È opportuno partire dal rapporto tra Giacomo Leopardi e il Romanticismo. Il poeta
recanatese ha avuto una formazione prevalentemente di matrice classica, tanto è vero che già all’età di quattordici anni era stato in grado di tradurre classici greci e latini. Tuttavia, non lo si può definire né classico né romantico: per lui si parla di classicismo romantico. Il Romanticismo prediletto da Leopardi era quello europeo, in quanto i componimenti avevano delle caratteristiche che si coniugavano bene con il suo modo di scrivere poesia: niente schemi strofici fissi, soggettivismo e temi a lui cari come l’infinito o il contrasto immaginazione/realtà. Del Classicismo, invece, Leopardi criticava molto l’apporto alla mitologia e la rigidità dei componimenti, ma prediligeva il fatto che la poesia fosse frutto di una visione spontanea delle cose, non ancora contaminata dalla ragione. Per questo motivo sorge un primo punto di distacco tra Leopardi e l’Illuminismo. Soffermandosi sulla concezione dell’uomo, per gli illuministi egli era al centro della visione del mondo ed era fondato sulla ragione e la libertà di giudizio. Per Leopardi, la situazione è ben diversa: il poeta recanatese non considera affatto l’uomo come essere privilegiato ed al centro del mondo; per la sua condizione di infelicità, dovuta alla concezione meccanicistica della natura maligna, lo pone addirittura al di sotto degli animali, in quanto almeno loro non provano “noia” (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). Per quanto riguarda la visione in merito alla religione, Leopardi è in sintonia con gli illuministi. Egli sostiene che gli uomini, pur di non accettare la loro condizione di infelicità, e quindi accettare il “vero”, preferiscono appagarsi all’inganno della religione, ritenuta per l’Illuminismo motivo di errori e superstizioni. La società del tempo, però, stava facendo passi indietro rispetto a quelli fatti dal Romanticismo fino all’Illuminismo, e Leopardi, in contrapposizione a questi atteggiamenti vili, contrappone la sua figura eroica e solitaria. Infine, ci si può soffermare sul tema del progresso. Gli illuministi consideravano il progresso applicabile universalmente ad ogni contesto societario, e ritenevano che le idee che riguardavano il progresso si sarebbero presto diffuse su tutto il pianeta. Leopardi, invece, attacca duramente il progresso, dall’alto della sua visione di pessimismo cosmico. La condizione umana, di infelicità dal momento in cui si nasce fino alla morte, non è e né sarà mai destinata a cambiare, in quanto la natura maligna è solo un meccanismo che non si cura delle proprie creature, ma le abbandona al proprio destino. Leopardi è, quindi, contro ogni tipo di idea progressista, e lo afferma ironicamente anche nella Palinodia al marchese Gino Capponi.