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Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 1

INTRODUZIONE ALLA MISSIONOLOGIA

(2012-2013)

INTRODUZIONE

L’Introduzione alla Missionologia dovrebbe derivare da un’ampia esperienza


missionaria, da uno studio del fatto missionario e dalla spiegazione scientifica dello
stesso. “La missionologia dovrebbe cominciare sempre con una nota d’impegno
personale. Un missionologo è un «missionario pensante» (R.Winter)” 1. Ma,
soprattutto, la missionologia dovrebbe partire da un amore profondo ad una
professione che è la professione dello stesso Dio. Attualmente, la missione non può
essere studiata unicamente a partire dal mandato missionario e come un atto di
obbedienza allo stesso. Questa maniera di comprendere la missione che, come scrive
Lesslie Newbigin2, ha la sua giustificazione, fa della missione una carica, piuttosto che
un momento di gioia, fa della missione parte di una legge, piuttosto che del Vangelo.
Per contro, nel NT la missione ha origine in una specie di esplosione di gioia. La
notizia che il Cristo rifiutato e crocifisso è vivo, è qualcosa che non si può nascondere,
non si può tacere: “noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” ( At
4,20). Gli apostoli si trovano di fronte ad una realtà talmente nuova e sconcertante
che possono fare unicamente una cosa: predicarla, cioè, fare la missione. Quando
Cristo li invia alla missione, dice loro che mancano molte altre cose che dovranno
imparare e per questo gli promette lo Spirito Santo ( Gv 16,12-15). E farà loro capire
la missione a partire dal modello trinitario. Bisogna, dunque, sviluppare la coscienza

1
COSTAS Orlando E., Christ Outside the Gate. Mission beyond Christendom , Orbis Books, Maryknoll,
New York 1982, xiv.
2
The Logic of Mission, in New Directions in Mission and Evangelization 2: Theological foundations , ed.
da J. A. Scherer e Stephen B. Bevans, Orbis Books, Maryknoll, New York 1992, 16-17.
2 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

che, il principio della missione non è la nostra attività, ma la presenza di una nuova
realtà, la presenza dello Spirito di Dio in potere.
Allora, la missione non può essere capita unicamente come il comando di
Cristo di portare il Vangelo ai popoli. Questa comprensione fa riferimento ad un
contesto, ad uno sviluppo nella storia. La missione, oggi, deve essere concepita in un
modo più ampio a partire dalla sua dimensione teologica. Dobbiamo partire dalla
relazione di Dio con il mondo; così potremmo capire meglio le stesse missioni
storiche, sia quella del Figlio, sia quella dei cristiani in genere. In questo senso, la
missione si colloca nella vocazione teologica di ogni cristiano. E nessuno potrà fare a
meno della sua realizzazione.

Fare oggi un’Introduzione alla Missionologia diventa un lavoro complesso.


Quando le missioni si sviluppavano unilateralmente, dall’Occidente europeo verso il
resto del mondo, tutto sembrava più chiaro: c’era un punto di partenza, la Comunità
Occidentale, e un punto d’arrivo, i popoli non cristiani, considerati immersi in una
situazione omogenea, perché visti tutti come pagani, senza avere presente i criteri
culturali e religiosi. Allora, la conclusione operativa o l’opera missionaria era molto
simile in tutti i campi di missione. Oggi, questo schema si è rotto, la missione si è
globalizzata, come si sono globalizzati i problemi del mondo ed i contesti giocano un
ruolo determinante. E così, la Missionologia si trova, da una parte, con il compito più
facile di leggere la storia attraverso gli antichi criteri; dall’altra con il difficile lavoro
d’interpretare e di attuare in contesti e dinamiche culturali, sistemi religiosi, diversi,
ecc. La Missionologia è costretta a bere dalle fonti quali la storia, l’antropologia
culturale, la storia delle religioni, la sociologia ecc. E non soltanto questo, ma anche
al interno della Cristianità si moltiplicano le forme di capire e di vivere la fede; ci
troviamo con una molteplicità di processi che interessano il pensiero missionologico 3.
Non è qualcosa della quale si parla o si ragiona, ma qualcosa che ci coinvolge
fino a spingerci a partecipare, pregando, dando e andando alla missione. Così deve
essere la nostra attitudine: prima di cominciare il corso bisogna “guardare i campi...
vedere le moltitudini... come il pastore”4. Come afferma J. Verkuyl5, la Missionologia

3
Cf. VERSTRAELEN F.J.- CAMPS A.- HOEDEMAKER L.A.- SPINDLER M.R. (ed.), Missiology. An
Ecumenical Introduction, Michigan, Grand Rapids 1995, 1-2.
4
TALLMAN J.R., Introduction to World Missions, Moddy Press, Chicago 1989, 15.
5
Contemporary Missiology. An Introduction, William D. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids,
Michigan , 2ª ed., 1987, 6.
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non deve mai essere un sostituto dell’azione e della partecipazione nella missione.
Dio chiama a partecipare nella sua missione e cerca volontari. Ed in parte, l’obiettivo
della Missionologia è quello di essere “stazione di servizio” lungo il cammino. Se gli
studi ci impedissero la partecipazione nella missione, sia in casa o fuori, la
Missionologia avrebbe perso il suo significato. Pertanto, è molto più importante
sapere che cosa è la missione e praticarla, piuttosto che sapere in che cosa consiste la
Missionologia.
Bisogna anche riconoscere che la Missionologia ha contribuito in modo
notevole allo sviluppo della missione 6. Il rinnovamento missionario è uno dei primi
frutti degli studi missionologici. L’attività missionaria non solo mette le sue più
profonde radici nella grazia, ma anche nel mondo delle idee e, trattandosi di
un’attività soprannaturale nella sua essenza, è nel pensiero teologico dove poggia la
sua forza e le sue leggi. La teologia missionaria è alla base dell’attività missionaria. Il
missionologo deve essere, prima di tutto, teologo.
La Missionologia è una scienza interdisciplinare; ciò significa che non risulta
facile allo studente integrare tutte le materie dei diversi corsi. Il migliore
missionologo sarà colui che considera la propria missione in modo critico e
sistematico. La riflessione missionologica non è soltanto un esercizio accademico;
essa forma parte dell’obbedienza missionaria. Sotto questo aspetto, lo studente di
missionologia non deve rimanere unicamente a livello concettuale e teoretico;
piuttosto, deve partecipare di cuore nella vita dei popoli. Ken R. Gnanakan chiede
perciò, “meno teoria, e più pratica”7. Inoltre, per il fatto di essere una scienza pluri-
disciplinare, è necessario doveroso riconoscere che non tutte le discipline hanno lo
stesso valore. Edward C. Pentecost ha descritto con due figure questa priorità:

6
Cf. PIO XII, Littera Encyclica “Evangelii praecones” de sacris missionibus provehendis, 2.06.1951, in
Enchiridion della Chiesa Missionaria I, EDB, Bologna 1997, 206.
7
GNANAKAN Ken R., The Training of Missiologists for Asian Contexts , in J. Dudley Woodberry et altri
(eds.) Missiological Education for the 21st Century, Orbis Books, Maryknoll, New York 1996, 116.
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Filosofia Teologia Psicologia Filosofia

Storia della Teologia


Religione
Psicologia Antropologia Chiesa

Missionologia Missionologia
Storia della Sociologia
Chiesa Sociologia Antropologia
Teologia

Religioni Comunicazioni Sociologia Comunicazioni

La prima figura, ricorda Pentecost, è sbagliata, poiché tutte le discipline della


Missionologia sono condizionate dalla teologia, dal concetto di Dio 8.
Analogamente, la dimensione pratica degli studi missionologici dovrebbe
svilupparsi in un contesto di Chiesa, meglio che in un ambito individuale.
Sicuramente, ha ragione Wilbert R. Shenk quando afferma che il Grande
Comandamento (“Andate e predicate...”) non è stato dato da Cristo ai singoli
discepoli, bensì a tutta la comunità dei discepoli9; e questo dato unisce ecclesiasticità
ed apostolicità. Ciò significa capire la missione all’interno di una Chiesa che si
confronta col mondo. E la missionologia deve aiutare a vivere questa realtà. Tuttavia,
non si tratta di togliere slancio missionario al singolo cristiano, perché essere
discepolo di Cristo e membra del suo Corpo, è vivere un’esistenza missionaria nel
mondo; così l’hanno compreso i primi cristiani. La necessità, quindi, di una
formazione missionologia è più che ovvia. Tuttavia diventa palese che questa
raggiunge ancora una minima parte di coloro che si dedicano all’attività missionaria.
Ciò fa esclamare a Eugene Nida che “attualmente esistono più missionari cristiani che
in nessun altro periodo della storia, ma questi sono più poveramente preparati” 10.

8
Cf. PENTECOST Edward C., Issues in Missiology. An Introduction, Baker Book House, Grand Rapids,
Michigan, 1982, 14-15.
9
Cf. The Training of Missiologists for Western Culture , in J. Dudley Woodberry et altri (edd.)
Missiological Education for the 21st Century, Orbis Books, Maryknoll, New York 1996, 122.
10
WHITEMAN Darrel, The Role of the Behavioral Sciences in Missiological Education , in J. Dudley
Woodberry et altri, edd., Missiological Education for the 21 st Century, Orbis Books, Maryknoll, New
York 1996, 135.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 5

I.- TERMINOLOGIA

1. Missione
1.1. La missione nell’AT

Nell’AT la voce adoperata al posto della parola missio è saliah (dal verbo šlh),
che appare circa 800 volte nell’AT. In senso profano saliah equivale: a) Inviare,
mandare qualsiasi oggetto o dono: “carri” (Gn 46,5), “lettere” (Est 1,22), “pioggia”
(Gdt 8,31), “animali” (Sap 11,15; cf. 1Sam 15,1; Sap 9,10). b) Si parla anche di inviare
una persona. In questo caso, la missione ha le seguenti caratteristiche: la persona è -
inviata da un superiore, con il senso di ubbidienza che ciò suppone; - inviata nel suo
nome, come vicario; si manifesta così l’identità tra l’inviante e l’inviato; - inviata con la
sua autorità (senso giuridico-legale della missione); - inviata con un messaggio:
trasmissione di una parola (cf. Dt 2,26; 1Cro 18,10; 21,12; Ger 7,25; 25,4; 44,4).
In senso religioso, saliah ha come origine Yahvè; cioè, Dio è il punto di
partenza della missione. In questo caso:
a) Il termine slh si adopera quando si tratta di un dono, una grazia, una parola
inviata da parte di Dio: Is 55,11; Ger 24,20.
b) Quando si parla di una persona inviata da parte di Dio. Così il “missionario”
riceve da Dio un ordine speciale di mediazione, perché nel nome (=autorità) di Dio
collabori con la propria parola e i segni nella realizzazione della salvezza: Es 7,2; 7,16;
cf. Es 10,3-4.7; Gen 19,13; Ml 3,23; Zc 4,9; 2,13; 6,15.
c) Gli angeli, quali mediatori di salvezza, sono anche chiamati missionari,
inviati da Dio: “Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino... il
mio nome è in lui” (Es 23, 20-21); “manderò davanti a te un angelo e scaccerò il
Cananeo...” (Es 33, 2; cf. Lc 1,19.26; Eb 1,14); “Tu, Signore, inviasti il tuo angelo”
(2Mac 15,22).
d) Specialmente, sono considerati missionari, inviati da Yahvè, gli uomini
eletti (vocazione) nell’economia dell’AT per collaborare nella storia della salvezza.
Così Giuseppe (Gen 45, 7-8; Sal 105, 17); Mosè, Aronne (Gio 24,5; 1Sam 12,8; Mic
6,4); Gedeone (Giu 6, 14-17), Saul (1Sam 9,16; 15, 18-20). L’esempio di Mosè, per la
sua posizione nella storia, per essere ‘tipo’ di Cristo (1Cor 10,2; Att 7; Gv 1,17) e degli
apostoli (2Cor 3,7.8.) merita un’attenzione speciale. Egli è la guida ed il primo profeta
6 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

del Popolo di Dio. Fu missionario, inviato da Dio esplicitamente: Es 3,10.12-25; 4,


10.13; come missionario, con vocazione di servizio, è chiamato servo più di 40 volte.
La sua missione consiste nel portare la parola di Dio, confermarla con segni
(dinamismo) e così realizzare la salvezza e la formazione di un nuovo Popolo
(assistenza). Missione-parola (Es 7, 16; 4,12); missione-segni: Es 4,28; 4,27; Dt 29,2;
34,11. Per questo motivo viene considerato profeta-guida e tipo di tutti i profeti ( Dt
34, 10ss; 18,18-19); la forza della sua missione si radica nello Spirito di Yahvè (Dt
34,9).
e) I profeti, amici di Dio, sono anche missionari, chiamati ed inviati da Dio per
trasmettere il suo messaggio di salvezza: Ger 7, 25-26; 25,4; 29, 19; 2Cro 24, 19; 36,
15; 25,15; l’aspetto giuridico della missione ricevuta da Dio è fondamentale ed è
necessario per diventare profeta: Ger 14,14-15; 23, 21-32. Si parla di missione
esplicita, tra altri: Samuele, re e profeta (1Sam 15,1); Natan (2Sam 12,1) e tutti i
grandi profeti individuali (Isaia, Geremia, Ezechiele, Aggeo...).

Conclusioni: a) Necessità della missione (aspetto teologico-giuridico); senza


missione, anche quelli che si dicono profeti sono falsi. b) La missione viene sempre da
Dio (verticalità); implica una vocazione ed una consacrazione; appartiene all'ordine
della salvezza. c) Dio rimane con il missionario: presenza che si traduce in un continuo
aiuto in mezzo alle difficoltà; è il classico “Non temere, sarò con te”. d) Non manca
l’effusione dello Spirito di Yahvè: dal secolo IX è un elemento costituente del
profetismo. Lo Spirito come forza, vita nuova, superandosi così il concetto puramente
giuridico della missione. e) La missione fa che la parola dell’Inviato sia Parola di Dio;
da qui l’urgenza della fedeltà nella trasmissione di quello che ha ricevuto. La missione
sempre è legata alla proclamazione della Parola che porta salvezza. Dio interviene
per mezzo della Parola. f) La missione esige dall’inviato obbedienza e servizio. I
missionari sono chiamati servi. g) La parola del missionario è legata ai segni. h) La
missione appare sempre con segni di universalità.
1.2. La missione nel NT
Materialmente, il NT dipende dal greco classico e dalla tradizione biblica, ma
i termini utilizzati hanno un significato nuovo e precedentemente sconosciuto.
Tenendo presente che dietro il vocabolario greco si trova l’ebreo saliah, vediamo ora
i principali termini usati nel NT:
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 7

- Apostéllo -  = mandare una persona o una cosa11.

a) Nell’antica Grecia, Apostéllein (), col significato fondamentale di


mandare, inviare, viene usato frequentemente per designare l’invio tanto di persone
quanto di cose (2Sam 12,1); ma vuol significare piuttosto che l’invio è fatto con uno
scopo ben determinato, speciale e particolare; questo scopo stabilisce un rapporto
non tanto tra chi manda e chi riceve, ma proprio tra colui (o la cosa) che viene inviato
e colui che invia.
Insieme all’idea dell’invio è collegata l’altra, cioè l’autorizzazione data a colui
che è inviato. Gli uomini, così designati, sono proprio i rappresentanti del loro
monarca e della sua autorità. L’invio non si limita all’ambito legale; esso raggiunge il
suo valore più alto soltanto là dove la parola diventa espressione fissa per designare il
conferimento di una delega religioso-morale. Così è accaduto nella diatriba cinico-
stoica. Il cinico è certo di essere un inviato da Dio; è un araldo degli dei. In questi casi
apostéllein è termine tecnico per indicare i pieni poteri conferiti da Dio . Il maestro
ambulante cinico si sa mandato da Dio, si sente suo messaggero; in più, si considera
come una vera immagine di Zeus, ripiena d’autorità divina. Cioè, assieme al senso
profano del termine si conosce il senso religioso dell’inviato da parte di Dio con
l’autorità divina per realizzare una missione salvifica a favore degli uomini. Abbiamo,
così, un uso “religioso” della parola. E’ questo un fatto di grande importanza per il
modo col quale il cristianesimo primitivo espresse la consapevolezza della missione.

b) Apostéllo nei LXX 12


Nei LXX apostéllein ricorre più di 700 volte. E’ usato per tradurre la radice šlh,
usata normalmente come verbo: mittere. E’ il termine tecnico per l’invio di un
messaggero con un incarico speciale, con un compito temporaneo, concreto e
sempre delimitato, senza che il messaggero sia neppure nominato ( Gn 41,8).
L’interesse è accentrato quindi sul fatto dell’invio in relazione con la persona che
11
Cf. RENGSTORF K.H., v.  , in Grande Lessico del Nuovo Testamento , I, Paideia, Brescia
1965, coll.1063-1196; TESTA Emmanuele, La missione e la catechesi nella Bibbia , Urbaniana University
Press-Paideia Editrice, Roma-Brescia 1981, 25-35.

