delle proprie parole
né della lode che esse attirano, onde evitare di divenire preda degli scherni
dei demoni al momento della preghiera1870. Del resto, Evagrio cita espres-
––––––––––––––––––
1865 De orat. 34 (1173D): Mh; wJ" ejn dunavmei komizovmeno", eujqevw" to; ai[thma zhv-
tei: bouvletai gavr se ejpi; plevon eujergeth'sai proskarterou'nta aujtw/' ejn th/' proseuch/':
tiv ga;r ajnwvteron tou' tw/' Qew/' prosomilei'n, kai; th/' pro; aujto;n sunousiva/ perispa'sqai…
1866 Cfr. nota 1847.
1867 Cfr. p. 160.
1868 De orat. 68 (1185D): Eujquvmei toigarou'n proskarterw'n ejmpovnw" th/' aJgiva/
proseuch/'.
1869   De orat. 41 (1176B): ”Ora, eja;n ajlhqw'" Qew/' parevsthka" ejn th/' proseuch/' sou,
h] ejpaivnw/ ajnqrwvpwn hJtta'sai, kai; touvtwn qhra/'n ejpeivgh/, w{sper ejpikaluvmmati cecrhmev-
no" th/' paratavsei th'" proseuch'". Hausherr 1960, 61 adotta la lezione paratavsei invece
di parastavsei. Si veda anche ibi, 146 per l’interpretazione del tamei'on di Mt 6, 6 in Let-
tera 4 come la «science divine [...] où nous verrons le Père saint et caché» (Evagrio Pon-
tico. Lettere dal deserto, 23, nota 18). Se in Antirrh. VII, 31 Mt 6, 5 è opposto alla vanaglo-
ria, De octo spir. 16 (PG 79, 1161A) la contrasta con Mt 6, 5-6: ∆En plateivai" proseuvce-
sqai sumbouleuvei kenodoxiva, oJ de; polemw'n tauvth/ proseuvcetai eij" tamiei'on aujtou'.
1870 De orat. 148 (1199A): Mh; e[so logocarh;" mhde; doxocarhv". Evagrio attesta
per primo i due aggettivi, se non li ha creati lui stesso. Anche Ad virg. 15 (147) esorta ad
astenersi dal «multiloquio»: “Anoige so;n stovma lovgw/ qeou', kai; kwvlue ajpo; polulogiva"
th;n glw'ssan sou. De cogit. 14 (200, 4-8) riconduce l’abbondanza di parole all’azione del
La costruzione di un modello 579
samente Mt 6, 7 al cap. 151, osservando che non la «quantità» bensì la
«qualità» è decisiva nella preghiera, e in quanto tale è meritevole di plauso,
adducendo come prova, insieme al versetto evangelico, la testimonianza
della parabola del fariseo e del pubblicano1871. Con quest’ultimo riferi-
mento incrociamo di nuovo un luogo scritturistico cruciale per il discorso
eucologico dei primi secoli, che ha lasciato una seconda traccia significa-
tiva in un altro passo dei Capitoli sulla preghiera, dove il Pontico esorta
a pregare sull’esempio del pubblicano1872. In ogni caso, la matrice evan-
gelica della riflessione di Evagrio si evidenzia più di tutto nell’importanza
accordata all’insegnamento di Mt 5, 23, anche indipendentemente dalla
citazione diretta del passo, che comanda di compiere l’offerta a Dio solo
dopo essersi riconciliati con il prossimo1873. Il rigetto della mnhsikakiva è
fondamentale per l’immagine dell’atto orante nel Pontico, che ha dedicato
particolare attenzione alle manifestazioni dell’ira e alle conseguenze nega-
tive di questo vizio che compromette la purezza della preghiera. Così al
cap. 104 accenna al requisito del perdono e della riconciliazione fraterna
in base alla parabola del servo malvagio (Mt 18, 23-35)1874, mentre nello
scritto Sui pensieri trae la medesima indicazione da 1Tm 2, 8, richiaman-
dosi di nuovo ad un luogo tradizionale1875.
Come emerge da questa rassegna, sia pure focalizzata attorno ai Ca-
pitoli sulla preghiera, l’elaborazione scritturistica del modello della «pre-
ghiera pura» o «preghiera spirituale» in Evagrio rivisita in sostanza alcuni
dei nuclei esegetici più significativi, presenti in Origene ed in altri autori,
riproponendoli in maniera autonoma all’interno di una distinta visuale
eucologica. Benché a scorrere le pagine del Pontico le citazioni o allu-
sioni esplicite a passi biblici possano risultare relativamente poche, spe-
cie se messe a confronto con l’abbondanza di riferimenti in Origene, esse
non hanno comunque valore accessorio perché toccano nodi essenziali
––––––––––––––––––
demone della vanagloria: pavnu tapeinoi' tou' ajnacwrou'nto" to;n nou'n pollw'n lovgwn auj-
to;n plhrw'n kai; ta;" proseuca;" aujtou' lumainovmeno", di∆ w|n pavvnta ta; th'" yuch'" aujtou'
trauvmata qerapeuvein spoudavzei.
1871 De orat. 151 (1199B): Proseuch'" e[paino" oujc aJplw'" hJ posovth", ajll∆ hJ
poiovth", kai; tou'to dhlou'sin oiJ ajnabavnte" eij" to; iJero;n (cfr. Lc 18, 10) kai; to; ÔUmei'"
proseucovmenoi, mh; battologhvshte (Mt 6, 7) kai; ta; eJxh'".
1872 De orat. 102 (PG 79, 1189C): Mh; farisai>kw'", ajlla; telwnikw'" proseuvcou
ejn tw/' iJerw/' tovpw/ th'" proseuch'", i{na kai; su; dikaiwqh/'" uJpo; Kurivou. Evagrio risulta es-
sere il primo ad avere usato l’avverbio telwnikw'", adoperato poi solo in epoca medievale.
1873 Mt 5, 23 è citato in De orat. 21 (PG 79, 1172B): “Afe" sou to; dw'ron, fhsivn,
e[mprosqen tou' qusiasthrivou, kai; ajpelqw;n provteron diallavghqi tw/' ajdelfw/' sou, kai;
tovte proseuvxh/ ajtaravcw": hJ ga;r mnhsikakiva ajmauroi' to; hJgemoniko;n tou' proseucomev-
nou kai; skotivzei touvtou ta;" proseucav". Cfr. anche De orat. 147 (1197D).
1874 Cfr. supra, nota 1852.
1875 De cogit. 5 (166, 17–168, 19): ∆All∆ ejgw; to;n toiou'ton makra;n kaqara'" pro-
seuch'" peivqomai ei\nai, lumew'na to;n qumo;n th'" toiauvth" eujch'" ejpistavmeno".
580 Parte seconda, Capitolo nono
della sua concezione della preghiera. Né la selezione operata apparente-
mente da Evagrio rispetto all’ampio fascio di coordinate scritturistiche at-
testate nel discorso origeniano si rivela inadeguata a cogliere pienamente
la portata delle premesse bibliche. Riandando all’indicazione del cap. 59
riguardo alla necessità di Dio stesso onde attuare la preghiera spirituale,
possiamo ancora osservare come l’invocazione del dono dello Spirito, ol-
tre ad appoggiarsi alla variante lucana della seconda domanda del Pater,
si riallacci poco oltre (cap. 63) a Rm 8, 26-27, luogo decisivo – come s’è
visto – per tutta l’impostazione di Origene. Con l’Alessandrino, anche il
Pontico riconosce il concorso dello Spirito, «che compatisce la nostra de-
bolezza»: anche «quando siamo impuri», egli sovviene all’intelletto che si
sforza di pregarlo in modo veritiero liberandolo dall’assedio di «pensie-
ri» e «rappresentazioni» e guidandolo così alla «preghiera spirituale»1876.
D’altra parte, bisogna supporre che il Pontico sfrutti il rinvio al luogo
paolino senza porsi in contraddizione con se stesso, dal momento che la
sua concezione è imperniata costitutivamente proprio sulla «necessità
della purezza assoluta per l’orazione e la contemplazione». Pertanto è le-
cito pensare con Hausherr che Evagrio abbia in mente qui la condizione
di un intelletto che non acconsente più al male, ma rimane ancora preda
del turbamento dei «pensieri»1877. Sebbene una tale idea non contrasti di
certo con la visuale «sinergica» dell’Alessandrino sul rapporto fra sforzo
umano e sostegno divino all’orazione alla luce del nesso fra virtù e preghie-
ra, l’appropriazione evagriana di Rm 8, 26-27 non sembra rivestire quel
rilievo fondamentale che ha per Origene, soprattutto per la nota dramma-
tica che accompagna la sua ripresa nel trattato, se non forse in un passo
degli Scolii all’Ecclesiaste dove il Pontico accenna all’incapacità umana

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1876 De orat. 63 (PG 79, 1180C): To; a{gion Pneu'ma sumpavscon th/' hJmetevra/ ajsqe-
neiva/, kai; ajkaqavrtoi" ou\sin ejpifoita/' hJmi'n, kai; eij eu{roi to;n nou'n hJmw'n filalhvqw"
aujtw/' proseucovmenon, ejpibaivnei aujtw/' kai; a{pasan th;n kuklou'san aujto;n tw'n logismw'n
h] tw'n nohmavtwn favlagga ejxafanivzei, protrepovmenon aujto;n eij" e[rga pneumatikh'"
proseuch'". Bettiolo (Evagrio Pontico. Per conoscere lui, 178, nota 2) accosta a questo
capitolo De orat. 70 (PG 79, 1181C) identificando «colui che compatisce» nello Spirito
anziché in Cristo come sommo sacerdote: Sth'qi ejpi; th'" fulakh'" sou fulavttwn to;n nou'n
sou ajpo; nohmavtwn kata; to;n kairo;n th'" proseuch'", sth'nai ejpi; th/' oijkeiva/ hjremiva,/ i{na oJ
sumpavscwn toi'" ajgnoou'si (Eb 5, 2), kai; soi ejpifoithvsh/, kai; tovte lhvyh/ dw'ron proseu-
ch'" eujkleevstaton.
1877 Hausherr 1960, 88 commenta così: «C’est ici peut-être le chapitre le plus diffi-
cile à interpréter. Il semble en effet renverser tout le système, dont c’est une des maîtres-
ses pièces que la nécessité de la pureté absolue pour l’oraison et la contemplation. Bien
entendu, nous sommes loin de la doctrine messalienne affirmant la possibilité d’une pré-
sence simultanée dans l’âme du Saint-Esprit et du démon ou du péché. L’impureté dont il
s’agit ici c’est [...] la simple existence de pensées troublantes dans une âme déjà libre de
tout consentement au mal, mais encore en butte aux harcèlements intérieurs qui empê-
chent l’ “état paisible” requis pour la prière véritable».
La costruzione di un modello 581
di «parlare con Dio» (qeologei'n)1878. Inoltre Evagrio, a differenza di
Origene, non pare disposto ad ammettere uno spazio per la preghiera del
peccatore che è ancora irretito in qualche modo nella propria colpa1879.
Sotto entrambi gli aspetti riscontriamo quindi ancora una volta la dipen-
denza ed insieme l’autonomia del Pontico rispetto all’Alessandrino.
Senza soffermarci adesso su prerequisiti e condizioni della preghie-
ra, se non per notare di passaggio che la dottrina di Evagrio affina e arric-
chisce l’insegnamento tradizionale con dovizia di considerazioni psico-
logiche e ascetiche tratte specialmente dell’esperienza monastica (quali,
ad esempio, l’importanza della preghiera delle lacrime, d’altronde già av-
vertita da Origene, e il ruolo distinto riconosciuto alla salmodia)1880, con-
viene piuttosto esaminare la messa in luce dell’orizzonte agonico della
preghiera che rappresenta uno dei suoi contributi più peculiari. Infatti,
se è vero che già Origene aveva descritto l’atto orante sullo sfondo di uno
scenario cosmico in cui si fronteggiano angeli e demoni, Evagrio ne ap-
profondisce particolarmente la componente demonologica sforzando-
si di mettere in luce come le potenze malvage tentino di sabotare in tutti
i modi la ricerca della «preghiera pura». Si tratta per lui di un tema ricor-
rente, come prova il fatto che lo accenni concludendo con un’esortazione
––––––––––––––––––
1878 Sch. in Eccl. 35 (116, 1-6) ad Qo 5, 1-2 («Non essere precipitoso con la bocca
e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei
sulla terra; perciò le tue parole siano parche, poiché dalle molte preoccupazioni vengono i
sogni e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto»): To; ga;r tiv proseuxwvmeqa kaqo;
dei' oujk oi[damen (Rm 8, 26). ‘H tavca nu'n ouj tou'to bouvletai levgein, prostavssei de; mh;
ajperiskevptw" qeologei'n: ouj ga;r dunato;n to;n ejn aijsqhtoi'" o[nta kai; ajpo; touvtwn lam-
bavnonta ta; nohvmata peri; tou' o[nto" ejn toi'" nohtoi'" qeou' kai; pa'san diafeuvgousan
ai[sqhsin ajptaivstw" dialecqh'nai. La seconda citazione di Rm 8, 26-27 compare in Ad
Eul. 30 (nota 1890).
1879 Si veda, ad esempio, in De orat. 145 (PG 79, 1197C) la singolare esegesi di
1Cor 11, 10 («Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a
motivo degli angeli»), inteso come rimprovero per colui che voglia accostarsi alla preghie-
ra essendo ancora preso dai propri peccati (oJ ejn aJmartivai" ejnecovmeno").
1880 Anche per lui una vita virtuosa rappresenta la precondizione necessaria per una
preghiera che voglia essere autentica. Ciò implica, fra l’altro, rammentare costantemente i
propri peccati e piangere per essi (De orat. 5-8). Sotto tale profilo Evagrio si fa interprete
dei temi del pevnqo" e delle lacrime, nello spirito del monachesimo primitivo, ma mettendo
anche in guardia dagli eccessi (8). Sul pregare con lacrime si veda, in particolare, De orat.
6 (PG 79, 1169A): Kevcrhso toi'" davkrusi pro;" panto;" aijthvmato" katovrqwsin: livan
ga;r caivrei sou oJ Despovth" ejn davkrusi proseuch;n decovmeno"; cfr. anche 78 e Ad virg.
25 (148): Davkrusin ejn nukti; parakavlei to;n kuvrion, kai; mhdei;" ai[sqhtai proseucomev-
nh" sou kai; euJrhvsei" cavrin. Evagrio inculca così un atteggiamento di umiltà nell’orante
con la confessione delle colpe (De orat. 43) e il costante ricordo di esse (144). Quanto alla
salmodia, che per Evagrio si affianca alla preghiera vera e propria come espressione dotata
di sue caratteristiche, si veda Dysinger. Un posto a sé l’occupa infine la preghiera «antir-
retica», di cui Evagrio è il teorizzatore per eccellenza con l’Antirretico, come mostra Ber-
nardini.
582 Parte seconda, Capitolo nono
alla preghiera lo scritto programmatico che s’intitola Basi della vita mo-
nastica:
«prega in timore, tremore, fatica, sobrietà e veglia. Così si deve pregare, soprat-
tutto a motivo dei nemici invisibili, dai mali modi e dalle male occupazioni, che
[proprio] in quest’[ora] ci vogliono ingiuriare. Infatti, quando costoro ci vedono
dediti alla preghiera, allora essi pure ci attaccano con sollecitudine, suggerendo
all’intelletto quel che non si deve pensare né considerare, per condurre via prigio-
niero il nostro intelletto e rendere oziose, vane e inutili l’invocazione e la supplica
che procedono dalla preghiera. Realmente vane e inutili sono infatti la preghiera,
l’invocazione e la supplica, quando non sono portate a termine in timore e tremo-
re, in sobrietà e veglia, come si è detto. Se uno, accostandosi a un uomo [che sia]
re, lo invoca così – in timore, tremore e sobrietà –, non ci si deve presentare in
modo simile tanto più a Dio, il Padrone di tutto, e al Cristo, re di quanti regnano
e principe dei principi, e fare così la nostra invocazione e supplica?»1881.

Se qui l’ostacolo dei demoni si frappone alla preghiera vista soprat-


tutto come componente di una «pratica» monastica ancora agli inizi, il
loro obiettivo rimane lo stesso anche negli stadi più alti dell’ascesi, quelli
cioè che predispongono più direttamente all’attuazione della «preghiera
pura». Nell’uno e nell’altro caso i demoni compiono un’azione di disturbo,
per impedire che l’orazione corrisponda alla sua vera natura di «colloquio»
(oJmiliva) e «ascensione» (ajnavbasi") dell’intelletto a Dio, conformemente
al modello evagriano della preghiera spirituale. Tenendo conto dello sche-
ma degli «otto vizi» e della centralità della preghiera per l’itinerario «pra-
tico» e «gnostico» del monaco, Evagrio ha scrutato le modalità diverse
con cui le passioni attizzate dai demoni intervengono «al momento della
preghiera» (kata; to;n kairo;n th'" proseuch'") 1882, mostrando fra l’altro
come la maggiore intensità perturbatrice derivi dal vizio dell’«ira» (ojrghv
o qumov"), riflesso per eccellenza della natura irascibile propria della psiche
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1881 Rer. mon. rat. 11 (1264, B-C): proseuvcou de; ejmfovbw", ejntrovmw", ejmpovnw",
nhfalivw" te kai; ejgrhgorovtw". Ou{tw proseuvcesqai dei', mavlista dia; tou;" kakotrovpou"
kai; kakoscovlou", ejphreavzein hJma'" qevlonta" ejn touvtw/ tou;" ajoravtou" hJmw'n ejcqrouv".
ÔOphnivka ou|toi i[dwsin hJma'" proseuch/' paristamevnou", tovte dh; kai; aujtoi; spoudaivw"
ejfivstantai hJmi'n, ejkei'na hJmi'n tw/' nw/' uJpobavllonte", a} mh; dei' ejn kairw/' tou' proseuvce-
sqai ejnqumei'sqai h] ejnnoei'n, i{na ai[cmavlwton hJmw'n to;n nou'n ajpavgagwsi, kai; ajrgh;n kai;
mavtaion kai; ajnwfelh' th;n ajpo; th'" proseuch'" devhsivn te kai; iJkethrivan (cfr. Eb 5, 7)
poihvswsi. Mavtaio" ga;r o[ntw" kai; ajnwfelh;" hJ proseuch; kai; hJ devhsi" kai; hJ iJkethriva
tugcavnei, o{tan mhv, wJ" proeivrhtai, ejn fovbw/ kai; ejn trovmw/ nhfalivw" te kai; ejgrhgorovtw"
diatelh'tai. Ei\ta ajnqrwvpw/ me;n basilei' prosercovmenov" ti", meta; fovbou kai; trovmou
kai; nhvyew", ou{tw" th;n devhsin ajpotelei': ouj pollw/' ma'llon Qew/' tw/' Despovth/ tw'n o{lwn,
kai; Cristw/' Basilei' tw'n basileuovntwn kai; “Arconti tw'n ajrcovntwn oJmoivw" parivsta-
sqai dei', kai; wJsauvtw" th;n devhsin kai; iJkethrivan poiei'sqai… (tr. it. in Evagrio Pontico.
Per conoscere lui, 174-175).
1882 Questa espressione o altre consimili ricorrono innumerevoli volte negli scritti
di Evagrio (cfr. ad esempio le note 1876, 1886).
La costruzione di un modello 583
demoniaca e intralcio principale sulla via della «gnosi»1883. In ogni caso,
ciascuno dei vizi incide negativamente sull’esperienza di preghiera come
per converso ogni virtù la favorisce, secondo quel che vediamo anche dal
singolare scritto in forma di catalogo I vizi opposti alle virtù1884. Ora,
l’azione dei demoni contrasta, per così dire, diametralmente l’attuazione
della «preghiera pura»: se questa è chiamata a un processo di anacoresi sen-
soriale che la svuoti completamente di ogni «immagine» (ei[dwlon), «rap-
presentazione» (novhma) o «ricordo» (mnhvmh) di persone e cose, al contrario
l’effetto dell’azione demoniaca consiste proprio nell’insinuare immagini,
rappresentazioni e ricordi che si affollano nell’intelletto dell’orante, fino
ad arrivare all’attacco fisico e alla fantasmagoria demoniaca illustrati dal
Pontico con particolari sconcertanti soprattutto nell’Antirretico1885.
Ma «colui che desidera vedere il volto del Padre che è nei cieli (Mt
6, 9)» – ammonisce Evagrio nei Capitoli sulla preghiera – «non cerchi
affatto di accogliere in sé forma o figura al momento della preghiera»1886.
Questa insidia della «rappresentazione» arriva a minare tramite il vizio
della vanagloria (kenodoxiva) perfino le espressioni più alte della «pre-
ghiera pura», «imprimendo all’intelletto la forma che vuole»1887. D’altra
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1883 Gnost. 5 (94): Pa'sai tw/' gnwstikw/' oJdopoiou'sin aiJ ajretaiv: uJpe;r de; pavsa" hJ
ajorghsiva. ÔO ga;r gnwvsew" ejfayavmeno" kai; pro;" ojrgh;n rJadivw" kinouvmeno", o{moiov"
ejsti tw/' sidhra/' perovnh/ tou;" eJautou' ojfqalmou;" katanuvttonti. Per un maggiore appro-
fondimento si veda Perrone 2010.
1884 Ad esempio, la lussuria (porneiva) è designata come «disonore della preghiera»
(eujch'" ejntrophv ), mentre la virtù contraria della castità (swfrosuvnh) è definita un «propo-
nimento di preghiera» (eujch'" gnwvmh). Si vedano anche gli effetti dell’ira, della concupi-
scenza e della gola in Lettere 4, 2: «Siimi dunque un messaggero dell’astinenza e del-
l’umiltà e un distruttore di pensieri e di ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di
Cristo (2Cor 10, 4-5), affinché, al momento della preghiera, l’intelletto di coloro che sono
dotati di queste cose abbia franchezza, non si sottometta e non si pieghi, né quando è scos-
so dall’ira, né quando è trascinato dalla concupiscenza. Queste cose accadono agli iracondi
e agli ingordi che non si trattengono di giorno e non sfuggono alle brutte immaginazioni
della notte» (Evagrio Pontico. Lettere dal deserto, 22).
1885 Specie per il demone della «tristezza» (luvph). Cfr. ad esempio Antirrh. IV, 53,
56 (Evagrio Pontico. Contro i pensieri malvagi. Antirrhetikos, 108-109).
1886 De orat. 114 (PG 79, 1192D): ∆Epipoqw'n ijdei'n to; provswpon tou' Patro;" tou'
ejn oujranoi'" , mh; zhvtei pantelw'" morfh;n h] sch'ma devcesqai ejn tw/' th'" proseuch'"
kairw/'. Si veda inoltre De orat. 117 (1193A): ∆Egw; to; ejmovn, tou'to ejrw' o} kai; ejn eJtevroi"
ei[rhka: Makavrio" oJ nou'", o}" kata; to;n kairo;n th'" proseuch'" teleivan ajmorfivan ejkthv-
sato (per la forma del testo si veda Hausherr 1960, 150-153).
1887 Ant. VII, 31 (534): «Contro il pensiero della vanagloria che si manifesta a noi
nello stato della preghiera pura, imprimendo all’intelletto la forma che vuole, nel momento
in cui questo è privo di rappresentazioni e di immagini e dandogli l’impressione di essere
in preghiera davanti alla divinità – capita così alla mente che è affetta dalla passione della
vanagloria e, nel tempo della preghiera, è condotta da quel demone là dove può essere vista
dai giovani e da molta gente» (Contro i pensieri malvagi. Antirrhetikos, 150). Cfr. anche
De orat. 116 (PG 79, 1193A): ∆Arch; plavnh", nou' kenodoxiva, ejx h|" kinouvmeno" oJ nou'",
ejn schvmati kai; morfai'" perigravfein peira'tai to; qei'on.
584 Parte seconda, Capitolo nono
parte, l’orazione può essere compromessa in maniera ancor più radicale,
allorché il vizio della superbia (uJperhfaniva) insinua nel cuore del monaco
che egli è capace di raggiungere da sé la mèta della perfezione, senza
aver bisogno di chiedere l’aiuto della grazia divina o il soccorso degli an-
geli1888. In realtà, non solo il successo della condotta ascetica ma la pre-
ghiera stessa è un dono di Dio e ciò è tanto più vero quanto più ci si av-
vicina allo stato della «preghiera pura»1889: dal punto di vista umano essa
è impossibile, ma diviene tale se Dio giunge in aiuto dell’uomo e questi
coopera con lui – secondo la bella espressione del trattato Ad Eulogio –
«appendendo la propria anima a Colui che dona l’orazione»1890. In questa
stessa luce si comprende l’importanza assegnata da Evagrio all’assistenza
degli angeli all’orante che mostra senza dubbio una linea di continuità di-
retta con Origene, forse più di quanto avvenga con il suo ampio discorso
demonologico. Secondo i Capitoli sulla preghiera, «quando interviene un
angelo, si dileguano immantinente tutti coloro che ci tribolano»1891. Del
resto, è proprio attraverso la «preghiera pura» che il monaco diventa
«uguale agli angeli»1892, in quanto arriva anch’egli a partecipare della
«gnosi» che contraddistingue la loro natura razionale1893.
––––––––––––––––––
1888 Prat. 46 (604) enuncia così l’effetto inibente dell’orgoglio: skopo;" de; touvtw/
tw/' daivmoni pau'sai hJma'" th'" proseuch'", i{na mh; stw'men ejnantivon Kurivou tou' Qeou'
hJmw'n, mhde; ta;" ceivra" ejktei'nai tolmhvswmen. Si osservi qui il cenno occasionale al gesto
delle mani alzate.
1889 L’indispensabilità della grazia è affermata nettamente dal Pontico in De vitiis 1
(1140B): to; de; pa'n hJ cavri" a[nwqen, hJ kai; toi'" ajmartwloi'" uJpodeiknuvousa ta;" tw'n
frenapatw'n ejpiboulav", hJ kai; ajsfalizomevnh kai; levgousa: tiv ga;r e[cei" a} oujk e[labe"…
(1Cor, 4, 7). Si veda anche De octo spir. 18 (PG 79, 1164B): Eij" u{yo" ajnevbh" politeiva",
ajll∆ ejkei'no" wJdhvghsen: katovrqwsa" ajrethvn, ajll∆ ejkei'no" ejnhvrghsen.
1890 Ad Eul. 29 (PG 79, 1132C): tw'/ th'" eujch'" doth'ri th;n yuch;n ajpokrhmnw'n.
Evagrio si riferisce al comportamento adottato da un fratello che durante la notte provava
delle fantasie demoniache molto penose. Anche Ad Eul. 30 (PG 79, 1133C) invita a rico-
noscere il dono della grazia per la «preghiera pura»: “Estin o{te biazovmeqa kaqara;n th;n
eujch;n poih'sai, kai; i[sw" ouj dunavmeqa. “Esti de; kai; pavlin o{te, ouj biazomevnwn hJmw'n,
kaqara/' th/' proseuch/' hJ yuch; ejggivnetai, o{ti to; me;n th'" hJmw'n ajsqeneiva", to; de; th'"
a[nwqen cavrito" ejkkaloumevnh" hJma'" ejpanelqei'n eij" th;n th'" yuch'" kaqarovthta, a{ma
de; kai; di∆ ajmfotevrwn paideuouvsh" hJma'" mh; eJautoi'" ajpodidovnai ejn tw/' proseuvcesqai,
ajll∆ ejpiginwvskein to;n dwrouvmenon. To; ga;r tiv proseuxovmeqa kaq∆o} dei', oujk oi[damen
(Rm 8, 26).
1891 De orat. 30 (PG 79, 1173B): ∆Epistavnto" ajggevlou ajqrovon a{pante" ajfivstantai
oiJ ejnoclou'nte" hJmi'n, kai; euJrivsketai oJ nou'" ejn pollh/' ajnevsei, uJgiw'" proseucovmeno".
1892 De orat. 113 (PG 79, 1191D): ∆Isavggelo" givnetai monaco;" dia; th'" ajlhqou'"
proseuch'". Si noti l’affinità d’idee con Clemente Alessandrino, Strom. VII, 12, 78, 6 (no-
ta 1697).
1893 Cfr. De orat. 76 (nota 1844); 80 (nota 1853). Questo punto è sviscerato da
Hausherr 1960, 48-49 con l’appoggio di numerosi luoghi dei Keph. Gnost.: «les Anges
sont des natures raisonnables en qui il y a une surabondance de gnose, comme dans les
démons un excès de colère, et dans les hommes une prédominance de désir [KG I, 68].
Leur rôle sera donc d’aider les hommes sur le chemin de la vertu et de la contemplation
La costruzione di un modello 585
In tal modo torniamo ad intravedere l’elemento più significativo
della dottrina di Evagrio sulla preghiera, quello che di primo acchito tende
a distinguerlo nettamente dai suoi predecessori: superati tutti gli ostacoli
sul cammino spirituale, l’orazione nella sua forma più alta è un atto di
conoscenza o meglio, per usare una calzante formulazione del Pontico, è
un atto eminentemente «teologico» 1894. Il suo scopo supremo è infatti la
visione di Dio mediante la pura contemplazione di lui, oltrepassando la
gnosi inferiore – che si applica ancora al mondo degli esseri creati, visti
però nella luce della sapienza divina – per indirizzarsi a Dio stesso, alla
Trinità, attraverso lo specchio senza figura e senza forma dell’intelletto,
sia pure illuminato dalla luce divina al momento della preghiera. Non è
fuori luogo parlare a questo proposito di una «mistica intellettualistica»,
aliena come in Origene da ogni deriva estatica, quale esito finale dell’ora-
zione, senza però ignorare la cornice del pensiero eucologico di Evagrio
che abbiamo abbozzato sommariamente. Se la si tiene presente in tutta la
sua complessità, si arriva a comprendere come la sua visuale si nutra di
radici bibliche e monastiche perfino nel momento in cui sembra essere più
esposta ad una considerazione «filosofica». In effetti, il trascendimento
sensoriale che si cura di fare il vuoto di ogni rappresentazione perviene
allo svelamento dell’intelletto e al recupero della sua vocazione «naturale»
alla conoscenza di Dio. Come abbiamo detto all’inizio, è vero che con ciò
Evagrio elabora una nuova concettualità, a partire da uno schema di pen-
siero che è marcato in profondità dall’ipotesi origenista della preesistenza
degli intelletti. Ma nella stessa prospettiva del Pontico sull’intellet-
to orante non si può trascurare il fatto che con essa, al pari di Origene, si
sforza di declinare speculativamente l’insegnamento biblico sull’uomo in
quanto «immagine di Dio». Come nell’Alessandrino, dunque, la natura
razionale partecipa in se stessa del Logos divino ed è per questo tramite
che essa giunge a conoscere Dio1895. Benché si possa discutere sull’effet-
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[KG III, 46]. Et ils le peuvent excellemment, parce que cette contemplation est leur nourri-
ture continuelle [KG III, 4], et qu’ils connaissent bien tous ceux auxquels s’étend leur mi-
nistère [KG II , 30]».
1894 De orat. 61 (PG 79, 1179B): Eij qeolovgo" ei\, proseuvxh/ ajlhqw'", kai; eij ajlh-
qw'" proseuvxh/, qeolovgo" ei\. Peraltro, Evagrio in De orat. 18 (1172A) esorta anche ad
essere «filosofo per la preghiera» (uJpe;r proseuch'" filosovfei). Si veda il commento di
Bettiolo, 56: «Divenuto filosofo, amico della Sapienza, di quella Sapienza che è e genera
amicizia; posto nell’amicizia di tutti, allora il credente è dedito alla preghiera, prega». Cfr.
anche de Andia.
1895 Secondo Hausherr 1960, 145-146, l’intelletto è organo della conoscenza di Dio
in quanto «deificato»: «Voir Dieu, non plus dans les êtres inférieurs, marqués au sceau de
la sagesse divine, mais dans l’être-image de la nature divine elle-même: l’intellect déifié.
[...] Image de Dieu, temple de Dieu, lieu de Dieu, dieu par grâce, l’intellect pur est tout
cela. Devenu voyant de lui-même, de son état propre, il est du même coup contemplateur
de Dieu».
586 Parte seconda, Capitolo nono
tiva articolazione trinitaria di questa mistica della preghiera1896, anche
l’esperienza della luce – che secondo Evagrio si manifesta all’intelletto
nello stato della «preghiera pura» come espressione della presenza divi-
na – rimanda sia a paradigmi scritturistici sia alla prassi orante del mona-
chesimo del deserto, in alcuni dei suoi protagonisti che Evagrio aveva co-
nosciuto personalmente1897.
Al termine di questa presentazione della dottrina evagriana, constatia-
mo che la nostra analisi si è sviluppata per gran parte in un continuo con-
trappunto fra il Pontico e l’Alessandrino. Esso dovrebbe aver dimostrato
a sufficienza, sebbene in maniera necessariamente rapida, la sostanziale
continuità di Evagrio con Origene su una serie di aspetti importanti, ridi-
mensionando le impressioni di strade diversificate percorse dai due autori.
Nonostante ciò essi si distinguono nettamente l’uno dall’altro, nel senso
che ciascuno descrive un’immagine fortemente connotata della preghiera,
in relazione alla diversa fisionomia intellettuale ed ai rispettivi orizzonti
spirituali. Questo implica anche che la singolare grandezza di Evagrio ri-
fulge di luce propria. Egli ha saputo elaborare la sua visione peculiare,
facendo tesoro anche di altri maestri ed eredità dottrinali, pur mantenendo
un dialogo più o meno sotterraneo con Origene. All’accento intensamente
biblico del discorso dell’Alessandrino subentra così nel Pontico un di-
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1896 A giudizio di Hausherr 1960, 98 non si può parlare di un dinamismo trinitario
nell’ascesa dell’intelletto a Dio: «ni le Père en tant que Père, ni le Fils en tant que Fils, ni
surtout le Saint-Esprit ne jouent un rôle appréciable dans la montée de l’intellect. “Sainte
Trinité” n’est que l’appellation chrétienne de la Divinité, de la “Monade”. Le De oratione,
par là encore, garde la marque de son auteur. Malgré la théologie qui en est le but su-
prême, la mystique évagrienne reste plus philosophique que théologique, au moins au
sens trinitaire». Invece per Fagerberg, 121, «participation in the life of the Trinity is the
ultimate goal of ascetical prayer. This is not knowledge about God, it is experiential
knowledge of the Trinity made possible by the Son’s revelation of the Father and made
available by the Holy Spirit’s indwelling in us as God’s temple». Ma questo schema in-
terpretativo appare poco aderente ai testi di Evagrio. Più equilibrata è l’interpretazione di
Stewart 2001, 192, che ricapitola così l’iniziativa divina e angelica a sostegno della «pre-
ghiera pura»: «God draws near to accompany the one who prays and provides the gift of
prayer, enlightening the mind with God’s own noêma. Angels protect the one who prays
while teaching true prayer. The Holy Spirit comes upon the mind in an act of divine visit-
ation (ejpifoitavw) to banish the crowd of thoughts and depictions, and to stir an erôs for
spiritual prayer. That same erôs takes the one purified of disordered passion (ajpaqhv") to
the “heights” of prayer, for pure prayer is fueled by desire».
1897 Stewart 2001, 195, nota la matrice biblica (Es e Ez) del motivo evagriano del
«luogo di Dio», riferito allo stato della «preghiera pura» e della visione in essa della luce.
Su quest’ultimo motivo, che riveste cruciale importanza per la mistica evagriana, si veda
la finissima analisi di Bettiolo (Evagrio Pontico. Per conoscere lui, 228-235): «La luce
dell’intelletto è quindi la luce del Cristo, che è a sua volta, a motivo del Verbo che è in lui,
luce della Divinità stessa, luce di quel Padre che abita la luce inaccessibile, che il Verbo
fatto carne e lo Spirito da lui donato fanno risplendere nell’intelletto, che ne è capace»
(pp. 233-234).
La costruzione di un modello 587
scorso ascetico, che è espresso mediante un nuovo linguaggio maturato
da un ricco corredo filosofico e teologico a contatto con l’assoluta novità
dell’esperienza monastica. Monaco, esegeta, filosofo, teologo, direttore
spirituale: tutte queste diverse sfaccettature dell’eccezionale personalità
di Evagrio hanno concorso in lui a disegnare lo statuto della preghiera
come esperienza «pratica» e «gnostica», legando così la prassi orante nella
vita quotidiana dei monaci ai suoi traguardi contemplativi più alti e pro-
blematici. Anche in forza di tale sintesi, il suo modello della «preghiera
pura» sarà destinato ad una ricca fortuna: in occidente con Cassiano ed in
oriente con gli autori spirituali siriaci oltre che nel mondo bizantino sotto
le mentite spoglie di Nilo di Ancira.

7. Gregorio di Nissa: la preghiera come confessione della creaturalità e


memoria della patria celeste

Gregorio di Nissa (ca. 335-394) offre a sua volta un importante ter-


mine di confronto, non solo per essere stato fra gli esponenti più autore-
voli della tradizione origeniana nell’ambiente greco di fine IV secolo, ma
soprattutto in quanto è autore di cinque Omelie sul Padrenostro che si
possono accostare alla spiegazione dell’Alessandrino1898. Va subito ag-
giunto però che anche nel suo caso, come in Evagrio, la continuità con
Origene si manifesta entro una piena autonomia di linguaggio e di con-
cetti, che conduce il Nisseno a risultati sensibilmente diversi. Tale diver-
sità è determinata non solo dal genere letterario del sermone, che sembra
rinviare ad un uditorio dal profilo religioso non particolarmente elevato,
almeno a giudicare dalle condotte di vita rievocate ripetutamente da Gre-
gorio e oggetto della sua vigorosa denuncia1899. Oltre a ciò, si deve pren-
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1898 PG 44, 1120-1193; Gregorii Nysseni De oratione dominica, ed. Callahan. La
datazione è incerta: Rordorf 1977, 198, le colloca intorno al 371; invece Alexandre 2008
tende a porle prima del concilio del 381, se non subito dopo, basandosi sulla polemica con
gli pneumatochi nell’esegesi della seconda petizione: «On pourrait donc inscrire ce pas-
sage et les Homélies dans leur ensemble, plutôt que dans les premiers débats, vers 374-
377, entre Basile et Eustathe de Sébaste, dans la période qui a précédé et suivi le Concile
de Constantinople de 381, parmi les petits traités trinitaires, dans l’élaboration du Contre
Eunome et de la Réfutation de la profession de foi d’Eunome» (p. 181; cfr. anche Lozza,
211, nota 2). Propendono per il 385 Caldarelli, Gregorio di Nissa. La preghiera del Signo-
re, 17 e Ayroulet, 199.
1899 Un tentativo per metterlo in luce è stato fatto da Brown 2008, che propende per
un pubblico composto dal ceto medio: «Such rhetoric would not be suitable for a congre-
gation of peasants, since their material interests could have scarcely gone beyond that of
subsistence. By contrast, it would not have been suitable as well for a congregation of
elites, for whom material acquisition was not such an overt preoccupation. Gregory’s com-
ments appear most appropriate to that “middling” group, merchants and the like, whose
livelihood depended most directly on one’s own initiative» (p. 104).
588 Parte seconda, Capitolo nono
dere atto che il Nisseno – conformemente alla tendenza del suo origeni-
smo moderato – stempera a tratti lo spiritualismo del modello di orazione
elaborato dall’Alessandrino, sia pure introducendo di suo altri elementi di
riflessione che concorrono ugualmente a sostenere il paradigma della «pre-
ghiera spirituale»1900. La nostra analisi, più che indirizzarsi all’interpreta-
zione delle singole petizioni del Padrenostro, prenderà in considerazione
principalmente questi nuclei di pensiero, per mostrare come Gregorio di
Nissa pervenga anch’egli a tracciare un’immagine alta della preghiera,
della sua ragion d’essere e delle sue modalità, andando ben al di là delle
aspettative a prima vista assai più limitate del suo pubblico.
L’urgenza da cui muove la riflessione del Nisseno è anzitutto di na-
tura pastorale: non si tratta per lui di giustificare la preghiera in rapporto
a difficoltà teoriche come quelle con cui Origene si misura nel trattato,
bensì d’inculcare la sua indispensabilità per quanti la trascurano, consi-
derandola un’opera superflua o una perdita di tempo, incalzati come sono
dalle loro attività alla ricerca di un benessere meramente materiale. Criti-
cando tali comportamenti, Gregorio suggerisce dapprima l’idea della pre-
ghiera come «concorso» o «sostegno» divino (summaciva) nello sforzo ri-
chiesto per il successo delle proprie azioni1901. Potrebbe sembrare una con-
cezione utilitaristica della preghiera (anche se ovviamente il Nisseno non
può non condividere l’idea della sua efficacia), ma in realtà il richiamo
alla necessità della preghiera poggia sulla convinzione che solo mediante
essa l’uomo prende coscienza della sua posizione nel mondo. Ricorrere
alla preghiera nell’agire quotidiano gli rammenta infatti la propria condi-
zione di creatura, dipendente dall’iniziativa divina che gli ha fatto dono
della vita terrena e lo assiste con la sua provvidenza. Mai forse come nel
Nisseno vediamo profilarsi con più lucidità la prospettiva della preghiera
come confessione della creaturalità1902, tanto più che questa – come appare
dalla spiegazione della seconda domanda del Padrenostro – è segnata
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1900 Sui limiti dell’origenismo di Gregorio alla luce di De or. dom. si veda, in par-
ticolare, Meredith. Quanto alla variante marcionita di Lc 11, 2 (ejlqevtw to; pneu'ma sou to;
a{gion kai; kaqarisavtw hJma'") in De or. dom. III, condivisa anche da Evagrio, si veda su-
pra, nota 1859.
1901 De or. dom. I (6, 19-23): Oi[etai ga;r oJ me;n th;n tevcnhn metiw;n ajrgovn ti crh'ma
kai; a[prakton ei\nai th;n qeivan pro;" to; prokeivmenon summacivan: dio; katalipw;n th;n
eujch;n ejn tai'" cersi; ta;" ejlpivda" tivqetai, ajmnhmonw'n tou' dedwkovto" ta;" cei'ra". Sul
concetto di summaciva, associato a quello di sunergiva, per significare il sostegno divino,
cfr. anche De or. dom. III (33, 27), dove Gregorio risolve un’obiezione fittizia, secondo
cui le parole dei Salmi sarebbero meglio indicate del Padrenostro per chi è alle prese con
il combattimento spirituale.
1902 Questo tema è messo in luce da Penati Bernardini, 174: «l’eujchv è “memoria di
Dio” (or. I, p. 8,1) e perciò memoria dell’uomo e della sua verità; la necessità del pregare
è, innanzi tutto, la necessità per l’essere umano di riconoscere la sua povertà ontologica
radicale, la sua dipendenza totale dal Creatore e, per questo, il suo stato di mendicanza».
La costruzione di un modello 589
dalle conseguenze del peccato di Adamo, il quale ha reso la natura umana
«debole rispetto al bene»1903. Astenersi dal pregare significa staccarsi
dalla comunione con Dio, venendo meno così alla verità ontologica del-
l’essere creatura sempre bisognosa del suo aiuto; al contrario, il fatto di
pregare riporta la «memoria» di Dio nel cuore dell’esistenza e l’allontana
dalla presa del Maligno1904. Abbattendo la pretesa di autosufficienza del-
l’uomo, la preghiera lo apre al riconoscimento dei doni di Dio che si espri-
me nel ringraziamento per la sua bontà. Se per Gregorio l’uomo è costi-
tutivamente un animal orans, il rendimento di grazie è l’estrinsecazione
più naturale della sua vocazione orante: davanti all’opera della provviden-
za e della redenzione, per chi sa guardare al creato e alla storia del mondo
nella luce di Dio, tutta la vita dell’uomo dovrebbe manifestare un continuo
ringraziamento, pur non potendo esso mai compensare adeguatamente i
benefici ricevuti1905.
Ciò non significa che la preghiera si risolva per il Nisseno nel ringra-
ziamento, perché lungo tutto il suo discorso egli mostra di voler operare
con una nozione che ne focalizza con Origene il senso primario nella «do-
manda», privilegiando anche lui il termine proseuchv rispetto ad eujchv,
inteso analogamente all’Alessandrino nel significato di «voto»1906. Sem-
mai si diversifica da questi per il fatto che la richiesta rappresentata dalla
proseuchv (e assimilata non solo con ai[thsi" ma anche con e[nteuxi")
deve raccordarsi secondo Gregorio con l’eujchv quale sua necessaria pre-
messa. In tal modo l’atto orante viene ad essere scandito, per così dire, in
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1903 De or. dom. IV (47, 15): Dia; tiv de; th;n para; tou' Qeou' genevsqai th;n ajgaqh;n
hJmi'n proaivresin ejpeucovmeqa… o{ti ajsqenh;" hJ ajnqrwpivnh fuvsi" pro;" to; ajgaqovn ejstin,
a{pax dia; kakiva" ejkneurisqei'sa. Il motivo della «fragilità» costitutiva dell’uomo richia-
ma naturalmente l’elaborazione origeniana in chiave agonica del tema dell’ajsqevneia
(supra, pp. 62-66).
1904 De or. dom. I (8, 13-18): Cwrivzetai de; tou' Qeou' oJ mh; sunavptwn eJauto;n dia;
proseuch'" tw/' Qew/'. [...] ∆Ek ga;r tou' proseuvcesqai perigivnetai to; meta; Qeou' ei\nai. ÔO
de; meta; Qeou' w]n tou' ajntikeimevnou kecwvristai.
1905 Anche unendo preghiera e ringraziamento tutta la vita, non potremmo ricam-
biare adeguatamente il dono di Dio (De or. dom. I [9, 20-21]): pavsh/ th/' zwh/' th;n pro;" to;n
Qeo;n oJmilivan sumparateivnwmen eujcaristou'nte" kai; proseucovmenoi). Tanto più grave
appare l’inadeguatezza del «ricordo di Dio» nella vita quotidiana (10, 11-14): ÔHmei'" de;
tosou'ton th'" kata; duvnamin eujcaristiva" ajpoleipovmenoi, oujde; peri; to; dunato;n eujgnw-
monou'men, ouj levgw pa'san hJmevran, ajll∆ oujde; pollosto;n th'" hJmevra" th/' kata; qeo;n ajpo-
klhrou'nte" scolh/'. Come interpreta finemente Penati Bernardini, 176, «la preghiera come
eujcaristiva è per Gregorio liberazione del tempo dell’uomo dal “desiderio del più” che
aliena la memoria e la speranza, presenti nell’istante, nella cura delle realtà sensibili, fonti
di inesauribile frustrazione. È la preghiera come ringraziamento che instaura la memoria
di Dio nel cuore dell’uomo».
1906 De or. dom. II (21, 19-22): Tiv" de; hJ tw'n ojnomavtwn diaforav… ”Oti eujch; mevn
ejstin ejpaggeliva tino;" tw'n kat∆ eujsevbeian ajfieroumevnwn: proseuch; de; ai[thsi" ajga-
qw'n meta; iJkethriva" prosagomevnh qew/'.
590 Parte seconda, Capitolo nono
due tempi: un impegno personale preventivo (con «oblazione» conseguen-
te) e la domanda vera e propria. Ciò avviene presumibilmente nell’intento
di rafforzare la «franchezza» (parjrJhsiva) dell’orante nella formulazione
della sua domanda a Dio1907. Questa impressione sembra confermata dal-
l’ardita interpretazione della quinta petizione, dove il Nisseno arriva a dire
che partecipando con il perdono delle offese di una facoltà propria di Dio –
il solo che può rimettere i peccati –, ci è dato con ciò anche il potere di
«vincolare» lui nei nostri riguardi1908. Infatti, dopo avere mostrato nei fatti
la sua condotta conforme al volere di Dio, l’orante ha titolo a formulare
l’audace preghiera: «Imita il tuo servo, o Signore, il povero e il misero, o
Sovrano dell’universo»1909.
In ogni caso, nella prima omelia che funge da introduzione alla spie-
gazione del Padrenostro, la proseuchv così concepita è oggetto di un vero
e proprio encomio, che mostra le più svariate applicazioni della preghiera
ad attestazione del fatto che «nulla è più eccelso dell’orazione fra le cose
della vita meritevoli di onore»1910. L’elogio, costruito con un abile accu-
mulo retorico di definizioni, è imperniato sull’idea dell’efficacia delle
domande rivolte a Dio nelle più diverse situazioni, a riprova del valore
universale della preghiera nella vita degli uomini, non senza richiamare
alla mente le lodi della preghiera che abbiamo incontrato in Tertulliano o
in Afraate se non, sotto il profilo letterario, le definizioni contenute nei ca-
taloghi di vizi e virtù in Evagrio1911. Con quest’ultimo il Nisseno sembra
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1907 De or. dom. II (22, 2-6): Kai; pollacou' th'" Grafh'" th;n toiauvthn e[stin ijdei'n
th'" eujch'" shmasivan, w{ste gnw'nai hJma'", o{ti eujch; mevn ejsti, kaqw;" ei[rhtai, caristhv-
rio" dwroforiva" ejpaggeliva: hJ de; proseuch;, th;n meta; th;n ejkplhvrwsin th'" ejpaggeliva"
tw/' qew/' ginomevnhn provsodon diermhneuvei. Per l’assimilazione con e[nteuxi" cfr. ibi (22,
13-15): ÔW" ou\n oujk ejsomevnh" ejn parjrh J siva/ th'" ejnteuvxew", eij mh; ejpi; prolhfqeivsh/ eujch/'
tini kai; dwroforiva/ hJ provsodo" gevnoito, ajnagkaivw" hJ eujch; th'" proseuch'" prohghvse-
tai. Meredith, 347 constata il raccordo senza chiedersi il perché di tale nesso. Secondo
Ayroulet, 212 la parjrJhsiva è per il Nisseno la sintesi dello spirito del Padrenostro.
1908 De or. dom. V (59, 11-13): Tiv ou\n didavskei oJ lovgo"… prw'ton dia; tw'n e[rgwn
th;n parjrJhsivan labei'n kai; ou{tw" ajmnhstivan uJpe;r tw'n tovte plhmmelhqevntwn aijtei'n.
1909 De or. dom. V (61, 20-24): kaqavper ejn hJmi'n to; ajgaqo;n ejpitelei'tai th/' pro;" to;
qei'on mimhvsei, ou{tw" ejlpivsai mimei'sqai to;n qeo;n ta; hJmevtera, o{tan ti tw'n ajgaqw'n ka-
torqwvswmen, i{na ei[ph/" kai; su; tw/' qew/' o{ti, ’O ejgw; pepoivhka kai; su; poivhson: mivmhsai
to;n dou'lon oJ kuvrio", to;n ptwco;n kai; pevnhta oJ tou' panto;" basileuvwn.
1910 De or. dom. I (9, 10-13): Kai; muriva pro;" touvtoi" e[stin euJrei'n ejk tw'n h[dh
gegenhmevnwn ta; uJpodievgmata di∆ w|n fanero;n givnetai to; mhde;n th'" proseuch'" ei\nai
tw'n kata; th;n zwh;n timivwn ajnwvteron.
1911 Esso si dispone, per così dire, in sei strofe, l’ultima delle quali richiama i
paradigmi biblici (De or. dom. I [8, 18-9, 10]):
Proseuch; swfrosuvnh" ejsti; fulakthvrion, fqovnou kaqaivresi",
qumou' paidagwgiva, ajdikiva" ajnaivresi",
tuvfou katastolhv, ajsebeiva" ejpanovrqwsi".
mnhsikakiva" kaqavrsion,
La costruzione di un modello 591
voler condividere, in particolare, il tema della rilevanza «pratica» dell’ora-
zione nel frenare le passioni e attuare le virtù, mentre guardando oltre gli
effetti della preghiera nella vita personale e collettiva lascia intravedere
anch’egli il suo esito contemplativo definendo la proseuchv come «visio-
ne delle realtà invisibili» (tw'n ajoravtwn qewriva). Ciò avviene sull’onda
del suo riconoscimento come oJmiliva, che accomuna Gregorio a Clemente
Alessandrino e ad Evagrio1912.
D’altra parte, come chiarisce fin dal primo sermone l’interpretazione
della vana «chiacchiera» (battologevw ) condannata da Mt 6, 7, Gregorio
mette in guardia da un uso deformato della preghiera di domanda, questa
volta sì riflesso di un concetto grettamente utilitaristico, che la piega a ot-
tenere da Dio vantaggi di ordine materiale o addirittura il danno dei propri
nemici. Anche se la Scrittura contiene preghiere che a prima vista auspi-
cano la rovina degli avversari, la loro interpretazione corretta fa compren-
dere che Dio non persegue mai l’estinzione dei malvagi, bensì la distru-
zione del male. Quanto al fatto che egli esaudisce richieste di piccoli beni
materiali, ciò avviene sempre all’interno di un disegno pedagogico, per
cui l’uomo è chiamato ad innalzarsi gradualmente a beni più elevati rivol-
––––––––––––––––––

Proseuch; swmavtwn ejsti;n ijscuv", Proseuch; qeou' oJmiliva,


oijkiva" eujqhniva, tw'n ajoravtwn qewriva,
povlew" eujnomiva, tw'n ejpiqumoumevnwn plhroforiva,
basileiva" kravto", tw'n ajggevlwn oJmotimiva,
polevmou trovpaion, tw'n kalw'n prokophv,
eijrhvnh" ajsfavleia, tw'n kakw'n ajpotrophv,
tw'n diestwvtwn sunagwghv, tw'n aJmartanomevnwn diovrqwsi",
tw'n sunestwvtwn diamonhv. tw'n parovntwn ajpovlausi",
tw'n ejlpizomevnwn uJpovstasi".
Proseuch; parqeniva" ejsti; sfragiv",
gavmou pivsti", Proseuch; tw/' me;n ∆Iwna'/ to; kh'to" oi\kon
oJdoipovrwn o{plon, ejpoivhse (Gio 2):
koimwmevnwn fuvlax, to;n de; ÔEzekivan ejk tw'n pulw'n tou' qanav-
ejgrhgorovtwn qavrso", tou pro;" th;n zwh;n ejpanhvgagen (Is 38;
gewrgw'n eujforiva, 2Re 20, 5-6):
nautillomevnwn swthriva. toi'" de; trisi; nevoi" eij" pneu'ma drosw'de"
th;n flovga e[treyen (Dn 3, 50):
Proseuch; krinomevnwn sunhvgoro", kai; toi'" ∆Israhlivtai" kata; tw'n ∆Amaleki-
dedemevnwn a[nesi", tw'n ajnevsthse trovpaion (Es 17, 11):
kekmhkovtwn ajnavpausi", kai; ta;" eJkato;n ojgdohvkonta kai; pevnte tw'n
lupoumevnwn paramuqiva, ∆Assurivwn ciliavda" mia/' nukti; th/' ajorav-
cairovntwn qumhdiva, tw/ rJomfaiva/ katevstwsen (2Re 19, 35).
penqouvntwn paravklhsi",
gamouvntwn stevfano",
geneqlivwn eJorthv,
ajpoqnhskovntwn ejntavfion.

