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Teologia Pastorale Prof. P.

Asolan
Anno accademico 2015-2016 Marco De Felice

1. Introduzione
La TP è forse la materia più importante, come la Cristologia, perché non si ha la possibilità di
conoscere Cristo se non attraverso la vita della Chiesa, nessuno avrebbe fede se non ci fosse stata la
Chiesa. La vita della Chiesa è l’oggetto della TP, quindi non c’è niente della fede che non sia passato
attraverso la TP. Questa disciplina ha come obiettivo quello di rispondere alla domanda: che cosa deve
fare la Chiesa qui e ora. Dobbiamo rispondere a questa domanda nel vivo dell’azione, mentre già
siamo Chiesa, mentre già stiamo vivendo della fede, della speranza e della carità. E questo pone,
dunque, anche il problema dell’edificazione della comunità cristiana che non si dà per via teorica.

TEOLOGIA PASTORALE ≠ PASTORALE?


∃ una distinzione terminologica tra agire e fare:
 Agire. Πράττω – Pratto  πρᾶξις – praxis, azione.
o È proprio dell’uomo, perché implicitamente ha in se un intenzionalità, non è
semplicemente il fare qualche cosa di materiale, di pratico. L’animale fa, l’uomo agisce.
 Fare. Ποιέω – Poieo  ποίησις – poiesis, costruzione.
o Gli uccelli fanno il nido, non agiscono il nido. È istinto non vi è intenzionalità, tanto è
vero che sono tutti uguali.
La pastorale è l’agire che ha come soggetto la comunità cristiana, che implica intenzionalità. Questo
significa che l’azione della Chiesa comporta la definizione implicita o esplicita di obiettivi, di metodi,
di strumenti e di attori dell’azione che devono essere, di volta in volta, definiti e in qualche modo
coordinati tra loro, perché si dia un’azione di tipo ecclesiale, azione che ha come soggetto la comunità
cristiana. La pastorale non è solo l’agire dei preti, ma l’agire di tutti coloro che sono battezzati, perché
chi è battezzato è Chiesa e dunque l’azione, per esempio di un laico (di una mamma, di due sposi, di
chi insegna), è pastorale. In ciò che i laici fanno, sta in piedi o cade la vita della Chiesa. In tedesco si
distingue tra Praktische Theologie e Pastoral Theologie. La seconda, in italiano TP, consiste nella
formazione impartita a chi fa il pastore.
 La Pastorale è l’azione che ha come soggetto la comunità cristiana, in tutti i suoi soggetti.
 TP non è pastorale, è lo studio della pastorale in termini scientifici e attraverso un metodo
valuta se quell’azione è adeguata e se risponde al soggetto (la Chiesa) e agli obiettivi che essa
ha posto. La pastorale è l’azione, la programmazione già appartiene alla TP perché è lo studio di
come fare un’azione.
 La TP sta alla pastorale come la pedagogia sta all’educazione. L’educazione è il processo
per il quale un essere umano sviluppa ciò che è. La pedagogia è la scienza che studia il
processo dell’educazione in termini di:
 Congruenza del metodo usato.
 Raggiungibilità degli obiettivi.
 Adeguatezza degli strumenti.
 Valutazione dei percorsi svolti.
 Integrazioni negli itinerari formativi, ecc.

TEOLOGIA MORALE ≠ TEOLOGIA PASTORALE


La Teologia Morale non ha come compito quello di progettare l’azione dell’individuo, si occupa
dell’azione del cristiano, della Chiesa, in termini ≠:
 Del bene, della valutazione morale dell’azione.
 Del valore assoluto che ha la norma nell’orientazione della libertà.
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L’OGGETTO FORMALE DELLA TEOLOGIA PASTORALE
È la prassi, che cosa qui e adesso la comunità cristiana deve fare.
Non esiste una situazione nella vita di una comunità cristiana in cui non si sa che cosa fare, nel qual
caso si è come minimo impreparati al compito o si è persa la fede. La teologia ha un linguaggio
rigoroso e anche la TP, in quanto teologia, esige un linguaggio rigoroso. Le parole pesano, il senso da
dare alle parole deve essere preciso e deve essere non equivoco, chi ascolta deve capire che cosa state
dicendo e che cosa volete dire. I ricami sui termini, sui concetti, non ci servono. La differenziazione tra
TM e TP non è nel campo di azione, la prassi, ma nell’oggetto formale, la TM non se ne occupa:
 Né in quanto al soggetto, che è la comunità cristiana.
 Né dal punto di vista di “che cosa fare qui e adesso”.

PERCHÉ LA TEOLOGIA PASTORALE È IMPORTANTE?


La TP è un campo dove entra tutto ciò che è prassi nella Chiesa, per esempio la liturgia, che è la più
grande azione ecclesiale che la Chiesa possa fare. La prassi è decisiva nella fede cristiana, se non c’è,
non c’è fede cristiana. TOTÒ RIINA, fu trasportato con l’elicottero in carcere, quando passò sopra S.
Pietro vedendo la cupola, si è fatto il segno della croce ed ha cominciato a pregare. Chi quando passa
davanti a S. Pietro si fa il segno della croce e prega. Nessuno, ma conoscendo la vita di Totò Riina,
colgo che c’è qualcosa che non funziona.

NUCLEO DELLA FEDE CRISTIANA


Nel cristianesimo non si può scindere la fede creduta dalla fede vissuta, il fides quae creditur (la fede
che si crede) dalla fides qua creditur (fede con cui si crede) (S. AGOSTINO). Anche i demoni sapevano
che Gesù era il Cristo, ma non avevano fede, non lo riconoscevano come Signore. Anche un ateo, un
professore che insegna arte cristiana o una guida turistica, conosce delle cose su Gesù. Quest’ultima
spiegherà ciò che vedete a partire da dati dogmatici della fede cristiana, ma questo non significa che
abbia fede. La parola deve sempre essere accompagnata dall’azione, perché è il corpo che dice la
totalità della persona. Il cuore della fede cristiana è che Dio si è fatto uomo, DV2, la Rivelazione si è
compiuta attraverso fatti e parole, “... Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole
[Gestis verbisque ]intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della
salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole
dichiarano le opere e il mistero in esse contenuto …”. Gestis verbisque è il titolo di uno dei saggi del
prof. LANZA (Opus Lateranum pag 123). Fatti e parole intimamente connessi tra loro perché questa è la
natura dell’uomo. Se la Rivelazione fossero soltanto parole basterebbe leggere un libro per essere salvi.
La salvezza consiste nella comunione al mistero del Verbo fatto carne, l’unità e lo scambio di vita che
avviene tra noi uomini e Dio, per questo mezzo vivente e personale che è Gesù, cioè Dio fatto uomo.
Un esperto cristologo potrebbe dire che non è proprio così, perché la soteriologia incarnazionista è
degli ortodossi, a Roma la soteriologia è staurocentrica, ovvero solo la passione e la croce di Cristo
salvano l’umanità dalla condizione di male in cui versa, perché lì siamo stati riscattati dal peccato, dalla
colpa. Il male che è stato fatto va’ riparato. S. ANSELMO dice che Dio si è fatto uomo per soddisfare, in
maniera vicaria, ciò che era dovuto per la pena che altrimenti avremmo dovuto pagare. Questo è vero,
ma è un modello teologico. Ma se non c’era il peccato, Dio non si faceva uomo? Gli orientali dicono
che la salvezza è l’unione della natura umana con la natura divina, avvenuto nell’incarnazione. Ma la
natura umana sia una natura decaduta, questo ha comportato anche la necessità della redenzione. Essa
non è stata un’idea, il Risorto è stato visto da circa 600 persone. Il Crocifisso, condannato, sofferente e
morto, invece da Tutta la città. Ciò significa che ciò che è da vedere è questo, Gesù muore dicendo
“Per questo sono venuto”, “questa era la cosa che dovevo fare”. Nella Passione di S. GIOVANNI Gesù
“non subisce” la Passione, me le “va incontro”, Gv 18,4-8, “4Gesù allora, sapendo tutto quello che

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doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5Gli risposero: «Gesù, il Nazareno».
Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. 6Appena disse loro «Sono io»,
indietreggiarono e caddero a terra. 7Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il
Nazareno». 8Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne
vadano»“. Gesù non è l’innocente che l’ingiustizia ha portato a morire. È uno che ha voluto che questo
succedesse. E tutto il racconto della Passione mostra che è il regista della Passione, il soggetto che fa le
domande e che decide cosa fare è lui. Questo è l’evento, questo è il cuore, i vangeli sono che estese
introduzioni alla Passione. Se in un film mettono la didascalia “dopo tre anni”, vuol dire che in quei
tre anni non è successo niente di rilevante nella storia. Ma se entrano nel dettaglio a campo fisso su
tutto quello che l’attore, vuol dire che è questa l’evento importante, la sofferenza, la Passione e la morte
di Gesù. Il credo non sono teorizzazioni su Dio, afferma qualcosa del P, Creatore, Onnipotente, ma il
cuore sono gli articoli che riguardano Gesù, che sono di fatto il racconto di una storia. Noi crediamo a
dei fatti che sono successi e che riteniamo siano carichi di Dio. Azioni che hanno come soggetto un
soggetto divino e che, dunque, perdurano nei loro effetti fino ad oggi.

PRINCIPIO DI INCARNAZIONE
Dio sempre agisce e salva l’uomo attraverso gesti e parole umane. Dunque, l’agire della Chiesa
appartiene a questo ordine di azioni, cioè di azioni che non sono semplicemente umane, ma sono azioni
umano-divine. La fede cristiana è una risposta alla Rivelazione di Dio e in quanto risposta umana non
può essere spirituale, astratta o teorica. C’è una parte teorica, ma questa parte teorica entra in attività
per ciò che di pratico l’ha colta. S. TOMMASO dice che noi non conosciamo se non attraverso ciò che
passa attraverso una mediazione sensibile. JUAN ALFARO (tacchino induttivista, pag 46), “L’azione del
cristiano deve essere vista non come semplice espressione o risultato della sua fede o completamento
della stessa”. Capisco la fede e poi agisco coerentemente, ad esempio “mi preparo per fare il professore
e poi farò il professore. Divento un cristiano maturo e poi testimonio la fede, prima mi convinco che
Dio esiste e poi prego”. Vi è un’assurdità pratica in questo. S. AGOSTINO nelle Confessioni dice:
“Donami prima di pregarti e di conoscerti, Ma cosa sto chiedendo? Non dovrei prima conoscerti per
poi pregarti? E se fosse che soltanto pregandoti è possibile conoscerti?”. Non si riflette sull’agire della
Chiesa, tirandosi fuori dalla vita della Chiesa, prima credo delle cose e poi, mi comporto da cristiano,
quando ha fatto una bella messa, sono pronto per fare anche la carità. Ma S. PAOLO dice “Ma se voi vi
riunite così, il vostro mangiare non è neanche mangiare la cena del Signore”, (cfr. 1Cor 9,20), la carità
precede l’agire, essa è un presupposto dell’Eucarestia, non è consequenziale al fatto che si è celebrata
la messa. Procedere attraverso queste scissioni è quanto di più deleterio all’azione e alla vita della
Chiesa, è una caratteristica della modernità, che ha prodotto la secolarizzazione, cioè l’estraneazione di
Dio dalla vita degli uomini e anche dalla vita dei credenti. ALFARO “azione del cristiano dev’essere
vista non come semplice espressione della sua fede ma come autentico compimento di essa”. Perché ci
sia la fede, ci deve essere un’azione cristianamente ispirata. Ed è quest’azione cristianamente ispirata
che mostra che cosa sia la fede. L’uomo accetta pienamente la fede nella unità del suo essere corporeo
e spirituale, perché solo questa unità testimonia la totalità di chi è. L’azione è inscritta nell’essere
umano, che agisce perché è vivo e respira ed in quanto vivo, anche se non è in grado di “fare” delle
cose pratiche, camminare, muoversi, è un vivente - umano che stava agendo. L’uomo accetta
pienamente come uomo la Parola di Dio solo nel proprio operare, che è più del fare. ELUANA
ENGLARO non faceva niente, era stesa su una barella, ma operava l’abbandono, la fiducia in Dio,
proprio come un bambino. Perché un bambino di uno - due giorni
 Fa qualcosa di intenzionale? Probabilmente, no.
 Non fa niente? No.

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 Il suo rapporto con il mondo non esiste? No. Il ricevere è un’azione umana. Nella liturgia, per il
95%, riceviamo qualche cosa, non facciamo - operiamo qualche cosa.
 Nella liturgia non siamo gli attori principali dell’azione, è Cristo.

SCISSIONE SPIRITO E CORPO – CREDERE E FARE


La fede non è una decisione puramente interiore, contrariamente a quanto affermava LUTERO il
quale negava qualunque valore salvifico all’azione umana. LUTERO considera la Chiesa come qualcosa
di interiore e di spirituale, distinguendo due regni:
 Mano destra. È il regno spirituale, che spetta alla Chiesa (preghiera, sacramenti, etc).
 Mano sinistra. È il regno temporale, che spetta ai principi (leggi, politica, lo stato, tutte ciò che
è profano, fuori della fede).
Questo porta alla secolarizzazione, KARL BARTH uno dei più grandi teologi luterani del XX secolo,
ha detto, C’è un filo rosso che lega Martin Lutero ad Adolf Hitler. Perché la Chiesa protestante
riformata non ha mai aperto bocca su ciò che faceva Hitler? Perché nella loro formazione (ed è nel
loro modo di intendere la fede), la Chiesa non deve interessarsi di politica, non deve dire: “non puoi
ammazzare gli ebrei!”, perché questa è una cosa dello Stato, ma la Chiesa non può entrare in questo.
Da ciò si comprende perché oggi una delle critiche che viene fatta alla Chiesa è che non deve parlare di
politica, interessarsi degli sprechi, dell’educazione dei bambini, delle politiche familiari. Essa ha il
dovere morale di interessarsi all’edificazione della comunità cristiana. E questo spetta sia al vescovo,
che laico, perché un laico cristiano che non va a votare, commette un peccato contro la Chiesa. Deve
votare, deve partecipare al dibattito politico, deve partecipare al dibattito culturale, deve e come, perché
la salvezza è data dalla totalità-unità corporea e spirituale. L’esempio classico di questa scissione è
l’assioma, sono credente, non praticante. Credere senza praticare, nel cristianesimo ∄, è dire che sono
d’accordo che Dio esista, ma affari suoi. Questo comportamento non c’è nel Vangelo, infatti nella SS
da Abramo in poi, non si dà adesione di fede a Dio che non comporti che la vita segua e sia obbediente,
la vita concreta, la totalità-unità corporea - spirituale segue e si lascia determinare dalla fede.

LA PRASSI COMUNITARIA
La prassi comunitaria è decisiva ai fini della fede personale. Si crede perché un cristiano ha dato modo
di credere, perché si è fatto esperienza della verità, della testimonianza di qualcuno o della bellezza del
fatto di essere cristiani. Altrimenti sarebbe soltanto un’idea culturale di che cosa è il cristianesimo. La
fede si esprime nella totalità della persona, è una decisione pienamente umana, altrimenti si ha la
scissione, tra il credere ed il fare.
1. I vescovi tedeschi hanno emanato un decreto per cui, chi non paga la tassa alla Chiesa,
non ne è più parte, non è in comunione con la Chiesa. Se sono della Chiesa, ma non partecipo
ai suoi problemi, essa non mi appartiene. Nel momento in cui la Chiesa ha bisogno e ti chiede
dei soldi per sopravvivere, se tu neghi questo, tu hai scisso un legame molto concreto, hai fatto
un gesto, che è di scissione dalla fede ecclesiale.
2. La comunione ai divorziati. Sia per scelta che o perché l’hanno subito questa cosa. Il
sacramento del matrimonio, che è stato compiuto, nella totalità-unità dell’essere corporeo –
spirituale, se rotto pone fuori dalla comunione. Nel mio amore e nella mia carne sono
sacramento dell’amore di Gesù Cristo, se questa cosa è rotta, non posso porre un gesto di totale
unione e comunione con Gesù Cristo. Giustamente possono esistere delle situazioni, rispetto
alle quali il matrimonio, non è mai celebrato in realtà, ma esiste il gesto, c’è il fatto. Questa è la
forza della prassi, non è possibile negare l’esistenza di quell’avvenimento.
 Lo sbattezzo. È analogo per le persone che mandano la lettera per sbattezzarsi, perché non
vogliono più far parte della comunità cristiana. Anche se si fanno registrare che sono apostati
della fede, che i dati sensibili non siano più usati dalla parrocchia, il fatto storico è avvenuto.
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Dal punto di vista sacramentale, non è possibile cancellarlo, perché il battesimo è uno dei
sacramenti che imprime il carattere. Non c’è verso. Però troverete gente convinta di questo, che
sia possibile cancellare un fatto del passato. Attenzione: i sogni, le utopie, le cose non radicate
nella realtà, non appartengono al cristianesimo che è la religione dell’Incarnazione. Questo
mondo, questo tempo, questi problemi, queste possibilità sono quanto di meglio abbiamo
davanti, non esiste un altro mondo migliore. Non esiste una pastorale ideale, non dobbiamo
“rifare” la Chiesa.

L’ERRORE PATETICO DI CHI SEGUE MONS. LEFEBVRE


“la Chiesa cattolica degli anni ‘50 ha raggiunto il modello, adesso dobbiamo soltanto duplicarlo”. Ma
non è così. Questa cosa è una bestemmia contro l’Incarnazione, perché è questo il contesto che
abbiamo adesso, perché è come dire che il Signore ha sbagliato a far nascere Internet. Certo che ci sono
i peccati degli uomini, ma dobbiamo discernere l’azione di Dio, che continua adesso, non si è fermato
nel 1950 o il 10 ottobre del 1962, all’apertura del CVII. Gesù Cristo risorto, possiede la storia, si
manifesta nella storia. Lo SPS porta a compimento la Sua missione. La TP discerne qual è l’azione che
adesso lo SPS sta suscitando e che cosa dice alla Chiesa.

LA STORIA DELLA TP
È la manifestazione dell’azione dello SPS. La TP si basa sui dati della fede, senza prendere dalla
cristologia o dall’ecclesiologia cosa deve fare. Se fosse vero che bastasse prendere le cose vere che ci
sono nel Catechismo perché ci sia un’azione ecclesiale, allora basterebbe che la domenica in chiesa, il
prete dicesse: il terzo comandamento cosa dice? “Ricordati di santificare la festa”. Per questo
comandamento la prassi adeguata è che ogni domenica si vada a messa. Quindi, per questo
comandamento, da domenica prossima tutti a messa, perché questa è la verità, questo è il bene e questo
è il comando che il Signore ci ha dato per consacrare il giorno santo a Lui. La domenica dopo andate a
messa, vi aspettate la Chiesa rigurgitante di persone che scalpitano per venire a messa e trovate i soliti.

NON BASTA DIRE ALLA GENTE CHE COSA È VERO PERCHÉ L’AZIONE SIA EFFICACE
Se io voglio che andare a messa la domenica sia efficace, non posso saltare i dati contestuali
dell’azione. Perché oggi non posso ignorare che la gente ha bisogno di dormire la domenica, di andare
a fare la spesa o di andare a trovare il nonno all’ospedale. Non è sufficiente alla Chiesa possedere la
verità, perché questa verità è data, per la missione della Chiesa, per la salvezza degli uomini. Non è
possibile non considerare il contesto dell’annuncio e della missione, se voglio che questa azione
sia efficace. Ogni volta che il contesto (il dato antropologico, storico, culturale) entra dentro alla
determinazione dell’azione da fare, siamo in presenza di un’azione pastorale. VITO MANCUSO. Dato
che il mondo fa senza di noi, allora la Chiesa può anche suicidarsi. È un corto circuito, perché il dato
contestuale non ti da solo il coltello per fare karakiri, ma ti dice anche quali sono le possibilità che si
aprono per la Chiesa. Su alcuni temi la Chiesa è l’unica rimasta sulle barricate, perché non si può
attentare alla vita dell’uomo. Il contesto dice, che è possibile rendere feconda una donna senza un
uomo, ma la Chiesa si oppone perché non ha senso, non va d’accordo con la verità del Vangelo.
Diversamente la cura per la fertilità, va d’accordo con la missione e il compito degli sposi, per cui la
Chiesa si impegna per le cure della fertilità. Rispetto ad uno stesso problema, la risposta può essere
diversa. Ciò che conta è che da una parte deve rimanere teologia, cioè rimane fermo il dato di fede,
dall’altra non posso non tener conto del contesto, del dato che mi viene offerto.

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2. PARTE STORICA
INTRODUZIONE
1. La TP, come disciplina accademica, nasce nel 1774.
2. Tutti i battezzati posseggono una TP implicita, perché esiste con la chiesa.
La storia della TP è la storia della riflessione critica che la teologia, la Chiesa fa sul proprio agire in
vista di un’efficacia della propria azione. La TP entra in gioco ogni volta che il mutamento del contesto
ha messo in questione la legittimità dell’agire della chiesa.