12 
La traduzione dei LXX risale al secolo 3º-2º a.C.; traduce un “originale” ebraico precedente, che non si
ha più, e si pone dunque come una “tradizione”. L’attuale testo ebraico (masoretico) definito attraverso
una lunga vicenda solo verso il sec. 10º, ma conosciuto almeno dal sec. 4º-3º a.C., è un’altra “tradizione”.
Sorta nella diaspora, ad Alessandria, la LXX ebbe immensa diffusione tra gli Ebrei del mondo antico. Resta
come la più antica versione biblica condotta da Ebrei.
8 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

invia, mentre quella dell’inviato passa in secondo piano (cf. Is 6,8). Dio domanda e si
intende con questo che egli ha bisogno di qualcuno da poter inviare con pieni poteri,
come portatore della sua parola. Diventa evidente l’aspetto volontario e consapevole
in un’azione che tende a un determinato scopo. Più che l’invio, šlh connota colui che
invia e il suo scopo, e chi viene inviato diventa in genere oggetto di interesse soltanto
per il fatto che egli incarna in un certo senso nel suo essere colui che lo manda. In
linea di massima è del tutto indifferente chi sia che invia, se Dio o un uomo, e chi
viene inviato, se un mezzo celeste o terreno, o anche che cosa viene inviato. Il punto
centrale di quanto si asserisce sta sempre, e ne è consapevole anche chi è investito di
questa missione, nel suo autore (Gn 12, 1ss).
Allo stesso tempo, si pone in primo piano l’inviante, l’oggetto dell’invio,
l’aspetto volontario della missione e, se colui che invia è Dio, la sua suprema volontà.
Mentre i cinici avevano un grado superiore della loro coscienza di sé, qui no; ed
accanto alla completa subordinazione alla volontà di colui che invia, non c’è posto
per un elevato sentimento di sé.

La Missione nel NT
Nel NT apostéllein si incontra circa 135 volte, delle quali solo 12 al di fuori dei
Vangeli e degli Atti. Si usa quando si pone in rilievo l’incarico connesso con l’invio , e
non importa se al centro dell’interesse sta colui che invia, oppure l’inviato. Riguardo
all’insieme dei casi in cui apostéllein compare nel NT, c’è da dire che la parola
comincia a diventare termine teologico (Mt 10, 5.16; Lc 22, 35; Rom 10,15; 1Cor 1,
17), col senso di inviare al servizio del regno di Dio con pieni poteri (fondati in Dio).
In Gv. Gesù usa apostéllein per designare il suo mandato di fronte agli Ebrei
(5, 36. 38; 6, 29. 57; 7, 29) e davanti ai suoi discepoli (11, 42; 17, 3. 8. 18) e con ciò
vuol dire che dietro le sue parole e la sua persona è Dio stesso e non un suo personale
desiderio, e definisce perciò con questa parola il suo rapporto con Dio anche nella
preghiera. Nel Vangelo di Giovanni apostéllein viene usato da Gesù là dove si tratta
di fondare la sua autorità in quella di Dio, come colui che è responsabile delle sue
parole ed azioni ed è garante della loro giustizia e verità.

- Pempo () (= emettere, inviare)


a) Nella Grecia profana
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 9

Pempo indica prevalentemente il fatto dell’inviare, press’a poco come è nella


trasmissione di un oggetto, di un incarico, o anche dell’invio di un uomo.
Occasionalmente gli amministratori delle province inviati da Roma sono detti oi
pempomenoi: ma in questi casi si pensa più al fatto della loro venuta da Roma, che
allo scopo del loro “invio”, cioè l'assunzione dell’ufficio loro affidato. Pempein
() viene usato quando si tratta di un incarico ben determinato dato al cinico
per iniziativa umana, non divina; tuttavia, a volte, per definire la missione dei filosofi,
considerati come “uomini divini” si usa il composto katapempein.
b) Nel NT appare circa 80 volte (33 nel IV Vangelo, 5 nell’Apo, 10 in Lc e 12
negli Att, 4 in Mt, 1 in Mc). In generale, nel NT si usa quando l’accento è posto
sull’invio in quanto tale. In Gv si usa pempein in strettissimo legame con apostellein
senza che appaia tra i due verbi una differenza di significato. Gesù nel Vangelo di
Giovanni, quando parla del suo invio voluto da Dio adopera pempein, parla di Dio
come del pemfas me (   ) Questo modo di dire è limitato esclusivamente a
Dio ed allora, la formula viene ampliata in o pemfas me pater (   )
(5, 37; 6, 44; 8, 18; 12, 49; 14, 24). Questa formula serve a fissare la partecipazione di
Dio all’opera di Gesù proprio nell’atto del suo invio, interpretazione che è
completamente in armonia con la concezione che Giovanni ha di Gesù, come di colui
il cui “operare nasce dall’operare divino” e per mezzo del quale “l’agire di Dio...
raggiunge il suo scopo”13. In generale, possiamo dire che si usa quando l’accento si
colloca nell’invio in quanto tale e apostéllo quando si mette l’accento sull’incarico
unito all’invio, cioè sull’obiettivo ben determinato.

- Apostolos () (= inviato, apostolo)


a) Nella Grecia classica

13
Il verbo  nella grande maggioranza dei testi ha come soggetto il Padre in riferimento a Gesù; in
tali passi il nome di Padre è congiunto alla sua qualifica di mandante e si ha l’espressione completa in
bocca a Gesù:     (Gv 5,23; 5,37; 6,44; 8,16, 18; 12, 49; 14,24). In altri testi che
sviluppano la stessa grande rivelazione viene omesso il nome di Padre e si ha semplicemente l’espressione:
   che diviene sulla bocca di Gesù un vero e proprio nome di Dio in relazione al Figlio: ( Gv
4,34; 5,30; 6,38-39; 7,16; 7,18.28; 8,26; 7,33; 16,5; 8,29; 9,4; 12,44-45; 15,21). La rivelazione espressa da
questi testi in cui il Padre è denominato    è l’unione intima tra Gesù e colui che lo invia,
unione che trascende ogni contatto umano e mostra Gesù e il Padre nella stessa sfera divina; il tema della
missione di Gesù dal Padre manifesta l’intimità tra i due nel loro rapporto personale (cf. FERRARO
Giuseppe, Lo Spirito e Cristo nel vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1984, 186-187).
10 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

Nel mondo ellenico il nome di apostolo appare come qualcosa di strano.


Nessuno dei propagandisti religiosi riceve questo titolo. Per l’epoca antica è un
termine tecnico della navigazione, specialmente di quella militare; precisamente, è
usato come termine tecnico del linguaggio politico . Originariamente era un
aggettivo; si parla di nave apostolica, cioè nave da carico o da trasporto.
L’espressione o apostolos dapprima significa semplicemente l’invio di una flotta o di
un esercito; poi designa la flotta stessa che viene inviata e acquista così il valore di
spedizione navale. Con un ulteriore ampliamento di significato passa, poi, a
designare da un lato un gruppo di uomini che viene inviato per un determinato
scopo, anche diverso da quello propriamente militare, quale un gruppo di
colonizzatori, o anche la colonia, il comandante di una spedizione, o ammiraglio.
Questi significati hanno in comune il carattere prevalentemente passivo. Il termine si
limita ad indicare l’esistenza di una qualità, cioè quella qualità di inviato.
Nei papiri, apostolos, in senso tecnico, equivale a lettera di
accompagnamento o foglio di consegna o passaporto. La coincidenza dell’apostolos
dei Greci con quella del primo cristianesimo è puramente lessicale. Nell’epoca antica
non c’è niente che possa essere paragonato all’apostolo del NT. In tutti i casi il
termine ha un carattere passivo e conserva il senso di movimento reale, senza nessuna
idea di delegazione di potere (stellein - -collocare, preparare- significa stare
in piede e apostéllein, mandare, mettere in movimento). E’ un significato molto
diverso da quello usato dai primi cristiani, da ciò discende, quando lo usavano questi,
che suonasse strano per i greci.

b) Nei LXX
La parola ricorre solo in 1Reg 14,6. Sono parole del profeta Ahia alla moglie
del re Geroboamo. Traduce l'ebraico saliah. Qui apostolos è il messo di Dio nel senso
tecnico, in quanto indica che Ahia è incaricato di recare una parola divina alla moglie
del re. In Flavio Giuseppe si incontra due volte con il significato di invio di messi.
Questo storico parla di un’ambasceria degli Ebrei a Roma, la quale doveva per forza
affrontare il viaggio per mare14.

14
Sulla figura giuridica dello saliah e l’istituzione degli seluhim, vedi RENGSTORF K.H., v. ,
1108-1125.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 11

c) Nel NT
La parola è sicuramente testimoniata 79 volte (34 in Paolo; 34 in Lc, -28 Att, 6
Vang-; 2 in 2 Pe; 3 in Apo; 1 in Mt, Mc, Gv, Eb, 1 Pe e Iud). Circa i 4/5 delle
testimonianze si trovano in Paolo e Luca. - Completamente scomparso è l’uso di
apostolos nel senso usuale nella letteratura extrabiblica, compresa Flavio Giuseppe.
Nel NT designa un uomo che è inviato e, precisamente, un plenipotenziario. Il lessico
greco offre al NT il puro termine ma il contenuto è determinato dallo saliah del tardo
giudaismo.
- Apóstolos è l’incaricato di rappresentare giuridicamente una persona o cosa
altrui. Come saliah, designa anche l’incaricato di una comunità (2 Cor 8,23; Filp 2,
25); è una figura religiosa. Con senso restrittivo apostoloi sono i latori del kerygma
neotestamentario; tra di essi questo nome spetta in primo luogo al gruppo dei
Dodici. Si presuppone che essi siano inviati da Gesù. Si chiamano apostoloi anche i
primi missionari cristiani, anche se non appartennero mai nemmeno alla più ampia
cerchia dei discepoli. Paolo e Barnaba vengono chiamati apostoloi (At 14,4.14). In
questo contesto incontriamo un invio da parte di una comunità (At 13,2) e una
designazione più precisa di apostolos, presentato nell’intestazione delle lettere di san
Paolo. Una caratteristica comune all’apostolo Paolo ed ai Dodici è l’incontro con
Gesù risorto e l’incarico ricevuto da lui personalmente.

d - Apostolé () (= apostolato)


Dal termine apostolos viene l’apostolato. “Gli esegeti e gli storici del
cristianesimo primitivo si sono chiesti quale sia stata l’origine della concezione
dell’apostolato cristiano…”15. Ci sono molte teorie al rispetto: secondo H. Rengstorf
Cristo sarebbe stato il fondatore di un apostolato di tipo ebraico; Egli avrebbe scelto
prima i discepoli e poi i Dodici, per essere mandati, come quelli ebrei, con pieni
poteri, ma limitati nel tempo e nello spazio, con forza taumaturgica, per predicare il
kérygma, per essere suoi rappresentanti (Mc 6,7; Mt 10,42). “Quest’incarico di tipo
ebraico viene rinnovato dal Risorto, ma, nello stesso tempo modificato da lui: a) non
sono più apostoli con una autorizzazione limitata nello spazio e nel tempo, ma per il
mondo intero e per tutta la loro vita; b) non hanno più soltanto un incarico, ma un
vero ufficio, quello di «pascere»; c) devono essere conoscitori di Gesù storico,
testimoni della sua resurrezione, possessori dello Spirito Santo (pentecoste); d)
15
E. TESTA, La missione e la catechesi nella Bibbia , 36.
12 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

devono essere membri preminenti di una chiesa; e) devono essere accreditati dal loro
potere taumaturgico, avere il segreto dell’esegesi dell’A.T. ed un incarico missionario
permanente, dalla pasqua alla parusia; I) come il Padre ha operato nel Figlio, così
questi opera in loro ( Gv. 20,21)”16; il titolo di apostolo nasce nella controversia
paolina; Paolo sarebbe stato l’iniziatore del concetto di apostolo17.

- L’apostolato e l’apostolo nella persona di Paolo


La consapevolezza di Paolo per la propria missione apostolica è determinata
essenzialmente dal suo incontro con Gesù presso Damasco. Egli non ha dubbio che
sia un’azione compiuta da Dio ed un fatto oggettivo, non una semplice visione. In
Rom 1, 1, Gal 1,15 vediamo formule con le quali egli si inserisce nel piano divino
come elemento importante ed indispensabile, dal punto di vista di Dio, non dal
proprio (1Cor 3, 5). A questo punto la coscienza apostolica di Paolo raggiunge quella
che della propria missione hanno i profeti e, specificatamente, Geremia.
I testi più antichi sono quelli di Paolo. In 1Tes 2,7, Paolo, Silvano e Timoteo si
presentano come “Apostoli di Cristo”, cioè, portatori del Vangelo di Dio, della Parola
di Dio, non umana, ma forza dello Spirito, in vista della conversione dei Gentili
dall’idolatria al servizio divino. In questa lettera, l'oggetto dell'apostolato è
solamente la predicazione del Vangelo ai Gentili, fatta con un certo stile; non si tratta
ancora di un incarico ricevuto dal Risorto, conseguenza di un incontro personale con
lui; in questo caso, infatti, non avrebbe usato il plurale, che non avrebbe potuto
applicare a Silvano, inviato non da Cristo, ma dai Dodici, né a Timoteo, convertito da
lui. Contro questo concetto paolino arcaico di apostolato reagiranno i pseudo-
apostoli della Chiesa di Gerusalemme. Gli contestano questo titolo per diversi motivi:
non avrebbe avuto contatto diretto con il Cristo storico; non sarebbe stato testimone
della sua resurrezione come i Dodici; non sarebbe stato mandato da Cristo, ma dalla
Chiesa di Antiochia (At 3,1).
Paolo si difende, approfondendo sempre più il concetto di apostolo:
. Il suo apostolato non viene da uomo, ma forma parte del piano di Dio; è una
grazia del Signore, che gli trasmette il contenuto del messaggio evangelico. Fonda il
suo apostolato nella visione del Cristo risuscitato sulla via di Damasco, non per mezzo

16
E. TESTA, La missione e la catechesi nella Bibbia , 37.
17
Cf. LOHSE E., Ursprung und Pragung des christlichen Apostolats, in Theologische Literaturzeitung,
1953, 259; DUPONT J., Le nom d’Apôtres a-t-il étè donné auz Douze par Jésus?, in L’Orient Syrien 1,
1956, 267-290.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 13

di una “visione”, ma realmente, come i Dodici, cioè oggettivamente, sebbene sia


stato l'ultimo a ricevere la chiamata al compito di apostolo. Il testo chiave è 1Cor 9,
1-5, dove si dà una nozione ristretta dell’apostolo: colui che ha ricevuto la sua
missione personalmente da Gesù Risuscitato. E nel 2º. versetto è proposto altro
criterio concreto: la comunità stessa, come timbro del suo apostolato. Nel v. 5º,
dicendo “gli altri apostoli”, sembra suggerire un senso più ampio, unitamente al
“portare con”, che dà idea dei “missionari itineranti”. Questo senso ampio lo
conferma nel v.14, “coloro che predicano”.
. Con la chiamata profetica Paolo si converte in servo della Parola, con la sua
vita legata a Dio, nonostante il dolore e le sofferenze ( 1Cor 4,9s; 15,30). A quella va
unita la missione di essere portavoce del piano divino di salvezza e collaboratore del
Cristo che vive fra i gentili, convertendosi nell’apostolo delle nazioni per eccellenza.
Paolo risponde con ubbidienza a questa missione, che è una grazia ( 2Cor 12,9; Gal
1,6). Il “servizio della parola” è la funzione essenziale dell’apostolo; il ministero
dell’apostolo è l’evangelizzazione: Gal 2,7-8; 1Cor 1,17
. Insomma, possiamo dire che Paolo conosce una nozione ristretta del termine
“apostolo”, riservata a un numero limitato di persone. Applica a se stesso questa
nozione; e lo fa, per tanto, quando vi è alcun motivo stretto perciò. Adopera anche
un concetto più ampio del termine: “Apostoli delle Chiese” (2Cor 8,23; Fil 2,25). Vi è
anche un’altra categoria di apostoli che non hanno ricevuto direttamente il mandato
dal Cristo Risuscitato; Paolo attribuisce il titolo ad altre persone che dipendono da
lui, suoi collaboratori vicini. Ciò darebbe idea di un apostolato comunicato, e
rappresenterebbe Paolo stesso.
Esclusi due passi nei quali si parla di “apostolo” in generale, Luca adopera il
termine solo per i Dodici. Questi sono tali perché, chiamati dal Gesù storico,
conoscono quello che ha detto e ha fatto, e sono testimoni dal battesimo alla
risurrezione. Prima dell'ascensione hanno ricevuto la promessa dello Spirito Santo ed
il mandato missionario e nella Pentecoste si sono convertiti in trasmettitori della
tradizione apostolica, l’autorità indiscutibile della Chiesa, cosicché da soli avrebbero
potuto prendere le ultime decisioni nelle controversie; erano i rettori delle comunità,
gli elettori di Mattia e i donatori dello Spirito... Possiamo dire che, quando si parla di
funzione escatologica ecclesiale degli “Apostoli-colonne” della Chiesa, fondamento
del nuovo Popolo di Israele, il termine si applica solo ai Dodici, ma si usa non per
esclusione, ma per eccellenza. Quando si parla della funzione degli “Apostoli-
14 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

ministri” si applica a tutti coloro che partecipano nella missione e lavorano nella
evangelizzazione. Così si può parlare di falsi profeti. E sappiamo che fra gli apostoli
vengono elencati diversi personaggi, sia uomini che donne.
Conclusione: l’apostolo è un collaboratore-servo nella storia della salvezza,
chiamato da Dio ed inviato dalla Chiesa per andare dai Gentili ad annunciare il
Vangelo, testimoniandolo con i segni . Le caratteristiche che definiscono l’apostolo
sono: necessità di una vocazione e di una missione; - proclamazione della parola; - tra
i Gentili; - l’esercizio è concepito come ministero, un servizio sacro, una specie di
liturgia. Possiamo dire che il vocabolario della missione è stato preso dal greco, ma
arricchito con nuovi significati nella primitiva comunità cristiana.