1912 De or. dom. I [8, 30]: proseuch; qeou' oJmiliva.


592 Parte seconda, Capitolo nono
gendo a Dio domande di tal fatta 1913. Non è casuale che il Nisseno rafforzi
questa indicazione introducendo nella seconda omelia, all’inizio della
spiegazione del Padrenostro, il motivo della preghiera come «ascensione»
(ajnavbasi") a Dio, dopo averla già profilata come «colloquio» (oJmiliva)
con lui, secondo le due definizioni più ricorrenti nel pensiero antico e atte-
state ugualmente da Evagrio1914. Un’«anabasi» siffatta sarebbe comunque
richiesta per poter pronunciare con cognizione di causa il nome «Padre»,
muovendo con un itinerarium mentis in Deum dall’ordine del creato e dai
nomi divini che manifestano le operazioni benefiche di Dio in esso fino
alla gloria della sua natura trascendente ed immutabile1915. In altri termini,
riallacciandosi autonomamente ad un’esigenza espressa da Origene, Gre-
gorio ritiene necessario un «atto teologico» come condizione preventiva
per comprendere la portata della Preghiera del Signore: prima di recitare
le parole del Padrenostro, occorre acquisire la giusta nozione di Dio. Come
non è possibile pronunciare l’invocazione «Padre» partendo da una pre-
comprensione falsa del suo essere, allo stesso modo è impensabile farlo
se la nostra condotta contraddice la condizione di suoi «figli» autentici.
Così Gregorio, analogamente ad Origene, trapassa all’implicazione morale
contenuta nella preghiera di Gesù, che ci chiama a vivere una vita etica-
mente e spiritualmente impegnata1916.
Ma il Nisseno non si accontenta di questa spiegazione largamente
attestata nei commentatori precedenti oltre che nell’Alessandrino; si sforza
perciò di offrire un’interpretazione «più profonda» che fa emergere la se-
conda idea-guida della sua riflessione1917. Sollecitato dall’invocazione al
«Padre» che è «nei cieli», egli associa alla preghiera di Gesù la parabola
––––––––––––––––––
1913 De or. dom. I (18, 2-5): kat∆ ojlivgon ejn tai'" mikrotevrai" tw'n aijthvsewn to;
ejpakouvein to;n Qeo;n tw'n iJkesiw'n th/' peivra/ manqavnonte" ajnevlqoimevn pote pro;" th;n tw'n
uJyhlw'n te kai; qeoprepw'n dwrhmavtwn ejpiqumivan.
1914 De or. dom. II (21, 11-14): Au{th ga;r tw'n rJhmavtwn hJ duvnami", di∆ w|n oujci; fw-
nav" tina" ejn sullabai'" ejkfwnoumevna" manqavnomen ajll∆ ejpivnoian th'" pro;" to;n qeo;n
ajnabavsew" di∆ uJyhlh'" politeiva" katwrqwmevnhn. L’idea è già insinuata dal proemio
della seconda omelia, dove Gregorio interpreta allegoricamente l’ascensione di Mosè sul
Sinai e la “mistagogia” a cui il profeta introduce il popolo d’Israele. Quanto al motivo
della preghiera come oJmiliva (cfr. nota 1912), esso ritorna nel terzo sermone (De or. dom.
III [31, 18]: oujc e{na tou' panto;" ajpokrivna" movnon eij" oJmilivan a[gei Qew/'). Per l’affinità
con Evagrio, cfr. supra, p. 568.
1915 In orat. dom. II (23, 6-11): w{ste pavntwn tw'n ajlloioumevnwn te kai; meqista-
mevnwn povrrw th'/ dianoiva/ genovmenon ejn ajtrevptw/ te kai; ajklinei' th/' th'" yuch'" katastav-
sei to;n a[treptovn te kai; ajnalloivwton dia; th'" gnwvmh" provteron oijkeiwvsasqai, eijq∆
ou{tw th/' oijkeiotavth/ proshgoriva/ ejpikalevsasqai kai; eijpei'n, Pavter.
1916 In orat. dom. II (25, 9-11): ”Otan toivnun Patevra to;n Qeo;n levgein hJma'" ejn
th/' proseuch/' didavskh/ oJ Kuvrio", oujde;n e{terovn moi dokei' poiei'n, h] to;n uJyhlovn te kai;
ejphrmevnon nomoqetei'n bivon.
1917 Gregorio insiste più volte sulla necessità di un’ermeneutica spirituale, anche
per evitare il rischio di recitare una preghiera trita. Cfr. In orat. dom. II (26, 20-22): ∆All∆
La costruzione di un modello 593
evangelica del figliol prodigo, letta come raffigurazione emblematica della
condizione dell’uomo nella vita terrena. In tal modo la preghiera diviene
anamnesi della patria celeste, perduta in seguito al peccato di Adamo, e
ritorno anticipato alla casa del Padre, di cui il Padrenostro alimenta la no-
stalgia e il desiderio1918. È evidente qui l’affinità ideale con la visuale di
Agostino, come avremo occasione di verificare tra breve, che si spiega
bene in entrambi gli autori a partire dalle comuni premesse del platonismo
cristiano, senza che Gregorio debba dipendere qui dalla dottrina “origeni-
sta” della preesistenza1919. Ora, il richiamo alla patria celeste contiene per
il Nisseno anche l’indicazione della via attraverso la quale ritornare al Pa-
dre: mediante l’abbandono del male e l’«assimilazione» a lui, che restaura
l’immagine divina nell’uomo attuando pienamente la sua «somiglianza»
con Dio1920. Si coglie qui il cuore dell’esegesi della Preghiera nel Signore,
che si preciserà con maggior nettezza nel commento della quinta petizio-
ne. Prima di esso Gregorio fornisce una spiegazione letterale della quarta
petizione, che tuttavia ha per lui un valore dinamico: la richiesta del solo
pane quotidiano traduce lo sforzo di attuare, per quanto possibile, nella
vita terrena una condizione simile a quella delle creature angeliche im-
muni dal condizionamento dei moti passionali. Pertanto, il fatto che il Nis-
seno adottando un’interpretazione letterale del pane ejpiouvsio" si discosti
apertamente da Origene, non comporta affatto il ridimensionamento del
modello di preghiera spirituale tracciato da Gregorio in notevole misura
sullo sfondo di quello elaborato dall’Alessandrino1921. Se solo la mimèsi
––––––––––––––––––
ajkouvswmen pavlin tw'n th'" proseuch'" rJhmavtwn, ei[ ti" a{ra gevnoito hJmi'n tw'n krufivwn
tou' nou' katanovhsi" dia; th'" sunecestevra" ejpanalhvyew".
1918 In orat. dom. II (27, 27–28, 2): ou{tw kai; ejntau'qa dokei' moi didavskwn oJ Kuv-
rio" to;n ejn toi'" oujranoi'" ejpikalei'sqai Patevra, mnhvmhn soi poiei'n th'" ajgaqh'" pa-
trivdo", wJ" a]n ejpiqumivan sfodrotevran tw'n kalw'n ejmpoihvsa", ejpisthvseiev se th/' oJdw/' th/'
pro;" th;n patrivda pavlin ejpanagouvsh/.
1919 Sull’impronta platonica e plotiniana si veda Penati Bernardini, 177: «Gregorio
non fa che accogliere e far propria la saggezza della tradizione platonica tanto che l’in-
terpretazione della parabola del figliol prodigo, che illustra la dinamica della vita virtuosa,
risulta impregnata di echi platonici e, soprattutto, plotiniani». Meno convincente è l’inter-
pretazione di Meredith, 348, per il quale da un lato Gregorio si distaccherebbe da Origene
offrendo «an unusual non-Origenist [...] application» della parabola in nesso con il Padre-
nostro, dall’altro «Gregory’s treatment also raises the intriguing possibility that despite
his disclaimers elsewhere he may have believed in the pre-existence of souls».
1920 In orat. dom. II (28, 23-29, 1): Prostavxa" toivnun ejn th/' proseuch/' levgein Pa-
tevra eJautou' to;n Qeovn, oujde;n e{teron h] oJmoiou'sqaiv se th/' qeoprepei' politeiva/ tw/' oujra-
nivw/ keleuvei Patriv.
1921 Secondo Penati Bernardini, 178-179, «l’interpretazione del “pane quotidiano”
è uno dei pochi punti su cui Gregorio si dissocia dall’esegesi di Origene, che intende l’ag-
gettivo ejpiouvsio" come derivante da oujsiva e che ritiene l’interpretazione del pane in
senso letterale un “errore da confutare”. La scelta esegetica del Nisseno non mi pare possa
essere ricondotta semplicemente all’intento pastorale dell’opera. Per il Nisseno, inoltre,
proprio l’interpretazione letterale del “pane quotidiano”, ribadita anche a proposito del-
594 Parte seconda, Capitolo nono
di Dio è la manifestazione di una genuina figliolanza con lui, che dà quin-
di titolo a pronunciare le parole del Padrenostro, lo scopo ultimo della
Preghiera del Signore è la nostra deificazione: Gesù vuole che «coloro che
si accostano a Dio divengano dio essi stessi»1922. Come abbiamo visto pri-
ma, l’assimilazione a Dio che si attua con la pratica della virtù, si esprime
in particolare nell’esercizio del perdono. Tuttavia, Gregorio controbilancia
questa visuale esaltante del potenziale spirituale racchiuso nel Padreno-
stro con il richiamo conclusivo che riecheggia anche il motivo iniziale
della creaturalità: la richiesta del perdono da parte di Dio ci mette davanti
alla condizione fondamentale di «debitori» nei suoi confronti e ci aiuta a
comprendere come nessun uomo possa presumere di essere innocente ai
suoi occhi, per quanto si sforzi di non commettere peccato1923. Con un’ul-
teriore anticipazione di Agostino, il Nisseno argomenta ciò ricordando,
fra l’altro, che chi è partecipe della natura di Adamo, partecipa anche della
sua caduta1924.
Con i suoi sermoni sul Padrenostro Gregorio di Nissa s’inserisce pie-
namente in una tradizione esegetica e dottrinale di cui abbiamo ripercorso
alcune delle voci più significative. Le corrispondenze con Evagrio o con
Agostino che sono affiorate nel corso dell’analisi non possono modificare
l’impressione essenziale: cioè, la consonanza profonda con il discorso ori-
geniano sulla preghiera, aldilà del fatto che l’interpretazione del Padreno-
stro segua a tratti un’impostazione diversa. Ciò che unisce il Nisseno al-
l’Alessandrino è fondamentalmente la convergenza del paradigma della
preghiera, intesa da entrambi come richiesta a Dio, rivelatrice della condi-
zione di bisogno dell’uomo e della necessità del soccorso divino. Certo
Gregorio è stato prima dello Pseudo-Dionigi Areopagita l’autore mistico
per eccellenza del cristianesimo antico, ma ciò non gli ha impedito di con-
siderare la concretezza e l’immediatezza dell’orazione di domanda con
––––––––––––––––––
l’ “oggi” (shvmeron) della quarta petizione, inteso come tempo presente a cui solo appartie-
ne la vita dell’uomo nel corpo, illumina l’ “ampio insegnamento filosofico” contenuto in
queste parole della preghiera: è l’indicazione della metriopatia, l’esser parchi e misurati
nella risposta al bisogno naturale e che ha come modello l’apatia divina». Anche Giovan-
ni Crisostomo richiama il valore spirituale della richiesta del mero pane dell’oggi; cfr.
Hom. in Matth. XIX, 11 (PG 57, 280): Su; dev moi skovpei pw'" kai; ejn toi'" swmatikoi'" polu;
to; pneumatikovn.
1922 In orat. dom. V (60, 17-21): ÔOra'" eij" o{son mevgeqo" uJyoi' tou;" ajkouvonta" dia;
tw'n th'" proseuch'" rJhmavtwn oJ Kuvrio", meqistw;n trovpon tina; th;n ajnqrwpivnhn fuvsin
pro;" to; qeiovteron kai; qeou;" genevsqai tou;" tw/' Qew/' prosiovnta" nomoqetw'n…
1923 In orat. dom. V (63, 19-22): dia; tou'tov moi dokei' paideuvein hJma'" th/' didaska-
liva/ th'" proseuch'" oJ lovgo" mhdamw'" ejn th/' pro;" Qeo;n ejnteuvxei wJ" ejpi; kaqarw/' tw/' su-
neidovti parrhsiavzesqai, ka]n o{ti mavlista tw'n ajnqrwpivnwn plhmmelhmavtwn cecwri-
smevno" ti" h\/.
1924 In orat. dom. V (66, 11-12): oJ koinwnw'n me;n th'" fuvsew" tou' ∆Ada;m, koinwnw'n
de; kai; th'" ejkptwvsew".
La costruzione di un modello 595
un’intensità che lo pone nella scia di Origene. Al tempo stesso, non diver-
samente dall’Alessandrino, egli ne ha fatto la chiave di volta per propor-
re – grazie al Padrenostro inteso come «preghiera spirituale» – un pro-
gramma di perfezionamento spirituale che culmina nella «deificazione».
Anche sotto questo profilo, pur con tutte le specificità di Gregorio per lin-
guaggio e stile teologico, è innegabile la sua continuità con Origene1925.

8. Cassiano: la trasformazione monastica del paradigma della preghiera


spirituale

Dopo Evagrio, l’impatto dell’esperienza monastica nel discorso cri-


stiano sulla preghiera torna a farsi sentire con forza in Giovanni Cassiano
(360/65-435). Figura singolare di mediatore culturale fra Oriente e Occi-
dente, testimone e promotore del monachesimo egiziano e orientale nella
Gallia d’inizio V secolo con le sue classiche opere sul monachesimo ceno-
bitico e anacoretico (il De institutis coenobiorum e le Conlationes), desti-
nate ad influenzare profondamente gli ideali monastici del cristianesimo
occidentale, Cassiano ci appare oggi sempre di più come l’artefice di una
sintesi originale fra tradizioni diverse1926. La sua riflessione sulla preghiera
ne offre una testimonianza emblematica, che giustifica il suo inserimento
nella nostra panoramica. Anticipando il contenuto della nostra presenta-
zione, diremo che l’interesse particolare di Cassiano consiste precisamente
nel fatto ch’egli documenta l’avvenuta trasformazione in chiave monasti-
ca del paradigma della preghiera spirituale, conferendogli un’inflessione
peculiare tramite la sua apertura, da un lato, alla formula «monologica»
per l’oratio continua e, dall’altro, alla «preghiera di fuoco» o preghiera
estatica. Alimenta il suo pensiero una conoscenza diretta delle molteplici
forme di esperienza orante presso i monaci con i quali Cassiano è stato a
contatto durante i suoi viaggi in Oriente, con una particolare attenzione
alle manifestazioni via via più strutturate dell’ufficio monastico. Alla fa-
miliarità con la prassi monastica si accompagna una conoscenza della let-
teratura teologica ed ascetica, specialmente di tradizione alessandrina, con
letture di Origene ed Evagrio, ma che sembra estendersi aldilà di questa
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1925 Al contrario secondo Meredith, 355, «neither in thought nor in vocabulary or
use of Scripture is there very much in common between the two writers. Even if Gregory
knew Origen’s treatment of The Lord’s Prayer, he made very little use of it; and the prob-
ability is that he was ignorant of it». Ma la sua analisi procede con la logica dei paralleli
diretti o meno, laddove egli trascura il confronto tra i due autori sulla dottrina della pre-
ghiera. Per un diverso punto di vista cfr. Penati Bernardini e Lozza, che fra l’altro segnala
«l’uso di parole chiave come i sostantivi ajpokatastasiva, ajpokatavstasi", e il verbo cor-
rispondente ajpokaqivsthmi» (p. 217).
1926 Si veda il ritratto a tutto tondo tracciato da Stewart. Cfr. anche Badilita-Jakab;
Alciati.
596 Parte seconda, Capitolo nono
fino ad includere gli scritti ascetici di ambiente siriaco (soprattutto lo
Pseudo-Macario)1927. Di conseguenza Cassiano, pur ponendosi in linea di
continuità con la visuale ascetica di Evagrio, specie nei suoi scritti “prati-
ci”, si differenzia sensibilmente dall’esito più “intellettualistico” del Pon-
tico, restio (come già Origene) ad incoraggiare una visuale “estatica” della
preghiera, diversamente da quanto avviene nel monaco di Marsiglia.
Dando seguito alla promessa fatta nel secondo libro delle Institutio-
nes, Cassiano ha raccolto il clou della sua riflessione sulla preghiera nella
nona e decima conferenza delle Conlationes, dove fa parlare lungamente
abba Isacco, interrotto di tanto in tanto dalle domande di abba Germano1928.
Può sembrare perciò, a prima vista, un discorso poco strutturato e non
privo di ripetizioni, tanto più che all’inizio della decima conferenza fa
spazio ad un ampio excursus sul conflitto riguardo alle concezioni antro-
pomorfe della visione di Dio esploso nel monachesimo egiziano tra IV e
V secolo, apparentemente senza un nesso troppo ravvicinato con l’argo-
mento trattato 1929. In realtà, una lettura attenta fa emergere i lineamenti di
una riflessione assai robusta che si caratterizza ad un tempo per il suo
aspetto tradizionale e per le profonde innovazioni apportate da Cassiano
al paradigma ereditato dal pensiero eucologico antecedente. In sintesi,
egli ripercorre dapprima (Conl. IX ) l’agenda tematica di un «trattato sulla
preghiera» (laddove il nostro termine di comparazione ideale resta sem-
pre, in primo luogo, Orat), affrontando pertanto alcune delle problemati-
che più consuete, a cominciare dalle disposizioni interiori con cui l’orante
deve accostarsi alla preghiera. La natura “tradizionale” dell’esposizione,
pur connotata dagli interrogativi suscitati dalla condizione monastica, può
essere messa in evidenza anche grazie alla trama essenziale di riferimenti
scritturistici, che provano fra l’altro come Cassiano riconduca il proprio
pensiero sull’orazione alla meditazione della Bibbia. Troviamo, infatti,
non pochi riscontri nel trattato dell’Alessandrino, pur non potendo com-
petere con questo per frequenza e rilievo, a cominciare dal luogo paolino
che imposta anche per Cassiano la problematica dell’oratio perpetua: 1Ts
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1927 Stewart 2003 ha messo in luce, fra l’altro, la sua conoscenza di Prin: «Origen’s
work likely provided the thematic infrastructure for Cassian’s own reflections» (p. 215).
1928 Conl. IX, 1 (250, 6-9): «De perpetua orationis atque incessabili iugitate quod in
secundo Institutionum libro promissum est, conlationes senis huius quem nunc in medium
proferemus, id est abbatis Isaac domino favente conplebunt». Sul preannuncio della trat-
tazione cfr. Inst. II, 1; 9, 1.
1929 Sul più ampio contesto di tale dibattito si veda adesso Bumazhnov. Secondo
Stewart 2003, 208, lo stile argomentativo di Cassiano sarebbe affine ad Origene: «His dis-
cursive style reinforces the message through repetition and variation rather than through
the highly economical and sometimes gnomic packaging of the Evagrian kephalaia. Cas-
sian’s approach allowed more room for elaboration, biblical citations, and edifying stories.
He wrote, in fact, much more like Origen than like Evagrius». Tale giudizio sottovaluta
però la ratio esegetica che sorregge strutturalmente la scrittura di Origene.
La costruzione di un modello 597
5, 17. Nella IX conferenza la riflessione nasce proprio dalla domanda su
come mettere in pratica il precetto dell’Apostolo di pregare senza inter-
ruzione. Come vedremo, la risposta innovativa di natura più prettamente
biblico-monastica verrà data nella X conferenza, per il tramite della for-
mula orationis che introduce all’esercizio della preghiera monologica.
Conforme alla tradizione è inoltre il richiamo a 1Tm 2, 8, che anche per
Cassiano definisce l’atteggiamento spirituale dell’orante e garantisce così
la purezza della preghiera1930.
Prima di analizzare i diversi tipi di preghiera con l’ausilio di 1Tm 2, 1,
Cassiano prende in considerazione l’atteggiamento spirituale che deve pre-
siedere ad essa (Conl. IX, 2-6). Se si esclude l’affermazione iniziale che il
fine e la perfezione della vita monastica consistono nell’oratio perpetua,
su questo punto non si registra particolare originalità rispetto ai predeces-
sori 1931. Anche il monaco di Marsiglia ribadisce la necessità di un’«ana-
coresi» sensoriale, cioè di un trascendimento delle realtà materiali e delle
disposizioni passionali, tale da assicurare la tranquillità e la purezza del-
la mente1932. Se il debito con Evagrio sembra farsi più trasparente nello

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1930 Conl. IX, 3, 4 (253, 6-11): «Et idcirco quidquid orantibus nobis nolumus ut inre-
pat, ante orationem de adytis nostri pectoris extrudere festinemus, ut ita illud apostolicum
possimus inplere: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17), et: In omni loco levantes puras
manus sine ira et disceptatione (1Tm 2, 8)». L’abbinamento ritorna anche in Conl. IX, 6, 5
(257, 17-22): «Cumque mens tali fuerit tranquillitate fundata vel ab omnium carnalium
passionum nexibus absoluta, et illi uni summoque bono tenacissima adhaeserit cordis in-
tentio, apostolicum illud inplebit: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17) et: In omni loco le-
vantes puras manus sine ira et disceptatione (1Tm 2, 8)». Il primo passo è citato ancora in
Conl. IX, 7, 3 (258, 19-21): «praesertim cum nullo tempore nos ab ea cessare beatus apo-
stolus moneat dicens: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17); X, 14, 2 (307, 26–308, 2): ut
ita illud apostolicum mandatum: sine intermissione orate (1Ts 5, 17) possimus inplere»;
XXIII, 5, 9: «Quis tam familiaris deo tamque coniunctus, qui apostolicum illud imperium,
quo sine intermissione orare nos praecipit, vel uno die se gaudeat executum?». L’impor-
tanza di 1Ts 5, 17 è già segnalata dall’accenno nella prefazione e dai rinvii contenuti in
Inst. Cfr. Conl. Praef. 5 (4, 15-17): «de canonicarum orationum modo ad illius quam apo-
stolus praecipit orationis perpetuae iugitatem ascendat eloquium»; Inst. II, 1 (18, 2-5): «de
qualitate vero earum vel quemadmodum orare secundum apostoli sententiam sine inter-
missione (cfr. 1Ts 5, 17) possimus, suis in locis, cum seniorum conlationes coeperimus
exponere, quantum dominus donaverit, proferemus»; VIII , 13 (160, 3-5): «praecipitur ab
apostolo: sine intermissione orate (1Ts 5, 17), et: in omni loco levantes manus pura sine
ira et disceptatione (1Tm 2, 8)».
1931 Conl. IX, 2, 1 (250, 19-22): «Omnis monachi finis cordisque perfectio ad iugem
atque indisruptam orationis perseverantiam tendit, et quantum humanae fragilitati conce-
ditur, ad inmobilem tranquillitatem mentis ac perpetuam nititur puritatem».
1932 Conl. IX, 3, 1 (252, 5-13): «Et idcirco ut eo fervore ac puritate qua debet emitti
possit oratio, haec sunt omnimodis observanda. Primum sollicitudo rerum carnalium gene-
raliter abscidenda est, deinde nullius negotii causaeve non solum cura, sed ne memoria
quidem penitus admittenda, detractationes, vaniloquia seu multiloquia (cfr. Mt 6, 7), scur-
rilitates quoque similiter amputandae, irae prae omnibus sive tristitiae perturbatio funditus
598 Parte seconda, Capitolo nono
stretto raccordo intravisto da Cassiano fra lotta ai vizi, pratica delle virtù
e orazione1933, si noterà però una minore insistenza sul superamento della
mnhsikakiva, inculcato peraltro anche da 1Tm 2, 8, sebbene egli non igno-
ri affatto tale raccomandazione. Come mostra, fra l’altro, un commento a
Mt 5, 23-24 nell’ottavo libro degli Instituta, il precetto evangelico della
riconciliazione fraterna è vincolante per l’orante e la sua mancata osser-
vanza compromette gravemente la possibilità di realizzare la preghiera
ininterrotta1934. In ogni caso, a prescindere dalla purificazione preliminare
e dalla condotta virtuosa che l’orante è chiamato ad attuare nella propria
vita, le disposizioni interiori che devono sempre accompagnare le mani-
festazioni della preghiera sono riassunte nell’invito di Gesù a ritirarsi
nella propria «cameretta» (Mt 6, 6), inteso anche da Cassiano (sulle
tracce più direttamente di Evagrio) come il disfarsi di ogni pensiero e sol-
lecitudine esteriori1935.
Quando il discorso passa a illustrare le forme della preghiera, ciò av-
viene nuovamente a partire da un riferimento normativo come 1Tm 2, 1,
anche in ragione del fatto che per Cassiano è impossibile descrivere ade-
guatamente la grande varietà delle esperienze di preghiera nella vita di un
individuo, un’osservazione che concorre insieme ad altre nel tracciare sia
una certa psicologia sia anche una visione pedagogica della preghiera
meglio abbozzata che altrove1936. Diversamente da Evagrio, che si è ispi-
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eruenda, concupiscentiae carnalis ac filargyriae noxius fomes radicitus evellendus». Ben-
ché Mt 6, 7 non sia mai citato, è lecito coglierne un’eco nell’avvertenza contro i «vanilo-
quia seu multiloquia». Un’ulteriore allusione alla catechesi matteana sulla preghiera po-
trebbe venire dall’espressione: «de adytis nostri pectoris» (Conl. IX, 3, 4), qualora essa
rinvii implicitamente al termine tamei'on di Mt 6, 6. Tuttavia, Conl. IX , 35, 1 lo rende
come cubiculum (nota 1935).
1933 Conl. IX, 2, 1 (251, 3-6): «nam sicut ad orationis perfectionem omnium tendit
structura virtutum, ita nisi huius culmine haec omnia fuerint conligata atque conpacta,
nullo modo firma poterunt vel stabilia perdurare»; IX, 3, 4 (253, 11-14): «alias namque
mandatum istud perficere non valebimus, nisi mens nostra ab omni vitiorum purificata
contagio virtutibus tantum velut naturalibus bonis dedita iugi omnipotentis dei contem-
platione pascatur».
1934 Inst. VIII, 13 (160, 5-11): «superest igitur, ut aut numquam oremus huiusce-
modi virus retinentes in cordibus nostris et apostolico huic praecepto sive evangelico, quo
indesinenter et ubique iubemur orare, simus obnoxii, aut, si nosmet ipsos circumvenientes
precem fundere contra eius interdictum praesumimus, non orationem domino, sed rebellio-
nis spiritu contumaciam nos eidem noverimus offerre». Cfr. anche Conl. XVI, 6, 6-7; 6, 15.
1935 Conl. IX, 35 (282, 25-28): «intra nostrum cubiculum supplicamus, cum ab
omnium cogitationum sive sollicitudinum strepitu cor nostrum penitus amoventes secreto
quodammodo ac familiariter preces nostras domino reseramus».
1936 Conl. IX, 8, 1 (259, 3-7): «Universas orationum species absque ingenti cordis
atque animae puritate et inluminatione sancti spiritus arbitror comprehendi non posse. Tot
enim sunt quot in una anima, immo in cunctis animabus status queunt qualitatesque gene-
rari». L’accenno alla necessità dell’aiuto dello Spirito per un discorso adeguato sulla pre-
ghiera mostra analogie con l’impostazione di Origene.
La costruzione di un modello 599
rato solo in parte alla terminologia suggerita dal passo paolino (mante-
nendo comunque con Origene il primato della proseuchv), Cassiano la
sfrutta ampiamente sia per esemplificare la diversità delle tipologie, sia
per istituire un rapporto ad un tempo dinamico e gerarchico fra di loro1937.
In seguito ricondurrà sia l’uso separato delle singole forme di orazione sia
la loro sintesi o fusione al paradigma fondativo di Gesù orante. Sotto tale
profilo non può non colpire la sintonia con Origene, quantunque la dipen-
denza dal trattato sia difficile da provare, fatta eccezione forse per una
precisazione terminologica che riguarda l’oratio come «voto» 1938. D’altra
parte, l’Alessandrino è l’unico fra gli altri interpreti antichi ad aver ten-
tato di valutare le distinzioni terminologiche di 1Tm 2, 1 come riflesso di
condizioni o stati spirituali diversificati, tracciando grazie ad esse un mo-
dello di perfezionamento spirituale, come anche Cassiano si sforza di fare
con un approccio più organico1939. Egli elenca dapprima i quattro tipi di
preghiera secondo il tenore del passo paolino, fornendo una spiegazione
di ciascuno di essi in base alla seguente classificazione:
1. obsecratio (= devhsi")
2. oratio (= proseuchv)
3. postulatio (= e[nteuxi")
4. gratiarum actio (= eujcaristiva)
L’obsecratio è una «supplica» (imploratio) o richiesta (petitio) di per-
dono per i peccati1940, mentre l’oratio equivale in questo caso al «voto»1941.
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1937 Il debito verso Origene più che verso Evagrio è riconosciuto anche da Stewart,
107: «Cassian, like Origen, did not view the four varieties as simple alternatives. He linked
them to stages of progress in monastic life and prayer. Although some of his interpreta-
tions were based on those of Evagrius, the greater part of this section does not appear to
be based on Evagrian material».
1938 Secondo Alexandre, 194-195, «Cassien connaît Origène, en particulier le traité
Sur la prière, mais il n’en dépend pas étroitement. [...] Certainement il se souvient du dé-
veloppement d’Origène au début de son traité sur euchê, prière/voeu, et l’applique à l’ora-
tio mécaniquement, puisque le mot latin, lui n’a pas ce sens de vœu. Mais les valeurs qu’il
donne aux termes pauliniens [...], leur hiérarchisation monastique, diffèrent des remarques
d’Origène».
1939 Cfr. FrPs 27 (28), 6 (nota 1353), dove il culmine è rappresentato ugualmente
dall’eujcaristiva .
1940 Conl. IX, 11 (261, 4-6): «obsecratio inploratio est seu petitio pro peccatis, qua
vel pro praesentibus vel pro praeteritis admissis suis unusquisque conpunctus veniam de-
precatur».
1941 Conl. IX, 12, 1 (261, 7-8): «Orationes sunt quibus aliquid offerimus seu vove-
mus deo, quod Graece dicitur eujchv , id est votum». Per Alexandre, 177, nota 40, «son inter-
prétation d’oratio repose sur le grec euchê, suivant une remarque d’Origène, Perì Euchês 3,
sur les deux sens du mot: prière/vœu». Cfr. anche Stewart 2003, 206, nota 102: «though
strained, it does allow him to follow Origen, who distinguished between two kinds of eujchv
and Evagrius, who distinguished between eujchv and proseuchv». Fatta eccezione per que-
600 Parte seconda, Capitolo nono
A sua volta la postulatio è da intendere come l’«intercessione» a benefi-
cio di altri1942, laddove la gratiarum actio indica il «ringraziamento» per i
beni passati, presenti e futuri ad opera di Dio 1943.
La specifica funzione assegnata a ciascuno dei tipi di preghiera si
compone poi per Cassiano con l’idea della «preghiera di fuoco», che già
qui comincia a fare sentire il suo peso nell’argomentazione, come lo sboc-
co più alto fra le diverse manifestazioni oranti. Infatti, in linea di principio,
ogni singola tipologia può dare adito alla preghiera ardente, confermando
così l’utilità insita in ognuna di esse per i singoli individui che le pratica-
no1944. Ma questo schema iniziale lascia subito il posto ad una classifica-
zione di tipo gerarchico e progressivo, per cui l’obsecratio compete più
specificamente ai principianti nella vita ascetica1945, mentre l’oratio è pro-
pria di coloro che sono progrediti nell’osservanza delle virtù e nell’ele-
vatezza dei pensieri1946. Al terzo posto della scala ascendente si situano
quanti hanno titolo alla postulatio, grazie alla loro corrispondenza fra im-
pegni di vita e condotte personali1947. Infine, la gratiarum actio si colloca
al vertice del cammino spirituale, venendo ora a coincidere di fatto con il
trapasso alla preghiera di fuoco1948. A riprova del carattere volutamente
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sta distinzione terminologica, oratio ha sempre il valore generico di «orazione», ricondotto
invece qui al termine supplicatio (cfr. nota 1944).
1942 Conl. IX, 13 (262, 6-11): «Tertio loco ponuntur postulationes, quas pro aliis
quoque, dum sumus in fervore spiritus constituti, solemus emittere, vel pro caris scilicet
nostris vel pro totius mundi pace poscentes, et ut ipsius apostoli verbis eloquar cum pro
omnibus hominibus, pro regibus et omnibus qui in sublimitate sunt supplicamus».
1943 Conl. IX, 14 (262, 12-16): «Quarto deinde loco gratiarum actiones ponuntur,
quas mens, vel cum praeterita dei recolit beneficia vel cum praesentia contemplatur, seu
cum in futurum quae et quanta praeparaverit deus his qui diligunt eum prospicit, per inef-
fabiles excessus domino refert».
1944 Conl. IX, 15, 1 (262, 20–263, 4): «Ex quibus quattuor speciebus licet nonnum-
quam soleant occasiones supplicationum pinguium generari (nam et de obsecrationis spe-
cie quae de compunctione nascitur peccatorum, et de orationis statu quae de fiducia obla-
tionum et consummatione votorum pro conscientiae profluit puritate, et de postulatione
quae de caritatis ardore procedit, et de gratiarum actione quae beneficiorum dei et magni-
tudinis ac pietatis eius consideratione generatur, ferventissimas saepissime novimus preces
ignitasque prodire, ita ut constet omnes has quas praediximus species omnibus hominibus
utiles ac necessarias inveniri, ut in uno eodemque viro nunc quidem obsecrationum, nunc
autem orationum, nunc postulationum puras ac ferventissimas supplicationes variatus
emittat affectus)».
1945 Conl. IX, 15, 1 (263, 4-5): «tamen prima ad incipientes videtur peculiarius per-
tinere, qui adhuc vitiorum suorum aculeis ac memoria remordentur».
1946 Conl. IX, 15, 1 (263, 6-8): «secunda ad illos qui in profectu iam spiritali adpeti-
tuque virtutum quadam mentis sublimitate consistunt».
1947 Conl. IX, 15, 1 (263, 8-11): «tertia ad eos qui perfectionem votorum suorum
operibus adinplentes intercedere pro aliis quoque consideratione fragilitatis eorum et cari-
tatis studio provocantur».
1948 Conl. IX, 15, 1 (263, 11-16): «quarta ad illos qui iam poenali conscientiae spina
de cordibus vulsa securi iam munificentias domini ac miserationes, quas vel praeterito tri-
La costruzione di un modello 601
non sistematico dell’insegnamento, Cassiano introduce ancora un terzo
schema, secondo il quale le varie tipologie possono combinarsi fra loro, a
seconda dello stato di perfezione della mens, e generare allora preghiere
ferventissime le quali arrivano a coincidere con i «gemiti inenarrabili»
emessi in noi dallo Spirito (Rm 8, 26-27)1949. Il richiamo al passo paolino
tradisce nuovamente la piena appartenenza di Cassiano alla linea di pen-
siero esemplificata al meglio da Origene. Forse nessun altro, a parte l’Ales-
sandrino (e, come vedremo di seguito, Agostino), è stato capace di dare
tanto risalto al ruolo dello Spirito nella «preghiera spirituale», ma Cassia-
no aggiunge alla prospettiva origeniana la visuale indubbiamente nuova
ed originale della preghiera di fuoco.
I diversi schemi proposti sin qui trovano la loro giustificazione scrit-
turistica nel modello di Gesù orante: con la sua prassi di preghiera il Sal-
vatore esemplifica ciascuna delle tipologie, a cominciare dall’obsecratio,
che per Cassiano è rappresentata ad esempio dall’orazione di Gesù al
Getsemani, non senza un’evidente forzatura interpretativa rispetto alla
definizione avanzata inizialmente1950. Più che per le corrispondenze, in
parte problematiche, con le sue distinzioni terminologiche (come mostra
anche il caso dell’oratio o la ripartizione di Gv 17 fra diversi tipi di pre-
ghiere)1951, è importante notare in Cassiano la preoccupazione di trovare
la loro sanzione scritturistica nella condotta stessa di Gesù. D’altra parte,
il suo modello, oltre a sancire la possibilità e l’utilità di ciascuna singola
forma di preghiera, contempla anche la loro combinazione in una suppli-
––––––––––––––––––
buit vel in praesenti largitur vel praeparat in futuro, mente purissima retractantes ad illam
ignitam et quae ore hominum nec comprehendi nec exprimi potest orationem ferventis-
simo corde raptantur».
1949 Conl. IX, 15, 2 (263, 16-26): «Nonnumquam tamen mens, quae in illum verum
puritatis proficit adfectum atque in eo iam coeperit radicari, solet haec omnia simul pari-
terque concipiens atque in modum cuiusdam inconprehensibilis ac rapacissimae flammae
cuncta pervolitans ineffabiles ad deum preces purissimi vigoris effundere, quas ipse spiri-
tus interpellans gemitibus inenarrabilibus ignorantibus nobis emittit ad deum (cfr. Rm 8,
26-27), tanta scilicet in illius horae momento concipiens et ineffabiliter in supplicatione
profundens, quanta non dicam ore percurrere, sed ne ipsa quidem mente valeat alio tem-
pore recordari».
1950 Conl. IX, 17, 1 (264, 20-24): «Nam obsecrationis genus adsumit cum dicit: Pa-
ter, si possibile est, transeat a me calix iste (Mt 26, 39), vel illud quod ex persona eius
cantatur in psalmo: Deus deus meus respice me: quare me dereliquisti? (Sal 21[22], 2)
aliaque his similia». Tuttavia, in Conl. IX, 34, 10 (281, 13-19) la preghiera del Getsemani è
intesa più generalmente come la forma orandi: «Quem sensum dominus etiam noster orans
ex persona hominis adsumpti, ut formam quoque orandi nobis quemadmodum cetera suo
praeberet exemplo, ita cum oraret expressit: Pater, si possibile est, transeat a me calix iste:
verumtamen non sicut ego volo sed sicut tu (Mt 26, 39), cum utique eius a patris voluntate
non discreparet voluntas».
1951 Conl. IX, 17 esemplifica l’oratio con Gv 17, 4 e 17, 19; la postulatio con Gv
17, 24.
602 Parte seconda, Capitolo nono
catio perfecta, indicata da Cassiano in Gv 171952. Allargando la sua base
scritturistica, egli trova un’ulteriore illustrazione della preghiera che fonde
tra loro i singoli tipi e dà vita all’orazione ardente in Fil 4, 6 («Non angu-
stiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste,
con preghiere, suppliche e ringraziamenti»)1953. Come mostra anche l’uti-
lizzo di questa citazione, è innegabile che il paradigma elaborato gradual-
mente da Cassiano sia connotato da una tensione dinamica che punta sem-
pre verso l’esito più alto della preghiera di fuoco, senza che questo nasca
necessariamente da un itinerario ascendente1954. Con un affondo successi-
vo egli disegna tale orizzonte attraverso la formula dominicae orationis.
Il Padrenostro racchiude per Cassiano la richiesta di poter giungere a quel
«colloquio» più alto con Dio che si compie nella contemplazione amoro-
sa di lui1955. In tal modo Cassiano fa propria la definizione della preghiera
come oJmiliva, saldandola però più strettamente alla visuale della paternità
divina e alle manifestazioni della preghiera ardente.
La spiegazione che segue del Padrenostro (Conl. IX, 18-23) conferma
nuovamente la dipendenza di Cassiano dall’agenda più consueta delle
trattazioni eucologiche. Anche se tradisce qualche influsso del commento
evagriano, egli sviluppa però accenti che gli sono peculiari1956. Al pari di
Origene egli vede la Preghiera del Signore come l’espressione per eccel-
lenza della preghiera spirituale, tutta imperniata sulla richiesta dei beni
eterni come l’oggetto che si confà alla natura di Dio1957. Se l’invocazione
––––––––––––––––––
1952 Conl. IX, 17, 3 (265, 10-18): «Quae tamen quattuor supplicationum genera licet
singillatim ac diverso tempore secundum illum quem comprehendimus modum idem do-
minus noster distinxerit offerenda. Tamen etiam simul ea in supplicatione perfecta com-
prehendi posse identidem suis ostendit exemplis, per illam scilicet orationem quam ad fi-
nem evangelii secundum Iohannem legimus eum copiosissime profudisse. Ex cuius textu
quia longum est universa percurri, diligens inquisitor haec ita esse lectionis ipsius serie
poterit edoceri».
1953 Conl. IX, 17, 4 (265, 18-22): «Quem sensum apostolus quoque in epistula ad
Philippenses has quattuor supplicationum species aliquantum immutato ponens ordine
evidenter expressit ostenditque debere eas nonnumquam simul sub ardore unius supplica-
tionis offerri».
1954 Cfr. Alexandre, 180: «Par l’apparition de la prière de feu, non seulement au
sommet contemplatif de la vie solitaire, mais en des formes plus quotidiennes – action de
grâces, supplications, Oraison dominicale, occasion de psalmodie commune – Cassien
montre, de façon disséminée, sans souci de systématisation, la présence du feu en toute
expérience de prière, de degré en degré».
1955 Conl. IX, 18, 1 (265, 27–266, 3): «Haec itaque supplicationum genera subli-
mior adhuc status ac praecelsior subsequetur, qui contemplatione dei solius et caritatis ar-
dore formatur, per quem mens in illius dilectionem resoluta atque reiecta familiarissime
deo velut patri proprio peculiari pietate conloquitur. Quem statum debere nos diligenter
expetere formula dominicae orationis instituit».
1956 Stewart, 109. Cfr. anche Schnurr, 168-183.
1957 Conl. IX, 24 (272, 9-11): «Nihil enim caducum vult a se, nihil vile, nihil tem-
porale aeternitatum conditor inplorari».
La costruzione di un modello 603
al «Padre» che è «nei cieli» suscita anche in Cassiano l’idea della vita ter-
rena come esilio – analogamente a quanto abbiamo osservato in Gregorio
di Nissa –, la prima petizione è vista anzitutto come l’espressione della
pietas dei figli, ai quali sta a cuore in primo luogo la gloria di Dio1958. Net-
tamente subordinata appare invece l’altra spiegazione, più tradizionale, per
cui la nostra perfezione di vita equivale alla santificazione del Nome1959.
L’invocazione del regno, oggetto della seconda petizione, è intesa da Cas-
siano sia in senso spirituale – come la sovranità attuata da Dio nei santi,
secondo un’interpretazione di ascendenza origeniana – sia in senso esca-
tologico, come l’attesa del mondo futuro. Quanto alla terza petizione, Cas-
siano dichiara che non vi è preghiera più grande di quella che auspica l’as-
similazione delle realtà terrene alle realtà celesti, rielaborando in maniera
autonoma un’idea che era stata anche di Origene, cioè l’auspicio che la
condotta degli uomini sia esemplata su quella degli angeli 1960. Con Eva-
grio e Gregorio di Nissa, egli accoglie peraltro anche la spiegazione per
cui la «volontà di Dio» è la salvezza universale. D’impronta origeniana
sembra essere anche il commento della quarta petizione, rivolto unica-
mente all’idea di un nutrimento spirituale che ci viene da Dio e di cui si
deve fare richiesta a lui ogni giorno. In questo punto, anche per Cassiano
emerge più nettamente l’idea della condizione precaria dell’uomo in
quanto bisognoso dell’aiuto divino1961. Riguardo poi alla quinta petizione,
egli sembra voler puntare ad un’esegesi in parte affine a quella di Grego-
rio di Nissa, riconoscendo anche lui come Dio ci conceda di “vincolarlo”
mediante l’esercizio del perdono1962. Infine, l’esegesi della sesta petizione
––––––––––––––––––
1958 Conl. IX, 18, 3 (266, 15-18): «In quem filiorum ordinem gradumque provecti
illa continuo quae est in bonis filiis pietate flagrabimus, ut iam non pro nostris utilitatibus,
sed pro nostri patris gloria totum inpendamus affectum».
1959 Conl. IX, 18, 5 (267, 17-19): «Potest autem congrue satis istud quod dicitur
sanctificetur nomen tuum etiam taliter accipi: sanctificatio dei nostra perfectio est».
1960 Conl. IX, 20 (268, 18-23): «Non potest esse iam maior oratio quam optare, ut
terrena mereantur caelestibus coaequari. Nam qui est aliud dicere fiat voluntas tua sicut in
caelo et in terra quam ut sint homines similes angelis, et sicut voluntas dei ab illis inpletur
in caelo, ita etiam hi qui in terra sunt non suam, sed eius universam faciant voluntatem?».
1961 Conl. IX, 21, 2 (269, 20-23): «Omnique nos tempore hanc orationem debere
profundere indigentia eius cotidiana commoneat, quia non est dies quo non opus sit nobis
huius esu ac perceptione cor interioris nostri hominis confirmare».
1962 Conl. IX, 22, 1 (270, 5-14): «O ineffabilis dei clementia, quae non solum nobis
orationis tradidit formam et acceptabilem sibi morum nostrorum instituit disciplinam ac
per necessitatem traditae formulae, qua se praecepit a nobis semper orari, irae pariter ac
tristitiae evellit radices, sed etiam occasionem rogantibus tribuit eisque reserat viam, qua
clemens ac pium erga se provocent dei iudicium promulgari, et quodammodo potestatem
tribuit qua iudicis nostri possimus sententiam temperare, ad veniam delictorum nostrorum
exemplo eum nostrae remissionis artantes». Si noti il ricorrere dei termini forma e disci-
plina che ricordano il linguaggio di Tertulliano e Cipriano. Cfr. ancora Conl. IX, 24 (272,
6): «orationis [...] modulus et forma proposita».
604 Parte seconda, Capitolo nono
sembra riflettere più di tutte le altre una conoscenza di Orat da parte di
Cassiano: non solo perché egli accenna in chiave aporetica alla non mi-
nima quaestio riguardo al suo significato, ma anche perché riconosce poi
che il senso della richiesta è di non soccombere alla tentazione, legando
ad essa la settima petizione come la domanda perché il diavolo non ci
tenti sopra le nostre forze1963.
Benché il Padrenostro sia da considerarsi come la preghiera perfetta,
Cassiano lo subordina ad una forma più elevata di orazione alla quale esso
dinamicamente conduce: si tratta nuovamente della preghiera di fuoco o
preghiera silenziosa, conformemente all’interpretazione offerta dei tipi di
preghiera in 1Tm 2, 11964. Cassiano rafforza così la trasformazione del
paradigma della preghiera spirituale in senso monastico. Infatti, questa
forma superiore di preghiera appare come il riflesso più diretto dell’espe-
rienza monastica, sebbene Cassiano si premuri d’esemplificarla ancora
una volta tramite il modello di Gesù orante1965. Egli insiste sull’impossi-
bilità di descriverla a parole, ma lascia intendere che questo «stato» rin-
via ad un’esperienza in senso stretto «estatica» o «mistica», che prescinde
dall’uso di parole e concetti e trascende perciò lo stesso orizzonte dell’in-
telletto orante secondo il modello della «preghiera pura» di Evagrio. Non
a caso Cassiano cita a sua illustrazione un detto, non altrimenti noto, di
Antonio, assunto come paradigma della preghiera estatica («in excessu
mentis frequenter orant»), secondo cui «non è perfetta quella orazione
nella quale il monaco comprende se stesso o ciò per cui prega»1966. In-
vece, questo stato supremo, sia pure di natura momentanea, si caratterizza
per l’irruzione nell’animo dell’orante di una forza divina che rifluisce
come un fiume nell’intensissimo fervore della sua preghiera al di là dei
––––––––––––––––––
1963 Conl. IX, 23, 1 (271, 15-20): «Deinde sequitur: et ne nos inducas in temptatio-
nem, de quo non minima nascitur quaestio. Si enim oramus ne permittamur temptari, et
unde erit in nobis virtus constantiae conprobanda secundum illam sententiam: omnis vir
qui non est temptatus, non est probatus (Sir 34, 11), et iterum: beatus vir qui suffert temp-
tationem (Gc 1, 22)?».
1964 Conl. IX, 25 (272, 16-24): «Haec igitur oratio licet omnem videatur perfectionis
plenitudinem continere, utpote quae ipsius domini auctoritate vel initiata sit vel statuta,
provehit tamen domesticos suos ad illum praecelsiorem quem superius commemoravimus
statum eosque ad illam igneam ac perpaucis cognitam vel expertam, immo ut proprius
dixerim ineffabilem orationem gradu eminentiore perducit, quae omnem transcendens
humanum sensum nullo non dicam sono vocis nec lingua motu nec ulla verborum pronun-
tiatione distinguitur».
1965 Conl. IX, 25 (273, 1-5): «Quem statum dominus quoque noster illarum suppli-
cationum formula, quam vel solus in monte secedens vel tacite fudisse describitur, simili-
ter figuravit, cum in orationis agonia constitutus etiam guttas sanguinis inimitabili intentio-
nis profudit exemplo» (cfr. Lc 22, 44).
1966 Conl. IX , 31 (277, 7-10): «Cuius etiam haec quoque est super orationis fine
calestis et plus quam humana sententia: non est, inquit, perfecta oratio, in qua se mona-
chus vel hoc ipsum quod orat intellegit».
La costruzione di un modello 605
limiti del linguaggio umano1967. Sembra essere un cenno velato all’azione
dello Spirito descritta da Rm 8, 26-27. Benché Cassiano non lo menzioni
espressamente, il suo modello di preghiera «estatica» trova sicuramente
in esso un appiglio scritturistico fondamentale se non il parallelo più
prossimo, anche per l’insistenza sull’ineffabilità e i gemiti interiori1968.
Tuttavia, per mettere meglio in luce la sua fenomenologia, egli richiama
diversi stati d’animo che possono fungere da trampolino di lancio verso
la preghiera di fuoco come il trasporto interiore per il canto di un salmo,
l’ascolto di una fervida istruzione spirituale oppure la notizia della morte
di un fratello o di un proprio caro. Questi stati d’animo si focalizzano per
Cassiano nella compunctio del cuore e nella preghiera delle lacrime che
scaturisce da essa, insieme peraltro alle manifestazioni straordinarie di
gioia spirituale, anche se egli evita di fornirne una casistica troppo rigida
e schematica (Conl. IX, 26-31)1969.
La conclusione del discorso di Abba Isacco nella IX conferenza ritor-
na in un alveo più consueto, trattando il problema dell’esaudimento della
preghiera (Conl. IX, 32-34). Ancora una volta, la dipendenza di Cassiano
da una problematica tradizionale si accompagna a una novità di formula-
zioni, con un ventaglio di spiegazioni piuttosto articolato in risposta alla
––––––––––––––––––
1967 Conl. IX, 25 (272, 24–273, 1): «sed quam mens infusione caelestis illius lumi-
nis inlustrata non humanis atque angustis designat eloquiis, sed conglobatis sensibus velut
de fonte quodam copiosissimo effundit ubertim atque ineffabiliter eructat ad deum, tanta
promens in illo brevissimo temporis puncto, quanta nec eloqui facile nec percurrere mens
in semet ipsam reversa praevaleat».
1968 Ne abbiamo la prova più eloquente in Conl. IX, 27 (274, 3-8), dove Cassiano il-
lustra due diverse manifestazioni della compunctio, vocale e silenziosa; di quest’ultima
osserva: «Nonnumquam vero tanto silentio mens intra secretum profundae taciturnitatis
absconditur, ut omnem penitus sonum vocis stupor subitae inluminationis includat omnes-
que sensus adtonitus spiritus vel contineat intrinsicus vel amittat ac desideria sua gemitibus
inenarrabilibus effundat ad deum». Si veda anche Conl. X, 11, 6 (305, 27–306, 3): «per
ineffabilem cordis excessum inexplebili spiritus alacritate profertur, quamquam mens extra
omnes sensus ac visibiles effecta materies gemitibus inenarrabilibus atque suspiriis pro-
fundit ad deum». Anche per Stewart, 220, nota 169, «this phrase from Rom. 8:26 is found
in Cassian’s descriptions of ecstatic prayer in Conf. 9.15.2, 9.27, 10.11.6». Per Alexandre,
193, il nesso della preghiera di fuoco con lo Spirito rimane implicito: «Certes Cassien
évoque parfois “le feu céleste du Saint-Esprit”; le thème de l’inhabitation de l’Esprit dans
le cœur de l’homme est présent en son œuvre; et même les réminiscences des “gémisse-
ments inénarrables” de l’Esprit, intercédant pour nous selon Rm 8, 26, peuvent faire pen-
ser au feu de l’Esprit. Mais rien n’est explicite en ces passages sur un lien entre Esprit et
prière de feu».
1969 L’importanza accordata alla compunctio e alla preghiera delle lacrime, molto
più centrale per Cassiano rispetto ad Evagrio, rispecchia l’influsso della letteratura ascetica
siriana. Cfr. Stewart, 115: «Cassian certainly prized the Evagrian contemplative tradition
of “pure” (or imageless) prayer. But his emphasis on conpunctio indicates that he was also
drawn to a more affective and ecstatic mysticism akin to that of the Syrian tradition of the
Pseudo-Macarian writings and kindred texts such as the Syriac Book of Steps».
606 Parte seconda, Capitolo nono
quaestio. Preoccupato di fornire, per così dire, una certezza psicologica
all’orante, egli assicura che chi prega senza alcuna esitazione e con piena
fiducia non deve dubitare che la sua preghiera abbia effetto presso Dio.
Ma soprattutto raccoglie un ampio dossier di testimonianze scritturistiche
sulla preghiera esaudita, in relazione alla diversità di condizioni spirituali.
L’importanza dei riferimenti biblici è sottolineata dal fatto che Cassiano
non si limita a riproporre i luoghi evangelici già noti – come Mc 11, 24;
Mt 18, 19; Mt 17,19; Lc 11, 8 – ma vi aggiunge vari passi veterotestamen-
tari in genere poco considerati dagli autori precedenti, con l’eccezione di
Is 58, 9, che segnala un nuovo punto di contatto con Origene1970. Richiama
in parte accenti caratteristici dell’Alessandrino anche l’invito di Cassiano
ad insistere nella preghiera, nonostante non si abbia alcun “titolo” ad es-
sere esauditi, perché l’insegnamento di Gesù è esplicito riguardo alla ne-
cessità di supplicarlo instancabilmente1971. Originale è, da questo punto di
vista, lo sfruttamento del paradigma tradizionale di Daniele, perché Cas-
siano lo utilizza per spiegare come l’esaudimento della preghiera possa
combinarsi con il ritardo nella manifestazione dei suoi effetti1972. La per-
severanza è la condizione per l’efficacia della domanda, ma Cassiano ne
illustra ancor più acutamente i requisiti allorché introduce un nuovo rife-
rimento scritturistico, in genere poco usuale nelle trattazioni sulla pre-
ghiera: 1Gv 5, 14 («Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa
gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta»)1973. Il passo gio-
vanneo gli offre la chiave di volta per risolvere la quaestio dell’esaudi-
mento: condizione fondamentale per ottenere ascolto da Dio è chiedere
conformemente alla sua volontà. Egli rafforza l’idea rammentando a que-
sto punto l’incapacità di pregare secondo Rm 8, 26, che ribadisce a sua
volta l’orizzonte tradizionale della riflessione di Cassiano1974. Ma anche
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1970 Conl. IX, 34, 2-3 (278, 16-21): «Habes in emendatione vitae et operibus mise-
ricordiae secundum illud: Dissolve conligationis inpietatis, solve fasciculos deprimentes
(Is 58, 6). Et post pauca quibus infructuosi ieiunii sterilitas castigatur: tunc, inquit, invo-
cabis, et dominus exaudiet te: clamabis, et dicet: ecce adsum (Is 58, 9)».
1971 Conl. IX, 34, 5 (279, 11-16): «Hortatur enim nos dominus volens ea quae sunt
aeterna caelestiaque praestare, ut eum inportunitate nostra quodammodo coartemus, qui in-
portunos non modo non despicit nec refutat, sed etiam invitat et laudat, eisque praestitu-
rum se quidquid perseveranter speraverint benignissime pollicetur».
1972 Conl. IX, 34, 6 (279, 27–280, 3): «Quod autem infatigabiliter sit domino sup-
plicandum, etiam illo beati Danihelis docemur exemplo, quod exauditus a prima die quo
coepit orare post primum et vicensimum diem consequitur suae petitionis effectum».
1973 Conl. IX, 34, 8 (280, 18-22): «Retractare namque nos convenit illam beati
evangelistae Iohannis sententiam, qua ambiguitas huius quaestionis evidenter absolvitur:
Haec est, inquit, fiducia quam habemus ad eum, quia quidquid petierimus secundum vo-
luntatem eius, audit nos (1Gv 5, 14)».
1974 Conl. IX, 34, 9 (281, 2-7): «Si enim et illud apostoli recordemur, quoniam quid
oremus secundum quod oportet nescimus, intelligimus nos nonnumquam saluti nostrae
La costruzione di un modello 607
in questo caso il monaco di Marsiglia perviene ad un risultato originale:
servendosi nuovamente del modello di Gesù orante, assunto adesso come
esemplificazione del rapporto di comunione tra il Figlio e il Padre, egli
invita ad accompagnare sempre la domanda a Dio con il fondamentale
corollario del rispetto della sua volontà. Sull’esempio della preghiera del
Getsemani, ogni supplica dovrà concludersi con le parole di Gesù: «Però
non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26, 39)1975.
Suggerendo questa conclusione formulare Cassiano sembra predi-
sporre l’argomento che sta al centro della X conferenza, anticipato del re-
sto al termine della IX anche dalla raccomandazione «a pregare frequente-
mente, ma brevemente»1976. È la risposta tecnica di natura più squisita-
mente monastica, mediante il ricorso alla «preghiera monologica», all’in-
terrogativo sull’oratio continua, che generalizza manifestazioni antece-
denti di natura analoga, come l’uso della preghiera antirretica da parte di
Evagrio1977. Del resto Cassiano trasmette questa formula pietatis come un
«segreto» ricevuto dai Padri del monachesimo egiziano. In questo senso,
per assicurare la costante memoria Dei, egli propone la recita ininterrotta
di Sal 69(70), 2: «Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiu-
vandum me festina» («O Dio, vieni a salvarmi, Signore vieni presto in
mio aiuto»)1978. La giustificazione del privilegio accordato a tale versetto
sottolinea il fatto che proprio per la genericità del suo contenuto è suscet-
tibile di applicarsi alle esigenze e alle situazioni più diverse1979, mentre
––––––––––––––––––
contraria postulare et commodissima nobis ab eo qui utilitatis nostras rectius quam nos ac
veracius intuetur ea quae poscimus denegari».
1975 Conl. IX, 34, 13 (282, 14-18): «Et idcirco his quae praediximus exemplis do-
minicis eruditi cunctas obsecrationes nostras simili nos quoque debemus oratione conclu-
dere et hanc vocem cunctis petitionibus nostris semper adiungere: Verumtamen non sicut
ego volo sed sicut tu».
1976 Conl. IX , 36, 1 (283, 12-14): «Ob quod frequenter quidem, sed breviter est
orandum, ne inmorantibus nobis inserere aliquid nostro cordi insidiator possit inimicus».
1977 Con ciò Cassiano diviene l’antesignano della «preghiera di Gesù» cara alla
tradizione ortodossa. La sua importanza fondamentale è riconosciuta da Stewart, 113:
«Cassian has given us the fullest exposition of monologistic prayer to be found in the
early monastic sources. His synthesis of biblical meditatio and both antirrhetic and mono-
logistic prayer, describes a method of unceasing prayer paralleled later by Diadochus and
the Sinai tradition of the Jesus Prayer». Sugli inizi egiziani cfr. Regnault.
1978 Conl. X, 10, 2 (297, 22-26): «Erit itaque ad perpetuam Dei memoriam possi-
dendam haec inseparabiliter proposita vobis formula pietatis: Deus in adiutorium meum
intende: domine ad adiuvandum mihi festina (Sal 69[70], 2). Hic namque versiculus non
inmerito de toto scripturarum exceptus est instrumento».
1979 Conl. X, 10, 3 (297, 26–298, 6): «Recipit enim omnes adfectus quicumque in-
ferri humanae possunt naturae et ad omnem statum atque universos incursus proprie satis
et competenter aptatur. Habet siquidem adversus universa discrimina invocationem dei,
habet humilitatem piae confessionis, habet sollicitudinis ac timoris perpetui vigilantiam,
habet considerationem fragilitatis suae, exauditionis fiduciam, confidentiam praesentis
semper adstantisque praesidii».
608 Parte seconda, Capitolo nono
richiama la costante dipendenza dell’uomo dall’aiuto di Dio, anche quan-
do le cose volgono al meglio per lui1980. Dopo aver illustrato la sua fun-
zione di «prontuario» multiuso in relazione agli attacchi dei vizi, Cassia-
no insiste sulla frequenza della sua ripetizione, fino a farlo diventare un
esercizio automatico che non abbandona l’orante nemmeno nel sonno1981.
In tal modo arriva ad essere per il monaco l’equivalente dello Shema‘ 1982,
ricordandogli sempre nel contempo la sua condizione di «povero», confor-
memente alla beatitudine evangelica1983. In realtà, anche questa «preghie-
ra monologica» – di cui Cassiano traccia qui un elogio appassionato – va
vista in relazione con lo stato più elevato dell’orazione. Anch’essa, in-
fatti, vuole concorrere al manifestarsi della preghiera di fuoco, che è per
Cassiano la preghiera silenziosa e la preghiera dello Spirito, quantunque
essa sia destinata a restare per sua natura un’esperienza-limite1984. Né va
dimenticato che la «preghiera monologica» rimanda al contesto orante
della vita dei monaci, nutrito quotidianamente della recita dei salmi e della
loro meditazione insieme ad altri testi scritturistici. Tenendo presente que-
sto orizzonte Cassiano suggerisce un’iniziazione ermeneutica tra le più
suggestive, prefigurando un’intima assimilazione dei salmi che fa di essi
una oratio propria, formulata per così dire ex parte auctoris1985.
––––––––––––––––––
1980 Conl. X, 10, 5 (298, 24-27): «Nam qui se semper atque in omnibus desiderat
adiuvari, manifestat quod non tantum in rebus duris ac tristibus, sed etiam in secundis ac
laetis pari modo deo egeat adiutore».
1981 Conl. X, 10, 14 (302, 3-9): «Huius igitur versiculi oratio in adversis ut eruamur,
in prosperis ut servemur nec extollamur incessabili iugitate fundenda est. Huius, inquam
versiculi meditatio in tuo pectore indisrupta volvatur. Hunc in opere quolibet seu ministe-
rio vel itinere constitutus decantare non desinas. Hunc et dormiens et reficiens et in ulti-
mis naturae necessitatibus meditare».
1982 Conl. X, 10, 15 (302, 23-28): «Hunc scribes in limine et ianuis oris tui, hunc in
parietibus domus tuae ac penetralibus tui pectoris conlocabis, ita ut haec ad orationem
procumbenti sit tibi adclinis decantatio et exinde consurgenti atque ad omnes usus vitae
necessarios incedenti fiat erecta et iugis oratio».
1983 Conl. X , 11, 2 (303, 10-16): «quae maior aut sanctior potest esse paupertas
quam illius, qui nihil se praesidii, nihil virium habere cognoscens de aliena largitate coti-
dianum poscit auxilium, et vitam suam atque substantiam singulis quibusque momentis
divina ope intellegens sustentari verum se mendicum domini non inmerito profitetur».
1984 Conl. X, 11, 6 (cfr. nota 1968).
1985 Conl. X , 11, 4 (304, 16-23): «Quorum iugi pascuo vegetatus omnes quoque
psalmorum adfectus in se recipiens ita incipiet decantare, ut eos non tamquam a propheta
conpositos, sed velut a se editos quasi orationem propriam profunda cordis conpunctione
depromat vel certe ad suam personam aestimet eos fuisse directos, eorumque sententias
non tunc tantummodo per prophetam aut in propheta fuisse conpletas, sed in se cotidie geri
inplerique cognoscat». Il rapporto della preghiera monologica con il più ampio contesto
orante è ben chiarito da Stewart, 112: «the key to understanding Cassian’s insistence on
the formula is to realize that although prayer is anchored in this single verse, psalms are
still chanted in the “canonical” prayer of the hours, biblical lessons are read at the liturgy,
and meditatio of other biblical texts continues. The formula is an undercurrent in the river
La costruzione di un modello 609
L’esito ultimo della riflessione di Cassiano sulla preghiera è dunque
ben più ricco e complesso dell’innovativa proposta della «preghiera mo-
nologica». Come abbiamo visto, egli presenta numerosi punti di contatto
con le problematiche affrontate da Origene e da altri autori di trattati sulla
preghiera. In un certo senso, se escludiamo i testi di Tertulliano e Cipria-
no, Cassiano offre addirittura il termine di confronto più ravvicinato per
Orat, sia per l’agenda tematica affrontata nella IX conferenza, che per il
significativo corredo di testimonianze scritturistiche ed anche per singoli
motivi di riflessione. La continuità del discorso cristiano sulla preghiera
spirituale è dunque ampiamente testimoniata anche da Cassiano. Al tempo
stesso, però, egli segnala una svolta molto profonda, conseguenza diretta
della nuova esperienza di preghiera del monachesimo. Se la preghiera di
fuoco – pur con qualche analogia con la preghiera pura di Evagrio – in-
troduce una prospettiva in gran parte inedita (anche se non priva di antece-
denti, grazie soprattutto al riferimento a Rm 8, 26-27 e all’interpretazione
offertane, in particolare, da Origene), la formula pietatis rafforza a sua
volta la destinazione monastica, con una fruizione essenzialmente pratica,
del pensiero di Cassiano. Ciò non toglie che anche operando a questo li-
vello “tecnico” egli riesce a dare un’espressione particolarmente efficace
e attuale alla grande tradizione dell’interpretazione spirituale della Bibbia
di matrice alessandrina.