LA TP
La materia ha avuto la sua fondazione accademica a Vienna nel 1774, in pieno illuminismo, da parte
dell’imperatrice MARIA TERESA D’AUSTRIA. L’illuminismo aveva teorizzato che la vita civile non
poteva più essere organizzata a partire dalla religione come era avvenuto nel Medioevo
(secolarizzazione). È la radicale discussione sulla legittimità dell’azione della Chiesa nel contesto
moderno, iniziato con Cartesio e fino al suo massimo con l’illuminismo, in cui la Chiesa non doveva
più avere un ruolo pubblico e riconosciuto. L’imperatore GIUSEPPE II, definito dal cugino “re
sacrestano” aveva emanato leggi per circoscrivere ciò che la chiesa doveva fare:
 A che ora si dovevano suonare le campane.
 Quante candele dovevano stare in chiesa.
 Quanto doveva durare una processione.
La problematicità dell’agire ecclesiale si ha nel momento in cui si scompone la pacifica identificazione
medioevale, tra chiesa e società, definita “Christianitas” o Cristianità, ovvero il periodo storico in cui la
chiesa (la religione, il cristianesimo) è il centro della vita sociale e quindi determina tutti i settori della
vita sociale, l’estetica, la letteratura, la politica, l’economia, il diritto:
 L’opera più importante del Medio Evo italiano, la divina commedia, è teologia messa in versi.
 Le opere architettoniche medievali più importanti sono le cattedrali (gotiche o romaniche).
 I testi giuridici più importanti sono quelli di diritto canonico (che inglobò il diritto romano).
 L’imperatore era consacrato dalla chiesa, istituendo quasi una dipendenza di legittimazione del
potere politico dal potere spirituale (le teorie del sole e della luna).
Il medioevo era un’epoca che aveva una precisa caratterizzazione, non è un periodo di oscurantismo,
che termina con la riforma di LUTERO, perché la religione non è più il fattore di coesione, anzi motivo
di guerra e di conflitto, la guerra dei trent’anni. H.U. VON BALTHASAR, “la cristianità ha confutato
se stessa, cioè, ciò che prima era motivo di unione e coesione, diventa invece motivo per cui si
combatte e ci si ammazza, per cui da quel momento non è più la religione ma è l’universalmente
umano ciò che viene scelto come principio di unione e coesione sociale”. Esiste una connessione, tra
ciò che la Chiesa crede e ciò che la Chiesa fa.

1. RADICE BIBLICA
TP IMPLICITA
La raccolta di documenti scritti, indicati come NT, non nasce come un gesto diretto di Gesù, che non ha
scritto nulla, né dell’Arcangelo Gabriele che ha portato in terra i Vangeli come i musulmani dicono del
Corano. Il NT è un insieme di documenti che chiaramente, lettere paoline su tutti, mettono in luce le
esigenze delle prime comunità cristiane, che nascono da subito con intento pastorale. Per Pastorale
dobbiamo intendere quelle azioni che non trattano consecutivamente i destinatari, ma sono costitutive
nell’atto stesso. I documenti del NT, nacquero per fissare la testimonianza apostolica per iscritto,
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affinché fosse preservata, nel momento che i testimoni muoiono e termina la prima fase orale della
trasmissione. Il destinatario è presente al momento della scrittura. È esemplare il prologo di Lc 1,1-4,
“1 Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo
a noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero
ministri della Parola, 3così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli
inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teofilo, 4in modo che tu possa renderti conto
della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”. Il destinatario è già criterio grazie al quale questi
insegnamenti sono raccolti, è già un’azione pastorale, è l’insegnamento dato in ordine ai fatti accaduti,
è il criterio stabilito per scrivere il 3° Vg e gli At. L’intenzione è già pastorale, e c’è un altro aspetto
pastorale dal quale si ricava la stretta connessione tra l’annuncio del Vg e la scrittura dei testi normativi
della fede, il canone del NT consiste in testi che sono imprescindibili per la fede. Questi testi (At o le
lettere paoline) consistono nel racconto di avvenimenti riguardanti precise comunità cristiane, come la
1Cor, in cui PAOLO interviene su quelli che mangiano le carni sacrificate agli idoli, su quelli che
mangiano la cena del Signore da ubriachi e così via. Non sono speculazioni sul mistero della Trinità,
ma sono problemi emersi nella vita della comunità cristiana, ma attraverso questi problemi, nel vivo di
ciò che accade nella comunità cristiana è espresso un giudizio di fede ricondotto alla lettura che
l’Apostolo fa di questa situazione. “Perciò io vi dico nel Signore, allontanatelo, ... , Ma voi non siete
sotto la paura degli idoli, ... , se un fratello è debole, dovete avere misericordia di lui: non mangerai la
carne se questo farà cadere un tuo fratello”. È chiaro che gli dei non esistono, l’annuncio, il dato di
fede è espresso a partire da una situazione pratica, da un problema della prassi riferita al dato di fede,
“Che cosa ti salva, il sacrificio agli idoli o Gesù Cristo?” Il problema è un occasione di TP implicita,
perché, in questi casi non ci si limita alla descrizione di una situazione problematica, ma sono prese
decisioni, che sono attuate e implementate.

VANGELO QUADRIFORME
Il Vg è un testo unico quadriforme espressione di una TP implicita, è la scelta di predicare Gesù
secondo 4 forme diverse che tuttavia attingono allo stesso evento, avendo destinatari diversi. Il
destinatario non entra dopo a decidere che cosa debba essere predicato, ma ciò che deve essere
predicato, è scelto e messo per iscritto a partire da chi è questo destinatario.
 Mc. Scrive per i cristiani di Roma, esclude i racconti dell’infanzia.
 Lc e Mt. Presentano diversi racconti dell’infanzia:
o Fonti e tradizioni diverse.
o Diversi i destinatari.
 Mt. Scrive per i cristiani che vengono dall’ebraismo, che dunque conoscono i profeti, è
interessato a mostrare che le profezie del Messia discendente di Davide sono compiute in Gesù.
 Lc. Non cita mai i profeti e l’AT, compone un’opera unica (Vg + At), dedicata a Teofilo, e
giustifica la missione di Paolo ai pagani come il prolungamento dell’opera di Gesù. È
interessato a presentare la conversione dei peccatori. Cita infatti le penultime parole di Gesù in
croce rivolte al buon ladrone, che non è altro che una sequenza penitenziale, con il
riconoscimento dei peccati, la confessione della fede, la richiesta di perdono e l’assoluzione che
Gesù dà: “oggi sarai con me in paradiso”. Lc scrive con l’intento pastorale della conversione e
il perdono dei peccati, così mostra un Gesù che annuncia il Vg ai peccatori e raccontare le storie
di Zaccheo, di Levi Matteo, della donna, del centurione, etc., storie di gente che si è convertita e
ha ricevuto in dono la remissione dei peccati. DANTE definisce San Luca, “scriba
mansuetudinis Christi”, cioè lo scrittore della mansuetudine di Cristo. Solo lui ha le parabole
del capitolo 15, dirette ai greci ai quali Paolo stava annunciando il Vg (la parabola del padre
misericordioso). Il figlio maggiore è sempre stato a casa e ha sempre osservato tutti i

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comandamenti del padre, è Israele. Il figlio che è andato con le prostitute, ha dilapidato, torna
ed il padre fa festa, trattandolo come l’altro, sono i popoli pagani.
 Gv. È diverso dai sinottici, scrive ad Efeso alle chiese dell’Asia Minore, verosimilmente le 7
chiese per le quali è scritta anche l’Ap. Ad Efeso viveva il filosofo presocratica Eraclito, che
utilizza il termine λόgoς, logos. Gv usando questa categoria, intende inculturare il vangelo
dentro questa specifica cultura, preoccupata di sapere chi era il logos, annunciando che il Logos
è Gesù, “Ἐv ἀrχῇ ἦn ὁ λόgoς”, “in Lui e per Lui tutte le cose sono state fatte, e senza di Lui
niente è stato fatto di tutto ciò che esiste”. Ha come interlocutore la filosofia greca, per cui non
parla di “Regno di Dio”, ma di “Vita - ζοὴ, zoè, “io sono venuto perché abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza”, ciò che i sinottici chiamano “Regno di Dio” Giovanni chiama “vita”.
Il termine ζοὴ (zoè), non è βίος (bios) ovvero la vita fisica, ma la vita compiuta, la vita buona,
moralmente buona e piena, che gli stoici cercavano.
Il vangelo quadriforme è la prova di una teologia pastorale implicita, nella espressione dell’evento
Gesù, vi è traccia di un’azione pastorale di evangelizzazione, che ha dovuto ripensarsi, per essere
annunziata e detta in uno specifico contesto. Questo evidenzia sia l’intenzione pastorale, che l’azione
pastorale, la vera azione pastorale, per cui alla domanda pratica “come annunciamo il Vg qui ed ora” si
è risposto attraverso un’azione che ha inteso rispondere a questa domanda.

ATTI DEGLI APOSTOLI


La TP implicita del NT, qui è addirittura evidente, quasi metodologica, ad esempio:
 L’istituzione dei diaconi.
 La prassi catecumenale (la prassi di ingresso nella comunità cristiana).

IL DIACONATO
Ad un certo punto, nella storia della Chiesa, nascono i diaconi, non come mandato diretto di Gesù, ma
come frutto del naturale sviluppo che ha la missione affidata da Gesù agli apostoli. La nascita del
diaconato non avviene per motivi di speculazione sul sacramento dell’ordine, ma da un problema
pastorale, le vedove greche e quelle ebree litigavano a causa del mangiare, questo è il grande
fondamento dottrinale del sacramento del diaconato. Non è un problema di teologia speculativa, ma
pratico. Come reagiscono gli apostoli?
1. Il problema è colto. ∃ un problema di qualcuno bisognoso che sta male, è un problema di cui la
Chiesa si deve occupare. Nelle emergenze critiche lo SPS indirizza verso ciò che riguarda la
carità e l’azione verso i poveri o i bisognosi. Ci sono cose nell’agire della Chiesa, che non sono
opzionali, pena la morte della Chiesa. Un problema da affrontare, un povero da aiutare, una
prassi da modificare, delle novità da introdurre, hanno ignorato la questione che invece andava
risolta. Il trascinamento, la ripetizione delle cose fatte, è l’inizio della morte della Chiesa, ¾
della pastorale è gestita col criterio del minimo sforzo e ingombro delle attività.
2. Si riuniscono. Molto importante, non agiscono d’impulso. Purtroppo nelle parrocchie questo
accade spesso, prima si fa e poi si pensa, si agisce d’impulso e poi si crea la giustificazione sulla
quale poi tutti devono difendere il parroco, il catechista, etc.
3. Pregano. Pongono Dio dentro questo problema in maniera esplicita. Vedono le cose alla luce
dello SPS ed elaborano un criterio.
At 6,2-5, “2Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi
lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. 3Dunque, fratelli, cercate fra voi sette
uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. 4Noi,
invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». 5Piacque questa proposta a tutto il

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gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone,
Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia.”
La figura ministeriale del diacono è frutto del processo decisionale, che è del tutto pastorale:
1. Il problema.
2. La preghiera.
3. Il discernimento.
4. Il criterio.
5. La decisione.
6. L’attuazione della decisione.

IL CATECUMENATO (PROBLEMA DELLA CIRCONCISIONE E RAPPORTO CON LA LEGGE MOSAICA)


PAOLO predicava in ambiente ellenistico e questo produsse subito una questione di attrito e di scontro
con i cristiani che invece provenivano dall’ebraismo. La chiesa giudeo-cristiana, per il suo retaggio e la
propria storia di ebrei giunti alla salvezza passando attraverso la legge di Mosé, riteneva che anche i
pagani dovessero effettuare lo stesso percorso, cioè che anche per loro il punto di arrivo a Gesù dovesse
prevedere l’adesione alla legge di Mosé e il rispetto di questa legge.
1. La questione della circoncisione. Sulla quale PAOLO era attaccato dagli ebrei e dai cristiani
divenuti ebrei. Ricordiamo che Mc stesso fu fatto circoncidere da Paolo perché questa questione
finisse. È un problema soteriologico. Che cosa salva? La legge di Mosé o la morte e
risurrezione di Gesù Cristo? Questa è la questione che sta dietro all’aspetto pratico della
circoncisione, c’è sempre una connessione tra pastorale e dottrina. Il problema non era solo
pratico, se non implicava niente dal punto di vista della fede, non era un problema, ci si
circoncideva e tutto era a posto. Ma è il senso di quell’azione, che cosa ci salva? PAOLO fu
preparato e scelto da Gesù proprio per questo, egli era stato educato alla scuola di GAMALIELE,
fariseo e figlio di farisei, un integralista.
2. La questione della legge. PAOLO chiama maledetti quelli che seguono la legge di Mosé, Gal
3,13 “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge”. Egli condanna i cristiani che in
maniera incongruente, ritornano indietro alla legge di Mosé. Cosa fanno gli apostoli?
a. Si riuniscono (concilio di Gerusalemme).
b. Pregano.
c. Ascoltano le testimonianze (tutta una serie di insegnamenti che Gesù aveva dato).
d. Si chiariscono, a partire dalla concreta situazione di Pietro, invitato a mangiare a casa di
un pagano dove gli danno da mangiare cibi immondi, che in quanto ebreo non avrebbe
dovuto mangiare.
e. Elaborano un criterio. “sono venuti alcuni a turbarvi con cose che noi non abbiamo
detto, nessuno ha avuto questo incarico, soltanto state in pace ed abbiate cura dei
poveri, non mangiate carni soffocate”. La prassi è distinta:
i. Chi è battezzato e proviene dal paganesimo non ha necessità di fare il
catecumenato passando per la legge di Mosé.
ii. Questa diversa prassi catecumenale è anch’essa una risposta a contesti diversi,
dove il battesimo è preparato attraverso itinerari diversi.
Il canone della Scrittura, la strutturazione ministeriale della Chiesa, il battesimo, non sono fatti
marginali, ma è la sostanza della fede creduta e vissuta. La TP non si occupa se il battesimo debba
essere fatto per immersione o infusione, ma come il battesimo deve essere preparato, deve essere
celebrato e come la comunità cristiana accoglie quelli che chiedono il battesimo. Ad esempio, La
preparazione al battesimo, il problema pastorale non è “2 o 3 anni di catecumenato?” ma si parte dal
contesto:

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 Chi sono questi catecumeni?
 Di che cosa hanno bisogno?
 Qual è il loro punto di partenza?
 Dove vogliamo arrivare?
È solo a partire da questo, trasformato poi in criterio di azione, che è possibile dire: 3, 2, è necessario 4,
∄ un limite di tempo al catecumenato.

LE LETTERE “PASTORALI” DI PAOLO


Le lettere pastorali non sono state scritte materialmente da PAOLO, che aveva dei segretari. Le lettere
direttamente riconducibili al pensiero e all’opera missionaria di PAOLO, si riconoscono per:
 La loro scritturazione.
 Il tono con cui Paolo si esprime.
 La conoscenza diretta che ha delle comunità.
Ad esempio, Tes e Cor, sono lettere dove chiaramente Paolo ha conoscenza diretta della comunità e dei
problemi che deve affrontare, sui quali interviene in maniera autorevole, direttiva, “ho deciso che
dovete fare” “cacciatelo, mettetelo in balia di Satana (parlando dell’incestuoso)”. Il genere letterario è
determinato dal destinatario, in effetti una lettera è uno scritto che è indirizzato a qualcuno. All’interno
del corpus paolino tre lettere sono state chiamate pastorali dal vescovo PAUL ANTON di Treviri
(Germania) nel 1753, nel senso proprio tedesco di Pastoral Theologie, la pastorale che si occupa dei
pastori, perché danno istruzioni ai responsabili di comunità cristiane, fondate da PAOLO, ma poi
lasciate in eredità al governo dei suoi due discepoli: 1-2Tm e Tt. Si tratta di lettere che riflettono una
condizione delle comunità molto diversa dalla comunità di Corinto, di Filippi o di Tessalonica. PAOLO
era convinto della Parusia, che il ritorno del Signore, sarebbe avvenuto in poco tempo, 1Ts 15 “15Sulla
parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta
del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti.” ∃ il problema di quelli che non
vogliono lavorare perché tanto ormai è arrivata la fine del mondo. In queste lettere l’attenzione
escatologica è ormai del tutto sopita, le comunità non sono più pochi membri, come nella 1Cor, in cui
PAOLO parla della Chiesa sposa di Cristo, a un centinaio di cristiani, per lo più schiavi. La chiesa di cui
parlano le lettere pastorali è un’altra, è una comunità stabilizzata, dove i ministeri sono precisi, dove
l’episcopo intrattiene relazioni con le autorità civili e che si trovano ad avere i problemi delle comunità
stabili. In questo nuovo contesto uno dei caratteri che deve avere la guida, il capo responsabile della
comunità che deve stabilire un rapporto con chi governa, con chi regge le sorti delle città, è proprio
questo, cioè deve essere rispettabile, deve essere una persona che sa parlare, che sa presentarsi, anche al
di fuori della sua comunità, per poter stringere rapporti e relazioni anche con chi non è cristiano. Non è
più la Parusia che si sta attendendo, ma l’ordinato funzionamento della comunità. Questo spiega anche
perché gran parte del contenuto di queste lettere consta in istruzioni su come trattare singole categorie,
le vedove, i diaconi, i neofiti. PAOLO dice: “devi aver cura dei tuoi fedeli, tenendo presente chi sono”,
una cosa sono le vedove e una cosa sono i giovani. Questa distinzione dei destinatari diventerà un
classico della letteratura teologico - pastorale. C’è anche una diversa situazione rispetto alla
predicazione di Paolo, se quella delle prime lettere è fortemente kerigmatica (Cristocentrica), queste
lettere pastorali in un certo senso danno per acquisito quello che viene chiamato il “deposito della
fede”, cioè è finito il tempo della proclamazione, del primo annuncio. Adesso bisogna aver cura della
trasmissione di quello che è stato annunciato, senza alterare o modificare il patrimonio che viene dai
testimoni della fede, dagli apostoli. Per questo gli insegnamenti di Paolo sono garantiti in queste lettere,
coperti dall’autorità dell’apostolo. La terminologia a cui PAOLO attinge ad esempio per il termine
Episcopo (Vescovo), non è del Vg, ma dal vocabolario corrente dell’amministrazione ellenista:
 Επίσκοπος. Episcopos. È il sorvegliante, in un certo senso l’amministratore.

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 άγγελος. L’angelo non è solo il messaggero ma anche il custode, colui che veglia, “l’angelo
custode”, colui che bada, che sta attento alla vita di chi gli è affidato.
Potremmo dire che tutto il NT porta chiara l’impronta della sua destinazione pastorale, ma è anche
chiara la configurazione pastorale di tutto ciò che viene scritto in queste lettere.

2. ETÀ PATRISTICA
È un tempo peculiare, paradigmatico e normativo dell’unità tra la “fides qua” e la “fides quae”, tra fede
creduta e vissuta. Oggi se conosciamo la vita della Chiesa, come noi abbiamo ricevuto il Vg dagli
apostoli, lo dobbiamo alla mediazione che i Padri hanno operato, essi l’hanno inculturato ed hanno dato
alla chiesa la strutturazione che le è fondamentale. Ad esempio IRENEO DI LIONE (Smirne 125 – Lione
202), secondo cui la teologia è la riflessione sul dato rivelato e presentazione dei contributi della fede. I
padri apologisti o quelli apostolici (l’eco della predicazione apostolica), che hanno svolto il compito di
custodire e trasmettere alle generazioni future il depositum fidei ereditato.

I PADRI APOSTOLICI
 BARNABA. ?? - 61 (Salamina – † martire, lapidato dai Giudei).
 CLEMENTE. ?? - 99 (Crimea – † martire, gettato in mare con un’ancora).
 IGNAZIO DI ANTIOCHIA. 35 – 107 († martire, condannato alla “damnatio ad bestias” a Roma).
 POLICARPO. Smirne 69 - 155 († martire, pugnalato sul rogo).
Ad essi vanno aggiunti PAPIA DI GERAPOLI, l’autore ignoto del Didaché e l’autore ignoto del Pastore
d’Erma. Tra essi il modello è stato SAN CLEMENTE, IV Papa, si dice abbia conosciuto personalmente
gli apostoli, che scrive una lettera ai Corinzi, rifacendosi alla 1-2Cor di PAOLO. POLICARPO diceva “io
ho visto gli occhi che hanno visto il Signore”, era discepolo di GIOVANNI. Essi hanno conosciuto gli
apostoli e compiono questo ulteriore passaggio di tipo pastorale, per cui la Chiesa assume una
strutturazione ministeriale e una vita interna che nei suoi elementi fondamentali, applicano quanto è
recepito nella tradizione degli apostoli e nell’insegnamento di Gesù:
 La messa.
 L’eucarestia (cioè la sinapsi, l’azione comune).
 Il settimo giorno (Domenica).
 L’ordinamento istituzionale gerarchico (Vescovi – presbiteri – diaconi).
 La strutturazione sacramentale della vita della Chiesa (Battesimo).
 Il rapporto con la società civile.
 L’evangelizzazione, che comincia non dal dialogo religioso ma dal dialogo culturale.

I PADRI APOLOGETI
I padri non hanno mai presentato Gesù come il vero Ercole o Dio padre come l’immagine del dio padre
analogo a Zeus, ma hanno rigettato il Dio della religione pagana ed hanno scelto il dialogo con il Dio
dei filosofi. Sono i primi ad aver intrapreso questa strada, che questa è l’impostazione corretta del
rapporto fede-cultura (Fides et ratio). Di questo rapporto fede-cultura il primo frutto splendido sono
stati proprio i “Padri della Chiesa”, che sono all’origine, per esempio, della concentrazione attorno al
vescovo, dei ministeri che vengono distribuiti: molte delle strutture fondamentali della vita della Chiesa
sono state opera, frutto, dell’azione dei Padri. Nei Padri è evidente che la teologia speculativa è
direttamente connessa alla vita della comunità. L’insegnamento dei padri ha come ambiente di vita (il
Sitz im Leben) proprio la predicazione alla comunità cristiana, la chiesa e la gente seduta che ascoltava
il vescovo. Anche se alcuni testi di AMBROGIO sono chiaramente riscritture di libri di CICERONE,
come gli rinfacciava GIROLAMO quando gli diceva: “Tu sei un maiale che si veste con le penne dei
pavoni”, per dire “Tu sei un ignorante che però prende da Cicerone le cose e se le mette addosso come
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se lui fosse colui che deve pavoneggiarsi”. SAN GIROLAMO aveva un linguaggio pesante; egli stesso ne
era consapevole, per cui diceva spesso al Signore “perdonami perché sono dalmata”: il carattere dei
croati è storicamente un carattere abbastanza duro. Le osservazioni di GIROLAMO su casi di non
ortodossia di altri autori, come di AMBROGIO, sono osservazioni molto dirette, senza peli sulla lingua.
GIROLAMO traduce la Bibbia a Betlemme, circondato e in comunione con una comunità monastica alla
quale spiegava e interpretava le scritture. Omelia significa “conversazione, dialogo”, il tono dell’omelia
era proprio questo, la gente che chiedeva e il vescovo che rispondeva, i tachigrafi scrivevano e poi il
vescovo rivedeva il testo che era stato scritto, lo riorganizzava, lo puliva, lo faceva diventare un
trattato. Gli interventi pastorali, i problema di prassi ecclesiale, erano l’occasione per parlare di
questioni dogmatiche, come per AGOSTINO sullo scandalo delle divisioni coi donatisti:
 Dov’è la verità?
 Il battesimo dei donatisti è valido o non è valido?
 I ministri donatisti?
 Posso andare a messa da loro?
Partendo da questo, AGOSTINO sviluppa la dottrina che imprime il carattere, ovvero la distinzione fra
ciò che oggettivamente il ministro pone come atto ecclesiale e la sua indegnità o peccaminosità morale.
Ai Padri Cappadoci, forse le menti più straordinarie che abbia mai avuto la chiesa, dobbiamo la dottrina
Trinitaria, il trattato sullo SPS di BASILIO, hanno scritto in tempi di contestazione della fede ortodossa.