2. Evangelizzazione
Evangelizzazione è un termine chiave nella missionologia e gode di un
impiego così ovvio che non sempre si fa sufficientemente attenzione alla sua
ambiguità. Da una parte può significare il primo annuncio del vangelo in un ambiente
non ancora cristiano; dall’altra designa anche tutto il compito che la Chiesa svolge
davanti al mondo; diventando, in questo caso, quasi sinonimo di missione. Il termine
evangelizzazione include due tipi di realtà unificate, ma diverse; include un
contenuto a comunicare e l’azione di comunicarlo. Nominalmente è la
comunicazione di una buona notizia18.
2.1. Significato linguistico greco19
Evangelizzazione proviene dal greco euaggelizomai ( -
), che significa “l’annuncio di una buona notizia”, la proclamazione di un
lieto annuncio. Deriva da euaggelos: eu-aggelos. Nel mondo greco la parola è usata
per indicare l’annuncio della vittoria; l’euaggelos viene dal campo di battaglia per
nave, a cavallo, e annuncia alla città, che attende trepidante, la vittoria dell’esercito,
la morte o la cattura del nemico. Spesso la notizia è contenuta in una lettera. Ricorre
anche questa parola a proposito di comunicazioni liete di natura politica o privata.
L’euaggelos può essere anche il nunzio di gioia con funzione sacrale,
l’annunciatore di un oracolo. Riguarda quindi il futuro, una promessa.
L’euaggelizomai ha lo scopo di liberare dai nemici, di salvare dalla forza demoniaca

18
Cf. SOBRINO Jon, Resurrección de la verdadera Iglesia , Sal Terrae, Santander 1984, 267.
19
Cf. FRIEDRICH G., v. Evaggelizomai, in Grande lessico del NT, III, Paideia, Brescia 1967, 1023-1059.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 15

che atterrisce l’uomo. L’euaggelion tratta, inoltre, di uomini divinizzati. Nel


significato di promettere, svelare è lontano dall’uso biblico, poiché allora la parola
non ha più funzione attiva, creatrice, non è una proclamazione né una realtà
attualmente operante, ma ha la funzione di svelare, scoprire, informare, di accennare
al futuro. In tal modo va del tutto perduta l’«attualità dell’esser proferito».

2.2. Significato biblico


- Nell’AT: Euaggelizomai traduce la parola ebraica bissar che ha
comunemente il significato di annunciare un messaggio di gioia (1Re 1, 42), ad es. la
nascita di un figlio (Ger 20, 13). In tutte le lingue semitiche, nell’accadico e
nell’etiopico, come nell’arabo, la radice connota per se stessa un senso di gioia. Il
messaggero sa di essere messaggero di gioia ( 2Sam 4,10) e tale lo considerano anche
gli altri (2Sam 18, 26).
In 1Sam 31,9, quando i Filistei vincono Saul, l’annuncio ha il carattere solenne
di un atto di culto. Così anche Sal 68, 12, Sal 40, 10. Nel Deuteroisaia il termine
indica l’attesa di una unica grande vittoria e l’inizio della nuova era. Il messaggero
annuncia a tutta la terra la vittoria di Yahvè. Egli non va annunciando che il Regno di
Dio sta per giungere, ma lo proclama come effettivamente presente. Nell’atto di
predire la rinascita d’Israele, egli la crea; poiché la parola è potenza efficace. Yahvè
pone le sue parole sulla bocca dei messaggeri. Con la sua parola creò, ed ora con essa
guida la storia (cf. Is 51, 16). Dal Deuteroisaia il concetto profano di messaggero
assume carattere religioso. Il profeta è inviato ad annunciare ai poveri la lieta novella,
e l’annuncio significa per essi la liberazione.

- Nel NT: Euaggelizomai: 1 (Mt 15,1); 10 (Lc), 15 (Att), 21 (Paolo), 2 (Ebrei), 3


(1Pie) 2 (Apoc). Gesù è il messaggero di gioia atteso alla fine dei tempi (Mt 2,5; Lc 7,
22): “I ciechi ricuperano la vista... ai poveri viene annunciata la buona novella”. Gesù
risponde al Battista che ora ha inizio l'era messianica; il messaggero di gioia
escatologico, atteso sin dai giorni del Deuteroisaia, viene annunciato adesso. Il
compito di Gesù era di annunciare il Regno di Dio; questa era la sua missione e il suo
sacro dovere. Tutta la sua vita è stata un annuncio del vangelo; perciò anche la sua
16 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

nascita (Lc 2, 10; Ef 2, 17) afferma che la venuta di Gesù sulla terra, la sua vita e la sua
morte hanno costituito il grande messaggio e annuncio di pace.
La schiera dei messaggeri: discepoli, apostoli, evangelisti. Rom 10,25: “Ma
come annunciare se non si è mandato? Conforme a quanto è scritto: ‘Come sono belli
i piedi di coloro che recano buone nuove’”. Questo passo di Is 52, 7 si applica ai
messaggeri del vangelo. Subito dopo la Pentecoste ha inizio l’attività missionaria
degli apostoli (At 5,2). La persecuzione sopravvenuta a Gerusalemme porta ad
un’ulteriore diffusione del Vangelo (At 8,4). Il messaggio è portato dapprima ai soli
Giudei, poi anche ai Greci (At 2, 20) e Paolo diventa l’evangelista dei gentili (At 14, 7;
16, 10; 17, 18). E’ questa la sua grazia. Euaggelizeszai è il termine con cui egli designa
in sintesi la sua attività apostolica ( 1Cor 1, 17). Come i profeti, egli è mosso a
predicare da una forza divina. E’ questa la sua missione. La predicazione, sia
missionaria che comunitaria, ha per oggetto lo stesso vangelo. Paolo non fa alcuna
differenza. E' Dio stesso che parla mediante la predicazione. E’ lui quel che viene
annunciato (Gal 1, 16; At 8, 35; 17, 18; 8, 12). Con euaggelizeszai non s’intende solo il
discorrere ed il predicare, ma l’annunciare con autorità e con forza. Segni e miracoli
accompagnano il messaggio evangelico e fanno tutt’uno con esso, giacché la parola è
efficace. Ovunque questa parola è annunciata regna la gioia, perché opera la
salvezza (At 8,8; 1Cor 15, 1s). Non è parola d’uomo, ma di Dio, parola viva ed eterna.

- Sviluppo storico del concetto

L’antichità cristiana parla frequentemente di evangelizzare o di predicare il


vangelo, e nel medioevo si aggiungono altre formule come l’annuncio evangelico, la
diffusione del vangelo, ecc. I destinatari di tale attività sono, oltre ai pagani e gli
infedeli (soprattutto musulmani), anche gli eretici e gli scismatici. Vi è uno sviluppo
graduale verso un significato sempre più missionario. E’ un termine più antico del
termine “missione”. Come termine tecnico si stabilisce saldamente soltanto nel
secolo XIX in certi ambienti teologico-missionari nel mondo protestante anglofono,
per poi trovare la sua piena fioritura nel secolo presente anche nella missionologia
cattolica, fino a diventare linguaggio corrente nel magistero ecclesiale.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 17

Così, il sostantivo incominciò ad utilizzarsi nel secolo XIX dai protestanti;


alcune di queste confessioni sono denominate evangeliche. E’ possibile che uno dei
primi che incominciò ad utilizzare il termine con una certa ampiezza di significato sia
stato il protestante Alessandro Duff, nel 1854, durante il Congresso di New York,
quando affermava che il mezzo principale del mandato divino per l’evangelizzazione
del mondo è il fedele insegnamento e la predicazione del vangelo puro. Un altro
grande missionologo protestante, John R. Mott, lanciava nel 1900 la seguente
consegna: “L’evangelizzazione del mondo in questa generazione”20
I cattolici parlavano di promulgazione, annuncio, annunciazione,
predicazione della fede. Il dicastero romano per la direzione delle missioni nella
Chiesa, portava il nome di Propaganda Fide (1622), che cambiò recentemente in
Sacra Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli (15.8.1967). Il Consiglio
Mondiale delle Chiese aveva un dipartimento denominato della evangelizzazione.

__________________________________PROSSIMA LEZIONE___
- Che significa “evangelizzare”?
a) La Chiesa si costituisce nell’evangelizzazione : L’identità della Chiesa
consiste nella missione di evangelizzare. Tutte le strutture della Chiesa, dottrinali,
sacramentali e organizzative, non raggiungono la loro pienezza se non al servizio
della evangelizzazione. “Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della
Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare” (EN 14).

La Chiesa “non acquista tutto il suo significato se non quando essa diventa
testimonianza, provoca l’ammirazione e la conversione, si fa predicazione e annuncio
della buona novella” (EN 15).

Secondo il NT, quello che fondamenta la fede definitiva in Cristo è, precisamente,


quello che scatena una missione. Coloro ai quali si presenta Cristo non sono, secondo
il NT, puri vedenti che attraverso questa esperienza giungeranno alla fede, ma coloro
che sono chiamati “testimoni”, cioè, coloro che captano la resurrezione nella
disponibilità a testimoniarla. Con i “vedenti” della risurrezione potrebbero esserci
cristiani individuali, ma non Chiesa. Questa nasce quando i vedenti si convertono in
20
MOTT John R., The Evangelization of the World in this generation , Student Volunteer Movement,
2th. ed., London, 1902; cf. BOSCH David, La trasformazione della missione, 566.
18 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

testimoni, cioè, quando hanno una missione. Il passaggio dalla mera fede in Cristo
alla Chiesa si fa attraverso la missione. Con i vedenti della risurrezione potrebbe
essere nata una setta, centrata in torno al culto del Risorto e in se stessa; ma questo
non è la Chiesa secondo il NT. Questa si costituisce nella realizzazione della missione,
nel dare testimonianza ad altri. Il Cristo risorto attiva una missione 21. “Ciò deve essere
capito non come una evasione morale, quasi fosse una disobbedienza di tipo etico-
funzionale. In questo caso l’inadempienza sarebbe in qualche modo solo esterna; tale,
cioè, da non intaccare l'identità della Chiesa. E’ quanto se ne deduce, immaginando la
missione come se fosse -si permetta l’espressione- una delle cose che la Chiesa deve
fare, magari pure la più alta e vincolante. Di tipo, però solo pratico ed esecutivo...
Una simile figura della Chiesa non è più sostenibile, perché essa è quella che è e ha
dovuto essere dall’interno del mandato che la invia in mezzo agli uomini. Un
mandato, dunque, che è radice e sostanza della sua identità. Così da dover sempre
affermare che la Chiesa è, perché missionaria, in un rapporto che lega Chiesa e
missione nei due versi della relazione, mai spezzando o mortificando la loro
continuità. Un modo, questo di pensare la Chiesa non più nell’ottica statica delle
categorie dell'identità metafisica, ma in quella della categoria detta «storia della
salvezza». Una categoria «economica» al posto di una categoria dell’«in sé»
atemporale”22. La realtà della Chiesa non risiede in se stessa, ma in una missione da
realizzare. E questa missione, nel suo significato globale, è quella che possiamo
chiamare evangelizzazione.
Moltmann scrive: “Bisogna imparare che non è la Chiesa colei che ‘ha’ una
missione, ma piuttosto all’incontrario, che la missione di Cristo crea per se una
Chiesa. Non bisogna comprendere la missione a partire dalla Chiesa, ma la Chiesa a
partire dalla missione”23.
b) Significati diversi della evangelizzazione in EN: “Nell’azione
evangelizzatrice della chiesa, ci sono certamente degli elementi e degli aspetti da
ritenere. Alcuni sono talmente importanti che si tende ad identificarli semplicemente
con l’evangelizzazione. Si è potuto così definire l’evangelizzazione in termine di
annuncio del Cristo a coloro che lo ignorano, di predicazione, di catechesi, di
battesimo e di altri sacramenti da conferire. Nessuna definizione parziale e
frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e dinamica, quale è
21
Cf. SOBRINO J., Resurrección de la verdadera Iglesia , 278-279.
22
PATTARO Germano, Corso di teologia dell’Ecumenismo, Queriniana, Brescia 1985, 244.
23
MOLTMANN J., La iglesia en la fuerza del Espíritu, Sigueme, Salamanca 1978.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 19

quella dell’evangelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla e perfino di


mutilarla. E’ impossibile capirla, se non si cerca di abbracciare con lo sguardo tutti gli
elementi essenziali. Questi elementi chiaramente sottolineati durante il menzionato
sinodo, vengono ancora approfonditi, in questi tempi, sotto l’influsso dei valori
sinodali” (EN 17).
- Il primo significato di evangelizzazione, il più tradizionale, e perciò il meno
conflittuale, è che evangelizzare significa annunciare, proclamare un messaggio. E’ la
dimensione verbale della evangelizzazione. “Non c’è vera evangelizzazione se il
nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret,
Figlio di Dio, non siano proclamati. La storia della Chiesa, a partire dal discorso di
Pietro la mattina di pentecoste, si mescola e si confonde con la storia di questo
annuncio... Questo annuncio -kérigma, predicazione o catechesi- occupa un tale
posto nell’evangelizzazione che ne è divenuto spesso sinonimo. Esso tuttavia non ne è
che un aspetto” (EN 22; cf. 2-6, 8, 11, 12, 43-45, 47).
- Il secondo significato di evangelizzazione è la testimonianza della propria
vita. “Ed essa deve essere anzitutto proclamata mediante la testimonianza” (EN 21).
“E’ dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la chiesa
evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta
di fedeltà al Signore Gesù” (EN 41). “La testimonianza della fede è perciò essenziale
per l’evangelizzazione, poiché in questa non si tratta di informare sopra qualcuno o
qualcosa, ma di presentizzare la realtà dell’annunciato. In questa maniera, la
testimonianza di vita non è solo un aiuto all’evangelizzazione, né una esigenza etica
dell’evangelizzatore, ma un ingrediente essenziale perché questa possa costituirsi
come tale”24.
- Il terzo significato di evangelizzazione, il più recente, è quello di azione
trasformatrice. L’evangelizzazione deve “trasformare” l’uomo di oggi (EN 4). Non si
può predicare il comandamento nuovo senza promuovere la giustizia (cf. EN 31). La
Chiesa ha il dovere “di aiutare questa liberazione a nascere, di testimoniare per essa,
di fare sì che sia totale” (EN 30). “L’azione è necessaria perché la parola che si predica
sia nuovamente efficace. Se nella testimonianza di vita dell’evangelizzatore ha già
rivelato la sua efficacia, analogamente deve mostrarla davanti al destinatario. Se
l’annuncio ha come contenuto generale un Dio che è amore, allora questa parola non
solo può essere detta, ma anche fatta. Parlare sull’amore di Dio agli uomini, senza una
24
SOBRINO J., Resurrección de la verdadera Iglesia , 286.
20 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

prassi concreta di questo amore verso di loro, è cadere nuovamente nello


gnosticismo”25.

«Noi abbiamo voluto sottolineare questo ricordando che è impossibile accettare che
“nell'evangelizzazione si possa o si debba trascurare l'importanza dei problemi, oggi
così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace nel
mondo. Sarebbe dimenticare la lezione che ci viene dal Vangelo sull'amore del
prossimo sofferente e bisognoso”» (n. 31).

II.- VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “MISSIONOLOGIA”

1. Le prime difficoltà

Il titolo di questo II capitolo ci colloca di fronte alle difficoltà che presenta una
definizione propria della Missionologia. Ci viene in mente di parlare, piuttosto, di
definizione descrittiva26, quando si sa che con la descrizione non si arriva mai alla
definizione specifica, ma, contemporaneamente, si capisce che siamo davanti ad un
fenomeno (la missione) che, in quanto tale, può essere descritto meglio che definito e,
in certo senso, controllato. Anche K. Müller opta per una “descrizione della realtà della
missione”27.
Gli studiosi sono più o meno concordi, riguardo alle difficoltà di offrire una
definizione univoca di ciò che si intende oggi per Missionologia; ciò dovuto al fatto che
la stessa parola missione e, a volte, la realtà sottostante presenta significati molto
diversi.

25
Ib., 286-287.
26
Cf. NUNNENMACHER E., Regno di Dio, in Dizionario di Missiologia , EDB, Bologna 1993, 351.
27
MÜLLER Karl, Teologia della Missione. Un’Introduzione, EMI, Bologna 1991, 47.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 21

“Una delle ragioni risiede nel fatto che la nozione basilare di «missione», nell’uso
generale odierno, è carica di vari significati che non si prestano facilmente a
considerazioni unificabili sotto un denominatore comune”28

La prima introduzione alla Missionologia, pubblicata in Olanda, offriva questa


definizione della stessa: “la scienza di una prassi”29. Il nuovo Webster’s Collegiate
Dictionary definisce la Missionologia come “lo studio della missione della Chiesa,
specialmente in relazione all’attività missionaria” (Webster’s Ninth New Collegiate
Dictionary, 1986). Il Concise Dictionary of the Christian World Mission parla di
“scienza della missione”, “dottrina della missione” o “la missione nella sua totalità...
sistematicamente e comprensivamente trattata come soggetto teologico” 30. L’ASM
(American Society of Missiology) definiva la missionologia come “la scienza della
comunicazione trasculturale della fede cristiana”; come “la disciplina scolastica che
studia l’impegno dell’evangelizzazione del mondo” o come “il campo di studio che
ricerca, raccoglie e applica i dati relativi all’origine biblica e alla storia
dell’espansione del movimento cristiano, ai principi antropologici e alle tecniche per
il suo sviluppo”31. La missionologia “è un approccio interdisciplinare per capire
l’azione missionaria. Si orienta al fatto missionario dalla prospettiva delle scienze
bibliche, della teologia, della storia e delle scienze sociali”32. Comunque, si è abituati,
almeno nell’ambito ecclesiologico, a considerare la Missionologia come termine tecnico
per qualificare la scienza che tratta del fatto missionario.