9. Agostino: la preghiera come gemito dello Spirito nel desiderio della


Vita Beata

Il dialogo ideale inscenato in questo capitolo fra Origene e gli espo-


nenti più ragguardevoli del discorso cristiano sulla preghiera fra II e V se-
colo non può non concludersi con Agostino: non solo per la statura del-
l’autore, che fa da adeguato pendant alla grandezza dell’Alessandrino, ma
soprattutto per il fatto che la riflessione agostiniana sulla preghiera non è
meno importante, originale e pervasiva di quella origeniana1986. Essa offre
pertanto una chiave d’accesso al pensiero di Agostino nel suo insieme e
richiederebbe uno studio ben più accurato dell’esposizione che segue.
Tuttavia la natura volutamente sintetica di questa parte ci autorizza a pro-
cedere in modo selettivo, anche se sperabilmente non troppo parziale ed
––––––––––––––––––
of words that carries both anchorites and cenobites through day and night, coming to the
surface in the interstices of other forms of prayer or in times of particular need. On the
basis of total intimacy with the one verse, the monk can navigate the rest of the Bible with
even greater delight and ease».
1986 Nella vasta bibliografia sono da segnalare specialmente Vincent; Antoni; Van
Bavel. Cfr. inoltre Schnurr, 78-134; Hammerling 2008b. Per ulteriori indicazioni biblio-
grafiche sull’interpretazione agostiniana del Pater si veda Beatrice.
610 Parte seconda, Capitolo nono
infedele. Per ricostruire la visuale di Agostino sulla preghiera ci base-
remo, in particolare, sul trattato contenuto nella Lettera 130 a Proba –
l’unica opera specificamente dedicata all’orazione – nonché sui Sermoni
56-59, che sviluppano una catechesi prebattesimale sul Padrenostro. La
preferenza accordata a tali fonti è dettata dalle loro affinità letterarie e te-
matiche con la maggior parte degli scritti esaminati precedentemente che
le rendono più adatte per un raffronto comparativo. In ogni caso ciò non
significa ignorare altri contributi importanti dell’Ipponate, primo fra tutti
il Discorso del Signore sulla montagna con il suo commento di Mt 6. Nel-
la nostra analisi dunque terremo conto del più ampio contesto dell’opera
agostiniana cercando ad un tempo di far emergere la rappresentatività
delle nostre testimonianze principali sulla dottrina eucologica del vescovo
d’Ippona. Del resto, il loro carattere emblematico è già suggerito dalla
stessa diversità di genere letterario e destinatari, senza che questa compor-
ti mutamenti di rilievo nelle posizioni espresse da Agostino.
La Lettera a Proba, una matrona dell’aristocrazia senatoria romana
rimasta vedova e trasferitasi in Africa dopo il sacco di Roma, prospetta
l’ideale esigente di una vita di preghiera includendo, quale suo nucleo ispi-
ratore e modello per la prassi, una stringata esegesi del Padrenostro1987.
Questo, poi, è l’oggetto dei quattro Sermones ad competentes (Sermoni
56-59), rivolti cioè a completare l’istruzione dei catecumeni ormai pros-
simi al battesimo, facendo seguire all’insegnamento sul simbolo di fede
quello sulla Preghiera del Signore1988. Sebbene il tono generale dei di-
scorsi risulti piuttosto piano e semplificato, Agostino vi ribadisce in so-
stanza l’approccio sia della Lettera a Proba che di vari suoi scritti, senza
tuttavia escludere talora degli sviluppi distinti, come avviene ad esempio
nel Discorso del Signore sulla montagna o nel Manuale sulla fede, spe-
ranza e carità1989. Lo stesso vale anche per la prospettiva pur straordina-
riamente ricca che ci è offerta dalle Enarrationes in Psalmos, dedicate ad
interpretare la preghiera per eccellenza dell’Antico Testamento quale pre-

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1987 La lettera è datata in genere al 411-412. Rifugiata a Cartagine, Proba aveva
dato vita ad una comunità religiosa. Per uno studio approfondito del personaggio e del te-
sto si veda Cacciari (La preghiera. Epistola 130 a Proba).
1988 Benché manchi una datazione precisa dei quattro sermoni, il loro arco crono-
logico pare essere abbastanza ravvicinato. Così, se Serm. 56 viene collocato perlopiù fra
410 e 412, Serm. 57 è datato a prima del 410; a loro volta, Serm. 58 risalirebbe agli anni
412-416 e Serm. 59 al 410 o al periodo fra 412 e 415. Per un riepilogo dei dati cronologici
si veda Grossi, 126.
1989 Il De sermone Domini in monte (ca. 393-396) approfondisce l’introduzione al
Padrenostro in Mt 6, 5-8, mentre intreccia la spiegazione delle sette petizioni con quella
delle beatitudini (anch’esse ricondotte ad un settenario) e dei sette doni dello Spirito. A
sua volta, l’Enchiridion (421 ca.), oltre ad aggiungere una spiegazione del testo lucano a
quello di Matteo, collega l’esegesi del Padrenostro allo schema delle tre virtù teologali.
La costruzione di un modello 611
ghiera di Cristo e della Chiesa. Si può insomma constatare una fonda-
mentale continuità della riflessione agostiniana sull’orazione che, in ag-
giunta, si accompagna all’esperienza personale dell’autore, spesso affi-
data allo scritto ed esemplificata nella sua forma più alta e meglio nota
dalla dimensione orante costitutiva delle Confessioni1990. Se anche questa
seconda caratteristica, dopo la presenza diffusa del nostro tema, avvicina
la figura dell’Ipponate all’Alessandrino, non mancano punti di contatto
significativi fra i due autori a livello dottrinale, frutto di una convergenza
ideale se non a seguito di una conoscenza diretta di Origene da parte di
Agostino, come ci si è sforzati di dimostrare, ad esempio, nel caso del Di-
scorso del Signore sulla montagna1991.
Le considerazioni iniziali della Lettera a Proba, pur attentamente ca-
librate in relazione alla condizione sociale della destinataria, una vedova
facoltosa al centro di legami familiari importanti, tracciano già nettamen-
te l’orizzonte della preghiera come esperienza dell’uomo e del cristiano
chiarendo con quali disposizioni d’animo si debba pregare1992. Se l’orazio-
ne è per sua natura l’espressione del bisogno dell’uomo sotto lo sguardo
di Dio, per l’«anima cristiana» essa nasce dall’acuta consapevolezza del-
l’esilio nel mondo, lontano dalla casa del Padre. L’invito ripetuto a Proba
perché si senta «derelitta» (desolata) in questa vita riflette più in generale
l’idea agostiniana dell’itinerario di conversione: l’uomo, rientrando in se
stesso dalla sua dispersione e dissipazione nel mondo esteriore, risponde
al richiamo della vera patria che Dio stesso suscita in lui mediante la voce
del Maestro interiore1993. Di conseguenza la dinamica che trama alla base
le manifestazioni della preghiera è innescata dal desiderium. Attesa della
«vita beata» nella sua espressione più autentica, esso può volgersi ad
obiettivi di natura inferiore che rischiano di distogliere l’anima dalla sua
fondamentale aspirazione, come i beni terreni posseduti in abbondanza da
––––––––––––––––––
1990 A cominciare dall’infanzia, come attesta Conf. I, 9, 14 (24, 14-16): «Nam puer
coepi rogare te, auxilium et refugium meum, et in tuam invocationem rumpebam nodos
linguae meae». Fra gli altri, Madec, 78 ha ben colto il rilievo strutturale della preghiera
nelle Confessioni come interlocuzione con Dio: «La conversion restaure la création, en
réorientant l’esprit vers Dieu et cette orientation se concrétise dans la prière, l’allocution
constante à Dieu».
1991 Per Heidl, 223-235, Agostino, nel comporre il De serm. Dom. in monte, avrebbe
tenuto presente l’esegesi origeniana di Mt 6 conosciuta attraverso Orat o una traduzione
latina di CMt.
1992 La prima parte della trattazione riguarda l’atteggiamento dell’orante, la secon-
da il contenuto della preghiera (Ep. 130, 2 [213, 27]: «quonammodo tibi esset orandum»;
9 [218, 158]: «Audisti qualiter ores, audi et quid ores»; 24 [230, 449-450]: «non solum
qualis ores, verum etiam quid ores»). Se ne veda il sommario in Cacciari, 76-79.
1993 Ep. 130, 5 (215, 80-82): «In his igitur vitae huius tenebris, in quibus peregri-
namur a Domino, quamdiu per fidem ambulamus, non per speciem (2Cor 5, 6-7), desola-
tam debet se anima christiana deputare, ne desistat orare».
612 Parte seconda, Capitolo nono
Proba 1994. Tuttavia, proprio la sollecitudine per l’orazione testimoniata
dalla vedova, che aveva chiesto ad Agostino indicazioni su come attuare
una vita di preghiera, dimostra che Proba non solo avverte la precarietà
dell’esistenza, ma ripone anche la sua speranza in Dio e nei beni eterni
che ci vengono da lui. In tal modo, l’orazione ci appare legata al tempo
del bisogno e della prova, laddove la vita beata – con una formulazione
che richiede però di essere compresa alla luce della visione complessiva
di Agostino – ne sopprime del tutto la necessità: passato il tempo della
«tentazione», giunge ormai quello della «contemplazione»1995. Ora, nel-
l’esistenza terrena solo con il desiderium è possibile realizzare il precetto
apostolico di pregare senza interruzione (1Ts 5, 17); quand’esso viene
meno, tace anche la preghiera 1996. Perciò Agostino vede la vita del cri-
stiano essenzialmente come «esercizio di desiderio» nell’attesa dei beni
che lo colmeranno di beatitudine, laddove questo stesso desiderio lo pre-
para ad accoglierli1997. Applicando questa concezione alla preghiera, essa
si presenta come la via maestra per disporsi interiormente a ricevere la
visione di Dio, che per l’Ipponate equivale alla «vita beata».
Pertanto la vita beata è l’oggetto fondamentale dell’orazione secondo
Agostino, il quid ores in risposta alla richiesta che Proba gli aveva rivolto
più specificamente alla luce di Rm 8, 26 con il suo fondamentale interro-
gativo sulla capacità dell’uomo a domandare a Dio il vero bene1998. Essa
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1994 Sulla preghiera come desiderium si veda Van Bavel, 59-73. Anche la preghiera
per la pioggia è fatta con «desiderio» secondo Serm. 57, 3 (179, 44-45): «videtis cum
quanto gemitu, cum quanto desiderio pluviam petamus».
1995 Ep. 130, 5 (215, 91-96): «illa vita eximet animam nostram de morte, et illud
solacium oculos nostros a lacrymis (Sal 114[115], 8-9) et, quoniam ibi iam non erit ulla
temptatio. [...] Porro si nulla tentatio, iam nulla oratio; non enim adhuc promissi boni
exspectatio, sed redditi contemplatio». Come osservato da Antoni, 156, «l’évidence béati-
fique de la fruitio Dei rendrait caduque la prière, tout au moins la prière de demande, celle
qui enveloppe l’incomplétude de l’homme en son chemin, son angoisse subjective et son
inachèvement ontologique».
1996 En. in Ps. 37, 14 (392, 4-12): «Sit desiderium tuum ante illum; et Pater qui vi-
det in occulto, reddet tibi (Mt 6, 6). Ipsum enim desiderium tuum, oratio tua est: et si
continuum desiderium, continua oratio. Non enim frustra dixit Apostolus: Sine intermis-
sione orantes (1Ts 5, 17). Numquid sine intermissione genu flectimus, corpus prosterni-
mus, aut manus levamus, ut dicat: Sine intermissione orate? Aut si sic dicimus nos orare,
hoc puto sine intermissione non possumus facere. Est alia interior sine intermissione ora-
tio, quae est desiderium». Cfr. anche Serm. 80, 7 (PL 38, 498): «Desiderium semper orat,
etsi lingua taceat. Si semper desideras, semper oras. Quando dormitat oratio? Quando fri-
guerit desiderium».
1997 Tr. in Ep. Io. 4, 6 (230): «Tota vita christiani boni, sanctum desiderium est.
Quod autem desideras, nondum vides; sed desiderando capax efficeris, ut cum venerit
quod videas, implearis».
1998 Ep. 130, 9 (218, 162–219, 166): «Ora beatam vitam; hanc enim habere omnes
homines volunt; nam et qui pessime et perdite vivunt, nullo modo ita viverent, nisi eo
modo se vel esse beatos putarent. Quid igitur aliud oportet orare, nisi id, quod cupiunt et
La costruzione di un modello 613
dovrà allora assecondare l’indicazione del vescovo d’Ippona facendo pro-
prie nella sua esperienza orante le parole del Salmista, voce di Cristo e del-
la Chiesa suo corpo, con il dichiarare anche lei la «sete di Dio» (Sal 62[63])
e l’auspicio di abitare perennemente nella sua dimora (Sal 26[27], 4)1999.
Sebbene Agostino sembri disposto ad ammettere la domanda di beni terre-
ni – quali il necessario per vivere, l’incolumità e l’amicizia – più di quanto
lo fosse Origene con la sua insistenza sul primato dei beni celesti, questi
beni terreni sono però da considerarsi correlati e insieme subordinati al-
l’unico bene autentico, la partecipazione alla vita stessa di Dio2000. In que-
sto senso l’Ipponate converge di fatto con l’Alessandrino nel sottolineare
anch’egli con forza la necessità della preghiera per i beni spirituali, espres-
si qui mediante la nozione di «vita beata». Com’è noto, questo concetto
ispira Agostino fin dall’epoca precedente la conversione, a seguito della
lettura dell’Hortensius ciceroniano, ma dopo di essa è andato connotando-
si in senso più genuinamente cristiano, a un tempo biblico e cristologico,
mediante l’identificazione del Verbo quale beatitudo e sapientia, non sen-
za accompagnarla con le implicazioni trinitarie inerenti ad essa. Perciò
Agostino designa come «Vita Beata» lo stesso Cristo in quanto maestro
di preghiera2001, mentre al termine della spiegazione del Padrenostro ne
ricapitola il contenuto ancora una volta precisamente attraverso questa
espressione2002. Altrove, sviluppando l’istanza critica racchiusa nel discor-
so cristiano sulla preghiera rispetto all’inadeguatezza della pratica diffusa,
egli constata come nella maggior parte dei casi il desiderium dell’orante
s’indirizzi all’acquisizione di una grande varietà di beni materiali, mentre
dovrebbe rivolgersi al Signore stesso; o peggio ancora, la preghiera è di-
storta ancor più gravemente dal vero fine, essendo spesso accompagnata
dall’odio per i nemici2003. Se ciò è del tutto inammissibile per il cristiano,
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mali et boni, sed ad quod perveniunt non nisi boni?». Sul tema agostiniano della ricerca
della felicità, alla luce del nostro testo, cfr. Cacciari, 57-67.
1999 Cfr. Ep. 130, 5. 15.
2000 Ep. 130, 14 (222, 248-250): «Ad illam ergo unam vitam, qua cum Deo et de
Deo vivitur, cetera, quae utiliter et decenter optantur, sine dubio referenda sunt». Per Vin-
cent, Agostino esprime una posizione perfettamente equilibrata: «Elle fait une juste part
aux nécessités du corps, mais elle invite à rechercher, bien au-dela des biens temporels,
d’autres biens qui sont l’objet de la prière» (p. 177).
2001 Ep. 130, 15 (223, 266-267): «Propter hanc adipiscendam beatam vitam ipsa
vera Vita orare nos docuit».
2002 Ep. 130, 24 (230, 451): «Beata vita quaerenda est, haec a Domino Deo petenda».
2003 En. in Ps. 76, 2 (1052, 1–1053, 10): «Sed multi clamant ad Dominum pro divi-
tiis acquirendis damnisque devitandis, pro suorum salute, pro stabilitate domus suae, pro
felicitate temporali, pro dignitate saeculari; postremo pro ipsa etiam salute corporis, quae
patrimonium est pauperis. Pro his atque huiusmodi rebus multi clamant ad Dominum; vix
quisquam propter ipsum Dominum. Facile quippe homini est quodlibet desiderare a Domi-
no, et ipsum Dominum non desiderare; quasi vero suavius esse possit quod dat, quam ipse
qui dat». Agostino denuncia in più occasioni le deformazioni della preghiera, in special
614 Parte seconda, Capitolo nono
la piena attuazione della «preghiera spirituale» – categoria che accomuna
Agostino al discorso eucologico precedente – si dà nel momento in cui il
dono richiesto dall’orante coincide con la persona stessa del Donatore 2004.
Anche per Agostino, non diversamente da Origene e altri autori prima
di lui, Cristo è per eccellenza il maestro della preghiera nonché il tramite
per il suo esaudimento2005. Grazie a Gesù apprendiamo a pregare non solo
con le parole del Padrenostro e le altre istruzioni tramandateci dai testi
evangelici, ma anche con la condotta esemplare di colui che sulla croce ha
pregato per il perdono dei nemici. Alla luce di tale comportamento occor-
re comprendere anche il significato dei salmi imprecatori, da intendersi
secondo il Sermone 56 con valore di profezie, senza che il cristiano sia te-
nuto in alcun modo a maledire qualcuno2006. Il dossier dei luoghi scritturi-
stici racchiuso nella Lettera a Proba è suscettibile di essere confrontato
non solo con Origene, ma più direttamente con gli esponenti della mede-
sima tradizione africana, Tertulliano e Cipriano; in particolare, l’Ipponate
conosceva bene il De dominica oratione del vescovo di Cartagine, che cita
ampiamente, fra l’altro, nello scritto antipelagiano Il dono della perseve-
ranza2007. Tuttavia, come constatatiamo in generale per la sua opera, Ago-
stino non manca neppure qui di elaborare in maniera originale il materia-
le tradizionale. Ne è prova, accanto al richiamo al modello della vedova
molesta in Lc 18, 1 – addotto abitualmente per inculcare la necessità di
non venire meno alla preghiera, perché possa essere efficace2008 –, la ripre-
sa con identica finalità dell’altra parabola lucana sull’amico importuno in
––––––––––––––––––
modo quando è dissociata dal perdono e dalla riconciliazione fraterna, come in Serm. 211, 6
(172, 177-180 Poque): «Scio cottidie venire homines, genua figere, frontem terrae concu-
tere, aliquando lacrimis lotum vultum suum rigare et in ista tanta humilitate ac perturbatio-
ne dicere: “Domine, vindica me, occide inimicum meum”». A questo proposito in Serm.
56 Agostino richiama l’esempio negativo di Sal 108(109), 7, ma senza approfondirlo.
2004 Cfr. Antoni, 135: «Toute prière spirituelle fait coïncider dans son désir le don
et le donateur, c’est-à-dire l’objet de la demande et le destinataire de celle-ci».
2005 Come precisa anche Serm. dom. m. II, 3, 12 (103, 263): «unus et verus magi-
ster»; II, 4, 15 (104, 298-300): «Sed iam considerandum est, quae nos orare ille praecepe-
rit per quem et discimus quid oremus et consequimur quod oramus».
2006 Serm. 56, 3 (155, 60-63): «Ecclesia Dei, quae didicerat a Domino suo, qui
pendens in cruce dixit: Pater, ignosce illis, quia nesciunt quid faciunt (Lc 23, 34), talia
precabatur pro Paulo, immo adhuc pro Saulo, ut hoc in illo fieret quod et factum est».
Sullo sforzo di Agostino per comprendere la preghiera dei salmi alla luce del vangelo, cfr.
Vincent, 125-154.
2007 De dono persev. 2, 4 (PL 45, 996) cita lo scritto di Cipriano in funzione antipe-
lagiana: «Legite aliquanto intentius eius expositionem in beati Cypriani martyris libro,
quem de hac re condidit, cuius est titulus: De dominica oratione: et videte ante quot an-
nos, contra ea quae futura erant Pelagianorum venena, quale sit antidotum praeparatum».
Sull’uso di Cipriano nella controversia pelagiana si veda Chapot, 105 e nota 105.
2008 Ep. 130, 15 (223, 277-289): «ut hinc admoneremur, quam certius nos exaudiat
misericors et iustus Dominus Deus sine intermissione (1Ts 5, 17) orantes».
La costruzione di un modello 615
Lc 11, 5-13, raccordata però in chiave allegorica alla triade paolina di fede,
speranza e carità, che rappresenta uno degli assi concettuali del pensiero
agostiniano sulla vita cristiana 2009. Soprattutto, Agostino si sofferma sul-
l’introduzione al Padrenostro in Mt 6, 5-8 sia per descrivere anch’egli tra-
mite questo passo l’atteggiamento interiore dell’orante, sia per affrontare
quello che già per Origene costituiva il «problema della preghiera». Senza
dubbio, pure con questa riflessione l’Ipponate manifesta delle affinità con
la visuale dell’Alessandrino, specialmente per la sua piena consapevolezza
del dato aporetico e paradossale dell’orazione come tale. Egli l’approfon-
disce in relazione a Mt 6, 8, che di primo acchito pare sopprimere la ne-
cessità di pregare, dato che il Padre onnisciente conosce in anticipo il con-
tenuto delle nostre richieste.
Unico fra gli interpreti che abbiamo preso in esame, Agostino si ri-
collega così all’impostazione problematica tracciata da Origene in Orat a
partire dalle obiezioni degli avversari della preghiera2010. Tuttavia, anzi-
ché inserire la quaestio nel quadro concettuale dell’Alessandrino, che è
imperniato principalmente sul problema del rapporto fra libero arbitrio
dell’uomo e provvidenza divina, egli ne ricava una riflessione di natura
prettamente pedagogica e spirituale, legandola nuovamente al motivo del
desiderium. Secondo l’Ipponate, Dio non ha ovviamente bisogno d’essere
informato su ciò di cui sentiamo l’esigenza di chiedergli, ma siamo noi
che necessitiamo di sperimentare la nostra dipendenza dal volere di Dio
attraverso l’esercizio della preghiera. Traendo ispirazione, in particolare,
dalla messa in guardia contro il multiloquio contenuta in Mt 6, 7, l’Ippo-
nate introduce così considerazioni originali sul freno da porre alla «reto-
rica orante» o meglio ancora su diritti e limiti del regime della parola nella
prassi di preghiera2011. Infatti, se nella Lettera a Proba la soluzione del-
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2009 Cfr. Ep. 130, 16 e il commento di Cacciari, 105, note 75-76, che segnala i rin-
vii parziali in Tertulliano, De orat. I, 1.2.3 e in Origene, Orat X, 2.
2010 Cfr. Orat V, 2 (supra, p. 100). Uno spunto analogo è accennato da Giovanni Cri-
sostomo in Hom. in Matth. XIX , 8 (PG 57, 278): Kai; eij oi\de, fhsivn, w|n creivan e[comen,
tivno" e{neken eu[cesqai dei'… Oujjc i{na didavxh/", ajll∆ i{na ejpikavmyh/": i{na oijkeiwqh/'" th/'
suneceiva/ th'" ejnteuvxew", i{na tapeinwqh/'", i{na ajnamnhsqh/'" tw'n aJmarthmavtwn tw'n sw'n.
2011 Si veda, ad esempio, l’enunciazione della quaestio a commento di Mt 6, 5-8 in
Serm. dom. m. II , 3,12 (102, 255–103, 270): «Sicut hypocritarum est praebere se spectan-
dos in oratione, quorum fructus est placere hominibus, ita ethnicorum, id est gentilium, in
multiloquio se putare exaudiri. Et re vera omne multiloquium a gentilibus venit, qui exer-
cendae linguae potius quam mundando animo dant operam. Et hoc nugatorii studii genus
etiam ad Deum prece flectendum transferre conantur, arbitrantes sicut hominem iudicem
verbis adduci ad sententiam. Nolite itaque similes esse illis, dicit unus et verus magister;
scit enim Pater vester quid vobis necessarium sit, antequam petatis ab eo (Mt 6, 8). Si
enim verba multa ad id proferuntur, ut instruatur et doceatur ignarus, quid eis opus est ad
rerum omnium cognitorem, cui omnia quae sunt eo ipso quo sunt loquuntur seseque indi-
cant facta? Et ea quae futura sunt eius artem sapientiamque non latent, in qua sunt et quae
transierunt et quae transitura sunt omnia praesentia et non transeuntia».
616 Parte seconda, Capitolo nono
l’aporia rimanda all’esercizio del desiderium nell’orazione (tendenzial-
mente di tipo verbale) come condizione per ricevere il dono che Dio si
appresta a concedere, nel Discorso del Signore sulla montagna Agostino
la motiva più estesamente dal punto di vista della critica del linguaggio.
In primo luogo, richiama la distinzione fra res e verba, che sorregge la sua
concezione gnoseologico-ontologica, per raccomandare le prime mediante
una formulazione tutta concettuale ed interiore. Quanto all’espressione
verbale, la sua norma vincolante è stata tracciata dal Signore all’insegna
della brevità mediante le succinte parole del Padrenostro. Esse servono a
rammentarci le res, i contenuti che debbono essere fatti oggetto dell’ora-
zione. L’una e l’altra spiegazione riflettono la dottrina agostiniana sull’i-
nadeguatezza inerente al linguaggio, per lo scarto tra i verba e le res, al
quale sopperisce in parte il paradigma della Preghiera del Signore e più
fondamentalmente il Verbo stesso in quanto Maestro interiore dell’anima.
Agostino però sembra voler fondere i due tratti della sua risposta nella
terza e più ampia spiegazione, in base alla quale l’orazione implica la
quiete e la purificazione del cuore mediante la sua «conversione» (conver-
sio cordis) a Dio, predisponendolo pertanto a partecipare del suo dono, la
«vita beata» 2012. Anche la Lettera a Proba riprende a sua volta il tema del
«cuore», chiamato ad ascendere a Dio nel continuo desiderio della beatitu-
dine e tramite la pratica delle tre virtù teologali – fede, speranza e carità –
alle quali l’orante è sollecitato a conformarsi2013. Del resto, il «cuore» è la
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2012 Serm. dom. m. II, 3, 13-14 (103, 271–104, 297): «Sed quoniam, quamvis pauca,
tamen verba et ipse dicturus est, quibus nos doceat orare, quaeri potest, cur vel his paucis
verbis opus sit ad eum qui scit omnia antequam fiant, et novit, ut dictum est, quid nobis sit
necessarium antequam petamus ab eo. Hic primo respondetur non verbis nos agere debere
apud Deum, ut impetremus quod volumus, sed rebus quas animo gerimus et intentione
cogitationis cum dilectione pura et simplici affectu sed res ipsas verbis nos docuisse Do-
minum nostrum, quibus memoriae mandatis eas ad tempus orandi recordemur. Sed rursus
quaeri potest – sive rebus sive verbis orandum sit –, quid opus sit ipsa oratione, si Deus
iam novit quid nobis sit necessarium, nisi quia ipsa orationis intentio cor nostrum serenat
et purgat, capaciusque efficit ad excipienda divina munera, quae spiritaliter nobis infun-
duntur. Non enim ambitione precum nos exaudit Deus, qui semper paratus est dare suam
lucem nobis non visibilem sed intellegibilem et spiritalem; sed nos non semper parati su-
mus accipere, cum inclinamur in alia et rerum temporalium cupiditate tenebramur. Fit
ergo in oratione conversio cordis ad eum qui semper dare paratus est, si nos capiamus
quod dederit, et in ipsa conversione purgatio interioris oculi, cum excluduntur ea quae
temporaliter cupiebantur, ut acies simplicis cordis ferre possit simplicem lucem divinitus
sine ullo occasu aut immutatione fulgentem, nec solum ferre sed etiam manere in illa, non
tantum sine molestia sed etiam cum ineffabili gaudio, quo vere ac sinceriter beata vita
perficitur». Ancora una volta Antoni, 96 commenta felicemente: «Il s’agit de se poser en
être intégralement transi de désir sous le regard de Dieu. La prière n’est donc pas langa-
gière, elle est l’âme, l’esprit et le corps en tant qu’ils se placent dans toute la tension de
leur désir en présence de Dieu».
2013 Ep. 130, 17-18 (225, 324-326): «quia cor hominis illuc debet ascendere, su-
memus capacius, quanto id et fidelius credimus et speramus firmius et desideramus arden-
La costruzione di un modello 617
«cameretta» di Mt 6, 6, secondo un’interpretazione che allinea nuovamen-
te Agostino alla tradizione antecedente2014. Da notare ancora che neppure
nei Sermones ad competentes l’Ipponate si astiene dall’enunciare l’inter-
rogativo sulle ragioni di pregare, in considerazione della paternità provvi-
dente di Dio dichiarata da Gesù in Mt 6, 8. In tal senso il Sermone 56, pur
riproponendo egualmente il motivo del desiderium a giustificazione della
preghiera, lo declina in maniera originale, grazie alla ripresa di un tema
caratteristico della pedagogia della fede e dell’ermeneutica scritturistica di
Agostino: Gesù ci insegna il modo di pregare affinché non solo trovi ali-
mento il nostro desiderio che lui stesso insinua in noi, ma anche non «si
svilisca» ai nostri occhi il dono di Dio evitando ogni banalizzazione2015.
Se la la preghiera concorre ad intensificare costantemente l’ardore del
desiderio, la condizione orante del cristiano rappresenta di necessità una
sua caratteristica permanente, in conformità con il precetto di 1Ts 5, 17 a
pregare senza interruzione. Ciò comporta – come l’Ipponate ribadisce an-
cora una volta – non venire mai meno al desiderio della vita beata anche
nel mezzo di tutte le attività in cui ci troviamo ad essere impegnati. Inol-
tre, quando tali incombenze siano conformi alla condotta autentica del
cristiano, tutta quanta la vita giunge a trasformarsi in preghiera attraverso
le opere, conformemente all’idea di oratio continua quale accordo tra il
pregare e l’agire che era stata di Origene e di altri autori. Specialmente
nelle Enarrationes in Psalmos Agostino prospetta la preghiera ininterrotta
come «lode» di Dio e «salmo» innalzato a Lui nel pieno della propria
vita2016. D’altra parte, in analogia con il ricorso ai verba, che attivano la
––––––––––––––––––
tius. In ipsa ergo fide et spe et caritate continuato desiderio semper oramus». La triade
paolina ritorna anche in 24 (230, 458-461): «Fides ergo et spes et caritas (1Cor 13, 13) ad
Deum perducunt orantem, hoc est credentem, sperantem, desiderantem, et quae petat a
Domino in dominica oratione considerantem». Si veda inoltre come Agostino argomenta
l’implicazione delle tre virtù nella prassi orante in Enchir. 2, 7 (51, 1-11): «Nam ecce tibi
est symbolum et dominica oratio. Quid brevius auditur aut legitur? Quid facilius memo-
riae commendatur? Quia enim de peccato gravi miseria premebatur genus humanum, et
divina indigebat misericordia, gratiae Dei tempus propheta praedicens ait: Et erit: omnis
qui invocaverit nomen Domini salvus erit (Gl 2, 32). Propter hoc oratio. Sed Apostolus
cum ad ipsam gratiam commendandam hoc propheticum commemorasset testimonium,
continuo subiecit: Quomodo autem invocabunt in quem non crediderunt? (Rm 10, 14).
Propter hoc symbolum. In his duobus tria illa intuere: fides credit, spes et caritas orant.
Sed sine fide esse non possunt, ac per hoc et fides orat».
2014 Cfr. Vincent, 68; Van Bavel, 55-56, che fra l’altro rimanda a En. in Ps. 34, II, 3.
2015 Serm. 56, 4 (156, 74-78): «Sed ne forte hic aliquis dicat: “Si novit quid nobis
sit necessarium, ut quid vel pauca verba dicimus, ut quid oramus? Ipse scit: det quod scit
nobis necessarium!”. Sed ideo voluit ut ores, ut desideranti det, ne vilescat quod dederit:
quia et ipsum desiderium ipse insinuavit».
2016 En. in Ps. 146, 2 (163, 6–164, 19): «Vis ergo psallere? Non sola vox tua sonet
laudes Dei, sed opera tua concordent cum voce tua. Cum ergo voce cantaveris, silebis ali-
quando: vita sic canta, ut numquam sileas. Negotium agis, et fraudem cogitas? Siluisti a
618 Parte seconda, Capitolo nono
coscienza di colui che prega, giova alla continuità dell’esperienza concreta
di preghiera poter contare su momenti particolari consacrati ad essa. Ov-
viamente, anche questi tempi fissi della preghiera non sono richiesti da
Dio, ma servono ad assicurare la piena consapevolezza personale del-
l’orante e ad impedire che l’ardore del suo desiderio s’intiepidisca2017. A
margine di questa interpretazione, che costituisce la linea principale di
riflessione sulla valenza antropologica dell’orazione, Agostino accenna di
passaggio ed in via ipotetica all’utilità della preghiera vocale perché gli
angeli facciano da tramite presso Dio assicurandone l’esaudimento. In li-
nea con la tradizione, l’Ipponate ricava il paradigma scritturistico dalla
storia di Tobia con l’intervento dell’arcangelo Raffaele (Tb 12, 12)2018. In
ogni caso, testimone principale della prassi orante come esperienza con-
tinuata non può non essere anche secondo Agostino lo stesso Gesù2019.
Ma l’Ipponate precisa ulteriormente il proprio pensiero circa i limiti
della preghiera vocale, coerentemente con l’avvertenza contro il multilo-
quio in Mt 6, 7, nell’introdurre la testimonianza della prassi orante del mo-
nachesimo egiziano. Si tratta del celebre, quantunque unico, accenno della
Lettera a Proba sull’uso delle «giaculatorie», secondo il termine suggeri-
to dalla stessa formulazione agostiniana (invocazioni «come lanciate al
volo»), che sembrerebbe rimandare alla consuetudine della «preghiera mo-
nologica» o «preghiera di Gesù» attestataci da Cassiano. Anche Agostino
ne coglie l’aspetto della frequenza, ma più che insistere sulla ripetizione
––––––––––––––––––
laude Dei, et quod gravius est, non solum a laude siluisti, sed in blasphemiam perrexisti.
Cum enim Deus laudatur de bono opere tuo, opere tuo laudas Deum, et cum blasphematur
Deus de malo opere tuo, opere tuo blasphemas Deum. Itaque ad aurium exhortationem
canta voce, corde ne sileas, vita ne taceas. Non cogitas in negotio fraudem? Psallis Deo.
Cum manducas et bibis, psalle, non intermiscendo sonorum suavitates ad aures aptas, sed
modeste et frugaliter et temperanter manducando et bibendo: quia hoc dicit Apostolus: Sive
manducatis, sive bibitis, sive quid facitis; omnia in gloriam Dei facite (1Cor 10, 31)».
2017 Ep. 130, 18 (225, 328–226, 341): «Sed ideo per certa intervalla horarum et
temporum etiam verbis rogamus Deum, ut illis rerum signis nos ipsos admoneamus, quan-
tumque in hoc desiderio profecerimus, nobis ipsis innotescamus, et ad hoc augendum nos
ipsos acrius excitemus. Dignior enim sequetur effectus, quem ferventior praecedit affec-
tus. Ac per hoc et quod ait Apostolus: Sine intermissione orate (1Ts 5, 17), quid est aliud
quam beatam vitam, quae nulla nisi aeterna est, ab illo, qui eam dare solus potest, sine
intermissione desiderate? Semper ergo hanc a Domino Deo desideremus, et semper ore-
mus. Sed ideo ab aliis curis atque negotiis, quibus ipsum desiderium quodammodo tepe-
scit, certis horis ad negotium orandi mentem revocamus verbis orationis nos admonentes
in id, quod desideramus, intendere, ne quod tepescere coeperat, omnino frigescat, et peni-
tus exstinguatur, nisi crebrius inflammetur». In generale (come mostra Vincent, 64-67),
Agostino non dedica molta importanza al problema delle ore di preghiera, ma si preoc-
cupa sempre dei risvolti interiori.
2018 Ep. 130, 18 (226, 346-347): «Aut forte innotescant etiam angelis, qui sunt apud
Deum, ut quodammodo eas offerant Deo et de his consulant».
2019 Ep. 130, 19 (226, 357-358): «Nam et de ipso Domino scriptum est quod per-
noctaverit in orando (Lc 6, 12) et quod prolixius oraverit (cfr. Lc 22, 44)».
La costruzione di un modello 619
di queste formule di preghiera, rileva il loro carattere istantaneo che pre-
viene l’allentamento della concentrazione interiore di colui che prega2020.
È la tensione spirituale dell’orante ciò che preme di più ad Agostino, sen-
za privilegiare il ricorso alla preghiera formulare in quanto tale. Infatti di-
chiara che non v’è ragione d’interrompere l’orazione nel caso in cui la ten-
sione orante non mostri segni di cedimento. Tuttavia, egli ha sempre in
mente una forma di preghiera che non abbonda di parole e trova la sua
sede più congeniale nell’interiorità dell’anima o meglio del cuore. Il tra-
scendimento della preghiera vocale, suggerito dallo stesso carattere com-
pendioso della Preghiera al Signore, si manifesta per Agostino anche nella
preghiera delle lacrime e nei gemiti, che assumono un rilievo particolare
anche in riferimento a Rm 8, 26, come vedremo più avanti. La sua esorta-
zione a Proba, con la distinzione fra «parlare molto» e «pregare molto»,
punta essenzialmente ad incoraggiare l’articolazione delle suppliche me-
diante la preghiera del cuore evitando così l’eccesso di parole:
«Sia ben lungi dalla preghiera un’eccessiva quantità di parole, ma non venga
meno l’abbondanza di suppliche, se perdura una tensione fervida. Parlare molto,
infatti vuol dire, nel caso della preghiera, compiere una cosa necessaria con pa-
role inutili. Pregare molto, invece, è bussare con costante e devota mozione del
cuore presso colui che preghiamo. In effetti questo si fa generalmente più con i
lamenti che con i discorsi, con il pianto più che con le parole. Egli d’altra parte
pone le nostre lacrime al proprio cospetto; il nostro lamento non è nascosto a co-
lui che fece ogni cosa per mezzo del Verbo e che non cerca parole umane»2021.

Con queste premesse – che delimitano fortemente lo spazio della pre-


ghiera vocale favorendo piuttosto il modello di un’orazione silenziosa, a
patto che sia espressione di un intenso raccoglimento interiore – Agostino
si accosta all’interpretazione del Padrenostro, che nel Sermone 56 desi-
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2020 Ep. 130, 20 (227, 361-364): «Dicuntur fratres in Aegypto crebras quidem ha-
bere orationes, sed eas tamen brevissimas et raptim quodammodo iaculatas, ne illa vigi-
lanter erecta, quae oranti plurimum necessaria est, per productiores moras evanescat atque
hebetetur intentio». Cacciari, 110, nota 92 nota giustamente la sintonia della formulazione
agostiniana con il «lessico militare» della preghiera, documentandolo con particolare rife-
rimento a Origene e Tertulliano. Per Antoni, 208: «Cet arrêt de l’intelligence qui tente de
quitter l’écoulement du devenir pour séjourner dans l’Aujourd’hui de Dieu, est le propre
de la prière “fulgurante”. [...] L’oraison jaculatoire tend à épouser le plus possible ce pur
présent, cet instant indivisible soustrait au devenir qu’évoque le chapitre 15 du Livre XI
des Confessions».
2021 Ep. 130, 20 (227, 367-375): «Absit enim ab oratione multa locutio, sed non de-
sit multa precatio, si fervens perseverat intentio. Nam multum loqui, est in orando rem
necessariam superfluis agere verbis. Multum autem precari, est ad eum, quem precamur,
diuturna et pia cordis excitatione pulsare. Nam plerumque hoc negotium plus gemitibus
quam sermonibus agitur, plus fletu quam affatu. Ponit autem lacrymas nostras in con-
spectu suo, et gemitus noster non est absconditus ab eo qui omnia per Verbum condidit et
humana verba non quaerit» (tr. Cacciari, 111-112).
620 Parte seconda, Capitolo nono
gna incisivamente come la forma desideriorum, riappropriandosi con il
suo linguaggio di un’espressione tertullianea2022. Ancora una volta egli ri-
badisce preliminarmente la valenza antropologica della preghiera: le pa-
role del Padrenostro non sono richieste da Dio per lui, bensì sono neces-
sarie per noi, onde renderci edotti su cosa domandare, sia nell’orizzonte
della vita terrena che in quello della vita eterna2023. A quest’ultima riman-
dano specificamente le tre petizioni iniziali della preghiera del Signore,
tutte relative a beni già fruibili parzialmente sulla terra, ma che riceveran-
no piena attuazione in cielo. Invece, le altre petizioni del Padrenostro ri-
guardano l’esistenza nel mondo con i suoi beni transeunti e le prove an-
cora da affrontare2024. Questo schema interpretativo ritorna generalmente
nei numerosi commenti che l’Ipponate ha dedicato al Padrenostro, di solito
a partire dal testo di Matteo, distinto preferibilmente in sette petizioni.
Quanto alla versione lucana, anche in forza della sua sinteticità, nell’En-
chiridion la considera una chiave per comprendere il testo matteano. Con
le sue due omissioni Luca indica che la terza domanda di Matteo va vista
come una ripetizione delle prime due e la settima come un’estrapolazione
della sesta 2025. Non solo la cornice generale dell’esegesi agostiniana del
Pater, ma anche la spiegazione delle singole domande tendono poi a ri-
proporre contenuti simili, come possiamo notare dal raffronto tra il breve
commento della Lettera a Proba e i Sermones 56-59. Senza soffermarci
sui dettagli esegetici in questi come in altri scritti, conviene richiamare gli
––––––––––––––––––
2022 Serm. 56, 4 (156, 79-81): «Verba ergo quae docuit Dominus noster Iesus Chri-
stus in oratione, forma est desideriorum. Non tibi licet petere aliud quam ibi scriptum est».
Cfr. Tertulliano, De orat. 1, 1 (257, 4-5): «novam orationis formam».
2023 Ep. 130, 21 (227, 376-378): «Nobis ergo verba necessaria sunt, quibus com-
moneamur et inspiciamus, quid petamus, non quibus Dominum seu docendum seu flecten-
dum esse credamus».
2024 Enchir. 30, 115 (110, 12-15): «Proinde apud evangelistam Matthaeum septem
petitiones continere dominica videtur oratio, quarum in tribus aeterna poscuntur, in reliquis
quattuor temporalia, quae tamen propter aeterna consequenda sunt necessaria». Chapot,
119-120 vede in ciò la ripresa della distinzione tertullianea sulla struttura del Pater (De
orat. 6, 1), pur riconoscendo l’originalità di Agostino: «En particulier elle reconnaît la
dernière demande comme une quatrième requête de la seconde série, alors que le De ora-
tione y voyait une simple reprise de la sixième demande» (p. 121).
2025 Enchir. 30, 116 (111, 36-50): «Evangelista vero Lucas in oratione dominica
petitiones non septem sed quinque complexus est, nec ab isto utique discrepavit, sed quo-
modo istae septem sint intellegendae ipsa sua brevitate commonuit. Nomen quippe Dei
sanctificatur in spiritu, Dei autem regnum in carnis resurrectione venturum est. Ostendens
ergo Lucas tertiam petitionem duarum superiorum esse quodammodo repetitionem, magis
eam praetermittendo fecit intellegi. Deinde tres alias adiungit, de pane cotidiano, de remis-
sione peccatorum, de temptatione vitanda. At vero quod ille in ultimo posuit: Sed libera
nos a malo, iste non posuit, ut intellegeremus ad illud superius, quod de temptatione dictum
est, pertinere. Ideo quippe ait: Sed libera, non ait et libera, tamquam unam petitionem
esse demonstrans: “Noli hoc, sed hoc”, ut sciat unusquisque in eo se liberari a malo quod
non infertur in temptationem».
La costruzione di un modello 621
elementi che contribuiscono ulteriormente a precisare il modello di pre-
ghiera tracciato da Agostino. In questo senso il pro nobis delle domande,
da non intendere mai come un pro Deo, riafferma tendenzialmente la
funzione circoscritta della preghiera vocale nell’ottica dell’Ipponate.
L’invocazione iniziale è oggetto di una riflessione più specifica nel
Discorso del Signore sulla montagna. Agostino la sfrutta qui per disegnare
una «retorica» positiva dell’orazione, paragonabile nel suo aspetto dosso-
logico alla topica tracciata da Origene in Orat XXXIII, osservando che in
ogni supplica è bene conciliarsi dapprima la benevolenza di colui che può
esaudirla. Ora, indirizzarsi a Dio come «Padre» significa dare anzitutto
espressione alla lode di Dio. Questo spunto sembra essere originale, anche
se il contesto ricalca, sia pure sempre in maniera autonoma, le argomenta-
zioni sviluppate da Tertulliano, Cipriano ed Origene sulla novità dell’ap-
pellativo neotestamentario e cristiano di «Padre» rispetto alla prassi di pre-
ghiera dell’Antico Testamento2026. Analogamente ai suoi predecessori, an-
che per Agostino invocare Dio come Padre implica vivere autenticamente
la condizione di «figli»; ma egli rimarca specialmente l’azione preveniente
del dono di grazia, in forza del quale tale invocazione diventa possibile,
senza che sia da ascrivere ai nostri meriti2027. Invece, la seconda parte del-
l’indirizzo del Pater sfocia in un’interpretazione dal sapore più aperta-
mente origeniano, dal momento che anche l’Ipponate identifica i «cieli»
con i «santi e i giusti» in cui Dio dimora, contrastando egualmente la no-
zione di una sua delimitazione spaziale2028.
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2026 Serm. dom. m. II , 4, 15 (104, 305–105, 317): «Cum in omni deprecatione beni-
volentia concilianda sit eius quem deprecamur, deinde dicendum quid deprecemur, laude
illius ad quem oratio dirigitur solet benivolentia conciliari, et hoc in orationis principio
poni solet. In quo Dominus noster nihil aliud nos iussit dicere nisi: Pater noster qui es in
caelis. Multa dicta sunt in laudem Dei, quae per omnes sanctas Scripturas varie lateque
diffusa poterit quisque considerare cum legit; nusquam tamen invenitur praeceptum po-
pulo Israel, ut diceret: Pater noster, aut oraret Patrem Deum: sed Dominus eis insinuatus
est tamquam servientibus, id est secundum carnem adhuc viventibus». Anche Agostino
precisa il fatto che l’Antico Testamento non ignora Dio come «Padre», mentre è la con-
dotta del popolo eletto che non corrisponde a quella di «figli». Il dossier dei luoghi scrit-
turistici presenta analogie sia con Tertulliano (Is 1, 2; Gv 1, 12 in De orat. 2, 1) che con
Origene (Is 1, 2 e Mal 1, 6 in Orat XXII, 1). Heidl, 232 sottolinea la citazione di Mal 1, 6
che accomuna l’Alessandrino all’Ipponate.
2027 Serm. dom. m. II, 4, 16 (106, 333-342): «Et quoniam quod vocamur ad aeternam
haereditatem, ut simus Christi coheredes et in adoptionem filiorum veniamus (cfr. Rm 8, 17
e 23), non est meritorum nostrorum sed gratiae Dei, eamdem ipsam gratiam in orationis
principio ponimus, cum dicimus: Pater noster. Quo nomine et caritas excitatur – quid enim
carius filiis debet esse quam pater? – et supplex affectus, cum homines dicunt Deo: Pater
noster, et quaedam praesumptio impetrandi quae petituri sumus, cum priusquam aliquid
peteremus, tam magnum donum accepimus, ut sinamur dicere: Pater noster, Deo».
2028 Serm. dom. m. II , 5, 17 (107, 363-366): «Utatur ergo voce Novi Testamenti po-
pulus novus ad aeternam haereditatem vocatus et dicat: Pater noster qui es in caelis, id est
in sanctis et iustis; non enim spatio locorum continetur Deus».
622 Parte seconda, Capitolo nono
Come si è detto sopra, nel commentare le singole petizioni Agostino
si sforza sempre di mettere in luce l’aspetto del pro me / pro nobis nella
Preghiera del Signore, a cominciare dalla domanda sulla santificazione
del Nome. Con essa l’Ipponate intende regolarmente la sua venerazione e
diffusione tra gli uomini, ai quali ciò reca propriamente giovamento, senza
che Dio ne abbia alcun bisogno2029. Anche la seconda petizione riguarda
la condizione dell’uomo, stimolato a crescere nel desiderio del Regno2030,
mentre la terza contiene la richiesta di assecondare la volontà di Dio alla
stessa maniera degli angeli2031. In genere, diversamente dalla stringatezza
della Lettera a Proba, è proprio l’ultima delle prime tre petizioni ad attirare
il maggior sforzo esegetico di Agostino, come vediamo sia dal Discorso
del Signore sulla montagna sia dai Sermoni 56-592032. Nel commento a
Mt 6 Agostino arriva addirittura a proporre quattro diverse spiegazioni
del binomio «cielo e terra»: a) «angeli e uomini (santi)»2033, b) «giusti e
peccatori»2034, c) «spirito e carne»2035, d) Cristo e Chiesa. Se le prime tre