S. MARTINO – S. COLOMBANO – S. PATRIZIO


Furono importanti esponenti del grande movimento occidentale del monachesimo, che evangelizzò i
popoli barbari. Attraverso la loro predicazione portarono un vento nuovo nella Chiesa.
S. MARTINO (❈ Sabaria  316 – † Cades Saint Martin, 8/11/397). Ex soldato romano, si impegnò nella
crisi ariana, eresia condannata al Concilio di Nicea del 325. Per questo motivo fu cacciato dalla Francia
e dal Nord Italia, da vescovi ariani facendo vita eremitica. Divenne monaco nella cattolica Poitiers,
dove fondò uno dei primi monasteri in occidente. Divenne Vescovo di Tours, in Gallia, nel 371,
continuando la sua vita semplice, favorendo lo sviluppo del monachesimo. Fu un pastore attivo, dalla
fervente preghiera, girava per le campagne e le città ad evangelizzare.
S. COLOMBANO (❈ Navan  542 – † Bobbio 23/11/615). Diffuse grandemente il monachesimo
irlandese, caratterizzato dalla Paenitentiale, ovvero la confessione privata in sostituzione di quella
pubblica, in cui il confessore stabiliva una penitenza proporzionale alla gravità del peccato. Redisse una
regola cenobitica e monastica, fondando numerosi monasteri. La sua regola era fondata sulla preghiera,
la pratica ascetica ed il lavoro. Nei suoi monasteri vi erano gli scriptoria, luoghi dove producevano
pergamene con le copie delle le opere dell’antichità, preservando i testi classici greci e latini.
S. PATRIZIO (❈ Bannaventa Bernie, 385 – † Saul 17/03/461). Anche lui diffuse il monachesimo
irlandese. Nel 431, ebbe il compito da Papa Celestino I, di evangelizzare l’Irlanda pagana. Per favorire
l’evangelizzazione, fuse elementi cristiani al paganesimo celtico. Spiego la trinità ai pagani utilizzando
il trifoglio. Importante fu la sua lettera Confessio, in cui descrive la sua missione evangelizzatrice.

ARIO
Fu un bravissimo sacerdote ad Alessandria d’Egitto. Le sue idee eretiche dalla predicazione, passarono
alla prassi pastorale, infatti i vescovi del tempo, divenuti quasi tutti ariani, predicavano, tenevano le
diocesi, ordinavano i preti e tuttavia avevano una fede eterodossa contro la quale i padri, spesso in
modo solitario, si sono battuti, subendo persecuzioni ed esili, perché professavano una dottrina
ortodossa. Le eresie, alcune di esse sono passate attraverso le grandi scuole teologiche di Antiochia o
Alessandria, convivevano nei luoghi in cui si compiva il lavoro dei Padri di rielaborazione e di
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preparazione anche dell’insegnamento. Esse il più delle volte arrivavano attraverso l’attività pastorale,
perchè alle problematiche che il “vissuto” poneva alla comunità, i sacerdoti e i vescovi non erano in
grado di rispondere. Nei “Padri” c’è una teologia anche dogmatica, equilibrata e attenta all’essenziale,
probabilmente proprio per questo legame vitale con la prassi pastorale, essi partono dalle questioni
pratiche di “come spiegare la fede”, di “come far intendere il Vangelo”, di “come convertire la vita in
obbedienza a questa verità”.

GIOVANNI CRISOSTOMO
(❈ Antiochia, 344/354 – † Comana Pontica, 14/09/407). In età bizantina scrive un libro sul sacerdozio,
in cui deride i preti, accusati di prediligere un Cursus Honorum, parlando di “Orrori Babilonesi”,
perchè i preti non camminano per strada perché hanno le pantofole preziose e non vogliono sporcarle,
sono profumati come le donne della corte. Inoltre si occupa della questione drammatica dell’elezione
dei vescovi, se dovevano essere scelti dalla comunità o no. La Chiesa non ha più ritenuto di dover
passare per l’elezione durante un’assemblea della comunità, perché gli scandali e le compravendite dei
voti, sono stati un fenomeno disastroso per la vita della Chiesa. CRISOSTOMO deride l’assemblea fatta
negli stadi, dove i vescovi si compravano la nomina. Chi si scandalizza di adesso, probabilmente non
conosce la storia della Chiesa, chi pensa che la comunità cristiana sia il luogo del discernimento certo
della verità, dovrebbe in qualche modo ricordarsi che esiste il peccato originale, per cui su questa terra
non ci sarà mai un metodo assolutamente puro. Se la tradizione e la storia della Chiesa hanno messo a
punto il metodo attuale di scelta episcopale, certamente perfettibile. In TP, è da tenere ben presente, che
non esistono le età dell’oro nella storia della Chiesa e la nostra non è né la più schifosa, nè più
drammatica della storia della Chiesa. Non è mai esistito il periodo in cui tutti erano cristiani, sono
esistiti i periodi in cui l’omogeneità Chiesa/mondo ha reso possibile l’unificazione di comunità anche
civili e che supportavano e si riconoscevano nell’antropologia cristiana, ma cristiani veri, determinati,
appassionati sono sempre stati una minoranza, sempre. Per cui, la foga eccessiva del CVII: “o sei
autentico, coerente o vattene a casa e non venire al catechismo, etc.” è stata distruttiva perché ha
rivelato una mentalità totalmente fuori dalla realtà della storia della Chiesa, non è mai esistita
una chiesa di puri. I “catari” potevano vantarsi di esserlo, gli albigesi; ma a che prezzo?, a prezzo di
eresie terribili, che negavano la bontà e la verità della creazione di Dio, della carne, cose contro le quali
non c’è un santo che non abbia invocato una crociata: CATERINA e DOMENICO non erano assetati di
sangue! GIOVANNI CRISOSTOMO, sostiene che la dignità del prete non è perchè vive a corte, ma perché
“celebra la messa”, è drammatico che il prete non si rende conto di che cosa succede mentre sta
celebrando la messa. Sempre quando c’è una crisi eucaristica, vi è una crisi del sacramento
dell’ordine. Ciò che accade sull’altare è infinitamente più importante di ciò che l’imperatore può dire
di un prete: dunque la dignità del prete viene da questo, non viene dalla bontà dell’imperatore nei suoi
confronti. Esiste una reciprocità tra ciò che la comunità cristiana vive e il dato di fede, il dato di fede è
scavato, compreso sempre meglio, proprio grazie a ciò che la comunità cristiana vive.

SAN GREGORIO MAGNO


(Roma 540-604). È stato il 64° vescovo di Roma e Papa dal 03/09/590 al 12/03/604. Nacque dalla
famiglia senatoriale degli Anici e alla morte del padre Gordiano, fu eletto, molto giovane, prefetto di
Roma. Divenne poi monaco e abate del monastero di Sant’Andrea sul Celio. Eletto Papa, ricevette
l’ordinazione episcopale il 3 settembre 590. Nonostante la malferma salute, esplicò una multiforme e
intensa attività nel governo della Chiesa, nella sollecitudine caritativa, nell’azione missionaria. Autore
e legislatore nel campo della liturgia e del canto sacro, elaborò un Sacramentario che porta il suo nome
e costituisce il nucleo fondamentale del Messale Romano. Lasciò scritti di carattere pastorale, morale,
omiletico e spirituale, che formarono intere generazioni cristiane specialmente nel Medio Evo.
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GREGORIO MAGNO è vissuto scrivendo il commento morale al libro di “Giobbe” (Moralia in Iob), 35
libri che costituiscono una sorta di enciclopedia della vita cristiana. Egli viveva con una piccola
comunità che aveva raccolto attorno a sé, in un monastero e tale comunità era effettivamente ispirata,
se non alla regola, certamente alla forma di vita di BENEDETTO. Le poche cose che oggi sappiamo su
SAN BENEDETTO le sappiamo dalla vita che ne ha scritto GREGORIO MAGNO nei “dialoghi”, un’opera
in 4 libri, il secondo monografico su BENEDETTO da Norcia. Alcuni studiosi sostengono che SAN
BENEDETTO non è mai esistito ed è una creazione di SAN GREGORIO. Noi rigettiamo questa ipotesi,
perchè GREGORIO non poteva essere né un allucinato né tantomeno un mistificatore.
 Che non sia esistito qualcuno che ha scritto la regola di SAN BENEDETTO, pur prendendola da
una regola precedente, cosiddetta “regula magistri”, che è molto simile: No.
 Che gli interventi che rendono dissimili la regola SAN BENEDETTO dalla regola magistri,
presuppongono che ci sia un autore, che ci sia uno scrittore che non è SAN GREGORIO: Si.
 Che questo soggetto è riconoscibile almeno per la discontinuità tra le due regole.
In quel tempo l’imperatore si è trasferito a Costantinopoli e Roma, durante la pestilenza che si scatena
proprio sotto il pontificato di GREGORIO, conta  27-30.000 abitanti.

LA FIGURA DEL PAPA


La radice della divisione tra Oriente e Occidente è l’affermazione della sede di Costantinopoli a scapito
della sede di Roma. Fu durante l’assolvimento del compito come prefetto dell’Urbe che GREGORIO
sviluppa un’attitudine di comando e di gestione degli affari pubblici che poi gli tornerà utile quando
scriverà la “Regola pastorale”. Proprio perché era quotidianamente coinvolto in problemi pratici da
risolvere, Gregorio cominciò da allora a studiare da una parte che cosa rende efficace l’azione e quindi
la connessione con la norma e il diritto che innerva la vita di una comunità umana, dall’altra la
necessità di trovare soluzioni ad ogni problema a partire appunto dai vari tipi di problemi di persone
che si trovava davanti. Nauseato dalla cosa lascia il tutto e convertito probabilmente a una vita
morigerata si ritira sul Celio insieme ad una comunità, che viveva secondo una determinata regola.
Papa PELAGIO II, nomina GREGORIO suo ambasciatore a Costantinopoli (apocrisario), pur essendo
ancora solo diacono. Alla morte del papa, GREGORIO torna a Roma e viene eletto Papa per
acclamazione di popolo. Quest’uomo gracile, che aveva cercato il ritiro dal mondo e una vita di
preghiera, si trova a dover gestire la Chiesa. È plausibile che lo Stato pontificio si è iniziato con
GREGORIO magno. Una volta eletto Papa ha dato un forte impulso all’organizzazione della vita
concreta della Chiesa, delle comunità cristiane, dei monasteri e di tutto ciò che riguarda l’elezione dei
vescovi, ha inventato la figura del “Nunzio”, cioè il rappresentante del Papa che raccoglie le
informazioni su coloro che devono essere scelti per il ministero di vescovo. Se la testimonianza non è
operativa ed efficace, incidendo nella prassi e nel cambiamento dello stile di vita, del tipo di vita del
popolo, la testimonianza non serve a niente, è una questione teologica di grande rilievo, non esistono
due ordini diversi quello della creazione e quello della redenzione, è lo stesso Dio, lo stesso creatore e
lo stesso redentore. Interessarsi della vita degli uomini in quanto esseri creati non è fare un’altra cosa
rispetto alla redenzione. Se non fosse importante aver cura del creato, perché curare i malati, che
c’entrano con il paradiso. Invece è importante curare i malati e risolvere le ingiustizie che ci sono nel
mondo, perché appartiene al disegno di Dio che ha creato il mondo, che gli uomini non soffrano, che
non patiscano ingiustizia e questo fa già parte del disegno della redenzione, che ha a che fare con il
peccato e con la morte. Trovare un lavoro ai giovani, ad esempio, dargli un futuro, è aver cura della
creazione. Oggi gran parte della pastorale è impostata come se la gente non andasse a lavorare, non
avesse famiglia (pensate agli orari delle riunioni), vivesse tutto sommato, non nel lusso, ma potendosi
permettere un’uscita da 300€ con la parrocchia e il pellegrinaggio a Medjugorje a 800€ tutto compreso.
GREGORIO è grande perchè non ha dissociato i due piani, ha con intelligenza, da una parte governato

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praticamente, concretamente, senza ignorare ciò che era necessario alla vita del suo popolo e dall’altra
l’ha condotto ad un ascolto creativo della scrittura. Quando a Roma giunsero i Longobardi, impegnò il
suo personale tesoro di famiglia affinché Roma non venisse distrutta. Lo stesso aveva fatto papa Leone,
lo stesso ha fatto Pio XII (se Roma si è salvata dai bombardamenti lo dobbiamo al Papa).

LA REGOLA PASTORALE
Egli scrive un libro “la regola pastorale”, in cui tratta di come edificare una comunità cristiana e di
come devono agire coloro che sono al servizio della diffusione del Vangelo, del rapporto “chiesa-
mondo”. È sia un libro esortativo per GIOVANNI DI RAVENNA, che voleva rifiutare l’ordinazione a
vescovo, ammonito da GREGORIO, “tutti quanti ci siamo passati, ora tocca anche a te”, infatti, lo
stesso GREGORIO aveva rifiutato, come prima AGOSTINO, GIOVANNI CRISOSTOMO, molti sono
diventati vescovi contro la loro volontà. Ma è soprattutto un libro in cui si rispecchia realmente la realtà
dei fatti di Gregorio, è la sintesi di come egli ha inteso “essere pastore”, di come egli ha inteso e visto
l’azione pastorale della Chiesa. Non è un’opera biografica, è infarcito di SS, è bravo nell’allegoria. Se
noi cristiani oggi, non siamo fondamentalisti, è per la lettura allegorica della scrittura che i Padri ne
hanno fatto, ad esempio, la lettura letterale di “se la tua mano ti scandalizza, tagliala”, i cristiani
sarebbero stati come i musulmani, che applicano alla lettera i dettami del Corano.
 Il principio ermeneutico che la scrittura si interpreta con la scrittura, è di Gregorio. Ad esempio,
le vergini stolte. Per capire che cosa significhi la parola “stolte”, il significato lo cerco nei passi
della SS in cui la stessa parola viene usata e troverò, Mt 7,26: “Chiunque ascolta queste mie
parole e non le mette in pratica, sarà simile ad un uomo stolto, che ha costruito la sua casa
sulla sabbia”. Lo stolto è chi ascolta senza mettere in pratica, da cui la vergine che si
addormenta perché è pigra e non ha potuto mettere in pratica.
 Scriptura crescit cum legente, la scrittura cresce con chi la legge. L’interpretazione della SS si
arricchisce a mano a mano che uno la legge, perché proprio ciò che lui capisce, ciò che gli è
dato di comprendere e di vivere nella scrittura, questo arricchisce il senso della scrittura.
La regola pastorale è stata scritta per un pastore:
1. Sostiene e giustifica che qualcuno deve assumersi il compito di guida di una comunità cristiana.
2. Cerca di dare anche degli indirizzi su come questo deve avvenire.
3. La guida pastorale deve arrivare fino a poter essere personalizzata.
Gv 10, 2-4, “2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore
ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha
spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua
voce”. L’efficacia dell’azione pastorale, è strettamente e direttamente proporzionale a quanto tu più
conosci il tuo gregge, la tua gente, è una conoscenza decisiva e fondamentale, che non può essere
teorica. La regola pastorale divenne normativa, infatti ancora al tempo di CARLO MAGNO i vescovi,
per poter diventare tali, dovevano conoscere non soltanto il messale e i Vangeli, ma anche la regola di
SAN GREGORIO, che alcuni concili – sinodi, stabiliranno che nella formazione di chi diventa vescovo ci
deve essere la lettura e la conoscenza della regola pastorale.

3. ETÀ MEDIEVALE
LANZA definisce l’età medievale come Concentrazione ecclesiastica. Finito il tempo delle
persecuzioni, la figura di cristiano che più brillava, per forza, per evidenza di testimonianza, per
radicalità di vita, era quella del monaco. Il monastero entrò nella vita della Chiesa da oriente e la
determinò in maniera decisiva. Quando SAN BENEDETTO fu proclamato patrono d’Europa, il Papa non
fece altro che riconoscere un dato di fatto, cioè che l’evangelizzazione dei popoli barbari e una cultura
cristianamente ispirata, erano dovuti all’azione dei monasteri e alla regola di SAN BENEDETTO. La
nascita e l’apparire dell’influenza del monastero in qualche modo ha contribuito a mettere in ombra
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anche la vita delle parrocchie e dei preti. Ancora al tempo di SAN FRANCESCO, i sacerdoti versavano in
condizioni miserevole, ignoranti, poveri, sostanzialmente lasciati a se stessi, cosa che fece fiorire i
monasteri, perchè chi voleva servire il Signore sceglieva il monastero, non la vita pastorale, basti
pensare che la formazione dei preti era sostanzialmente analoga a quella di un garzone di bottega, cioè
un prete accoglieva in casa sua uno che voleva diventare prete, dietro pagamento gli insegnava a dire
messa, a leggere le preghiere e tutto finiva lì. C’era una concentrazione di fatto sui sacramenti perché la
società era ufficialmente cristiana. SAN FRANCESCO concepirà i frati come predicatori itineranti,
perché la necessità della predicazione era grandissima. Ciò che LUTERO rimprovererà alla Chiesa, ha
radici molto profonde, di disorganizzazione pastorale, basando tutto sulla concentrazione liturgica del
ministero pastorale che soddisfaceva una fede che già c’era, che aveva bisogno dei sacramenti, del
culto, della preghiera, ma che non doveva preoccuparsi di organizzare la società, di istruire (la gente
era analfabeta). LUTERO accusa il clero di ignoranza, perché i preti sapevano a malapena il Pater
noster. I monaci escogitarono un metodo interessante, basato sulla stabilità della comunità, che crea
delle azioni col territorio, la forma della parrocchia in qualche modo dipende anche da questo. Nel
monastero c’è la presenza di una comunità cristiana organizzata e che presenta la novità del lavoro,
infatti al tempo un uomo libero non doveva lavorare, erano gli schiavi che lavoravano, ma ora, una
regola che prescrive a degli uomini liberi di lavorare, una vera rivoluzione culturale. È nel
cristianesimo che si apprezza il lavoro, se pensiamo al primo articolo della costituzione italiana, tale
articolo non sarebbe possibile senza SAN BENEDETTO. E questa è una delle rivoluzioni compiute dalla
regola benedettina. Nel campo della filosofia SAN BENEDETTO prescrive la lectio divina, è la sapienza
del Vg che crea la vera sapienza, che trasmette all’uomo la vera sapienza. In una società
gerarchicamente ordinata, i monaci, invece, sono tra di loro uguali. Il principio della vocazione nel
capitolo dove tutti sono uguali sta nella regola di SAN BENEDETTO, la prima democrazia diretta è nella
regola di SAN BENEDETTO. Questo è il tipo di vita per cui una comunità cristiana, semplicemente
vivendo il Vg, trasforma il territorio nel quale questa comunità vive. Questo dato è così importante
perché è necessario ricordare che la “seconda evangelizzazione dell’Europa” l’hanno fatta i monaci
irlandesi, cioè SAN COLOMBANO (542-615), SAN PATRIZIO (385 – 461), SAN COLUMBA DI IONA (521-
597), SAN MALACHIA (1094-1148), SANTA BRIGIDA D’IRLANDA (451-525).