La definizione di questa scienza “moderna” potrebbe essere la seguente:


Missionologia è “lo studio accademico dell’attività missionaria della chiesa”33;
“Missionologia è la scienza della missione”; oppure, è quella scienza teologica che
riflette sul compito missionario cristiano nel suo insieme e nei suoi diversi elementi

28
NUNNENMACHER E., Missiologia, in Dizionario di Missiologia, EDB, Bologna 1993, 351.

29
DAUBANTON F.E., Prolegomena van Protestantsche Zendingswetenschap , Utrecht 1911, 139.
30
Cf. SCHERER James A., Missiology as a Discipline and what it includes , in New directions in mission
and evangelization, 2: Theological foundations, Orbis Books, Maryknoll, New York 1992, 174.
31
GLASSER Arthur F., Missiology – What’s it all about?, in Missiology 6, 1978, 7.
32
ESCOBAR Samuel, Evangelical missiology: peering into the future at the turn of the century , in Global
missiology for the 21st Century, William D. Taylor, ed., Baker Academic, Grand Rapids, Michigan 2000,
101.
33
MOUW Richard J., Foreword, in Missiological Education for the 21 st Century, Woodberry J. Dudley,
Charles Van Engen, Edgar J. Alliston, edd., Orbis Books, Maryknoll, New York 1996, XV.
22 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

Intendendo per “missione” il concetto classico che prende corpo a partire dalla metà del
secolo XVI e che si concreta nell’annuncio del vangelo ai non credenti. In ogni caso, si
tratta di una definizione che semplifica molto le cose, in quanto la realtà è più
complicata. Lo stesso concetto di missione non è compreso in maniera univoca. Lo
vediamo nell’ampiezza dei significati attribuiti a questa parola, a seconda che si tratti
del campo religioso o sociale, di quello politico o semplicemente umano, dato che, in
realtà, ogni essere ha una “missione” o compie una missione o è in missione. In ogni
caso, quello che generalmente si intende per missionologia è lo studio della realtà
missionaria o, più concretamente, la scienza che ha come obiettivo investigare
metodicamente, sistematicamente e criticamente la missione del Logos, dello Spirito,
degli Apostoli, della Chiesa e dei missionari con le loro corrispondenti attività.

2. Alla ricerca di una nuova definizione

Attualmente la Missionologia suscita molte perplessità in quanto alla sua stessa


definizione34. C’è mancanza di uniformità rispetto al suo stesso contenuto. Scherer
mette ciò in relazione con i differenti punti di vista degli stessi docenti di missionologia
e con le diverse circostanze ed i fattori esterni che impattano sia la missione sia la
missionologia. Soprattutto, afferma, ciò che incide di più sulla Missionologia è la
diversità di opinioni sulla missione stessa35. L’autore non offre una definizione propria,
ma mette a confronto due definizioni, cioè quella di J. Verkuyl e quella di Alan R.
Tippett, lasciando un campo libero per una pluralità dentro di ciò che egli chiama
“complementarietà”.

a) La Missionologia secondo Johannes Verkuyl


“Missionologia é lo studio delle attività salvifiche del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo in tutto il mondo, indirizzate a portare il regno di Dio nella realtà umana”.
Vista sotto questa prospettiva, la Missionologia è lo studio del mandato divino dato alla
Chiesa universale per essere pronta per servire Dio, che sta attivando la sua azione
salvifica in tutto il mondo. Dipendendo dallo Spirito Santo e mediante parole e opere, la
Chiesa comunica il Vangelo totale e la legge divina totale a tutta l'umanità.

34
Cf. SCHERER James A., Missiology as a Discipline and what it includes , in Missiology XV, 1987, 509.
35
Ib.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 23

Compito della Missionologia in ogni epoca è la ricerca scientifica e critica dei


presupposti, motivi, strutture, metodi, modelli di cooperazione e soggetti con i quali le
Chiese rispondono a questo mandato. Inoltre, la Missionologia deve esaminare ogni
tipo di attività umana che lotta contro il peccato per vedere se si adegua ai criteri ed
agli obiettivi del Regno di Dio che già è venuto e che sta venendo allo stesso tempo” 36.
Come abbiamo fatto notare nell’introduzione, Verkuyl afferma che la Missionologia non
deve mai essere un sostituto dell’azione e della partecipazione nella missione. Dio
chiama a partecipare nella sua missione e cerca volontari. Ed in parte, l’obiettivo della
Missionologia è quello di essere “stazione di servizio” lungo il cammino. Se la
Missionologia non conduce alla partecipazione nella missione, il suo studio non serve a
niente. La Missionologia deve esercitare anche la sua funzione critica sul come viene
attuata oggi la missione stessa, il servizio al mondo e lo sviluppo di programmi e
progetti che si oppongono all’insegnamento biblico37.

b) La Missionologia secondo Alan R. Tippett


Alan R. Tippett, primo editore della rivista Missiology, la definisce così: “E’ una
disciplina accademica o scienza che ricerca, raccoglie e applica elementi che
procedono e si riferiscono all’origine biblico, alla storia (includendo l’uso di materiale
documentale), alle tecniche e principi antropologici, e alle fondamenta teologiche della
missione cristiana. La teoria, il metodo e i dati si indirizzano specialmente a: - il processo
attraverso il quale si comunica il messaggio cristiano; agli incontri originati nella
proclamazione del Vangelo, -e le fondazioni delle Chiese, all’organizzazione delle
congregazioni, all’incorporazione dei convertiti a dette congregazioni, ed alla crescita
ed all’importanza delle strutture e comunità, internamente verso la maturità,
esternamente nell’estensione del Corpo di Cristo nelle situazioni locali e al di là nella
varietà dei modelli culturali”38.
La ricerca portata avanti dalla Missionologia richiede familiarità con gli
strumenti e le tecniche dell’antropologia, della teologia, della storia, della linguistica e
della psicologia. Tippett la definisce come “una disciplina con i suoi propri diritti, che

36
VERKUYL Johannes, Contemporary Missiology. An Introduction , William D. Eerdmans Publishing
Company, Grand Rapids, Michigan , 2ª ed., 1987, 5.
37
Cf. Ib.
38
TIPPETT Alan R., Missiology, A New Discipline , in The means of World Evangelization: Missiological
Education at the Fuller School of World Mission , ed. Alvin Martin, William Carey Library, South
Pasadena, California 1974, 26-27; cf. SCHERER James A., Missiology as a Discipline and what it
includes, in Missiology XV, 1987, 512.
24 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

non vive in prestito di altri campi. La Missionologia è una realtà nuova con la sua propria
autonomia”39.

James A. Scherer fa il commento e la critica di queste due definizioni che egli considera
fondamentalmente utili ed utilizzabili, ammettendo che, molto probabilmente, nelle
circostanze attuali non si possa arrivare ad una definizione unica. La definizione di
Verkuyl ci colloca davanti alla diversità e al pluralismo di approcci e di sfumature; ci
sono, infatti, diverse strade per fare missionologia ed è sufficiente che siano
complementari tra di loro. Verkuyl focalizza tutto sul mandato universale che fa
partecipe la Chiesa alla missione di Dio, nella quale se fondamenta e alla quale serve. E’
teocentrica e trinitaria, contro la visione ecclesiocentrica del secolo scorso. La
Missionologia è “lo studio delle attività di salvezza” della Trinità nel mondo e queste
attività sono studiate “scientificamente e criticamente” in ogni epoca, prestando
attenzione ai presupposti, ai motivi, alle strutture, ai metodi, ai modelli, ecc. In parole
dello stesso Verkuyl, “questa definizione, che colloca al centro il concetto di missio Dei
e che parte dall’insegnamento trinitario, dirige la nostra attenzione a Dio, il quale, in
parole di Hoekendijk, inizia, governa, protegge e completa la sua missione mentre
dirige tutto alla manifestazione finale del suo regno” 40. Si tratta di una disciplina
teologica. Ciò significa, in termini classici, che in essa Deum docet, a Deo docetur e ad
Deum ducet.
Verkuyl si orienta verso il fondamento e gli obiettivi; Tippett si orienta più al
processo, al contesto e alla definizione dei metodi di ricerca. Nella sua visione il punto
di partenza è “il messaggio di Dio agli uomini”, portato a termine nella varietà dei
contesti umani. Tippett vede la Missionologia come una scienza in sviluppo, di natura
empirica e descrittiva, scienza per diritto proprio ma in relazione con l’ampio ventaglio
delle scienze dell’uomo.

Ad ogni modo, tutte e due gli orientamenti, hanno molte cose in comune. La
Missionologia è “lo studio delle attività della salvezza” o del Dio Trino nel mondo;
attività che debbono essere investigate scientificamente e criticamente in ogni periodo.

La visione di Verkuyl riguardante la Missionologia e la missione conduce


all’azione. Quella di Tippett si preoccupa dell’azione stessa e degli avvenimenti
39
Missiology, A New Discipline, 28.
40
Cf. VERKUYL J., Contemporary Missiology, 5.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 25

riguardanti la pratica missionaria, in modo speciale in relazione alle culture 41. J. A.


Scherer afferma che, nonostante il contrasto fra le due, gli elementi comuni non
mancano, specialmente in campo biblico42.

3. La Missionologia nelle sue dimensioni critica e pratica

O.G. Myklebust scrive che la questione primaria e fondamentale, non è “che


cosa sia la Missiologia”, ma “che cosa sia la missione”. L’incertezza attuale è dovuta in
grande misura alle difficoltà di molti missionologi nel fare del testo, più che del
contesto, il punto di riferimento. Per esempio, si concede troppa attenzione al
pluralismo religioso e poca alla rivelazione di Dio e agli atti salvifici in Cristo come
vengono proposti dalle Scritture Sacre43. Anche D. Bosch considera che, se in altri
periodi della storia il testo ha fatto a meno dei contesti, imponendosi
uniformemente, oggi il vero pericolo è quello del contestualismo. “Non possiamo
però tradurre immediatamente il contesto in testo” 44. Esiste oggi il rischio di affidarsi
al contesto come autorità fondamentale45.
D. Bosch, commentando l’insuccesso e la “crisi della missione”, viene ad
affermare la stessa cosa; cioè, il fatto che in molti ambienti il vero problema è
l’incertezza su ciò che realmente la missione è; c’è una specie di confusione sulla natura
stessa della missione46. Esiste confusione nel capire la natura stessa della missione 47.
Infatti, si pensa alla missione come ad una attività fra tante altre della Chiesa, ma non
come all’essere della Chiesa. Ciò significa che la Missionologia, riflettendo lo status
della missione stessa, è in stato di flusso e di fermento. Nessuna definizione singola su

41
Cf. ENGEN Charles Van, Specialization/Integration in Mission Education, in Missiological Education
for the 21 st Century, J. Dudley Woodberry, Charles Van Engen, Edgar J. Alliston, edd., Orbis Books,
Maryknoll, New York 1996, 214.
42
I Cf. SCHERER J. A., Missiology as a Discipline , 514.
43
Cf. MYKLEBUST Olav Guttorm, Letter to the author James A. Scherer, dated Oslo, March 6, 1987, in
James A. Scherer, Missiology as a Discipline and what it includes , in Missiology XV, 1987, 519.
44
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 687.
45
Cf. STACKHOUSE Max, Apologia. Contextualization, Globalization, and Mission in Theological
Education, Eerdmans, Grand Rapids 1988 26.
46
Cf. BOSCH David J., Witness to the World: The Christian Mission in Theological Perspective ,
Marshall, Morgan, Scott, London 1980, 8-9; ID., Theological Education in Missionary Perspective , in
Missiology X, 1982, 13-34.
47
Cf. KIRK J. Andrew, What is Mission? Theological Explorations, Darton, Longman and Todd Ltd., London
1999, 20.
26 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

ciò che la Missionologia è, può soddisfare i missionologi, mancando unanimità su ciò


che sia la missione.

3.1. La Missionologia nella sua dimensione “critica”


D. Bosch, seguendo a Martin Hengel, sostiene che “la storia e la teologia del
cristianesimo primitivo siano soprattutto ‘storia della missione’ e ‘teologia della
missione’48. Heinrich Kasting scrive: “la missione fu, nei suoi primi stadi, qualcosa di più
di una mera funzione; fu un’espressione fondamentale della vita della chiesa. Gli inizi di
una teologia missionaria sono pertanto anche gli inizi della teologia cristiana in quanto
tale”49. La missione, diceva Martin Kähler, è “la madre della teologia”50. La teologia è
una manifestazione concomitante della missione cristiana. Infatti, la teologia nasce dal
movimento della Parola di Dio vivente quando questa attraversa le molteplici frontiere
della storia per costruire una nuova umanità 51. Gli scrittori del N. Testamento scrivono in
un contesto di “situazione di emergenza” di una chiesa che, a causa del suo incontro
missionario col mondo, è costretta a fare teologia52.
L’impulso che fa scrivere i vangeli non è quello storico, ma quello che proviene
dalla fede. Gli autori del NT erano meno interessati in una definizione della missione
che in un’esistenza missionaria dei loro lettori. “I vangeli, in particolare, non devono
essere visti come il prodotto di un impulso storiografico, ma come l’espressione di una
fede ardente, scritti allo scopo di raccomandare Gesù Cristo al mondo mediterraneo”53.
E’ impossibile leggere il NT senza avere presente che gran parte di esso è stato scritto in
un contesto missionario54. Il vangelo di Matteo, per esempio, è essenzialmente un testo
missionario. Fu per la sua visione missionaria che Matteo si accinse a scrivere il suo
vangelo, non per comporre una “vita di Gesù”, ma per offrire a una comunità in crisi
delle indicazioni sul modo in cui intendere la propria chiamata e missione. Paolo, infatti,
è considerato il primo teologo cristiano, proprio perché fu il primo missionario

48
HENGEL Martin, The Origins of the Christian Mission , in ID., Between Jesus and Paul. Studies in the
Earliest History of Christianity, SCM Press, London 1983, 53.
49
KASTING Heinrich, Die Anfänge der urchristlichen Mission, Chr. Kaiser Verlag, München 1969, 127.
50
KÄHLER Martin, Schriften zur Christologie und Mission, Chr. Kaiser Verlag, München 1971,180.
51
Cf. COSTAS Orlando, Liberating News. A Theology of Contextual Evangelism , Eerdmans, Grand
Rapids 1989, 112-130.
52
KÄHLER Martin, Schriften zur Christologie, 189.
53
SCHÜSSLER FIORENZA E., Aspects of Religious Propaganda in Judaism and Early Christianity , University
of Notre Damne Press, South Bent 1976, 20.
54
Cf. BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 32.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 27

cristiano55. La teologia nasce, dunque, dalla necessità della chiesa impiantata, sotto il
potere dello Spirito, di insegnare i rudimenti della fede, di riflettere criticamente e
sistematicamente su se stessa e di dotare i propri leaders per il loro ministero56. In parole
di J.A. Kirk, “non può esistere teologia senza missione o, in altre parole, non c’è teologia
che non sia missionaria”57.
La Missionologia, scrive D. Bosch, “svolge, nel contesto delle discipline
teologiche, una funzione critica, stimolando continuamente la teologia ad essere
theologia viatorum; nella sua riflessione sulla fede, la teologia deve cioè accompagnare
il vangelo nel suo viaggio attraverso le nazioni e i tempi”58. La Missionologia spinge la
teologia verso nuovi traguardi. Anzi, “la teologia contemporanea ha bisogno di un
rinnovamento da parte degli studi sulla missione”59.
Come ogni scienza, la Missionologia ha una funzione critica60. Cioè, non si tratta
soltanto di esaminare i nostri metodi, ma anche le strutture delle Congregazioni
missionarie, le relazioni fra le chiese occidentali e le chiese di Asia, di Africa e di America
Latina, la natura delle “missiones ecclesiae” oggi, i piani per progetti futuri; tutto deve
essere esaminato alla luce della Parola di Dio. Sotto quest’angolazione critica, la
Missionologia “è quella branca della teologia che approfondisce metodologicamente e
con diversi approcci ma, in quanto teologia, sempre a partire anzitutto dalla divina
rivelazione, l’origine del «mandato missionario», la sua irrinunciabile connessione con
l’essere Chiesa”. “La missiologia affronta lo studio sistematico della giustificazione
teologica e dell’espletamento del mandato di Gesù considerato dal punto di vista del
suo contenuto, della metodologia di esecuzione, dei suoi agenti, dei suoi destinatari”61.