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2029 La sintetica formulazione di Ep. 130, 21 (227, 378-381) può valere a titolo rap-
presentativo: «Cum ergo dicimus: Sanctificetur nomen tuum, nos ipsos admonemus desi-
derare ut nomen eius, quod semper sanctum est, etiam apud homines sanctum habeatur,
hoc est non contemnatur; quod non Deo, sed hominibus prodest». Cfr. Serm. dom. m. II, 5,
19; Serm. 56, 5 (157, 94-97): «Intellege: et pro te rogas. Hoc enim rogas, ut quod semper
sanctum est in se, sanctificetur in te. Quid est sanctificetur? Sanctum habeatur, non con-
temnatur».
2030 Ep. 130, 21 (228, 383-384): «desiderium nostrum ad illud regnum excitamus, ut
nobis veniat, atque nos in eo regnare mereamur». Per l’interpretazione di Serm. dom. m.
II , 6, 20 cfr. Raikas.
2031 Ep. 130, 21 (228, 385-387): «nobis ab illo precamur ipsam oboedientiam, ut
sic in nobis fiat voluntas eius, quemadmodum fit in caelestibus ab angelis eius».
2032 Cfr. ad esempio Serm. 57, 6 (181, 90-91): «Multis enim modis haec petitio in-
tellegi potest, et multa sunt cogitanda in ista petitione».
2033 Serm. dom. m. II, 6, 21 (111, 449-455): «sicut est in angelis, qui sunt in caelis,
voluntas tua, ut omnimodo tibi adhaereant teque perfruantur, nullo errore obnubilante sa-
pientiam eorum, nulla miseria impediente beatitudinem illorum, ita fiat in sanctis tuis, qui
in terra sunt, et de terra quod ad corpus attinet facti sunt, et quamvis in caelestem habita-
tionem atque immutationem, tamen de terra assumendi sunt».
2034 Questa spiegazione considera in aggiunta due eventualità, recuperando il mo-
tivo ciprianeo della preghiera per i nemici (Cipriano, De dom. or. 17, citato da De dono
persev. 3, 6). Cfr. Serm. dom. m. II , 6, 22 (112, 479-483): «faciant voluntatem tuam sicut
iusti ita etiam peccatores, ut ad te convertantur; sive ita: Fiat voluntas tua sicut in caelo et
in terra, ut sua cuique tribuantur; quod fiet extremo iudicio, ut iustis praemium peccatori-
bus damnatio retribuatur, cum agni ab haedis separabuntur».
2035 Cfr. Serm. dom. m. II, 6, 23 (113, 503-508), che risente più direttamente del-
l’orizzonte escatologico della vita beata: «Sed id orandum est, ut sicut in caelo et in terra
fiat voluntas Dei, id est ut quemadmodum condelectamur legi Dei secundum interiorem
hominem, ita etiam corporis immutatione facta huic nostrae delectationi nulla pars nostra
terrenis doloribus seu voluptatibus adversetur». De dono persev. 3, 6 (PL 45, 997) ri-
chiama la spiegazione di Cipriano, De dom. or. 16: «Vult autem ille doctor et martyr, cae-
La costruzione di un modello 623
interpretazioni trovano ampi riscontri in Tertulliano, Origene e Cipriano,
con l’ultima Agostino si ricollega di fatto all’interpretazione origeniana,
anche se per il tramite distinto del tema sponsale con la coppia «uomo e
donna»2036. Il punto di contatto con l’Alessandrino risulta più nettamente
avvertibile, perché negli ulteriori commenti Agostino privilegia la sola
chiave ecclesiologica «Chiesa e nemici»2037.
Anche nel secondo gruppo di domande notiamo una preferenza signi-
ficativa dell’Ipponate, più direttamente rivelatrice del suo modo di guarda-
re alla preghiera. Infatti, nella maggior parte dei casi è rivolta alla quinta
petizione, in quanto implica un requisito essenziale per l’atto stesso di pre-
gare. Da questo punto di vista, la spiegazione della quarta domanda è, in
un certo senso, meno rilevante, sebbene Agostino si sia sforzato di offrire
più di un’interpretazione. Senza interrogarsi sul pane supersubstantialis,
dato che commenta la forma più comune con quotidianus, egli riprende
nelle linee essenziali l’interpretazione fornita da Tertulliano e Cipriano
con il riconoscere due livelli di significato: materiale e spirituale. Nella
Lettera a Proba, con il primo intende la domanda del «pane» come richie-
sta della sufficientia, cioè quanto è strettamente necessario per vivere;
con il secondo, rinvia alla richiesta del pane eucaristico secondo la prassi
della comunione quotidiana in vigore nella chiesa d’Africa2038. Altrove
egli aggiunge però un’ulteriore spiegazione di natura spirituale, recependo
il «pane» come la Parola di Dio. Questa sembra essere l’interpretazione
preferita dall’Ipponate che ci fa così intravedere un ulteriore punto di con-
––––––––––––––––––
lum et terram intellegi spiritum et carnem, et hoc nos orare ut voluntatem Dei re utraque
concordante faciamus».
2036 Serm. dom. m. II , 6, 24 (113, 509-514): «Nec illud a veritate abhorret, ut acci-
piamus Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra: sicut in ipso Domino Iesu Christo ita et
in Ecclesia, tamquam in viro, qui Patris voluntatem implevit, ita et in femina, quae illi de-
sponsata est. Caelum enim et terra convenienter intellegitur quasi vir et femina, quoniam
terra caelo fecundante fructifera est». Cfr. Orat XXVI, 3 (supra, nota 660). Anche Serm.
56, 8 (159, 145-149) attesta le diverse spiegazioni, insistendo sulla piena attuazione della
volontà di Dio come il passaggio dalla concupiscentia alla caritas: «cum ergo hoc bellum
transierit, omnisque concupiscentia in caritate fuerit commutata, nihil in corpore remane-
bit quod spiritui resistat, nihil quod dometur, nihil quod frenetur, nihil quod calcetur, sed
totum per concordiam perget ad iustitiam, fit voluntas tua in caelo et in terra».
2037 Cfr. Serm. 56, 8 (159, 155-157): «Est et alius sensus pius valde. Moniti enim
sumus orare pro inimicis nostris. Ecclesia, caelum est; inimici Ecclesiae, terra sunt»; Serm.
57, 6 (182, 100-102): «Ecclesia Dei coelum est, inimici eius terra sunt. Bene optamus
inimicis nostris, ut credant et ipsi, et fiant christiani»; Serm. 58, 4 (202, 64-66): «Etiam sic
bene intellegi potest: Fiat voluntas tua, sicut in coelo, ita et in terra: ut coelum ponamus
Ecclesiam, quia portat Deum; terram vero infideles».
2038 Ep. 130, 21 (228, 387-393): «Cum dicimus: Panem nostrum quotidianum da
nobis hodie; per id, quod dicitur hodie, significatur hoc tempore, ubi vel sufficientiam il-
lam petimus a parte, quae excellit, id est nomine panis totam significantes vel sacramen-
tum fidelium, quod in hoc tempore necessarium est, non tamen ad huius temporis, sed ad
illam aeternam felicitatem assequendam».
624 Parte seconda, Capitolo nono
tatto dottrinale con l’Alessandrino2039. Esso è tanto più significativo nella
misura in cui Agostino l’elabora con maggiore ampiezza proprio nel Di-
scorso del Signore sulla montagna, lo scritto che sembra riecheggiare più
da vicino l’impostazione di Orat. Un tratto «origeniano« affiora anche nel-
l’approccio problematico proposto dall’Ipponate in questa sede. La quae-
stio è suscitata dalle prime due spiegazioni: da un lato, la richiesta di beni
terreni contraddice in apparenza l’invito di Gesù a non darsi pena del cibo
e del vestito (Lc 12, 22), mentre il modello di preghiera da lui inculcato
esige invece un forte coinvolgimento interiore (Mt 6, 6)2040; dall’altro lato,
la prassi eucaristica quotidiana non è condivisa dalle chiese orientali, lad-
dove il Padrenostro è vincolante per tutti come regula orandi; inoltre, am-
messa l’identificazione con il pane eucaristico, paradossalmente non si do-
vrebbe più pregare il Padrenostro dopo aver comunicato 2041. Dunque, solo
la terza spiegazione, in relazione al nutrimento spirituale della Parola di
Dio – con i suoi precetti da meditare e attuare quotidianamente nell’esi-
stenza terrena – risulta essere la più adeguata2042. In tal modo Agostino
ricupera la visuale interamente spirituale della quarta domanda che era
tipica di Origene, sia pure ammettendo da ultimo la possibilità di servirsi
delle altre due spiegazioni in collegamento con la terza2043. Se in seguito
l’Ipponate lascia cadere tale richiesta, non trascura però di ribadire il pri-
mato dell’accezione spirituale di «pane quotidiano» anche nei Sermones
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2039 La preferenza è riconosciuta, fra gli altri, da Courtray, 42-43.
2040 Serm. dom. m. II, 7, 25 (114, 523-536): «Sed horum trium quid sit probabilius,
considerari potest. Nam forte quispiam moveatur, cur oremus pro his adipiscendis quae
huic vitae sunt necessaria, veluti est victus et tegumentum, cum ipse Dominus dicat: No-
lite solliciti esse quid edatis vel quid induamini (Lc 12, 22). An potest quisque de ea re pro
qua adipiscenda orat non esse sollicitus, cum tanta intentione animi oratio dirigenda sit, ut
ad hoc totum illud referatur quod de claudendis cubiculis dictum est (cfr. Mt 6, 6), et illud
quod ait: Quaerite primum regnum Dei, et haec omnia apponentur vobis (Mt 6, 33)? Non
ait utique: Quaerite primum regnum Dei, deinde ista quaerite, sed: haec omnia, inquit, ap-
ponentur vobis, scilicet etiam non quaerentibus. Quomodo autem recte dicatur non quae-
rere aliquis quod ut accipiat intentissime Deum deprecatur, nescio utrum inveniri queat».
2041 Serm. dom. m. II, 7, 26 (115, 546-554): «Sed ut de istis, ut dictum est, nihil in
aliquam partem disseramus, illud certe debet occurrere cogitantibus, regulam nos orandi a
Domino accepisse, quam transgredi non oportet vel addendo aliquid vel praetereundo.
Quod cum ita sit, quis est qui audeat dicere semel tantum nos orare debere orationem
dominicam, aut certe, etiam si iterum vel tertio, usque ad eam tamen horam qua corpori
Domini communicamus, postea vero non sic orandum per reliquas partes diei?».
2042 Serm. dom. m. II , 7, 27 (115, 557-559): «Restat igitur ut cotidianum panem ac-
cipiamus spiritalem, praecepta scilicet divina, quae cotidie oportet meditari et operari».
Calderone, 64 rileva giustamente in Agostino la precedenza dell’interpretazione orige-
niana, cioè la spiegazione «intellettuale», sulla «materiale» e sull’«eucaristica».
2043 Serm. dom. m. II , 7, 27 (116, 578-583): «Si quis autem etiam [illa quae] de
victu corporis necessario vel de sacramento dominici corporis istam sententiam vult acci-
pere, oportet ut coniuncte accipiantur omnia tria, ut scilicet cotidianum panem simul pe-
tamus et necessarium corpori et sacratum visibilem et invisibilem Verbi Dei».
La costruzione di un modello 625
ad competentes. Fra l’altro, commentando la quarta domanda del Pater
nel Sermone 56, egli vi introduce l’idea di una costitutiva «mendicità»
dell’uomo al cospetto di Dio, motivo già presente in Gregorio di Nissa e
Cassiano, a dimostrazione dell’imprescindibilità dell’oratio2044 . A sua
volta, il Sermone 57, mentre estende il significato spirituale all’insegna-
mento impartito da Agostino con la sua predicazione e alla vita di preghie-
ra della chiesa, rafforza la dimensione terrena della richiesta del «pane quo-
tidiano» rispetto alla condizione oltremondana che si contraddistinguerà
per la fruizione diretta del Verbo nella contemplazione di lui. Qui, come
pure nel Sermone 59, Agostino lascia intravedere più chiaramente il supe-
ramento del regime della parola, che condiziona l’espressione della pre-
ghiera nell’orizzonte della vita terrena2045.
Il rilievo della quinta petizione agli occhi dell’Ipponate emerge so-
prattutto nei Sermones ad competentes e nell’Enchiridion, dal momento
che la Lettera 130 annota brevissimamente come essa ci istruisca a un tem-
po sul contenuto della preghiera e sul modo in cui possiamo ottenerlo2046.
Anche nel Discorso del Signore sulla montagna la trattazione risulta ab-
breviata, poiché nell’economia dello scritto Agostino ha già affrontato il
tema della vendetta e del perdono, quantunque egli si premuri di segnalare
l’importanza della quinta domanda a conclusione della sezione sulla pre-
ghiera2047. Invece, nei Sermoni 56-59 l’esegesi della quinta domanda è la
dominante, al punto che essa tende a condizionare anche la spiegazione
delle due restanti petizioni, come avviene in particolare nel Sermone 56 2048.
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2044 Serm. 56, 9 (160, 171-173): «Quando dicis: Panem nostrum quotidianum da
nobis hodie, profiteris te mendicum Dei. Sed noli erubescere: quantumlibet sit quisque di-
ves in terra, mendicus Dei es». Il motivo ricorre spesso; ad esempio, in Serm. 123, 5 (PL
38, 686): «Qui panem quotidianum petis, pauper es, an dives?». Sulla sua presenza in Gre-
gorio di Nissa e Cassiano cfr. rispettivamente note 1902 e 1983.
2045 Serm. 57, 7 (184, 146-154): «Hic enim sunt necessaria peregrinationi nostrae.
Numquid, illuc quando venerimus, codicem sumus audituri? Ipsum Verbum visuri, ipsum
Verbum audituri, ipsum manducaturi, ipsum bibituri, quomodo angeli modo. Numquid
angelis codices sunt necessarii, aut disputatores, aut lectores? Absit! Videndo legunt: vi-
dent enim ipsam Veritatem, et illo fonte satiantur, unde nos inroramur. Dictum est ergo de
pane quotidiano; quia in ista vita nobis est necessaria haec petitio». La stessa idea compare
in Serm. 59, 6 (224, 78-87): «Cum autem vita ista transierit nec panem illum quaeremus
quem quaerit fames, nec sacramentum altaris habemus accipere, quia ibi erimus cum Chri-
sto cuius corpus accipimus, nec verba ista nobis dici habent quae dicimus vobis nec codex
legendus est, quando ipsum videbimus quod est Verbum Dei, per quem facta sunt omnia,
quo pascuntur angeli, quo inluminantur angeli, quo sapientes fiunt angeli, non quaerentes
verba locutionis anfractuosae sed bibentes unicum Verbum et inde impleti ructant laudes
et non deficiunt in laudibus».
2046 Ep. 130, 21 (228, 394-395): «nos admonemus et quid petamus, et quid facia-
mus, ut accipere mereamur».
2047 Serm. dom. m. II, 8, 28.
2048 Agostino vi accorpa la sesta e la settima domanda come postilla della quinta.
Cfr. Serm. 56, 18 (170, 415-420): «Propter illa quae iam facta sunt, ista tibi sententia cu-
626 Parte seconda, Capitolo nono
Propiziata dal contesto di una catechesi prebattesimale, essa verte sull’idea
che la richiesta della remissione dei peccati costituisce la quotidiana mun-
datio, la «purificazione» di cui il cristiano ha bisogno giorno per giorno
dopo il battesimo. Infatti, nessuno rimane immune dal peccato, grande o
piccolo che sia, anche dopo il lavacro battesimale. Così, la preghiera ci
ricorda sempre la nostra condizione di peccatori, bisognosi del perdono di
Dio, mentre ci impegna a nostra volta al perdono e all’amore dei nemici.
Con una metafora di facile comprensione per il suo uditorio, Agostino
descrive l’azione purificatrice della preghiera come lo svuotamento quo-
tidiano della sentina di una nave onde evitare che affondi, unendo altresì
orazione ed elemosina nel segno di una vita cristiana pienamente coe-
rente2049. Come l’Ipponate osserva ancora nell’Enchiridion, Gesù stesso è
testimone dell’importanza della quinta domanda: dopo averla insegnata
nel Padrenostro, egli è tornato ad inculcarla con un rinnovato invito – che
suona come un «tuono» – a perdonare i peccati altrui, pena il mancato per-
dono dei propri da parte di Dio (Mt 6, 14-15)2050. A sua volta, il Discorso
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rationis subvenit: Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris.
Propter illa quae potes incidere, quid facies? Ne nos inferas in tentationem, sed libera nos
a malo. Ne nos inferas in tentationem, sed libera nos a malo: hoc est, ab ipsa tentatione».
In Serm. 57, 11-12, la spiegazione della sesta riprende il motivo della quinta grazie al-
l’idea che la magna tentatio da evitare sia la vendetta e il mancato perdono dei nemici.
2049 Serm. 56, 11 (162, 222-226): «qui autem baptizantur et tenentur in hac vita, de
fragilitate mortali contrahunt aliquid, unde, etsi non naufragatur, tamen oportet ut sentine-
tur, quia, si non sentinatur, paulatim ingreditur unde tota navis mergatur. Et hoc orare sen-
tinare est. Non tantum autem debemus orare, sed et eleemosynam facere, quia, quando
sentinatur ne navis mergatur, et vocibus agitur et manibus». Il motivo figura anche nel testo
più o meno contemporaneo (410-412 ca.) del Serm. 213, 9 (PLS II, 542): «Sed quoniam
vivituri sumus in isto saeculo, ubi quis non vivit sine peccato, ideo remissio peccatorum
non est in sola ablutione sacri baptismatis, sed etiam in oratione dominica et quotidiana,
quam post octo dies accepturi estis. In illa invenietis quasi quotidianum baptismum ve-
strum». Basandosi su ciò Hammerling 2008b, 197, giunge ad attribuire un valore sacramen-
tale alla Preghiera del Signore: «the Lord’s Prayer was a sacramental prayer for Augus-
tine, a prayer of hope and forgiveness, grace and salvation, and the very extension of
baptism into the everyday lives of believers». La necessità di una purificazione quotidiana
era già stata inculcata da Cipriano, De dom. or. 12, in relazione però alla prima domanda.
2050 Enchir. 19, 74 (89, 69-75): «Qui cum docuisset orationem, hanc in ea positam
sententiam vehementer commendavit dicens: Si enim dimiseritis hominibus peccata eo-
rum, dimittet et vobis Pater vester caelestis peccata vestra; si autem non dimiseritis homi-
nibus, nec Pater vester dimittet peccata vestra (Mt 6, 14-15). Ad tam magnum tonitruum
qui non expergiscitur, non dormit sed mortuus est: et tamen potens est ille etiam mortuos
suscitare». Lo stesso spunto si ritrova in Serm. 57, 12 (189, 258-261): «Magister et Salvator
noster, cum doceret nos in hac oratione sex vel septem petitiones, nullam sibi assumpsit
unde tractaret, et quam nobis vehementius commendaret, nisi hanc unam». Per un elenco
dei numerosi sermoni in cui Agostino ha affrontato l’argomento cfr. Hammerling 2008b,
187. Il motivo è presente anche in Giovanni Crisostomo, Hom. in Matth. XIX, 6 (PG 57,
281), che rinvia ugualmente a Mt 6, 14: dei'xai boulovmeno" o{shn uJpe;r tou' pravgmato"
poiei'tai th;n spoudhvn, kai; ijdikw'" aujto; tivqhsi, kai; meta; th;n eujch;n oujdemia'" a[llh"
La costruzione di un modello 627
del Signore sulla montagna, riecheggiando un motivo di Gregorio di Nis-
sa, osserva che la quinta è l’unica fra tutte le domande a istituire una sorta
di «patto» con Dio2051. In seguito Agostino la sfrutterà anche nella pole-
mica con i pelagiani per ricordare la costante confessione terrena della
sua colpevolezza da parte della chiesa2052.
Quanto alla sesta e alla settima petizione, l’una e l’altra ci inculca-
no anch’esse, secondo la Lettera a Proba, la consapevolezza del bisogno
dell’aiuto divino2053. In particolare, Agostino vi dà valore alla settima do-
manda come la formulazione capace di compendiare al meglio la condi-
zione e i sentimenti dell’orante cristiano, al punto di raccomandare il suo
utilizzo come inizio, centro e clausola di ogni invocazione a Dio2054. Se
ciò ricorda l’analoga indicazione di Cassiano, sia pure riferita alle parole
di Gesù nel Getsemani2055, si noti però come con questa spiegazione la
preghiera vocale tenda di nuovo a trapassare in una forma di orazione di-
versa, che si affida ormai ai «gemiti» e alle «lacrime». Ben più analitica è
l’esposizione che l’Ipponate dedica alla sesta petizione nel Discorso del
Signore sulla montagna dove non mancano ancora una volta sorprendenti
analogie con la trattazione di Orat. Enunciato il problema della duplice
resa latina del verbo greco eijsenevgkh/" («ne inducas» o «ne nos patiaris
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ejntolh'" mevmnhtai h] tauvth". Il Crisostomo nota anche come Paolo, descrivendo il modo di
pregare in 1Tm 2, 8, si preoccupi soprattutto del precetto di amare i nemici: oujde;n ou{tw"
ejxezhvthsen wJ" th'" ejntolh'" tauvth" th;n fulakhvn (Hom. in Matth. XIX, 8 [PG 57, 284]).
2051 Serm. dom. m. II, 11, 39 (130, 867-875): «Sane non neglegenter praetereundum
est, quod ex omnibus his sententiis, quibus nos Dominus orare praecepit, eam potissimum
commendandam esse iudicavit quae pertinet ad dimissionem peccatorum in qua nos mise-
ricordes esse voluit, quod unum est consilium miserias evadendi. In nulla enim alia senten-
tia sic oramus, ut quasi paciscamur cum Deo; dicimus enim: Dimitte nobis, sicut et nos
dimittimus. In qua pactione si mentimur, totius orationis nullus est fructus». Anche qui si
cita Mt 6, 14-15. Sulla presenza del tema nel Nisseno, che però rimarca il “condizionamen-
to” di Dio ad opera di chi perdona, cfr. De or. dom. V (61, 12 ss.).
2052 Serm. 181, 7 (PL 38, 982): «Ubi es ergo, haeretice Pelagiane vel Caelestiane?
Ecce tota Ecclesia dicit: Dimitte nobis debita nostra. Habet ergo maculas et rugas. Sed
confessione ruga extenditur, confessione macula abluitur. Stat Ecclesia in oratione, ut
mundetur confessione; et quamdiu hic vivitur, sic stat».
2053 Ep. 130, 21 (228, 396-400): «Cum dicimus: Ne nos inferas in tentationem, nos
admonemus hoc petere, ne deserti eius adiutorio alicui temptationi vel consentiamus de-
cepti, vel cedamus afflicti. Cum dicimus: Libera nos a malo, nos admonemus cogitare,
nondum nos esse in eo bono ubi nullum patiemur malum».
2054 Ep. 130, 21 (228, 400-404): «Et hoc quidem ultimum quod in oratione domi-
nica positum est, tam late patet, ut homo christianus in qualibet tribulatione constitutus in
hoc gemitus edat, in hoc lacrimas fundat, hinc exordiatur, in hoc immoretur, ad hoc ter-
minet orationem». Agostino lo ribadisce in Ep. 130, 23 (230, 445-448), per i contenuti
che non si confanno al Padrenostro: «Quamobrem pudeat saltem petere, quae non pudet
cupere; aut si et hoc pudet, sed cupiditas vincit, quanto melius hoc petitur, ut etiam ab isto
cupiditatis malo liberet, cui dicimus: Libera nos a malo!» (si veda anche nota 2059).
2055 Cfr. supra, nota 1975.
628 Parte seconda, Capitolo nono
induci») 2056, anche Agostino chiarisce al pari di Origene come non si tratti
di pregare per non essere tentati, bensì per non soccombere alla tentazio-
ne2057. Infatti, senza la «tentazione» intesa come «prova» nessuno può es-
sere vagliato e questa prova assume per chi l’affronta un valore diagnosti-
co, analogamente a quanto aveva sostenuto l’Alessandrino 2058.
Nella Lettera a Proba lo sguardo retrospettivo, che spesso accompa-
gna la conclusione dei commenti agostiniani sul Padrenostro, mette anco-
ra in risalto la Preghiera del Signore come il paradigma e la norma della
preghiera cristiana. Essa è il metro di giudizio e la sintesi vincolante per
qualunque altra espressione orante. Non è tanto questione di forma per
l’Ipponate, a parte la compendiosità sempre raccomandata, quanto piutto-
sto dei contenuti che vi sono riassunti in maniera esemplare. Come tale, il
Padrenostro costituisce il modello per eccellenza della «preghiera spiritua-
le»; chiunque si discosti da esso non può non pregare «in modo carnale»
(carnaliter), all’opposto di coloro che, rinati nello Spirito, sono invece
chiamati a pregare «in modo spirituale» (spiritaliter)2059. In questa rifles-
sione troviamo non solo l’ulteriore conferma della piena adesione di Ago-
stino al discorso eucologico fra II e V secolo, sempre impegnato ad appro-
fondire la preghiera cristiana come «preghiera spirituale», ma – come si
vedrà fra breve – anche la premessa per un’implicazione essenziale sulla
natura «pneumatica» dell’autentica orazione che avvicina ancor di più
l’Ipponate all’Alessandrino. Inoltre Agostino si riallaccia alla tradizione
precedente anche per il fatto che riformula l’idea tertullianea del Padre-
nostro come compendio non solo del vangelo ma in generale di tutta quan-
––––––––––––––––––
2056 Serm. dom. m. II, 9, 30 (119, 638-642): «Nonnulli codices habent inducas, quod
tantundem valere arbitror; nam ex uno graeco quod dictum est eijsenevgkh/" utrumque
translatum est. Multi autem in precando ita dicunt: Ne nos patiaris induci in tentationem,
exponentes videlicet, quomodo dictum sit inducas». In proposito si veda Courtray, 51-59.
2057 Serm. dom. m. II, 9, 32 (120, 671–121, 674): «Non ergo hic oratur ut non temp-
temur, sed ut non inferamur in temptationem; tamquam si quispiam cui necesse est igne
examinari non oret ut igne non contingatur, sed ut non exuratur».
2058 Serm. dom. m. II , 9, 31 (120, 655-661): «Quod itaque scriptum est: Tentat vos
Dominus Deus vester, ut sciat si diligitis eum (Dt 13, 3), illa locutione positum est: Ut
sciat, pro eo quod est: ut scire vos faciat; sicut diem laetum dicimus, quod laetos faciat, et
frigus pigrum, quod pigros faciat, et innumerabilia huiusmodi, quae sive in consuetudine
loquendi sive in sermone doctorum sive in Scripturis sanctis repperiuntur». Anche Serm.
57, 9 distingue fra tentatio e probatio e richiama l’utilità diagnostica della prova.
2059 Ep. 130, 22 (228, 406-229, 413): «Nam quaelibet alia verba dicamus, quae af-
fectus orantis vel praecedendo format ut clareat, vel consequendo attendit ut crescat, nihil
aliud dicimus, quam quod in ista dominica oratione positum est, si recte et congruenter
oramus. Quisquis autem id dicit quod ad istam evangelicam precem pertinere non possit,
etiamsi non illicite orat, carnaliter orat, quod nescio quemadmodum non dicatur illicite,
quando quidem spiritu renatos non nisi spiritaliter deceat orare». Come ricorda Hammer-
ling, 184, la normatività delle domande del Padrenostro ricollega Agostino a Cipriano, De
dom. or. 9.
La costruzione di un modello 629
ta la Scrittura. Egli si sforza di provarlo grazie ad un confronto sinottico
fra passi dell’Antico Testamento – tratti dai libri sapienziali o dai salmi –
e le singole petizioni dell’oratio dominica: anche se le formulazioni vete-
rotestamentarie possono apparire diverse, in essa vi si si ritrovano tutti i
loro contenuti2060.
L’epilogo del commento nel Discorso del Signore sulla montagna svi-
luppa considerazioni in parte diverse. Dopo aver ripetuto la distinzione fra
le prime tre petizioni e le quattro restanti in base allo schema consueto
«vita eterna/vita terrena», Agostino ne trae una delle riflessioni più espli-
cite sul trascendimento del regime della parola e di altri «segni temporali»
nella contemplazione eterna di Dio. A questo fine sfrutta in senso allegori-
co la differenza fra «cibo» e «bevanda»: il primo, anche se riferito al pane
quotidiano come nutrimento spirituale, richiede l’esercizio della mandu-
cazione tramite parole e segni rinviando all’esistenza presente nella sua
scansione temporale e con tutte le altre limitazioni inerenti ad essa; la se-
conda simboleggia al contrario la fruizione priva di lentezze e ostacoli che
è propria della visione di Dio, percepibile dalla mente in tutta la sua im-
mediatezza2061. Così, il desiderio della vita beata che alimenta e sostiene
le manifestazioni della prassi orante prefigura in nuce l’approdo finale
della preghiera al silenzio, che s’intravede peraltro sia nella spiegazione
del Padrenostro come testo normativo per i contenuti (res) più che per le
sue parole (verba) sia nelle forme d’orazione che l’Ipponate sembra cal-
deggiare particolarmente. Infatti, sebbene l’oratio dominica sia la pre-
ghiera quotidiana della chiesa – come Agostino ricorda ai catecumeni nel
Sermone 58, invitandoli a recitarla ogni giorno una volta battezzati2062 –,
––––––––––––––––––
2060 Ep. 130, 22 (229, 430-434): «si per omnia precationum sanctarum verba di-
scurras, quantum existimo, nihil invenies, quod non ista dominica contineat et concludat
oratio. Unde liberum est aliis atque aliis verbis, eadem tamen in orando dicere, sed non
esse debet liberum alia dicere». Al c. 29 la difficoltà a raccordare la preghiera di Anna
con il paradigma dell’oratio dominica è risolta mediante l’applicazione ad essa della set-
tima domanda (235, 570-573): «Sed oratio eius quomodo ad orationem illam dominicam
pertineat, non facile reperitur, nisi quia in eo, quod ibi positum est: Libera nos a malo, non
parvum malum videtur, et nuptam esse, et fructum carere nuptiarum».
2061 Serm. dom. m. II, 10, 37 (127, 805-818): «non quia spiritalis cibus non est
sempiternus, sed quia iste, qui cotidianus dictus est in Scripturis, sive in strepitu sermonis,
sive quibusque temporalibus signis exhibetur animae, quae omnia tunc utique non erunt,
cum erunt omnes docibiles Deo et ipsam ineffabilem lucem veritatis non motu corporum
significantes sed puritate mentis haurientes. Nam fortasse propterea et panis dictus est non
potus, quia panis frangendo atque mandendo in alimentum convertitur, sicut Scripturae
aperiendo et disserendo animam pascunt, potus autem paratus sicuti est transit in corpus,
ut isto tempore panis sit veritas, cum cotidianus panis dicitur, tunc autem potus, cum la-
bore nullo disputandi et sermocinandi quasi frangendi atque mandendi, opus erit sed solo
haustu sincerae ac perspicuae veritatis».
2062 Serm. 58, 12 (212, 273-277): «Oratio vobis cotidie dicenda est, cum baptizati
fueritis. In ecclesia enim ad altare Dei cotidie dicitur ista dominica oratio, et audiunt illam
630 Parte seconda, Capitolo nono
il modo di pregare trova in ogni caso la sua illustrazione emblematica,
anche per il Padrenostro, nell’istruzione premessa ad esso da Gesù (Mt 6,
5-8). In conformità con questa, nel Discorso del Signore sulla montagna
l’Ipponate ha tracciato un’immagine dell’atto orante che accentua forte-
mente il suo processo di interiorizzazione.
Mediante la corrispondenza già evocata fra i cubicula e i corda in
base a Mt 6, 6, la preghiera è chiamata ad estrinsecarsi nella sua modalità
più adeguata come «esercizio spirituale», con l’attivazione di un’«anacore-
si» sensoriale ed un intimo raccoglimento della mente in Dio. È il model-
lo ben noto agli autori precedenti, primo fra tutti Origene, che ancora una
volta fa capolino attraverso questo scritto agostiniano. Designata espressa-
mente come oratio spiritalis, la preghiera s’indirizza al Padre, il quale si
manifesta all’orante nell’intimità del cuore2063. In tal modo Agostino sem-
bra parafrasare da vicino il testo matteano, ma in realtà l’iscrive nella sua
visione di un’interiorità animata dalla presenza del Verbo, a immagine
stessa del modello di Cristo orante che a propria volta è inabitato dal Pa-
dre2064. Ne abbiamo una testimonianza particolarmente eloquente nella de-
cima omelia dei Tractatus in Ioannem (406-407), che allude a Mt 6, 6 con
l’immagine della «stanza del cuore»:
«Pregate senza esitazione, c’è chi ascolta: chi vi ascolta è dentro di voi. Non do-
vete levare gli occhi verso un determinato monte, non dovete levare lo sguardo
alle stelle, al sole, alla luna. Non crediate di essere ascoltati se pregate rivolti al
mare: dovete anzi detestare preghiere simili. Purifica piuttosto la stanza del tuo
cuore; dovunque tu sia, dovunque tu preghi, è dentro di te colui che ti ascolta,
dentro nel segreto, che il salmista chiama “seno” dicendo: La mia preghiera si ri-
percuoteva nel mio seno (Sal 34,13). Colui che ti ascolta non è fuori di te. Non
––––––––––––––––––
fideles. Non ergo timemus, ne minus diligenter eam teneatis: quia et si quis vestrum non
poterit tenere perfecte, audiendo cotidie tenebit».
2063 Serm. dom. m. II , 3, 11 (101, 233–102, 247): «vos autem cum oratis, inquit, in-
troite in cubicula vestra (Mt 6, 6). Quae sunt ista cubicula nisi ipsa corda, quae in psalmo
etiam significantur, ubi dicitur: Quae dicitis in cordibus vestris, et in cubilibus vestris
compungimini (Sal 4, 5)? Et claudentes ostia orate, ait, Patrem vestrum in abscondito. Pa-
rum est intrare in cubicula, si ostium pateat importunis, per quod ostium ea quae foris sunt
improbe se immergunt et interiora nostra appetunt. Foris autem esse diximus omnia tem-
poralia et visibilia, quae per ostium, id est per carnalem sensum, cogitationes nostras pene-
trant et turba vanorum fantasmatum orantibus obstrepunt. Claudendum est ergo ostium, id
est carnali sensui resistendum est, ut oratio spiritalis dirigatur ad Patrem, quae fit in intimis
cordis, ubi oratur Pater in abscondito. Et Pater, inquit, vester, qui videt in abscondito, red-
det vobis» (Mt 6, 6).
2064 En. in Ps. 34, II, 5 (316, 24-30): «In se habebat quem deprecaretur: non erat ab
illo longe, quia ipse dixerat: Ego in Patre, et Pater in me est (Gv 14, 10). Sed quia oratio
ad ipsum magis hominem pertinet: secundum enim quod Verbum est Christus, non orat,
sed exaudit; et non sibi subveniri quaerit, sed cum Patre omnibus subvenit: quid est: Ora-
tio mea in sinum meum convertetur (Sal 34[35], 13), nisi, in meipso humanitas, in meipso
interpellat divinitatem?».
La costruzione di un modello 631
andare lontano, non levarti in alto come se tu dovessi raggiungerlo con le mani.
Più t’innalzi, più rischi di cadere; se ti umili, egli ti si avvicinerà. Questo è il Si-
gnore Dio nostro, Verbo di Dio, Verbo fatto carne, Figlio del Padre, Figlio di Dio
e Figlio dell'uomo, eccelso come Creatore e umile come Redentore; che ha cam-
minato tra gli uomini, sopportando la debolezza umana, tenendo nascosta la po-
tenza divina» 2065.
L’interiorizzazione dell’atto orante trova inoltre conferma nel forte
ridimensionamento delle sue circostanze esteriori, il che fornisce un ulte-
riore parallelo con il pensiero di Origene. Anche Agostino relativizza la
loro importanza, come vediamo dal Discorso del Signore sulla montagna,
allorché riflette sull’usanza di pregare rivolti a oriente. Lungi dal restringe-
re la presenza di Dio ad un luogo particolare, il gesto ha per lui un valore
simbolico che è strettamente collegato a una finalità pedagogica. Infatti,
la preghiera in direzione del luogo dove sorge il sole illustra il processo
interiore di conversione all’essere trascendente di Dio, con il passaggio
graduale dalle realtà terrene alle realtà celesti fino ad acquisire una nozio-
ne interamente spirituale della divinità nello specchio dell’anima2066. Iden-
tica preoccupazione affiora nella risposta ad una delle questioni poste da
Simpliciano, che concerneva precisamente l’atteggiamento del corpo al
momento di pregare. Per l’Ipponate non fa differenza che uno preghi
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2065 Tr. in Io. 10, 1 (100, 20–101, 33): «Est qui exaudiat, ne dubitetis orare: qui au-
tem exaudit, intus manet. Non in montem aliquem oculos dirigatis, non faciem in stellas
aut solem aut lunam levetis. Non tunc exaudiri vos arbitremini, quando super mare oratis:
imo detestamini tales orationes. Munda tantum cubiculum cordis; ubi fueris, ubicumque
oraveris, intus est qui exaudiat, intus in secreto, quem sinum vocat cum ait: Et oratio mea
in sinu meo convertetur (Sal 34[35], 13). Qui te exaudit, non est praeter te. Non longe va-
das, nec te extollas, ut quasi attingas illum manibus. Magis si te extuleris, cades: si te
humiliaveris, ipse appropinquabit. Hic Dominus Deus noster Verbum Dei, Verbum caro
factum, Filius Patris, Filius Dei, Filius hominis: excelsus ut nos faceret, humilis ut nos re-
ficeret, ambulans inter homines, patiens humana, abscondens divina» (tr. Gandolfo-Ta-
rulli, 233-235).
2066 Serm. dom. m. II , 5, 18 (108, 382-402): «Cuius rei significandae gratia, cum ad
orationem stamus, ad orientem convertimur, unde caelum surgit; non tamquam ibi habitet
Deus, quasi ceteras mundi partes deseruerit qui ubique praesens est, non locorum spatiis,
sed maiestatis potentia; sed ut admoneatur animus ad naturam excellentiorem se conver-
tere, id est ad Deum, cum ipsum corpus eius, quod terrenum est, ad corpus excellentius, id
est ad corpus caeleste, convertitur. Convenit etiam gradibus religionis et plurimum expe-
dit, ut omnium sensibus et parvulorum et magnorum bene sentiatur de Deo. Et ideo qui
visibilibus adhuc pulchritudinibus dediti sunt nec possunt aliquid incorporeum cogitare,
quoniam necesse est caelum praeferant terrae, tolerabilior est opinio eorum, si Deum, quem
adhuc corporaliter cogitant, in caelo potius credant esse quam in terra, ut cum aliquando
cognoverint dignitatem animae caeleste etiam corpus excedere, magis eum quaerant in ani-
ma quam in corpore etiam caelesti, et cum cognoverint, quantum distet inter peccatorum
animas et iustorum, sicut non audebant, cum adhuc carnaliter saperent, in terra eum col-
locare sed in caelo, sic postea meliore fide vel intellegentia magis eum in animis iustorum
quam in peccatorum requirant».
632 Parte seconda, Capitolo nono
stando seduto o in piedi, coricato o prostrato. Quel che conta è la tensione
interiore della mente al colloquio con Dio, tanto più che questa si crea da
sé in qualunque situazione la solitudine di cui ha bisogno, spesso dimen-
ticandosi della posizione del corpo o del luogo, specie quando le soprag-
giunge d’improvviso qualcosa che suscita in lei «l’intenzione di pregare
con gemiti ineffabili»2067.
La trasparente allusione a Rm 8, 26 ci riconduce per finire alla Lette-
ra 130, dove l’Ipponate conclude la sua trattazione proprio commentando
il fondamentale passo paolino, che a questo punto giunge a dispiegare un
influsso decisivo sull’immagine agostiniana della preghiera, mettendo in
luce un suo tratto costitutivo. Le affermazioni dell’Apostolo dovettero
creare difficoltà a Proba, come mostra l’iniziale spunto aporetico di Ago-
stino. Ma è impensabile, a suo avviso, che Paolo o i destinatari ignorasse-
ro l’oratio dominica; semmai, l’«ignoranza» dichiarata dall’Apostolo ri-
guarda l’incapacità a comprendere il valore provvidenziale delle tribola-
zioni, come mostra la richiesta di essere liberato dalla «spina nella carne»
in 2Cor 12, 72068. In situazioni del genere il modello da seguire sempre è
––––––––––––––––––
2067 La questione riguardava l’interpretazione di 2Sam 7, 18. Cfr. De div. quaest. ad
Simpl. II , 4 (87, 8-31): «Sive ergo propter Arcam Testamenti sive propter secretum locum,
quod remotus ab arbitris, sive propter intimum cordis, ubi erat orantis affectus, convenien-
ter dictum est: Sedit ante Dominum nisi forte quod sedens oravit hoc movet, cum et sanctus
Elias hoc fecerit, quando pluviam orando impetravit (1Re 18, 42-45). Quibus ammonemur
exemplis non esse praescriptum, quomodo corpus constituatur ad orandum, dum animus
Deo praesens peragat intentionem suam. Nam et stantes oramus, sicut scriptum est: Publi-
canus autem de longinquo stabat (Lc 18, 13), et fixis genibus, sicut in Actibus Apostolo-
rum legimus (cfr. At 7, 59; 20, 36), et sedentes, sicut ecce David et Elias. Nisi autem etiam
iacentes oraremus, non scriptum esset in Psalmis: Lavabo per singulas noctes lectum
meum, in lacrimis meis stratum meum rigabo (Sal 6, 7). Cum enim quisque orationem
quaerit, collocat membra, sicut ei occurrerit accommodata pro tempore positio corporis ad
movendum animum. Cum autem non quaeritur sed infertur appetitus orandi, cum aliquid
repente venit in mentem quo supplicandi moveatur affectus gemitibus inenarrabilibus (cfr.
Rm 8, 26), quocumque modo invenerit hominem, non est utique differenda oratio, ut quae-
ramus quo secedamus aut ubi stemus aut ubi prosternamur. Gignit enim sibi mentis inten-
tio solitudinem et saepe etiam obliviscitur, vel ad quam caeli partem vel in qua positione
corporis membra illud tempus invenerit». Vincent commenta così il ridimensionamento
dei gesti di preghiera: «En face de la minutie parfois tatillonne d’un Origène ou d’un
Tertullien, combien Augustin nous apparaît plus dégagé de la lettre et plus préoccupé de
l’esprit!» (p. 67). Ma se ciò è vero di Tertulliano, non vale certo per Origene che invece
condivide in larga misura l’impostazione agostiniana (cfr. supra, pp. 167 ss.).
2068 Ep. 130, 25 (231, 471–232, 485): «Cur ergo putamus hoc eum dixisse quod
nec temere potuit nec mendaciter dicere, nisi quia molestiae tribulationesque temporales
plerumque prosunt, vel ad sanandum tumorem superbiae vel ad probandam exercendamve
patientiam, cui probatae et exercitatae clarior merces uberiorque servatur, vel ad quae-
cumque flagellanda et abolenda peccata, tamen nos nescientes, quid ista prosint, ab omni
optamus tribulatione liberari? Ab hac ignorantia nec se ipsum Apostolus ostendit alienum,
nisi forte quid oraret, sicut oporteret, sciebat, quando magnitudine revelationum ne extol-
leretur datus est illi stimulus carnis, angelus satanae, qui eum colaphizaret. Propter quod
La costruzione di un modello 633
Gesù, che nella preghiera al Getsemani si rimette interamente al volere del
Padre (Mt 26, 39)2069. Tuttavia, con un ampliamento di riflessione, il luo-
go paolino viene ad esemplificare in generale la difficoltà dell’orante, che
non è in grado di farsi un’immagine adeguata della «vita beata», oggetto
precipuo del suo desiderium. In rapporto a tale bene, che trascende ogni
comprensione umana, egli non può non confessare l’impossibilità di do-
mandare «ciò per cui» e «nel modo in cui conviene» pregare2070. In realtà,
quella dell’Apostolo, di cui anche l’orante partecipa sul suo esempio, è una
docta ignorantia, dal momento che essa è ammaestrata dallo Spirito2071.
In tal modo l’Ipponate ripropone la risposta data da Paolo stesso alla sua
«aporia» sul pregare, grazie all’idea di un intervento dello Spirito in aiuto
dell’uomo e all’intercessione in suo favore «con gemiti ineffabili» (Rm 8,
26-27). Ciò non significa che lo Spirito stesso soffra intercedendo per i
santi, bensì egli opera in modo che i santi invochino Dio con gemiti inef-
fabili, ispirando in loro il desiderio della vita beata2072.
Dunque, per il tramite del luogo paolino, Agostino svela la radice
più profonda dell’orazione cristiana, che in questa luce si evidenza ancor
più come la risposta dell’uomo all’iniziativa preveniente di Dio. Egli fa
propria così, pur con tutta la diversità del suo distinto quadro concettuale,
l’idea origeniana dell’orazione come «impossibilità donata», tanto più ur-
gentemente rivendicata dall’Ipponate con lo sviluppo della dottrina sulla

––––––––––––––––––
ter Dominum rogavit ut eum auferret ab eo, utique sicut oportet nesciens quid oraret. De-
nique Dei responsum cur non fieret quod vir tantus orabat, et quare fieri non expediret,
audivit: Sufficit tibi gratia mea; nam virtus in infirmitate perficitur» (2Cor 12, 9).
2069 Ep. 130, 26 (232, 506–233, 514): «In talibus ergo quid oremus, sicut oportet,
nescimus. Unde si aliquid, contra quod oramus, acciderit, patienter ferendo et in omnibus
gratias agendo, hoc potius oportuisse, quod Dei non quod nostra voluntas habuit, minime
dubitare debemus. Nam et huius modi exemplum praebuit nobis ille mediator, qui cum
dixisset: Pater, si fieri potest, transeat a me calix iste, humanam in se voluntatem ex ho-
minis susceptione transformans, continuo subiecit: Verum non quod ego volo, sed quod tu
vis, Pater» (Mt 26, 39).
2070 Ep. 130, 27 (234, 531-537): «Verumtamen, quoniam ipsa est pax quae prae-
cellit omnem intellectum (Fil 6, 7), etiam ipsam in oratione poscendo, quid oremus, sicut
oportet, nescimus. Quod enim, sicuti est, cogitare non possumus, utique nescimus, sed
quicquid cogitanti occurrerit, abicimus, respuimus, improbamus, non hoc esse, quod quae-
rimus, novimus, quamvis illud nondum quale sit noverimus».
2071 Ep. 130, 28 (234, 538-539): «Est ergo in nobis quaedam, ut ita dicam, docta
ignorantia, sed docta spiritu Dei, qui adiuvat infirmitatem nostram». Secondo Antoni, 127,
nella docta ignorantia «l’âme se reconnaît posée sous un regard qui la transcende et qu’elle
est elle-même appelée à fixer».
2072 Ep. 130, 28 (234, 551-556): «Interpellare itaque sanctos facit gemitibus inenar-
rabilibus, inspirans eis desiderium etiam adhuc incognitae tantae rei quam per patientiam
exspectamus. Quomodo enim narretur, quando desideratur, quod ignoratur? Nam utique,
si omnimodo ignoraretur, non desideraretur et rursus, si videretur, non desideraretur nec
gemitibus quaereretur».
634 Parte seconda, Capitolo nono
grazia in risposta alle tesi di Pelagio e dei suoi seguaci2073. Come argo-
menta la Lettera 194 (417), la preghiera non è un merito dell’uomo, bensì
è da annoverare tra i «doni di Dio», essendo suscitata dall’intervento dello
Spirito in colui che prega. A sostegno di ciò, Agostino ritorna sul luogo
paolino ripresentando il motivo per cui non lo Spirito di per sé geme, ma
coloro nei quali egli agisce2074. I loro «gemiti» danno espressione al biso-
gno fondamentale che l’uomo ha di Dio, ma è solo grazie al soccorso del-
lo Spirito che egli arriva a pregare rettamente; pertanto Agostino aggiun-
ge qui la preghiera all’elenco dei doni dello Spirito 2075. Essendo suscitato
dallo Spirito, il «gemito» dell’orazione è inteso positivamente come l’ane-
lito amoroso dell’anima alla visione di Dio. Così, nella sesta omelia del
Commento al Vangelo di Giovanni (406-407), dove l’Ipponate spiega il
motivo per cui lo Spirito è raffigurato mediante una colomba, il «gemito»
dell’orante diventa la voce amorosa dell’anima-colomba che patisce la
sua condizione di esule ed arde per il desiderio di abitare la patria cele-
ste2076. Commentando da ultimo la Preghiera del Signore nello scritto an-
tipelagiano Il dono della perseveranza (428-429) e sfruttando qui la lex
orandi della chiesa a sostegno della lex credendi, ancora una volta Ago-
––––––––––––––––––
2073 Cfr. ad esempio De dono persev. 7, 13 (PL 45, 1001): «Si ergo alia documenta
non essent, haec dominica oratio nobis ad causam gratiae, quam defendimus, sola suffice-
ret: quia nihil nobis reliquit, in quo tamquam in nostro gloriemur. Siquidem et ut non di-
scedamus a Deo, non ostendit dandum esse nisi a Deo, cum poscendum ostendit a Deo».
2074 Ep. 194, 16 (188, 7-19): «Si dixerimus meritum praecedere orationis, ut donum
gratiae consequatur: impetrando quidem oratio quidquid impetrat, evidenter ostendit do-
num Dei esse, ne homo existimet a seipso sibi esse, quod si in potestate haberetur, non
utique posceretur. Verum tamen ne saltem orationis putantur praecedere merita, quibus
non gratuita daretur gratia – sed iam nec gratia esset, quia debita redderetur –, etiam ipsa
oratio inter gratiae munera reperitur. Quid enim oremus, ait doctor gentium, sicut oportet,
nescimus; sed ipse Spiritus interpellat pro nobis gemitibus inenarrabilibus (Rm 8, 26).
Quid est autem, interpellat, nisi, interpellare nos facit? Indigentis enim certissimum indi-
cium est interpellare gemitibus. Nullius autem rei esse indigentem fas est credere Spiri-
tum sanctum.»
2075 Ep. 194, 18 (189, 23–190, 8): «Sicut ergo nemo recte sapit, recte intellegit,
recte consilio ac fortitudine praevalet, nemo scienter pius est, vel pie sciens, nemo timore
casto Deum timet, nisi acceperit Spiritum sapientiae et intellectus, consilii et fortitudinis,
scientiae et pietatis et timoris Dei (Is 11, 2-3), nec habet quisquam virtutem veram, carita-
tem sinceram, continentiam religiosam, nisi per Spiritum virtutis, et caritatis, et continen-
tiae (2Tm 1, 7), ita sine Spiritu fidei non est recte quispiam crediturus, nec sine Spiritu
orationis salubriter oraturus. Non quia tot sunt spiritus, sed omnia haec operatur unus at-
que idem Spiritus dividens propria unicuique prout vult» (1Cor 12, 11).
2076 Tr. in Io. 6, 2 (53, 11-17): «Non ergo Spiritus Sanctus in semetipso apud seme-
tipsum in illa Trinitate, in illa beatitudine, in illa aeternitate substantiae gemit; sed in nobis
gemit, quia gemere nos facit. Nec parva res est, quod nos docet Spiritus sanctus gemere:
insinuat enim nobis quia peregrinamur, et docet nos in patriam suspirare, et ipso desiderio
gemimus». Cfr. anche Serm. 210, 7 (PL 38, 1051): «Huius enim spei tam gratum et gratui-
tum etiam pignus Spiritum Sanctum accepimus (2Cor 1, 22), qui in cordibus nostris ine-
narrabiles gemitus (Rm 8, 26) operatur sanctorum desideriorum».
La costruzione di un modello 635
stino ricava dal passo paolino l’indicazione sulla preghiera come dono di
Dio nello Spirito:
«E qui comprendiamo che anche questo è un dono di Dio, il fatto che noi invo-
chiamo Dio con cuore sincero e spiritualmente. Si rendano conto dunque di come
s'ingannano quelli che pensano che deriva da noi, e non che ci viene dato, l’im-
pulso di chiedere, di cercare, di bussare; essi dicono che in questo senso la grazia
è preceduta dal nostro merito, mentre essa segue quando chiedendo riceviamo,
cercando troviamo, bussando ci viene aperto. E non vogliono capire che è un dono
divino anche il fatto che noi preghiamo, cioè chiediamo, cerchiamo, bussiamo.
Infatti abbiamo ricevuto lo Spirito di adozione a figli, nel quale chiamiamo: Abba,
Padre (Rm 8, 15)»2077.
La parabola conclusiva della riflessione agostiniana conferma la so-
stanziale compattezza della visuale della preghiera. Essa fa perno su alcu-
ni motivi che ritornano costantemente nell’opera dell’Ipponate: da un lato,
la dialettica dinamica fra desiderium e vita beata; dall’altro, la tensione
ricorrente fra la parola e il silenzio. Nell’una e nell’altra prospettiva il ri-
lievo antropologico dell’esperienza orante è sussunto nella dimensione
teologica, che è insieme trinitaria, cristologica e pneumatologica e deter-
mina lo scenario essenziale della prassi di preghiera. Infatti, al fondo del
desiderium in tutte le sue diverse e contraddittorie manifestazioni, prima
che esso si orienti verso l’unica mèta in Dio, c’è l’iniziativa preveniente
del Padre creatore per il tramite del Verbo e nello Spirito, che instilla nel-
l’uomo la brama della dimora in Lui. Come tale, la preghiera dell’uomo è
sempre una risposta all’appello di Dio, sebbene essa possa assumere con-
figurazioni erronee o inadeguate e necessiti perciò di conformarsi al para-
digma della «preghiera spirituale» che Agostino fa proprio con gli inter-
preti che l’hanno preceduto, non senza significative convergenze con Ori-
gene. Questa risposta orante si serve a sua volta di parole – traendo il suo
modello vincolante dal Padrenostro, la preghiera insegnataci da Gesù –,
ma il contenuto ultimo dell’orazione non può non sfuggire alla presa del
discorso umano: la res per eccellenza di cui l’uomo è chiamato a «godere»
(frui), Dio Trinità, si sottrae alla presa dei verba. Nel suo intimo dinami-
smo la preghiera è dunque chiamata per Agostino ad operare il trascendi-
mento dalle parole della domanda al silenzio della contemplazione ado-
rante. Ma nel disegnare la condizione dei risorti nella vita beata in Dio –
––––––––––––––––––
2077 De dono persev. 23, 64 (PL 45, 1032): «Ubi intellegimus, et hoc ipsum esse
donum Dei, ut veraci corde et spiritaliter clamemus ad Deum. Attendant ergo quomodo
falluntur, qui putant esse a nobis, non dari nobis, ut petamus, quaeramus, pulsemus: et hoc
esse dicunt, quod gratia praeceditur merito nostro, ut sequatur illa, cum accipimus peten-
tes, et invenimus quaerentes, aperiturque pulsantibus: nec volunt intellegere etiam hoc di-
vini muneris esse, ut oremus, hoc est, petamus, quaeramus, atque pulsemus. Accepimus
enim Spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus: Abba, Pater (Rm 8, 15)». Anche
Serm. 348/A attesta la polemica con i pelagiani sull’interpretazione del Padrenostro.
636 Parte seconda, Capitolo nono
come fa nel Discorso 362 (410) – l’Ipponate ritrova lo spazio della pre-
ghiera interiore: tutto quanto l’agire dei risorti sarà allora un «Amen» e un
«Alleluia», cantati però non «con i loro suoni fuggevoli, ma con il moto
interiore dell’amore»2078. Non è comunque solo un’orazione ininterrotta
fatta di lode e ringraziamento ma, si direbbe, anche di continua invocazio-
ne a Dio nell’attesa senza tempo che nasce dalla «sazietà insaziabile»della
vita beata2079. Se l’uomo è anche per Agostino nella sua esistenza terrena
un animal orans, continua ad esserlo nella vita ultraterrena in intima unio-
ne con il Verbo2080.