CONCENTRAZIONE ECCLESIASTICA (O CHRISTIANITAS)


La situazione concreta della vita della Chiesa esigeva che vi fosse un interesse, una cura particolare, per
quanti erano pastori nella Chiesa. La Christianitas era una società dove vigeva omogeneità, per non
dire coincidenza, tra il vissuto sociale, il vissuto politico e il vissuto religioso, cioè una società
fortemente coesa che aveva al centro, la religione cristiana. La Christianitas ha conosciuto il suo
modello migliore nel medioevo, in cui tutti i sottosistemi della vita, “l’etica, la politica, l’estetica, la
letteratura, l’educazione”, erano generati e organizzati a partire dal centro, la fede cristiana, per cui:
 Il Papa unge gli imperatori.
 La letteratura ha come temi argomenti di tipo religioso.
 L’architettura costruisce le cattedrali.
 La giurisprudenza si rifà alle “decretali” (Costituzioni pontificie di carattere generale, redatte in
forma di lettera e contenenti spesso norme giuridiche. Oggi le lettere decretali sono adoperate
per la canonizzazione dei santi).
 Le cose quotidiane, minute, come il prestito dei soldi, l’organizzazione del commercio, la vita
economica che era di fatto ancora una vita sostanzialmente legata alla terra, al latifondo,
all’agricoltura. Il papà di SAN FRANCESCO è già un uomo che spezza questo schema e non a
caso infatti SAN FRANCESCO è l’inizio di un movimento che porterà la borghesia ad essere, per

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tutto il medioevo, l’aristocrazia, in forza del commercio e del traffico della mercanzia. Questo
costituirà, il potere di Venezia, sarà la fortuna di Firenze, ma segnerà la fine della Cristianità.
La Chiesa di questo tempo, non si poneva l’esigenza di conformare la vita sociale alle istituzioni
ecclesiastiche, già era così e per certi versi ciò che veniva richiesto nell’esercizio del ministero
pastorale (parlando di concentrazione ecclesiastica), era che i sacerdoti fossero capaci di:
1. Offrire i sacramenti.
2. La celebrazione dei sacramenti.
3. La celebrazione della messa.
4. L’istruzione. Nel vuoto di istruzione religiosa e per certi versi anche della vita spirituale, si
inseriranno gli ordini dei mendicanti.
SAN FRANCESCO e SAN DOMENICO, intesero la costituzione del loro ordine mendicante a servizio
dell’evangelizzazione:
1. Era una predicazione che usciva dalle chiese e stava sulle piazze.
2. Era una predicazione in lingua popolare.
3. Era fatta da persone che capivano e vivevano la vita quotidiana della gente.
Si creò il problema della scelta dei vescovi, che vennero sempre più presi tra gli ordini mendicanti.
Perchè il frate è la figura di valore nella vita cristiana di questo tempo (parliamo del basso medioevo,
della fine del medioevo). La Chiesa fu impegnata per molto tempo, nella lotta per le investiture, un
tentativo di affrancarsi dall’impero, mentre l’impero da parte sua, usando uno schema che in oriente
aveva funzionato, voleva dirigere la vita della Chiesa. La Chiesa occidentale, ha sempre cercato
quantomeno la libertà dall’influenza dell’imperatore, cosa che invece in oriente non è successa, tutt’ora
in oriente, per esempio in Russia, vige la dottrina della “sinfonia”, cioè il potere civile, politico e quello
ecclesiastico devono andare d’accordo. I concili, fondamentali per il simbolo della fede, furono
convocati dagli imperatori e che proprio la professione di fede degli imperatori divenne spesso causa di
eresie e disordini nella vita della Chiesa. Questo complesso intrecciarsi tra vita politica, vita civile, vita
economica, vita religiosa, vita delle confraternite mise sempre più in evidenza l’ignoranza del clero e la
necessità quindi che, chi doveva presiedere alla vita cristiana, proprio anche in forza di tutti questi
movimenti ereticali, dovesse essere grandemente preparato. Il fiorire di questi movimenti ereticali, che
come tutte le eresie evidenziano ed esasperano un aspetto dell’insieme, questo aspetto della riforma
della Chiesa, della riforma pastorale della Chiesa, era un fatto oramai chiaramente in evidenza.

CONCILIO LATERANENSE IV
Si tenne nel 1214 e trattò i temi importanti del momento. Vi partecipò anche SAN FRANCESCO. Egli fu
nella realtà era uno che a suo modo sapeva stare e sapeva anche agire; non nel senso del “traffichino”,
ma di una persona che ritiene di avere una missione e che questa missione aveva bisogno, proprio per
la parola di Gesù, di essere recepita nella vita della Chiesa e non di essere marginalizzata e confusa con
i “catari” e con i “valdesi”. Ciò spesso è taciuto, ricordando solo gli aspetti caritatevoli, i lebbrosi, ma
SAN FRANCESCO vi prese parte per fare approvare l’ordine dei frati, perché il concilio precedente
aveva deciso che non dovevano esserci più nuove fondazioni. Il Concilio prescrive che nelle chiese
cattedrali ci sia un maestro che insegni tutto ciò che è dovuto alla cura delle anime, ad imitazione dei
monasteri. Il cardinale francese HENRI - MARIE DE LUBAC (1896 - 1991) ha scritto sulla teologia del
XII – XIII sec, sostiene che la scienza sperimentale è nata nella storica cattedrale di Chartres, in questa
scuola medievale il metodo viene applicato per la prima volta, come lo abbiamo conosciuto dopo con
Bacone e con tutto quello che ne è seguito. Nel sapere che è raccolto nella cattedrale e distribuito è
prescritto che ci sia anche il sapere che riguarda l’attività pastorale, la cura delle anime, è qui che
questa dizione che poi diventerà classica nella storia della TP, cura delle anime è l’esercizio del
ministero o in parrocchia o comunque alla guida di una comunità cristiana. Diventa una necessità, per:

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 L’ignoranza del clero.
 L’ignoranza del popolo.
 Il diffondersi delle eresie.
 Le lacune dal punto di vista della formazione e dell’evangelizzazione.
 I problemi disciplinari:
o Preti concubini in Austria e in Germania.
o Simonia. La povertà di molti preti, li spingeva a vendita le cose sante.
o I sacerdoti vivono di quello che ricevono, per cui diventano succubi dei signorotti che li
stipendiano.
Uno dei più grandi studiosi del concilio di Trento (CdT), HUBERT JEDIN (1900-1980), scrisse che, se le
riforme del Concilio Lateranense IV fossero state attuate nella Chiesa, non ci sarebbe stata la riforma di
LUTERO, perché molti degli abusi e degli scandali da lui denunciati. Vi era il problema della diluizione
della teologia, divenuta manualistica della scolastica, un ripetere quello che i maestri avevano detto,
una teologia incapace di sostenere uno sforzo di evangelizzazione, di presa sulla vita delle parrocchie,
sulla vita del popolo. Altro problema era quello dei vescovi, alcuni dei quali destituiti dall’imperatore,
o ai quali l’imperatore non dava il suo placet per andare in diocesi, così essi quindi venivano a Roma,
ricevevano il beneficio della diocesi, cioè le proprietà che spettavano al titolare della diocesi, senza mai
esservi entrati e quindi governavano attraverso un vicario capitolare che praticamente era il vero
pastore della diocesi. Problemi enormi, che il CdT si è trovato a dover risolvere.

4. CONCILIO DI TRENTO
Il Concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, aperto da papa PAOLO III
nel 1545 e chiuso, dopo numerose interruzioni, nel 1563. Con questo concilio venne definita la riforma
della Chiesa cattolica (Controriforma) e la reazione alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo
(Riforma protestante). Fu un concilio importante per la storia della Chiesa cattolica, tanto che
l’aggettivo “tridentino” viene usato ancora oggi per definire alcuni aspetti caratteristici della Chiesa
cattolica ereditati da questo concilio e mantenuti per i successivi tre secoli, fino ai CV I e CV II.

LA STORIA
Il CdT è nella storia della Chiesa come un santissimo concilio, a dispetto delle previsioni della vigilia,
delle difficoltà reiterate a convocarlo e dei pochi padri conciliari, presentatisi all’inizio (~ 80 – 90). È il
legato pontificio GIOVANNI MARIA DEL MONTE (futuro papa GIULIO III), in qualità di presidente, che
dichiara aperto il Concilio. Nessuno all’inizio scommetteva sul Concilio, in parte perché la riforma era
stata ormai abbracciata dai principi luterani e tedeschi, veicolata dalla stampa appena inventata (la
stampa ha prodotto una tale diffusione delle idee di Lutero che 10 anni prima non sarebbe stato
possibile) e in parte per l’interesse stesso dei principi che volevano scrollarsi di dosso l’imperatore e la
dipendenza dal Papa. La convocazione del concilio appariva più che altro un chiudere la porta della
stalla quando i buoi erano usciti, nel senso che nessuno realmente scommetteva sulla sua riuscita, ma
proprio la celebrazione del concilio dimostra quanto è vero che la Chiesa è guidata dallo SPS. I gesuiti,
che sono stati gli autori delle costituzioni più importanti, erano appena nati, avevano studiato a Parigi,
con competenze piuttosto fresche, non sprovveduti ma neppure appartenenti a chissà quali scuole
teologiche. Il decreto sul peccato originale e la giustificazione (nella V sessione del 17/6/1546) ha un
valore veramente permanente, il concilio afferma che il peccato originale si trasmette non per
imitazione ma per propagazione e che per questo è proprio di ciascuno, “Chi afferma che il
peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che
aderisce a tutti ed è proprio di ciascuno, …… ,: sia anatema”.

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CONSIDERAZIONI
È stato un santissimo concilio, a dispetto di chi sostiene “Eh, ma quello è fermo al CdT!”, come se
fosse un’offesa, mentre invece è un ignorante che non sa cosa sta dicendo. Non c’è alcun dubbio che la
parrocchia tridentina è stata una grande parrocchia e la riforma del concilio è stata una grande riforma.
Il CdT entrò a regime, grosso modo dopo un secolo, cioè la ricezione e il cambiamento che il concilio
aveva sollecitato divennero evidenti solo nel tempo, perché toccava le strutture secolari della fede
creduta e della fede vissuta.

EFFETTI DEL CONCILIO


Il CdT va letto e compreso, come ciò che la Chiesa ritenne in quel momento di dover affermare in
rapporto a ciò che della fede era contestato da LUTERO. ∃ una profonda differenza tra Trento e
tridentinismo, tra ciò che il concilio ha detto e dettato e ciò che è stato poi la sua attuazione
degenerata, perché si è preteso che Trento avesse detto tutto quello che c’era da dire.
Innanzi tutto sono da distinguere, i decreti (dottrinali) ed i canoni (pastorali) da essi dedotti. Ogni
concilio, fino al CV II, ha sempre espresso la verità della fede cattolica in rapporto all’eresia, cioè al
problema che veniva evidenziato. Per esempio:
 La natura della giustificazione.
 La dottrina sul peccato originale.
 La dottrina sul ministero ordinato.
 La dottrina sull’eucarestia.
Questa dottrina è espressa nei decreti, che terminano con i cosiddetti anatematismi, dichiarazioni del
tipo “chi crede, chi ritiene che la tradizione non porti alla rivelazione: anatema sit”, sia anatema,
ovvero questa cosa che dice e che crede lo pone al di fuori della Chiesa cattolica, non è cattolico. Il
problema non era soltanto di fede creduta, ma anche di fede vissuta (prassi – fides quae):
 Il difficile stato del clero.
 L’insufficiente guida pastorale.
 L’insufficiente formazione.
 L’assenza dei vescovi nella diocesi loro assegnata.
 la dottrina sui sacramenti,
 L celebrazione dei sacramenti.
Il concilio si preoccupò di riformare anche la vita pastorale della Chiesa, producendo dei testi, dei
documenti, dipendenti dal dato dottrinale in senso deduttivo, i casi sono dedotti dalla dottrina.
Si risponde sistematicamente alle obiezioni di Lutero:
 Lutero. “non esiste un sacerdozio ministeriale, esiste un sacerdozio universale”.
 Il concilio. “no, esiste il sacerdozio ministeriale e questo sacerdozio ministeriale è
ontologicamente diverso da quello universale dei fedeli (non vige la stessa parità)”.
Il sacerdozio ministeriale è un sacramento di Cristo, non si tratta, come che affermava LUTERO, di un
servizio di ministero di coordinamento all’interno della finalità, ma di una ripresentazione sacramentale
di Gesù e le azioni che il sacerdote fa in quanto sacramento di Gesù. Riaffermando questo dato di fede,
deriva un modo di intendere la vita del prete e del vescovo che è non funzionale, si stabilisce che:
 Se è vero che il sacerdote è per sacramento. Consegue che
o Questo sacramento imprime il carattere.
o Il dono di grazia che ha viene dallo Spirito.
o È il capo della comunità.
o La comunità deve essere circoscritta, e il concilio prescrive che le parrocchie siano
delimitate geograficamente e che a capo di queste porzioni di Chiesa ci debba essere un
pastore, il quale pastore deve:

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 Conoscere le sue pecore.
 Ha l’obbligo della residenza.
 Ha l’obbligo della visita pastorale.
 Ha l’obbligo della predicazione almeno domenicale.
 Ha l’obbligo del catechismo. Così si prepara il catechismo di Trento che è ad
parrocos, non è per i parrocchiani, è il parroco che deve leggere e spiegare.
 I fabbricieri hanno la cura della Chiesa, dell’edificio, il loro presidente deve
essere il parroco.
La caratteristica della parrocchia tridentina, è la concentrazione clericale, tutto deve passare attraverso
il parroco. Questa è una reazione a LUTERO, che sosteneva che ciascuno era direttamente responsabile
del suo rapporto, della sua fede con Dio, del suo cammino di predestinato alla salvezza. Riaffermando
il dato di fede, dal punto di vista pastorale si elabora una teoria pastorale molto precisa e mirata, tutto
deve essere preciso, da ciò che studia a ciò che insegna, il parroco, il prete, nascono i seminari. La
letteratura pastorale di questo periodo, elabora una specie di vademecum, di ciò che è prescritto che il
parroco faccia con istruzioni precise su come deve fare, come e cosa deve predicare, etc. proprio in
questo periodo, che comincia a perdersi l’identità tra vita civile e religiosa. Infatti dopo la pace di
Westfalia del 1648, che pose fine alla guerra dei trent’anni, è stabilito il principio cujus regio et eius
religio, stabilendo formalmente una divaricazione tra la Chiesa e la società, mentre prima la cristianità
era sovrapposizione ed innervamento l’una nell’altra.

IL CONCILIO E L’AZIONE PASTORALE


Si considera come primo manuale di TP l’Enchiridion Theologiae Pastoralis et doctrinae necessariae
Sacerdotibus curam animarum Administrantibus pubblicato nel 1591 dal vescovo di Treviri PETER
BINSFELD (1540-1598), il primo a scrivere un manuale in cui è riportato la titolazione di teologia
pastorale che è l’antecedente su cui verrà istituita la cattedra a Vienna. In quegli stessi anni sono
prodotte altre opere sulla spinta delle riforme elaborate dal CdT, nasce una produzione sussidiaria alla
riforma, che doveva essere attuata. Sono opere che hanno un doppio carattere, pratiche e allo stesso
tempo clericali, perché destinate ai preti, perché la pastorale è ciò che fa il pastore, è questa la
prospettiva che dal CdT arriva fino al 1774. La vita delle parrocchie, la vita della comunità cristiana, da
una parte va strutturata, il ministero pastorale è decisivo, l’agire pastorale, ciò che la Chiesa deve fare,
non deriva per gemmazione spontanea da ciò che viene dalla tradizione, dal passato, da quello che
avevano ereditato o praticato e quindi il manuale si presenta come uno strumento utile a formare il
soggetto, il prete, il pastore, ma anche il vescovo, che dovrà fare questo. È una concentrazione che
adesso valutiamo non adeguata, che tuttavia sostiene una cosa che rimane vera e che cioè il ministero
ordinato è realmente diverso, sia in quanto a identità sia in quanto a natura, dal ministero del sacerdozio
universale. Il pastore non è solo un coordinatore di attività, non è una figura alla pari, ha qualcosa
d’altro, di sacramentale, che deve potersi vedere, deve trasparire, anche nella prassi della comunità.
Non si deve pensare a parrocchie morte, specialmente nei 600-700, le parrocchie sono state realmente
dei centri di vita aggregativa. È la rivoluzione francese che ha stroncato le parrocchie in Francia. Era la
cosiddetta civiltà parrocchiale, la vita che si svolgeva attorno alla chiesa, centri di vita che cercavano
di rispondere a tutte le necessità. La vita della Chiesa che uscì dal CdT e che poi venne attuata nei
secoli successivi fu certamente una vita fiorente, interessante, e ben riuscita, con segnali importanti del
limite che la modernità pone alla religione, per cui la religione, ci deve essere, però deve restare
limitata al recinto chiuso delle scelte individuali, della coscienza, senza toccare la società. Più questa
divaricazione tra Chiesa e società andò avanti, più l’ideologia, che divenne filosofia e poi ideologia
illuminista volle separare l’elemento religioso dall’elemento culturale, più questo modello, che invece
si era sviluppato anche in termini proprio culturali, cominciò ad accusare fortemente il colpo. Nel

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momento in cui non si riconosceva più alla religione la possibilità di manifestarsi pubblicamente, nel
momento in cui le attività extra ecclesiali dovevano essere regolate dall’esterno, viene ad essere
fortemente limitata l’azione e la rilevanza pubblica della fede. Direbbe GIOVANNI PAOLO II, “un
cristianesimo che non diventa cultura, che non genera stili di vita, che non genera cose che si vedono,
modelli anche sociali è fatalmente penalizzato”. Il cristianesimo non è solo sapere delle cose, provare
un sentimento religioso, è vivere diversamente, è una novità di vita e questa novità di vita tocca tutto
l’essere umano, individualmente e socialmente, perché l’essere umano non è un individuo e basta, è un
individuo da subito in rapporto con un noi. FABRICE HADJADJ, scrittore e filosofo francese, di origine
ebraica, convertito al cattolicesimo, “Ma se anche io mi guardo l’ombelico (per dire di una persona
totalmente ripiegata su di se), anche in quel caso, cioè se io vivessi unicamente preoccupato di
guardare me stesso, che cos’è l’ombelico? È una cicatrice che dimostra che io vengo da un’altra
persona, che io ci sono perché qualcun altro mi ha nutrito e mi ha tenuto con sé; io sono
costitutivamente il prodotto di altri”, non si dà un essere umano che non sia da subito un io dentro un
mondo. Questa cosa è tipicissima della religione cattolica ed è invece avversata dalla deriva soggettiva
della fede proprio del luteranesimo e del protestantesimo. Il Papa ha voluto l’anno della fede perché il
problema è proprio la fede soggettiva, ma la fede è qualcosa che noi riceviamo da qualcun altro, c’è
l’aspetto, c’è la dimensione dell’adesione personale, della fede fiduciale, ma non sarò io il metro e la
misura della verità della fede. Queste questioni di fondo che sono, da una parte questioni pratiche (in
questo contesto, che cosa deve fare la Chiesa?), dall’altro questioni culturali, teoriche (allora che cosa
significa: credere?) che spazio trova l’espressione comunitaria della fede.

5. L’INTERESSE POLITICO
Un primo progetto di TP, è redatto nel 1752 dal gesuita LUDWIG DE BIEL (1697-1771) per l’università
di Vienna. Prevedeva un aspetto pratico riservato agli studenti meno dotati, indirizzati al livello
inferiore degli studi, con finalità direttamente pastorali.

STEPHAN RÄUTENSTRAUCH
(❈1734 - † 1785). La cattedra di TP nasce da un interesse politico, legato al senso dello Stato, del
potere e del servizio che rendevano ai loro popoli gli imperatori della casa d’Asburgo. MARIA TERESA
e i suoi ministri vollero riformare gli studi universitari, in Italia la riforma interessò le università di
Pavia, Milano, Padova e Venezia. L’Università statale ha una doppia facoltà di teologia, cattolica e
luterana. Ed è in questo contesto della riforma degli studi che nasce l’idea di fondare la cattedra di TP,
con l’intento di ricucire la scissione avviata dalla modernità, tra Chiesa e società, partendo dalla
formazione di preti, di sacerdoti, di parroci, affinché riportino e ricostituiscano attorno alla parrocchia
un tessuto organico. Nelle regioni del Nord Italia, sotto l’impero asburgico, era il parroco che aveva
l’anagrafe, che dava gli avvisi, gli editti imperiali erano letti in chiesa dopo la messa, in chiesa si
cantava l’inno imperiale, nei seminari, dove c’erano i licei, si sostenevano gli esami di abilitazione.
Questo è il motivo per cui le parrocchie a Milano hanno questo forte radicamento territoriale, perché
per almeno un secolo, la strutturazione anche civile ha seguito la strutturazione ecclesiastica. Nel 1774,
MARIA TERESA affidò all’abate di Brevnov, RÄUTENSTRAUCH, l’incarico di studiare l’organigramma
di questa disciplina, come parte della teologia pratica, una disciplina che rispondesse alla domanda che
cosa deve fare la Chiesa oggi! RÄUTENSTRAUCH stabilirà che il primo insegnamento dovrà ricalcare i
tria munera di Gesù, ovvero le tre caratteristiche di essere sacerdote, profeta e re. Quindi stabilirà la
teologicità della TP sul fatto che il prete, prolungando il ministero di Gesù, ne continua i caratteri.

È INADEGUATO SCINDERE SACERDOZIO, REGALITÀ E PROFEZIA IN GESÙ


Gesù non ha scisso il suo ministero:
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1. Non è stato sopra un monte a pregare con l’intenzione di esercitare l’ufficio sacerdotale.
2. Non si è occupato del popolo, per esercitare il solo munus regale.
3. Non ha annunciato la parola di Dio, per esercitare il solo ministero profetico.
 ∄ azione di Gesù che sia avvenuta scindendo tra loro regalità, profezia e sacerdozio.
L’errore è posto da subito, ma per ciò che concerne l’identità di Gesù è un modello corretto,
correttamente è possibile affermare che Gesù fu sacerdote, re e profeta e correttamente è possibile
affermare che un battezzato, in quanto cristiano, in quanto unto, partecipa del Triplex munus. Nella
preghiera del crisma, quando è celebrato il battesimo si dice “per questa unzione tu sei assimilato a
Gesù Cristo sacerdote, re e profeta, e tu sarai sacerdote, re e profeta”. Ma il passaggio dall’identità
agli ambiti della pastorale questo è inspiegabile e di fatto nessun autore lo spiega. È in questa radice
che si trova la suddivisione degli ambiti dell’azione ecclesiale, ogni diocesi, anche il vicariato, ha un
ufficio di catechesi, un ufficio liturgico e la Caritas, pensati come i tre ambiti su cui poggia la vita della
comunità cristiana, l’errore è considerarli separati, in quanto questi ambiti non possono indicare settori
di azioni. CALVINO per spiegare il sacerdozio universale aveva ripreso questo triplex munus, è più
corretto parlare di “triplice munus”, perché non sono tre distinti uffici che Gesù compie, ma nell’unico
ufficio dell’inviato del Padre esistono tre dimensioni diverse, la regalità, il sacerdozio e la profezia, ed
è in chiave polemica che RÄUTENSTRAUCH ribadisce che questi munus appartengono si a tutti i
battezzati, ma in maniera del tutto particolare ai ministri ordinati, cioè riafferma coerentemente col
dettato della fede cattolica che in maniera diversa e peculiare i tre uffici sono attribuibili al prete.
Egli ne deduce tre diversi doveri:
1. Munus santificandi. Sacerdote. Dovere della santificazione, che si esplica attraverso la
celebrazione dei sacramenti. (i sacramenti si celebrano, non si amministrano, perché la
grazia non si amministra).
1. Munus regendi. Re. Governa la diocesi ed il popolo cristiano a lui affidato.
2. Munus docendi. Profeta. Insegna la Parola di Dio, diffonde il Vg di Gesù.
La TP si occupa di descrivere concretamente in che cosa consistono questi distinti doveri, il metodo è
deduttivo. Dell’opera di RÄUTENSTRAUCH è da apprezzare l’attenzione agli aspetti metodologici e
pedagogici, non è semplicemente la ribattitura di un dato dogmatico, ma la prospettiva è quella di un
insegnamento pratico che non si limita a ridire i principi o un dovere essere, ma si preoccupa indicare il
come, è sempre una disciplina pratica. Questo insegnamento era impartito con interesse di rendere il
parroco, il sacerdote, un bravo amministratore dello stato, perché anche attraverso ciò che il parroco
insegnava, celebrava e faceva in quanto guida di una comunità cristiana, era edificata non soltanto la
Chiesa e la comunità cristiana, ma anche lo stato. Ciò garantiva il buon funzionamento di ciò che
serviva per la vita della Chiesa (un’ordinata celebrazione dei sacramenti, una chiara esposizione della
dottrina, un’ordinata vita parrocchiale) e contestualmente anche un controllo sociale che in qualche
modo rafforzava la vita civile. È un impianto che ha avuto proprio per questa feconda correlazione tra
interesse civile, sociale e politico e interesse ecclesiastico ha prodotto effettivamente una civiltà, una
cultura che per quel che riguarda queste regioni (meno la Francia o la Spagna), è stata l’apogeo di
quello che è la cultura e la civiltà parrocchiale.