55
Cf. HENGEL Martin, The Origins of the Christian Mission , in ID., Between Jesus and Paul. Studies in
the Earliest History of Christianity , SCM Press, London 1983, 53; DAHL N.A., The Missionary Theology
in the Epistle to the Romans , in Studies in Paul. Theology for the Early Christian Mission , Augsburg
Publishing House, Minneapolis 1977, 70.
56
DE FRANÇA Valdir Xavier, A relevância da missiologia para educação teológica , 2001, 1:
http://sites.nol.com.br/rev.valdir/relevan.htm/
57
KIRK J. Andrew, What is Mission? Theological Explorations , Darton, Longman and Todd Ltd., London
1999, 19-21.
58
La trasformazione della missione, 685.
59
WALLS Andrew F., Structural problems in Mission Studies , in International Bulletin of Missionary
Research, 15, 1991, 148.
60
Cf. VERSTRAELEN F.J.- CAMPS A.- HOEDEMAKER L.A.- SPINDLER M.R. (edd.), Missiology. An
Ecumenical Introduction, Michigan, Grand Rapids 1995, 6.
61
COFFELE G., Missione e teologia fondamentale, in La Missione del Redentore, Elle Di Ci, Leumann-
Torino 1992, 101.
28 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

3.2. La Missionologia nella sua dimensione “pratica”


Dal momento che non si può capire la fede senza una relazione alla storia, dal
momento che “la fede e la missione storica-concreta, la teoria e la prassi, si determinano
a vicenda”62, la Missionologia ci colloca nell’ambito della prassi.
In questo senso, sebbene si tratti di una scienza, noi ci collochiamo in un
obiettivo più pratico che teorico. Così lo comprende anche Verkuyl. Afferma, infatti, che
«in un tempo di prova» come quello presente, la missionologia deve mettere alla prova
la pratica della missione, del servizio al mondo e dello sviluppo di progetti e di
programmi confrontandosi con i modelli proposti dalla Bibbia; essa dovrebbe analizzare
coloro che amministrano tali programmi e dare loro orientamenti precisi. La funzione
della missionologia è quella di offrire una chiarificazione contestuale del rapporto fra
Dio, il mondo di Dio e la Chiesa di Dio. Si tratta di un “dialogo” fra Dio, il mondo di Dio e
la chiesa di Dio, cioè, fra l’origine divina della missione e la prassi che viene attuata. Più
che altre discipline teologiche, la missionologia ha un centro coscientemente pratico,
cioè, tratta di guidare e di riflettere sui modelli d’attività della Chiesa, di definire e di
discutere sulla dottrina. Per questo ha bisogno di stimolare l’immaginazione e lo spirito,
tanto quanto l’intelletto63.
La missionologia ha molto a che vedere con i processi molteplici attraverso i
quali la cristianità cresce, si sviluppa o, perfino, scompare. Con questi presupposti, si può
parlare di missionologia al singolare? Possiamo trovare consensi tematici e di soggetti
(=materie) degli studi missionologici? Possiamo accettare una comprensione universale
valida della missionologia o siamo sottoposti a molteplici interpretazioni, secondo i
contesti e secondo le stesse esperienze missionarie? I missionologi si trovano oggi
davanti a processi diversi nell’annuncio del Regno che devono essere tenuti in
considerazione, i quali evocano fenomeni molto complessi: inculturazione, influsso delle
religioni non cristiane, cambiamenti sociali, fenomeni mondiali, ma di ripercussioni
molto concrete. Se non esiste un modo uniforme di vivere la realtà del cristianesimo e
del suo sviluppo, ciò vuol dire che questa complessità non può essere indifferente alla
missionologia.
Bisogna, tuttavia, essere attenti a non assolutizzare né l’una né l’altra dimensione
della Missionologia. Infatti, nella Missionologia non tutto può essere ridotto alla prassi
62
RÜTTI Ludwig, Zur Theologie der Mission. Kritische Analysen und neue Orientierungen , Chr. Kaiser
Verlag, München 1972, 240.
63
Cf. NAISH Tim, Ways forward in Mission Studies: Theory or Image? , in Missiology 27/2, 1999, 164;
BEVANS Stephen B., Seeing Mission through Images, in J.A.Scherer-S.B.Bevans (edd.) New Directions
in Mission and Evangelization 2, Orbis Books, Maryknoll, New York 1994, 158-169.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 29

missionaria. “Lo scopo primario della Missionologia non è il reclutamento di candidati al


servizio missionario o la ratifica dei progetti missionari esistenti... In effetti, è proprio in
questo modo che sono stati visti spesso la missionologia e il ruolo del missionologo; a
quest’ultimo veniva data la facoltà soprattutto di stimolare l’attenzione per l’idea
missionaria... E siccome questa era la principale responsabilità del missionologo, la
missionologia poteva arrangiarsi su una base teologica minimale, quella appena
sufficiente a tener desta la preoccupazione. Dove accade questo, i missionologi non
devono meravigliarsi di scoprire che le questioni missionarie davvero rilevanti sono
affrontate al di fuori anziché all’interno del dipartimento di missionologia... La teologia
(e ciò include naturalmente anche la missionologia) non è, di per sé, annuncio del
messaggio, ma riflessione sul messaggio e sul suo annuncio. Di per sé, essa non media la
visione missionaria; la esamina criticamente. La missionologia non può, in quanto tale,
avere come esito l’impegno missionario. In breve, una visione missionaria la si coglie,
non la si insegna”64. Infatti, “gli studi sulla missione non sono una semplice preparazione
per la missione; essi formano parte della missione stessa”65.
Van Engelen, al quale segue anche D. Bosch, afferma che la sfida rivolta alla
missionologia è quella di “collegare l’evento Gesù sempre rilevante di venti secoli fa al
futuro del regno promesso di Dio nell’interesse di iniziative significative nel presente” 66.
Questo compito richiede il contributo della Missionologia nel campo della soteriologia,
della cristologia, dell’ecclesiologia, del escatologia, ecc. Impresa rischiosa, afferma
Bosch: “Ogni branca della teologia –missionologia inclusa- rimane un’opera
frammentaria, fragile e preliminare. Non esiste la missionologia come entità conclusa.
Esiste soltanto la missionologia in abbozzo. Missionologia semper reformanda est.
Soltanto in questo modo, essa potrà diventare non soltanto ancilla theologiae, «ancella
della teologia»67, ma anche ancilla Dei mundi, «ancella del mondo di Dio»”68.

64
BOSCH D. J., La trasformazione della missione , 687; cf. SCHERER James A., Missions in Theological
Education, in W.J. Danker-Wi Jo Kanhg (edd.), The Future of the Christian World Mission , Eerdmans,
Grand Rapids 1971, 149.
65
Cf. WALLS A.F., Missiological Education in Historical Perspective , in J.Dudley Woodberry e altri,
edd., Missiological Education for the 21st. Century, Orbis Books, Maryknoll, New York 1996, 20.
66
ENGELEN J.M.Van, Missiologie op een keerpunt, in Tijdschrift voor Theologie, 15, 1975, 309-310.
67
Cf. SCHERER James A., Missions in Theological Education, 153.
68
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 688.
30 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

4. Verso una comprensione del termine “missione”

4.1. Il termine “missione” nella storia69. Nel suo manuale teologico-missionario,


S. Paventi nota che, fino al XVII sec., per indicare la missione, ci si è serviti di una
terminologia molto varia: diffusione della fede, conversione dei pagani, proclamazione
della buona novella in tutto il mondo, istruzione nella fede degli ignoranti, conversione
degli infedeli, proclamazione apostolica, offerta della salvezza ai popoli barbari,
diffusione della religione cristiana, proclamazione del Vangelo, orientamento alla
salvezza, crescita della fede, allargamento della Chiesa, invio (legatio), impiantamento
della Chiesa, impiantamento nel sangue, annunzio (nuncius), costruzione della Chiesa,
crescita della Chiesa, campo del Vangelo, diffusione del regno di Cristo70 .
In termini latini, abbiamo: Illuminatio Gentium, Novos populos adducere in
gremio sanctae matris Ecclesiae, Propagatio Fidei, Conversio Gentilium, Praedicatio
Evangelii in Universo Orbe, Labor salutiferae praedicationis ad innotescendum gentibus
mysterium fidei, Conversio infidelium, Praedicatio apostolica, Procuratio salutis ad
barbaras gentes, Novella Christianitatis plantatio, Promulgatio Evangelii, Viam salutis et
lucis infidelibus insinuare, Procuratio salutis omnium gentium, Legatio ad Gentes,
Dilatatio Ecclesiae per universum orbem, etc. Per indicare i missionari si usano
espressioni quali: Operarii aut ministri sancti Evangelii, Proficiscentes ad infideles
convertendos, Nuntii Evangelii, Peregrinantes pro Christo, Seminator, Catechistae,
Praeco Fidei, Legator, Plantator, etc.
Ignazio di Loyola pretese dai gesuiti un quarto voto e cioè il votum de
missionibus e, negli anni 1544-1545, scrisse le Constitutiones circa missiones71, giacché
la Società tenta di stabilirsi nei luoghi più diversi, e coloro che diventino membri
debbono accettare ogni destinazione (questa destinazione proviene dal Papa per
esercitare un ministero in qualunque regione o provincia chiamata nel documento
“missione”). “Missione” significava, sia l’invio per l’esercizio di un ministero stabilito
dall’autorità, sia il luogo nel quale svolgerlo. Agli inizi non ci fu, però, nessuna
69
LOFFELD E., Le mot «mission», in: Le problème cardinal de la missiologie e des missions catholiques , Ed.
Spiritus, Rhenen 1956, 357-370; SANTOS A., Misionología. Problemas introductorios y ciencias
auxiliares, Sal Terrae, Santander 1961,9-67; SASTRE Eutimio, Variaciones sobre los neologismos latinos:
Missio – missionarius – vivere apostolico modo, in Euntes Docete 54/3, 2001,169-229.
70
PAVENTI S., La Chiesa missionaria. Manuale di Missiologia, Roma 1949, 13; cf. GENSICHEN H.-W., Che
cos’è missione?, in K. Müller, Teologia della Missione, EMI, Bologna 1991,45.
71
Cf. IGNAZIO DI LOYOLA, Constitutiones circa missiones, in Monumenta Historica Societatis Iesu,
Series Tertia, t. I, Romae 1934, 159-164.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 31

determinazione quanto al luogo di destinazione né al carattere ecclesiastico del


territorio che poteva essere cattolico, cristiano dissidente o pagano. Nella Bolla di
Conferma della Compagnia, da parte di Giulio III (21.7.1550) si coglie questa
intenzione: “...In qualunque provincia abbiano voluto mandarci... sia che abbiano
pensato di mandarci presso i turchi, o qualsiasi altro infedele, sia anche nei luoghi
chiamati Indie, sia presso qualsiasi eretico o scismatico, sia pure presso qualsivoglia
fedele””72.
Molto presto il termine missione passò a designare la funzione che proviene
dalla destinazione data dai superiori. Nel 1583, in una lettera del 19 settembre, il P.
Aquaviva, quarto Generale, distingue fra gli altri ministeri e missioni; queste
rappresenterebbero spedizioni transitorie, distinte dai ministeri esercitati nelle “sedi” o
residenze abituali73. Il gesuita J. Acosta comprese molto bene il fondatore del suo
Ordine quando, nel suo celebre libro De procuranda Indorum salute (1588), scriveva:
“Con il termine missione intendo viaggi e azioni che, per amore della parola di Dio,
vengono condotti di città in città” (1954). Il termine, infatti, “è legato indissolubilmente,
dal punto di vista storico, all’epoca coloniale e all’idea di un incarico magistrale. Il
termine presuppone una chiesa stabilita in Europa che invia delegati a convertire i
popoli d’oltremare e che costituisce, in quanto tale, un fenomeno collaterale
dell’espansione europea... ‘Missione’ significava le attività mediante cui il sistema
ecclesiastico occidentale veniva esteso al resto del mondo”74.
In principio, i gesuiti saranno i Padri della missione75; quando S. Francesco di
Sales si occupò di riportare nella chiesa cattolica le popolazioni del Chablais (Alta
Savoia) nelle quali i calvinisti di Ginevra avevano imposto la loro riforma, egli ricevette
nel 1599 una missione di gesuiti per l’aiuto nelle parrocchie tuttora funzionanti.
Francesco di Sales parla a questo proposito di «questa opportunissima missione e dei
padri della missione». E già si accetta come predicazione straordinaria ed itinerante
anche fra i Cappuccini del 1617: “mission de Poitou”. San Vincenzo de Paoli si dedicherà
alle “missioni parrocchiali” e fonderà la Congregatio Missionis o Lazzaristi nel 1625,
dove la missione fa riferimento al ministero, chiamato modernamente, di ri-

72
IGNAZIO DI LOYOLA, Constitutiones circa missiones, 378: “ad quascumque provincias nos mittere
voluerint... sive nos ad Turcas, sive ad quoscumque alios infideles, etiam in partibus quas Indias vocant, sive
ad quoscumque haereticos, schismaticos, sea etiam ad quosvis fideles mittendos consueverint”.
73
AQUAVIVA P., in Lettere dei Prepositi Generali, vol. I, 3ª ed. Roma 1845, 66.
74
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 321.
75
Cf. SAN FRANCESCO DI SALES, Lettera del 23 settembre 1599 , in Oeuvres Complètes, t. XII,
Annency 1902, 26-27.
32 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

evangelizzazione, e l’esecuzione di questa opera sarà sintetizzata nell’espressione “far la


missione”76. A partire da qui sorgono in Francia le Congregazioni dei chierici della
missione, con diverse ramificazioni.
Da qui la parola assume il significato del ministero della prima evangelizzazione
nei paesi non cristiani, che già veniva utilizzandosi. Appare anche fuori dalla
Compagnia. Nell’opera di R. Hakluyt, The Principal Navigations, Voyages, Traffiques
and Discoveries of the English Nation (1598), scritta metà in latino e metà in inglese, si
utilizza per designare l’opera di evangelizzazione di Giovanni di Pian di Carpine77, dei
domenicani e dei francescani78 tra i tartari.
Nel 1592, i gesuiti editano una Brevis et compendiosa narratio Missionum 79, che
riguarda l’India, il Giappone, l’Etiopia, il Perù e il Messico. Nel 1601 Luigi de Guzmán SJ.
pubblica la sua Historia de las misiones que han hecho los religiosos de la Compañía de
Jesús para predicar el sancto Evangelio en la India Oriental y en los reynos de la China y
Japón (Alcalá de Henares 1601). Dal 1610 si utilizza fra i gesuiti il termine missionario e
si conserva quello di missioni, ogni volta in modo più restrittivo per le spedizioni
transitorie e viaggi a regioni di prima evangelizzazione. Così, al principio di questo s.
XVII, il termine acquista diritto di cittadinanza nella terminologia ecclesiastica per
designare le missioni estere80.
All’odierno termine tecnico di missione si avvicinano soprattutto gli scritti dei
carmelitani dell’inizio del XVII sec., in particolare quelli di Giovanni di Gesù-Maria e di
Tommaso di Gesù; il primo, tra il 1604-1605 scrisse tre trattati che usano il termine
“missioni” in tal senso: Tractatus quo asseruntur missiones et rationes adversae
refelluntur; Votum seu consilium pro missionibus quo ad nova obiecta respondentur;
Instructio missionum. Questi trattati s’inserivano, scrive Seumois, nelle discussioni di
allora nell’ordine dei carmelitani riformati sull’orientamento, sia puramente
contemplativo, anzi eremitico, sia anche apostolico secondo la tendenza della riforma
teresiana; queste discussioni si svolgevano prima nella congregazione di Spagna, dove
l’apostolato intravisto dai promotori dell’orientamento apostolico (P. Girolamo-
Graziano della Madre di Dio) era nettamente centrato sull’opera della propagazione
della fede nel mondo, cioè nelle regioni appena aperte all’evangelizzazione, e
76
HOLSTEIN H., Quel est le sens du mot “mission”?, in Spiritus 25, 1965, 373-374.
77
Cf. HAKLUYT R., The Principal Navigations, Voyages, Traffiques and Discoveries of the English Nation,
London 1598, 21.
78
Ib., 37.
79
Ragguaglio di alcune Missioni, Zannetti, Roma 1592.
80
Cf. SEUMOIS André, Teologia missionaria, Edizioni Dehoniane, Bologna 1993, 14-15.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 33

concretamente nel Congo (portoghese) verso il quale furono mandate vari gruppi di
carmelitani scalzi; ma la corrente opposta all’orientamento missionario, ignorando P.
Girolamo Graziano81, prevalse in Spagna nel 1585.
Le discussioni ripresero presso i carmelitani d’Italia e in questo contesto il P.
Giovanni di Gesù-Maria fu incaricato di trattare per iscritto sulla questione delle
missioni in preparazione del capitolo provinciale del 1604 per i carmelitani d’Italia. I
suoi scritti, pubblicati soltanto più tardi nel 1622, erano però stati parzialmente
divulgati anche fuori dagli ambienti carmelitani tramite il P. Tommaso di Gesù, per il
quale il termine missioni aveva lo stesso significato, prima nello Stimulus missionum
(1610) e poi nel 1613 in De procuranda salute omnium gentium. E’ molto probabile che
sotto l’influenza dei carmelitani, la Congregazione missionaria della Santa Sede, fondata
da Gregorio XV nel 1622, e che prende il nome di “Propaganda Fide” (nome che, solo
dopo il Concilio Vaticano II, cambia in quello di “Congregazione per l’evangelizzazione
dei popoli”), abbia già usato fin dall’inizio i termini missione e missionario con precisione
tecnica. Secondo il carmelitano Giovanni-Maria del S. Cuore, forse non è azzardato dire
che i termini suddetti abbiano assunto il nuovo significato durante le discussioni, che
ebbero luogo in curia prima della fondazione della Propaganda gregoriana,
specialmente ai tempi di Pio V e di Clemente VII. Così si spiega facilmente il primato
degli scrittori carmelitani nel divulgarne l’uso in quanto molti della congregazione in
Italia parteciparono in maniera attiva ed efficace a quei lavori82.
Nel vocabolario ecclesiastico tecnico “missione”, “missioni”, “missionari”,
entrano nel secolo XVII, mentre “apostolo” e “apostolato” sono usati fino dalle origini
del cristianesimo. Questo avveniva in momenti di espansione ecclesiale a motivo delle
grandi scoperte geografiche. Anteriormente, per designare queste funzioni si
utilizzavano le espressioni che abbiamo già esaminato.
Propaganda Fide fecce del termine oggetto proprio di sua competenza:
“Missionibus omnibus ad praedicandum et docendum Evangelium et catholicam
doctrinam superintendant, ministros necessarios constituant, et mutent”83.. Così è
rimasta fino ad oggi. Paolo VI, nella Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae84
dichiara: “Congregatio pro Gentium Evangelizatione seu de Propaganda Fide
competens est in rebus quae respiciunt omnes Missiones ad regnum Christi ubique

81
Cf. SEUMOIS André, Teologia missionaria, 16.
82
Ib., 16-17.
83
GREGORIO XV, Constituzione Inscrutabili, 22 giugno 1622: Coll. SCPF, I, Roma 1622, n.3,4.
84
PAOLO VI, Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae, 15.8.1967, in AAS, 1976, 915.
34 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

diffundendum institutas..., in dirigenda et coordinanda tota activitate missionalis ubique


terrarum”. Si colloca fuori delle frontiere dove la Chiesa è stabilmente costituita: “Altra
è infatti la condizione precisa delle chiese debitamente costituite, altra quella delle
missioni”85.