10. Epilogo: le consonanze origeniane del discorso eucologico fra II e


Vsecolo

Lo scopo di questo capitolo conclusivo era di mettere in luce le con-


sonanze ideali fra il pensiero di Origene e il discorso sulla preghiera nel
cristianesimo antico, tanto a monte come a valle, rispettando nel contempo
la fisionomia propria di ciascun interprete. Com’è emerso ripetutamente
anche dalle pagine dedicate ad Agostino, i punti di contatto con la dottrina
––––––––––––––––––
2078 Serm. 362, 29 (PL 39, 1632-1633): «Tota actio nostra, Amen et Alleluia erit.
Quid dicitis, fratres? Video quod auditis et gavisi estis. Sed nolite iterum carnali cogita-
tione contristari, quia si forte aliquis vestrum steterit et dixerit quotidie: Amen et Alleluia,
taedio marcescet, et in ipsis vocibus dormitabit, et tacere iam volet: et propterea putet sibi
esse aspernabilem vitam, et non desiderabilem, dicentes vobismetipsis: Amen et Alleluia
semper dicturi sumus, quis durabit? Dicam ergo, si potero, quantum potero. Non sonis
transeuntibus dicemus Amen et Alleluia, sed affectu animi. Quid est enim Amen? quid Al-
leluia? Amen, est verum: Alleluia, laudate Deum. Quia ergo Deus veritas est incommuta-
bilis, sine defectu, sine provectu, sine detrimento, sine augmento, sine alicuius falsitatis in-
clinatione perpetua, et stabilis, et semper incorruptibilis manens; haec autem quae agimus
in creatura et in ista vita, velut figurae sunt rerum per significationes corporum, et quae-
dam in quibus ambulamus per fidem; cum viderimus facie ad faciem quod nunc videmus
per speculum in aenigmate (1Cor 13, 12), tunc longe alio et ineffabiliter alio affectu di-
cemus: Verum est; et cum hoc dicemus, Amen utique dicemus, sed insatiabili satietate».
2079 Antoni, 180 coglie, come al solito, con grande finezza questo punto: «la béati-
tude est repos dans la contemplation de Dieu et ce repos intègre comme modalité essen-
tielle la prière, prière de louange bien sûr, mais aussi prière de supplication puisque ce
repos, dans la terminologie d’Augustin, enveloppe non certes pas l’insatisfaction doulou-
reuse du désir, mais “l’insatiabilité”».
2080 Antoni, 180-181: «Même dans la gloire, la déité excède toujours infiniment ce
que l’âme peut en appréhender; on ne “s’ennuie pas” dans la gloire, parce que la fruitio
Dei est inexhaustive par rapport à son objet. Il n’y a plus en revanche, de décalage entre
l’âme et sa prière: en elle-même, par participation ontologique à l’essence expressive du
Verbe, elle devient Amen à la gloire de Dieu». Serm. 255, 1 (PL 38, 1186) vede il canto
dell’Alleluia come la continuità fra vita terrena e vita beata: «Et in hoc quidem tempore
peregrinationis nostrae ad solatium viatici dicimus Alleluia; modo nobis Alleluia canticum
est viatoris: tendimus autem per viam laboriosam ad quietam patriam, ubi retractis omni-
bus actionibus nostris, non remanebit nisi Alleluia».
La costruzione di un modello 637
eucologica dell’Alessandrino sono numerosi, pur a prescindere da una
conoscenza diretta di Orat o di altri scritti origeniani difficile da accertare
nella maggior parte dei casi. Del resto, l’impressione generale che nasce
dal nostro quadro ricava un’ampia convergenza di idee nonostante le ca-
ratteristiche peculiari dei singoli autori. Anche la svolta più importante
con la riflessione di Evagrio e specialmente di Cassiano, che traggono en-
trambi ispirazione dalle nuove esperienze monastiche, non comporta una
rottura bensì la modificazione e l’aggiornamento di un paradigma alla cui
definizione i molteplici interpreti hanno concorso nel loro complesso. In
questo senso si potrebbe rilevare anzitutto che proprio l’elaborazione di
tale paradigma sembra procedere come impresa collettiva, per via d’in-
clusione e ampliamento anziché tramite approcci individuali e non corre-
lati. L’impressione risulta meno generica, se – come abbiamo constatato
più volte – si tiene presente il dipanarsi di dialoghi a più voci all’interno
del più vasto discorso eucologico. Pensiamo, in ambito latino, ai molti ri-
scontri emersi dal confronto fra Tertulliano, Cipriano ed Agostino, che
attestano la continuità di una tradizione unitamente al suo sviluppo crea-
tivo. In ambito greco è lecito affermare altrettanto per i rapporti fra Cle-
mente Alessandrino, Origene, Evagrio e Gregorio di Nissa, grazie ai quali
è facile identificare numerosi elementi affini. In aggiunta, occorre notare
che se Cassiano è testimone del dialogo con questa stessa tradizione nel
mondo latino del V secolo, al di fuori di entrambe le aree culturali greca e
latina, cioè in ambiente siriaco, Afraate apporta a sua volta un contributo
di motivi convergenti. Né mancano ancora le combinazioni, a volte sor-
prendenti, fra ambito greco e latino sotto vari punti di vista, vuoi per la
ricchezza dell’argomentazione scritturistica che accomuna Origene e Ci-
priano, rispetto a Clemente e Tertulliano, o per i risvolti antropologici
dell’orazione rispettivamente in Gregorio di Nissa e in Agostino, per non
parlare degli intrecci ideali fra quest’ultimo e Origene.
Di fronte ad un discorso che appare largamente condiviso saremmo
tentati di supporre – secondo la ben nota osservazione di von Balthasar
sulla pervasività di Origene nella storia del pensiero cristiano – una sot-
terranea influenza dell’Alessandrino anche a proposito dell’immagine
della preghiera2081. Ma sarebbe una spiegazione troppo facile e comunque
contraddetta sia dall’anteriorità della dottrina eucologica di Tertulliano
e Clemente, sia anche dall’apparente estraneità culturale e teologica di
Afraate. In realtà, come abbiamo accennato in apertura di capitolo, il pri-
mo fattore di convergenze è il testo stesso delle Scritture che, sia pure in
misura differenziata, sorregge l’argomentazione dei vari interpreti. Sotto
tale profilo, il ventaglio dei luoghi scritturistici che alimentano la rifles-
––––––––––––––––––
2081 Balthasar, 10: «Nessun altro nella Chiesa è rimasto così invisibilmente onni-
presente come Origene».
638 Parte seconda, Capitolo nono
sione di Origene costituisce senza dubbio la piattaforma biblica più ampia
e comprensiva. Come tale, è naturale che l’Alessandrino si presti ad essere
in linea di principio il termine di comparazione più adeguato, sebbene a
volte non sfrutti singoli luoghi posti in risalto da altri interpreti2082. È pro-
prio grazie alla trama dei suoi riferimenti biblici che abbiamo richiamato
più volte la rappresentatività di Origene, suscettibile peraltro di essere fatta
valere nei confronti dei predecessori come degli autori successivi.
Così, nel definire il modello dell’orazione cristiana, l’Alessandrino
sfrutta una serie di paradigmi veterotestamentari di oranti che ritroviamo
negli altri autori, sia pure generalmente in forma più ridotta e con un pro-
filo subordinato rispetto all’uso di altri materiali biblici. Fanno eccezione
Cipriano e soprattutto Afraate, che si dimostra capace di valorizzare auto-
nomamente la testimonianza dell’Antico Testamento conferendole un’im-
portanza esemplare non meno consistente. In questa stessa linea dovrem-
mo poi rievocare come Origene si sia servito dei Salmi, il libro di pre-
ghiera per eccellenza dell’Antico Testamento, onde sviluppare la sua idea
dell’orazione, se non fosse che lo studio dell’esegesi dei Salmi nell’Ales-
sandrino presenta tuttora difficoltà per un approfondimento adeguato. No-
nostante ciò, anche a questo proposito vari aspetti dell’interpretazione ori-
geniana ci hanno permesso di verificare la loro presenza o meno negli altri
autori. Qui è fuori discussione che l’apporto più cospicuo ed innovativo
ci venga da Agostino, ma bisogna rammentare anche la ricaduta della
prassi monastica sulla visuale dell’orazione alla luce dei Salmi con Eva-
grio Pontico e Cassiano: nel primo, mediante la teorizzazione della pre-
ghiera antirretica, nel secondo per quella della preghiera monologica. Ad
ogni buon conto, se il richiamo ai luoghi veterotestamentari dà luogo a ri-
sultati diversi a seconda degli interpreti, l’operazione ermeneutica su cui
tutti in un modo o nell’altro concordano è il loro utilizzo a supporto del
modello della «preghiera spirituale». Peraltro non tutti sono disposti a ri-
conoscerne fino in fondo il significato «pneumatico» alla stessa maniera
di Origene, allineando la preghiera dell’Antico Testamento a quella di
Gesù e della chiesa, come appare dal contrasto dell’oratio christiana con
la vetus oratio in Tertulliano2083.
L’importanza accordata dall’Alessandrino all’Antico Testamento si
accompagna in lui al rilievo decisivo attribuito all’insegnamento e alla
prassi di Gesù. Anche a tale riguardo è possibile stabilire un termine di
confronto con gli altri interpreti, verificando le consonanze con la prospet-
tiva di Origene. Se l’esemplarità di Gesù come maestro di preghiera si dà
specialmente in relazione al Padrenostro, che quasi tutti i nostri autori han-
no fatto oggetto di commento, ad esso si affianca l’illustrazione della sua
––––––––––––––––––
2082 Ad esempio, Rm 12, 1, valorizzato tra l’altro nella letteratura apologetica.
2083 Cfr. pp. 520-521.
La costruzione di un modello 639
prassi orante in base alle testimonianze evangeliche, proposta ugualmente
a titolo di modello per l’orazione dei cristiani. Nella riflessione origenia-
na l’uno e l’altro aspetto rivestono un’importanza strutturale, che sembra
trovare il suo riscontro più prossimo e ad un tempo affatto indipendente e
originale nella dottrina eucologica di Agostino, non meno preoccupato di
evidenziare anche lui l’impianto cristologico dell’orazione. Dalla decisivi-
tà del riferimento a Gesù come maestro di preghiera e come orante deriva,
in primo luogo, il riconoscimento del carattere distintivo dell’orazione
cristiana come «preghiera spirituale». La spiegazione origeniana del Pa-
drenostro persegue sistematicamente questo obiettivo, ma è lecito affer-
mare che esso coincide con le intenzioni di tutti gli autori che abbiamo
passato in rassegna, al di là di singole spiegazioni di segno diverso, specie
in rapporto alla quarta petizione. Soprattutto, come avviene in generale
per l’immagine della preghiera nell’Alessandrino, il riferimento normati-
vo o addirittura disciplinare al Padrenostro rafforza l’idea della preghiera
nella sua natura di domanda o supplica a Dio. È interessante perciò notare
il diverso peso specifico che la Preghiera del Signore viene di fatto ad as-
sumere in impostazioni che tendono a ridimensionare se non a superare
l’aspetto dell’orazione come richiesta. Diversamente da Origene, questa
tendenza si manifesta già in partenza con Clemente Alessandrino e ri-
torna successivamente, specie in Cassiano ed Agostino.
Accanto ai passi evangelici, la fondazione scritturistica della preghie-
ra si completa con i riferimenti agli altri scritti del Nuovo Testamento, fra
i quali le lettere paoline occupano sicuramente il primo posto. Accanto a
1Ts 5, 17 e 1Tm 2, 8, Origene sfrutta soprattutto Rm 8, 26-27 quale luogo
privilegiato per impostare il problema della preghiera e approdare all’idea
che essa sia da intendere essenzialmente come un’«impossibilità donata»
da Dio all’uomo. È in forza dello Spirito che possiamo non solo pregare
autenticamente ma anche arrivare a comprendere la natura della preghie-
ra, superando l’aporia paolina su «cosa» e «come» pregare, destinata in
seguito ad essere soppesata nuovamente da Agostino2084. Grazie all’inter-
vento dello Spirito, il modello dell’«orazione spirituale», illustrato dalla
Preghiera del Signore e dall’esempio stesso di Gesù, trova la sua piena
configurazione a livello di dottrina e di prassi. Ora, la centralità del luogo
paolino nella visuale dell’Alessandrino trova conferme in numerosi altri
interpreti, sebbene solo in Cassiano e in Agostino assuma un’incidenza
altrettanto strutturale. Comunque, anche dove non troviamo sue menzioni
dirette – ad esempio, negli scritti di Tertulliano e Afraate che abbiamo
preso in esame –, affiora di fatto una componente «pneumatologica» del-
l’orazione che contribuisce a fissarne la natura di «preghiera spiritua-
––––––––––––––––––
2084 Cfr. supra, p. 615. D’altra parte, l’Ipponate tende a privilegiare l’enunciazione
del «problema della preghiera» alla luce di Mt 6, 8.
640 Parte seconda, Capitolo nono
le»2085. Ma l’influsso di Rm 8, 26-27 tende ad andare oltre tale caratte-
rizzazione, che è sostenuta peraltro da elementi ulteriori di diversa natura
(in particolare, la distinzione a livello antropologico fra carne e spirito
con la relativa dialettica fra realtà materiali e spirituali come oggetto della
domanda). Già in Origene, ma ancor più in Cassiano ed in Agostino, lo
Spirito diviene la voce dell’orante: se nell’Alessandrino, sulla scia di un
motivo appena accennato da Clemente2086, è lo Spirito che «grida» attra-
verso i santi (come avviene, per esempio, in Mosè), questo «grido» sfocia
per Cassiano in una preghiera di natura estatica e per Agostino in un supe-
ramento del regime della parola nella preghiera delle lacrime o in un’ora-
zione tutta interiore e mentale in intima unione con il Verbo.
In tal modo l’insieme dei luoghi scritturistici dell’Antico e del Nuovo
Testamento disegna la fisionomia essenziale della preghiera cristiana nei
suoi contenuti e nelle sue forme, prima ancora di tutti gli altri fattori che
hanno influito a vario titolo sulla riflessione sviluppatasi fra II e V secolo.
Per contraddistinguere la specificità del modello costruito da Origene sul
fondamento delle Scritture e largamente confermato dagli altri interpreti
ci siamo avvalsi della nozione di «preghiera spirituale». D’altronde è ado-
perata dagli stessi autori antichi, a cominciare da Tertulliano e Cipriano
fino ad arrivare ad Agostino, ancorché l’Alessandrino si sia sforzato di
articolarla nella maniera più esaustiva possibile. La categoria condivisa
assume nondimeno connotati diversi in relazione alle singole visuali del-
l’orazione, come attesta ad esempio lo scarso interesse, se non l’attenzione
pressoché inesistente di Origene verso la richiesta dei beni materiali. La
sua posizione tende a rimanere piuttosto isolata, se escludiamo Clemente
e gli autori monastici come Evagrio o Cassiano, benché lo spazio ricono-
sciuto generalmente alla domanda di benefici terreni non comprometta
mai la priorità da attribuire alla domanda dei beni spirituali. L’abbiamo
verificato da ultimo in Agostino ritrovandovi una tensione in questo senso,
del tutto comparabile all’accento tipico dell’Alessandrino. Più rilevante
sembra invece essere il diverso modo di guardare alla «preghiera spiritua-
le» nell’ottica dell’atto orante. Le definizioni più comuni puntano sul-
l’idea dell’orazione come oJmiliva, «colloquio» con Dio (Clemente, Afraa-
te, Evagrio e Gregorio di Nissa)2087, ma vi è chi la designa anche come
ajnavbasi", «ascensione» a Dio (Evagrio). Entrambi i termini godono di
scarsa fortuna presso l’Alessandrino, anche perché egli tende a privilegia-
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2085 Sulle implicazioni pneumatologiche della dottrina eucologica di Tertulliano,
nonostante l’assenza di rinvii espliciti a Rm 8, 26-27 in De orat., si veda supra, p. 396 e
nota 1659. Né esse mancano in Afraate, come abbiamo mostrato alla p. 419.
2086 Cfr. p. 525 e nota 1735. Si veda in particolare l’immagine dell’atto orante in
Strom. VII , 7, 49, 7 (supra, nota 1748).
2087 Come abbiamo visto a p. 562, anche Afraate asseconda la definizione della pre-
ghiera come oJmiliva diffusa tra gli autori greci.
La costruzione di un modello 641
re le classificazioni tratte dalla Scrittura, in modo particolare l’elenco di
1Tm 2, 1, senza rifarsi direttamente a due definizioni correnti nel pensiero
filosofico e teologico dell’antichità (che comunque non gli sono affatto
sconosciute). Tuttavia, al di là dei tentativi problematici di operare delle
distinzioni terminologiche – che peraltro abbiamo visto essere ricorrenti
nel pensiero eucologico dei primi secoli ed intrecciate in vario modo con
l’elenco paolino2088 –, quel che preme a Origene è mettere in luce la dina-
mica dell’atto orante come tale. Ora, anche su questo punto si può ben dire
che vi è ampia consonanza di temi fra l’Alessandrino e i nostri autori.
Ritornando a mettere in luce la radice scritturistica del discorso cri-
stiano, essa è determinata in primo luogo dal richiamo a Mt 6, 6, che si
presenta in generale come una costante da Tertulliano ad Agostino2089.
L’indicazione evangelica sulla preghiera nel nascondimento si combina
però, almeno nel caso di alcuni interpreti, con un approccio ispirato dalla
prassi degli esercizi spirituali della filosofia antica. Infatti, solo Tertullia-
no, Cipriano ed Afraate sembrerebbero esserne rimasti immuni, benché
anche per loro il passo matteano rappresenti un chiaro appello all’interio-
rità della preghiera, implicando – ad esempio – per Tertulliano una forma
di preghiera silenziosa e per Afraate ancor più direttamente una «preghiera
del cuore» nel silenzio della bocca2090. Insieme ad Origene, la dipendenza
dalla tradizione degli esercizi spirituali caratterizza specialmente l’impo-
stazione di Clemente, Evagrio, Cassiano ed Agostino, sebbene in misura
diversamente connotata per ciascuno di essi. Più che nell’Alessandrino il
suo influsso si avverte tendenzialmente in Evagrio, anche perché egli è
l’autore che più di tutti ha elaborato una riflessione organica sulla psico-
logia della preghiera. Tuttavia, pure nel suo caso sarebbe eccessivo par-
lare di un condizionamento determinante da parte dei modelli filosofici,
benché i punti di contatto appaiano più significativi. In definitiva, Origene
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2088 Si veda ancora la classificazione di Agostino, a partire da 1Tm 2, 1, in Ep. 149,
2, 12-16 (CSEL 44, 359-363). Preso atto della difficoltà di rendere i termini in latino,
l’Ipponate si sforza di precisare la distinzione fra dehvsei" e proseucaiv in rapporto alla
preghiera liturgica: «Sed eligo in his verbis hoc intellegere, quod omnis vel pene omnis
frequentat Ecclesia, ut precationes accipiamus dictas, quas facimus in celebratione Sa-
cramentorum, antequam illud quod est in Domini mensa incipiat benedici: orationes, cum
benedicitur et sanctificatur, et ad distribuendum comminuitur; quam totam petitionem fere
omnis Ecclesia dominica oratione concludit».
2089 Solo Gregorio di Nissa sembrerebbe fare eccezione, ma De orat. dom. III (32,
15-18) contiene verosimilmente un’allusione a Mt 6, 6 non rilevata dall’editore: to; de;
a[duton tou'to oujk a[yucovn ejsti oujde; ceirovkmhton ajlla; to; krupto;n th'" dianoiva" aujtou'
tamei'on eja;n ajlhqw'" a[duton h/\ th/' kakiva/ kai; toi'" ponhroi'" logismoi'" ajnepivbaton (da
notare che vari codici leggono: th'" kardiva" hJmw'n tamei'on).
2090 Per il rinvio a Mt 6, 6 in Tertulliano si veda p. 521, nota 1642. Quanto ad
Afraate, cfr. pp. 558, 560. A sua volta, Cipriano applica il modello della preghiera intima
e silenziosa alla preghiera comunitaria (p. 550).
642 Parte seconda, Capitolo nono
si presta ancora una volta ad essere il termine di confronto, nella misura
in cui linguaggio, immagini e tecniche degli esercizi spirituali come pro-
cesso di astrazione sensoriale e raccoglimento interiore appaiono stretta-
mente compenetrati e trascesi nella prospettiva scritturistica sulla pre-
ghiera. Il risultato è sì un processo d’interiorizzazione dell’atto orante –
che, come si è detto, tutti i nostri interpreti tendono a condividere (incluso
lo stesso Cipriano) e trova la sua espressione più intensa in Agostino –,
ma al tempo stesso esso coinvolge altre dimensioni costitutive per l’ora-
zione cristiana. Le abbiamo già evocate parlando del suo nucleo cristolo-
gico e pneumatologico, ma dovremmo ancora estendere le implicazioni
teologiche agli aspetti trinitari ed ecclesiologici.
Lo sfondo trinitario dell’atto orante, ben presente nell’immagine
della preghiera tracciata da Origene, risulta abbozzato in diversa misura
da Tertulliano e Cipriano, laddove Agostino lo svilupperà nella forma più
organica attraverso l’indagine sulla mente come ricerca dei vestigia della
Trinità2091. Quanto ai risvolti ecclesiologici, dobbiamo di nuovo prendere
atto della rappresentatività dell’Alessandrino, dal momento che la sua vi-
suale dell’orazione, lungi dal risolversi in un intimismo individualistico,
sfocia sempre in un atto di comunione, illuminato – come si è detto – sul
piano cristologico, trinitario ed ecclesiologico. Infatti, angeli e santi della
chiesa celeste partecipano dell’orazione insieme al fedele e alla chiesa
terrena che prega. Questa visione comunionale incontra svariate analogie
negli altri esponenti del discorso eucologico, benché non sembri ripresen-
tarsi in nessuno di essi con una configurazione altrettanto strutturale e vi-
gorosa. È vero che Tertulliano e soprattutto Cipriano danno risalto an-
ch’essi alla vocazione comunitaria del cristiano racchiusa nel Padreno-
stro, ma in generale l’attenzione tende a focalizzarsi sull’orante indivi-
duale, come dimostra lo stesso esempio di Agostino, nonostante egli sia
ben consapevole della cornice ecclesiale dell’orazione2092. Tuttavia, come
evidenzia significativamente anche un autore monastico di tradizione ana-
coretica quale Evagrio, il risvolto interpersonale e comunitario della pre-
ghiera non viene mai ignorato. La ripresa in Origene del precetto evange-
lico del perdono e della riconciliazione fraterna, contemplato inoltre pro-
grammaticamente dalla quinta domanda del Padrenostro, mette in luce un
requisito fondamentale dell’atto orante sul quale concordano, con grande
varietà creativa di accenti, tutti gli esponenti del discorso eucologico nei
primi secoli. Lo attesta da ultimo Agostino che fa proprio della quinta pe-

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2091 Il tema di De Trin. VIII-XV è analizzato lucidamente in rapporto alla preghiera
da Antoni, 182-197 («La prière comme cogitatio Dei: ouverture sur le mystère trinitaire»).
2092 Basti ricordare nuovamente l’interpretazione agostiniana della preghiera dei
Salmi come voce di Cristo e della chiesa nelle Enarrationes in Psalmos, su cui si veda
Fiedrowicz.
La costruzione di un modello 643
tizione del Pater uno degli assi della sua spiegazione della Preghiera del
Signore, specie nelle catechesi ai candidati al battesimo.
Se pochi sembrano condividere la singolare apertura che Origene di-
mostra verso la preghiera del peccatore e le condizioni alle quali essa può
darsi, ciò dipende dal fatto che l’interesse è rivolto primariamente a trac-
ciare il profilo di un orante virtuoso e potenzialmente santo, esigenza che
peraltro l’Alessandrino condivide senza incertezze, specie in Orat. L’ethos
dell’orante interviene poi come via per risolvere il problema fondamen-
tale del rapporto tra preghiera e vita, in conformità con il precetto paolino
a «pregare ininterrottamente» (1Ts 5, 17). Pure su questo punto la rispo-
sta formulata dall’Alessandrino acquista un valore emblematico dei diver-
si modelli elaborati dalla dottrina eucologica del primo cristianesimo in
vista di assicurare un’oratio continua. L’idea origeniana di una preghiera
che s’intreccia con le opere, superando la distinzione se non la frattura tra
i tempi dedicati all’orazione e la vita ordinaria per attuare un’esistenza in
costante rapporto con Dio, appare in continuità con la visuale clementina
della devozione del cristiano perfetto2093, mentre si combina con lo svilup-
po in atto delle ore di preghiera come la cornice quotidiana delle espres-
sioni oranti del fedele, già evidenziato dagli scritti di Tertulliano e Cipria-
no2094. Se i due autori africani lasciano già intravedere l’espandersi di un
orizzonte onnicomprensivo di preghiera nella vita di ogni giorno, questo è
per eccellenza l’obiettivo degli interpreti monastici come Evagrio e Cas-
siano, interessati entrambi a garantire la continuità di una prassi orante
nella condizione monastica, che per il secondo sfocia più direttamente in
una tecnica apposita2095. Diversa è la risposta di Agostino, seppure conver-
gente con il fine auspicato, poiché l’Ipponate richiama l’attivazione del
desiderium come alimento perenne della manifestazione della preghiera.
In definitiva, l’insieme delle consonanze ideali mostra come la rifles-
sione di Origene sia iscritta in profondità nella trama del discorso cristia-
no sulla preghiera fra II e V secolo. Pur senza farne il “codice genetico”
delle dottrine eucologiche del cristianesimo antico, essa contempla am-
piamente i loro motivi principali. Questi emergono, come si è visto, da
un’agenda tematica che è dettata in primo luogo dal “manifesto scritturi-
stico” della preghiera cristiana, inteso particolarmente da Origene in tutta
la sua articolazione comprensiva dei testi dell’Antico e del Nuovo Te-
stamento, con al centro il paradigma del Padrenostro. Sotto tale aspetto
l’apporto dell’Alessandrino rimane ineguagliato, pur considerando la ric-
chezza degli sviluppi successivi sia nei singoli autori sia anche nel loro
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2093 Lo gnostico per Clemente vive sempre alla presenza di Dio (cfr. supra, p. 536).
2094 Sull’orizzonte di preghiera che contraddistingue la vita del cristiano secondo
Tertulliano e Cipriano, si veda rispettivamente pp. 527 e 552.
2095 Cassiano sembra essersi confrontato con il problema dell’oratio continua an-
cor più di Evagrio (cfr. supra, p. 597).
644 Parte seconda, Capitolo nono
complesso. Se la dimensione pastorale del pensiero di Origene risulta a
prima vista meno immediatamente percepibile, diversamente da quel che
vediamo in figure come Tertulliano o Cipriano, Gregorio di Nissa o Ago-
stino, la sua riflessione ci appare comunque sempre ispirata dalla preoc-
cupazione di comprendere ed attuare l’atto orante nella sua forma più
autentica, evitando il rischio di ogni banalizzazione concettuale o pratica.
Benché Agostino si associ più di tutti gli altri interpreti all’Alessandrino
nel riconoscere con lui la preghiera fondamentalmente quale dono di Dio
e frutto della grazia, Origene rimane per eccellenza il testimone della pre-
ghiera come “problema”, vista cioè come esperienza sempre paradossale
ed agonica, accessibile nella sua espressione genuina solo in quanto divie-
ne un’«impossibilità donata».
CONCLUSIONE

LA PREGHIERA DI ORIGENE

«Vult nos tales esse Deus, ut quasi dii cum


Deo loquamur»
(H37Ps II, 3) 2096

1. Le confessioni di un uomo di preghiera

Uno studio d’insieme sulla preghiera secondo Origene risulterebbe


monco, se rinunciasse a disegnare pur sommariamente la sua figura di
orante. Fin dall’introduzione abbiamo segnalato come elemento distintivo
del profilo spirituale il fatto che l’Alessandrino non si sia limitato a riflet-
tere e scrivere sulla preghiera, ma si sia spinto a pregare in prima perso-
na2097. Che l’esegeta, il teologo e il predicatore siano in lui inseparabilmen-
te legati all’uomo di preghiera, lo provano le numerose esternazioni oranti.
Esse accompagnano un po’ tutta l’opera, benché s’intensifichino soprattut-
to nel momento omiletico che meglio si presta a mettere in luce questo
aspetto. Ovviamente non è il caso di esaminare ancora una volta la cornice
orante della predicazione, che dovrebbe essere emersa abbastanza chiara-
mente dalla nostra indagine; essa peraltro ci è apparsa conforme struttural-
mente alle analoghe manifestazioni che affiorano in altri scritti introdu-
cendo più direttamente ad un’«esegesi orante»2098. Piuttosto c’interessa
adesso rilevare più da vicino le condizioni che danno occasione all’espri-
mersi di una soggettività orante da parte del predicatore. Non è fuori luogo
al riguardo parlare di «confessioni» di Origene, senza respingere come im-
propria l’associazione d’idee con l’uso del termine in Agostino, insieme
all’accezione penitenziale che esso ha anche presso l’Alessandrino. In ef-
fetti, nella sua opera non mancano i passi di natura personale, se non stret-
tamente autobiografica, suscettibili di rientrare a vario titolo nel genere
della confessio. Più che al tramite linguistico esplicito, che solo a volte
trapela nell’originale greco o nei testi latini2099, l’apertura di un discorso
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2096 Cfr. nota 1088.
2097 Cfr. p. 8.
2098 Sulla cornice orante della predicazione si veda supra, pp. 371-385. Quanto allo
sviluppo di un’«esegesi orante» nei commentari, l’abbiamo messa in luce soprattutto in
CMt (pp. 329-358).
2099 Ad esempio, HIer XIX, 11 attesta l’uso di oJmologw' come ammissione d’inca-
646 Conclusione
in chiave personale è affidata (specialmente in contesto omiletico) al pas-
saggio dal soggetto plurale al soggetto singolare. A seconda dei casi, esso
innesca un ricordo, una confidenza, un’ammissione di debolezza o inca-
pacità, uno sfogo oppure una valutazione più individuale ed eventual-
mente “arbitraria”. Così il predicatore può richiamare un’esperienza per-
sonale o fare appello ad un’esegesi offerta in altre circostanze che gli fa
comodo rammentare nuovamente, rafforzando nel contempo il suo status
d’interprete della Scrittura, come avviene altrove quando Origene intro-
duce un’autocitazione, rimandando il lettore ad uno degli scritti prece-
denti e valutandone all’occorrenza l’apporto specifico2100. In generale non
si tratta per l’Alessandrino di dar adito ad un’intimità estemporanea e gra-
tuita con il pubblico dei suoi ascoltatori e/o lettori: l’individualità sogget-
tiva evocata, anziché rappresentare una divagazione o una sosta rispetto
al compito esegetico, appare didascalicamente funzionale al suo svolgi-
mento. Lo vediamo, ad esempio, dall’incertezza professata dal predica-
tore nella I Omelia su Ezechiele, al momento d’iniziare la spiegazione
delle visioni del profeta2101, mentre nella I Omelia su Numeri egli dichiara
di non essere all’altezza del commento di questo libro biblico e ancor più
di quello del Deuteronomio2102. D’altra parte, proprio le ricorrenti esita-
zioni o gli interrogativi dell’interprete delle Scritture mettono a nudo il
cuore stesso dell’impresa intellettuale e letteraria di Origene, rivelandoci
la sua consapevolezze delle sfide e difficoltà con cui deve fare i conti. In
sostanza, queste “confessioni esegetiche” racchiudono senza dubbio un
risvolto personale, capace di aiutarci a comprendere l’atteggiamento in-
teriore con cui l’Alessandrino ha affrontato l’arduo compito di commen-
––––––––––––––––––
pacità a spiegare il testo, senza l’aiuto della forza di Gesù (supra, nota 1150). Cfr. l’equi-
valente confiteor in HGn XVI, 5 (nota 1262); HEz I, 11 (334, 12-13. 22-25): «Quis potest
ista minutatim exponere? Quis ita est capax Spiritus Dei, ut haec sacramenta dilucidet?
[...] Confiteor libenter a sapiente et fideli viro dictam sententiam, quam saepe suscipio: de
Deo et vere dicere periculum est. Neque enim ea tantum periculosa sunt quae falsa de eo
dicuntur, sed etiam quae vera sunt et non opportune proferuntur dicenti periculum gene-
rant». Origene si rifà alle Sentenze di Sesto anche in CPs 1-25 Prol. (Epiph., Pan. 64, 7, 2).
2100 Come esempio di confidenza del predicatore al suo uditorio, che nel contesto ar-
gomentativo, acquista di fatto valore di testimonianza, si veda HIos XIV, 2 (379, 5-7): «Ego
quidem cum in locis Sidonis aliquotiens demoratus sum, numquam comperi duas esse Si-
donas, unam magnam et aliam parvam». Anche il caso dei ricordi attiene di norma l’opera-
zione esegetica, come mostrano le illustrazioni addotte alla nota 734. Per un esempio signi-
ficativo di autocitazione con valutazione critica si veda il richiamo a CGn in CC VI, 51.
2101 HEz I, 11 (335, 23-27): «Haec in prooemio de interpretationibus visionum
aestuans animus est locutus et ambigens quae sileat, quae proferat, quae leviter tacta di-
mittat, quae ex his manifestius, quae obscurius exponenda sint, si tamen potuerimus im-
plere quod cupimus».
2102 HNm I, 3 (7, 23-27): «Ego enim vere imparem me iudico ad enarranda myste-
ria, quae liber hic continet Numerorum; multo autem inferiorem ad illa, quae Deuterono-
mii volumen includit».
La preghiera di Origene 647
tare la Bibbia misurando gli ostacoli davanti a sé, le sue forze ed i risul-
tati raggiunti.
Molte delle confessioni che preludono a manifestazioni oranti rien-
trano tendenzialmente nello stesso schema, per cui non diversamente dalle
altre esternazioni personali mirano in primo luogo ad assecondare l’inter-
pretazione delle Scritture; ma è innegabile che anch’esse ci aprano uno spi-
raglio sull’«io» più intimo e nascosto dell’Alessandrino. Tanto più che,
unendo il bisogno di comprensione spirituale alle esigenze di una prassi
virtuosa, non di rado affiancano all’esame autocritico dell’esegeta l’acuto
riconoscimento dell’inadeguatezza del cristiano, il quale si accusa di non
riuscire a vivere pienamente in coerenza con la Parola di Dio. Ne abbiamo
una testimonianza eloquente nella XII Omelia su Esodo, dove il predicatore
fa precedere l’esortazione conclusiva da un esame di coscienza che rivela
la sua ambizione di lode e la dipendenza dall’apprezzamento altrui.
«Io rimprovero me stesso, giudico me stesso, accuso le mie colpe. Coloro che
ascoltano, vedano da sé come valutare se stessi. Io al momento dico che finché
sono servo di qualcuna di tali cose, non mi sono ancora convertito al Signore. [...]
Anche se non sono sopraffatto dall’amore del denaro, anche se non mi opprime
la sollecitudine per i possessi e le ricchezze, tuttavia sono desideroso di lode e
perseguo la gloria degli uomini, pendendo dai loro volti e dalle loro parole, chie-
dendomi che cosa il tale pensi di me, come il tale mi consideri, se io gli rechi di-
spiacere o gli piaccia. Finché ricerco tutto ciò, sono ancora servo di queste cose.
Ma io vorrei, in considerazione di ciò, agire almeno in modo da poter diventare
libero, ed essere sciolto dal giogo di questa vergognosa servitù, pervenendo a
quella libertà a cui ci esorta l’Apostolo dicendo: Voi siete stati chiamati a libertà,
non fatevi schiavi degli uomini (Gal 5, 13; 1Cor 7, 23). Ma chi mi darà tale
affrancamento? Chi mi libererà da questa servitù oltremodo vergognosa, se non
colui che ha detto: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero (Gv 8, 36)? Ma
so bene che il servo non può essere affrancato, se non servendo fedelmente ed
amando il Signore. Perciò anche noi serviamo fedelmente e amiamo il Signore
Dio nostro con tutto il cuore, tutto l’animo e tutta la nostra forza, per essere
affrancati da Gesù Cristo, suo Figlio e nostro Signore» 2103.
––––––––––––––––––
2103 HEx XII, 4 (268, 4-25): «Ego me ipsum corripio, me ipsum iudico; ego meas
culpas arguo; viderint qui audiunt, quid de semet ipsis sentiant. Ego interim dico quod,
donec alicui horum deservio, non sum conversus ad Dominum. [...] Etiamsi me amor pe-
cuniae non superat, etiamsi possessionum et divitiarum cura non stringit, laudis tamen cu-
pidus sum et gloriam sector humanam, si de hominum vultibus et sermonibus pendeo,
quid de me ille sentiat, quomodo me ille habeat, ne illi displiceam, si illi placeam, donec
requiro ista, servus horum sum. Sed volebam ex hoc saltim satis agere si possim liber
fieri, si possim iugo foedae huius servitutis absolvi et pervenire ad libertatem secundum
Apostoli commonitionem dicentis: In libertate vocati estis, nolite fieri servi hominum
(Gal 5, 13; 1Cor 7, 23). Sed quis mihi dabit hanc manumissionem? Quis me ab hac servi-
tute turpissima liberabit, nisi ille qui dixit: Si vos Filius liberaverit, vere libere eritis (Gv
8, 36)? At enim scio quia servus non potest libertate donari, nisi fideliter serviens, nisi
Dominum diligens. Et ideo etiam nos fideliter serviamus et ex toto corde et ex toto animo
648 Conclusione
Anche se la confessione, che si presenta più immediatamente come
ammissione di colpevolezza, fa spazio solo obliquamente a un’intenzione
orante, con l’auspicio all’affrancamento da questa forma di schiavitù rical-
cato sulle parole di Paolo in Gal 5, 13 e 1Cor 7, 23, essa illumina bene le
condizioni che più frequentemente muovono Origene a pregare, senza con
ciò sottovalutare il suo valore paradigmatico per la comunità dei fedeli.
Di tenore simile è anche il passo della XVI Omelia su Genesi, nella quale
l’Alessandrino si fa nuovamente accusatore di se stesso, per non avere
ancora messo in pratica l’appello di Gesù ad una sequela integrale rinun-
ciando a tutti i propri beni2104. Nella VII Omelia su Ezechiele, ad ulteriore
conferma di un tratto che contraddistingue particolarmente questo ciclo di
sermoni, Origene torna ad accusarsi davanti alla comunità di Cesarea di
essere incoerente, poiché siede anche lui sulla cattedra di Mosè, alla stre-
gua di uno scriba ed un fariseo (cfr. Mt 23, 2), ed invita perciò i fedeli ad
ignorare la sua condotta prestando invece ascolto alle sue parole 2105.

2. L’auspicio di una fecondità spirituale

Le preghiere in prima persona di Origene nascono dunque di norma


sull’onda di una confessione relativa al compito di interprete delle Scritture
e al suo rapporto con la comunità in ascolto, laddove ciò implica anche
l’elemento autocritico della veridicità e attendibilità del predicatore in
base alla sua condotta di vita. Nell’attestare difficoltà e carenze sotto l’uno
e l’altro punto di vista, l’Alessandrino si volge ad una domanda di aiuto,
che esprime il bisogno del sostegno e della guida di Dio, per poter inten-
dere la Parola, spiegarla agli uditori e farla fruttificare nella propria e nella
loro vita. Molte delle invocazioni oranti, indirette o esplicite, nascono dal
desiderio di partecipare più a fondo dell’inesauribile dinamismo spirituale
che è insito nella Parola ispirata. L’obiettivo più alto, in chiave personale,
auspicato dall’esegeta sarebbe poter offrire a Dio la sua stessa interpreta-
zione delle Scritture, assimilandola di fatto a un’offerta di preghiera2106.
Come egli dichiara nella IV Omelia su Levitico, «meditare giorno e notte
la legge del Signore (Sal 1, 2) e ritenere a memoria tutte le Scritture» equi-
varrebbe per lui a «offrire al Signore il memoriale del suo sacrificio»2107.
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et ex tota virtute nostra diligamus Dominum Deum nostrum, ut mereamur libertate donari
a Christo Iesu Filio eius domino nostro».
2104 HGn XVI, 5 (p. 409 e nota 1262).
2105 HEz VII, 3 (393, 15-16): «Mihi ipsi qui in ecclesia praedico, laqueos saepe ten-
dit, ut totam ecclesiam ex mea conversatione confundat. [...] Iste sermo de me est, qui bona
doceo et contraria gero, et sum sedens super cathedram Moysi quasi scriba et Pharisaeus».
2106 Ciò non contrasta con l’idea origeniana dell’«offerta» o del «sacrificio» a Dio
come restituzione di un dono ricevuto da lui (nota 2).
2107 HLv IV, 9 (tr. Danieli, 95).
La preghiera di Origene 649
Con identica preoccupazione, nella XI Omelia su Numeri Origene esprime
il desiderio che tra le sue parole ci sia almeno qualcuna suscettibile d’in-
durre l’«angelo che presiede alla chiesa» a presentarla come sacrificio
gradito a Dio; ma egli dubita che ciò possa avvenire e si augura se non al-
tro la grazia di non meritarsi una condanna per il proprio discorso 2108. Di
tenore analogo è l’auspicio, contenuto nella XIII Omelia su Esodo e tra-
dotto qui espressamente in una preghiera a Gesù, di riuscire a contribuire
all’arredamento del tabernacolo almeno con l’offerta di peli di capra (Es
26, 7), se non gli sarà possibile farlo con l’oro, l’argento e le gemme delle
sue parole, evitando in tal modo di restare del tutto infecondo:
«Signore Gesù, concedimi di poter meritare qualcosa di permanente nel tuo taber-
nacolo. Se fosse possibile, io opterei perché ci fosse qualcosa di mio nell’oro con
cui è fabbricato il propiziatorio o ricoperta l’arca o è fatto il candelabro luminoso
e le lampade. Oppure, se non ho dell’oro, possa essere trovato capace di offrire
almeno dell’argento che serva per le colonne o le loro basi, o se non altro meriti
di avere nel tabernacolo un po’ di bronzo, con il quale si formano i cerchi e tutte
le altre cose che descrive la Parola di Dio. Oh, potessi essere uno dei capi e offrire
gemme per ornare l’omerale e il razionale del sommo sacerdote. Ma dato che
queste cose sono al di sopra di me, possa io meritare almeno di avere i peli di ca-
pra nel tabernacolo di Dio, pur di non rimanere digiuno e infecondo in tutto»2109.
Anche nella XIX Omelia su Geremia la sollecitudine ad edificare la
comunità attraverso la predicazione attira l’auspicio del predicatore per sé
e per i fedeli ad innalzarsi e a «levare gli occhi in alto» (cfr. Is 37, 23),
secondo il gesto tipico dell’orante, arrivando a configurare la spiegazione
omiletica come un momento di preghiera2110. In queste e altre dichiarazio-
ni oranti ciò che preme sempre ad Origene è la capacità di far fruttificare
la Parola di Dio, nell’intelligenza spirituale dei suoi contenuti e nei com-
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2108 HNm XI, 5 (86, 8-17): «Et si mererer ego hodie magnum aliquem et summo
pontifice dignum sensum proferre, ita ut ex his omnibus, quae loquimur et docemus, esset
aliquid egregium, quod summo sacerdoti placere deberet, poterat fortasse fieri, ut angelus,
qui praeest ecclesiae, ex omnibus dictis nostris eligeret aliquid et loco primitiarum Do-
mino de agello mei cordis offerret. Sed ego me scio non mereri nec conscius mihi sum,
quod talis aliquis sensus inveniatur in me, quem dignum iudicet angelus, qui nos excolit,
offerre pro primitiis vel pro primogenitis Domino. Atque utinam tale sit, quod loquemur
et docemus, ut non pro verbis nostris condemnari mereamur; sufficeret nobis haec gratia».
2109 HEx XIII, 3 (273, 22–274, 4): «Domine Iesu, praesta mihi ut aliquid monumenti
habere merear in tabernaculo tuo. Ego optarem, si fieri posset, esse aliquid meum in illo
auro, ex quo propitiatorium fabricatur vel ex quo arca contegitur vel ex quo candelabrum
fit luminis et lucernae. Aut si aurum non habeo, ut argenti saltim aliquid inveniar offerre,
quod proficiat in columnas vel in bases earum, certe vel aeris aliquid habere merear in ta-
bernaculo, unde circuli fiant et cetera, quae sermo Dei describit. Utinam autem mihi esset
possibile unum esse ex principibus et offerre gemmas ad ornatum pontificis humeralis et
logii. Sed quia haec supra me sunt, certe vel pilos caprarum habere merear in tabernaculo
Dei, tantum ne in omnibus ieiunians et infecundus inveniar».
2110 HIer XIX, 13 (nota 1438).
650 Conclusione
portamenti virtuosi, secondo la lezione della parabola dei talenti (Lc 19,
12-27) sfruttata ripetutamente a questo fine. Ad esempio, nella XX Omelia
su Geremia si augura di riuscire a «moltiplicare» il «talento» delle Scrit-
ture, siano queste i vangeli o le lettere di Paolo, i profeti o la legge2111.
Per realizzare la crescita spirituale desiderata, Origene e i propri udi-
tori dovrebbero lasciarsi compenetrare intimamente da quel fuoco che arde
dentro le Scritture, secondo l’immagine evocata innumerevoli volte dal-
l’Alessandrino nel ricordo della scena di Gesù e i discepoli a Emmaus.
Conformemente ad essa la I Omelia su Salmo 38 fonde l’auspicio di pre-
ghiera a livello personale con quello per la comunità, formulando a due
riprese il desiderio di acquisire parole di fuoco tali da accendere il cuore
dell’interprete e del suo uditorio e muoverli ad una prassi conforme2112.
«Io medito le parole del Signore e mi esercito frequentemente in esse, ma non so
se sono tale che nella mia meditazione un fuoco esca da ogni parola di Dio, ac-
cenda il mio cuore e infiammi la mia anima perché osservi ciò che medito.
Adesso parlo con le parole di Dio, ma come vorrei che esse ardessero prima nel
mio cuore e poi nella mente degli uditori, che fossero come le parole che diceva
Gesù, di cui coloro che l’avevano ascoltato dicevano: Non ardeva forse il nostro
cuore quando ci spiegava le Scritture per la via (Lc 24, 32)? Volesse il cielo che
anche adesso, mentre spieghiamo le Scritture divine, il nostro cuore si riscal-
dasse dentro di noi e nella nostra meditazione si accendesse un fuoco sì da affret-
tarci ad operare ciò che ascoltiamo e leggiamo»2113.
«Ma donde potrà venirmi questo fuoco della lingua dentro il cuore in modo che
io possa pronunciare un discorso con una lingua di fuoco e far sì che un fuoco
veloce si accenda alle mie parole nei cuori degli ascoltatori e accusi colui che ha
peccato e il mio discorso divenga per lui un supplizio, in modo che bruciato e
infiammato dalle mie parole si volga a penitenza capace di operare in lui una
stabile salvezza per opera della tristezza secondo Dio, accolta a seguito del rim-
provero della parola di Dio? Oh, potessi accendere ogni anima dei miei ascolta-
tori, in modo che chiunque sia consapevole di sé, non sopportando l’incendio del
nostro discorso, ma infiammato dentro di sé in tutte le sue viscere, distrugga più
velocemente le macchie dei vizi nascosti dentro di lui»2114.
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2111 HIer XX, 3 (nota 1174).
2112 Cfr. Monaci Castagno, 65-71 («Il predicatore: un fuoco che brucia e che illu-
mina»).
2113 H38Ps I, 7 (342, 3–344, 17): «Et ego meditor eloquia Domini et frequenter in
ipsis me exerceo, sed nescio si talis sum, ut in meditatione mea ex unoquoque sermone
Dei ignis procedat et accendat cor meum et inflammet animam ad ea quae meditor obser-
vanda. Et ego nunc loquor sermones Dei, sed optarem ut primo in meo corde, secundo
quoque in auditorum mentibus exardescerent: sicut erant illi sermones quos loquebatur Ie-
sus, de quibus dicebant illi qui audierant: Nonne cor nostrum erat ardens in nobis cum in
via aperiret nobis Scripturas? (Lc 24, 32). Utinam et nunc adaperientibus nobis Scripturas
divinas concalesceret cor nostrum intra nos et in meditatione nostra accenderetur ignis et
concitaremur in opus eorum quae audimus et legimus».
2114 H38Ps I, 7 (346, 41-54): «Sed unde mihi hoc ut linguae ignis veniat in cor
La preghiera di Origene 651
Altrove, a significare ugualmente la domanda a Dio per assicurare
l’efficacia spirituale delle sue parole, Origene ricorre alle metafore della
«spada» e dei «dardi», come vediamo dalla XV Omelia su Giosuè, dove
prega per non lasciare mai inoperosa «la spada della Parola di Dio» agen-
do sul cuore degli ascoltatori in vista della loro purificazione2115. Se –
come dichiara la XIII Omelia su Esodo – il compito del predicatore è du-
plice, ad immagine del fuoco che brucia ed illumina, in molte occasioni
l’Alessandrino si augura con il sostegno di Dio di poter assolvere il primo,
prima di procedere ad attuare anche il secondo2116.