6. LA CONFIGURAZIONE ACCADEMICA
FRIEDRICH SCHLEIERMACHER
(Breslavia, 1768 – Berlino, 1834) Filosofo e teologo tedesco che, dopo LUTERO e prima di BARTH, è
stata la figura dominante della teologia tedesca. GERT OTTO (1927-2005) lo chiamava il padre della
teologia pratica. SCHLEIERMACHER è un teologo protestante e pur col medesimo compito di
RÄUTENSTRAUCH, non ha dei preti da far studiare, ma una comunità cristiana da organizzare, per cui il

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fondamento teologico e cristologico gli risulta insufficiente. SCHLEIERMACHER nel vissuto del suo
ministero di pastore, avvertì una preoccupante diminuzione della rilevanza sociale e culturale del
cristianesimo, ma non del cristianesimo istituzionale, poiché al tempo di SCHLEIERMACHER, la tassa
per la Chiesa era ancora pagata, l’imperatore rendeva omaggio alle chiese, la teologia era insegnata
nelle università di Stato. La separazione della religione dal vissuto personale, determinava un certo tipo
di azione pastorale. SCHLEIERMACHER comprese che la sfida doveva essere condotta anche sul piano
culturale, bisognava cioè rispondere a questa irrilevanza sociale e culturale.

TEOLOGIA PASTORALE COME SCIENZA PRATICA


SCHLEIERMACHER collocò la TP non tra le scienze pure, che si occupano delle verità assolute, ma fra
le scienze pratiche, cioè fra le scienze che hanno per oggetto lo sviluppo e il raggiungimento delle
finalità proprie e concrete dell’esistenza umana. Egli fonda la teologicità dell’oggetto della TP,
nell’ecclesiologia. E dovendo trattare dell’agire di chiese riformate protestanti, non si preoccupa del
pastore ma dell’edificazione della Chiesa, il compito della TP è l’auto edificazione della Chiesa, la
Chiesa che edifica se stessa. Nel 1810 scrisse, “Breve presentazione dello studio della teologia redatta
al fine di lezioni introduttive”, in cui afferma che la TP non è soltanto di chi svolge il ministero
pastorale, col compito di guidare la Chiesa, ma riguarda tutti. Certamente chi ha il compito di
educare e di edificare la Chiesa su questo deve essere più preparato degli altri. La TP deve arrivare a
determinare quello che va fatto, non la descrizione del fenomeno, ma ciò che adesso deve essere fatto.
L’applicazione pratica non è predeterminata, ma deve essere di volta in volta scoperta in
relazione alla situazione concreta. L’opera di SCHLEIERMACHER verte su due questioni cruciali:
1. Non si possono dedurre degli imperativi pastorali dalle premesse dottrinali. Ciò è
normativo ancora oggi. Qualunque tipo di attività pastorale, qualunque azione che la Chiesa
compie non può essere semplicemente deduzione. La dogmatica è una scienza pura, la dottrina
della fede non ci dice che cosa adesso dobbiamo fare, i racconti dell’Eucaristia nel Vg non
dicono come celebrare la messa. Una volta determinato il rito, la messa celebrata dipende nella
sua celebrazione da fattori che non dipendono dal rito scritto nel libro:
 Chi canta.
 Chi legge.
 Dove celebro.
 La festa del giorno.
 L’omelia che il prete farà.
2. La TP non è un manuale che apro per trovare che cosa fare in una data circostanza, non si
preoccupa di dire che cosa bisogna fare in senso assoluto, ma di elaborare un metodo, una
metodologia che non si sbriciola, dice il testo, in una miriade di esecuzioni, ma “ha soltanto a
che fare con l’esatto modo di procedere”. Questo è l’interesse della TP, mettere a punto
qual è il modo di procedere, quale che sia la situazione. È teoricamente possibile ma
praticamente impossibile, pensare che la pastorale possa nutrirsi di ricette pronte, proprio
perché è nella costituzione dell’agire umano che questo agire si incarna a partire da una
situazione ed è per i mutamenti nei quali siamo coinvolti che non è sempre possibile avere il
modello pronto di azione possibile. Così SCHLEIERMACHER, come noi oggi, sostiene che
dobbiamo avere un metodo che sia in grado non di dire siccome non sei compreso nei casi,
restiamo in sospeso e non facciamo niente, ma che è in grado di farmi dire adesso cosa faccio,
davanti a questa cosa che mi sorprende, quali passi devo fare per poter arrivare a capire che
cosa fare? Questo è anche ciò che fa della TP una scienza, perché ha un metodo.

LA TP NON SI PUÒ BASARE SULL’ECCLESIOLOGIA

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Con SCHLEIERMACHER si ha il passaggio, sul piano del fondamento teologico, dalla cristologia
(RÄUTENSTRAUCH) all’ecclesiologia. Questo slittamento è presente nell’80% della produzione di TP.
L’errore è che l’ecclesiologia, essendo una scienza dogmatica, non può essere di fondamento
all’azione, perché l’ecclesiologia manca dello studio del contesto, non può dire che cosa fare qui e
adesso. E se trovate un libro di ecclesiologia che ve lo dice quel libro è un libro di TP, che vuol essere
un libro di ecclesiologia:
 Cosa bisogna fare nelle parrocchie.
 Come bisogna distribuire il clero.
 Come bisogna sostenere le parrocchie.
 Quali sono i ministeri che dovrebbero avere i laici.
L’ecclesiologia si occupa di che cosa la Chiesa è, non cosa la Chiesa deve fare adesso, questo è
l’oggetto formale della TP.

ANTON GRAF
Cronologia a confronto:
1. RÄUTENSTRAUCH (1734-1785). 1774 – cattolico – cristologia (tria munera).
2. SCHLEIERMACHER (1768-1834). 1810 – protestante – ecclesiologia (auto edificazione Xsa).
3. GRAF (1811-1867). 1841 – cattolico – ecclesiologia (auto coscienza scientifica della Xsa).
Nel 1841 GRAF scrive Presentazione cristiana dell’attuale situazione della teologia pratica. La
riflessione di SCHLEIERMACHER, ebbe un effetto benefico, fu una riflessione scientifica, ragionata,
elaborata anche a partire dal sistema filosofico dell’idealismo tedesco. ANTON GRAF insegnava
nell’università di Tubinga, riprende la fondazione scientifica in chiave cattolica, con il radicamento
ecclesiologico di SCHLEIERMACHER e l’esigenza di scientificità e di metodo. GRAF afferma che la TP
non può essere ridotta alle soluzioni pratiche e fissa una distinzione strutturale tra la teoria e la prassi.
La verità non sta nell’esperienza, ma l’esperienza manifesta la verità, perchè l’esperienza non coincide
mai con la verità, ha una dimensione, un aspetto che è raggiunto dall’intelletto e che l’intelletto isola
dall’esperienza, trascendendo la singola esperienza. La verità certamente si esprime nell’esperienza, ma
non è esaurita dall’esperienza, esiste una distinzione del sapere teorico che va mantenuta. Graf
sostiene che la TP è l’autocoscienza scientifica della Chiesa.

L’AUTOCOSCIENZA
È il rapporto che la Chiesa ha di sé con ciò che deve fare. GRAF “L’autocoscienza della Chiesa si
sviluppa su tre dimensioni diverse”, che lui chiama la teologia con tre diramazioni:
1. Passato. La storia della Chiesa, la teologia biblica.
2. Presente. È la risposta alla domanda “chi è la Chiesa, cos’è la Chiesa”. È l’essenza
immutabile della Chiesa. La teologia dogmatica (ecclesiologia) e la teologia morale.
3. Futuro. È la TP, che studia lo sviluppo e la realizzazione della Chiesa, la sua auto edificazione.
Non è, come per SCHLEIERMACHER un’esigenza dei pastori che guidano la Chiesa quello di sapere che
cosa la Chiesa deve essere e neppure si riduce a indicazioni pratiche per la cura d’anime, come era la
manualistica da Trento fino alla fondazione della disciplina, ma riflette una dimensione intrinseca
dell’esistenza stessa della Chiesa. In quanto esistente nella storia, la Chiesa è fatta di un presente, di un
passato e di un futuro. In quanto esistente nel presente la Chiesa non può non pensare a se stessa nel
futuro, non può non decidere che cosa essere e come essere. Questa decisione, questa prospettiva,
questa dimensione è affidata alla TP, per cui i soggetti di cui si occupa non sono solo i pastori, ma tutti
i battezzati, perché in tutti i battezzati agisce, Gesù Cristo e lo SPS. Non siamo però nell’ecclesiologia
della communio del CV II, GRAF, questo è il paradosso, è rivolto ai pastori.

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7. LE REALTÀ TERRENE
Ci sono due fenomeni che non sono abbastanza studiati, né nella storia della TP, né nella storia della
pastorale, che però sono decisivi e importanti specialmente in ordine alla formazione di una teologia
del laicato, di una teologia cosiddetta delle realtà terrene.
a) Dottrina sociale della Chiesa.
b) Inquadratura storica.
La modernità aveva comportato un passaggio dalla società di tipo feudale alla società di tipo borghese,
la rivoluzione francese è l’episodio che di più coglie questo cambiamento e lo radicalizza in termini
culturali, e ideologici. L’evoluzione della classe borghese è stata favorita dalla rivoluzione industriale,
con il passaggio della ricchezza, dalla proprietà della terra, dalla produzione industriale. Il procedere
delle scienze esatte, della tecnologia, delle scoperte e delle invenzioni ha determinato una rivoluzione
culturale nella comprensione di ciò che il lavoro era in grado di produrre e trasformare l’ambiente in
cui l’uomo vive. Non è un caso che la rivoluzione tecnica è avvenuta in paesi cristiani, non in paesi
islamici o nelle civiltà precolombiane, perchè il mondo è creato ed è creato per l’uomo, materia
implicita nella dottrina della creazione. Prima l’uomo aveva paura del creato, perché negli alberi ci
sono gli spiriti, nello stagno le ninfe, nella grotta c’è il dio, nel mare c’è Nettuno con l’arpione.
Il cristianesimo ha reso possibile, l’utilizzo dei beni creati, delle forze della natura, ciò è possibile in
una concezione desacralizzata del mondo, e questa concezione è proprio dell’ebraismo, del
cristianesimo. La tecnologia applicata a tutto questo ha prodotto la rivoluzione industriale, cioè un
modo nuovo di produrre beni, di produrre ricchezza che ha comportato anche una serie di fenomeni che
non sono stati semplicemente fenomeni di mercato del lavoro, ma sono stati mutazioni antropologiche,
soprattutto per quanto riguarda la mutazione del concetto di autorità. Nella società contadina, che
vive di ciò che i campi producono, la forza lavoro sono le braccia e chi determina l’andamento della
casa è il capo dei braccianti, ovvero il capo famiglia. È lui che decide chi lavora, come ed in che modo.
Ma nel momento in cui si trasferisce il lavoro dalla casa alla fabbrica, il lavoro non dipende più dal
capo famiglia, ma dipende dal chi ti dà lavoro. È il ridimensionamento dell’autorità del capo famiglia,
perchè egli stesso dipende da un altro, la sua autorità è relativa perché se questo datore di lavoro lo
licenzia o non gli dà lavoro, lui non è nessuno.
a. Autorevolezza del parroco. Conosce tutte le pecore (parrocchia tridentina). Ora le sue
pecore lavorano 10-12 ore al giorno, a 20 km da casa, ma chi dà più ascolto al prete?
b. Autorità del datore di lavoro. Il padrone dice: “tu adesso vieni a lavorare di domenica”,
mentre il parroco: “no! Tu di domenica devi venire a messa”. Chi vincerà?
Si può immaginare che sconquasso ha prodotto la rivoluzione industriale in un ordine che era ancora
regolato da quello che aveva detto RÄUTENSTRAUCH. Ad esempio:
 Le donne che lavorano fuori casa.
 La monetizzazione del lavoro.
 L’essere umano è ridotto a manovratore di una macchina.
 La tutela dei diritti dei lavoratori è inesistente, perché ancora da creare e da capire.
Questo ha prodotto mutamenti pastorali accelerati e irreversibili. Il mondo contadino era connaturato
alla vita stessa della Chiesa, alla fede cristiana. La vita era regolata attraverso le scadenze liturgiche:
 I contratti si stipulano prima di San Martino.
 La semina va finita prima dell’Ascensione.
 L’inizio del lavoro con la campana dell’angelus.
 La sosta di mezzogiorno.
 La preghiera della sera.
Questo ritmo si è spezzato in una maniera che non siamo più in grado di ricostruire. Se avete visto
“l’albero degli zoccoli”, quello era il mondo nel quale la Chiesa si trovava a suo agio, nel quale tutto
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sommato andava d’accordo anche con l’organizzazione civile e sociale. Lo sviluppo tecnologico (il
treno, il vapore, la velocità) è stato posto in termini oppositivi alla Chiesa, che è presentata come
nemica del progresso civile, perché legata all’ancién régime.

a) DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA


La rivoluzione industriale è della fine del XVIII secolo, esplosa pienamente nel XIX secolo.
La Rerum Novarum è stata scritta nel 1891, un secolo e mezzo dopo, in cui società, sistemi produttivi,
urbanistica, la vita quotidiana, sono impostato a prescindere dalla Chiesa, che non ha reagito.
La TP dell’epoca (GRAF), si occupa di quello che fanno i preti, che non vanno in fabbrica, per cui la TP
era inutile. Non è che tutti i preti si sono disinteressati, però chi se ne interessò, lo fece come chi si
occupa della pastorale sociale adesso o delle missioni, i missionari che si preoccupano, ma la comunità
è molto tiepida. La questione era realmente più grande delle possibilità della prassi pastorale ordinaria e
questo vuoto fu riempito da papa LEONE XIII con l’enciclica Rerum Novarum. La problematica era
sentita, c’erano state lettere pastorali di vescovi che si erano interessati di queste cose, erano state fatte
campagne per tenere festiva la domenica, mancava però una riflessione organica, progettuale, volta
anche alla prassi, che organizzasse la vita della Chiesa in modo da renderla capace di rispondere a
questa nuova situazione. Il papa si servì di teologi tedeschi perché in Germania c’erano industrie
estrattive, minerarie dove i problemi del lavoro disumano erano pane quotidiano. La dottrina sociale
della Chiesa NON è nata nel 1891, allo stesso modo in cui la TP non è nata nel 1774. La materia,
la disciplina accademica è nata nel 1774, ma la domanda, come abbiamo visto nella radice biblica, la
TP implicita è sempre esistita. Come è esistita una riflessione della Chiesa sulla società, sul potere,
sull’economia, ma a partire dal 1891 questa riflessione è diventata un corpus di documenti i quali, a
partire dalla situazione di vita e di lavoro dei cristiani, hanno inteso affrontare, delucidare, illuminare e
discernere che cosa la Chiesa poteva dire come giudizio morale e di azione.

b) INQUADRATURA STORICA
Uno degli effetti della Rerum Novarum fu l’esplosione delle iniziative sociali da parte della Chiesa:
 Cooperative per i contadini.
 Casse rurali di credito cooperativo.
In questo importante periodo storico, si è prodotto non soltanto un pensiero, una teoria, ma anche una
prassi, decisiva per la sopravvivenza della Chiesa. La Chiesa propone la santità laicale, gente che nella
vita ha fatto il banchiere, il professore di sociologia, cioè di una materia che non è la teologia.

GIUSEPPE TONIOLO
(Treviso, 7 marzo 1845 – Pisa, 7 ottobre 1918) beatificato da papa BENEDETTO XVI il 29 aprile 2012.
Studioso dell’economia della Firenze medievale, TONIOLO pensò di ritrovarvi un modello ancora
valido ai suoi tempi, quello di una società in cui la cooperazione tra le varie corporazioni di arti e
mestieri, avrebbe prodotto sia benessere per i lavoratori sia democrazia, in un’armonica civitas
cristiana. La figura di GIUSEPPE TONIOLO occupa un posto importante nella storia del pensiero e
dell’organizzazione del laicato cattolico (Unione cattolica di studi sociali, l’Opera dei Congressi,
l’Azione Cattolica). Nel 1894, sulla scia aperta dalla pubblicazione della Rerum Novarum, formulò il
primo programma politico cattolico, il “Programma dei cattolici di fronte al socialismo”. Il lavoro di
organizzazione sociale è particolarmente importante perché svolto negli anni in cui - dopo la presa di
Roma nel 1871 e prima del Concordato del 1929 - il Non expedit vietava ai cattolici la partecipazione
diretta alla vita politica italiana, generando un deficit democratico non indifferente. In questo senso,
importante è stato anche il dialogo sempre cercato fra tutte le posizioni cattoliche, dalla meno
transigente a quella più “pragmatica” di chi riteneva ormai possibile un’azione anche politica.

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3. Il Pastoral Counseling – Milieu – CV II


SEWARD HILTNER (1910-1984)
Pastoralista statunitense presbiteriano e psicologo della Princeton University, è il capostipite di una
corrente denominata Pastoral counseling, cioè sull’aiuto alla persona. Le attività del tipo telefono
amico sono nate sulla scia del Pastoral Counseling, è la cura pastorale di una singola persona, l’aiuto
per la soluzione di un certo tipo di problema. HILTNER ha fatto propria l’esigenza che nasceva dal
concentrarsi dell’interesse sulla psiche della singola persona e traslato, non da lui ma dalla sua corrente,
come attività pastorale. Il Pastoral Counseling è in opposizione alla TP, che non è la cura del
singolo, ma è l’azione che compie un soggetto plurale.

IL DECRETO CONCILIARE OPTATAM TOTIUS


È un decreto del CV II sulla formazione sacerdotale. Approvato con 2318 voti favorevoli e 3 contrari e
fu promulgato dal Paolo VI il 28 ottobre 1965. Il titolo Optatam Totius (Ecclesiae renovationem), il
desiderato (rinnovamento) di tutta (la Chiesa). OT apre al contributo che una sana psicologia, cosi
viene definita, deve dare alla maturità umana del prete, di chi si sposa, di chi si consacra.  dei
dinamismi intrapsichici che l’interessato deve conoscere e perché avvenga il processo di
riconciliazione, di amare, sentire, senza interferenze indebite. È fondamentale per relazionarsi con il
mondo e con Dio. Da questo punto di vista l’apporto delle scienze umane è importante. Il viceparroco
che dedica ore e ore alla direzione spirituale ha fatto una scelta di Pastoral Counseling. In parrocchia il
prete afferma “trascuro i gruppi, la benedizione alle famiglie, la pastorale sociale, il gruppo degli
animatori, per seguire il singolo animatore “, questa è una scelta di Pastoral Counseling. Non è
sbagliato l’approccio ma è riduttivo pensare che la TP debba occuparsi solo di questo. Non dico che
non sia importante, dico che ridurre la TP da scienza che dice cosa la Chiesa deve fare qui e adesso
alla scienza che ti aiuta ad accompagnare le singole persone, è una riduzione che non accetto.

LA PASTORALE D’INSIEME – IL “MILIEU” = L’AMBIENTE


Milieu significa “contesto, ambito, ambiente”. utilizzata per indicare l’ambito sociale e culturale in cui
opera un artista o da cui emerge una corrente di pensiero. In italiano è stata tradotta con l’espressione
zona umana. Nel 1943 due cappellani francesi HENRI GODIN e YVAN DANIEL, pubblicano il libro La
France, pays de mission? In cui lanciano un grido d’allarme contro l’avanzamento della
secolarizzazione della società francese, che produsse una forte reazione della gerarchia cattolica.
Usando il metodo dell’indagine della statistica, dimostrarono che la Cristianità omogenea della Francia,
che si riteneva la figlia primogenita della Chiesa (perché sosteneva che i Franchi furono il primo
popolo ad essere battezzato e convertito, mentre ciò non è vero perché i primi ad essere convertiti
furono gli Armeni), andava disgregandosi. Essi, nel 1943, affermarono quello che adesso si è
verificato, cioè che la Francia sarebbe diventata un paese di primo annuncio del Vangelo, tutti gli
indicatori indicavano questo. Per questo, quando dicono che il concilio è stato la causa della crisi, da
studiosi di TP dobbiamo rispondere NON è vero, nel 1943 gli indicatori già dicevano questo, anzi il
processo era iniziato già negli anni30. Considerando la modernità, la secolarizzazione e la
scristianizzazione della società, è un lento fenomeno che va avanti da due secoli e mezzo. I due autori
rilevarono questo evidenziando l’inadeguatezza delle strutture pastorali tradizionali e segnatamente
della parrocchia territoriale. Essi si resero conto e dimostrarono che era inefficace continuare a pensare
all’azione pastorale in termini geografici e territoriali, per:
 L’urbanesimo, a concentrazione dei luoghi di lavoro, la dislocazione delle scuole, le migrazioni.

