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ANALISI DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE

1. La natura risponde all’islandese facendo crollare ogni forma di antropocentrismo. Essa non vuole fare del
male all’uomo, ma è indifferente alle creature umane, sia quando fa del male che quando fa del bene.
L’uomo non è più al centro del mondo, e la natura dice esplicitamente che questo non è fatto per lui, e
l’essere umano non può niente davanti alla potenza della natura, che come essa ammette, si manifesta
soprattutto nei luoghi selvaggi in cui incontra l’Islandese. Addirittura alla fine del dialogo, la Natura non
risponde alla domanda dell’Islandese: l’uomo deve imparare a conoscere i propri limiti, non può sapere
tutti i misteri della Natura.

2. Leopardi inizialmente definisce la natura “viva”, fa quindi pensare al fatto che sia molto attiva nel
compiersi delle cose e degli eventi. Andando avanti nel testo però, Leopardi inizia a connotarla
negativamente: i due aggettivi che spiccano sono “nemica” e “carnefice”, proprio a indicare il grande
potere della natura, di cui l’uomo può solo essere succube, perché se esa si scatena, può distruggerlo.

3. La Natura è presentata come un gigante antropomorfo, paragonato a una statua dell’isola di Pasqua, ma
con fattezze femminili, col busto dritto e col volto bello, da contemplare, ma allo stesso tempo terribile: la
Natura è affascinante e spaventosa. L’Islandese invece viene presentato come un uomo che vuole fuggire
dalla natura, ma si accorge che non può farlo e che non può vivere senza sofferenze, come ad esempio il
clima avverso e le tempeste.

4. Il Dialogo si svolge in Africa, un luogo reale, la cui descrizione non viene approfondita dal poeta. Egli si
serve di questo posto perché é un posto funzionale al significato che vuole mandare: é un luogo selvaggio,
in cui la Natura quindi si manifesta di più.

5. L’Islandese si rivolge alla Natura, spiegandole che gli uomini sono alla costante ricerca della felicità, e
pensano di poterla ottenere prevaricando gli altri uomini. Egli vuole quindi isolarsi da questi: in Islanda era
più facile, ma presto si accorse che, anche se escluso dalla società, non poteva comunque sfuggire alle
sofferenze e ai turbamenti provocati proprio dalla Natura. Ma non é finita qui, perché ciò non accade solo
in Islanda: non c’é nessun posto che abbia condizioni di vita perfette, e l’esperienza dell’Islandese ne é la
prova, perché lo afferma dopo aver viaggiato da un luogo all’altro del mondo. Ci si può liberare delle lotte
degli uomini tra loro, ma non dell’ambiente naturale, delle sue “azioni”, e delle creature che lo vivono.
Dalle parole dell’Islandese infatti, non emerge un buon rapporto uomo-ambiente: egli afferma che le bestie
selvagge lo hanno voluto attaccare senza motivo, ad esempio. Ma arriva alla conclusione che non bisogna
avere paura dell’ambiente, perché altrimenti bisognerebbe temere tutto: ogni cosa può costituire un
pericolo. L’atteggiamento della Natura verso l’uomo non é stato e non é benevolo, essa non ha concesso
nemmeno un giorno libero da pene e sofferenze, é vista come una matrigna, come carnefice della sua
famiglia: l’ha creta, ma può distruggerla, e gli ha dato solo mali. É a questo punto che Leopardi, per bocca
dell’Islandese, arriva a parlare di quello che secondo lui é il peggiore dei mali che la Natura ha “offerto”
all’uomo: la vecchiaia, cioè prospettiva e attesa della morte, peggiore della morte stessa. Pochi anni sono
infatti destinati alla serenità, tutto il resto é declino verso la fine.
6. L’ironia di Leopardi é evidente verso la fine dell’opera, prima quando L’Islandese chiede alla Natura di
svelargli i suoi misteri, sapendo che non può ricevere risposta, e poi quando Leopardi ci descrive la sua fine,
perché lo fa proprio con una tragica ironia, sottolineata dall’ossimoro “mausoleo di sabbia”. Il mausoleo é
un monumento funebre destinato a durare nel tempo, mentre la sabbia é un materiale che viene subito
spazzato via: il mausoleo di sabbia ironicamente quindi, celebra ma svanisce. L’effetto che produce l’ironia
non é una risata, come potremmo pensare sentendo la parola, ma é la consapevolezza che Leopardi é
amareggiato dalla sua visione della Natura, che potrebbe spazzare via ogni cosa da un momento all’altro.

7. É Leopardi che racconta l’inizio e l’epilogo dell’incontro tra i due personaggi.

8. Uno dei canti in cui appare la visione della Natura come matrigna é sicuramente “La quiete dopo la
tempesta”. Nell’ultima strofa Leopardi, con un’amara e triste ironia, definisce la natura “cortese”, cioè
generosa, volendo intendere proprio il contrario: la natura in realtà é nemica, dispensatrice di mali, che
portano solo a brevi e vani attimi di piacere, per poi sfociare di nuovo nel dolore. Questo canto é stato
scritto dopo il Dialogo. Quest’ultimo infatti, ha costituito una svolta fondamentale nel pensiero di Leopardi:
se la scoperta di questa nuova e negativa visione della natura é frutto di una lunga meditazione rilevabile
nelle pagine dello Zibaldone, qui viene pienamente messa in luce, insieme anche al passaggio da
pessimismo storico a pessimismo cosmico. Questo Dialogo é quindi il punto di arrivo della parte del
pensiero pessimistico di Leopardi, ma il punto di partenza per le sue opere successive, per altri temi, e per il
nuovo percorso del pensiero del poeta stesso, che ci permetterà poi di rivalutarlo.

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