3. La necessità di una purificazione

La preghiera che Origene formula a beneficio del suo uditorio inve-


ste anche la sua persona, come si è già intravisto nelle confessioni in cui
si autoaccusa di colpe e manchevolezze. La necessità della purificazione
si fa dunque sentire anche per lui ed è la condizione imprescindibile per-
ché possa esercitare il ministero della predicazione e predisporre dentro il
proprio cuore una dimora per accogliere Dio. Come per gli auspici di una
fecondità spirituale, anche le richieste di purificazione fanno spesso ricor-
so ad un repertorio caratteristico di immagini, privilegiando in particolare
la scena della lavanda dei piedi nell’ultima cena (Gv 13, 4-12). L’Alessan-
drino la richiama lungamente nell’VIII Omelia su Giudici, ricomprenden-
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meum et de lingua ignea ego quoque proferam sermonem, ut ex me velox sermonibus meis
accendatur ignis in cordibus auditorum et arguat eum qui peccavit et efficiatur ei sermo
meus supplicium, ut adustus et inflammatus sermonibus veniat in paenitentiam, quae salu-
tem stabilem operatur ex tristitia quae secundum Deum est, quam ex verbi Dei increpatio-
ne suscepit? Atque utinam possim ita accendere omnem animam auditorum, ut quicumque
sibi conscius est, non ferens nostri sermonis incendium, sed omnibus intra se visceribus
inflammatus, velocius consumeret latentes intrinsecus vitiorum sordes». Si veda inoltre in
HLv V, 3 l’auspicio del predicatore affinché un fuoco divino bruci la sua terra liberandola
da triboli e spine.
2115 HIos XV, 6 (392, 23-26): «mihi autem praestet Dominus numquam negligere
opera Domini nec auferre spiritalem gladium verbi Dei a sanguine contrariarum virtutum
et mortificare eas in unoquoque auditorum. Interficiuntur autem in vobis ita demum, si his
auditis earum opera non agatis». Cfr. anche HIos VIII , 7 (343, 18-23): «Utinam et ego
modo, dum loquor ad vos verbum Dei, cor peccatoris pulsare possim! Quod si fecero,
certum est quod gladio oris mei percutiam fornicationem, percutiam malitiam, reprimam
furorem et si qua alia sunt mala in ore gladii, id est oris mei sermone restinguam et non
relinquam ex iis, qui salvus fiat, neque qui effugiat».
2116 Sull’azione purificatrice si veda, ad esempio, HEz III, 4 (353, 4-5): «Praesta
mihi, Christe, ut disrumpam omnia cervicalia in animarum consuta luxuriam». Quanto al-
l’immagine dei «dardi», cfr. H37Ps I, 2 (262, 29-264, 33): «hi, si his auditis quae loqui-
mur, recte et fideliter audiant et compungatur cor eorum ex iaculis verborum nostrorum et
transfixi talibus iaculis doleant et conversi ad paenitentiam dicant: Domine ne in furore
tuo... (Sal 37[38], 2)».
652 Conclusione
do alla luce del gesto di Gesù la sua attività di commentatore delle Scrit-
ture a servizio della comunità ed indicando l’uno e l’altra come bisognosi
dell’aiuto del Signore.
«Vieni, Signore Gesù, Figlio di Dio, ti prego: deponi le vesti (Gv 13, 4) che hai
indossato per me e versa l’acqua nel catino e lava i piedi (Gv 13, 5) dei tuoi
servi, rimuovi le impurità dei tuoi figli e delle tue figlie. Lava i piedi della nostra
anima, affinché anche noi, imitando te e seguendo te, deponiamo le vecchie vesti
e diciamo: Di notte ho deposto la mia veste, come l’indosserò ancora? (Ct 5, 3),
e di nuovo diciamo: Ho lavato i miei piedi, come li insozzerò? (Ct 5, 3). Infatti,
non appena avrai lavato i miei piedi, possa tu farmi riposare con te, perché possa
udire da te: Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se
dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete la-
varvi i piedi gli uni gli altri (Gv 13, 13-14).
Anche io adesso voglio lavare i piedi dei miei fratelli, lavare i piedi dei miei
condiscepoli. E perciò prendo l’acqua (cfr. Is 12, 3), che attingo dalle fonti di
Israele (cfr. Sal 67[68], 27), anzi che spremo dal vello d’Israele. Ora infatti
spremo l’acqua dal vello del libro dei Giudici e in un altro tempo l’acqua dal
vello di Regni, l’acqua dal vello di Isaia o Geremia; e la verso nel catino della
mia anima, concependo il significato nel mio cuore, e accolgo i piedi di coloro
che si presentano e si preparano ad essere lavati. E per quanto ne abbia la forza,
desidero lavare i piedi dei miei fratelli e compiere il mandato del Signore, affin-
ché coloro che ascoltano siano purificati dalle macchie dei peccati, affinché ri-
gettino da sé ogni impurità dei vizi ed abbiano i piedi mondi, con i quali accin-
gersi a preparare l’evangelo della pace (Ef 6, 15) e tutti quanti, purificati me-
diante la parola in Cristo, non siano scacciati dal talamo dello sposo per le vesti
sordide, ma rivestiti di candide vesti, con i piedi mondi e il cuore puro dimo-
riamo nel convito dello sposo, il Signore nostro Gesù Cristo»2117.
––––––––––––––––––
2117 HIud VIII, 5: «Veni, precor, Domine Iesu fili Dei, exue te vestimenta, quae
propter me induisti, et accingere propter me et mitte aquam in pelvem et lava pedes servo-
rum tuorum, dilue sordes filiorum et filiarum tuarum. Lava pedes animae nostrae, ut nos
te imitantes et te sectantes exuamus nos vetera vestimenta et dicamus: noctu exui me ve-
stimentum meum, quomodo induam illud?, et iterum dicamus: lavi pedes meos, quomodo
sordidabo eos? Statim namque ut laveris pedes meos, etiam recumbere me facias tecum,
ut audiam abs te: vos vocatis me Domine et magister; et recte dicitis, sum enim. Si ergo
ego Dominus et magister lavi pedes vestros, et vos alterutrum lavate pedes. Volo et ego
nunc lavare pedes fratrum meorum, lavare pedes condiscipulorum meorum. Et propterea
accipio aquam, quam haurio de fontibus Istrahel, immo quam exprimo de Istrahelitico vel-
lere. Exprimo enim nunc aquam de vellere libri Iudicum et alio tempore aquam de vellere
Regnorum et aquam de vellere Esaiae vel Hieremiae; et mitto eam in pelvem animae meae,
concipiens sensum in corde meo, et accipio pedes eorum, qui se praebent et praeparant ad
lavandum, et, in quantum praevaleo, lavare cupio pedes fratrum meorum et complere
mandatum Domini, ut in verbo doctrinae purgentur auditores a sordibus peccatorum, ut
abiciant a se omnem immunditiam vitiorum et mundos habeant pedes, quibus recte ingre-
diantur ad praeparationem Evangelii pacis, ut omnes simul in Christo purificati per ver-
bum non abiciantur de thalamo sponsi pro sordidis indumentis, sed candidi vestibus, loti
pedibus, mundi corde recumbamus in convivio sponsi, ipsius Domini nostri Iesu Christi,
cui est gloria et imperium in s.s.A.» (514, 24-515, 23).
La preghiera di Origene 653
In questo passo ed altri simili – ad esempio l’intenzione di preghiera
contenuta nella I Omelia su Isaia2118 – sarebbe sbagliato pensare sempli-
cemente ad una forma di “parenesi”, per la quale Origene dispone invero
di molteplici mezzi2119; al contrario, diversamente dall’auspicio accennato
nella trattazione parallela della VI Omelia su Isaia, abbiamo a che fare con
una vera e propria esternazione orante del predicatore, che tradisce il suo
anelito spirituale2120. Essa è affidata, per così dire, a una preghiera “a cuore
aperto”, indirizzata ancora una volta a Gesù, per invocare la venuta del
Verbo e predisporsi ad accoglierlo dentro di sé. Questo è ugualmente l’in-
tento della preghiera che compare nella V Omelia su Isaia, dove prelude
al commento della visione del profeta (Is 6, 1-3). Anch’essa si riallaccia
fra l’altro all’episodio della lavanda dei piedi, formulando una supplica a
Gesù dopo un crescendo di sollecitazioni a pregare rivolte all’uditorio e,
conformemente al modello più comune delle confessioni oranti dell’Ales-
sandrino, un’autoaccusa del predicatore che si dichiara bisognoso dell’in-
tervento purificatore di Gesù, come Isaia lo è stato ad opera del Serafino
prima di poter farsi testimone della gloria di Dio2121.
«Prego che anche a me sia mandato un Serafino il quale, preso con le molle un
carbone ardente, purifichi le mie labbra (cfr. Is 6, 6), e perché dico: labbra? Isaia
era santo, e perciò furono purificate solo le sue labbra, poiché era caduto solo
con le labbra, cioè nel discorso; ma io non sono tale da poter dire: “ho labbra
impure” (Is 6, 5); temo di avere impuro il cuore, impuri gli occhi, impuri gli
orecchi, impura la bocca, e fino a che pecco in tutte queste membra, sono tutto
impuro! Se guardo una donna con concupiscenza, ho commesso adulterio con lei
nel mio cuore (cfr. Mt 5, 28): ecco gli occhi impuri! Se dal mio intimo escono
pensieri malvagi, adulterii, fornicazioni, false testimonianze (cfr. Mt 15, 19),
ecco il cuore impuro! Come sono belli i piedi di coloro che evangelizzano la
pace, che evangelizzano il bene! (Is 52, 7). Ma temo che, nella corsa verso il
male, abbia impuri i piedi. Tendo a Dio le mie mani, e forse, distogliendo il suo
volto dice: Se stendete le mani, distolgo da voi il mio volto (Is 1, 15). Chi dunque
mi purifica? Chi lava i miei piedi?
Vieni, Gesù, ho sporchi i piedi, per me diventa servo, metti la tua acqua nel cati-
––––––––––––––––––
2118 HIs I, 4 (246, 24–247, 8): «Deferatur ergo mihi de altario caelesti forfex, ut tan-
gat labia mea. Forfex Domini si tetigerit labia mea, mundat ea (cfr. Is 6, 6-7). Et si munda-
verit ea et circumciderit vitiis [...] aperiam verbo Dei os meum nec ulterius sermo immun-
dus exiet ex ore meo [...]. Ego autem precor, ut veniens Seraphim mundet labia mea».
2119 Contro l’opinione espressa da Fürst-Hengstermann (Origenes. Die Homilien
zum Buch Jesaja, 244, nota 86). È significativo che l’esegesi della lavanda dei piedi in
CIo XXXII, 9, 100-101 non dia luogo ad una manifestazione orante, benché sia accompa-
gnata da un’applicazione parenetica.
2120 HIs VI, 3 (273, 2-4): «Utinam et ego accipiam nunc aquam, quae possit animae
vestrae pedes lavare, ut unusquisque dicat, cum fuerit lotus: Lavi pedes meos, quomodo
inquinabo eos? (Ct 5, 3)».
2121 Due sono gli inviti a pregare indirizzati dapprima alla comunità. Cfr. HIs V, 2
(nota 1151).
654 Conclusione
no, vieni, lava i miei piedi (cfr. Gv 13, 5). So che è temerario quello che dico, ma
temo la minaccia di colui che dice: Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con
me (Gv 13, 8); dunque: Lava i miei piedi, perché io abbia parte con te!
Ma perché dico: Lava i miei piedi? Lo può dire Pietro, che non aveva bisogno se
non che gli fossero lavati i piedi, giacché era tutto puro; ma, quanto a me, che sono
stato lavato una volta per tutte, ho bisogno di quel battesimo del quale il Signore
afferma: Ho un altro battesimo del quale devo essere battezzato (Gv 13, 10)» 2122.

Con la sua invocazione a Gesù, Origene vuole suscitare un clima


intenso di preghiera nella comunità di Cesarea, più numerosa del solito in
un giorno di venerdì, come testimoniano gli ulteriori inviti all’uditorio che
la seguono da presso; fra l’altro, egli esorta a pregare Dio per la venuta
del Verbo, anche se si ha timore a farlo in quanto peccatori2123. Al tempo
stesso, anche questa nuova manifestazione orante conferma i tratti che
abbiamo già messo in luce precedentemente. La preghiera dell’Alessan-
drino mira sempre a trarre il massimo giovamento possibile dalla Parola
di Dio, che si dà quando essa viene a noi, ed a sgomberare di conse-
guenza tutto quanto possa esserle di ostacolo nel proprio cuore.

4. L’attesa della venuta del Verbo

Il desiderio di una fecondità spirituale nel segno della parola e della


vita, insieme al bisogno di purificazione personale, convergono nella mèta
––––––––––––––––––
2122 HIs V, 2 (264, 12–265, 4): «Precor, ut mittatur etiam ad me Seraphim et appre-
henso de forfice carbone purget labia mea. Et quid dico labia? Isaias sanctus erat et ideo
tantum labia eius purgata sunt, quia labiis tantum, id est sermone, deliquerat. Ego vero non
sum talis, ut possim dicere: “Immunda labia habeo”; metuo, ne immundum cor habeam,
immundos oculos, immundas aures, immundum os. Quamdiu in omnibus istis pecco, to-
tus immundus sum. Si videro mulierem ad concupiscendum, moechatus sum eam in corde
meo. Ecce immundos oculos. Si de pectore meo exeant cogitationes pessimae, adulteria,
fornicationes, falsa testimonia, ecce immundum cor. Quam formosi pedes evangelizan-
tium pacem, evangelizantium bona! Ego vero timeo, ne currens ad mala immundos pedes
habeam. Extendo ad Deum manus meas, et forte avertens faciem suam dicit: Si extenderi-
tis manus, avertam faciem meam a vobis. Quis ergo me mundat? Quis lavat pedes meos?
Iesu, veni, sordidos habeo pedes, propter me fiere servus, mitte aquam tuam in pelvim
tuam, veni, lava pedes meos! Scio temerarium esse, quod dico, sed timeo comminationem
dicentis: Si non lavero pedes tuos, non habebis partem mecum. Ideo lava pedes meos, ut
habeam partem tecum! Sed quid aio: Lava pedes meos? Petrus potest hoc dicere, qui non
habuit necesse, nisi tantum ut pedes eius lavarentur; totus quippe mundus erat. Ego vero
cum semel lotus sim, illo indigeo baptismate, de quo Dominus ait: Ego aliud baptisma
habeo baptizari» (tr. Danieli, 112-113). Su questo passo si veda Russell Christman, che
osserva giustamente: «the prayer’s placement within this homily gives concrete manifes-
tation to Origen’s view that biblical exegesis always has the ultimate goal of drawing both
exegete and audience God-ward» (p. 306).
2123 HIs V , 2 (265, 14-15): «orate Deum omnipotentem, ut veniat ad nos sermo
eius. Etiamsi peccatores estis, orate; peccatores exaudit Deus».
La preghiera di Origene 655
auspicata di un incontro con il Verbo, chiamato a prendere possesso del
cuore e a dimorare in esso. Con le sue ripetute invocazioni a Gesù, Origene
si mostra consapevole delle esigenze di una sequela del Signore coerente
ed integrale, che richiede pertanto il suo sostegno. A tale scopo, se nella
XVIII Omelia su Numeri si augura di essere fatto prigioniero da Gesù, di-
venendo suo servo alla maniera di Paolo (Ef 3, 1)2124, nella XII Omelia su
Giosuè commentando gli episodi bellici del libro biblico domanda di riu-
scire a vincere i vizi ed appendere il trofeo della sua vittoria sulla croce di
Cristo in riconoscimento del dono di grazia che la renderà possibile.
«Voglia il mio Signore Gesù concedermi ciò e ordini ai miei piedi di schiacciare
lo spirito della fornicazione e calcare le teste dello spirito dell’ira e del furore,
calcare il demone dell’avarizia, calcare l’arroganza, calpestare lo spirito della
superbia e, quando avrò fatto ciò, appendere il trofeo dell’impresa non su di me,
bensì sulla sua croce, imitando Paolo, il quale afferma che per lui il mondo è sta-
to crocifisso mediante Cristo e là dove dice [...] non io, ma la grazia di Dio che è
in me»2125.

Proseguendo nell’illustrazione del combattimento spirituale, a con-


clusione della XIII Omelia su Giosuè, l’Alessandrino formula il voto per
sé e per i fedeli che, dopo aver estinto ogni spirito di male, «possa respirare
in noi solo lo Spirito di Cristo, nelle opere, nelle parole, nell’intelligenza
spirituale»2126. Fare spazio alla dimora di Dio in noi è anche il contenuto
della supplica che chiude la XXIV Omelia su Giosuè, dove Origene associa
ancora una volta il proprio destino spirituale a quello della comunità pre-
figurando la venuta del Figlio e del Padre:
«Se io potessi essere buono, farei spazio al Figlio di Dio in me e il Signore Gesù,
dopo aver accolto questa dimora nella mia anima, l’adornerebbe e la cingerebbe
di mura inespgnabili e di alte torri, così da costruire in me, se lo meritassi, una
dimora degna di sé e del Padre. E allora egli adornerebbe la mia anima in modo
da renderla capace della sua sapienza e della sua scienza e di tutta la sua santità,
così da fare entrare Dio Padre insieme a sé prendendo dimora (Gv 14, 23) in essa
––––––––––––––––––
2124 HNm XVIII, 4 (175, 1-4): «Utinam ergo et me captivum habeat semper Iesus et
me ducat in praedam suam et ego tenear eius vinculis alligatus, ut et ego dici merear vinc-
tus Christi Iesu (Ef 3, 1), sicut et Paulus de semet ipso gloriatur».
2125 HIos XII, 3 (370, 9-20): «Atque utinam Dominus meus Iesus filius Dei mihi
istud concedat et iubeat me pedibus meis conculcare spiritum fornicationis et calcare su-
per cervices spiritus iracundiae et furoris, calcare avaritiae daemonem, calcare iactan-
tiam, conterere pedibus superbiae spiritum et, cum haec fecero, operis gesti summam non
mihi, sed cruci eius appendere, sequenti Paulum dicentem quia per ipsum mihi mundus
crucifixus est et ea, quae iam superius memoravimus, quod ait: non autem ego, sed gratia
Dei, quae in me est».
2126 HIos XIII, 4: «exstinctis omnibus et peremptis hostibus nostris, ita ut non relin-
quatur ex iis qui respiret in nobis (Gs 10, 40), sed solus in nobis respiret spiritus Christi
per opera et sermones et intelligentiam spiritalem».
656 Conclusione
e cenare (Ap 3, 20) presso un’anima siffatta con quei cibi che lui stesso avrà do-
nato»2127.
L’esito auspicato di una piena comunione con Dio ci riporta all’im-
magine dell’atto orante disegnata da Origene nel trattato e alla sua mèta
ultima che è l’incontro con il Figlio e con il Padre, nello Spirito2128. È leci-
to dunque concludere che il modo in cui l’Alessandrino prega riflette fe-
delmente la sua idea fondamentale della preghiera. Come ci è apparso da
Orat e come abbiamo potuto confermare nel resto dell’opera, l’orazione è
sempre vista in primo luogo come domanda, come richiesta formulata
sotto lo sguardo di Dio in vista di ottenere quei beni «grandi e celesti»
che solo lui può darci, inclusa la stessa possibilità di pregarlo «come si
conviene». L’insistenza caratteristica dell’Alessandrino sull’aspetto della
preghiera in quanto domanda manifesta in lui la viva consapevolezza di
un’esperienza comune e diffusa, ma al tempo stesso difficile e problema-
tica, perché soggetta ad essere banalizzata e contraffatta da un compor-
tamento difforme dalla sua vera natura. Anche per Origene il fatto di pre-
gare significa rammentarsi costantemente della condizione di creature,
bisognose dell’aiuto divino, perché impegnate senza tregua nell’agone
del mondo, a rischio della propria salvezza. Ma significa anche poter con-
tare sulla risposta amorosa di Dio, che ci rende partecipi delle ricchezze
inesauribili della sua Parola, prendendo possesso del nostro cuore e atti-
rando l’anima alla convivialità gioiosa del banchetto con lo Sposo.

––––––––––––––––––
2127 HIos XXIV, 3: «Ego si possem bonus fieri, dabam locum filio Dei in me et ac-
ceptum a me locum in anima mea Dominus Iesus aedificabat eum et adornabat et faciebat
in eo muros inexpugnabiles et turres excelsas, ut aedificaret in me mansionem, si mererer,
dignam se et patre, et ita adornabat animam meam, ut capacem eam suae sapientiae ac
scientiae et totius sanctitatis efficeret in tantum, ut etiam faceret Deum patrem secum in-
trare et in ea facere mansionem et coenare etiam apud talem animam cibos, quos ipse do-
naverat». Sull’uso di Gv 14, 23 e Ap 3, 20, cfr. rispettivamente note 1276 e 684.
2128 Cfr. supra, pp. 181-188.
ABBREVIAZIONI

1. Opere di Origene

CC Contro Celso
CCt Commento al Cantico
CGn Commento a Genesi
CIo Commento a Giovanni
CMt Commento a Matteo
CMtS Serie (lat.) del Commento a Matteo
CPs Commento ai Salmi
CRm Commento alla Lettera ai Romani
Dial Dialogo con Eraclide
EM Esortazione al martirio
EpAfr Lettera a Giulio Africano
EpCar Lettera agli amici di Alessandria
EpGr Lettera a Gregorio
Fr1Cor Frammenti sulla I Lettera ai Corinti
FrCt Frammenti sul Cantico dei Cantici
FrEph Frammenti sulla Lettera agli Efesini
FrEz Frammenti su Ezechiele
FrIer Frammenti su Geremia
FrIo Frammenti su Giovanni
FrIob Frammenti su Giobbe
FrIos Frammenti su Giosuè
FrLam Frammenti sulle Lamentazioni
FrLc Frammenti su Luca
FrPr Frammenti sui Proverbi
FrPs Frammenti sui Salmi
FrQo Frammenti su Qoelet
FrRe Frammenti sui Regni
FrRm Frammenti sulla Lettera ai Romani
HCt Omelie sul Cantico dei Cantici
HEx Omelie su Esodo
HEz Omelie su Ezechiele
HGn Omelie su Genesi
HIer Omelie su Geremia
HIos Omelie su Giosuè
HIs Omelie su Isaia
HIud Omelie su Giudici
658 Abbreviazioni
HLc Omelie su Luca
HLv Omelie su Levitico
HNm Omelie su Numeri
HReG Omelie greche sul I Libro dei Regni
HReL Omelie latine sul I Libro dei Regni
H36,37,38Ps Omelie sui Salmi 36, 37, 38
Orat La preghiera
Pas La Pasqua
Phil Filocalia
Prin I principi

2. Altre abbreviazioni

BKV Des Origenes Schriften vom Gebet und Ermahnung zum Marty-
rium, übers. v. P. Koetschau (Bibliothek der Kirchenväter), Mün-
chen 1926.
Jay Origen’s Treatise on Prayer, Translation and Notes with an Ac-
count of the Practice and Doctrine of Prayer from New Testament
Times to Origen by E.G. Jay, London 1954.
LSJ H.G. Liddell - R. Scott, Greek-English Lexicon, Rev. and augm.
throughout by Sir H. Jones, with the assistance of R. McKenzie,
and with the cooperation of many scholars. Supplement edited by
P.G.W. Glare, Oxford 19969 .
OD A. Monaci Castagno (ed.), Origene. Dizionario. La cultura, il pen-
siero, le opere, Roma 2000.
Oulton Alexandrian Christianity, Selected Translations of Clement and
Origen with Introductions and Notes by J.E.L. Oulton and H. Chad-
wick, London 1954.
Orig. Origeniana. Premier colloque international des études origénien-
nes (Montserrat, 18-21 septembre 1973), dirigé par H. Crouzel, G.
Lomiento, J. Rius-Camps, Bari 1975.
Orig. II Origeniana Secunda. Second colloque international des études ori-
géniennes (Bari 20-23 septembre 1977), Textes rassemblés par H.
Crouzel et A. Quacquarelli, Roma 1980.
Orig. III Origeniana Tertia. The Third International Colloque for Origen
Studies (University of Manchester, September 7th-11th 1981), Pa-
pers Edited by R. Hanson and H. Crouzel, Roma 1985.
Orig. IV Origeniana Quarta. Die Referate des 4. Internationalen Origenes-
kongresses (Innsbruck, 2-6 September 1984), hrsg. v. L. Lies, Inns-
bruck-Wien 1987.
Orig. V Origeniana Quinta. Papers of the 5th International Origen Con-
gress (Boston College, 14-18 August 1989), edited by R. Daly,
Leuven 1992.
Orig. VI Origeniana Sexta. Origène et la Bible. Actes du Colloquium Orige-
nianum Sextum (Chantilly, 30 août-3 septembre 1993), édités par
G. Dorival et A. Le Boulluec, Leuven 1995.
Abbreviazioni 659
Orig. VII Origeniana Septima. Origenes in den Auseinandersetzungen des
4. Jahrhunderts, hrsg. v. W.A. Bienert und U. Kühneweg, Leuven
1999.
Orig. VIII Origeniana Octava. Origene e la tradizione alessandrina. Origen
and the Alexandrian Tradition. Atti del «Colloquium Origenianum
Octavum» (Pisa, 27-31 agosto 2001), a cura di L. Perrone, con la
collab. di P. Bernardini e D. Marchini, Leuven 2003.
Orig. IX Origeniana Nona. Origen and the Religious Practice of His Time.
Papers of the 9th International Origen Congress, Pécs, Hungary,
29 August - 2 September 2005, ed. by G. Heidl and R. Somos,
Leuven-Paris-Walpole Ma. 2009.
PGL G.W.H. Lampe, A Patristic Greek Lexicon, Oxford 1961.
TLG Thesaurus Linguae Graecae.

3. Avvertenza bibliografica

Le opere di Origene sono citate di norma nel testo greco o latino in base al-
l’edizione degli Origenes-Werke (GCS), indicando fra parentesi pagina e linea,
qualora si riporti un passo. I testi ripresi da altre edizioni sono indicati nella bi-
bliografia. I passi forniti in traduzione rimandano alle versioni italiane elencate
anch’esse fra i testi di riferimento.
Le citazioni da altri autori antichi sono riportate secondo le edizioni elen-
cate nella bibliografia.
Le traduzioni della Bibbia sono tratte dalla versione della CEI, quando non
sia indicato diversamente.
BIBLIOGRAFIA

I. EDIZIONI E TRADUZIONI
1. Opere di Origene
1.1. Edizioni e traduzioni di Orat
Origenes Werke II, Buch V-VIII Gegen Celsus, Die Schrift vom Gebet, hrsg. v.
P. Koetschau (GCS 3), Leipzig 1899.
Des Origenes Schriften vom Gebet und Ermahnung zum Martyrium, übers. v.
P. Koetschau (Bibliothek der Kirchenväter), München 1926, rist. Origenes.
Vom Gebet, a cura di G. Emmenegger (Kleine Bibliothek der Kirchenvä-
ter 1), Freiburg 2009.
Origen’s Treatise on Prayer, Translation and Notes with an Account of the Prac-
tice and Doctrine of Prayer from New Testament Times to Origen by E.G.
Jay, London 1954.
Origen. Prayer, Exhortation to Martyrdom, transl. and annot. by J.J. O’Meara,
Westminster (Maryland)-London 1954.
Alexandrian Christianity, Selected Translations of Clement and Origen with In-
troductions and Notes by J.E.L. Oulton and H. Chadwick, London 1954.
Origen. An Exhortation to Martyrdom, Prayer, First Principles. Book IV, Pro-
logue to the Commentary on the Song of Songs, Homily XXVII on Numbers,
Translation and Introduction by R.A. Greer, Mahwah N.J. 1979.
Origene. La preghiera, a cura di G. Del Ton, Roma 1974 (rist. Milano 1988).
Origene. La preghiera, intr., tr. e note a cura di N. Antoniono, Roma 1997.

1.2. Edizioni di altri scritti

Origenes Werke I. Die Schrift vom Martyrium, Buch I-IV Gegen Celsus, ed.
P. Koetschau (GCS 2), Leipzig 1899.
Origenes Werke II. Jeremiahomilien, Klageliederkommentar, Erklärung der Sa-
muel- und Königsbücher, hrsg. v. E. Klostermann, 2. bearb. Aufl. v. P. Nautin
(GCS 6), Berlin 1983.
Origenes Werke IV. Der Johanneskommentar, hrsg. v. E. Preuschen (GCS 10),
Leipzig 1903.
Origenes Werke V. De principiis, hrsg. v. P. Koetschau (GCS 22), Leipzig 1913.
Origenes Werke VI. Homilien zum Hexateuch in Rufins Übersetzung. 1. Teil, Die
Homilien zu Genesis, Exodus und Leviticus, hrsg. v. W.A. Baehrens (GCS
29), Leipzig 1920.
662 Bibliografia
Origenes Werke VII. Homilien zum Hexateuch in Rufins Übersetzung. 2. Teil, Die
Homilien zu Numeri, Josua und Judices, hrsg. v. W.A. Baehrens (GCS 30),
Leipzig 1921.
Origenes Werke VIII. Homilien zu Samuel I, zum Hohelied und zu den Propheten.
Kommentar zum Hohelied, in Rufins und Hieronymus’ Übersetzungen, hrsg.
v. W.A. Baehrens (GCS 33), Leipzig 1925.
Origenes Werke IX. Die Homilien zu Lukas in der Übersetzung des Hieronymus
und die griechischen Reste der Homilien und des Lukas-Kommentars, hrsg.
und in 2. Aufl. neu bearbeitet v. M. Rauer (GCS 49), Berlin 1959.
Origenes Werke X. Origenes Matthäuserklärung I , Die griechisch erhaltenen To-
moi, hrsg. v. E. Klostermann, E. Benz (GCS 40/1), Leipzig 1935; (GCS 40/2),
Leipzig 1937.
Origenes Werke XI. Origenes Matthäuserklärung II, Die lateinische Übersetzung
der Commentariorum Series, hrsg. v. E. Klostermann, E. Benz (GCS 38),
Leipzig 1933; 2. bearb. Aufl. v. U. Treu (GCS 38), Berlin 1976.
Origenes Werke XII/1. Origenes Matthäuserklärung III, Fragmente und Indices,
hrsg. v. E. Klostermann, E. Benz (GCS 41/1), Leipzig 1941.
Origenes Werke XII/2. Origenes Matthäuserklärung III, Fragmente und Indices,
hrsg. v. E. Klostermann, L. Früchtel (GCS 41/2), Berlin 1968.

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Origene II), Roma 2005.
Origène. Homélies sur le Lévitique, I-II, texte latin, intr., tr. et notes par M. Bor-
ret (SC 286-287), Paris 1981.
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d’après l’édition d’A. Méhat et les notes de M. Borret† (SC 415, 442, 461),
Paris 1996, 1999, 2001.
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Paris 1960.
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notes par P. Messié, L. Neyrand, M. Borret (SC 389), Paris 1993.
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(SC 328), Paris 1986.
Origenes. Die Homilien zum Buch Jesaja. Im Anhang: Fragmente und Zeugnisse
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genes über die Vision Jesajas, eing. u. übers. v. A. Fürst u. Ch. Hengster-
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de Suzanne, intr., texte, tr. et notes par M. Harl et N. de Lange (SC 302), Pa-
ris 1983.
Origène. Philocalie 21-27: Sur le libre arbitre, intr., texte, tr. et notes par É. Ju-
nod (SC 226), Paris 1976.
Entretien d’Origène avec Héraclide, intr., texte, tr. et notes de J. Scherer (SC 67),
Paris 1960.
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Amacker et É. Junod (SC 464), Paris 2002.

1.3. Traduzioni

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Origene. Esortazione al Martirio, intr., tr., note di C. Noce, Roma 1985.
Origene. Omelie su Geremia, intr., tr. e note di L. Mortari, Roma 1995.
Origene. Omelie su Isaia, tr., intr. e note a cura di M.I. Danieli, Roma 1996.
Origene. Omelie sul Levitico, tr., intr. e note a cura di M.I. Danieli, Roma 1985.
Origene. Omelie su Giosuè, a cura di R. Scognamiglio e M.I. Danieli, Roma 1993.
Origene-Gerolamo. 74 Omelie sul libro dei Salmi, intr., tr. e note di G. Coppa,
Milano 1993.
Origenes. In Lucam homiliae, Homilien zum Lukasevangelium, übers. u. eing. v.
H.-J. Sieben (Fontes Christiani, 4/1-2), Freiburg i.Br. 1991-1992.
Origene. Sulla Pasqua. Il papiro di Tura, intr., tr. e note di G. Sgherri, Milano
1989.
Origene. Commento a Matteo/2 (Libri XIII-XV), note a cura di M.I. Danieli, tr. di
R. Scognamiglio, Roma 1999.
Origene. Commento a Matteo/3 (Libri XVI-XVII), note a cura di M.I. Danieli, tr. di
R. Scognamiglio, Roma 2001.
Origenes. Der Kommentar zum Evangelium nach Matthäus, übers. v. H.J. Vogt,
I -III, Stuttgart 1983, 1990, 1993.
Origene. Commento al Vangelo di Giovanni, a cura di E. Corsini, Torino 1968.
Origene. Commento alla Lettera ai Romani, a cura di F. Cocchini, I. Libri I-VI,
Casale Monferratoto 1985; II . Libri VII-X, Genova 1986.

2. Opere di altri autori antichi

Alexandre d’Aphrodise. Traité du destin, texte établi et tr. par P. Thillet, Paris
1984.
Aphraatis sapientis Persae Demonstrationes, ed. J. Parisot, PS I-II , Paris 1894.
Aphraate le sage persan, Les Exposés, I/2, tr. par M.-J. Pierre (SC 349, 359), Pa-
ris 1988.
(Afraate) Le «Dimostrazioni» del «Sapiente Persiano», a cura di F. Pericoli Ri-
dolfini, Roma 2007.
Aristide. Apologia, a cura di C. Alpigiano (Biblioteca Patristica, 11), Firenze 1988.
Aristotele. I frammenti dei dialoghi, a cura di R. Laurenti, II, Napoli 1987, pp.
696-740.
Athénagore. Supplique au sujet des Chrétiens, ed. B. Pouderon (SC 379), Paris
1992.
S. Agostino. Confessioni. Testo criticamente riveduto a cura di M. Simonetti, I-V,
Milano 1992-1997.
Bibliografia 665
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Turnholti 1970.
S. Aurelii Augustini. De Sermone Domini in Monte, ed. A. Mutzenbecher (CCL
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S. Aurelii Augustini. Enarrationes in Psalmos I-L, ed. E. Dekkers, I. Fraipont
(CCL XXXVIII), Turnholti 1990.
S. Aurelii Augustini. Enarrationes in Psalmos LI-C, ed. E. Dekkers, I. Fraipont
(CCL XXXVIII), Turnholti 1990.
S. Aurelii Augustini. Enchiridion ad Laurentium de fide, spe et caritate, ed. E.
Evans (CCL XLVI), Turnholti 1969.
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S. Aurelii Augustini. Epistulae CLXXXV- CCLXX, ed. A. Goldbacher (CSEL 57),
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S. Aurelii Augustini. Tractatus in Epistulam Iohannis ad Parthos, Texte latin des
Mauristes, intr., tr. et notes par P. Agaësse (SC 75), Paris 1994.
S. Agostino d’Ippona. La preghiera. Epistola 130 a Proba, a cura di A. Cacciari,
Milano 1981.
La chaîne palestinienne sur le Psaume 118, par M. Harl et G. Dorival (SC 189-
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Die «Wahre Lehre» des Kelsos, übers. u. erkl. v. H.E. Lona, Freiburg-Basel-Wien
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la collaboration de A. Plassart (SC 2bis), Paris 20042.
Clément d’Alexandrie. Les Stromates, Stromate VI, intr., texte crit., tr. et notes par
P. Descourtieux (SC 446), Paris 1999.
Clément d’Alexandrie. Les Stromates, Stromate VII, a cura di A. Le Boulluec (SC
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Clemente Alessandrino. Stromati. Note di vera filosofia, intr. di M. Rizzi, tr. e no-
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Cyprianus, De dominica oratione, ed. C. Moreschini (CCL IIIA/2), Turnholti
1976, 87-137.
Sancti Cypriani Ep. Epistularium, ed. G.F. Diercks (CCL, IIIB-C), Turnholti
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Eusèbe de Césarée. Questions évangéliques, intr., texte critique, tr. et notes par
C. Zamagni (SC 523), Paris 2008.
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Exegese, in «Adamantius» 14(2008), pp. 130-150.
Vincent = M. Vincent, Saint Augustin maitre de prière d’après les Enarrationes
in Psalmos, Paris 1990.
Völker = W. Völker, Das Vollkommenheitsideal des Origenes. Eine Untersu-
chung zur Geschichte der Frömmigkeit und zu den Anfängen christlicher
Mystik, Tübingen 1931.
Völker 1952 = W. Völker, Der wahre Gnostiker nach Clemens Alexandrinus,
Berlin 1952.
Vogt = H.J. Vogt, Wie Origenes in seinem Matthäus-Kommentar Fragen offen
läßt, in Orig. II, 191-198.
688 Bibliografia
Vogt 1999a = H.J. Vogt, Origenes als Exeget, hrsg. v. W. Geerlings, Paderborn-
München-Wien-Zürich 1999.
Vogt 1999b = H.J. Vogt, Ein-Geist-Sein (1 Cor 6, 17b) in der Christologie des
Origenes, in Vogt 1999a, 207-223.
Volp = U. Volp, Origen’s Anthropology and Christian Ritual, in Orig. IX, 493-
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Wallraff = M. Wallraff, Die Ursprünge der christlichen Gebetsostung, in «Zeit-


schrift für Kirchengeschichte» 111(2000), pp. 169-184.
Wallraff 2001 = M. Wallraff, Christus Verus Sol. Sonnenverehrung und Chris-
tentum in der Spätantike, Münster 2001.
Walther = G. Walther, Untersuchungen zur Geschichte der griechischen Vaterun-
ser-Exegese, Leipzig 1914.
Wilken = R.L. Wilken, The Land Called Holy. Palestine in Christian History and
Thought, New Haven-London 1992.
INDICI

a cura di Paolo Bernardini


INDICE DEI LUOGHI SCRITTURISTICI

1. ANTICO TESTAMENTO 3, 3 159n


3, 5 175n, 355n
Genesi 3, 14 214 e n
1, 1 213n 3, 15 214n
1, 3 19n 3, 18 161n
1, 14 103 5, 1 172n
1, 27 193n 5, 7 309n
2, 7 19n 5, 36 172n
2, 9 224n 6, 24 490n
2, 22 19 e n 7-9 19n
3, 8 213n 9, 33 19
3, 8-9 19 13, 21 288
3, 22 204n, 224 14 556n
4, 4 556n 14, 14 273, 274 e n, 392n, 453
4, 14 405 e n, 471 e n
4, 23-24 331 14, 15 150n, 183n, 471, 472n,
6, 1-2 66n 473
6, 3 391n 15 425
8, 20-22 556n 15, 1 141n, 425n
11, 4 266 15, 1-19 141n
18 225n, 556n 15, 10 425n
18, 2-6 225 15, 16 167n
18, 11 42n 16, 4 225n
18, 24 492n 17, 8-13 451n
18, 26 492n 17, 8-16 144, 273, 392, 432, 437
19, 37 227n e n, 451 e n
19, 37-38 227n 17, 9-11 451n
24, 26 169n 17, 10-13 451n
25, 23 104-105, 117n 17, 11 166, 301, 367n, 434n,
27, 28 149n 439, 451-453, 591n
48, 16 181n 17, 11-13 451n
19, 15 495
Esodo 19, 19 394n
1, 22 177n 20, 7 214, 215n
2, 23 309n, 457n 20, 24 363, 470
2, 23-24 309 26, 7 649
2, 24 309n 27, 1 363, 470
3, 2 556n 29, 41 441n
692 Indice dei luoghi scritturistici
30, 7 LXX 440 e n 23, 7a LXX 262
30, 10 397 23, 7-10 262
30, 34-37 534 e n, 571 23, 10 262, 376
30, 37 440n 23, 10a 262n, 263n
31, 11 440n 31, 5 393n
31, 32 574 31, 8 263
32, 11 128 e n 31, 49-50 434n
32, 32 321
35, 19 440n Deuteronomio
35, 28 441n 4, 27 482n
38, 25 440n 6, 13 401n
39, 15 440n 9, 18 128 e n
40, 27 441n 13, 3 628n
16, 16 205n, 229n
Levitico 17, 3 257n
1, 1-9 416 18, 20 257n
1, 3 5n 23, 1-8 204n
5 416 30, 14 216n
7, 24 416n 31, 30 141n
9, 7 385n 32 141n
9, 22 432n 32, 1-43 141n
10, 2 556n 32, 2-3 215n
10, 9 396n 32, 6 209n
11, 25 397 32, 9 482n
16 397 32, 14 213n
16, 3 25 32, 18 209n
16, 12 362n, 439, 440 e n, 534 32, 20 209n
e n, 571 32, 21 141n
16, 12 LXX 440 e n Giosuè
16, 14 176n 4 556n
24, 1 416n 5, 3 379n
24, 4 416n 6, 5 491
24, 5 416n 6, 16 491
24, 5-9 397 6, 20 491
24, 7 362n, 397n 8, 30 364
9, 2 LXX 364
Numeri 10, 12 131 e n, 556n
11 237 e n 10, 12-17 395n
12, 3 574 10, 40 655n
12, 13 394 e n 12 556n
16 490 22, 16 227n
16, 1-33 490n 22, 18 227n
16, 22 394 22, 19 227n
16, 35 556n
18, 20 385n Giudici
21, 16-18 141b 5 141n
22, 4 399 e n 16, 30 131 e n
Indice dei luoghi scritturistici 693
1 Regni (1 Samuele) 4 Regni (2 Re)
1 143n 1, 10 556n
1, 1 130n 1, 9-15 560n
1-2 556n 4, 8-17 143n
1, 9-11 130n 19, 35 591n
1, 9-13 143 20, 5-6 591n
1, 10 130 e n 21, 24 120n
1, 10-11 129 e n, 130 22 106
1, 11 130 e n 22, 2 120n
1, 12 130n 23, 4-25 120n
1, 13 145n
2 143n 1 Cronache
2, 1 143n, 388 16, 8-9 141n
2, 1a 388n
2, 1b 388n 2 Cronache
2, 1c 388n 32, 25 143n
2, 1d-e 388n
2, 1e 388 e n 1 Esdra (LXX )
2, 1-10 129n, 130n, 141n, 143, 4 417
365, 388 4, 59-60 417n, 433n
2, 2b 389n
2, 2c 388 e n, 389n Tobia
2, 3 389 e n 3, 1 129n
2, 25 133n 3, 1-2 129 e n, 144
12, 16-17 456n 3, 2-6 179n
12, 16-18 144 3, 7 179n
15, 9-11 57n 3, 7-17 179n
21, 4 495 3, 10 179n
28 246n 3, 11 175n
3, 16 179n
2 Regni (2 Samuele) 3, 16 (S) 179n
7, 18 632n 3, 16-17 179n
22, 1-3 141n 12, 8 126n
12, 12 126n, 179n, 522n, 618
3 Regni (1 Re) 12, 15 126n, 179n
10, 1-5 309
10, 5 309 e n Giuditta
10, 10 309n 9, 1 169n
12, 24d LXX 542n 13, 4-5 143
13 106
17-18 144 Ester
17, 1 556n, 560n 2, 15 143n
17, 17-24 560n 2, 17 143n
18, 19-50 560n 4, 17 a-i LXX 128n
18, 36-38 560n 4, 17 a k LXX 128 e n
18, 38 556n 4, 17 a-z LXX 143
18, 42-45 560n, 632n 4, 17 l-z 128n
694 Indice dei luoghi scritturistici
2 Maccabei 21(22), 16 65n
6, 30 260n 21(22), 23 140 e n, 293
6, 30-31 259 24(25), 1 160, 189 e n, 190, 193n,
7, 1-6 257n 454 e n, 455, 458
7, 6 257n 24(25), 1-2 454n
15, 14 185, 310n 25(26), 4 180n
26(27), 1 319
3 Maccabei (LXX) 26(27), 1-3 254, 255n
3, 21 500 26(27), 4 613
27(28) 33, 436, 452
4 Maccabei (LXX) 27(28), 1 474 e n, 475n
2, 15 202n 27(28), 2 165
8, 19 202n 29(30), 1 141n, 215n
29(30), 2 215n
Giobbe 30(31), 6 347
2, 10 235n 31(32), 5 407, 408n, 409n, 507n
3, 8 148n, 149n 32(33), 17 147n
7, 1 234 e n, 235n 33(34), 4 174n, 215 e n
7, 1 LXX 234n 33(34), 8 180n, 181n, 188n
14, 4 65n 33(34), 16 388n
20, 6 451n 34(35), 10 506n
22, 29 405n 34(35), 13 630n, 631n
38, 41 312n 36(37), 30 304n
37(38) 368
Salmi 37(38), 2 651n
1, 2 304n, 385n, 444, 648 37(38), 2-3 383n
2, 2 343n 37(38), 4-7 320n
2, 8 482n 37(38), 6 367n
3, 2 447 37(38), 14-15 255
3, 5 472n 38(39), 2 231n, 255
4, 4 473 38(39), 13 403n
4, 5 630n 39(40), 3 401n
4, 7 189n, 191, 192n, 386n, 40(41), 10 107n
398n 41(42) 255
5, 3 196n 41(42), 1 490n
5, 4 126n 41(42), 2 490n
6, 7 403n, 408n, 409n, 498 41(42), 2-7 255n
e n, 507n, 632n 41(42), 4 408n, 409n, 507n
15(16), 10 347 41(42), 6 255n
16(17), 1 125n 43(44) 256
16(17), 6 473n 43(44), 2 490n
17(18), 3 141n 43(44)14-15, 256
17(18), 7 175n 43(44), 14-17 256
17(18), 30 234n, 507n 43(44), 18-19 256
19(20), 8 147n 43(44), 19 256
21(22), 2 601n 43(44), 20 256
21(22), 8 256 43(44), 21-22 256
Indice dei luoghi scritturistici 695
43(44), 22 257 e n 90(91), 5-6 417n
43(44), 23 257n 90(91), 12 417n
43(44), 26 64 e n, 65n 90(91), 13 148n, 417
44(45), 1 141n 93(94), 10 314 e n
44(45), 17 215n 94(95), 6 169n
49(50), 1 291n 94(95), 8 227n
49(50), 14 391n, 445n, 497n 95(96), 1-13 141n
50(51) 157n, 405n 95(96), 5 478n
50(51), 6 405n 98(99), 6-7 327
50(51), 10 268, 269n 98(99), 16 144n
50(51), 12 182n 100(101), 8 247n
50(51), 13 182n 101(102), 1 125n, 409n
50(51), 14 182n 102(103), 1 507n
50(51), 19 409 e n 102, 8 396n
53(54), 7 267n 103(104), 24 58
53(54), 8 267n 104(105), 1-15 141n
54(55), 7 507n 104(105), 37 419n
54(55), 13a-b 107n 106(107), 20 222n
54(55), 14 107n 108(109) 107n, 449n, 450
54(55), 17 197n 108(109), 1 120n
57(58), 4 104, 105 e n 108(109), 1-2 450n
57(58), 4a 104n 108(109), 1-8 450n
57(58), 4-6 104n 108(109), 7 107 e n, 126n, 156n,
57(58), 5 104 356-366, 367 e n, 386
62(63) 613 e n, 440, 442, 449-451,
62(63), 7 498 614n
62(63), 9 507n 108(109), 8 449n
65(66), 14 445n, 497n 108(109), 12 107
67(68), 12 303n, 414n 108(109), 16-17 107
67(68), 27 652 114(115), 8-9 612n
68(69), 7 549n 115(116), 2 204n
69(70), 2 607 e n 115(116), 3-4 258n
72(73), 8 232n 115(116), 3-6 6n
73(74), 19 148 e n, 386n, 402n, 117(118), 14 260n
507n 118(119), 18 267, 268 e n, 373n,
76(77), 2 150n 381n, 455
77(78), 2 268n 118(119), 62 197n
77(78), 25 224 118(119), 105 247n
78(79), 8 404n, 407 e n, 507n 118(119), 164 536
78(79), 11 259 120(121), 1 455 e n
81(82), 6 204n 120(121), 4 344
81(82), 7 203n, 204n 122(123) 141n
85(86) 455n 122(123), 1 141n, 160 e n, 189 e n,
85(86), 4 455 e n 190n, 300n, 454-458
89(90) 104 e n 123(124), 1-3 507n
89(90), 1 125n 123(124), 7-8 319n, 507n
89(90), 1-2 104 e n 128(129), 5 388n
696 Indice dei luoghi scritturistici
129(130), 1 507n 2, 6 477n
138(139), 6 LXX 51 e n 2, 9 236
140(141), 1-2 497n 2, 9-10 236n
140(141), 2 6n, 156 e n, 165, 173n, 2, 10 236
196n, 197n, 301 e n, 2, 14 302
362 e n, 366 e n, 367 2, 15 302
e n, 386n, 391 e n, 430, 4, 1 457n
431n, 432, 438-441, 5, 2 551 e n
445, 452, 453 e n, 527 5, 3 652, 653n
n, 541n, 544, 571 5, 6d-e 311n
140(141), 2a 439, 442-443 5, 11b-12 312n
140(141), 2b 431n, 438-439, 441 5, 13a 6n
141(142), 3 403n 8, 4 310n, 399n
142(143), 8 455 e n 8, 5 311, 438n
144(145), 15 339n 8, 9 63n
148, 3 121n
Sapienza
Proverbi 1, 4 431n
1, 6 314 e n 1, 7 183n
1, 24 304n 3, 6 420n
1, 28 326 6, 6 231n
3, 18 224 7, 20 304n
7, 1a LXX 257n 7, 25 192n
15, 17 224n 7, 26 479n
18, 19 LXX 491n 9, 13 58
19, 14 498n 9, 13-16 64
24 504 9, 15 64, 66 e n, 271, 320
11, 24 101 e n, 102n
Ecclesiaste 11, 24-26 503n
3, 5b 498n 14, 14 202n
5, 1-2 581n
9, 17 172n Siracide
18, 6 56n
Cantico 50, 17 169n
1, 1 304n 32, 21 393n
1, 2 49, 306 e n, 307, 447n 42, 24 570n
1, 2-3 307 34, 11 604n
1, 4 308, 509
1, 4c 311n Isaia
1, 6a 309 1 562
1, 11 418 1, 2 209n, 621n
1, 11-12a 305 1, 11 258n
1, 12b 311 1, 12 180n
1, 14 234n 1, 13 367n, 442, 449n
1, 15 286, 457n 1, 15 166n, 180n, 653
2, 5 304n, 310n 1, 18-19 404
Indice dei luoghi scritturistici 697
5 141n Geremia
5, 1-9 141n 1, 9-10 266, 267n
6 456 1, 10 414
6, 1-3 653 3, 25 287n, 288n, 406, 407
6, 3 522n en
6, 5 297n, 410n, 653 5, 3 387n
6, 6 653 7, 21-22 158n
6, 6-7 653n 7, 22-23 158 e n, 500n
6, 10 422n 11, 11-12 361n
7, 9 336 13, 16 202n
7, 14-15 226n 13, 17 380n
11, 2-3 634n 15, 1 144n
12, 3 652 15, 10 LXX 230n
25, 8 147n 15, 15 387n
26, 9-20 141n 17, 14-16 387n
27, 12 187n 18, 15 391n, 440, 449n
28, 9-11 54n 20, 2 LXX 461
28, 12 561 20, 8 203n
37, 23 461 e n, 649 20, 9 408n
37, 24 461n 23, 24 183n, 184 e n
38 143, 591n 27, 17 402n
38, 10-20 141n 33, 3 119n
38, 19 143n 33, 18 414n
39, 7 143n 51, 21 LXX 442
40, 9 461n 51, 21-22 LXX 366
40, 26 300n, 455n
42, 10 366 Lamentazioni
43, 26 406n 1, 2 66n
44, 22 401n, 408n 1, 10 190n
45, 22 395n 1, 11 388n
45, 23 169 e n 1, 14 171n
48, 16 378n 1, 22 172n, 387n
52, 5 354 2, 19 165n
52, 7 453n, 653 3, 34-36 65n
53, 4 63n 3, 44 9n
56, 3-5 143n 3, 49 403n
56, 7 175n, 330, 338, 354,
444
58, 6 606n Baruch
58, 9 296 e n, 308n, 340n, 1, 11 356
366, 367n, 394 e n, 4, 36 176n
403n, 406 e n, 446-448,
545, 559 e n, 606 e n Ezechiele
65, 2 166 e n 13, 2 398n
65, 17 484n 16 420
65, 24 446n, 559 e n 16, 18 442 e n
66, 22 484n 16, 30-33 418
698 Indice dei luoghi scritturistici
Daniele 3, 1 126n, 141n
3 556n 3, 1 LXX 129n
3, 15-50 145n 3, 1-2 129 e n
3, 24 LXX 143, 395 3, 2 LXX 130n
3, 25 129 e n 3, 2-19 141n
3, 26-45 129n, 141n
3, 49-50 528n Zaccaria
3, 50 591n 3, 4 362n
3, 51 548 6, 12 176n
3, 52-88 141n 6, 12 LXX 176n
3, 86 323 7, 10 158 e n, 500 e n
6 556n
6, 11 144, 196n Malachia
6, 15-24 145n 1, 6 209n, 621n
6, 23 528n 1, 11 6n, 171 e n, 439n, 441,
7, 10 187n 442n
8, 16 556n 4, 2 176n
9, 5 Th 407 e n
9, 5-7 320n
9, 20-22 574n
13, 9 300 2. NUOVO TESTAMENTO
13, 35 300
13, 42 (= Sus 42) 100n, 544 Matteo
13, 42-43 300n 4, 9-10 272n
14, 33-39 528n 4, 10 401n
14, 33-42 145n 4, 11 186 e n, 187n
4, 17 216n
Osea 5, 1-2 200n
10, 12 187 e n 5, 8 269, 337
14, 10 62, 125n 5, 18 337n
5, 23 499 e n, 500n, 571,
Gioele 579 e n
2, 32 617n 5, 23-24 6, 33, 158n, 524, 549,
3, 5 187n, 326 560, 598
5, 28 653
Amos 5, 43-45 500, 501n
8, 11 224 5, 44 293n, 360n, 394, 434 e
n, 499-505
Giona 5, 44-45 293, 502n
2 144, 556n, 591n 5, 45 211 e n, 501 e n, 502n
2, 1 148n, 149n 6, 1 177n, 309, 310n
2, 1-2 147n 6, 1-2 202
2, 2-4 129 e n, 347n 6, 1-6 509n
2, 3-10 141n 6, 3 177n
6, 3-4 181n
Abacuc 6, 3-6 509n
1, 2-3 473n 6, 4 202, 309, 310n
Indice dei luoghi scritturistici 699
6, 5 177n, 181, 201, 202 e 6, 20 21n, 219n
n, 203-205, 509n, 544, 6, 21 21n
578 e n 6, 33 523n, 524n, 624n
6, 5-6 181n, 509n, 578n 7, 7 8n, 542n
6, 5-8 177, 198 e n, 199, 201 7, 7 ss. 289, 339
e n, 508-510, 514, 521, 7, 7-8 170n, 174n, 352, 524
578, 610n, 615 e n, 630 7, 13 203n
6, 5-9 509n 7, 13-14 203
6, 5-13 72 7, 14 203n
6, 6 68, 159, 177n, 181 e n, 7, 25 s. 420n
182n, 205, 276, 308 e n, 10, 29 443n
363 e n, 470, 473, 474 10, 30 188n
e n, 475, 509 e n, 510 e 10, 32 318
n, 545 e n, 550, 558 e 10, 37 257n, 502n
n, 560, 578n, 598 e n, 10, 39 257n
612n, 617, 624 e n, 630 11, 25 131
e n, 641 e n 11, 29 170n
6, 7 152, 154n, 201, 203, 12, 29 452n
206 e n, 544, 578, 579 e 12, 40 149n
n, 591, 597n, 598n, 615, 12, 46-50 218n
618 13, 36-22, 33 329n
6, 7-8 514n 13, 47 186n
6, 8 77n, 101 e n, 207 e n, 13, 52 216n
522, 544, 559 e n, 577, 14, 15-21 340
615 e n, 617, 639n 14, 22-23 340
6, 9 197, 198n, 208, 209n, 14, 30 340n
210n, 213n, 252 e n, 15, 19 653
583 16, 6 350
6, 9a 212 17, 1-2 341
6, 9b 212, 214 17, 15 133 e n
6, 9c 207n 17, 19 606
6, 9-10 444n, 576 e n 17, 20 402n
6, 9-11 199 18, 7 341
6, 9-13 508 18, 10 180n, 188n
6, 10 207, 326, 479n, 575, 18, 19 174 e n, 273-274, 350
577 e n, 356n, 365n, 453,
6, 10a 215 e n, 219n 488-492, 498, 549n,
6, 10b 207n, 218 606
6, 10c 207n 18, 19-20 351, 488n, 498-499
6, 11 199, 220n, 227 e n 18, 20 184n, 185n, 351, 488,
6, 12 153n, 229, 523n, 540n 489 e n, 559
6, 12b 230n 18, 21-22 331
6, 13 237n 18, 21-35 331
6, 13a 201n, 234 18, 23-25 233
6, 13b 201n, 220, 234, 238 18, 23-35 500n, 560, 574n, 579
6, 14 626n 18, 35 153n
6, 14-15 233n, 626 e n, 627n 19, 10-11 352
700 Indice dei luoghi scritturistici
19, 11 55n, 174n, 352n 27, 15 356n
19, 12 445 27, 45 346n
19, 13-15 186n, 342 27, 46 346, 471
19, 16-30 202n, 358n 27, 50 346, 347, 471
19, 21 353, 501n 27, 51 491n
19, 27-29 259 27, 54 348
19, 29 259n 27, 55-56 346
20, 1-16 334 27, 63 329n
20, 22 342 28, 15 227n
20, 22-23 342 28, 18 219
20, 28 187n 28, 20 184n, 345n
20, 29-34 335
20, 30 337 Marco
21, 1-5 338 1, 35 476, 477n
21, 13 338, 444 4, 20 par. 378n
21, 17-22 352 4, 34 332n, 333n
21, 19-20 111n 5, 40 343
21, 22 352-353 9, 2 341, 479n
21, 33-46 338 9, 4 394
22, 1-14 339n 9, 29 401n
22, 23-33 339n 10, 30 259n
23, 1 ss. 181n 11, 13 232n, 353n
23, 2 648 11, 13-14 353
23, 23 202n 11, 24 352, 606
24, 1-2 354n 11, 25 158 e n, 499 e n, 500n
24, 20 455n 11, 25-26 549
25, 10 338 12, 30 174n
25, 18 387n 14, 35-36 269
25, 29 308 e n, 357 14, 36 255, 342
25, 35 226n 14, 38 400 e n
25, 35-36 561 15, 37 348
25, 35-40 186 15, 39 348
26, 6-13 357
26, 29 396 e n Luca
26, 31 340n 1, 3 419n
26, 33 340n 1, 4 419n
26, 36 168n 1, 13 128 e n
26, 37 343n 1, 46 161
26, 37-38 269 1, 46-55 141n
26, 39 170n, 269, 270, 271n, 1, 68-79 141n
301n, 344 e n, 470, 577, 2, 13-14 428n
601n, 607, 633 e n 2, 14 428n
26, 39a 254 2, 29-32 141n
26, 41 63 e n, 236 e n, 345, 2, 37 357n
368n 3, 1-4 417
26, 42 577 4, 20 398n
26, 44 346 e n 6, 12 477 e n, 552, 553n, 618n
Indice dei luoghi scritturistici 701
6, 21 66n 17, 10 358n
6, 27 502 e n 17, 18 428n
6, 28 499n, 501 e n 17, 20 216n
6, 28-29 501n 17, 21 216 e n
7, 37 7n, 72n 18, 1 185n, 352, 443n, 445,
8, 41 377n 446n, 465 e n, 563, 614
8, 55 297n 18, 1-8 551
9, 29 341 18, 2-6 578
9, 38 133 e n 18, 9-14 150n, 156
10, 18 418n 18, 10 579n
10, 19 148n 18, 10-14 551
10, 21 131 18, 13 165n, 294, 298, 301,
10, 40 187n 458, 632n
11 72 19, 12-27 650
11, 1 61-62, 72n, 134, 135n, 19, 20 387n
200n, 359, 476 22, 27 187
11, 2 35n, 72n, 208, 210 e n, 22, 40 236 e n
293, 444n, 479n, 575, 22, 41-45 269
588n 22, 42 255
11, 2c 215 e n 22, 44 604n, 618n
11, 2-4 199, 508 23, 34 614n
11, 3 199, 220n, 227 e n, 23, 43 227n
229n 23, 46 347
11, 4 153n, 229, 237n, 523n, 24, 32 408, 418 e n, 650 e n
540n 24, 42 226n
11, 4c 234
11, 5 ss. 359n Giovanni
11, 5-13 360, 615 1, 1 191n, 192n, 283
11, 8 352, 606 1, 2 216n
11, 9 8n, 34n, 360n 1, 9 314 e n
11, 9-10 360, 524 1, 10 184n
11, 10 360n 1, 12 621n
12, 6 443n 1, 13 210n
12, 7 188n 1, 16 56n
12, 22 624 e n 1, 18 380n
12, 31 523n 1, 23 301n
12, 34 219n 1, 26-27 184n
12, 58 239n 1, 29 284
13, 1 126n 1, 51 180n, 187 e n
13, 25 338 2, 12-22 97n
13, 27 338 2, 21-22 286
14, 26 502n 2, 23 203n
14, 33 409 3, 3 210n, 501n, 503
15, 7 179n, 185 3, 5 210n
15, 22 425n 4, 7 226n
16, 9 413n 4, 14 239
16, 25 203 4, 15 289
702 Indice dei luoghi scritturistici
4, 23 319, 520n, 546 e n, 572, 11, 52 187n
576n 12, 26 484n
4, 23-24 290 e n, 520, 545n, 576 12, 28 547n
en 12, 50 478n
4, 31 225n 13, 1 213n
4, 34 218n 13, 3 213n
4, 35 300n, 455n, 456 e n 13, 4 652
4, 35-36 456n 13, 4-12 651
4, 46-53 301n 13, 5 652, 654
5, 23 138 e n, 327 e n 13, 8 654
5, 39 316n 13, 10 654
5, 43 547n 13, 13-14 652
5, 44 202 e n 13, 16-18 107n
6 221, 222n 13, 21 302
6, 26 221n 13, 25 567n, 568n
6, 27 222n 13, 27 301n
6, 28 222n 13, 31-32 289
6, 29 222n 14, 6 270
6, 32 221 14, 10 630n
6, 32-33 222n 14, 16 139n, 185n
6, 33 397n 14, 16-17 464n
6, 51 223, 318, 422n 14, 23 182 e n, 213n, 216 e n,
6, 53-57 222n, 223n 226n, 412 e n, 413n,
6, 58 222n 424, 655, 656n
7, 37 472 14, 26 139n, 334
7, 38 239 14, 28 213n
7, 39 456n 15, 19 257n
8, 19 209 15, 26 139n
8, 21 55 16, 5 213n
8, 25 55 16, 7 139n
8, 36 647 e n 16, 23 296n
8, 37 55 e n 16, 23-24 139
8, 40 270 16, 24 524
8, 44 204n 17 252n, 290 e n, 341,
9, 24 428n 475-488, 544n, 547 e n,
9, 31 404 601-602
10, 16 414n, 484n 17, 1 476 e n
10, 18 349 17, 1-3 476n, 477 e n
10, 28-29 184n 17, 3 291 e n, 476n, 477, 478
10, 30 483n, 486n e n, 479n, 483
10, 36 477n 17, 4 480, 601n
11, 41 293-294, 296-297, 455, 17, 4-5 476n
457 17, 5 341n, 379n, 396, 476n,
11, 41-42 295 477, 479 e n, 480n
11, 42 297, 361, 446 e n, 477 17, 6 547n
en 17, 9 476n
11, 43-44 297 17, 10 476n, 477, 481 e n
Indice dei luoghi scritturistici 703
17, 11 476n, 480, 482 16, 25 197n
17, 12 476n 17, 28 183n, 184n
17, 13 476n 20, 36 632n
17, 14 477, 482
17, 16 476n Romani
17, 19 476n, 601n 1, 1 105
17, 19-20 476n 1, 7 433n
17, 20 476n, 482, 483n 1, 9 195n, 319, 446n
17, 20-21 476n, 484n 1, 9-10 320
17, 21 260 e n, 263n, 290n, 1, 20 117n, 277n
318 e n, 476n, 484n, 1, 22-28 236n
485n, 486n, 574n 1, 23 428n
17, 21-22 476n, 477, 482-485 1, 24 237n
17, 22 476n 1, 24-25 316n
17, 22-23 476n, 484n 1, 25 258n
17, 24 476n, 477, 484n, 486 e 1, 26 237n
n, 601n 1, 28 230n, 236, 237n
17, 25 476n, 487 e n 2, 28-29 181n
17, 26 486n 3, 25 397n
19, 30 347 4, 20 428n
20, 17 138n, 276n 5, 2 428n
21, 11 570 6, 5 210n
21, 25 55n 6, 5-7 65
6, 9 316
Atti degli Apostoli 6, 12 216n
1 461 7 405n
1, 13 460n, 461 7, 14 148n, 373, 374n, 419
1, 13-14 365n, 460 e n 7, 22 305n
1, 14 460n, 461, 489, 491n, 7, 24 65, 66 e n, 203n, 254n,
548 410 e n
1, 16-20 107, 449 7, 24-25 20n, 254n, 320n
1, 23-26 505n 7, 25 66 e n, 410 e n
2, 2 491n 8, 6 460n
2, 3 461n 8, 6-7 257n
2, 4 390n 8, 13 270n
2, 21 187n 8, 14 268n
3, 21 417 8, 15 209 e n, 210n, 328,
4, 32 351, 491n, 483, 488 414n, 504, 635 e n
7, 58 120 8, 16 323
7, 59 632n 8, 17 621n
7, 60 133n 8, 18 257n
10 461 8, 22 324
10, 1-15 459 e n 8, 23 621n
10, 4 459 e n 8, 26 8, 59 e n, 60-61, 63 e n,
10, 9 162n, 196n, 458-463 64, 72n, 75, 154n, 183n,
10, 11 459n 295, 324-325, 359, 364,
12, 23 428 365n, 465 e n, 467 e n,
704 Indice dei luoghi scritturistici
508n, 541, 545, 581n, 16, 27 428
584n, 605n, 606, 612,
619, 632 e n, 634n 1 Corinti
8, 26-27 7, 39n, 59n, 130, 183n, 1, 1 405
323, 326, 469-472, 475, 1, 2 310 e n, 327-328, 334
508-509, 529, 580, 581 1, 10 365n, 484n
n, 601 e n, 605, 609, 1, 30 59n
633, 639, 640 e n 2, 4 454n
8, 27 183n, 326n, 363, 467n, 2, 5 267n
508n 2, 6 205n
8, 28 238 2, 9 229n, 357n, 380n
8, 28-30 105 2, 10 332n, 335n, 508n
8, 29-30 106 e n 2, 11 58, 323, 332n
8, 33-34 107n 2, 12 286 e n, 380n
8, 35 318 2, 13 305n, 419 e n
9, 1-5 320 2, 15 218n, 338
9, 11 ss. 105 2, 16 56n, 58, 267n, 286 e n,
9, 11-12 104, 117n 332n, 334, 382, 412
10, 2 502n 3, 1 ss. 223n
10, 8 216n 3, 15 63n
10, 9-10 211n 3, 16 171n, 425n, 556n, 558n
10, 10 211, 351n 4, 5 170n
10, 12-13 187n, 326 4, 7 584n
10, 14 328 e n, 617n 4, 9 68, 231, 253
11 345 4, 12 501n
11, 21 415n 5, 3-5 184n
11, 24 415n 5, 4 178n, 181n
11, 25-26 321, 394n, 415n 5, 6 355n
11, 33 228n 5, 7 460n
11, 34 58 6, 3 483n
11, 36 426n 6, 13 381 e n
12, 1 497 e n, 515, 526 e n, 6, 17 189n, 218 e n, 317, 318
638n n, 415n, 426n
12, 15 396n 6, 13-14 424n, 494n
13, 5-6 437n 6, 19 425n
13, 7 230n 7 493n, 494 e n
13, 7-8 315n 7, 1 495
13, 14 318 7, 3 493n
14, 10 232n 7, 5 60, 125n, 126n, 152n,
14, 10-13 169 e n 153 e n, 173 e n, 174,
14, 11 428n 312, 350-351, 403n,
14, 22-23 107n 441, 445, 488, 492-499,
15, 5 489n 536 e n
15, 30 168n, 321 7, 5-6 493n
15, 30-32 321 7, 6 173n
16, 16 165n 7, 20 344
16, 20 401n 7, 21 493n, 496n
Indice dei luoghi scritturistici 705
7, 23 647 e n, 648 2, 2 299n
7, 25-28a 76n 2, 7-8 299n
7, 31 215n 2, 15 6n, 441n, 571 e n
8, 5-6 291 3, 3 63n, 333n
9, 13 258 3, 13-18 378n
9, 14 166n, 365n 3, 14 374n
9, 27 63n 3, 15 373 e n, 380n
10, 11 377n 3, 15-16 268 e n, 288n
10, 31 618n 3, 16 374n
11, 1 210n 3, 16-17 373
11, 4-5 60 3, 17 365n
11, 5-15 527n 3, 18 35, 189n, 191 e n, 213n,
11, 10 180n, 581n 373, 374n, 469
11, 25 397n 4, 3 336
11, 28 299 4, 6 268n
11, 30 63 4, 16 166n, 229n, 365n, 366n
12, 3 211 e n 4, 18 181n
12, 8 217n, 304n, 314 e n, 5, 4 64-65, 66n
333 e n, 338, 382n 5, 6 263n
12, 11 634n 5, 6-7 611n
12, 10 382n 5, 8 263n
12, 26 103n, 186 5, 10 232n
13 186 e n 6, 16 213n
13, 9 217n 7, 9 298
13, 9 ss. 217n 7, 9-10 299 e n
13, 10 217n 7, 10 299n
13, 12 423n, 636n 10, 3 296
13, 13 617n 10, 4-5 583n
14, 14 225n, 325n, 386n 10, 5 266, 267n
14, 14-15 326 e n, 467 e n 11, 28-29 186
14, 15 34 e n, 61, 252n, 326n, 12 63 e n
352, 363 e n, 386, 443n, 12, 2 59, 384n
466-475, 510 12, 2-4 59
14, 25 206n 12, 5 63n
15, 10 120n 12, 7 60, 120 e n, 235n, 324,
15, 20-23 53n 632
15, 24 215n, 218n 12, 7-9 437n
15, 25 479n 12, 8 324
15, 25-26 480n 12, 9 63n, 324, 633n
15, 28 217, 484n 13, 3 213n
15, 49 211 e n, 212, 219n 13, 4 63n
15, 50 219n
15, 53 318, 486 Galati
1, 4 216n
2 Corinti 1, 11 332n
1, 12 257n, 323n 1, 15 104, 120
1, 22 634n 1, 15-16 105
706 Indice dei luoghi scritturistici
2, 20 372n Colossesi
4, 2 426n 1, 13 396
4, 4-7 39n 1, 15 138n, 211 e n, 291n,
4, 6 64 e n, 183n, 472 e n, 479n
475 1, 19 287
4, 9 424n 2, 3 332n
4, 24 373 2, 8 99
5, 13 647 e n, 648 2, 14 232n
6, 8 203 3, 1 367n
6, 14 167n 3, 1-2 462 e n
3, 3 426n
3, 10 211n, 212
Efesini
4, 2 400n
1, 4 104n, 117, 120
4, 3 304n
1, 4-5 106 e n
1, 7-8 483
2, 7 228 1 Tessalonicesi
2, 14 183n 5, 16 232n
3, 1 655 e n 5, 16-18 443n
3, 14-15 169, 369n 5, 17 35, 173, 174n, 195 e
3, 15 259 n, 196n, 197n, 320 e n,
3, 20 229n 352, 354, 365 e n, 366
4, 13 426n, 484n, 534 e n n, 399n, 400 e n, 441,
4, 23 468n 443-446, 468n, 497n,
5, 16 401n 527, 537, 552, 565 e n,
5, 27 328, 438n 596, 597 e n, 612 e n,
6, 12 218, 219 e n 614n, 617, 618n, 639,
6, 15 652 643
6, 16 239, 401n 5, 18 445
6, 17 319 5, 23 351n, 418n
6, 18 254n, 259, 469 e n
6, 19 377n, 380n 2 Tessalonicesi
2, 16 255n
Filippesi
2, 1 426n 1 Timoteo
2, 3 202n, 364, 365n 1, 12 260n
2, 6-7 396 2, 1 17, 33, 126n, 127, 131n,
2, 8 170n, 344, 479n 132 e n, 137 e n, 138 e
2, 10 169, 369n n, 139, 327, 364n, 435
3, 13 217n e n, 436 e n, 437, 518n,
3, 14 55n, 217 562 e n, 572, 597-599,
3, 20 219n 641 e n
3, 21 64 e n, 65 e n, 211n, 2, 1(-2) 435-438
486n 2, 1-2 274, 435n, 518n
4, 6 602 2, 2 274n, 435 e n, 437 e n
4, 13 260n, 508n 2, 8 153 e n, 154n, 156n, 158
6, 7 633n e n, 159, 166, 171 e n,
Indice dei luoghi scritturistici 707
206n, 278, 295, 301 e 13, 15 362 e n
n, 306, 321, 322 e n, 13, 21 413
357, 362 e n, 366, 367n,
386 e n, 430-435, 438- Giacomo
439, 452, 453 e n, 499n, 4, 3 360
521n, 524 e n, 579, 597 1, 22 604n
e n, 598, 627n, 639 5, 9 397
2, 8-9 154, 165, 306 e n, 431 5, 14-15 409 e n
n, 435, 524
2, 8-10 60 e n, 431n, 435 1 Pietro
4, 4 432n 1, 9 468n
4, 4-5 432 1, 12 483n
4, 5 432n, 433n 1, 19 426n
2, 9 275
2 Timoteo 2, 12 428n
3, 4 204n 2, 22 348
4, 7 321 3, 3 524n
2, 22 355n 4, 11 411n, 413, 416n, 419,
3, 12 385n 421, 422n
1, 7 634n 5, 6 357

