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A. Sia l’islandese che il pastore provengono da luoghi desolati e inospitali (l’uno in Islanda
soffre le condizioni climatiche avverse e i cataclismi della natura come i terremoti, le
inondazioni, le eruzioni e il pericolo rappresentato dalle belve, le malattie, l’altro in Asia vive
in un ambiente desertico.
B. Inoltre, entrambi sono erranti: il pastore, è nomade e si sposta continuamente con le sue
greggi senza una meta precisa; l’islandese visita tutti i luoghi della terra per vedere se ci fosse
un posto in cui potesse vivere in solitudine senza affanni e senza arrecare fastidio a
nessuno(r. 63), ma la sua fuga dalla natura si rivela infruttuosa (rr.75-76).
C. Nella operetta morale, la natura a cui si rivolge l’islandese è descritta come un busto che ha
le sembianze di una donna, con i capelli e gli occhi nerissimi, e il volto allo stesso tempo
bello e terribile. Il pastore ha lo sguardo rivolto verso gli astri e interroga la luna, che
nonostante sia un astro, viene anch’essa personificata, in quanto viene accostata alla verginità
di Artemide, divinità del mondo pagano, e paragonata a una giovinetta immortal (r.99)
Tuttavia, mentre tra l’islandese e la natura sussiste un vero e proprio dialogo a cui entrambi
gli interlocutori prendo parte, nel caso del pastore, la luna rimane silenziosa e ciò rende il
canto un monologo.
D. La luna e la natura dell’islandese sono accomunate dalla indifferenza nei confronti dell’uomo
e di tutti gli esseri viventi, mostrandosi freddamente distaccate
E. Il pastore si chiede quale sia il senso universale delle cose, ma siccome è umile e ingenuo,
può solo che basarsi sulle osservazioni che gli provengono dalla sua esperienza di vita;
pertanto, riflette sulla nascita degli uomini, sull’alternarsi di mattina e sera, sulla ciclicità
delle stagioni, sulla ripetitività del movimento degli astri che ammira in cielo; al contrario,
l’islandese si chiede quale fine ultimo abbia l’universo riflettendo sulla concezione filosofica
materialistica-meccanicistica che vede l’universo come un circuito autoalimentato di
produzione e distruzione; così facendo, dimostra di avere un certo grado di civiltà,
testimoniato anche dal fatto che espone, tra le altre cose, la teoria del piacere (r.95-96);
significativa risulta anche la r.173 nella quale l’islandese sembra dimostrare di essere a
conoscenza dei filosofi e del loro pensiero. Nel complesso, questo confronto sembra
suggerire il fatto che per l’uomo non sia necessario essere istruito per porsi domande di senso
e prendere lucidamente coscienza della propria infelicità.
F. Mentre l’islandese si rivolge accoratamente alla natura accusandola in modo implacabile di
essere nemica scoperta di tutti gli esseri viventi e carnefice degli stessi, il pastore, pur
sperimentando anche lui gli stessi affanni, non condanna la luna ma le chiede solo di
rivelargli il senso dell’esistenza, a lui ignoto. In entrambi i casi, la risposta agli interrogativi
dei personaggi non viene fornita: nella operetta morale, l’islandese viene o divorato da leoni
affamati o sepolto e mummificato a causa di una tempesta di sabbia; nel canto, il pastore non
è capace di risolvere l’enigma perché la luna non si esprime.
G. In aggiunta, mentre l’islandese, dopo aver elencato i patimenti sofferti durante il viaggio
intorno al mondo, sferra un attac
H. co pesante nei confronti della natura, includendo fin da subito nella sua riflessione tutti gli
esseri viventi, il personaggio del pastore si evolve: difatti, dapprima, afferma al v. 104, che
solo nel suo caso la vita è segnata dal male e non sa se questo valga anche per gli altri; poi,
prova invidia nei confronti del suo gregge, che a suo avviso non è assillato dal suo stesso
tedio. Tuttavia, nel finale sembra ricredersi e ammettere che anche le sue pecore soffrono e
che dunque l’infelicità sia una condizione universale.
7) silenziosa, vergine, intatta, solinga 61, eterna peregrina, pensosa, muta, giovinetta immortal,
candida 138, mortal non sei 59
9) Il tedio non è concepito nell’accezione che si ha oggigiorno di “non sapere come trascorrere il
tempo”, ma si riferisce ad un senso di vuoto esistenziale provocato da un divario incolmabile tra
l’aspirazione dell’uomo a un piacere illimitato e l’impossibilità del suo appagamento. Il pastore
descrive questa condizione come un fastidio che ingombra la mente, un assillo che punge senza
lasciare tregua ed è consapevole che il suo gregge non conosce questo stato di inquietudine e
angoscia mentre si riposa come lui sull’erba ombreggiata.
8) Il paradosso del dialogo sta nel fatto che la luna rimane silenziosa non rispondendo agli
interrogativi del pastore. Secondo la sua ipotesi, infatti, la luna conosce tutto e il senso di tutto,
(ammesso che ce ne sia uno), ma la questione tragica è che, se non lo comunica agli uomini,
nessuno di loro ne verrà mai a conoscenza. Pertanto, di fronte alla indifferenza e al distacco della
luna, il pastore cerca invano di trovare delle risposte con i propri mezzi, che tuttavia si
dimostrano insufficienti, sprofondando così nello sconforto.
11) La VI strofa, quella conclusiva e anche la più breve, è simile a un congedo di canzone
petrarchesca. Questo perché la rima tra quale/natale è anche presente alla fine della seconda parte
di ogni strofa, come nelle canzoni di Petrarca (la sirma) animale/assale frale/male mortale/cale
tale mortale
Accumulo di rime ale quale natale nel giro di pochi versi 11 versi c’è una frequenza di rime
superiore alla media delle altre strofe

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