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Già allora appariva chiaro che la civiltà parrocchiale, così com’era strutturata, andava a morire. La
mobilità già produceva il pendolarismo, il non avere una residenza, una comunità che non trasmettesse
una tradizione. Quindi conclusero l’istituzione pastorale sul territorio non poteva più rapportarsi come
faceva la parrocchia su un territorio circoscritto, ad esempio:
 Vivo a Tor Tre teste, ma lavoro all’EUR.
 In ospedale mi reco al Gemelli.
 I figli a scuola a Torpignattara.
 In chiesa la domenica vado alle Tre Fontane, perché c’è un prete bravo.
A quale territorio appartiene uno che vive in questo modo?
Questo è il problema che tocca anche noi, rispetto al quale è patetico rivendicare l’appartenenza ad una
parrocchia a partire da una via o da un quartiere. Lo slegamento della comunità dal territorio è già
avvenuto. Se vogliamo che l’azione della Chiesa sia efficace occorre rifarsi non più a una
circoscrizione geografica ma al milieu, all’ambiente di vita. L’Istituto pastorale, tradusse in italiano
milieu con zona umana, quindi non geografica, ma determinata dalla vita della gente. Per esempio:
 L’ospedale è un milieu, raccoglie gente che vive una certa condizione, che accomuna.
 La scuola è un milieu.
 L’ufficio, il luogo di lavoro, è un milieu.
Il milieu comporta:
1. Presenza.
2. Relazioni.
3. Un lavoro fisico.
4. Un risultato di questo lavoro.
GODIN e DANIEL proposero, la scuola della Pastorale del milieu, in italiano tradotta come la Pastorale
d’insieme o organica. Da un’azione pastorale pensata in termini di circoscrizione di territorio, bisogna
passare ad un’azione pensata a partire da una zona umana, da un ambiente di vita. A Roma, ad
esempio, c’è la pastorale sanitaria. È una pastorale che non è determinata geograficamente, mette in
comunicazione tra loro tutti gli ambienti che riguardano la sanità e la cura. È una pastorali di ambiente.
Dal punto di vista epistemologico, la novità di questa corrente di pensiero è che è il milieu, la zona
umana, il dato di realtà che entra a decidere qual è la figura pastorale da scegliere e non il modello già
scelto al quale deve adattarsi il territorio. La pastorale non si fa avendo già deciso che cosa bisogna fare
e poi adattandola alle circostanze, all’ambiente, alla situazione concreta che si trova. Bisogna prima
capire la zona umana, capire che cosa è favorevole e che cosa non è favorevole all’impiantarsi della
chiesa in quel territorio e agire di conseguenza, creare la figura che ti farà edificare la Chiesa lì.

LA PASTORALE COME LAVORO D’ÉQUIPE


Affinché il milieu funzioni, il lavoro pastorale deve essere un lavoro d’équipe, non può essere tutto
sulle spalle del parroco, poiché servono competenze diverse in quanto gli ambienti di vita sono diversi
e quindi, le abilità devono poter essere molteplici, allora anche il soggetto che agisce deve essere un
soggetto plurale. Lo sviluppo di questa modalità incrocia il movimento di rivalutazione del laicato (che
si è attivato specialmente dopo la seconda guerra mondiale), per spingere alla stesura del decreto
conciliare Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei laici, si riconosce che per questa condizione,
per questa situazione della Chiesa esiste ora una chiamata specifica laicale alla partecipazione alla
missione della Chiesa.

CONGAR
Il domenicano Y-M-J CONGAR (Sedan, 1904 – Parigi, 1995) fu il grande teologo della vocazione
laicale nella Chiesa. È stato uno dei grandi teologi del CV II, ha scritto numerose opere sul contributo
dei laici, oltre a tutta la teologia che ha supportato la LG. Quando finì il concilio, PAOLO VI, rivolto a
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CONGAR, gli disse: “Non a mio nome personale e non a nome della Chiesa, ma a nome di Gesù Cristo
stesso la ringrazio di quello che ha fatto nel concilio.” La maturazione della consapevolezza dei
compiti del laicato, intimamente associati alla possibilità che la Chiesa sviluppasse una forte missione,
hanno trovato fioritura nella ecclesiologia del CV II, nel decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam
Actuositatem con ripercussioni fino ad oggi, ha la sua radice nella pastorale del milieu. È uno studio
che nel 1943, ha mostrato una grande lungimiranza, perché non c’era l’ecclesiologia conciliare della
communio, l’idea di oggi della partecipazione dei laici alla missione della Chiesa, della
corresponsabilità. Il milieu non è solo l’occasione di un adattamento, ma una realtà che offre contenuti
che non possono essere ignorati, il dato storico, antropologico e culturale è costitutivo alla riflessione
pastorale, non è successivo.

IL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II


Il CV II fu un concilio pastorale, diversamente dai precedenti. I concili sono convocati sempre come
risposta all’eresia, per affermare la fede ortodossa. Il CV II non nasce invece per un problema
dogmatico al quale rispondere, come il CV I convocato per rispondere alle teorie sul papato e sulla
riduzione razionalista della Rivelazione e neppure come Trento, che doveva rispondere alla riforma di
Lutero. Inoltre trattava il tema per il quale era stato convocato, in maniera organica, con i decreti ai
quali seguivano o la professione di fede (Nicea e Costantinopoli) e gli anatematismi e i canoni, che
erano la traduzione pratica dei decreti, ovvero che cosa comportavano nell’agire della Chiesa quei
decreti. Ad esempio relativo a Trento, il decreto de ordine afferma la dottrina tradizionale circa il
ministero ordinato, a cui sono seguiti gli anatematismi (“chi dice che non esiste un grado proprio e
specifico del sacerdozio riservato agli ordinati: anatema sit!”; “chi dice che il dono dello SPS che
trasforma chi lo riceve non sia permanente: anatema sit!”. Dai decreti e dagli anatematismi si ricavano
i canoni “è prescritto che l’ordinazione sia fatta dal Vescovo, nella Chiesa cattedrale e ne sia data
notizia”; “è prescritto che il parroco debba abitare e risiedere nel territorio della sua parrocchia; si
prescrive che il parroco predichi ogni domenica; si prescrive che nessuno possa predicare se non
dietro autorizzazione del parroco e così via”. La prima impostazione di Papa GIOVANNI XXIII, era
grosso modo di questo tipo, furono elaborati dei decreti e questi decreti dovevano entrare in aula, essere
approvati e uscire come erano entrati, il Papa credeva di chiudere il concilio prima di Natale. I vescovi
si opposero al lavoro fatto dalla Commissione Preparatoria e il Papa accettò le modifiche. L’idea del
concilio non era venuta a GIOVANNI XXIII, in realtà essa era già di PIO XII. Il tema del CV II, la
prospettiva era eminentemente pastorale e ricordiamo che pastorale significa ciò che la Chiesa fa in
rapporto alla sua missione nel mondo. Pastorale è qualcosa che è fatto in virtù di un mandato dato da
Gesù Cristo, rispetto a degli interlocutori che ho davanti. La grande questione pastorale che il Papa
vede sotto questi movimenti che vogliono liberare la Chiesa da consuetudini, da strutture obsolete,
rispetto al mondo che si staccava, che procedeva a passi da gigante verso conquiste sempre più grandi,
verso un’evoluzione tecnico-scientifica con un modello di scienza che aveva fatto a meno di Dio, si
presentava la grande questione: come la Chiesa può rispondere a questa missione.

LA BOLLA HUMANAE SALUTIS


La bolla di indizione del Concilio, la Humanae Salutis generis, del 25 dicembre 1961, stabilisce il
giorno di inizio del CV II , nell’11 ottobre 1962. Leggendo la bolla è chiaro che il papa ha in mente la
modernità, “bisogna re immettere le energie vivificanti del Vangelo nell’interno del mondo che si è
sempre più separato da queste sorgenti perenni”, cioè dobbiamo rimettere in contatto il Vg con l’uomo
contemporaneo, è questo l’obiettivo pastorale. L’azione della Chiesa debba poter risultare efficace nei
confronti della sua missione rispetto a questo mondo. “non verrà toccato il deposito della fede, nulla
sarà modificato di ciò che la Chiesa crede e di come lo crede, ma il modo di esprimerlo nel mondo di

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oggi, perché «altro è il deposito della fede, altro è il suo rivestimento»“. Altro è il contenuto che
dobbiamo tenere fermo, altra è la forma che dobbiamo dare al contenuto per renderlo comprensibile al
mondo di oggi. Il concilio fu pastorale, perchè si pose il problema di rispondere a problemi concreti
posti dalla modernità, che comportò un ripensamento fondamentale anche dei temi che erano
prettamente dogmatici. Basti pensare alle costituzioni LG e DV e alla dichiarazione sulla libertà
religiosa Dignitatis Humanae, i documenti più importanti che ha prodotto il concilio.

SCHEMA 13 – GAUDIUM ET SPES


La costituzione pastorale GS , Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo è uno dei principali documenti
del CV II e della Chiesa cattolica in generale. Approvata da 2.307 contro 75, la GS fu promulgata dal
papa PAOLO VI l’8 dicembre 1965, l’ultimo giorno del Concilio. Lo schema iniziale era il numero 17
dei lavori preparatori del concilio, poi la semplificazione degli schemi, ridotti da 70 a 17 ha assunto il
numero 13. Su questo schema 13 lavorò fra l’altro con attenzione il teologo KAROL WOJTYŁA.
contribuendo anche alla stesura della Dignitatis Humanae. La GS affrontò il nodo del rapporto Chiesa
– mondo e Chiesa – società, il motivo dell’indizione del concilio. Il punto di avvio dello schema fu
“l’obiettivo, il modo di costruire la Chiesa e la sua azione in una situazione che è fortemente
modificata” che fece nascere una questione epistemologica, sulla identità della pastorale. La semplice
deduzione può funzionare in una società omogenea, statica, ma se questa omogeneità si rompe, il
successo non è garantito. Inizialmente lo schema 13 fu pensato come un documento di principi che
regolavano la pastorale della Chiesa, dell’agire cristiano sociale, deducendo qualche indicazione
pratica. Questo documento, che sarebbe stato un documento di natura dogmatica, avrebbero aggiunto
degli allegati (adnexa). Un prelato fece una famosa battuta “timeo peritos et adnexa ferentes!”, temo i
periti ed i regali che portano. Il metodo dentro al quale si pensò la missione della Chiesa nel mondo
contemporaneo era:
 Affermiamo i principi dell’azione pastorale e da questa allora sui singoli problemi che la
consultazione dei vescovi aveva evidenziato:
 La famiglia e il controllo delle nascite.
 La guerra (fredda).
 Lo sviluppo e il rapporto con il mondo economico.
 La cultura ostile e separata.
Diviso in capitoli separati, per cui alla luce di questi principi si deducono le indicazioni del concilio.
Dovendo dire quali erano i principi che regolavano l’agire pastorale dovevano far riferimento ai
concreti problemi pastorali, alle questioni aperte per le quali cercavano luce e fu elaborata una nota.

LA NOTA PREVIA
“La costituzione pastorale la Chiesa nel mondo contemporaneo, consta di due parti ma è un tutto
unitario: pertanto, né alla prima parte manca l’intenzione pastorale né alla seconda l’intenzione
dottrinale.” Da imparare a memoria, è domanda di esame.
Tre osservazioni sulla nota per capire il senso di “Costituzione pastorale” e “Concilio pastorale”.
1. La “Costituzione pastorale” è un tutto unitario. Questo è molto importante perché ancora c’è
chi sostiene che, essendo una costituzione pastorale, gli aspetti che attengono ai problemi, la
famiglia, la pace ecc., non sono dogmatica e quindi non sono vincolanti. Invece le due parti
sono innestate, innervate l’una nell’altra, non per consequenzialità deduttiva, non stiamo
parlando dei canoni degli altri concili, non è che “siccome è detto questo, allora devi fare
quest’altro”. Né alla prima parte manca l’intento pastorale (non ribatte solamente dei
principi apodittici) né alla seconda quella dottrinale (non è solo applicativa).
2. Quando si parla di pastorale è impossibile non fare riferimento alla teologia. L’azione
pastorale non è senza teologia, perchè ogni atto pastorale della Chiesa ha in se implicitamente
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una teologia. Il concreto porta una teologia, è la manifestazione di una teologia, è un tutto
unitario, la pastorale annuncia o non annuncia Gesù, mostra o non mostra a chi ci crede.
3. LANZA fa un’osservazione critica, il dottrinale è inteso come pronunciamento magisteriale
dogmatico. La teologia dogmatica non è il dogma. Il rilievo è che dottrina non sono solo
principi astratti, ma tutto ciò che appartiene all’insegnamento inerente la fede della Chiesa, la
fede è unione di fides quae (creduta) con fides qua (vissuta - atto). Anche ciò che appartiene alla
prassi appartiene alla dottrina, come la teologia morale e la TP.
 La Chiesa svolge la sua dottrina nella costituzione, significa che svolge il suo insegnamento con
una componente teoretica ed una pratica, distinte ma non separate, due parti, un tutto unitario.
La comprensione di pastorale della GS, è l’unità nella distinzione attestata dalla nota previa. Il
modello di prassi che più si addice all’agire ecclesiale è proprio questo, un modello che mette in
reciprocità fra loro la teoria e la prassi, la TP, è una riflessione scientifica sul dato che la prassi
sempre si porta dentro una teoria.
 L’agire pastorale non deve soltanto vedere che cosa fa la parrocchia, la Chiesa, con i laici e i
pastori, confrontare con i principi e correggere, questo è cripto-deduttivismo, che non funziona.
 L’agire pastorale deve essere una riflessione in grado di cogliere dalla prassi i contenuti che la
prassi mi da e che non posso ricevere dalla teoria. Perché questi contenuti sono fondamentali
perché l’azione abbia efficacia.

IL CONGRESSO DI TEOLOGIA PASTORALE DI VIENNA DEL 1974


Nel 1974 a Vienna, si tiene un convegno di TP, duecento anni dopo l’istituzione della cattedra da parte
dell’imperatrice MARIA TERESA, che rimette a fuoco il rapporto teoria e prassi, alla luce di ciò che nel
movimento del ‘68 l’ideologia marxista ha apportato come modificazione della prassi, analizzando gli
studi della scuola filosofica e sociologica neomarxista di Francoforte, i cui principali esponenti furono
MAX HORKHEIMER (Stoccarda, 1895 – Norimberga, 1973) e THEODOR ADORNO (Francoforte sul
Meno, 1903 – Visp, 1969). ADORNO ha scritto La dialettica dell’illuminismo teorizzando la figura della
ragione moderna, che è uscita dalla modernità, un sapere volto al dominio il cui termine esatto è
ragione strumentale, cioè uno strumento che mira al possesso della realtà, oltre che sulla società e sulle
persone. La scuola raccolse studiosi di diverse discipline e ambiti culturali, ma la linea di pensiero è la
critica della società presente, tendente a smascherare le contraddizioni del contemporaneo vivere
collettivo. L’ideale di società e di uomo a cui fa riferimento questa critica è quella rivoluzionaria del
marxismo, un allontanamento da alcuni punti centrali del pensiero di MARX. Nel complesso questa
linea di interpretazione si pone polemicamente in contrasto con le correnti di pensiero marxiste diffuse
all’inizio del secolo, influenzate o dall’ortodossia sovietica o dalle correnti revisioniste. Nel 1974
HORKHEIMER, rilascia un’intervista, pubblicata sul giornale Teologia quotidiana che si intitola, “La
nostalgia del totalmente altro”. Tutta l’attenzione è posta alla prassi, all’azione emancipatrice, così
come la chiamavano gli esponenti di questa scuola, in realtà porta dentro la nostalgia del totalmente
altro che non chiama Dio. Inciso del prof.: nostalgia del totalmente altro. Questa espressione non è
consentita verso Dio. “Totalmente altro” vuol dire che Dio è proprio tutt’altro, ma tra noi e Dio i
rapporti non sono di questo tipo. Noi non siamo totalmente altro rispetto a Dio, noi siamo a
“immagine e somiglianza di Dio” e siamo i suoi figli adottivi. Dunque, totalmente altro lo può dire
qualcuno che non sa bene con chi ha a che fare e che dunque per esprimere l’alterità di Dio può dire
questo, ma non possiamo scardinare neppure l’analogia, mentre invece può farlo un marxista. Questo
termine quindi va compreso nel senso in cui lo intende HORKHEIMER, ma non può essere mai una
definizione di Dio che noi possiamo accogliere. Nel congresso, oltre l’abbandono della metafisica nel
pensiero moderno e contemporaneo, il dibattito mette in luce:
1. L’insufficienza della via deduttiva. Non è percorribile.

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2. La non percorribilità della via induttiva. I casi singoli non possono dire ciò che si deve fare.

LA DERIVA KERIGMATICA
Questo è anche il problema di quella che abbiamo chiamato spesso deriva Kerigmatica o la
presentazione soltanto catechistica del simbolo della fede. Il Papa nel numero 8 di Porta fidei, dice che
l’anno della fede ha come suo culmine il simbolo della fede, cioè la restituzione della fede.
Questa cosa è importantissima. La fede cristiana avviene secondo una dinamica di:
 Traditio. Di trasmissione o di consegna della fede.
 Redditio. Di ri-consegna da parte di chi l’ha ricevuta.
La fede è acquisita quando è in grado di essere riespressa da chi l’ha ricevuta.
E all’interno di tutte le problematiche in cui ci stiamo addentrando questo fatto che la fede cristiana non
è creata dall’essere umano, non è a libera disposizione del pensiero, della simpatia umana, ma consiste
in una determinata persona, in determinati fatti ed eventi che sono quelli trasmessi dal simbolo della
fede, la conoscenza di questo deposito della fede (ricordate le lettere pastorali) è decisiva perché ci sia
l’incontro con il Gesù Cristo conosciuto dagli Apostoli.
Qualunque confessione del simbolo della fede che non sia accompagnata da gesti (prassi) che mostrano
quel simbolo, non vale niente, non è certezza persuasiva di niente. Capite ora perché la deriva
Kerigmatica non interessa? L’annuncio di Gesù, non sta in piedi se non c’è la prassi, non puoi amare
Dio che non vedi se non ami tuo fratello che vedi. Ma allo stesso tempo, la prassi è muta se non c’è
anche l’attestazione fatta con le parole! Posso essere la persona intimamente più convinta di Gesù e
fare le cose ispirate da Gesù, ma se non lo dico, nessuno lo saprà, nessuno potrà credere a questo Gesù.
Quindi il problema è di pensare unitariamente le cose, esattamente come sono nella salvezza offerta da
Gesù, non soltanto una trasmissione di contenuti, ma un processo di conversione della vita, fatti che
cambiano la vita.

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4. PARTE SISTEMATICA - L’azione ecclesiale


1. Ontologia. Che cosa è.
a. Teoria e prassi.
b. La diversità dei metodi.
i. Deduttivo.
ii. Induttivo.
iii. Vedere/Giudicare/Agire.
c. Principio d’incarnazione (ARNOLD)
d. Oggetto materiale e oggetto formale.
e. Il metodo del discernimento pastorale:
1. Dimensioni
a) Kairologica.
b) Criteriologica.
c) Operativa.
2. Fasi
a) Analisi e valutazione.
a. Consiglio Pastorale.
b) Decisione e progettazione.
c) Attuazione e verifica.
2. Morfologia. Che forma ha, come è.
a. Ambiti dell’azione ecclesiale:
i. Martyria - Kerygma (μαρτύρια - ). Evangelizzazione.
ii. Leiturgia (λυθουγία). Liturgia.
iii. Diakonìa (διακονία). Carità
b. Progetto pastorale.
i. Piano ≠ progetto.
ii. Nuovo paradigma della Chiesa.
c. Caratteri Azione ecclesiale.
i. P creatore. L’uomo è creatura.
1. Creatività.
2. Originalità.
3. Corporeità.
4. Vulnerabilità.
ii. F redentore. È unità vivente, teorica e corporea, di verità (λόγος) e carità (ἀγάπη).
1. Testimonianza alla verità (evangelizzazione).
2. Diaconia della carità (servizio – elemosina).
iii. SPS santificatore [communio – cuore Xsa (sistole – edifica; diastole - missione)].
1. Dinamicità.
2. Libertà.
3. Fenomenologia. Come si presenta.
a. Rapporto ad Intra – ad extra. Edificazione e missione.
4. Antropologia. LANZA. Chi sono i soggetti, che concorrono all’1 sogg. che è la comunità Xna:
a. Pastori.
b. Laici. Indole secolare (vocazione – ministeri):

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i. Corresponsabilità [di molti]. Partecipazione di tutti i Xni, alla missione della
Xsa, in forza del battesimo:
1. Consiglio Parrocchiale. Opera x discernimento e edificazione comunità.
2. Parrocchia.
ii. Partecipazione [di alcuni]. Servizio alla Xsa in quanto battezzato e cresimato:
1. Catechisti. Annuncio del kerygma. [Aquila e Priscilla (At)].
2. Ministeri istruiti. Accolitato - lettorato. Ministeria Quaedam PAOLO VI
iii. Cooperazione [di pochi]. Azione suppletiva al ministero ordinato:
1. Ministro straordinario eucaristia.
2. Governo di una comunità.
c. Religiosi.
INTRODUZIONE
L’ontologia ha affrontato, qual è e cos’è il senso dell’azione ecclesiale, la sua sorgente, la
forma interiore dell’azione ecclesiale, ciò che è dentro tutte le cose che la Chiesa fa è l’ ἀγάπη. ἀγάπη –
agape, non è ne φιλία – filia, ne eros, ma è l’amore di Dio, l’amore di donazione, “Deus Caritas est – ὀ
Θεός ἀγάπη ἐστί (o Theòs agape esti)”, 1Cor 13, nell’inno alla carità, descrive ciò che è ἀγάπη,
l’amore oblativo. L’agire ecclesiale si radica, sull’azione della Trinità, corrisponde all’origine trinitario
della Chiesa e della sua missione, è conoscenza, contemplazione ed esperienza dell’amore agapico –
oblativo che è in Dio, che è Dio. Questo è il punto iniziale, senza cui non è possibile parlare di azione
ecclesiale, fare pastorale non è un fare delle cose, ma rendere visibile il mistero di Dio. La Chiesa è una
comunione di diversi, esattamente come la vita della Trinità è nella distinzione delle persone, tre
persone che sono in quanto relazione sussistente (S. TOMMASO). La Chiesa porta in sé i caratteri di
questo Dio, in tre persone ma unico Dio, in ciò che è e in ciò che fa. Rappresenta la comunione e la
missione, questa missione che è innanzitutto carità, il dono di sé, la relazione, il darsi, lo spendersi. In
questo senso l’ἀγάπη è l’ontologia dell’azione ecclesiale, non interessa solo cosa fa, ma il come, nulla
ha senso nella Chiesa se non c’è comunione, se non c’è amore. Come nella trinità, l’ἀγάπη per sua
natura, è relazione, dinamicità e fecondità, e comporta movimento, vita, espansione e sviluppo. Una
Chiesa autoreferenziale, una comunità cristiana che è preoccupata soltanto di mantenere se stessa, ha
smentito questa ontologia, perché vive riflettendo se stessa, non come una Chiesa aperta, dinamica,
apportatrice di vita. La Trinità, dalla quale impariamo che cos’è l’amore, non è un soggetto in se a cui
segue l’azione, essa esiste, in quanto relazione. L’edificazione della comunità ha come sua componente
ad extra la relazione, l’uscire fuori di sé, il preoccuparsi di ciò che non è soltanto ecclesiale, Mc 10,4. Il
Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti.
Il radicamento trinitario dell’azione ecclesiale corrisponde all’origine trinitaria della Chiesa e della sua
missione. LG 1 - 4 descrive la Chiesa nelle sue relazioni col P, col F e con lo SPS, “la Chiesa è il
popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, (SAN CIPRIANO), cioè la Chiesa
stessa è visibilità di un mistero di persone che diventano uno, la Trinità. Lo SPS apre alla pluralità delle
persone, dei carismi e questa differenza non è per la disunione, ma per l’unità. Egli fa il pluralismo e la
concordia dei diversi, è armonia, non uniformità. Siamo creati diversi, ciò che manca a me è stato dato
ad un altro, perché che non posso vivere senza l’altro. Nel disegno sapiente di Dio, questa distribuzione
dei carismi è in vista dell’utilità del corpo, dell’uno. Io non sono l’uno, non sono io l’obiettivo, non
finisce tutto con me, ma è noi insieme, è la dottrina del corpo mistico.
La morfologia. I caratteri dell’azione, secondo BENEDETTO XVI in Deus Caritas est, n.25a:
1. Martyria - Kerygma - (μαρτύρια - ). Evangelizzazione.
2. Leiturgia - (λυθουγία). Liturgia.
3. Diakonìa - (διακονία). Carità.