5. Per una descrizione della “missione” e della sua comprensione

Possiamo affermare, e in questo siamo d’accordo con molti altri missionologi,


che, “dopo un periodo di assopimento, l’importanza della missione nella vita della
chiesa e nella teologia appare di nuovo in crescita (cf. RM); va però detto che a questo
aumento di interesse non corrisponde sempre adeguata chiarezza di impostazione e di
prospettive. In particolare è il concetto stesso di missione ad apparire vago e sfumato. La
diversità, anche notevole delle opinioni, unita alla mancanza di un preciso dibattito, non
trova difficoltà a congiungere insieme entusiasmo e disagio circa la missione”86. In certo
senso è un concetto che si è secolarizzato; militari, politici, industriali, tutti si trovano
in missione, adempiendo una missione87. Non è tanto facile mettersi d’accordo su
quello che si intende per missione. Per questo motivo, parliamo qui di descrizione della
realtà della missione più che di una definizione specifica e universale. Sono soltanto
alcuni dei modi attraverso i quali viene spiegata la realtà dell’azione missionaria.
E’ ciò che fa Spindler, quando fonda la missione biblicamente a partire da alcune
attività concrete: missione = essere inviati ( Mt 10,16; Lc 10,1s; Gv 20,21)88; fare
discepoli di tutte le nazioni (Mt 28,19); la missione è liberazione, azione emancipatoria
(Lc 4,18s); la missione è testimonianza (At 1,8;22)89. In realtà si tratta di specificare la
finalità che giustifica il fatto missionario. Queste finalità sono diversamente presentate
nella missionologia attuale. Così J. Verkuyl90 concentra lo scopo della missione, così
come è stato visto nella storia, in questo: salvezza individuale delle anime;
ecclesiocentrismo; la triplice formula; la crescita della Chiesa; formare la società
cristiana; il vangelo sociale; sviluppare le macrostrutture; il regno di Dio. Noi vogliamo
85
SACRA CONGREAGAZIONE DE PROPAGANDA FIDE (SCPF), Enciclica del 1 giugno 1877, in Coll. SCPF,
II, Roma 1877, n.1473, 109.
86
COLZANI Gianfrancesco, L’ora della missione mondiale. Senso e problemi di un mutamento , in Scuola
Cattolica 114, 1986, 677-678.
87
Cf. SHENK Wilbert R., Changing frontiers of Mission, Orbis Books, Maryknoll, New York 1999, 1.
88
Cf. DU BOSE F.M., il quale colloca il fondamento biblico della missione nel fatto dell’invio ( God Who
Sends: a fresh quest for Biblical Mission. Nashville 1983).
89
Cf. SPINDLER M.R., The Biblical Grounding and Orientation of Mission , in Missiology. An Ecumenical
Introduction, Eerdmans, Grand Rapids 1995, 127-131.
90
Contemporary Missiology, 176-204.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 35

presentare una tipologia che, crediamo, ricopre tutti questi scopi, in un modo più
tradizionale e ancora modo comune di parlare.

5.1. Missione come “evangelizzazione e diffusione della fede”


E’ la concezione che nasce dal mettere in pratica il comando di Cristo: “Andate
in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato
sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,15-16; Mt 28,16-20). Ed è ciò
che per secoli ha fatto la Chiesa 91. Due esponenti di spicco al momento
dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo, si esprimono così: “se si potesse fare in modo
tale da inviare solo predicatori che finalmente introducano la fede in quelli [gli indios]”
(Pedro de Cordoba 1527). Bartolomé de Las Casas ripete spesso questo motivo: “il titolo
che i Re di Castiglia avevano al dominio universale e supremo [...] non era altro che
quello della predicazione del Vangelo e della conversione di queste genti [...]; e
l’introduzione della fede non priva i Re dei loro Regni”92.
E’ l’idea che troviamo al momento della fondazione di Propaganda Fide; essa si
pone come organismo papale “per la diffusione della fede in tutto il mondo”. Il testo
della Bolla di fondazione afferma che si tratta di proclamare il vangelo a tutte le
creature, di riunire dai quattro angoli della terra gli ignoranti e i senza Dio che si trovano
in deplorevole errore per condurli al gregge di Cristo e alla conoscenza del Pastore e
Signore del gregge. In realtà, con la fondazione di Propaganda Fide, si aveva di mira
anche la riforma dei paesi europei, ma l’accento principale veniva posto, senza dubbio,
su quelli di missione. Non si trattava di ambizioni politiche, come potrebbe far pensare il
significato oggi negativo del termine “propaganda”, ma solo e unicamente di una
preoccupazione religiosa, che era quella di condurre gli uomini alla fede e dunque alla
conoscenza di Gesù Cristo e di Dio93.
Dal momento che la Missione (e la Missionologia) ha a che fare con Dio
(teologia) e con l’uomo (antropologia), queste due pietre di fondamenta condizionano
in uno o in altro senso la stessa concezione della missione. Sia che si orienti all’uomo o a
91
Cf. HENRY A., Mission Theology, Fides, Notre Dame, Indiana 1962; OHM Thomas, Machet zu
Jurgern Alle Volker, E. Weewel Verlag, Freiburg in Breisgau 1962.
92
LAS CASAS Bartolomé de, Historia de las Indias, lib. III, c. 55, in Obras Completas 5: Historia de las
Indias III, 1ª. Ed. crítica, M.A. Medina, J.A. Barreda, I. Pérez, Alianza Editorial, Madrid 1994, 1987-1988;
cf. BARREDA Jesús-Angel, L’evangelizzazione pacifica: i domenicani e Las Casas , in L’Europa e
l’evangelizzazione del Nuovo Mondo, Centro Ambrosiano, Milano 1995, 103-163.

93
Cf. MÜLLER Karl, Teologia della Missione. Un’Introduzione , EMI, Bologna 1991, 47.
36 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

Dio, sia che si parta dall’uomo o da Dio. Da qui la diversità di oggetti nella parola
“missione”. Così, diffondere la fede include, non la propagazione di una parola qualsiasi,
ma della parola della Scrittura. La missione è il fatto di proclamare, di testimoniare, di
fare presente questa Parola 94. Dalla parola, infatti, dipende la fede: “la fede dipende
dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di
Cristo” (Rm 10,17).
Il Decreto Ad gentes propone l’evangelizzazione come scopo specifico
dell’attività missionaria: “fine specifico di questa attività missionaria è la
evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in quei popoli e gruppi, in cui ancora
non esiste” (6). Questa comprensione della missione è sempre valida e presente nella
vita della Chiesa, dal momento che non c’è un sostitutivo che metta a confronto
Cristo e l’essere umano95. Fino al punto che, come scrive Paolo VI, “gli uomini
potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi
non annunziamo loro il Vangelo; ma potremmo noi salvarci se, per negligenza, per
paura, per vergogna... o in conseguenze di idee false, trascuriamo di annunziarlo?”
(EN 80).

5.2. Missione come “diffusione del Regno di Dio”


Filippo Nicolai (1556-1608) nel suo libro Commentarius de Regno Christi (1597)
propone una strategia missionaria. Egli ritiene che il “grande mandato” sia stato
compiuto dagli apostoli e non fossi più vincolante per la chiesa. Tuttavia, non crede che
la chiamata missionaria della chiesa sia con ciò liquidata. “La sua preoccupazione era
piuttosto quella di salvaguardare l’unicità dell’opera fondativa degli apostoli e di
distinguerla da ciò che la chiesa aveva fatto negli anni successivi. All’opera apostolica
egli diede il nome di missio, all’estensione successiva della chiesa quello di
propagatio”96.
Considera positivo il lavoro missionario della Chiesa cattolica, anche se
identifica i tre grandi nemici del cristianesimo (=luteranesimo) del suo tempo con i
turchi, il papato e il calvinismo. Egli vede i resti del pensiero cristiano fra i cristiani di San

94
Cf. TIPPETT Alan R., Introduction to Missiology, William Carey Library, Pasadena, California 1987,
XXII.
95
Cf. PONSI Frank, Contemporary concepts of Mission , in Missiology. An International Review , VI,
1978, 140.
96
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 349; cf. HESS Willy, Das Missionsdenken bei Philipp
Nicolai, Friedrich Witting Verlag, Hamburg 1962, 97-159.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 37

Tommaso nell’India, ma anche in Cina e in America. Non ha dubbi che il Cristo si sia
fatto valere ovunque, servendosi persino della missione universale cattolica. Per l’Africa,
il punto di partenza più adatto era rappresentato dalla Chiesa etiopica. Il vangelo
sembrava covare sotto la cenere, ma Dio poteva ovunque fare sprigionare scintille e
trasformarle in un bel fuoco, dato che, nonostante qualsiasi colpa del paganesimo, che
non era rimasto fedele al vangelo, la volontà universale di salvezza di questo riguarda
tutti i tempi e tutti i popoli. Per Nicolai e per gli uomini dell’ortodossia, la dottrina della
basileia di Dio e di Cristo era fuori discussione, e ciononostante, prevalse in loro l’idea
che non si dovesse rubare il mestiere a Dio. D’altra parte, la situazione politica mondiale
e il successivo destino politico della Germania impedirono ai protestanti di prendere
parte attiva alla missione universale della Chiesa. Ma giocò il suo ruolo anche il fatto che
la dottrina della basileia, proprio come era avvenuto nella Chiesa cattolica, anche negli
ambienti protestanti era fortemente collegata con la dottrina del Corpus christianorum.
Guardando, sia nell’AT, sia nel Nuovo, si conclude che l’ultimo scopo della
Missio Dei è l’instaurazione del Regno di Dio. L’intenzione di Dio è questa. Il Regno è
centrale in tutto il ministero di Gesù. Per Gesù il regno di Dio è “punto d’avvio e
contesto della missione”97. Il Regno di Dio viene capito in molti modi: salvezza delle
anime individuali; Chiesa; soddisfazione delle necessità spirituali; perdono dei peccati;
proclamazione e realizzazione della salvezza totale. E’ anche il nuovo ordine di cose che
incomincia con Cristo e in Lui è completato; include sia la relazione nuova dell’uomo
con Dio, sia le relazioni nuove fra i sessi, fra le generazioni e le razze, anche fra l’uomo e
la natura. E’ la creazione che raggiunge il suo scopo. “Nel mistero di Gesù, il regno di
Dio è dunque interpretato come l’espressione dell’autorità premurosa di Dio sulla vita
nella sua totalità”98.

5.3. Missione come “conversione dei pagani”


La missione è sempre una chiamata alla conversione, un’opportunità per il
cambiamento, un invito a realizzare il Regno di Dio, un’urgenza per entrare nel
dinamismo creatore dell’azione di Dio nel mondo. “I termini conversione e pagani non
sono certamente rispettosi dell’odierna sensibilità, ma indicano chiaramente ciò che si

97
SENIOR Donald, The Foundations for Mission in the New Testament , in D. SENIOR-CARROLL
STUHLMUELLER, The Biblical Foundations for Mission , Orbis Books, Maryknoll, New York 1983, 114;
trad. it. I fondamenti della missione nel Nuovo Testamento, in D. SENIOR-CARROLL STUHLMUELLER, I
fondamenti biblici della missione, EMI, Bologna 1985, 202.
98
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 58.
38 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

intende per missione, la quale consiste nel fatto che uomini, che ancora non conoscono
Cristo, ne vengano a conoscenza e si orientino verso di lui nella fede che, cioè, si
convertano. La missione riguarda la proclamazione di Gesù come vera e unica buona
novella. Questa proclamazione comporta la metanoia per mezzo della quale la vita
acquista un nuovo senso; gli uomini fanno l’esperienza della salvezza che viene da Dio in
Gesù e, nello Spirito del Padre e del Figlio, diventano figli di Dio. Nella sua accezione
teologica, pagano significa semplicemente colui che non conosce Gesù Cristo.
Convertire, d’altra parte, non ha nulla a che vedere con il proselitismo. Diventare
cristiano non comporta che si esca sociologicamente dal proprio gruppo o dalla propria
famiglia, spezzando il legame tradizionale esistente, ma solo che si riconosca Cristo
come mezzo e fine e si entri nella comunità dei credenti in Cristo. La Chiesa è il nuovo
popolo di Dio, cioè un mistero e, dunque, qualcosa che non viene da questo mondo ma
che tuttavia si trova pienamente nel mondo e, in quanto tale, anche partner dialogico
del mondo. La Chiesa ha a che fare essenzialmente con Cristo e il suo Regno; tuttavia
Cristo e il suo Regno non si identificano con i confini della Chiesa visibile.
L’appartenenza alla Chiesa non è garanzia di salvezza definitiva, così come la salvezza di
Cristo non è assolutamente dipendente dall’appartenenza alla Chiesa visibile. La
missione riguarda la cristianizzazione, ma in senso teologico e non semplicemente
sociologico”99.
La conversione non consiste unicamente nell’aderire alla comunità dei redenti; è
un “mutamento di lealtà in cui Cristo è accettato come Signore e centro della propria
vita. Un cristiano non è semplicemente qualcuno che ha maggiori probabilità di essere
‘salvato’, ma una persona che accetta la responsabilità di servire Dio in questa vita e di
promuovere il regno di Dio in tutte le sue forme”100. Si tratta dunque di un
cambiamento, sia intellettuale, sia morale che porta alla vita della koinonia. La
conversione è il momento di lasciare il proprio centro per centrarsi in Dio ( At 26,8; Ef
5,8)101. La risposta alla chiamata di Cristo è la conversione, una esperienza di crescita nel
processo di identificazione con Cristo. I Re cattolici erano nelle Indie, ricorda Las Casas,
per “la conversione di queste genti”102. Nell’opera Tratados afferma che “le Loro Altezze
e Vostra Maestà hanno e l’ufficio di apostoli concesso dalla Santa Sede Apostolica,
99
MÜLLER Karl, Teologia della Missione, 49-50.
100
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 675; SEUMOIS André, Teologia missionaria, 109.
101
Cf. KIRK J. Andrew, What is Mission? Theological Explorations , Darton, Longman and Todd Ltd.,
London 1999, 68.
102
LAS CASAS Bartolomé de, Historia de las Indias, en Obras Completas 5, 1ª. Ed. crítica, M.A.
Medina, J.A. Barreda, I. Pérez, Alianza Editorial, Madrid 1994, 1987.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 39

sopra il quale si fonda tutto il loro dominio su queste terre, ed il fine al quale si sono
obbligati per volontaria scelta, che è quella della predicazione della fede e della
promulgazione del santo Vangelo di Gesù Cristo e la loro conversione”103.

5.4. Missione come “fondazione della Chiesa”


Risulta chiaro, da quanto abbiamo detto, che la missione riguarda anche la
costituzione di nuove comunità ecclesiali. E’ così che Paolo ha inteso le cose ed è quello
che ha fatto la Chiesa di tutti i tempi. Paolo, infatti, agli inizi del cristianesimo, pensava il
proprio ministero come il compito di fondare o costituire nuove comunità cristiane. San
Tommaso d’Aquino centrava il ministero apostolico nell’impianto della Chiesa. La Chiesa
deve mettere le radici e crescere con tutte le sue strutture gerarchico-istituzionali
presso tutti i popoli e tutte le culture. Nella Chiesa cattolica è stata sempre presente
l’idea che la missione avesse come scopo la fondazione di nuove chiese.
Tanto è così che intorno alla plantatio Ecclesiae è nata la denominata scuola di
Lovanio. Parleremo più avanti di questa scuola, che è stata inizialmente molto criticata
per la sua unilateralità e per il forte riferimento alla chiesa gerarchico-giuridica.
Ciononostante, il Vaticano II riprende questa stessa idea dell’impiantazione nel n. 6 del
Decreto Ad gentes: “Le iniziative principali, con cui i divulgatori del Vangelo, andando
nel mondo intero, svolgono il compito di predicare il Vangelo e di fondare la Chiesa in
mezzo ai popoli ed ai gruppi che ancora non credono in Cristo, sono chiamate
comunemente «missioni»”; il Concilio ha presente che il concetto stesso di Chiesa viene
letto sotto il profilo della comunione e non tanto sotto quello gerarchico e giuridico. E
questo viene apprezzato anche dai Protestanti104. Per cui, può ancora avere un
significato oggi parlare della missione come della “fondazione di nuove chiese”, nel
senso di nuove comunità, pienamente radicate nella loro realtà, con propri usi e
costumi, proprie forme espressive del culto, membra autonome e maggiorenni della
Chiesa universale. Sottolineando con tanta forza il concetto di Chiese particolari, il
Concilio Vaticano II prende le distanze da un universalismo astratto e da un centralismo
a senso unico e offre anche un notevole contributo alla teologia della missione. Fondare
nuove comunità del popolo di Dio, è una terminologia teologicamente corretta e in
grado di descrivere la realtà della missione.

103
LAS CASAS Bartolomé de, Tratados, Città del México 1965, 741-759.
104
Cf. Contemporary Missiology, 183.
40 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

Anche nel campo protestante troviamo un grande difensore della plantatio


Ecclesiae in Gisbert Voetius (De missionibus ecclesiasticis), che ha presente i tre
obiettivi della missione, cioè: -la conversione dei pagani, scopo immediato; - la
piantazione delle chiese e – la gloria e manifestazione della grazia di Dio; quest’ultimo,
in realtà, sarebbe il più importante.