1 Giovanni
Tito 1, 3 426n
1, 14 175n 2, 1 139 e n, 185 e n, 464n,
3, 5 519n 466n, 547n
2, 1-2 252n, 395, 396n, 397 e
Ebrei n, 463n, 463-466, 547
2, 17 137n, 138n, 184n 2, 2 138n, 281n, 422n, 464
3, 14 45n n, 465
4, 12 319, 379n, 469n 3, 22 226n
4, 14 397, 533 3, 8 210n
4, 15 62n, 343n, 464n 3, 9 210 e n
5, 1 258 4, 7 303, 304n
5, 2 580n 5, 1 287n
5, 7 582n 5, 14 606 e n
6, 20 445n, 497n 5, 16 63n
8, 3 258
9, 8 253n Apocalisse
9, 14 5n 1, 6 419
9, 24 396 e n 3, 20 225, 226n, 656 e n
9, 26 228 5, 8 5n, 6n, 156n, 366, 367n,
9, 28 397, 464n 386 e n, 439-440, 441-
10, 1 227 443, 571-572
10, 4 258 6, 9 258
10, 12 258 8, 3 572 e n
11 140n 14, 3 141n
12, 23 328 20, 4 258
INDICE DEI LUOGHI ORIGENIANI

1. C OMMENTI E FRAMMENTI ESEGETICI Prol. 4, 30 304n


(ordine biblico) I 485
I , 1, 3 163n, 306n
Commento a Genesi (CGn) I , 1, 4 306n, 431n
— 18-19, 20 e n, 46, 100, I , 1, 7 307n
106-107, 116-117, 120, I , 1, 10 307n
213, 282 e n, 387, 646n I , 1, 14 307n
III 300n, 449 e n I , 2, 1-2 308n
III (Phil. 23, 1) 93n I , 2, 2 296n, 446n, 447n
III (Phil. 23, 2) 103n I , 2, 5 304n
III (Phil. 23, 4) 100n I , 4, 9 476n, 485n
III (Phil. 23, 8) 107n, 116n, 117n, 120n I , 4, 16 305n
III (Phil. 23, 10) 119n I , 5, 10 157n, 308n, 509n
III (Phil. 23, 16) 99n I , 6, 1 311n
III (Phil. 25, 4) 106n II, 1, 33 309n
IX 19n II, 1, 44 409n
X 19 II, 1, 49 309n
XI 19 II, 2, 19 309n
II, 8, 13 305n
Commento ai Salmi (CPs 1-25)
II, 8, 31 304n
— 46, 280n
II, 8, 40 182n
Prol. 646n
II, 9, 14 311n
Commento al Cantico (CCt) II, 11, 10 234n
— 38n, 41, 49, 162, 245n, III, 1, 12 464n
246n, 282, 302-312, III, 11, 19 182n
409, 434, 447, 509, 567 III, 12, 16 455n
Prol. 2, 3 303n III, 13, 3 304n
Prol. 2, 19 304n III, 13, 8 305n
Prol. 2, 27 182n III, 14, 2 433n
Prol. 2, 28 476n, 478n III, 14, 27-34 236
Prol. 2, 34 137n III, 3, 2 476n, 481 e n
Prol. 2, 35 137n III, 7, 13 502n
Prol. 2, 48 303n III, 7, 23 101n
Prol. 3, 12 304n III, 7, 30 185n, 310n
Prol. 4, 5-11 141n III, 8, 3 304n
Prol. 4, 7 304n III, 8, 8 310n
Prol. 4, 13 141n III, 9, 6 476n, 477n
Prol. 4, 14 141n IV, 2, 30 476n, 487n
710 Indice dei luoghi origeniani
Commento a Matteo (CMt) XIV, 4 352n, 488n
— 23, 24n, 156, 174, 236n, XIV, 5 331n
245n, 246 e n, 254, 271, XIV, 5-13 331
282-283, 285, 297-299, XIV, 6 233n, 332n, 333n, 500n
313, 315, 329-358, 359 XIV, 11 332n
n, 362e n, 367, 409, 439, XIV, 12 333n
444, 471, 477, 611, 645 XIV, 16-25 352
X, 3 433n XIV, 25 155n, 174n, 195n, 352n,
X, 7 473n 443n, 445, 499n
X, 12 186n XV , 5 143n, 352n
X, 14 216n XV , 6 186n
X, 15 222n, 433n XV , 6-9 310n, 342n
X, 23 171n XV , 9 342n
X, 24 63n, 159n XV , 10 358n
X, 25 433n XV , 17 354n
XI, 2 226n, 433n XV , 18 202n
XI, 4 218n XV , 23 341n, 480 e n
XI, 6 296n, 340n, 446n, 448 XV , 24 218n
XI, 14 222n, 433n XV , 27 328n, 334n
XI, 15 202n XV , 27-37 334
XI, 17 342n XV , 30 335n
XI, 29 433n XV , 31 227n, 228n, 335n
XII, 6 350n XV , 37 335n
XII, 9 329 XVI, 3 176n
XII, 14 233n XVI, 5 342n, 476n, 480n
XII, 15 98n XVI, 6 6n, 255n, 343n
XII, 23 98n XVI, 8 187n
XII, 39 21n, 341n, 476n, 479 e XVI, 9 336n
n XVI, 9-13 335
XIII, 1 101n XVI, 11 336n, 337n, 456n
XIII, 2 186n, 193n XVI, 12 337n
XIII, 3 342n XVI, 13 338n
XIII, 7 402n, 493n XVI, 16 337n
XIII, 20 341n, 476n, 480 e n XVI, 17 338n
XIII, 20-21 482 e n XVI, 20 338n
XIII, 21 476n XVI, 20-25 338
XIII, 25 454n XVI, 21 338n
XIII, 26-28 188n XVI, 22 172n, 196n, 197n, 354n,
XIII, 27 118n 355n, 443n, 444
XIII, 29 247n, 359n XVI, 26 111n, 114n, 352n
XIII, 30 233n XVI, 26-29 352
XIV, 1 350n, 351n, 488n, 489- XVI, 28 60n, 353n
490, 491n, 493n, 498n XVI, 29 204n, 232n, 353n
XIV, 1-4 488 XVII, 6 339n
XIV, 2 174n, 351n, 488n, 493n, XVII, 6-14 338
498 e n, 499n XVII, 10 357n
XIV, 3 351n, 488n XVII, 17 339n
Indice dei luoghi origeniani 711
XVII, 19 204n 136 144n, 346n
XVII, 32 339n 138 348n, 471n
XVII, 35 173n, 493n 139 298n, 491n
XVII, 36 209n 140 348 e n, 349n
141 346n
Commento a Matteo – Serie Latina
(CMtS) Commento a Giovanni (CIo)
— 329n, 349 — 20, 46, 54-55, 73, 76n,
2 209n 156, 183, 245n, 246,
10 181n, 509n, 510 282-303, 308, 316, 329,
11 509n 332, 338, 355, 367, 404,
12 205n, 210n 449, 477, 551
18 5n, 156n, 356n, 357n, I 54n, 222, 283n
390n, 509n I -II 59n
19 202n I , 1, 3 141n
20 168n I , 2, 9 54n
24 164n I , 2, 10 285n
27 356n, 449n, 451 I , 4, 24 286n
30 354n I , 4, 26 226n
37 144n, 354n I , 6-7 150n
38 339n I , 7, 38 56n
44 455n I , 9, 52-57 223n
45 476n I , 10, 62 56n
50 476n I , 15, 89 283n, 413n
60 197n I , 20, 124 56n
65 184n I , 21, 128 476n, 477n
69 172n, 357n, 431n I , 21, 131 222n
72 63n I , 22, 138 463n
73 210n I , 25, 166 56n
74 342n, 476n I , 26, 174 476n, 484 e n
77 357n I , 26, 177 66n
81 63n I , 28, 197 183n
88 340n I , 28, 200 137n
89 174n, 175n, 343n, 355n, I , 30, 207-208 222n
356n, 488n, 489 I , 33, 240 463n, 464 e n
89-95 255n, 343 I , 33, 241 463n
90 170n, 343n, 344n I , 34, 246 56n
91 168n, 170n, 344n I , 35, 255 463n, 464n
92 170n, 271n, 343n, 344n, I , 37, 267 463n
345n II, 2, 16 291n
93 236n, 345n II , 2, 17 291n, 476n, 478-479,
95 345n, 346n, 456 e n 483
104 107n, 449n, 450 e n II, 2, 18 192n
120 356n II, 3, 21 291n
121 460n II, 3, 22 56n
135 471n, 476n II, 18, 127 56n
135-140 346 e n II, 23, 149 136n
712 Indice dei luoghi origeniani
II, 34, 209 292n, 463n, 464 XIII, 21, 127 224n
V 485n XIII, 25, 153 192n
V, 1 230n XIII, 29, 173 230n
V, 2, 6-8 20n XIII, 32, 197-199 225n
VI 19, 283n, 288n, 471 XIII, 33, 210 224n
VI, 1, 1 20n XIII, 36, 228-231 218n
VI, 1, 18 106n XIII, 38, 249 255n, 301n
VI, 2, 7 284n XIII, 42, 274 455 e n, 456n
VI, 2, 10-11 284n XIII, 42, 274-278 300n
VI, 3, 15 56n XIII, 42, 278 456n
VI, 9, 55 290n XIII, 45, 298 202n
VI, 18, 98 56n XIII, 5, 27 55n, 56n
VI, 18, 100-101 472 e n XIII, 58, 403 185n
VI, 18, 101 301n XIII, 58, 403-404 301n
VI, 19, 105 56n XIII, 63, 455 290n
VI, 33, 166 413n XIX 292
VI, 36, 183 56n XIX, 4, 22 184n
VI, 42, 217 66n XIX, 4, 24-25 424n
VI, 42, 220 56n XIX, 4, 25 184n
VI, 43, 225 56n XIX, 5, 27-28 293n
VI, 44, 230 56n XIX, 5, 28 140n, 209 e n
VI, 51, 267 285n XIX, 10, 59 56n
VI, 55, 285 464n XIX, 10, 60 348n, 471 e n
VI, 59, 304 464n XIX, 11, 64 290n
VI, 59, 305 464n XIX, 12, 72 56n
X 97n XIX, 12, 78 216n
X, 1, 2 285n XIX, 16, 10 349n
X, 6, 26 56n XIX, 22, 148-149 476n, 487n
X, 8, 36 56n XX 283n, 502
X, 11, 60 290n XX , 1, 1 8n, 287n
X, 13, 76 5n XX , 4, 31 290n
X, 15, 85 56n, 285n XX , 6, 40 56n
X, 17, 100 223n XX , 13, 106-107 501n, 502n
X, 17, 101 299n XX , 17, 141 501n
X, 23, 131 285n XX , 17, 142 501n
X, 28, 172-173 286n, 457n XX , 17, 146 503n
X, 28, 173 473n XX , 17, 147 501n
X, 29, 179 56n XX , 17, 148 101n, 503n
X, 37 137n XX , 17, 149 501n
X, 37, 246 20n XX , 17, 149-151 502n
X, 39, 266 286n XX , 17, 151 294n, 504n
X, 41, 286 56n XX , 27, 242 204n
X, 44, 311 203n XX , 32, 285 287n
XIII 290n XX , 33, 290 294n, 501n, 502n
XIII, 1, 5 289n XX , 33, 292 294n, 501n, 502n, 503n
XIII, 14, 90 221n XX , 34, 309 502n, 503n
XIII, 18, 112 56n XX , 36, 333 233n
Indice dei luoghi origeniani 713
XX , 36, 337 202 e n XXXII , 27 35, 189, 191 e n
XX , 38, 351 327n XXXII , 27, 338-339 191n
XX , 38, 354 476n, 481 e n XXXII , 29, 366 290n
XX , 38, 356 476n XXXII , 29, 366-367 289n
XX , 41, 387 222n XXXII , 32, 396-397 227n
XX , 44, 415 6n
XX , 44, 422 290n Commento alla Lettera ai Romani
XXII 282n (CRm)
XXVIII 283n — 261n, 312-329, 334,
XXVIII, 1, 6 287n, 290n 477n, 478n, 489n, 508n
XXVIII, 4 457 I (Phil 25, 1) 105n
XXVIII, 4-5 9n I (Phil 25, 4) 105n
XXVIII, 4, 25 294n, 457n I , 1 Praef. 314n
XXVIII, 4, 26-27 299n I, 1 493n, 496n
XXVIII, 4, 31 300n, 456n I , 1, 24 118n
XXVIII, 4, 33 160n, 454n I, 2 214n
XXVIII, 5, 26 156n I , 2, 5 118n
XXVIII, 5, 34-35 301n I , 2, 7 118n
XXVIII, 5, 36 154n, 431n I, 3 101n
XXVIII, 5, 36-37 301n, 438n, 439,453 I, 5 105n, 476n, 481n
en I , 10 (8) 433n
XXVIII, 5, 37 451n I , 11 168n, 195n, 443n, 446
XXVIII, 6, 39 446n, 447 I , 12 319n
XXVIII, 6, 39-42 296n I , 13 320n
XXVIII, 6, 45 297n I , 14 496n, 497n
XXVIII, 6, 48 297n I , 15 320n
XXVIII, 7, 51 297n I , 21 316n
XXVIII, 7, 54 298n II, 5 464n, 466n, 476n, 478n
XXVIII, 7, 55-56 298n II, 6 (8) 476n
XXVIII, 15, 123-129 211n II, 8 314n
XXVIII, 21, 184 290n, 476n, 484 e n II, 9 323n
XXVIII, 26, 249 290n II, 10 (14) 5n
XXXII 283n, 379n, 450 II, 14 258n, 506n
XXXII , 2, 18 226n III, 1 94n, 476n, 478n
XXXII , 2, 5 247n, 359n III, 5 317n, 506n
XXXII , 1, 1-4 288n III, 7 506n
XXXII , 5, 59 204n III, 8 317n
XXXII , 7, 81 288n III, 9 299n
XXXII , 9, 100-101 653n IV, 1 230n, 506n
XXXII , 11, 128-130 211n IV, 5 143n, 318n
XXXII , 14, 156-168 107n IV, 9 318n, 476n, 485 e n
XXXII , 18, 224-225 302n IV, 11 506n
XXXII , 18, 233-234 204n V, 1 315n
XXXII , 19, 247-249 107n V, 3 215n
XXXII , 23, 295 255n, 301n V, 8 315n, 316n
XXXII , 24, 316 176n V, 9 65n, 315n, 476n, 485n
XXXII , 25, 325-326 218n V, 10 317n
714 Indice dei luoghi origeniani
VI, 1 161n, 167n, 431n, 432 Frammenti su Giosuè (FrIos)
en — 467n
VI, 4 432n
VI, 5 476n, 478n Frammenti sui Regni (FrRe)
VI, 8 315n — 57n
VI, 9 254n, 320n
VI, 13 383n, 476n, 481n Frammenti su Giobbe (FrIob)
VII, 1 476n, 487n — 509n
VII, 2 209n, 210n
VII, 3 476n, 481n Frammenti sui Salmi (FrPs)
VII , 4 63n, 65n, 319n, 464n, Praef. 506n
465n 1, 2 443n, 444 e n
VII, 5 315n 3, 3 446n, 448n
VII, 6 63n, 324n, 326n, 467n, 3, 4 144n
469 e n, 508 e n 3, 5 471n, 472 e n
VII, 6-7 508n 3, 6 164n
VII, 7 318n 3, 8 502n
VII, 7-8 106n 4, 2 446n, 448n
VII, 8 107n, 464n, 465n, 466n 4, 4 33n, 34n, 60n, 473 e n,
VII, 9-10 508n 509n
VII, 10 449n 4, 5 172n
VII, 11 319n, 450-451 4, 6 500n
VII, 13 138n, 321n 4, 9 474, 476n, 480 e n
VII, 16 315n 6, 7 493n, 498n
VII, 17 316n 12(13), 6 446n, 448n
VIII, 2 185n, 476n, 478n 16(17), 6 471n, 473n
VIII, 4 138n, 327n 17(18), 21 438n
VIII, 5 137-138, 327n, 328n, 24 502n
334n, 435 e n 27(28) 431n, 435n, 451n
VIII, 11 317n 27(28), 1 474 e n, 475n
VIII, 12 476n, 482n 27(28), 2 33n, 165n, 452n
IX, 1 497n 27(28), 6 436n, 599n
IX, 2 317n, 383n 29(30), 5 467n
IX, 9 493n 60(61), 3 413n
IX, 14 432n 62(63), 7 493n, 498n
IX, 29 435, 437 e n 118(119), 48 438n
IX, 30 315n 118(119), 64a 501n
IX, 41 169n, 476n, 481n 118(119), 98 502n
IX, 42 431n, 432 e n 118(119), 113b 502n
X, 3 433n 120(121) 455n
X, 5 107n, 319n, 449n, 451 129(130), 1 508n
e n, 507n 133(134), 2 431n, 438n
X, 7 460n, 488n, 489-490 140(141), 2 438n
X, 15 321n, 431n, 432 e n 141(142), 2 206n
X, 33 165n
X, 35 224n Frammenti sui Proverbi (FrPr)
XII, 39 476n 15 172n
Indice dei luoghi origeniani 715
26 391n Frammenti su Ezechiele (FrEz)
24 502n, 504n — 167n, 467n, 469n, 509n,
572n
Frammenti su Qoelet (FrQo)
— 493n, 498n Frammenti su Luca (FrLc)
— 72, 359
Frammenti sul Cantico dei Cantici 14 454n
(FrCt) 59 428n
2 307n, 371n 113 7n
21 310n 125 377n
33 6n 129 63n
45 311n 158 488n, 491 e n
47 312n 165 438n, 451n, 453n
48 6n 172 72n, 359n, 508 e n
75 310n, 399n 172-180 359
84 63n 173 359n, 360n
174 35n, 72n, 201n, 210n,
Frammenti su Geremia (FrIer) 234n, 360n, 501n, 502n,
4 158n 504n
7 361n 175 476n, 479 e n
11 438n 177 215n
15 467n, 469 e n 180 221n, 227n, 229n
17 184n, 386n 181 359n
18 184n 182-183 359n, 360n
28 402n 183 34n, 360
36 208n 257 166n, 432n, 434n, 451n
49 103n, 387n
58 406n Frammenti su Giovanni (FrIo)
68 154n, 156n, 296n, 367n, 13 217n
386n, 431 e n, 438n, 20 413n
440, 442 e n, 446 e n, 35 501n, 502n, 503n
449n, 450, 451n, 452 46 378n
70 299n 70 156n, 233n, 405n
71 9n 95 290n, 476n, 478n
114 509n
Frammenti sulle Lamentazioni 120 187n
(FrLam)
- 282n Frammenti sulla Lettera ai Romani
10 66n (FrRm)
27 190n — 493n, 496n, 497n, 508n
29 388n
31 171n Frammenti sulla I Lettera ai Corinti
43 172n, 387n (Fr1Cor)
49 5n — 313n
61 165n 1 405n
83 9n, 506n 1-2 310n
86 403n 2 405n
716 Indice dei luoghi origeniani
16 488n, 491 e n II, 6 378n, 416n, 412n, 425n
17 371n III 372n
24 181n, 406n III, 1 375n, 378n
26 501n III, 4 372n
29 424n, 493n, 494n, 495n III, 5 372n, 379n
32 413n, 424n III, 6 6n
33 63n, 493n, 495n IV 225n, 411n
34 173n, 174n, 222n, 413n, IV, 6 372n, 378n, 412n, 416n
493n, 495n, 496 e n V, 1 455n
35 496n VI, 1 43n, 373n
38 493n VII 372n
39 76n VII, 1 373n, 378n
49 53n VIII, 10 43n
61 467n IX, 1 374n, 381n
61-62 469n X, 1 195n, 196n, 203n, 400n,
62 467n 443n, 445
66 369n X, 2 443n
84 53n, 161n X, 3 226n
X, 5 248n
Frammenti sulla Lettera agli Efesini XI, 1 6n
(FrEph) XI, 2 195n, 438n, 446 e n
— 313n XI, 3 8n, 385n
I, 2 437n XII, 1 268n, 373n, 377n
I, 3 21n, 433n XIII 377n
I, 4 104n, 106n XIII, 1 377n
I, 8 102n XIII, 3 442n
I , 11 483 e n XIII, 4 232n, 401n
II, 32 168n XV , 7 425n
II, 43 467n, 468n XVI, 5 409n, 646n, 648n
III, 70 443n
III, 87 467n, 469 e n Omelie su Esodo (HEx)
— 425, 434
I, 1 380n
I, 5 257n, 401n
2. OMELIE II, 1 160n, 165n
(ordine biblico) II, 2 177n, 398n
II, 3 177n, 401n, 509n
Omelie su Genesi (HGn) II, 4 248n, 425n
— 37n, 411n III, 2 372n, 378n
I 411n, 425n III, 3 144n, 161n, 166n, 172n,
I, 2 213n, 239n 401n, 431n, 434n, 451n,
I , 13 213n, 476n, 484-485 452n
I , 15 193n III, 4 167n
I , 17 182n, 412n, 425n IV, 2 507n
II 411n, 425n IV, 9 425n
II, 2 373n V, 1 375n
II, 3 373n V, 3 203n, 234n
Indice dei luoghi origeniani 717
V, 4 183n, 363n, 472 e n, V, 3 405n, 651n
508n V, 4 372n, 507n
VI, 1 476n V, 7 391n
VI, 2 141n V, 8 467n
VI, 3 161n V, 9 449n
VI, 6 208n V, 12 416n, 426n
VI, 8 167n VI, 1 377n
VII, 1 167n VI, 6 144n, 385n, 392n, 398n,
VII, 5 225n 419n, 425n, 451n
VII, 8 225n VII, 1 180n, 248n, 372n, 385n,
VIII, 2 476n, 482 e n 398n, 462
IX, 2 375n VII, 2 139, 181n, 396n, 462,
IX, 4 190n, 391n 464n, 476n, 480 e n,
X, 4 165n 481n, 506n
XI, 3 451n, 452n, 471n VII, 3 461-462
XI, 4 144n, 166n, 195n, 399n, VII, 4 162n, 165n, 462n
431n, 434n, 438n, 443n, VII, 5 226n, 459n
446 e n, 451n, 452 VII, 7 426n
XI, 7 215n, 222n VIII, 3 149n
XII, 2 177n VIII, 11 425n
XII, 4 371n, 374n, 647n IX 362, 440n
XIII, 2 5n IX, 1 362n, 382n
XIII, 3 649n IX, 5 397n, 464n
XIII, 5 488n, 489n IX, 8 6n, 196n, 362n, 438n,
XIII, 7 441n 439, 440 e n
IX, 8-9 440
Omelie su Levitico (HLv) IX, 9 440n
— 249, 309, 362, 395, 398, IX, 10 176n
411n, 466 XI, 3 209n
I, 1 268n, 381n XII, 1 277n
I, 2 5n, 350n XII, 4 171n, 377n
I, 4 156n XIII, 1 382n
I, 5 416n, 426n XIII, 2 247n, 374n
II, 2 390n XIII, 3 397n
II, 4 233n, 409n XIII, 5 154n, 362n, 392n, 431n,
III, 5 5n 438n, 439
III, 6 376n XIII, 6 416n, 426n
III, 7-8 249n XIII, 12 176n
III, 8 383n XV , 3 413n
IV, 3-4 180n XVI, 4 208n
IV, 4 426n
IV, 5 133n Omelie su Numeri (HNm)
IV, 8 5n, 250n, 383n — 363, 398, 413, 470, 497
IV, 9 648n I, 2 451n
IV, 10 426n I, 3 646n
V, 1 372n, 377n II, 1 384n, 431n
V, 2 372n II, 1, 2 433n, 434 e n
718 Indice dei luoghi origeniani
III, 1 250n, 384n, 459n XX , 5 411n
III, 4 105n, 425n XXI, 2 427n, 509n, 510 e n
V, 1 369n XXI, 3 476n, 487n
V, 1, 4 170n XXII, 1 5n
V, 3 385n, 398n, 417n XXII, 4 413n
VI, 3 106n, 497n XXIII , 1 5n
VII, 4 394n XXIII , 3 173n, 438n, 441 e n,
VII, 6 418n 443n, 493n, 497n
VIII, 1 395n XXIII , 3, 2 6n, 173n, 445 e n
IX, 2 375n XXIII , 4, 3 501n
IX, 3 370n, 393n, 394n XXIII , 5 193n
IX, 3-4 502n, 504, 505n XXIV, 2 5n
IX, 4 394n XXIV, 3 378n, 426n
X, 1 133n, 403n XXV, 2 144n, 393n
X, 2 258n, 399n XXV, 4 393n
X, 3 385n, 391n, 467n, 509n, XXV, 6 426n
510n XXVI, 2 431n, 434, 499n
X, 3, 3 34, 363n, 470 e n XXVI, 2, 2 434n
XI, 3 459 e n XXVI, 2-3 5n
XI, 5 6n, 649n XXVI, 3 380n
XI, 8 476n XXVI, 6 180n, 399n
XI, 8, 3 502n XXVII 38n
XI, 9 34 e n, 187n, 364n, 370 XXVII , 1 143n, 224n
n, 391n, 411n, 435 e n, XXVII , 3 393n
467n, 470 e n XXVII , 4 451n
XII, 3 5n XXVII , 10 476n, 479n
XII, 4 375n XXVII , 12 237n, 249n, 433n, 507n
XIII-XIX 262n, 375 XXVII , 13 427n
XIII, 3 649n XXVIII, 4 433n, 476n, 487n
XIII, 4 375n, 392n, 433n, 437n,
451n, 453, 462n, 471n Omelie su Giosuè (HIos)
XIII, 5 400n — 364, 417, 452n
XIII, 7 249n I, 2 451n, 453n
XIV, 1 248n I, 3 166n, 451n
XIV, 2 443n, 446 e n I, 5 131n, 455n
XV , 1 176n, 262n I, 7 384n
XVI, 1 376n III, 1 394n
XVI, 4 62n III, 4 247n
XVI, 6 419n, 476n, 486n V, 6 417n, 427n, 431n
XVI, 7 143n VI, 4 417n
XVI, 8 376n VII, 2 365n, 460n, 488n, 491n
XVII, 4 217n VII, 3 250n, 384n
XVIII , 1 376n VIII, 1 371n, 372n, 382n
XVIII , 4 426n, 655n VIII, 1-2 382n
XIX, 1 370n, 372n, 376n, 451n VIII, 2 372n, 377n
XIX, 4 427n, 433n VIII, 3 372n
XX , 3 187n, 399n VIII, 7 427n, 651n
Indice dei luoghi origeniani 719
IX, 1 390n V, 3 246n
IX, 2 183n, 365n, 460n V, 9 386n, 467n
IX, 9 417n, 427n, 433n, 501n
Omelie latine sul I Libro dei Regni
XI, 1 131n, 395n
(HReL)
XII, 3 655n
- 130n, 143n
XIII, 4 655n
I, 1 384n, 489n
XIV, 2 646n
I, 2 376n
XV , 6 247n, 651n
I, 3 374n
XV , 7 378n, 413n
I, 9 196n, 365n, 388n, 389n,
XVI, 5 185n, 399n, 427n, 443n,
438n, 443n, 444, 451n
446 e n
I , 10 143n, 389n
XVII, 2 476n, 487n
I , 11 388n
XVII, 3 378n, 416n
XX , 1 182n, 225n, 226n, 375n, Omelie sui Salmi 36, 37, 38 (H36, 37,
467n 38Ps)
XX , 2 384n — 282, 299
XX , 4 376n H36Ps
XX , 5 250n I, 5 406n, 509n
XX , 6 433n I, 6 420n
XXIII , 2 505n II, 1 401n, 404n, 507n
XXIII , 4 384n II, 4 238n
XXIV, 1 402n II, 8 420n
XXIV, 3 413, 656n III, 8 62n
XXV, 3 176n III, 12 420n, 433n
XXVI, 2 379n IV, 1 159n
XXVI, 3 417n IV, 2 144n, 402n
IV, 3 381n
Omelie su Giudici (HIud)
IV, 8 427n
I, 1 401n
V, 5 159n
II, 2 379n
V, 7 203n, 216n, 239n, 420n
II, 3 369n
H37Ps
II, 5 417n
— 367
III, 2 400n, 406n
I, 1 63n, 161n, 368n, 404n
III, 6 399n, 403n, 417n
I, 2 161n, 255n, 368n, 383n,
IV, 3 369n
651n
V 417 e n
I, 5 9n, 299n, 368n, 404n
VI, 1 249n
I, 6 427n
VI, 2 471n
II, 1 367n, 406n, 501n
VI, 3 141n
II, 3 204n, 361n, 395n, 501n,
VI, 6 63n, 417n, 508n
645
VII, 2 402n, 507n
II, 5 367n
VIII, 1 176n
II, 6 406n
VIII, 5 652n
II, 9 420n
IX, 1 393n
II, 35 409n
Omelie greche sul I Libro dei Regni H38Ps
(HReG) I, 3 231n
— 248n I, 7 408n, 650n
720 Indice dei luoghi origeniani
II, 10 403n, 446n, 448 e n V, 15 221n
II, 12 507n V, 17 387n, 402n, 413n, 414n,
421n
Omelie sul Cantico dei Cantici (HCt) VI, 1 387n
— 142, 245, 246 e n, 302- VI, 2 387n
303 VI, 3 414n
I, 1 141n, 304n VI, 7 192n
I , 1-2 447n VII, 3 387n, 415n
I, 2 296n, 446n VIII, 1 157n, 182n
I, 7 8n, 311n VIII, 9 414n, 421n
II, 8 502n IX, 4 210n, 414n, 421n
II, 12 236n X, 2 222n
X, 4 386n
Omelie su Isaia (HIs) X, 5 211n
— 411, 422 X, 8 131n, 367n, 386n, 387n,
I, 2 208n, 219n 407n, 415n, 507n
I, 4 653n XI, 3 231n
I, 5 398n, 411n, 422n XI, 5 415n
II, 2 226n, 422n XII, 3 433n
III, 3 411n, 422n XII, 11 202n
IV, 3 254n, 410n, 411n XII, 12 415n, 421n
IV, 4 297n, 406n, 446n, 448 XII, 13 396n
en XIII, 1 133n
IV, 6 408n, 418n, 422n XIII, 3 415n
V, 2 8n, 166n, 381n, 404n, XIV, 4 230n, 369n
433n, 653n, 654n XIV, 7 186n
V, 3 454n, 456 e n, 457n, XIV, 11 395n
458 XIV, 13 387n
VI, 3 372n, 653n XIV, 14 378n, 386n, 387n, 390n
VI, 7 422n XIV, 18 415n, 421n
VII, 1 217n XV , 1 387n, 390n
XV , 3 406n
Omelie su Geremia (HIer) XV , 6 415n
— 246n, 247n, 366-368, XVI, 10 232n, 411n, 414n, 421n,
386, 406, 411, 420-422, 438n
571 XVII, 5 387n
I , 13 368n XVII, 6 33n, 269n, 367n, 415n
I , 16 303n, 414n XVIII 450
II, 3 414n, 418n XVIII , 1 372n
IV, 3 203n XVIII , 5 171n
IV, 6 414n, 415n, 418n, XVIII , 6 101n, 220n
421n XVIII , 10 6n, 107n, 156n, 367n,
V, 5 386n, 388n 386n, 391n, 404n, 440,
V, 8 327n 449n
V, 8-9 288n XVIII , 18 386n
V, 9 386n, 431n XIX 372n
V, 10 157n, 367n, 407n XIX, 5 67n
Indice dei luoghi origeniani 721
XIX, 10 380n XIV 422
XIX, 11 380n, 645n XIV, 3 227n, 422n
XIX, 13 377n, 386n, 459n, 460n, XIV, 4 379n
461e n, 649n
XIX, 14 227n Omelie su Luca (HLc)
XIX, 15 380n, 415n — 34, 245-246, 247n, 359
XX , 3 164n, 387n, 650n e n, 361, 394, 411, 423
XX , 6 386n, 387n, 408n, 507n I, 6 419n
XX , 7 143n, 203n, 369n, 386n II, 7 420n
XX , 8 172n III, 4 379n, 423n
XX , 8-9 367n IV, 2 369n
XX , 9 299n, 377n, 408n, 410n, VII, 8 419n
414n VIII, 4 161n
IX, 4 420n
Omelie su Ezechiele (HEz) XI, 3 63n
— 226, 244 XI, 4 394n, 446n, 447 e n
I, 2 395n XII, 6 379n, 411n, 423n, 433n
I , 11 646n XIII, 5-6 187n
I , 16 422n XIII, 6 379n
II, 2 371n, 382n XIV, 3 65n
II, 3 34n, 363n, 467n, 469 e n XIV, 10 379n
III, 3 370n XV , 5 379n, 424n
III, 4 651n XVI, 10 420n
III, 5 370n XVII, 8 408n, 507n
III, 6 372n XVII, 11 310n, 405n
III, 8 378n, 422n XVIII , 5 423n
IV, 1 114, 372n, 378n XIX, 5 177n
IV, 5 143n XXI, 7 417n
IV, 7 386n XXII, 3 372n
IV, 8 144n, 400n XXIII , 6 230n
V, 4 133n, 231n XXIII , 8 399n
VI, 6 370n XXIII , 8-9 180n
VI, 10 378n, 379n XXIII , 9 395n, 423n
VI, 11 422n XXVI, 4 238n
VII, 3 391n, 442n, 648n XXVII , 6 423n
VII, 10 372n, 418n XXXII , 6 398n
VIII, 3 418n XXXV, 5 239n
IX, 1 476n, 482 e n XXXVI, 1 189n
IX, 5 174n, 422n, 437n XXXVI, 2 161n, 216n
X 420n XXXVI, 3 411n, 424n
X, 5 420n, 422n XXXVII, 5 423n
XI, 2 371n XXXVIII, 5 378n
XI, 5 371n, 391n, 415n, 438n XXXVIII, 5-6 382n
XII, 2 106n XXXVIII, 6 424n
XII, 5 423n XXXIX, 7 411n, 424n
XIII, 1 507n
XIII, 2 370n
722 Indice dei luoghi origeniani
3. TRATTATI E ALTRI SCRITTI IV, 50 268n
(ordine alfabetico dell’abbreviazione IV, 53 164n
latina) IV, 89 99n
IV, 90 221n
Contro Celso (CC) IV, 98 230n
— 9, 25n, 46, 99 e n, 138, V, 1 266n, 267n
156, 198, 215n, 236n, V, 2 278n
244, 245n, 247n, 254, V, 4 137 e n, 185n, 278n,
261n, 264-281, 294, 327n, 435 e n
313, 328, 329 e n, 345, V, 6 176n
362 e n, 363, 392, 393n, V, 11 137, 138n, 175n, 176n
399, 431, 437 e n, 439, V, 19 66n
450, 515 V, 29 141n
Prol. 5 99n V, 35 230n
I , 46 378n V, 47 265n
I , 48 192n, 475n V, 53 277n
I , 56 141n V, 57-58 281n
I , 71 101n V, 95 268n
II, 1 459 e n VI, 4 277m
II, 6 267n VI, 17 215n
II, 8 171n VI, 41 197n
II, 9 218n VI, 44 277n
II, 11 107n, 449n, 450 e n VI, 48 114n
II, 13 94 e n VI, 51 646n
II, 20 99n, 107n, 449n, 450 e n VI, 61 278n
II, 21 155n VI, 64 137n
II, 24 269 VI, 71 171n
II, 24-25 255n VII, 1 266n, 267n
II, 25 270n, 271n VII, 10 378n
II, 51 76n, 162n, 165n, 276n, VII, 26 275n
462 e n VII, 32 66n
II, 78 141n VII, 33 269n, 279n
III, 34 185n, 280n VII, 34 455n
III, 37 476n, 478n VII, 36 33n
III, 41 184n VII, 37 277n
III, 51 233n VII, 42 276 e n, 279n
III, 60 431 e n, 432, 438n, 439n VII, 44 33-34, 60n, 159, 171n,
III, 63 408n 189 e n, 264, 265n, 278
III, 64 34n e n, 280 e n, 295, 431 e n,
III, 68 164n 456-458, 473, 540n
III, 80 277n VII, 46 280n
IV 286 VII, 48 230n
IV, 1 221n, 266n, 334n VII, 55 271n
IV, 26 230n, 277n VII, 70 148n
IV, 28 101n, 102, 502n, 504 e n VIII, 1 266n
IV, 29 67n, 277n VIII, 2 211n
IV, 38 277n VIII, 9 327n
Indice dei luoghi origeniani 723
VIII, 12 476n, 483 e n 401 e n, 506
VIII, 13 137-138n, 185n, 280n, 1 54 e n
437n, 463n, 465 2 256n
VIII, 17 6n, 32n, 156n, 438n, 3 20n, 65 e n, 66, 254n,
439, 442n, 443 294n, 410 e n
VIII, 20 156n 4 255n, 256n
VIII, 21 6n, 460 e n 7 256n, 257 e n
VIII, 22 459, 460n, 462 8 255n
VIII, 24 272n 11 76n
VIII, 26 138n, 280n 14 259n
VIII, 31 113n 17 133n
VIII, 34 180n, 187n, 281n 18 253 e n
VIII, 35 502n, 504 e n 19-20 256 e n
VIII, 36 188n, 281n 20 256n
VIII, 37 280n 21 257n
VIII, 41 501n 22 259 e n
VIII, 46 143n, 265n 23 257n
VIII, 60 266n 27 102n, 260n
VIII, 64 272n, 281e n 28 6n, 187n, 258n
VIII, 66 501n 29 254n, 255n, 470n
VIII, 69 274n, 453 e n, 471n, 30 256n, 258 e n
491 31 256n
VIII, 70 492n 33 145n, 254 e n
VIII, 73 274n, 275n, 435n, 437 35 256n, 257n
e n, 518n 37 256n
VIII, 74 275n, 509n 37-38 258
VIII, 75 184n, 275 38 254n, 256n, 257n, 259n
VIII, 76 221n 39 255n, 256n, 260n, 263n,
413n, 476n, 484, 485n
Dialogo con Eraclide (Dial)
46 214n
— 260-264, 291 e n, 329,
47 66 e n
428, 439, 478
51 55n, 260n, 267n
2 261 e n
4 5n, 136 e n, 261n, 262n, Lettera a Giulio Africano (EpAfr)
329n 24 18n
11 263n, 264n
16 455n Lettera agli amici di Alessandria
17 104 e n (EpCar)
18 6n — 501n
20 165n, 438n
26 262n, 376n Lettera a Gregorio (EpGr)
27-28 246n 4 8n, 45n, 371n
28 263n
La preghiera (Orat)
Esortazione al martirio (EM) (sono omesse le ricorrenze generiche)
— 10n, 18n, 20, 25n, 43, I 52n, 53n, 59 e n, 64, 77n,
53, 65-66, 73-74, 76n, 284n
145, 253-260, 269, 271, I -II 52, 70, 74n
724 Indice dei luoghi origeniani
I, 1 271n 224n
II, 1 18, 42n, 52 e n, 59 e n, VI-VII 68, 96, 108
62 e n, 70n, 71 e n, 125n VI, 1 21n, 108 e n, 109 e n,
II, 1-3 508n 110n, 111-114, 115n
II, 2 5n, 18n, 59n, 60 e n, VI, 1-2 108
125n, 152n, 154n, 173n, VI, 2 99n, 108, 115n, 230n
197n, 431n, 434n, 492n, VI, 3 117 e n, 230n
493n, 494 e n, 499n, VI, 3-5 108, 116
500, 537n VI, 4 116n, 118, 188n
II, 3 59n, 60, 61n, 64n, 182n, VI, 4-5 97
472, 508n VI, 5 118, 120n
II, 3-4 145n VII 108, 121 e n
II, 4 52n, 61 e n, 62, 67n, VII, 2 162n
467 e n VIII-IX 151n, 152n
II, 5 61, 104n, 125n, 127n, VIII-XVII 75
130n, 131n, 198n VIII, 1 32n, 75n, 76n, 126n,
II, 6 52n, 53n, 54 e n, 69, 135n, 152 e n, 153 e n,
70n, 125n, 284n, 334n, 154n, 157, 206n, 430n
477n VIII, 2 75n, 154n, 160, 162n
III-IV 75, 124-125, 130 IX 454
III-XVII 70, 74, 124 IX , 1 33n, 153, 154n, 158n,
III-XXI 74n 163n, 166n, 190n, 196n,
III, 1 74n 307, 430n, 431n
III, 2 125n IX, 2 33n, 35, 44, 153, 154n,
III, 3 19 e n 156n, 157n, 160n, 183,
IV 126n 189 e n, 190-192, 193n,
IV, 1 74n, 127n, 130n 454n, 458, 469
IV, 2 130n IX , 3 33n, 153, 155n, 158n,
V 96, 107 500n
V-VII 69, 75, 90, 96 X, 1 232n, 296n, 446n, 447
V, 1 17n, 75n, 90, 93 e n, X, 2 5n, 33n, 34, 44-45, 134
95n, 97-99, 544n n, 153n, 174n, 183n,
V, 1-2 94n 184n, 446n, 463 e n,
V, 2 67 e n, 77n, 94n, 98 e n, 464, 465n, 615n
99n, 100 e n, 101n, 135 XI 179
n, 337n, 544, 615n XI, 1 5n, 126n, 179n
V, 2-5 98 XI, 2 62n, 186 e n
V, 2-6 93 XI, 3 186n, 187n
V, 3 98n, 100 e n, 102 e n, XI, 3-5 186
103, 105, 117, 135n XI, 4 196n
V, 4 98n, 103 e n, 104n, 135n XI, 5 179n, 188n, 196n
V, 4-5 100 XII, 1 195n, 443n, 467n, 468
V, 5 9n, 98, 100, 103, 106, en
120n, 126n, 449n XII, 1-2 443
V, 6 18n, 69, 79n, 108n, XII, 2 126n, 156n, 195n, 196 e
126n n, 197n, 438 e n, 443n,
VI 21, 109n, 115n, 188, 459 e n
Indice dei luoghi origeniani 725
XIII, 1 126n, 134n, 446n, 476 XIX, 1 126n, 154n, 201n, 509n
e n, 477n XIX, 2 108n, 196n, 202n
XIII, 2 75n, 126n, 130 e n, XIX, 2-3 509n
142, 144n, 146 e n XIX, 3 126n, 203n, 204n
XIII, 3 99n, 142 e n, 143n, 146 XX , 1 177n, 204n, 205n, 509n
e n, 147n, 163n XX , 1-2 509n
XIII, 3-4 144n XX , 2 33n, 68n, 151n, 159n,
XIII, 4 76n, 124n, 126n, 142 e 164n, 181, 182n, 205n,
n, 148 e n, 149n, 232n, 206, 216n, 253n, 308n,
270n 509n, 558n, 559n, 568n
XIII, 5 144n, 456n, 504n XXI, 1 60n, 108n, 154n, 161n,
XIV 139n 206n, 207n, 509n
XIV, 1 60n, 124n XXI, 2 69, 101 e n, 205n, 206n,
XIV, 2 30n, 33, 126n, 127 e n, 207n, 485n
135n, 295n, 435n, 573n, XXII 139n
574n XXII-XXVI 207
XIV, 3 128, 144n XXII-XXVII 74n
XIV, 4 30n, 126n, 129 e n, 141 XXII, 1 126n, 208n, 621n
n, 179n, 347n XXII, 1-2 146n
XIV, 5 59n, 126n, 130n, 131n, XXII, 2 209
134n, 433n, 436 e n, XXII, 3 205n, 210n, 211 e n
508n XXII, 4 161n, 211 e n, 501
XIV, 6 132 e n, 133n, 139n XXII, 5 195n, 196n, 197n, 443n,
XV 132, 378 444 e n
XV , 1 20n, 22n, 126n, 134n, XXIII -XXVI 212
135n, 136n, 137, 261- XXIII , 1 125n, 154n, 182n,
262, 378n, 435 216n
XV , 2 126n, 133, 134n, 139 XXIII , 1-2 77n
en XXIII , 1-5 213n
XV , 4 62n, 118n, 126n, 134n, XXIII , 2 276n
139 e n, 140n, 258n, 293 XXIII , 3 125n, 205n
n, 463n, 464, 465 e n XXIII , 4 19 e n, 172n, 213n, 454n
XVI, 1 75n, 135n, 136n, 435n XXIII , 4-5 125n, 212n
XVI, 2 60n, 126n, 149n, 269n XXIII , 5 125n, 191 e n, 213
XVI, 3 142, 149 e n, 433n XXIV, 1 135n, 200n
XVII 121 XXIV, 2 69, 102n, 212, 213n,
XVII, 1 229n 214 e n
XVII, 2 57n, 60n, 77n, 101, XXIV, 3 163n, 214n, 504n
204n, 205n XXIV, 4 191 e n, 141n, 174n,
XVIII -XX 198 213n, 215n
XVIII -XXX 70, 75, 124 XXIV, 5 19n, 107n, 200n, 449n,
XVIII , 1 57n, 69-70, 71n, 126n, 450 e n
134n, 198n, 200 XXIV, 9 214n
XVIII , 2 126n, 134n, 200n, 230n XXV, 1 182n, 190n, 215n, 216
XVIII , 2-3 200 e n, 217n
XVIII , 3 126n, 135n, 200n, 477n XXV , 2 38n, 57n, 217n, 230n,
XIX- XXI 201 304n, 333, 443n, 444n
726 Indice dei luoghi origeniani
XXV, 3 217n XXIX, 2-4 530n
XXVI 529n XXIX, 4 234n, 235n
XXVI, 1 218n XXIX, 5 143n, 234n, 235n
XXVI, 1-2 218 XXIX, 5-6 235
XXVI, 2 207n, 529n XXIX, 7 171n, 235
XXVI, 3 57n, 200n, 208n, 218 e XXIX, 8 202n, 235 e n, 509n
n, 529n, 623n XXIX, 9 235n, 236, 530n
XXVI, 4 218, 529n XXIX, 9-10 235
XXVI, 5 219n XXIX, 10 118n, 235n
XXVI, 6 135n, 208n, 217n, 219n XXIX, 11 530n
XXVII 68n, 199, 220, 222n XXIX, 12 236n
XXVII -XXX 68n, 207, 212, 219 XXIX, 13 237 e n, 530n
XXVII , 1 60n, 131n, 135n, 221 XXIX, 14 237n
en XXIX, 15 237n, 391 e n
XXVII , 2 221n, 222n, 223n XXIX, 15-16 237
XXVII , 2-6 220n XXIX, 16 237
XXVII , 4 58n, 222n, 223n XXIX, 17 238, 530n
XXVII , 4-6 223 XXIX, 18 62n, 238n
XXVII , 6 221n, 223n, 224 XXIX, 19 62n, 238
XXVII , 7 220 e n XXX 238
XXVII , 7-13 201, 220n XXX, 1 200n, 201n, 360n, 530n
XXVII , 8 57n, 113n, 224n XXX, 2 58n, 238n, 530n
XXVII , 9 57n, 58n, 221, 223 XXX, 3 239, 530n
XXVII , 10 225n XXXI-XXXIII 24, 70, 74n, 75, 123-
XXVII , 11 224, 225n, 226n 124, 151
XXVII , 12 216n, 224 e n, 459 e n XXXI, 1 69, 71 e n, 123n, 153n,
XXVII , 13 191n, 220, 224, 227n 154n, 156n, 197n, 431n,
XXVII , 13-17 220n 438 e n
XXVII , 14 227n XXXI, 1-2 165
XXVII , 15 228n XXXI, 2 151n, 153, 154 e n, 157,
XXVII , 16 205n, 229n 159n, 164n, 165n, 168n,
XXVII , 17 227n 190n, 321, 322n, 431n,
XXVIII 153n 458, 500n
XXVIII- XXX 68n, 74n XXXI, 3 22n, 168n, 169n
XXVIII, 1 161n, 230n XXXI, 4 6n, 18n, 126n, 154n,
XXVIII, 2 231 171n, 172n, 173n, 431n,
XXVIII, 3 68n, 133n, 164, 181n, 439n, 442, 493n, 494 e
231, 253n n, 537n
XXVIII, 4 18n, 231n, 493n XXXI, 4-7 170
XXVIII, 5 133n, 157n, 232 e n XXXI, 5 126n, 175n, 178n, 180n,
XXVIII, 6 232 e n 181n
XXVIII, 8 57n, 230n XXXI, 5-6 179n
XXVIII, 9 133n XXXI, 5-7 175, 177
XXVIII, 10 233n XXXI, 6 180n
XXIX, 1 234n, 235, 530n XXXI, 7 177n, 178n, 180n
XXIX, 1-10 234 XXXII 170, 175 e n, 176n
XXIX, 2 58n, 190n, 234n XXXIII 136 e n, 157, 207, 295,
Indice dei luoghi origeniani 727
428, 621 I , 8, 1 188n, 252n
XXXIII, 1 60n, 134n, 428n I , 8, 2 483n
XXXIII, 2 134n I , 8, 4 218n
XXXIV 70 II, 1, 4 224n
XXXIV 18, 47n, 55 e n, 58n, II, 2, 2 252n
69-70, 71 e n, 74n II, 3, 5 290n, 476n, 484 e n,
487n
La Pasqua (Pas) II, 3, 6 476n, 482 e n
I , 11 476n II, 4, 1 213n, 252n
I , 31 165n II, 4, 2 252n
II, 47 476n, 483n II, 5, 4 252n, 476n, 487n
II, 6, 2 63n
Filocalia (Phil) II, 6, 3 101n, 102n
— 23, 313, 329, 450 II, 7, 4 252n, 463n, 464
1, 28 53n, 377n II, 8, 2 252n, 467n, 468n
1, 30 377n II, 8, 3 191n
7, 2 450n II, 8, 4 191n
8 476n, 485n II, 9, 4 169n, 252n
12 225n, 375n, 467n II, 9, 7 103n, 106n
23, 1 93n III, 1 95, 96n, 108 e n, 113n,
23, 2 103n 115n, 117n, 237n
23, 4 100n III, 1, 1 108n
23, 8 107n, 116n, 117n, 120n, III, 1, 2 21n, 109n, 110n, 111n,
449n 112-115
23, 9 117n III, 1, 4 115
23, 10 119n III, 1, 10-11 118n
23, 16 99n III, 1, 12 100n
25 106n III, 1, 15 100n
25, 1 105 e n III, 1, 17 100n
25, 1-2 118n III, 1, 22 106n
25, 4 105n, 106n III, 2, 2 358n
27, 13 309n III, 2, 5 254n
III, 5, 4 106n
I principi (Prin) III, 5, 6 476n, 479n
— 9, 21, 105, 115n, 116, III, 5, 8 252 e n
245n, 251-253, 469, III, 6, 1 252n, 476n, 485, 486n
477-478, 596 III, 6, 4 476n, 486n
I , 1, 2 182n III, 6, 5 479 e n
I , 1, 3 183n III, 6, 6 476n, 486n
I , 2, 10 476n, 481n IV, 1 75
I , 2, 13 476n, 479n IV, 1, 7 252n, 454n
I , 3, 4 130n IV, 1, 17 252
I , 3, 6 185n, 216n IV, 2, 3 314n
I , 5, 4 252n IV, 2-3 75
I , 6, 2 290n, 476n, 484 e n IV, 3, 4 252
I , 7, 4 106n IV, 4, 6-7 224n
INDICE DEI TERMINI GRECI