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L’intima natura della Chiesa si esprime in un questo triplice compito, essi si presuppongono a
vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro. La carità non è per la Chiesa una specie di
attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è
espressione irrinunciabile della sua stessa essenza. Le azioni ecclesiali devono essere
evangelizzatrici, liturgiche e sporgenti sul servizio, sulla carità.
La fenomenologia è come determinare che cosa fa e di che cosa si occupa la Chiesa, cosa si
deve fare qui e ora? Questa domanda pone la questione della fenomenologia, cioè da che cosa appare,
da che cosa si deve vedere, di che cosa ci dobbiamo occupare.
L’antropologia. Chi sono i soggetti concreti che agiscono quando parliamo di azione
ecclesiale, di azione pastorale.

1. Ontologia
RAPPORTO TEORIA/PRASSI
È necessario impostare il rapporto teoria/prassi nel modo corretto, affinché la prassi si lasci istruire
dalla teoria e la teoria sia efficace nell’azione. ALFARO: “l’azione del cristiano deve essere vista non
come semplice espressione o risultato della sua fede o completamento della stessa - come se la fede
fosse manchevole di qualcosa e allora l’azione aggiunge alla fede qualcosa che la fede ancora non ha
- ma come autentico compimento di essa: - cioè, la fede stessa in se stessa è azione, si esprime
nell’azione; non è che l’azione è altra cosa che viene aggiunta a ciò che la fede è. - l’uomo accetta
pienamente come uomo (nella totalità-unità del suo essere corporeo e spirituale), la parola di Dio solo
nel proprio operare”. L’annuncio termina il suo compito, quando la parola si rivela, rende
comprensibile ciò che sta dicendo. E l’azione è inerente alla comprensione, Spe salvi n.2, “La fede è
performativa, la fede non è una decisione puramente interiore, ma una decisione pienamente umana; le
opere la costituiscono come sottomissione totale dell’uomo alla grazia di Dio in Cristo”.
La difficoltà sta nel dover pensare la teoria e la prassi tra di loro in un rapporto adeguato.

MODELLI INADEGUATI (PAG. 31 DEL “IL TACCHINO INDUTTIVISTA”)


rapporto deduttivo (o deduzione): T → P
Modelli inadeguati
rapporto induttivo (o induzione): T ← P
A. RAPPORTO DEDUTTIVO, O DEDUZIONE [T → P]
La prassi è la deduzione immediata, di ciò che la teoria insegna. La teoria è X, allora faccio X. Ad Es.:
 Teoria. Devo andare a casa, il motorino si è guastato, devo prendere l’autobus.
 Prassi. Prendo il biglietto, attraverso la strada, vado alla fermata dell’autobus, aspetto,
l’autobus non passa.
 Inconveniente. L’autobus è stato bloccato da una manifestazione, quindi non prendo l’autobus.
 Domanda. Dove è sbagliata la teoria? Perché Non ha funzionato? Sono ancora alla pensilina!
 Ho il biglietto
 Vado
 Aspetto
Creo un modello e voglio adattarlo alla raltà
 Passa l’autobus
 Salgo
 Arrivo a casa
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Di per sé non è sbagliata la teoria, anzi è precisa, perché ha detto esattamente cosa bisogna fare per
prendere l’autobus. La teoria fila, ma non può prevedere gli inconvenienti, gli ostacoli.
Ciò vuol dire che la prassi non è un contenitore vuoto dentro al quale la teoria scrive le sue cose, ma
offre degli elementi che, se voglio agire, non posso non considerare. È l’indeducibilità della prassi
dalla teoria, ovvero la prassi è sempre eccedente la teoria, che dice delle cose che non hanno riscontro
nella pratica.

B. RAPPORTO INDUTTIVO, O INDUZIONE [T ← P]


Ritorniamo al nostro esempio, alla fermata dell’autobus ho atteso 1h 30 e devo sempre tornare a casa.
Per tornare a casa, prendo il taxi o vado a piedi, calcolo che i soldi per il taxi non mi bastano dunque,
vado a casa a piedi.
 Ho individuato l’obiettivo: voglio andare a casa.
 Ho individuato lo strumento: i piedi e non il taxi.
 Ho progettato l’itinerario, il percorso che devo fare.
 Ho raggiunto lo scopo. Sono arrivato a casa.
L’azione umana è sempre intenzionale, anche quando non lo è apparentemente, è il prodotto della
riflessione (adesso cosa faccio?) e dell’istinto (avere fame). Quindi, non esiste una prassi, che non
abbia dentro una teoria. L’induzione è prendere una decisione rispetto ad una situazione che si è creata.
Ma anche questo gesto che faccio è il risultato di una serie di esperienze, la decisione di andare a casa a
piedi è il frutto di tutta una serie di teorie precedenti (so camminare, conosco la città, sto bene in salute)
che adesso si uniscono nella decisione pratica che sto prendendo. Ma questa decisione pratica, a sua
volta, è possibile perché c’è stato un certo tipo di conoscenza della realtà che mi offre questa possibilità
come un’occasione di agire in questo senso. Ogni teoria è il precipitato di una prassi, è il risultato di
una serie di azioni, di esperimenti, di conoscenze, di verifiche fatte su un fenomeno, su un aspetto che
hanno stabilito una loro teoria. Ma cosa ha di specifico la prassi rispetto alla teoria? Non può mai avere
un carattere definitivo e assoluto. Il fatto che non ho preso l’autobus non significa che lì l’autobus non
passa mai, ma solo che oggi non è passato. POPPER, “il fatto che io veda sempre e solo cigni bianchi
non vuol dire che non esistano cigni neri: vuol solo dire che io non ho visto cigni neri”.

LA TRISTE STORIA DEL TACCHINO INDUTTIVISTA


Il celebre logico BERTRAND RUSSELL racconta, «Fin dal primo giorno di permanenza nel suo nuovo
allevamento il tacchino aveva osservato che alle nove del mattino gli veniva portato il cibo. Da buon
induttivista non trasse precipitose conclusioni dalle prime osservazioni e ne eseguì altre in una vasta
gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e in quelli freddi, sia che piovesse sia
che splendesse il sole. Finalmente la sua coscienza induttivista fu soddisfatta e il tacchino elaborò
allora un’induzione che dalle asserzioni particolari relative alle sue vicende alimentari lo fece passare
a un’asserzione generale, una legge, che suonava così: “Tutti i giorni, alle ore nove, mi danno il
cibo”. Purtroppo per il tacchino, e per l’induttivismo, la conclusione fu clamorosamente smentita la
mattina della vigilia di Natale!». La pastorale induttivista è:
 Chiedono i sacramenti: la gente ha ancora fede. Quando verrà il momento in cui non
chiederanno più i sacramenti anche questa cosa cambierà.
 Vengono tot persone al dopo cresima: questi sono. Non c’è una teoria su cui lavorare, non c’è
un obiettivo da dare, sono questi e accontentiamoci di questi. La prassi ci dà questo.
È l’irriducibilità di una teoria dalla prassi: l’esperienza vale solo per quell’esperienza.
La prassi non può mai essere una teoria, perché se una cosa accade non significa che accada sempre in
quel modo. Esiste l’intenzionalità, che è capace di dirigere la prassi, non semplicemente di accettarla
ma anche di orientarla. La prassi può essere orientata dalla teoria, ma per quanto sia verificata, non
copre tutti gli ambiti della prassi.
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RAPPORTO DI RECIPROCITÀ [T ⇆ P]
La prassi è sempre di più, è sempre sorprendente, la teoria ha potere di influire sulla prassi.
L’agire umano è sempre intenzionale, tuttavia, questa intenzionalità della prassi e questa capacità che la
teoria ha di interpretare e di indirizzare anche la prassi, non si escludono a vicenda.
Tra teoria e prassi  un rapporto di reciprocità dialettica e asimmetrica.
Dialettica. Teoria e prassi non si escludono.
Reciprocità
(T ⇆ P)
Asimmetrica. Il campo della teoria è più vasto di quello della prassi.
Reciprocità è la teoria che orienta la prassi e la prassi che dà dei contenuti alla teoria.
La teoria ha il compito di:
1. Interpretare la realtà.
2. Capire la realtà.
3. Fissare gli obiettivi della realtà.
In teologia, il dato di fede giudica l’esperienza, mai il contrario. Non è l’esperienza che giudica il
dato di fede, anche se il giudizio di fede deve aprirsi ai contributi che la prassi darà. Questa è la lettura
“kairologica” della realtà.

C. IL METODO VEDERE/GIUDICARE/AGIRE (AD ESEMPIO, LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE)


È il metodo più famoso tra teoria e prassi, utilizzato in America latina, ma non funziona. Esempio:
Problema: La pastorale dei giovani.
Soluzione: Fare un convegno di teologia pastorale sui giovani.
Svolgimento: Organizzare il convegno pastorale
1. Prima relazione: Sociologica.
a) Il sociologo espone:
 La gioventù italiana, in massima parte studia.
 È parcheggiata a casa, demotivata e È precaria.
b) Il sociologo analizza il rapporto con la fede:
 Il 65% crede in Dio.
 Il 30 % nella Chiesa.
 Il 12 % va a Messa.
c) Il sociologo conclude:
a. Analizza il fenomeno del popolo della notte.
b. Porta una lunga serie di altri dati statistici con i quali dice chi sono i giovani.
2. Seconda relazione: Antropologica.
a. Il professore di antropologia teologica espone:
 I giovani secondo Dio sono aperti al futuro.
 Anche i giovani seguivano Gesù, che vedendo un giovane lo ama.
 Le caratteristiche della spiritualità giovanile.
 Rapporto con la Chiesa, se la Chiesa può stare senza i giovani o no.
 L’animazione o la trasmissione dei contenuti nei gruppi giovanili.
3. Terza relazione: Teologo pastoralista.
a. Il povero teologo pastoralista espone:
 La situazione nelle parrocchie.
 L’obiettivo presunto.
 Ciò che è possibile fare realisticamente:
o Aperte le chiese di notte.

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o Organizzare l’oratorio in ogni parrocchia.
o Il parroco deve seguire i gruppi.
o Ci sia un adulto nella fede che si faccia carico degli itinerari.
Qual è il problema?
1. È il sociologo che fa l’analisi. Si presuppone che abbia un’intelligenza neutra della realtà, cioè
vi dica le cose come stanno, indipendentemente che siate credenti o non credenti, fa il quadro
della realtà. Nessuno crede più sia possibile un quadro neutro della realtà, tranne gli impegnati
nella pastorale della chiesa cattolica! Un sociologo ha la sua antropologia di riferimento.
2. Separare l’analisi e la valutazione, presupponendo che l’analisi sia neutra, cioè sia capace
di cogliere la realtà. Questa malattia dello spirito si chiama positivismo.
OSSERVAZIONE: è il problema della teologia della liberazione, un’istanza sacrosanta: ma qual è
stato il grande errore, dottrinale e pastorale, della teologia della liberazione?, Che l’analisi era affidata
al marxismo, all’analisi della realtà in termini di processi economici, produttivi e di potere. Quale
risultato pratico ha questa analisi, se non la rivoluzione e la lotta di classe? Ma è già nelle premesse.
3. Se fosse vero questo metodo, che cosa dovrebbe succedere guardando una penna?
 Prima fase – osservazione:
o Vedo un cilindro appuntito, di plastica, assemblato di colore blu.
o Se spingo viene fuori una cosa metallica.
o Misura tot centimetri e pesa tot grammi.
 Seconda fase – il giudizio: È una penna perché:
o È di plastica.
o È un cilindro.
o C’è una punta.
 Terza fase – azione: Prendo la penna e faccio l’azione di scrivere, perche:
o So che è una penna.
o Devo scrivere
Domanda: Fate così quando dovete scrivere?
L’azione è già dentro al fatto che sto cercando la penna, mi rapporto alla penna in termini di un’azione:
1. Mi serve, non mi serve.
2. La prendo, non la prendo.
3. La metto a posto, la lascio lì.
L’azione è già dentro il vedere. Se io dicessi “eccoti un blocco notes e una penna: osserva” oppure
“agisci!”. Non vi viene spontanea la domanda? “Che cosa?” debbo osservare o agire. Ogni azione ha
già dentro di se “che cosa” e “perché”, devo fare e dove voglio arrivare. Per poter agire io devo avere
già gli elementi dell’analisi e della valutazione, ma questa analisi e valutazione sono già in vista di
un’azione che devo fare. Vedere/giudicare/agire non sono fasi distinte dell’azione, ma dimensioni
sempre presenti, questo metodo è un’astrazione che non c’è nella realtà. La chiesa latino-americana fa
un’analisi che non è orientata all’azione, questo è il motivo per cui le sette sono così forti in America
Latina, del perché la gente lascia la Chiesa cattolica. È un grosso problema. Le sette protestanti sono
quanto, scusate l’espressione, di più stupido ci possa essere a questo mondo. Se la chiesa non veicola
l’assoluto di Dio, la trascendenza di Dio, insieme all’impegno pastorale, è chiaro che uno cerca altrove
il rapporto con Dio. A proposito del “vedere socialmente neutro”, la sociologa francese DANIÈLE
HERVIEU-LÉGER dimostra che la laicità è possibile soltanto se l’interlocutore è la Chiesa cattolica,
perché ha già la laicità nel suo DNA, “date a Cesare quel che è di Cesare”, mentre con i musulmani ciò
non è possibile, non posseggono un’idea della laicità. HERVIEU-LÉGER, “è inevitabile che se tu
affronti un problema, anche solo se lo vuoi descrivere, devi fare riferimento ad una possibile
soluzione”. Dentro l’analisi cerchi già di districarti e di dire dove andrà questo problema. La sociologa
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individua il problema nella Chiesa francese: “donne-preti, matrimoni omosessuali, la svolta ecologica,
eutanasia e diritti civili, ecc.” e in sovrappiù un certo senso di distanza da Roma, il cosiddetto
gallicanesimo. La terapia è questa, nel momento in cui analizzi, questa analisi se è orientata all’azione,
se parla cioè di fatti e avvenimenti umani, spinge verso una proposta di soluzione, esattamente come al
Concilio di Gerusalemme, la teoria sull’agire della Chiesa doveva continuamente far riferimento ai casi
concreti e questo far riferimento doveva in qualche modo tirare fuori la teoria.

CONSIDERAZIONI SUL V/G/A


Il metodo del v/g/a, vorrebbe essere un’ibridazione tra il metodo deduttivo e quello induttivo, in realtà
risulta invece essere un metodo cripto-deduttivo:
1. Neutralità di fronte ad un fenomeno. Non esiste in realtà una conoscenza che non comporti
un’attivazione degli elementi fondamentali, dei necessari criteri interpretativi e non esiste la
possibilità di un vedere che non implichi già un conoscere e un giudicare.
2. Chi deve decidere. A chi è affidato il compito di decidere che cosa fare?
a. Al vedere. Che già giudica.
b. Al giudizio. Che dice come dovrebbe essere la cosa.
c. All’azione. Ma non si capisce quanto dipenda dal vedere e quanto dal giudicare.
Se è un’azione pastorale, deve essere teologica dall’inizio alla fine, nel modo che ha di vedere e
valutare, nei criteri con cui giudica e nel modo che ha di progettare.
3. Il più importante. Questo metodo confonde ciò che è dimensione e lo fa diventare fase. È
l’esempio della penna, nessuno prima di usarla, fa prima una valutazione di ciò che essa è. Il
giudicare e l’agire sono già impliciti nel vedere, nel momento in cui entriamo in rapporto con
qualcosa, già prendiamo anche la decisione di come deve essere il nostro rapporto con essa.
Vedere, giudicare e agire sono dimensioni che sempre compongono un’azione umana, sempre quando
agiamo → vediamo, conosciamo e decidiamo, in rapporto a quella cosa, a quell’evento. Nel v/g/a
queste dimensioni diventano fasi distinte, perché:
1. Vedere. Prevale l’approccio sociologico, empirico - descrittivo, di scienze umane.
2. Giudicare. Prevale l’approccio di tipo dogmatico, la conoscenza è desunta dalla th speculativa.
3. Agire. È l’azione pastorale vera e propria. Si fa dire da V e G, ciò che deve fare, non ha un suo
metodo, dipende dai metodi usati precedentemente.
Se si decide facendo più attenzione alla parte descrittiva, la TP diviene una sociologia religiosa, se
invece si dà più spazio all’interpretazione di tipo dogmatico diventa un deduttivismo con tutti problemi
già visti. È fondamentale che l’itinerario sia teologico dall’inizio alla fine, che ci sia una scienza
propria, che analizza e valuta, che decide e progetta, che implementa ed esegue l’azione. Questa è la TP
 Indeducibilità. Non esiste una prassi che si possa dedurre, che possa derivare direttamente
dalla teoria, perché la prassi è sempre eccedente la teoria. Rapporto deduttivo: T → P.
 Irriducibilità. Non esiste la possibilità di far diventare la prassi teoria: la storia del tacchino
induttivista. Se mi portano ogni giorno da mangiare alle 9:00 non vuol dire che questa è una
legge che vale sempre, l’esperienza vale per l’esperienza, non ha valore di legge universale.
POPPER. “se ho visto sempre cigni bianchi non vuol dire che non esistono cigni neri”, cioè
l’esperienza è vera finché non si dimostra che è falsa. Rapporto induttivo, o induzione: T ← P.
 Reciprocità dialettica e asimmetrica. È il rapporto che intercorre tra teoria e prassi. La prassi
porta dentro di sé una teoria (non è mai cieca), la prassi umana è sempre intenzionale, anche se
non è sempre cosciente questa intenzionalità. Rapporto di reciprocità: T ↔ P.
 Asimmetria. Nell’agire teologico la teoria, l’interpretazione, che deve prevalere sul dato è
quella che ricaviamo dalla rivelazione, dai Vg, dalla Bibbia e dal CCC.

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D. LA PROSPETTIVA TEOLOGICA
È la Rivelazione ad esigere un rapporto tra teoria e prassi, parole e gesti insieme, connessi tra loro. Ora
questa struttura della Rivelazione è stata chiamata dal teologo cattolico FRANZ XAVER ARNOLD
(Aichelau 1898; † Tübingen 1969), il principio del divino umano o il principio d’incarnazione.
ARNOLD, ordinario di teologia morale e pastorale presso l’Università di Tubinga dal 1946 al 1966,
“un’azione è ecclesiale in quanto porta alla salvezza e se non serve alla salvezza non è più un’azione
ecclesiale. Il processo salvifico non avviene se non per la mediazione della Chiesa: il processo
salvifico, non la salvezza. La salvezza viene da Dio, ma il processo per il quale la salvezza raggiunge
l’uomo, questo avviene grazie alla Chiesa” (Dio salva l’uomo, attraverso l’uomo). Normalmente
l’idea di mediazione è questa: Dio → Chiesa ← uomo. Non è così, la Chiesa non è il “terzo incomodo”,
per cui partecipando alla vita della Chiesa, vedo e sperimento la salvezza. Ma la salvezza viene in
quello che la Chiesa fa: pensate all’Eucarestia che è chiaramente l’azione ecclesiale più importante.
Non è che faccio una cosa, e dopo averla fatta spero di incontrare il Dio, ma è “in questa cosa”
l’incontro con Dio. È molto importante l’agire della Chiesa, perché nell’agire della Chiesa si manifesta
Dio stesso, si manifesta o non si manifesta a seconda di quanto questo agire corrisponde alla volontà di
Dio e per questo è importante una disciplina che insegni a riconoscere la volontà di Dio. Le azioni della
Chiesa: “la predicazione del Vangelo, la carità, i sacramenti”, non sono semplici occasioni. Nel
sacramento del matrimonio, ad esempio, è data una grazia per la quale proprio qui, proprio adesso, in
questa cosa che sta succedendo la grazia di Dio c’è. La salvezza, Dio solo la da; non la dà la Chiesa,
la Chiesa è lo strumento per il quale questa salvezza si manifesta, agisce, si da, accade adesso,
esattamente come l’umanità di Gesù era lo strumento per il quale il regno di Dio si rendeva
presente, agiva e agisce in mezzo agli uomini. È umano è il luogo in cui il divino si manifesta
operando la salvezza.