5.5. Missione come “servizio dell’araldo”


In relazione con il soggetto della missione, la missione viene vista come il
“servizio dell’araldo”. E’ soprattutto Paolo che riserva per sé il nome di apostolo, praeco,
araldo. Gli araldi sono i banditori, coloro che annunciano una notizia in nome del re e
partecipano della sua dignità, santità e inviolabilità. Gli Apostoli furono chiamati a
continuare la missione di Gesù Cristo, nel suo nome. Come testimoni del suo trionfo
pasquale, essi potevano proclamare che a lui, il risorto, era stato dato ogni potere in
cielo e sulla terra. Essendo stati testimoni della risurrezione, erano particolarmente
adatti per questo incarico.
Il predicatore realizza una proclamazione solenne di un avvenimento: Gesù è
signore e salvatore. E questo messaggio non è un’invenzione dell’araldo; gli viene dato e
la forza procede dal fatto che egli è stato inviato a comunicare e che avrà il suo effetto
anche quando l’araldo non fosse fedele. Questa missione, o servizio dell’araldo, è stata
sempre autorizzata dalla Chiesa e non è mai venuta a meno, sia perché è iniziativa della
Chiesa stessa (cf. At 8,14-17; 11,22s), sia perché questa benedice tale ministero con
l’imposizione delle mani sugli araldi (At 13,2s). Ad ogni modo, l’araldo non si può
sottrarre al suo compito; il suo è un atto di obbedienza, non un hobby o un affair
volontario105. E’ molto significativo che i missionari preferiscono definirsi Evangelii
Praecones, araldi; l’annuncio dell’araldo riguarda qualcosa di nuovo, qualcosa di finora
non conosciuto e che merita attenzione, una notizia ufficiale che viene, appunto,
annunciata e proclamata. E’ proprio della natura dell’annuncio missionario annunciare
qualcosa di nuovo, destinato al mondo intero e in grado di cambiare il mondo: la buona
notizia, unica, straordinaria e insuperabile106.

105
Cf. VERKUYL Johannes, Contemporary Missiology 164.
106
GENSICHEN H.-W., Che cos’è missione?, in K. Müller, Teologia della Missione, EMI, Bologna 1991, 47-
52, da dove in gran parte prendiamo queste considerazioni.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 41

5.6. La missione come “testimonianza”


Altra comprensione della missione collegata alla persona del missionario è
quella di considerare la missione come testimonianza. Si tratta di un concetto
pienamente biblico. Gli apostoli sono costituiti testimoni di Gesù: “e mi sarete testimoni
a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”
(At 1,8), per poter annunciare solennemente a tutti i fatti relativi a Gesù. In Atti
“testimonianza” diventa il termine adatto per dire “missione”107. Il contenuto centrale
della testimonianza è la risurrezione di Gesù: “testimone della sua risurrezione” è la
condizione richiesta al discepolo per occupare il posto lasciato da Giuda (At 1,22). Paolo
viene costituito testimone di Cristo davanti a tutti gli uomini: “perché gli sarai testimone
davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito” ( At 22,15; 26,16). Si tratta di
una testimonianza che ha più a che fare con l’essere che con il fare108; infatti, gli apostoli
non sono chiamati a realizzare nulla, ma ad additare ciò che Dio ha fatto e continua a
fare. Nella storia della Chiesa, “missione”, “evangelizzazione” e “testimonianza” sono
concetti sinonimi; sebbene ognuno di essi abbia una propria storia ed un significato
proprio. Nella pratica coinvolgono la stessa realtà109.
Vedere la “missione” nell’ottica della testimonianza, è vederla in relazione con la
sofferenza, la persecuzione e il martirio ( Ap 1,9; At 22,20); tutto a causa del Vangelo.
Infatti, il testimone è cosciente dell’importanza della sua testimonianza, dal momento
che con essa pretende che gli altri conoscano e accettino Cristo. In questo senso, la V
Assemblea del WCC (Vancouver 1983) definisce la testimonianza come “atti e parole
con i quali un Cristiano, o una comunità, rende testimonianza a Cristo e invita gli altri a
dare una risposta110. Il testimone aspetta una risposta al suo messaggio. “Un testimone
autentico non è un semplice mangianastri o una guida di museo che spende la vita tra
documenti e monumenti antichi; è, soprattutto, uno la cui vita è rimasta prigioniera dei
fatti che accaddero nella collina del Calvario e nella cova di Giuseppe di Arimatea”111.

5.7. Missione come “salvezza delle anime”

107
Cf. GAVENTA Beverly Roberts, You will be my Witnesses, in Missiology 10, 1982, 416.
108
Cf. SPINDLER M.R., The Biblical Grounding and Orientation of Mission , in Missiology. An
Ecumenical Introduction, Eerdmans, Grand Rapids 1995, 130.
109
Cf. SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI, Memorandum from a consultation on mission , in
International Review of Mission 71, 1982, 460.
110
Cf. GILL David (ed.), Gathered for Life. Official Report of the Sixth Assembly of the World Council
of Churches, Vancouver, Canada, 24 July-10 August 1983, Wm. B. Eerdmans, Grand Rapids 1983, 40.
111
VERKUYL J., Contemporary Missiology, 111.
42 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

Il tema della “salvezza delle anime” è stato sempre presente nel lavoro
missionario già dall’inizio dell’evangelizzazione delle Indie. Las Casas, parlando dei frutti
della buona amministrazione da lui proposta al Consiglio delle Indie (20 gennaio 1531),
afferma: “e della più copiosa moltitudine delle anime che se salverebbe, cosa che è il
fine principale che il Re e le Vostre Signorie e Grazie se desiderano salvarsi, debbono
pretendere”112.
I padri del primo pietismo, Philipp Jacob Spener (1635-1705) e August Hermann
Francke (1663-1727) centrarono i loro lavori sull’individuo. Diedero valore alla vera
pietà, all’importanza dei piccoli raduni di “devoti cristiani”, al servizio di adorazione
sviluppato nelle case delle genti, alla preghiera e al sacerdozio dei credenti. Tratti
salienti del pietismo: “nel pietismo, la fede formalmente corretta, fredda e cerebrale
dell’ortodossia cedette il passo a un’unione calorosa e devota con Cristo... La disciplina
di vita anziché la solida dottrina, l’esperienza soggettiva dell’individuo anziché l’autorità
ecclesiastica, la prassi anziché la teoria: furono questi i segni distintivi del nuovo
movimento. Esso si sarebbe contrapposto all’ortodossia praticamente da ogni punto di
vista”113.
Dio ha operato la salvezza per tutti in Cristo. “Da questa convinzione discende
che il movimento missionario cristiano è stato motivato, nel corso di tutta la sua storia,
dal desiderio di mediare a tutti la salvezza. Il motivo soteriologico può davvero essere
definito il cuore pulsante della missionologia [...]; la portata della salvezza –comunque la
si definisca- determina la portata dell’impresa missionaria” 114. Il motivo della “salvezza
delle anime” ha sempre rappresentato un forte stimolo in campo missionario.
Alessandro VI nella famosa bolla Inter caetera (4 maggio 1493) parlò della salus
animarum. Benedecto XV nell’enciclica Maximum illud ammonì il banditore del
vangelo: “che è premuroso soltanto della gloria di Dio e della salvezza delle anime”115.
Anche Warneck concorda con queste riflessioni. Scrive: “Naturalmente
l’indefesso lavoro missionario avrà come risultato lo sbocciare ovunque di autentiche
conversioni, dal momento che l’annuncio del vangelo è forza di Dio per la salvezza di
tutti coloro che credono in esso”116. Ma ciò che disturba Warneck è che questo motivo
venga considerato esclusivo, per cui si affretta ad aggiungere: “Dato che questo
112
LAS CASAS Bartolomé de, Lettere al Consiglio delle Indie, 20/01/1531, BAE 110, Madrid 1958, 44.
113
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 353-354.
114
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 543-544.
115
BENEDETTO XV, Epistola Apostolica “Maximum Illud” de fide catholica per orbem terrarum
propaganda, 30/11/1919, in Enchiridion della Chiesa Missionaria I, EDB, Bologna 1997, 98-120.
116
Citato da MÜLLER Karl, Teologia della Missione, 110.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 43

risultato è il vero prezioso guadagno per l’eternità dell’attività missionaria, lo si può


chiamare anche fine, ma solo in senso relativo e in modo indiretto. Il compito
dell’attività missionaria vera e propria supera di gran lunga questo fine”117. Vicedom ha
saldato strettamente insieme i due aspetti, affermando che la Chiesa “deve proclamare
al mondo perduto, ai non cristiani, il messaggio della salvezza e, avvenuta l’accoglienza
dell’annuncio da parte dell’ascoltatore, riunire la comunità dei salvati, il popolo di Dio in
terra”118.
Nel paradigma moderno, nato dall’Illuminismo, salvezza significa liberazione
dalla superstizione religiosa, attenzione al benessere umano e miglioramento morale
dell’umanità. Emerge, così, una concezione della salvezza in cui gli esseri umani sono
agenti attivi e responsabili che utilizzano la scienza e la tecnologia per cambiare il
mondo nel presente. In questo senso, la salvezza è sottoposta a un processo di
ridefinizione radicale. Questo stesso autore afferma l’esistenza de una doppia reazione
da parte della Chiesa e della missione a questo concetto: continuare a capire la salvezza
nei termini tradizionali, ignorando le sfide dell’Illuminismo o prendere sul serio le sfide
del modernismo, anche quelle relative alla salvezza. “Il cristianesimo fu «salvato», fra
l’altro, rifiutando l’idea che Gesù fosse morto di una morte vicaria per il genere umano,
propiziando in questo modo il favore di Dio. Gesù era piuttosto l’essere umano ideale,
un esempio da imitare, un maestro morale. Al centro non stava ora la persona, ma la
causa di Gesù; l’ideale, non colui che lo incarnava; l’insegnamento (in particolare il
Sermone della montagna), non il maestro; il regno di Dio, ma senza il re”119.
Nel nuovo paradigma, la colpa e la salvezza non dividono e uniscono più, in
primo luogo, Dio e gli esseri umani, ma gli esseri umani fra loro. “L’avvento «verticale»
di Dio in questo mondo si manifesta in rinnovate e appropriate relazioni «orizzontali»: la
relazione salvifica dell’essere umano con Dio è resa concreta dalla conversione della
persona ai fratelli e alle sorelle. Il peccato è –secondo categorie prese a prestito da
Marx- alienazione dagli esseri umani. La salvezza non giunge mediante il cambiamento
individuale, ma attraverso la fine di strutture ingiuste e perverse... Vi è la convinzione
che gli esseri umani saranno presto liberati da ogni forma di servitù nei confronti
dell’ignoranza, della fame, della miseria e dell’oppressione. Il «paradiso del futuro» è
dipinto a colori vivacemente utopici, particolarmente nel «Vangelo sociale» americano.
La salvezza, concepita all’americana, deve essere esportata in «terra di missione». In
117
MÜLLER Karl, Teologia della Missione, 110.
118
Ib., 110.
119
BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 547.
44 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

questo paradigma, il peccato è definito prima di tutto come ignoranza. Bisogna soltanto
informare le persone su quale sia il loro interesse. La missione occidentale è la grande
educatrice che medierà la salvezza ai non illuminati”120.

5.8. Missione come “salvezza integrale”


I concetti “salvezza delle anime” e “cura delle anime” oggi godono di ben poche
simpatie, sia perché nascondono il pericolo della dicotomia dell’uomo, sia perché anche
altri problemi, quali la povertà, la fame, l’oppressione, lo sfruttamento, la guerra, la
manipolazione, si sono spietatamente abbattuti sull’umanità e soprattutto sul Terzo
Mondo. Oggi si parla più volentieri di salvezza integrale, e cioè di una salvezza che
raggiunge tutto l’uomo, in tutti gli aspetti della sua realtà. Fin dall’inizio, il vangelo è
stato “vangelo di amore e di servizio”, e nessuno ha mai pensato che si potessero
contrapporre annuncio missionario e “presenza d’amore”. Se la missione, ad esempio, si
è fatta carico della scuola, non lo ha fatto certamente per servirsene come mezzo per la
conversione, ma semplicemente perché voleva aiutare gli uomini ad affrontare meglio
la vita ed avere una vita più degna di essere vissuta. Così l’ha concepito sempre la Chiesa
cattolica (GS 25.41).
Anche nel protestantesimo il termine centrale della teologia diviene sempre più
shalom, un termine che significa pace, integrità, unità, armonia, giustizia. Alla formula
Dio-Chiesa-mondo si sostituisce la formula Dio-mondo-Chiesa. Comunque si tratta di
non mettere tutte le cose sullo stesso piano, cosa che significherebbe svuotare il
Vangelo. Già W. Freytag metteva in guardia contro il panmissionismo, contro la
tendenza a considerare “missione” la semplice responsabilità della Chiesa nei confronti
del mondo. Allora, “ha dunque un senso che negli ambienti missionari, ma anche
altrove, si tenda oggi a identificare sempre più lo scopo della missione con la
mediazione di salvezza «comprensiva», «integrale», «totale» o «universale», superando
in tal modo il dualismo insito nel modello tradizionale e in quelli più recenti [...]. Il
carattere integrale della salvezza esige che la portata della missione della chiesa sia più
ampia di quanto non sia stata tradizionalmente. La salvezza ha la stessa coerenza,
ampiezza e profondità dei bisogni e delle esigenze dell’esistenza umana. Missione
significa dunque impegnarsi nel dialogo continuo fra Dio, che offre la sua salvezza, e il
mondo, che –avviluppato in ogni sorta di male- tale salvezza ardentemente desidera”121.

120
Ib., 548.
121
Ib., 552-553.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 45

5.9. La “three-self” formula o le tre “autonomie”


Il protagonista di questa teoria è Henry Venn (1796-1873), segretario generale
della Società missionaria della chiesa anglicana britannica (CMS). Si tratta di una teoria
che articola l’obiettivo della missione nell’edificazione di giovani chiese
“autogovernate” (self-governing), “economicamente autonome” (self-supporting), e
“autopropagantisi” o “autoespansive” (self-extending). Non si tratta solo di un obiettivo
puramente istituzionale della chiesa; l’aspetto istituzionale va unito alla natura
essenziale di essere popolo di Dio. “Perciò che riguarda l’obiettivo finale della missione,
visto nel suo risultato ecclesiastico, come lo stabilimento di una Chiesa Nativa sotto un
Pastore Nativo su un sistema di auto-sostentamento, si dovrebbe capire che il progresso
della Missione dipende dal fatto della collocazione di Pastori nativi come capi; e questo,
che è stato allegramente chiamato ‘l’ euthanasia’ della Missione, accade quando il
missionario, circondato di Congregazioni native sotto Pastori nativi, è pronto a lasciare il
suo lavoro pastorale nelle loro mani, e gradualmente incomincia a scomparire; così la
missione passa nelle mani di una comunità cristiana. E’ il momento in cui il missionario e
tutte le Agenzie missionarie debbono trasferirsi altrove” 122. Compito dei missionari è
quello di essere attenti alla selezione ed alla preparazione dei leaders delle chiese, così
come vigilare la crescita delle comunità, rigettando ogni tentazione di rimanere lì come
pastori.
L’obiettivo principale delle Chiese Occidentali consiste, dunque, nel creare
Chiese che si dirigono, si sostengono e si diffondono da sole. H. Venn, con grande senso
democratico, parte dalla base. Bisogna organizzare piccoli gruppi; creare e consolidare
lì i propri leaders locali finché gli ecclesiastici nativi possano sviluppare il lavoro
indipendentemente dai missionari stranieri. Per questo motivo Venn parla
dell’euthanasia della missione. Voleva indicare, non il rigetto del servizio fatto dai
missionari stranieri, ma la rinuncia volontaria da parte di questi alla loro posizione
preferente e al loro ruolo di guida. I missionari non dovrebbero esercitare per più tempo
il controllo sulla Chiesa locale. Nel suo ottimismo era contagiato dalla fede nel
progresso (inglese) propria del suo tempo123.

122
WARREN Max, To Apply the Gospel: Selections from the Wrinting of Henry Venn , Eerdmans, Grand
Rapids 1971, 28.
123
RZEPKOWSKI Horst, Diccionario de Misionología, Ed. Verbo Divino, Estella 1997, 561.
46 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

Anche Rufus Anderson (1796-1880) difende questa teoria: “Le missione sono
state istituite per l’estensione della scrittura, o l’autopropagazione della Cristianità.
Questa è l’unica finalità. Include quattro elementi: 1. la conversione dell’umanità
perduta; 2. l’organizzazione degli uomini in chiese; 3. provvedere le chiese di ministri
nativi competenti e 4. guidare le chiese ad uno stato d’indipendenza e (in gran parte dei
casi) di auto-propagazione” (1958)124.
A. Tippett critica questa teoria. Considera che l’idea era quella di dare maggior
rilievo alla chiesa indigena, perché camminasse coi propri piedi. Storicamente questa
teoria non ha creato molte chiese. Comunque, più che la realtà strutturale della chiesa
indigena, ciò che conta è la sua dimensione teologica. L’indipendenza finanziaria,
l’autonomia di organizzazione e l’andare fuori missionario, non indicano di per se
l’esistenza piena di una chiesa. E’ una struttura artificiale, più strategica che teologica.
L’apostolo Paolo piantava Chiese, non missioni, e a quelle visitava e indirizzava le sue
lettere. Generalmente, si pensava che la Chiesa indigena poteva emergere quale
risultato del mettere in pratica uno schema che era costituito da una scala di sviluppi:
prima s’incominciava con il controllo del missionario, si passava poi al controllo dei
leaders e, finalmente, al controllo indigna. Tuttavia, raramente questa forma di
transizione ha dato risultati concreti125. Il missionario ha paura di perdere il controllo e
l’indigena vive la frustrazione di non essere accolto.
La futura teoria dell’indigenizzazione nasce nella teoria delle “tre autonomie”.
Queste notae ecclesiae (autogoverno, autonomia economica e autopropagazione)
erano ricavate, spiega D. Bosch126, dall’idea occidentale di una comunità viva, che era
una comunità in grado di sostenere, estendere e dirigere se stessa; tali erano dunque i
criteri con cui venivano giudicate le chiese più giovani. Le chiese occidentali, che
avevano conseguito tali mete da molto tempo, rappresentavano la forma “più alta”; le
altre, che lottavano per soddisfare queste attese, quella “più bassa”. Sia nel
cattolicesimo che nel protestantesimo, l’immagine prevalente era pertanto
un’immagine di tipo pedagogico: le chiese più giovani dovevano essere educate ed
addestrate nel corso di un lungo periodo di tempo e mediante un faticoso percorso a
raggiungere l’individualità o la “maturità”, misurata nei termini delle “tre autonomie”.
La maggior parte delle chiese più giovani potevano sopravvivere, e dunque anche

124
Cf. VERKUYL J., Contemporary Missiology, 186.
125
Cf. SHENK Wilbert R., Changing frontiers of Mission, Orbis Books, Maryknoll, New York 1999, 54.
126
Cf. La trasformazione della missione, 622.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 47

risultare gradite ai loro fondatori, soltanto segregandosi risolutamente dalla cultura


circostante e vivendovi come dei corpi estranei.