ajgavph 40, 186, 532 e n, 569n a[yuco~ 110, 114


aJgiasmov~ 59n
ajgwvn 235n battologevw 206 e n, 591
ajdialeivptw~ 195n, 217, 445, 446
ajduvnaton 53n, 58, 59, 62, 71, 97, 445 gnw`si~ 34, 40, 564, 569n
a\qlo~ 58n, 198
ai[thma 349, 578 devhsi~ 127, 128 e n, 129, 132-133, 139,
ai[thsi~ 279, 290, 297, 349, 350, 406, 144, 562n, 572, 573 e n, 578, 599
450, 474, 538, 589 devomai 128, 133n, 266n
ajkolouqiva 97 diavnoia 190, 468
a[logo~ 97 didaskaliva 72, 349
ajmnhsikakevw 500n dievxodo~ 473
ajmnhsikakiva 33n, 233n, 500 e n, 540, doxologiva 406
560, 576 doxocarhv~ 578 n
ajnavbasi~ 20n, 159, 276, 279, 280, 461, dusarestevw 232n
568, 582, 592, 640 dusarevsthsi~ 232n
ajnavkrasi~ 184n
ajnamimnhv/skw 256n ei[dwlon 583
ajnapovlhsi~ 159n, 161 e n ei[qe 260n, 336n
ajnaskeuhv 97 eijkwvn 165
ajnacwvrhsi~ 50, 159n, 162, 181, 190, e[myuco~ 114
278, 279n, 295 e[nteuxi~ 29, 126n, 127-130, 131 e n,
ajxiovw 135n 132-133, 135n, 139, 370n, 433n,
ajxivwsi~ 135n, 336n 436-437, 562n, 572-573, 589, 590
ajpavqeia 565, 569n, 578 n, 599
ajpivqano~ 99n e{xi~ 110 e n, 113
ajpiqanovth~ 99n ejxomologevw 131, 406
ajpoluvtrwsi~ 59n ejxomolovghsi~ 132 e n, 148, 157 e n,
ajpovrhma 98, 99 367 e n, 406-407, 409
ajporiva 98n ejpikalevw 327, 334n
ajporjrJohv 191, 213 ejpivkhro~ 77n, 281n
ajpovrjrJoia 192n, 213n ejpivklhsi~ 413n
ajprepev~ 97 ejpiouvsio~ 191n, 199-200, 220 e n, 221,
ajrciereuv~ 464 e n 227, 229, 593
ajsqevneia 62, 63 e n, 271, 589n ejpiskeuastov~ 229n
ajsuntrovcasto~ 214n ejpiskophv 171 e n, 178, 180 e n, 355n
a[topo~ 97 ejpisthmonikw`~ 353n
aujtovqeo~ 291, 478 ejpisthmovnw~ 353n
730 Indice dei termini greci
ejpivcari~ 178n lovgo~ 55, 69-72, 74, 267n, 272, 360
ejpiceivrhma 98, 99n, 100n logocarhv~ 578n
eujlogevw 132n luvsi~ 98n, 108
eujlogiva 132 e n, 433n lutikov~ 96
eujnomevw 215n
euJrhsilovgo~ 208n metochv 45
eujsevbeia 272 mikrologevw 229n
eujcaristiva 33, 127-128, 131-133, 139 mimnh/vskw 256n
e n, 148, 272 e n, 297, 406, 433n, mnhvmh 583
436, 474, 538, 562n, 572 e n, 599 mnhsikakevw 500
en mnhsikakiva 500 e n, 579, 598
eujchv 70, 125 e n, 126 e n, 127 e n, 128, mwmoskopevw 206n
130, 132n, 161, 294n, 297, 350,
386 e n, 387 e n, 572, 573 e n, 589 nhvpio~ 102, 223 e n
eu[comai 125n, 386-387 novhma 583
nohtov~ 149n
zhthtikov~ 96 nou`~ 76n, 149n, 159, 190, 191 e n, 255,
zw/`on 110, 113 332n, 363, 467, 565 e n

hJgemonikovn 32n, 45, 115n, 190 e n, oJmilevw 21n


193, 216, 232, 276, 391 e n, 443, oJmiliva 20n, 66, 276n, 279, 294n, 341,
468, 472, 473n, 509, 565n 389, 474, 532, 537, 540-542, 562,
569 e n, 571, 573, 578, 582, 591,
qeologevw 206, 581 592 e n, 602, 640 e n
qeopoievw 191n oJmologevw 645n
qevsi~ 176n ojrghv 322n, 582
qewriva 196 oujranopoivhsi~ 208
qumivama 6n, 196n, 439n, 441, 571
qumov~ 582 pantokravtwr 378n
parakalevw 76
iJkesiva 128, 169n paravklhto~ 139 e n, 185, 464 e n, 465
iJkethriva 573n paraskeuhv 154n
parjrJhsiva 129-130, 131n, 146n, 208,
kaqavreusi~ 174 324, 407, 590 e n
kaqh`kon 67, 230n peirathvrion 234n
kairov~ 196 pevnqo~ 581n
kardiva 190, 269n, 468 piqanov~ 97-99, 115n, 126n
kataskeuhv 97 piqanovth~ 97, 99, 115n
katavstasi~ 6, 60, 75, 153, 154 e n, 165, piqanw`~ 99
174, 295, 431 pivsti~ 40
katavcrhsi~ 137 pneu`ma 76n, 184n
kinevw 110, 112, 114 pneumatikov~ 76n
klivma 170 pra`xi~ 196
kuriolexiva 137 provblhma 69-74
propavqeia 343n, 368n
leptov~ 440 e n prosbavllw 217n
litaneiva 132n prosbolhv 217n
Indice dei termini greci 731
proseuchv 6n, 22, 30 e n, 74, 107, 125 tevleio~ 223
e n, 126, 127 e n, 128 e n, 129-131, telwnikw`~ 579n
132 e n, 133, 134, 135 e n, 136 e n, tovpo~ 170
137-139, 175 n, 179n, 261, 270n, trofhv 223
295, 327, 337, 346, 347n, 378, 385-
386, 388, 435-436, 449, 562n, 572, uJpokrithv~ 181, 198n, 205
573 e n, 589, 590, 591, 599 uJpovmnhsi~ 159, 161, 162n
proseuvcomai 125n, 129, 386 e n, 388 uJpomimnhvskw 256n
provswpon 450
proswpopoiiva 98n fantasiva 159, 162n
protreptikov~ 353 filodoxiva 202 e n forhtov~ 113
fuvsi~ 110, 113, 176n
rJuvsi~ 113 e n futovn 110, 113
sofiva 59n, 267n
spavnio~ 215n carivei~ 178n
summaciva 588n carievntw~ 178n
sumfwniva 174n, 350, 488n, 492n cwrevw 55 e n, 56n, 57
sunevleusi~ 178n cwrhtov~ 56n
sunergiva 588n
scevsi~ 154n yeudodoxiva 221n
sch`ma 153, 154 e n, 165, 431 yuchv 76n, 110, 111n, 113, 149n, 191n,
sw`ma 76n, 77n 255
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI

Afraate 123, 145 e n, 158n, 446n, 513, 547n, 550, 554, 556, 564, 568n,
554-564, 590, 637-639, 640 e n, 569-570, 578, 584n, 591, 637, 639-
641 e n 641, 643n
Agostino 11, 73, 280, 318, 328n, 511, Cromazio di Aquileia 420
513, 514n, 552, 593-594, 601,
609-645 Damaso 245n, 302n
Alessandro di Afrodisia 115, 116n Didimo il Cieco 202n, 343n
Ambrogio di Milano 263n, 514n, 558n Diodoro Siculo 83n
Aristide 91 e n, 515 e n, 516 Diogene Laerzio 83n, 92n
Aristippo di Cirene 84n Dionigi Areopagita (Pseudo-) 33 e n,
Aristotele 83, 96 e n, 98 e n, 99, 152n 594
Atenagora 516 e n, 518n
Efrem 558n
Barnaba (Pseudo-) 166n, 500n Epicuro 94n
Basilide 211n Epifanio di Salamina 280n, 646n
Epitteto 50, 84n, 85 e n, 87n
Carneade 115 Eracleone 106n, 301 e n
Celso 8, 33n, 66n, 98n, 99, 102n, 171, Eraclito 81n
189, 211n, 221n, 264-281, 431, Erma 354n, 526
437, 443, 459, 483, 491, 504 Eschilo 82n
Cipriano 15-17, 125n, 141, 145 e n, 151, Euripide 82n
197n, 210n, 283n, 296n, 299n, 322 Eusebio di Cesarea 6n, 7 e n, 18 e n,
e n, 513, 519-520, 545-554, 556, 19n, 21-22 e n, 96, 140n, 169n,
563, 603n, 609, 614 e n, 621, 622n, 202n, 246, 282n, 302n, 329n
623, 626n, 628n, 637-638, 640- Evagrio Pontico 6n, 23 e n, 190, 195,
644 206 e n, 213, 216n, 255 e n, 257n,
Cirillo di Alessandria 514n 276n, 295, 322 e n, 401, 435 e n,
Cirillo di Gerusalemme 514n 438n, 499n, 500 e n, 506, 512n,
Cleante 84n, 91n 513, 524, 540, 564-587, 588n,
Clemente di Alessandria 6n, 15-16, 17 590-592 e n, 594-598, 599n, 603-
e n, 21n, 29 e n, 33, 34 e n, 36, 39- 604, 605n, 607, 609, 637-638,
40, 41 e n, 60n, 82n, 84, 92 e n, 93, 640-643 e n
109n, 114n, 145n, 151, 154n, 155
e n, 156 e n, 160-162, 167 e n, 171, Filone di Alessandria 6n, 41, 66n,
173 e n, 176 e n, 192n, 197n, 213n, 132n, 167n, 179n, 192n, 520n
280n, 296 e n, 360n, 435 e n, 441n, Flavio Giuseppe 132n
459n, 460, 494, 500 e n, 511 e n, Fozio di Costantinopoli 22n
513, 515, 516n, 519, 521, 530-546,
734 Indice degli autori antichi
Gerolamo 22 e n, 104n, 244, 245 e n, Porfirio 50n, 88-89, 90 e n, 95n, 215n
246-247, 282n, 302, 313, 372n, Posidonio 84n
378n, 411, 422-424, 427, 472n, Proclo 90
486n, 489n, 501n, 514n Prodico 92 e n, 93, 155n, 537-538, 542
Giamblico 90 e n
Giovanni Cassiano 322n, 513, 587, Quintiliano 97n
595-609, 618, 625 e n, 627, 637- Quodvultdeus 514n
641, 643 e n
Giovanni Crisostomo 50n, 514n, 594n, Rufino di Aquileia 113n, 138, 182n,
615n, 626n 214n, 302, 305, 312, 314 e n, 327,
Giulio Africano 18 328 e n, 377n, 378n, 406n, 411 e n,
Giustino 39 e n, 90, 91 e n, 166n, 515- 412 e n, 420 e n, 422, 424-425, 427
516, 518
Gregorio di Nazianzo 568n Sedulio 514n
Gregorio di Nissa 23 e n, 38n, 41, 513, Seneca 84 e n, 85n, 87n, 159n
575 e n, 587-595, 603, 625 e n, Senofane 81n
627, 637, 640, 641n, 644 Shenute 22n
Simmaco 403n
Ippolito (Pseudo-) 173n, 197n, 489n Socrate 82n, 83n, 87, 88n
Ireneo di Lione 6n, 39 e n, 92 e n, 95 e Socrate Scolastico 19 e n
n, 132n
Isacco di Ninive 429n Taziano 19n, 173, 200n, 351, 494
Teodoro Ateo 92n
Macario Alessandrino 564 e n Teodoro di Mopsuestia 514n
Macario (Pseudo-) 596 Teofilo di Alessandria 22 e n
Marcione 211n, 227n, 494 Teofilo di Antiochia 500n, 516 e n,
Marco Aurelio 50, 85, 159n 518n
Massimo di Tiro 86-88, 89n, 92-93, Teofrasto 534n
95n, 280n, 514n, 532, 537 Tertulliano 11, 15-16, 17 e n, 40, 43n,
Massimo il Confessore 23 e n, 511 e n 123 e n, 125n, 141, 145 e n, 147 e
n, 151, 157n, 166n, 167, 168 e n,
Omero 81 e n, 96 173n, 176 e n, 188n, 197n, 198-
199, 210n, 221n, 299n, 459n, 511,
Palladio 564 e n 513-530, 533 e n, 536-538, 540-
Panfilo 19n, 22 e n 543, 545-547, 549, 550n, 551 e n,
Pietro Crisologo 514n 552n, 553-554, 556, 558 e n, 562,
Pitagora 83 e n, 87, 277n, 538, 577 563 e n, 590, 603n, 609, 614, 615n,
Platone 82 e n, 83n. 84 e n, 87 e n, 89 619n, 620n, 621 e n, 623, 632n,
e n, 90n, 94n, 109 e n, 157n, 215n, 637-644
277n, 278 e n, 539 Tommaso d’Aquino 96
Plotino 38n, 88 e n, 97, 161n, 279 e n
Policarpo di Smirne 206n Valentino 211n
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

Abbattista E. 408n Bernstein M.J. 179n, 520n


Alciati R. 595n Bertrand D. 10n, 23n, 49 e n, 51 e n,
Alexandre M. 12, 28n, 37n, 575n, 587n, 61n, 68n, 74 e n, 76n, 190n, 220n,
599n, 602n, 605n 222n, 566 e n, 567n
Amand D. 115n Bettiolo P. 206n, 255n, 564n, 566n,
Amphoux C.-B. 220n, 227n 580n, 585n, 586n
Antoni G. 609n, 612n, 614n, 616n, Beyer Moser M. 182n, 184n, 193n,
619n, 633n, 636n, 642n 313n, 323n, 325n
Antoniono N. 55n, 172n, 178n, 661 Bianco M.G. 531n
Arnou R. 192n Bitton-Ashkelony B. 11
Attinger D. 12 Blanc C. 184n, 282n
Auwers J.-M. 302n Blok F.F. 23n
Ayroulet É. 587n, 590n Bostock G. 169n
Bradshaw P.F. 197n, 210n, 438n
Bader R. 269n, 272n Brésard L. 141n
Badilita C. 217n, 595n Brock S. 429n, 511n, 555n, 556n, 557n,
Balthasar H.U. von, 36n, 37, 637 e n 558n
Bammel C. 313n, 314n Brown M.J. 519n, 531n, 540n, 544n,
Bandt C. 12 587n
Barbàra M.A. 63n, 302n, 309n, 312n, Bucchi F. 420n
399n Buchinger H. 12, 29n, 140n, 150n,
Barth K. 214n 198n, 199n, 244n, 384n, 460n
Baskin J.R. 262n Bumazhnov D.F. 596n
Bastit-Kalinowska A. 54n, 287n, 330n Bunge G. 564n
Bazzana G.B. 221n
Beatrice P.F. 609n Cacciari A. 12, 610n, 611n, 613n,
Beauchamp J. 12 615n, 619n
Beauchamp P. 290n Cacitti R. 94n
Becker E.-M. 234n Caldarelli G. 587n
Belda M. 443n Calderone S. 220n, 221n, 624n
Bellis M.A. 526n Callahan J.F. 587n
Bendinelli G. 73n, 88n, 89n, 90n, 175n, Camplani A. 12, 22n, 575n
279n, 330n, 409n Capelle B. 262n
Benjamins H.S. 109n Chadwick H. 197n
Bentley R. 25 Chapot F. 81n, 82n, 83n, 519n, 524n,
Bernardini P. 255n, 581n 545n, 550n, 552n, 614n, 620n
Berner U. 28n, 31n, 36n, 37n, 38n Chazon E.G. 179n, 520n
Bernanos G. 358 e n Clark E.A. 493n
736 Indice degli autori moderni
Clausi B. 261n Devreesse R. 431n, 508n
Coakley S. 152n Di Segni L. 12
Cocchini F. 12, 44 e n, 48n, 60n, 61n, Dibelius O. 6n, 28 e n, 29 e n, 32 e n,
124n, 148n, 154n, 169n, 181n, 33 e n
185n, 186n, 210n, 214n, 223n, Dillon J. 38n, 217n
230n, 312n, 313n, 314n, 315n, Doeker A. 512n
316n, 317n, 318n, 319n, 320n, Dölger F.J. 28n, 168n, 519n, 527n
321n, 323n, 324n, 325n, 326n, Dorival G. 12, 83n, 84n, 86n, 88n, 90n,
327n, 328n, 373n, 383n, 432n, 252n, 264n, 400n, 568n
433n, 451n, 475n, 485n, 493n, Drecoll V.H. 449n
496n, 501n Dulaey M. 142n
Cooper A.G. 23n, 511n Dürig W. 523n
Corsini E. 184n, 191n, 192n, 202n, Duval Y.-M. 144n, 347n
204n, 209n, 211n, 217n, 222n, Dyckhoff P. 103n
223n, 225n, 226n, 227n, 233n, Dysinger L. 546n, 581n
282n, 283n, 284n, 285n, 286n,
287n, 288n, 289n, 290n, 291n, Ebeling G. 80 e n
292n, 293n, 294n, 296n, 297n, Ebenbauer P. 512n
298n, 299n, 300n, 301n, 302n, Ehrman B. 476n
348n, 464n, 472n, 503n, 504n Emmenegger G. 12, 25n
Courtray R. 624n, 628n
Crimella M. 12 Fagerberg D.W. 586n
Crouzel H. 7, 8n, 16n, 37 e n, 38n, 57n, Fédou M. 162n, 262n, 272n, 462n
88n, 151n, 191n, 212n, 279n, 306n, Fee G.D. 476n
359n, 371n, 420 e n, 421 e n, 480n, Feldman P. 11
484n, 546n, 567n Fernández S. 188n, 288n, 370n
Cullmann O. 80 e n, 201n, 208n, 214n, Ferrari Toniolo C. 262n
219n, 220n, 234n, 330n Festugière A.-J. 94n
Cuva A. 548n Fiedrowicz M. 642n
Filoramo G. 160n
Dainese D. 12 Fleury C. 25n
Danieli M.I. 12, 19n, 149n, 156n, 166n, Förster N. 86n, 87n, 88n, 90n, 95n, 98n,
171n, 176n, 217n, 226n, 248n, 116n
250n, 277n, 329n, 337n, 341n, Foucault M. 50
362n, 363n, 373n, 374n, 377n, Fowden G. 163n
381n, 396n, 397n, 404n, 418n, Frank K.S. 171n
419n, 449n, 454n, 462n, 564n, Freyburger G. 28n
648n, 654n Fritz L. 575n
Daniélou J. 38 e n, 41, 87n Froehlich K. 514n
de Andia Y. 585n Fürst A. 653n
de Lagarde P. 575n
de Lubac H. 37 e n, 61n, 143n, 149n, Gaiser K. 82n
662 Gas, par C. 12
Delarue C. 25 e n Gavoille L. 522n
Delarue C.-V. 25 Géhin P. 569n, 570n
Des Places É. 81n, 82n, 83n, 86n, 88n, Genet D. 29 e n, 30 e n, 32n, 42, 643
89n, 90n, 94n Gerhards A. 512n
Indice degli autori moderni 737
Gessel W. 8n, 38, 42-49, 51, 58n, 70n, Irshai O. 12
72n, 73n, 74n, 92n, 95n, 132n,
134n, 135n, 136n, 137 e n, 140, Jackson B.D. 82n, 83n, 89n, 109n,
152n, 163n, 180n, 190 e n 157n
Giannantoni G. 84n Jacobsen A.-C. 11
Gioanni S. 514n Jakab A. 595n
Girod R. 222n, 329n Jay E.G. 16n, 24n, 26, 38, 39-41, 44n,
Goltz E. von der 28 e n, 29 e n, 32 e n 55n, 110n, 111n, 131n, 132n,
Gramaglia P.A. 210n, 222n 134n, 164n, 172n, 178n, 179n,
Grant R.M. 97n 197n, 202n, 228n, 519n, 543n,
Grappone A. 358n, 371n, 377n, 378n, 553n, 661
411 e n, 412n, 416n, 420 e n, 421 e Jonquière T.M. 21n, 81n, 143n, 169n
n, 422n, 424 e n, 425n, 426n, 427n Jourdan F. 535n
Graumann T. 22n Junod É. 9n, 19n, 46 e n, 49, 52n, 53n,
Greer R.A. 55n 57n, 59n, 70n, 73n, 103n, 244n,
Greeven H. 28n, 81n, 82n, 83n, 84n, 247n
85n, 125n Kannengiesser C. 28n, 36n, 37n
Gregg J.A.F. 313n Kant I. 80
Grossi V. 520n, 522n, 525n, 545n, Kierkegaard S. 79
546n, 548n, 570, 610n Kim K.W. 476n
Guillaumont A. 564 e n, 566n, 569n, Klauser T. 515n
572n, 575n Klostermann E. 143n
Koch H. 33 e n, 36n, 37n
Hadot P. 49 e n, 88n, 94n, 159n, 278n, Koetschau P. 19n, 20 e n, 22n, 23 e n,
568n 24n, 25 e n, 55n, 70n, 98n, 115n,
Hamman A. 28n, 210n, 517n 132n, 134n, 139n, 172n, 178n,
Hammerling R. 28n, 512n, 609n, 626n, 179n, 183n, 192n, 197n, 199n,
628n 202n, 203n, 204n, 257n
Hannah D.D. 173n Kofsky A. 12, 555n, 559n
Harl M. 438n, 450n, 500n, 502n Konstantinovksy J. 17n, 23n, 140n
Hausherr I. 322n, 555n, 566n, 567n, Korting G. 221n
569n, 571n, 572n, 574n, 575n, Krauss S. 400n, 489n
576n, 577n, 578n, 580 e n, 583n, Krueger D. 12
584n, 585n, 586n Kuyama M. 143n
Heidl G. 611n, 621n
Heiler F. 80n, 81 e n, 83n, 85n, 110n, Laurot B. 81n, 82n, 83n
119n, 121n, 151n Layton R.A. 343n
Heine R.E. 19n, 20n, 49n Le Boulluec A. 94n, 95n, 154n, 161n,
Heither T. 7n 167n, 244n, 435n, 530n, 531n,
Hengstermann C. 653n 532n, 534n, 536n, 537n, 542n,
Héring J. 26n 543n
Hermans T. 275n Leanza S. 498n
Herrmann J. 28n, 81n, 82n, 83n, 84n, Ledegang F. 210n, 215n, 216n
85n, 125n Lefeber P.S.A. 10n, 46n, 47 e n, 48
Holmes M.W. 476n e n, 49
Huet P.D. 23n, 24 Lekkas G. 115n
Hunter D.G. 493n Leonhardt J. 167n, 520n
738 Indice degli autori moderni
Lettieri G. 24n, 25n, 217n, 290n Muraru A. 115n
Levinas E. 5 Muyldermans J. 572n, 573n
Lies L. 253n
Lieske A. 36 e n, 37 e n, 38 Nautin P. 9n, 18 e n, 19 e n, 20 e n, 21,
Livneh Y. 12 22 e n, 143n, 244n, 247n, 251, 260,
Löhr W.A. 72n, 88n, 89n, 92n, 98n, 261n, 264n, 282n, 302 e n, 313n,
517n 329n, 359n, 489n, 506n
Lombino V. 514n, 519n, 545n Neuschäfer B. 97n, 98n
Lommatzsch C.H.E. 25 e n Newman H. 12
Lona H.E. 269n Niculescu V. 255n
Louth A. 38n Noce C. 214n, 254n, 255n, 256n, 257n,
Lozza G. 23n, 575n, 587n, 595n 258n, 259n, 260n
Lugaresi L. 12, 68n, 164n, 231n, 253 Noel V. 165n, 223n
n, 531n, 534n Novalis 15
O’Laughlin M. 565n
Madec G. 611n O’Leary J. 159n
Magris A. 276n Osborn E. 46n
Maier J. 520n Ostmeyer K.-H. 28n, 290n
Maldina N. 12 Oulton J.E.L. 26, 55n, 129n, 134n,
Malebranche 88n 136n, 172n, 178n, 492n
Markschies C. 9n, 12, 25n, 94n, 165n,
178n, 247n, 313n, 372n, 512n Paddle A.G. 192n
Martens P. 191n Papaconstantinou A. 130n
Massignon L. 243 Parisot J. 555n
Mauss M. 27 e n, 28 e n, 151n Pastorelli D. 139n, 395n, 464n
Mazzucco C. 275n Pazzini D. 12, 379n
McDowell M. 143n, 144n Penati Bernardini A. 23n, 88n, 588n,
McGinn B. 38n 589n, 593n, 595n
McGuckin J.A. 282n, 284n Pennacchio M.C. 187n, 370n
Méhat A. 20n, 28n, 73n, 276n, 278n, Pépin J. 84n, 91n, 95n, 516n
280 e n, 568n Pericoli Ridolfini F. 555n
Mello A. 12 Pernot L. 28n
Meredith A. 588n, 590n, 593n, 595n Perrone L. 7n, 8n, 9n, 20n, 21n, 39n,
Metzler K. 12 43n, 49n, 54n, 59n, 68n, 72n, 73n,
Michel O. 515n 75n, 96n, 108n, 123n, 124n, 129n,
Monaci Castagno A. 9n, 12, 18n, 36n, 142n, 143n, 146n, 150n, 151n,
43n, 46n, 50 e n, 76n, 143n, 159n, 157n, 159n, 190n, 198n, 200n,
160n, 162n, 170n, 174n, 188n, 206n, 223n, 225n, 233n, 237n,
189n, 227n, 230n, 250n, 288n, 244n, 245n, 246n, 247n, 261n,
358n, 384n, 650n 264n, 265n, 267n, 272n, 275n,
Montanari F. 178n 282n, 287n, 302n, 315n, 330n,
Mortari L. 51n, 203n, 211n, 231n, 370n, 373n, 393n, 408n, 437n,
232n 493n, 512n, 514n, 546n, 583n
Mortley R. 474n, 532n Pesce M. 60n
Motte A. 83n Phillips L.E. 165n, 197n, 438n, 459n
Müller J. 405n Philonenko M. 198n, 201n, 208n, 219n,
Müller K. 198n, 209n, 229n, 234n 220n, 229n, 234n
Indice degli autori moderni 739
Pichler K. 98n Santiago Vázquez J.M. 523n
Pieri F. 167n, 313n, 355n Saxer V. 144n, 517n
Pierre M.-J. 555n Scherer J. 262n, 263n
Pietras H. 501n, 504n Schnurr K.B. 514n, 519n, 545n, 602n,
Pini G. 530n, 545n 609n
Piscitelli Carpino T. 166n, 167n Schütz W. 7n, 155n, 178n, 371n
Pizzolato L.F. 8n, 48n Scognamiglio R. 143n, 174n, 186n,
Poirier M. 550n 187n, 199n, 202n, 204n, 209n,
Pollmann K. 11 226n, 228n, 232n, 233n, 298n,
Pozzi G. 52n 329n, 331n, 332n, 333n, 334n,
Prawer L. 11 335n, 336n, 337n, 338n, 339n,
Preuschen E. 52n 340n, 341n, 342n, 343n, 344n,
Pricoco S. 141n 348n, 349n, 350n, 351n, 352n,
Prinzivalli E. 12, 22n, 23n, 282n, 328n 353n, 354n, 355n, 357n, 358n
Prudhomme M.-A. 40n Scott A. 12, 103n, 109n, 111n, 113n,
Pulleyn S. 7n, 81n 169n
Scott R. 12
Quacquarelli A. 208n
Scrofani G. 198n, 514n
Rabbow P. 49 Segelberg E. 92n
Rabinovici E. 11 Serra Zanetti P. 535n
Rahner K. 192n Severus E. von, 28n, 81n, 83n, 88n,
Raikas K.K. 622n 167n, 168n, 330m 517n, 520n,
Ramelli I. 227n 522n, 526n, 540n, 545n
Ramsbotham A. 508n Sfameni Gasparro G. 155n, 169n, 173n,
Reading W. 24n 212n, 276n, 462n, 494n
Regnault L. 607n Sgherri G. 144n, 178n, 204n, 251n,
Resch A. 60n, 542n 271n
Ressa P. 266n, 268n, 269n, 270n, 274n, Sheerin D. 46 e n, 47, 371n, 410 e n
275n, 277n, 278n Shelford A.G. 24n
Rickenmann A. 303n Simonetti M. 15n, 16n, 73n, 96n, 132n,
Riggi C. 136n 137n, 141n, 167n, 208n, 222n,
Rist J.M. 84n, 88n, 113n 248n, 252n, 262n, 311n, 339n,
Rius-Camps J. 252n 412n, 480n, 484n, 544n
Rizzi M. 8n, 12, 48n, 215n, 275n, 531n, Siquans A. 143n
532n Sodano A.R. 89n
Roberts L.W. 152n Stewart C. 564n, 566n, 567n, 568n,
Robin C.J. 12 569n, 586n, 595n, 596n, 599n,
Rogers E. 12 602n, 605n, 607n, 608n
Rondeau M.-J. 438n Stökl Ben Ezra D. 396n
Rordorf W. 167n, 258n, 587n Stori E. 557n
Rosa P. 58n Stritzky M.-B. 44 e n, 84n, 85n, 87n,
Roselli A. 113n 95n, 116n, 199n, 213n, 215n, 222-
Rossetti C.L. 425n n, 230n, 233n, 514n, 519n, 523n,
Roukema R. 92n, 530n 525n, 526n, 529n
Ruggiero F. 197n, 553n Stroumsa G.G. 12, 24n, 25n, 177n,
Russell Christman A. 8n, 654n 206n, 281n
Ruzer S. 555n, 559n Studer B. 124n, 167n
740 Indice degli autori moderni
Theiler W. 110n Vincent M. 609n, 613n, 614n, 617n,
Thorndike H. 23n, 24n 618n, 632n
Thraede K. 165n, 520n Vogt H.J.218n, 246m 283n, 329n, 350n
Tomson P.J. 132n Völker W. 10n, 29n, 31-36, 37n, 38n,
Trevijano Etcheverria R. 44 e n, 95n, 39, 41, 44, 47, 153n, 191n, 196 e
124n, 140n n, 197n, 360n, 436, 467 e n, 474-
Tripaldi D. 12, 557n 475, 531n, 534n, 535n, 543 e n
Tugwell S. 566n Volp U. 76n
Tuschling R.M.M. 187n, 197n Vossius I. 23n

Van Bavel T.J. 609n, 612n, 617n Wallraff M. 12, 76n, 541n
Van der Ejik P. 21n, 108n, 109n, 110n, Walther G. 514n, 544n
111n, 113n, 114n, 117n Walton B. 24n
Van der Horst P.W. 86n, 87n, 520n Wendland P. 192n
Van Winden J.C.M. 132n Wetstein J.R. 24-25, 257n
Vian G.M. 17n Wilken R.L. 171n
Vigne D. 514n
Villani A. 12, 98n Zamagni C. 96n
SOMMARIO

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1. L’«offerta più grande», 5 - 2. La sfida di un’indagine complessa, 8

PARTE PRIMA
Il trattato sulla preghiera

Capitolo primo
Il contesto del Perì euchês. Lo sfondo remoto e l’occasione
prossima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1. Lo sfondo remoto: interrogativi filosofici e preoccupazioni cate-
chetiche, 15 - 2. L’occasione prossima: la richiesta di Ambrogio,
17 -3. Uno scritto “singolare”?, 19 - 4. Sfortune e fortuna di Orat:
condanna, sopravvivenza ed edizione, 21

Capitolo secondo
Prospettive della ricerca. Il discorso sulla preghiera fra vita
spirituale e teologia . . . . . . . . . . . . . . . 27
1. Per un breve panorama storiografico: le indagini sulla storia della
preghiera, 27 - 2. Ideale di perfezione e preghiera in Origene se-
condo Walther Völker, 31 - 3. Nuovi approfondimenti: preghiera e
«immagine di Dio», 36 - 4. Retorica e teologia nell’interpretazione
di Wilhelm Gessel, 42 - 5. Nuovi indirizzi di studio: il paradigma
degli «esercizi spirituali», 48

Capitolo terzo
In ascolto del testo. Dall’ ouverture alla struttura armonica . . . 51
1. Il prologo come chiave di lettura, 51 - 2. L’argomentazione
della preghiera come paradosso, 58 - 3. La motivazione antropolo-
gica: l’«umana debolezza», 62 - 4. Nell’agone del mondo: fra liber-
tà e responsabilità, 67 - 5. La costruzione del trattato: dal provblhma
al lovgo~, 69
742 Sommario

Capitolo quarto
La critica della preghiera. Quaestio e solutio . . . . . . . 79
1. Le aporie filosofiche: esperienza orante e riflessione critica, 79 -
2. Gli echi cristiani del dibattito filosofico e gli avversari di Orige-
ne, 90 - 3. La replica alle aporie: un esercizio di quaestiones et re-
sponsiones, 96 - 4. La quaestio: inconciliabilità della preghiera con
prescienza e predeterminazione divine, 100 - 5. La responsio: il
presupposto del libero arbitrio, 108 - 6. La preghiera fra prescienza
e provvidenza: iniziativa umana e risposta divina, 116

Capitolo quinto
L’atto della preghiera. Abbozzi di un’ ars orandi . . . . . . 123
1. Uno sguardo prospettico: dal fondamento scritturistico alla pras-
si orante, 123 - 2. L’indagine sulla terminologia biblica: il primato
della proseuchv, 125 - 3. La proseuchv come preghiera al Padre,
133 - 4. L’immagine biblica della preghiera: gli oranti dell’Antico
Testamento, 140 - 5. Istruzioni per la preghiera: un atto con l’anima
e con il corpo, 151 - 6. Le disposizioni preliminari: purificazione
dal peccato e riconciliazione fraterna, 155 - 7. Lo sforzo di con-
centrazione interiore e la memoria di Dio, 158 - 8. Il ruolo del corpo
come immagine dell’anima, 165 - 9. Lo spazio per pregare: un con-
trappeso alla spiritualizzazione, 170 - 10. Dall’orazione individuale
a quella comunitaria: pregare nella chiesa, 176 - 11. L’atto orante
come atto di comunione, 181 - 12. Una postilla sullo «sbocco misti-
co» dell’atto orante: la contemplazione, 189

Capitolo sesto
La «Preghiera del Signore» vita del cristiano. L’interpretazione
del Padrenostro . . . . . . . . . . . . . . . . 196
1. Preghiera e vita: un modello per l’oratio continua, 195 - 2. Il
Padrenostro e il paradigma della «preghiera spirituale», 198 - 3. Un
compito difficile: la «via stretta» del cristiano, 200 - 4. La vocazio-
ne alla santità dei figli di Dio, 207 - 5. «Come in cielo, così in ter-
ra»: le prime tre petizioni, 212 - 6. La vita dell’uomo nell’orizzonte
di Dio: la domanda del «pane», 219 - 7. Nella trama dei doveri re-
ciproci: la domanda per la remissione dei «debiti», 229 - 8. Il pas-
saggio obbligato della prova: la richiesta per non soccombere alla
tentazione, 234
Sommario 743

PARTE SECONDA
Il discorso origeniano sulla preghiera
e le trattazioni eucologiche
del primo cristianesimo (II-V secolo)

Capitolo settimo
«Come incenso al tuo cospetto» (Sal 140[141], 2). L’immagine
della preghiera nell’opera di Origene . . . . . . . . . . 243
1. Un tentativo di sintesi: fra rassegna e ricostruzione organica,
243 - 2. Il profilo distinto delle fonti e la loro utilizzazione, 244
3. La mappa dei luoghi sulla preghiera, 251 - 3.1. I trattati, 251 -
3.1.1. I Principi, 251 - 3.1.2. Esortazione al martirio, 253 - 3.1.3.
Dialogo con Eraclide, 260 - 3.1.4. Contro Celso, 264 - 3.1.4.1.
Esperienze di preghiera: l’incidenza del paradigma di Orat, 265 -
3.1.4.2. La preghiera di Gesù nel Getsemani, 269 - 3.1.4.3. La pre-
ghiera nel confronto tra paganesimo e cristianesimo, 271 - 3.1.4.4.
La dimensione politica della preghiera, 273 - 3.1.4.5. La preghiera
come ascensione della mente in Dio, 276
3.2. I commentari, 281 - 3.2.1. Commento a Giovanni, 282 - 3.2.1.1.
L’invocazione a Dio per la venuta del Logos come «maestro dei
misteri», 283 - 3.2.1.2. Il modello di Gesù orante: la preghiera al
Padre, 290 - 3.2.1.3. L’esempio del pubblicano: la preghiera del-
l’uomo peccatore, 298 - 3.2.2. Commento al Cantico dei Cantici,
302 - 3.2.2.1. La preghiera per l’intelligenza spirituale: dall’autore
al lettore, 303 - 3.2.2.2. Sponsa orans, 306 - 3.2.3. Commento a
Romani, 312 - 3.2.3.1. La preghiera tra legge della carne e legge
dello spirito, 314 - 3.2.3.2. Lo Spirito maestro di preghiera, 323 -
3.2.3.3. Pregare il Padre e il Figlio, 326 - 3.2.4. Commento a Mat-
teo, 329 - 3.2.4.1. «Esegesi orante»: la conoscenza del mistero e i
limiti dell’interprete, 331 - 3.2.4.2. La preghiera di Gesù: l’inter-
cessione per gli uomini e l’adesione alla volontà di Dio, 339 -
3.2.4.3. La forza della preghiera: concordia orante, prassi di vita ed
esaudimento, 349
3.3. Le omelie, 358 - 3.3.1. Trattazioni specifiche nel corpus omi-
letico, 359 - 3.3.2. L’omelia come momento orante: la preghiera
del predicatore e della comunità per la venuta del Logos, 371 -
3.3.3. Linguaggio e immagini della preghiera: i modelli di oranti,
385 - 3.3.4. Dimensione comunitaria e aspetti individuali: la pre-
ghiera e il combattimento spirituale, 398 - 3.3.5. La preghiera del
peccatore e la confessione di colpa, 403 - 3.3.6. Conclusione in
forma di preghiera: parenesi e dossologia, 410
744 Sommario

Capitolo ottavo
I nuclei scritturistici della riflessione origeniana sulla preghiera . 429
1. Una costellazione di luoghi biblici come fonte di ispirazione,
429 - 2. Le citazioni “normative”: illustrazioni e modelli dell’atto
orante, 430 - 2.1. 1Tm 2, 8 (9): atteggiamento esteriore e disposi-
zioni interiori, 430 - 2.2. 1Tm 2, 1(-2): tipi di preghiere e loro gerar-
chia, 435 - 2.3. Sal 140(141), 2: preghiera come offerta di una vita
santa, 438 - 2.4. Ap 5, 8: postilla sulla preghiera come «profumo dei
santi», 441 - 2.5. 1Ts 5, 17: vita come preghiera continua, 443 -
2.6. Is 58, 9: promessa di esaudimento e sue condizioni, 446 - 2.7.
Sal 108(109), 7: un modello in negativo – la preghiera del peccato-
re, 449 - 2.8. Es 17, 11: la preghiera e la lotta spirituale, 451 - 3. Le
citazioni collaterali: complementi di riflessione su modalità e signi-
ficato della preghiera, 454 - 3.1. Sal 122(123), 1: gli occhi del corpo
e gli occhi dell’anima, 454 - 3.2. At 10, 9: la preghiera come “asce-
sa” – nell’unione di corpo, anima e spirito, 458 - 3.3. 1Gv 2, 1(-2):
Gesù Cristo come intercessore presso il Padre, 463 - 4. Nuovi af-
fondi: prospettive inedite su dottrina e prassi della preghiera, 466 -
4.1. 1Cor 14, 15: preghiera vocale, preghiera silenziosa, 466 - 4.2.
Gv 17: la preghiera di Gesù «sommo sacerdote» per l’unità in Dio
di tutti gli uomini, 475 - 4.3. Mt 18, 19: la necessità della preghiera
concorde, in Cristo e nello Spirito, 488 - 4.4. 1Cor 7, 5: sessualità e
preghiera, 492 - 4.5. Mt 5, 44: la preghiera per i nemici e l’univer-
salità dell’amore, 499 - 5. Conclusione: l’universo scritturistico del-
la preghiera e le sue rifrazioni in Origene, 505

Capitolo nono
La costruzione di un modello. Origene e il discorso cristiano
sulla preghiera da Tertulliano ad Agostino . . . . . . . . 511
1. Origene e la riflessione sulla preghiera fra II e V secolo, 511 - 2.
Tertulliano: la novità dell’oratio christiana come preghiera spiri-
tuale, 514 - 3. Clemente Alessandrino: la pietà del cristiano come il
vero «gnostico», 530 - 4. Cipriano: la preghiera del Maestro nella
comunione della chiesa, 545 - 5. Afraate: la forza della preghiera
del cuore in accordo con le opere, 554 - 6. Evagrio Pontico: la «pre-
ghiera pura» come vertice dell’itinerario monastico di perfezione,
564 - 7. Gregorio di Nissa: la preghiera come confessione della crea-
turalità e memoria della patria celeste, 587 - 8. Cassiano: la trasfor-
mazione monastica del paradigma della preghiera spirituale, 595 -
9. Agostino: la preghiera come gemito dello Spirito nel desiderio
della Vita Beata, 609 - 10. Epilogo: le consonanze origeniane del
discorso eucologico fra II e V secolo, 636
Sommario 745

Conclusione
La preghiera di Origene . . . . . . . . . . . . . . 645
1. Le confessioni di un uomo di preghiera, 645 - 2. L’auspicio di
una fecondità spirituale, 648 - 3. La necessità di una purificazione,
651 - 4. L’attesa della venuta del Verbo, 654

Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 657
1. Opere di Origene, 657 - 2. Altre abbreviazioni, 658 - 3. Avver-
tenza bibliografica, 659

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 661
I. Edizioni e traduzioni, 661 - 1. Opere di Origene, 661 - 1.1. Edi-
zioni e traduzioni di Orat, 661 - 1.2. Edizioni di altri scritti, 661 -
1.3. Traduzioni, 664 - 2. Opere di altri autori antichi, 664 - 3. Edi-
zioni e traduzioni della Bibbia e di fonti extracanoniche, 667 - 4. Re-
pertori, strumenti e raccolte, 667 - II. Studi, 667

Indice dei luoghi scritturistici . . . . . . . . . . . . 691


1. Antico Testamento, 691 - 2. Nuovo Testamento, 698

Indice dei luoghi origeniani . . . . . . . . . . . . . 709


1. Commenti e frammenti esegetici, 709 - 2. Omelie, 716 - 3. Trat-
tati e altri scritti, 722

Indice dei termini greci . . . . . . . . . . . . . . 729

Indice degli autori antichi . . . . . . . . . . . . . 733

Indice degli autori moderni . . . . . . . . . . . . . 735


LETTERATURA CRISTIANA ANTICA - Nuova serie

1. C. Moreschini, Storia della filosofia patristica (2a ed.) (Strumenti)


2. M. Simonetti, Origene esegeta e la sua tradizione (Studi)
3. Tertulliano, La resurrezione della carne, a cura di P. Podolak (Testi)
4. S. Lilla, Dionigi l’Areopagita e il platonismo cristiano (Studi)
5. J. Fontaine, Letteratura tardoantica. Figure e percorsi (2a ed.) (Studi)
6. C. Moreschini, Introduzione a Basilio il Grande (Introduzione a ...)
7. Gregorio di Nazianzo, Autobiografia. Carmen de vita sua, a cura di F. Trisoglio
(Testi)
8. P. Podolak, Introduzione a Tertulliano (Introduzione a ...)
9. C. Micaelli, La cristianizzazione dell’ellenismo (Studi)
10. C. Moreschini - E. Norelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e
latina, (2a ed.) (Strumenti)
11. C. Moreschini, Introduzione a Gregorio Nazianzeno (Introduzione a ...)
12. C. Moreschini - E. Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e
latina: vol. I: Da Paolo all’età costantiniana (3a ed.) (Strumenti)
13. S. Petri, Introduzione a Ilario di Poitiers (Introduzione a ...)
14. Pelagio, Lettera sulla castità, a cura di A. Cerretini (Testi)
15. H. Usener, San Ticone, a cura di I. Sforza (Studi)
16. Isidoro di Siviglia, Le sentenze, a cura di F. Trisoglio (Testi)
17. R.M. Parrinello, Santità, eresia e politica a Bisanzio nel XII secolo. Costantino
Crisomallo, il falso bogomilo (Studi)
18. S. Taranto, Gregorio di Nissa. Un contributo alla storia dell’interpretazione
(Studi)
19. M. Veronese, Introduzione a Cipriano (Introduzione a ...)
20. F. Trisoglio, Introduzione a Isidoro di Siviglia (Introduzione a ...)
21. Epifanio di Salamina, Panarion. Libro primo, a cura di Giovanni Pini (Testi)
22. F. Calabi, Storia del pensiero giudaico ellenistico (Strumenti)
23. A. Monaci Castagno, L’agiografia cristiana antica. Testi, contesti, pubblico
(Strumenti)
24. L. Perrone, La preghiera secondo Origene. L’impossibilità donata (Strumenti)

Precedentemente pubblicati:
Strumenti
C. Moreschini - E. Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e lati-
na: vol. II: Dal concilio di Nicea agli inizi del Medioevo, 2 tomi inseparabili
(2a ed.)

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C. Moreschini - E. Norelli, Antologia della letteratura cristiana antica greca e
latina: t. I: Da Paolo all’età costantiniana - t. II: Dal concilio di Nicea agli
inizi del Medioevo, 2 tomi inseparabili

Studi
L. Canfora - N.G. Wilson - C. Bevegni, Fozio. Tra crisi ecclesiale e magistero
letterario, a cura di G. Menestrina
G. Casadio, Vie gnostiche all’immortalità, (2a ed.)
G. Lettieri, L’altro Agostino. Ermeneutica e retorica della grazia dalla crisi alla
metamorfosi del De doctrina christiana
M. Marin - C. Moreschini, Africa cristiana. Storia, religione, letteratura
G. Menestrina, Bibbia liturgia e letteratura cristiana antica
C. Moreschini, Storia dell’ermetismo cristiano
E. Norden, Agnostos Theos - Dio Ignoto. Ricerche sulla storia della forma del
discorso religioso, a cura di C.O. Tommasi Moreschini
G. Sfameni Gasparro, Agostino tra etica e religione
S. Taranto, Agostino e la filosofia dell’Amore
R. Uglione, Tertulliano. Teologo e scrittore

Testi
Origene, Contro Celso, a cura di P. Ressa
Pseudo Giustino, Sulla resurrezione. Discorso cristiano del II secolo, a cura di A.
D’Anna
Alano di Lilla, Sulle tracce di Dio. Regulae caelestis iuris. Sermo de sphaera
intelligibili, a cura di M. Rossini
Vigilio di Tapso, Contro Eutiche, a cura di S. Petri

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Annotazioni

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