5.10. I motivi della missione nell’apostolo


- Il motivo dell’obbedienza: Paolo parla di una necessità interna, di un “dovere”
(1Cor 9,16) di predicare; è “in debito” ( Rm 1,14) verso Cristo, e ciò si tramuta in un
debito verso coloro che Cristo vuole condurre alla salvezza, verso i barbari. Bosch lo
chiama “senso di responsabilità”127. “La fede in Cristo crea una reciprocità di
indebitamento; essa riconosce che il credente è in debito verso i non credenti quanto lo
è verso Cristo”. Cioè, il motivo dell’obbedienza gioca un ruolo importante nella
letteratura apostolica. Compiere la missione significa essere obbediente al mandato del
Signore. E’ la risposta alla volontà di Dio. Hendrik Kraemer pensa che la missionologia
deve essere ogni giorno più una theologia oboedientiae. Non è, dunque, un affair
volontario, ma un atto di ubbidienza128. Paolo, infatti, secondo 1Cor 9,19-23, non centra
la sua attenzione missionaria sulla metodologia; “ciò che è in questione è la sua
obbedienza al vangelo, al punto di mettere in gioco la stessa salvezza eterna” 129. “La
missione è una chiamata ad essere discepolo di Cristo” 130; è un atto del discepolato il
“quale conduce all’obbedienza missionaria”131.
- Il motivo dell’amore, della misericordia e della pietà: Paolo vorrebbe sempre
parlare dell’amore di Dio verso di Lui, che era nelle tenebre ed è stato portato alla luce.
Lo ripete costantemente. E’ stato riscattato. E’ stato oggetto della misericordia e della
pietà divina e ora deve raccontarlo; è anche Lui strumento di misericordia ( 1Tes 2,8).
L’individualismo e la Chiesa che non comunica il vangelo attorno a se, è fuori dall’amore
e dalla pietà, è un ostacolo all’amore di Dio. La sensibilità di Paolo lo porta a criticare “i
cristiani” (cf. 1Cor 5,12s), non quelli “di fuori”, verso i quali i primi debbono manifestare
amore e manifestare un comportamento esemplare.
- Il motivo dossologico: Lodare il nome di Dio è un altro motivo della missione,
secondo il NT. “Pregate per noi, scrive Paolo, perché la parola del Signore si diffonda e
sia glorificata” (2Tes 3,1). “E ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di

127
Ib., 194.
128
Cf. PETERS Georges W., A Biblical Theology of Missions, Moody Press, Chicago 1984, 162.
129
BORNKAMM Günther, The Missionary Stance of Paul in 1 Corinthians 9 and Acts, in L.E. Keck-J.L.
Martyn (edd.), Studies in Luke-Acts, Abingdon, Nashville 1966, 197; cf. BOSCH D. J., La trasformazione
della missione, 195.
130
BLAUW Johannes, The Missionary nature of the Church, McGraw-Hill Co., New York 1962, 84.
131
SHENK Wilbert R., Changing frontiers of Mission, Orbis Books, Maryknoll, New York 1999, 122.
48 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

Dio Padre” (Filp 2,11). La gloria di Dio ha dinamizzato la vita tutta di tanti missionari. La
gloria di Dio è il suo Figlio che si offre per l’umanità ( Gv 17; 12, 20-36). Il cuore della
dossologia missionaria è il desiderio che ogni uomo possa conoscere Dio in ciò che Egli
veramente è. Privilegio, grazia, gratitudine, sono le parole usate da Paolo per far
riferimento al suo compito missionario. Il modo paolino di ringraziare consiste
nell’essere missionario ai giudei e ai gentili. E’ un atto di culto.
- Il motivo escatologico: il Regno di Dio. Il motivo del Regno gioca un ruolo
importante nei Vangeli. La seconda petizione del Padrenostro è: “Venga il tuo Regno”.
Paolo lavorava per portare a compimento, a pienezza, il corpo di Cristo132.

6. Definizione provvisoria e comprensiva


a) Sotto l’insegna di una crisi generalizzata
Fino al 1950 la “missione”, anche se non in senso univoco, aveva un insieme di
significati abbastanza circoscritti e chiari. Essa faceva riferimento a: - l’invio di missionari
ad un concreto territorio; - le attività sviluppate dai suddetti missionari; - l’area
geografica dove lavoravano i missionari; - l’istituzione che inviava i missionari; - il mondo
non-cristiano o il “campo di missione”; - il centro dal quale operavano i missionari sul
“campo di missione”; - la congregazione locale senza un ministro residenziale e ancora
dipendente dal supporto della vecchia chiesa; - la serie di servizi speciali diretti a
estendere la fede cristiana.
Oggi, questo non è così chiaramente definito, tanto che D.J. Bosch parla di una
crisi ampia che attacca non soltanto la missione, ma anche la chiesa e l’intera società.
Egli scopre questa crisi in alcuni fattori:
1) Il progresso della scienza e della tecnologia ed il processo generalizzato di
secolarizzazione che sembrano avere fatto della fede in Dio qualcosa di superfluo.
Infatti, perché tornare alla religione se noi stessi abbiamo le vie e i mezzi per riuscire
davanti alle esigenze della vita moderna? 2) Insieme a questo, si manifesta la forte
descristianizzazione dell’Occidente. Si parla di 53.000 che ogni settimana lasciano le
chiese cristiane in Europa e Nord America. 3) Da questo deriva che non si può più
dividere il mondo in territori cristiani e non - cristiani separati dall'Oceano. Tutti viviamo
in un mondo religiosamente pluralistico. La vicinanza degli altri ha portato i cristiani a
ripensare i propri atteggiamenti in rapporto ad altre fedi. In più, i devoti di queste
religioni sembrano essere più attivi e più aggressivi nella loro missionarietà. 4) A motivo
132
Cf. VERKUYL J., Contemporary Missiology, 164-167.
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 49

dello sfruttamento dei popoli di colore, l’Occidente incomincia a soffrire un senso di


colpa. Si sente inabile per rendere testimonianza della speranza. 5) La divisione fra ricchi
e poveri accusa gli Occidentali (= cristiani) di essere i ricchi. Ciò crea una frustrazione tra
i popoli poveri e una indisposizione a ricevere i cristiani che manifestano altra fede. 6)
Duranti secoli, la teologia occidentale e le vie e pratiche occidentali erano la normativa
anche nei “campi di missione”. Oggi è diverso. Le giovani chiese rifiutano di essere
comandate e cercano la loro autonomia. D’altra parte, la teologia occidentale si
considera irrilevante, speculativa. In altre parti del mondo si fa altro tipo di teologia:
teologia della liberazione, teologia nera, teologia contestualizzata, teologia africana,
ecc. Da qui si segue che le cose stanno cambiando; è il passo da un paradigma ad un
altro; e bisogna rispondere con immaginazione e creatività133.

b) Definizione provvisoria
- La fede cristiana è intrinsecamente missionaria. La cristianità è missionaria per
natura; è sua ragione di essere. - La missionologia, in quanto parte della teologia
cristiana, non è disinteressata o neutrale; essa guarda il mondo dalla prospettiva
dell'impegno della fede cristiana. - Non possiamo mai arrogarci il diritto di delineare i
contorni della missione in maniera troppo netta e con troppa sicurezza. In ultima analisi,
la missione rimane indefinibile. Ciò che possiamo sperare è tutt’al più di formulare
alcune approssimazioni di ciò che essa è. - La missione cristiana manifesta la relazione
dinamica fra Dio e il mondo, specialmente attraverso il mistero di Cristo. La
giustificazione teologica della missione deve ritornare sempre a questa “Auto-
comunicazione di Dio in Cristo”. - La Bibbia non è un insieme di verità immutabile nel
campo operativo che offre le leggi sempre oggettive ed immutabili della missione, con
le quali avere successo. La pratica missionaria è una impressa ambivalente nel contesto
della tensione fra la provvidenza divina e la confusione umana. La partecipazione della
Chiesa alla missione è un atto di fede senza garanzie terrene. - La Chiesa è naturaliter
missionaria. Essa incomincia ad essere missionaria non attraverso la predicazione
universale del vangelo, ma attraverso l’universalità del vangelo che proclama. -
Teologicamente parlando, le missioni ad extra non sono una entità separata. La natura
missionaria della Chiesa non dipende dalla situazione nella quale si trova in un momento
concreto, ma è radicata nel vangelo. La giustificazione e l’origine delle missioni ad extra,
come delle missioni interne, “dipende dall’universalità della salvezza e dall’indivisibilità
133
Cf. BOSCH D. J., La trasformazione della missione, 16-17.
50 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

del regno di Cristo”. La differenza tra missioni estere e missioni interne non si trova nel
principio, ma nello scopo. - La missione è il “si” di Dio al mondo. Quando noi parliamo di
Dio, il mondo, come tratto dell’attività di Dio, è direttamente implicato. L’amore e
l’attenzione di Dio va direttamente al mondo e la missione è “la partecipazione
nell’esistenza di Dio nel mondo”. Nel nostro tempo, il “si” di Dio al mondo si manifesta,
in gran misura, nel lavoro missionario della Chiesa in relazione alla realtà dell'ingiustizia,
dell’oppressione, della povertà, della violenza. - La missione è anche il “no” di Dio al
mondo.

7. Missiologia-Missionologia

Uno dei compiti per i missionologi consiste nella ricerca di un linguaggio più o
meno comune o, per lo meno, ancora reciprocamente comprensibile. Come afferma
Verkuyl, la scelta del nome per una disciplina ha la sua importanza. poiché il nome che
uno sceglie si trova in stretta relazione con ciò che uno vede e con ciò che uno pretende
nel campo dello studio. Per definire la scienza delle missioni si sono adoperati molti
nomi. Nell’ambito protestante, G. Warneck, pioniere di questa scienza, suggerì il
termine Missionslehre, “teoria delle missioni”: Abraham Kuyper, nel suo libro The
Encyclopedia of Sacred Theology, suggerì diversi nomi, come prosthetics (Att 2,41; 5,14;
11,24), derivanti dal greco prosithestai (=aggiungere alla comunità); auxanics
(=moltiplicare, estendere); halieutics (=pescare uomini). Egli preferisce il termine
prosthetics e descrive la Missionologia come la ricerca dei metodi più efficaci per
cristianizzare le aree ancora non cristiane. Con ciò limita la missionologia soltanto ai
metodi, quando ha anche altri campi. In Olanda si usò “teologia dell’apostolato”; H.J.
Margull parla di “teologia del evangelismo”. In Inghilterra si usa “Teologia della
missione”, ecc.
Quasi dappertutto nel mondo cristiano si capisce approssimativamente ciò che
vuol dirsi con la parola “missionologia”. A livello internazionale oggi si accetta il termine
“Missionologia”, che non è molto diverso da quello di “teologia dell’apostolato” e che
concreta l’attenzione, non tanto sul contenuto del messaggio, quando sull’azione
missionaria di Dio e degli uomini e donne da Lui inviati. E’ un termine che facilita
l’uniformità. Il termine “missionologia” è piuttosto nuovo. Sembra che sia stato il gesuita
olandese Ludwig J. van Rijckevorsel il primo ad utilizzarlo nel 1915. Questo termine non
rappresenta, comunque, un’invenzione molto elegante, poiché si compone in forma
Introduzione alla Missiologia –Studenti 2012-I 51

ibrida di due radici eterogenee, una latina e l’altra greca che, inoltre, non rispettano le
regole grammaticali, dando origine a composizioni quali missiono-logia, e missio-logia.
Per questo motivo, il francese Raoul S.P. Allier afferma che è una mostruosità linguistica
il fatto di unire un termine latino con un altro greco: “Non posso approvare il termine
missiologia, il quale, essendo metà latino metà greco, ha una barbara presentazione. La
sua struttura è tanto negativa quanto quella della sociologia, ed ha gli stessi difetti.
Questo matrimonio anti-naturale di latino e greco urta le nostre orecchie” 134. Ma ci
sono tanti altri “mostri” simili, afferma Verkuyl, quali sociologia e tutti quelli che
finiscono in -ologia. Altre espressioni - spesso legate alle specifiche mentalità e
tradizioni culturali di certi paesi - hanno ugualmente avuto fortuna, quali scienza
missionaria o delle missioni, oppure ancora dottrina, teoria e teologia missionaria o di
missione.
Per parte cattolica, è in Germania dove si comincia a parlare di Scienza
missionaria. Il termine Missionswissenschaft, “scienza missionaria”, passa dai protestanti
ai cattolici. Già dall’inizio il P. Streit parlò di Missionskunde (Scienza missionaria) e più
concretamente di theologisch-wissenschaftliche Missionskunde (Scienza missionaria
teologico-scientifica), a proposito dell’insieme della scienza missionaria. Nei primi anni
non vi furono neppure problemi per le altre nazioni; siccome dalla Germania passò ad
esse la realtà della nuova scienza, vi passò anche la traduzione del nome: Francia
(science des Missions), Inghilterra (Missions Science), Italia (Studi Missionari, 1912),
Spagna (Ciencia de las Misiones, 1914). Poco a poco l’uso dei vari vocaboli si fece
pesante e si arrivò alla formalizzazione in uno solo, per esprimere la nuova scienza; così,
nacquero i termini Missionologia e Missiologia.
In Olanda incominciò ad usarsi in primo luogo missiologici e missiologia. Fu
quello che usò Schmidlin a partire dal 1919. Nel 1921 in Italia apparve una novità con il
Manuale di Missionologia, di Ugo Mioni. Nel frattempo in Belgio, già dal 1922,
incominciava ad utilizzarsi anche il termine olandese di Missiologia. Nel 1923, Tragella
difende il termine Missionologia. In Spagna continua ad utilizzarsi quello di Scienza
delle Missioni. La fama acquisita dalle Settimane Missiologiche di Lovanio contribuì ad
introdurre questo termine in Francia. Nel 1926 il P. Cavallera proponeva Missionologie
per denominare la nuova scienza, tuttavia prevalse quella di importazione belga.

134
ALLIER Raoul S.P., Missions and the Soul of a People , in The International Review of Missions 18,
1929, 283-284.
52 Introduzione alla Missiologia – 2012-I

In Belgio continua Missiologie, difeso dal P. Charles; invece in Italia cominciò a


perdere terreno Missionologia quando nel 1928 Cesare Carminati pubblicava alcune
conferenze dal titolo Compendio di Missiologia. Nel 1929, in Spagna, la rivista
Illuminare cominciò a utilizzare Misionología. Il Primo Congresso Missionario di
Barcellona era intitolato Semana de Misionología. Nel 1939, la stessa rivista comincia a
utilizzare Misiología, e la seconda Settimana Missionale di Barcellona, nel giugno del
1930, si convertirà in Settimana Misiologica. Quest’anno la rivista “Misiones
franciscanas” dice in un articolo anonimo che Misiología è un articolo importato,
mentre che Misionología è di produzione nazionale e di formazione più logica e chiara
per genti di lingua spagnola, francese, tedesca, italiana e inglese. Interviene il filologo
Robles Dégano, in risposta ad una consulenza che gli si richiese, inclinandosi
filologicamente per Misionología. A partire da questo momento Mondreganes
abbandona Misiología per Misionología, termine che sembra definitivamente accettato
in Spagna. “Gli scrittori di lingua italiana e spagnola adottiamo con preferenza
Missionologia, missionologo, missionologico, perché sono più in sintonia con la regole
della filologia sulla composizione dei compositi che si formano dal genitivo e non dal
nominativo. Così accade con altri termini; per esempio, non si dice Climalogia, ma
Climatologia135”.
In Italia comincia ad utilizzarsi Missiologia; così accadde nel momento della
fondazione della Facoltà di Missiologia dell’Università Gregoriana. I documenti
ecclesiastici non hanno voluto chiudere il dibattito ed essi stessi utilizzano i due
vocaboli. Sembra, però, che la Congregazione si orienti più per Missiologia. Oggi, G.
Colzani ed i redattori della rivista missionologica Ad Gentes utilizzano nuovamente il
termine Missionologia, prendendo la parola “missioni” dal genitivo del latino “missio-
missionis”. E’ curioso che tutta questa polemica non si è sollevata riguardo al termine
“Missiografia”, che per la stessa ragione deve essere “Missionografia”.

135
ROBLES DEGANO F., ¿Misiología o Misionología? , in Illuminare 9, 1931, 72; MONDREGANES Pío
de, Manual de Misionología, Ediciones España Misionera, 3ª. Ed., Madrid 1951, 11.

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