IL PRINCIPIO D’INCARNAZIONE
Il principio d’incarnazione afferma che l’azione ecclesiale è un’azione divino - umana, per cui sempre
Dio realizza la salvezza attraverso realtà storiche, antropologiche, concrete: non si da salvezza se
non attraverso questo. Questo è ciò che è avvenuto nella Bibbia, questo spiega la creazione, questo
spiega l’Incarnazione. Dio si è fatto uomo, perché non era possibile la salvezza se non attraverso la
realtà stessa di Dio a misura umana.

LA STRUTTURA FORMALE DELL’AGIRE ECCLESIALE


Al di sopra del che cosa deve fare la Chiesa, qui e adesso, l’agire della Chiesa deve sempre rispondere
a questo principio d’incarnazione, cioè deve prendere le realtà umane, storiche, culturali, concrete e
renderle capaci di manifestare Dio, di essere il luogo nel quale Dio può manifestarsi e agire. Per questa
via, Dio trasforma il mondo. Questo è il principio che spiega tutta la storia della salvezza.
 Perché Dio ha chiamato Abramo? Che senso ha che Dio abbia chiamato Israele? Non poteva
convertire tutti di colpo? Che senso ha che nel mondo universo soltanto un miliardo di uomini
crede in Gesù Cristo e gli altri no?
 Questo è il principio per il quale sempre Dio agisce: “uno per tutti, pochi per molti”:
o Gesù per tutti.
o La Chiesa per molti.
Dio conosce i tempi lunghi, Abramo è poligamo, Mosé idem, le numerose guerre ecc., tutta la storia
della salvezza fino ad arrivare a Gesù. MARCIONE, sosteneva che  due dei diversi, uno dell’AT ed uno
del NT, non poteva essere la stessa rivelazione. Un Dio implicato così seriamente nella vicenda umana,
lo stesso Dio che chiama al celibato e alla fedeltà coniugale è Colui che ha chiamato ABRAMO, che era
sposato con SARA ed aveva AGAR. Il dato umano è stato rispettato da Dio: Dio ha chiamato ABRAMO
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ad uscire da quella condizione, lo ha chiamato per andare verso di lui, a fare alleanza con Lui, ma il
dato umano rimane pienamente. È ABRAMO che deve rispondere, in piena libertà dire il suo sì,
cambiando in obbedienza l’alleanza che ha fatto. L’Incarnazione è:
 Principio. Sempre Dio salva l’uomo attraverso l’uomo. La fede o la Chiesa, si conoscono
perché qualcuno in carne e ossa ve l’ha fatta vedere, ve ne ha parlato, vi ha reso partecipi di
qualcosa. Gesù non l’avete conosciuto se non all’interno di questo tipo di rapporto che è passato
molto concretamente attraverso il corpo, la voce, gli occhi le azioni di qualcun altro.
 Evento. Questo principio è accaduto una volta per sempre in modo definitivo. L’Incarnazione
del Verbo, del F eterno è l’evento che rende possibile la salvezza degli uomini, la comunione,
l’unione della natura divina con la natura umana. Per cui Gesù è vero Dio e vero uomo.
 Criterio. Da legge, da principio, l’incarnazione è lo sfondo, l’orizzonte dentro al quale occorre
pensare la salvezza cristiana.

IL DATO IMPLICITO, NEL MISTERO DELL’INCARNAZIONE


Il fatto storico, umano e concreto non è un involucro o un contenitore che posso togliere e così trovo
Dio, se lo perdo, perdo l’azione salvifica che avviene attraverso di esso. Se all’Eucarestia tolgo il pane
e il vino non tolgo l’involucro, tanto Dio mi raggiunge ugualmente. Dio necessariamente passa
attraverso di essi, si è legato al pane e al vino trasformati, cioè il suo corpo e il suo sangue. Le realtà di
fede, come tutte le realtà umane, non esistono se non in maniera incarnata, mai al di fuori di
questo contesto. Ciò è valido anche per il dato di fede, dogmatico, che è sempre colto, compreso e
vissuto all’interno del contesto in cui si incarna. Ad esempio, Gesù non ha mai parlato di ipostasi, ne ha
mai detto io sono il logos. SAN GIOVANNI usando il termine logos, incarna il dato di fede dentro una
determinata cultura, prende un elemento che di per sé è umano, la parola logos col senso che questo
termine poteva avere nella filosofia ellenista dell’Asia minore del suo tempo e lo riempie del
significato che è Gesù. Così è anche per ipostasi, ousia, termini presi da un determinato contesto per
spiegare, le persone della Trinità, la vita intima della Trinità, a partire da una determinata cultura, tant’è
vero che la teologia Trinitaria in Occidente non è la stessa che in oriente. La teologia dogmatica muta,
il dogma no. La teologia dogmatica non esaurisce il dogma della fede. È possibile quindi obiettare a
una teologia dogmatica, ipotizzare una teologia dogmatica, ma questa non dirà mai tutto della fede.

LA TP ALLA LUCE DEL PRINCIPIO D’INCARNAZIONE


Il principio d’incarnazione riguarda tutta la storia della salvezza, fatta di eventi e parole tra di loro
intimamente connessi. La TP è un sapere teorico – pratico, che si realizza secondo tre regole poggiate
sul principio d’incarnazione:
1. È un sapere propriamente teologico.
2. Il suo oggetto è Dio.
3. Salva attraverso l’agire della Chiesa.
 RÄUTENSTRAUCH rendeva teologica la TP perché fondata sulla Cristologia (Tria munera).
 SCHLEIERMACHER e GRAF si appoggiavano invece sull’ecclesiologia:
o Dati l’ecclesiologia e la Chiesa.
o La Chiesa è un tema teologico.
o La TP è teologica perché è teologica l’ecclesiologia.
 LANZA. L’agire della Chiesa è un insieme teologico, perché è un agire insieme divino e umano.
L’azione umana manifesta l’azione di Dio. Dato che Dio agisce salvando attraverso l’agire della
Chiesa, questa azione è teologica. L’agire della Chiesa ha questa forma:
o È un agire umano.
o In questo agire umano agisce realmente Dio, lo SPS, Gesù Cristo.
Se mi occupo dell’agire della Chiesa, faccio teologia, perché mi occupo di Dio che agisce così.
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DUPLICE OGGETTO DELLA TP
OGGETTO MATERIALE
La TP si occupa dell’azione ecclesiale, quindi non solo dei pastori, ma dell’azione che ha come
soggetto la Chiesa, in quanto azione che la comunità cristiana predispone nei confronti della realtà con
cui si rapporta. Questo “porsi in rapporto alla realtà” deve essere ed è “intenzione salvifica”. ARNOLD,
“questo agire della Chiesa o ha di mira la salvezza, di essere strumento della salvezza, oppure non è
un’azione ecclesiale”. L’oggetto materiale è l’azione ecclesiale, l’agire che la comunità cristiana
predispone nei confronti della realtà con cui si rapporta, che ha come obiettivo la salvezza.

OGGETTO FORMALE
La TP si occupa dell’agire dal punto di vista della fede. È il qui e ora del porsi di una determinata
azione pastorale. GRAF, “la TP è diversa da storia della Chiesa, non è semplicemente l’agire della
Chiesa, ma l’agire della Chiesa in funzione del suo miglioramento, della sua corretta attuazione
nell’oggi”. L’agire della Chiesa deve sempre portare un miglioramento, un’efficacia, non è
semplicemente il racconto di quello che è successo nel passato, e sempre in vista di un miglioramento.
SCHLEIERMACHER aveva ragione quando distingueva i 3 tempi della Chiesa e opponeva la storia della
Chiesa alla TP, in quanto il passato è diverso dal futuro. La storia della Chiesa parla di ciò che è
accaduto, la TP si occupa invece di progettare e tendere al futuro. Il contesto umano, storico, culturale
deve essere interpretato ascoltando la parola di Gesù Cristo, vedendo, riconoscendo che cosa Egli sta
facendo. È il “discernimento” della Chiesa, sui fatti che accadono, i segni dei tempi di cui parlava papa
GIOVANNI. Ma non ogni fatto che succede è un segno dei tempi che Dio manda, ad esempio la
rivoluzione sessuale del ‘68 era un segno dei tempi? Purtroppo alcuni preti, vi diranno di si! che era un
segno dei tempi e che si doveva intendere la morale così. E invece no, perché quella rivoluzione non
va d’accordo con l’insegnamento di Gesù. Questo è il discernimento pastorale.

LA RICCHEZZA, LA NOVITÀ DI VITA DEL VG, COME DEVE TRASFORMARE LA PRASSI?


La missione affidata ai discepoli è molto chiara, Mc 16,16, “Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo;
ma chi non crederà sarà condannato”. BENEDETTO XVI, evangelizzare è un diritto della Chiesa.
Dialogare non è la stessa cosa. Il dialogo è necessario, esistiamo in quanto esseri che comunicano,
scambiano, dialogano, ma secondo 1Cor 9,16 “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un
dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!”. La TP insegna che dobbiamo conoscere i
destinatari a cui ci rivolgiamo, ad uno che è distante dalla fede, non posso dirgli “guarda, che vai
all’inferno!”, c’è molto altro da dire prima, perché poi questi discorsi abbiano efficacia. È importante
preoccuparsi del destinatario, studiarne la cultura, la storia, perché è attraverso quel dato umano, storico
e culturale, che Dio si manifesta, si è manifestato o si manifesterà.

E. IL METODO DEL DISCERNIMENTO PASTORALE


Per il principio d’incarnazione, la considerazione del dato umano non è una concessione alla modernità,
allo spirito dei tempi, ma è teologia, perché sempre Dio ha parlato e ha agito attraverso realtà umane,
storiche, concrete. Il metodo del discernimento pastorale, risponde alla domanda “che cosa deve fare la
Chiesa qui ed ora”, alla luce del principio di incarnazione. Si articola in:
1. Dimensioni
a) Kairologica.
b) Criteriologica.
c) Operativa.
2. Fasi
a) Analisi e valutazione.
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b) Decisione e progettazione.
c) Attuazione e verifica.

DIMENSIONI
Affinché ci sia TP, cioè una vera riflessione teologica su che cosa la Chiesa deve fare, le tre dimensioni
devono sempre essere presenti. Non è il metodo v/g/a rimaneggiato, perché è inadeguato, quando tratta
ciò che è dimensione costitutiva dell’azione come se fosse una fase separata. Un’azione è l’insieme di
queste dimensioni: vedere, giudicare, decidere, prendere e agire.

1a) DIMENSIONE KAIROLOGICA


καιρός – kairos, non è il tempo cronologico ( – kronos), ma è il tempo giusto, l’occasione
decisiva, l’appuntamento che non devi mancare, il fatto buono che ti porta alla salvezza.
La dimensione kairologica è il riconoscere nelle cose ciò che Dio sta facendo qui e adesso. Gesù
rimprovera i suoi contemporanei di non accorgersi che il regno di Dio che stavano aspettando era
dinanzi a loro. Il problema è che se non aspetti nessuno, non vedi nessuno, per poter incontrare
qualcuno, devo essere disposto in tal senso. Se il tempo è l’accadere sempre uguale del Qohelet, delle
cose sempre identiche che ritornano, è inutile aspettare. La visione del tempo ciclico era tipica dei
greci, i quali credevano nella fortuna e nella sfortuna, nel fato che non ha una logica, con il quale non
c’è da entrare in comunione e non c’è niente da capire, ma semplicemente da subire. La concezione del
tempo “biblica”, non è circolare, dell’eterno ritorno, dell’inizio delle tragedie, ma è lineare,
escatologica. Andiamo incontro a qualcuno che sta arrivando, la storia in questo nostro tempo
non è un tempo in cui Dio è da un’altra parte:
1. Perché l’ha creato lui.
2. Perché risorgendo dai morti, Gesù, come ha assunto la natura umana, ha assunto anche il tempo
e lo spazio, li possiede e dunque egli si manifesta nel tempo e nello spazio.
Il cristiano guarda a ciò che accade come all’occasione buona nella quale Dio si manifesta, legge nei
fenomeni umani, culturali, sociologici, filosofici, storici, discerne in essi che cosa è “chiamata di Dio”:
 Cosa è da rifiutare – criticare.
 Cosa è da riconoscere – assecondare.
 Cosa è da apprezzare – onorare.
Un’analisi delle cose umane dal punto di vista sociologico è insufficiente, perché per principio essa non
mette Dio tra i fattori di azione della storia. Invece noi possiamo prendere elementi utili, conclusioni
interessanti, aspetti di lavoro su un tema che ci può interessare dalle altre scienze, ma non possiamo
rinunciare a questa dimensione metodologica che ci impone di trovare, di cercare di capire che cosa
Dio sta facendo. Il nostro vedere non è affatto neutro, è fatto con gli occhi della fede, voglio vedere,
voglio riconoscere per chiamare con il loro nome le cose che capitano, “peccato originale”. Ci sono dei
fatti che succedono che sono peccati e li tratto da peccati, cioè hanno origine non soltanto perché papà
è stato cattivo ed io divento violento, non soltanto perché ho subito un’ingiustizia sociale io sono
diventato ladro, ma perché nella mia libertà io ho acconsentito a credere a una bugia, che rubando avrei
fatto del bene. La natura del male, biblicamente inteso, è sì rappresentabile attraverso i suoi effetti, ma
alla radice ultimamente rimane un mistero l’iniquità, che noi dobbiamo riconoscere e chiamare così. Il
vedere e il giudicare, che sono alla base di ciò che dobbiamo fare, sono sempre compiuti in esplicita
prospettiva di fede. Nel metodo v/g/a il teologo pastoralista arrivava alla fine, quando bisognava dire
che cosa fare. Sbagliato, il metodo è teologico da subito, quello che ci preme, quello che ci interessa,
non è fare sociologia religiosa, descrivere perché ci sono meno vocazioni religiose, perché la donna
dopo il femminismo, ecc., sono degli elementi di riflessione, con cui confrontarci, ma non spiega fino
in fondo dov’è il problema dal punto di vista della fede, perché la vocazione, per essere compresa come
categoria, ha bisogno della fede in Dio, di supportare l’ipotesi che Dio chiami qualcuno.
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1b) DIMENSIONE CRITERIOLOGICA
È il passaggio tra ciò che abbiamo visto e riconosciuto a ciò che deve essere fatto. Teoria ⇆ Prassi.
Il rapporto “teoria/prassi” è di reciprocità dialettica ed asimmetrica [ pag. 38]. Il metodo del
discernimento ha bisogno di ciò che sta accadendo, ma non lo vede come un’ideologia, che già ha
deciso cos’è, ma ha bisogno che i problemi siano riconosciuti, perché è su questi che lo sguardo di fede
“asimmetrico” riconosce o non riconosce la presenza di Dio. Ad esempio, l’istituzione dei diaconi, se
quel giorno gli apostoli avessero detto “è una bega tra donne, tra vedove anziane, è un fatto addirittura
materiale di cibo, di distribuzione: che se la vedano loro!”, oggi non ci sarebbero i diaconi. Invece, la
TP implicita degli At, davanti ad un problema evidenziato dalla prassi, si chiede: “che cosa il Signore,
ci sta dicendo attraverso questo fatto?”. Gli apostoli ripensando alla loro missione, rapportano il
problema al dato di fede, ovvero l’istanza urgente di dar da mangiare a delle donne vedove a ciò che
Gesù Cristo aveva chiesto loro “andate in tutto il mondo, annunciate il Vangelo ad ogni creatura”.
Essi non hanno detto:
 “le vedove devono essere nutrite” (avrebbero fatto un pronunciamento magisteriale).
 ma hanno elaborato un criterio.
L’incontro tra il dato pratico e quello di fede ha prodotto:
 “Non è bene che noi trascuriamo la predicazione del Vangelo, perché questo è un compito che
ci ha affidato Gesù Cristo”
 Questo dato che abbiamo ricevuto da Gesù (il magistero) è prevalente sul problema (la prassi)
 Soluzione.
1) Non siamo noi che dobbiamo dare da mangiare alle vedove:
 Ma Gesù ci ha detto di aver cura delle vedove.
 E non è bene che noi trascuriamo la predicazione del Vangelo.
2) Scegliamo 7 uomini ripieni di SPS che facciano questo:
 E scelsero: “Stefano, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola”.
La dimensione criteriologica, risponde alla domanda “in base a cosa devo agire?”
La riflessione pastorale dice:
1. Cos’è la chiamata di Dio.
2. Qual è il compito che abbiamo.
3. Cos’è adesso che dobbiamo fare.
4. Indica i criteri affinché l’azione sia compiuta per poter essere una risposta alla chiamata di Dio.
Criterio è diverso da principio, infatti “ama il tuo prossimo” è un principio, ma “ama Giancarlo, che ha
la cravatta così, che lavora in banca, etc.” è un criterio. Il criterio fissa la possibilità di declinare il
comandamento dell’amore qui e adesso, è lui il tuo prossimo. Il principio vale sempre “ama il tuo
prossimo, qui, in Alaska, ecc.”.

1c) DIMENSIONE OPERATIVA


La TP si occupa di ciò che Dio fa nel mondo, come azione da fare qui e ora. Di un fenomeno, di un
problema, di una questione, non interessa l’eziologia, da dove viene il problema, o come si presenta,
ma capire dentro a questo problema l’azione da fare qual è. Finché siamo alla lamentela delle cose
come vanno o dei desideri di come dovrebbero andare, non facciamo TP. Esempi:
1. Dobbiamo pregare! Santo proposito, ma non è dire che cosa dobbiamo fare qui e adesso. Per
realizzare il qui e adesso, dobbiamo aggiungere, Dobbiamo pregare giovedì, con un’ora di
adorazione dalle 19 alle 20!.
2. Dobbiamo volerci più bene! È un principio, non un criterio. Partendo da questa enunciazione,
seguendo l’obiettivo del volerci bene, criteriologicamente, dobbiamo vederci di più, parlarci di
più, creare occasioni mangiando insieme senza tenere la televisione accesa, stabilire una prassi

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di riconciliazione in una comunità religiosa, correzione fraterna, superare una situazione di
conflitto, ascoltare invece di far finta che non succede nulla. Questo è volersi bene!.
La TP non è la disciplina del “dover essere”, passa per una comprensione dei compiti e capire la
volontà di Dio, ma non è semplicemente la ribattitura del dogma, interessa che il dogma sia vissuto,
adesso, che passi attraverso un’azione, un gesto che si vede, che si tocca, che lascia dei segni.

FASI
Il metodo è in 3 fasi, che non sono a compartimenti stagni, ovvero c’è tra loro un legame sono sempre
in circolo. Le tre fasi sono i tempi e il modo in cui le tre dimensioni si attuano nello spazio e nel tempo.

2a) ANALISI E VALUTAZIONE


LANZA. Non esiste un vedere neutro (v/g/a), ma che il nostro vedere deve essere da subito
accompagnato da una riflessione valutativa, da un giudizio di fede. Nel descrivere una realtà, dovrò già
descriverla da credente. Non parlerò di classe operaia, non dirò di persone diversamente abili, queste
categorie non sono categorie teologiche e soprattutto non creano tra noi e queste persone un rapporto
che dovrebbe essere in termini di vocazione cristiana. In questa prima fase, in cui deve articolarsi
l’agire, l’azione che fa la Chiesa, possiede tutte e tre le dimensioni:
 Dimensione kairologica. Lo sguardo di fede.
 Dimensione operativa. Vedo, analizzo e valuto, in prospettiva di un’azione ecclesiale.
 Dimensione criteriologica. Analizzo e valuto in termini di possibilità d’azione, cosa devo fare.
Quando si affronta un problema pastorale in parrocchia, prima cosa da fare non è l’agire, bensì analisi e
valutazione. Di fronte a matrimoni omosessuali, donne prete, donne lesbiche vescovo, uno potrebbe
essere indotto a dire: “la Chiesa cattolica è progressista”, ma questo non ha risolto il problema delle
vocazioni. Dunque: non è questa la strada, forse il Signore non sta parlando di questo. La risposta è
urgente perché, anziché impostare il problema, accettando l’impostazione che viene data dall’altro, io
voglio vedere la cosa dal punto di vista di Dio, non dal punto di vista della logica del “bisogna ……”.

IL CONSIGLIO PASTORALE
A e V è il compito del consiglio pastorale, che non decide l’orario di processioni e messe, questo lo
decidere il parroco in autonomia. Questi deve acquisire giudizi, consigli su come vedere un determinato
problema, su come il Signore lo vede, su come il Signore ispira tutti quanti a viverlo. SAN BENEDETTO,
nella regola, dice: “quando l’abate deve prendere una decisione, ascolti tutti, chiami a consiglio, anche
i più giovani devono parlare”. Perché a volte lo SPS parla attraverso i più giovani. Oggi la situazione
ecclesiale è difficile, ma la Chiesa non è finita, ci sono stati periodi nella storia infinitamente peggiori
di questo, e problematici, nei quali i cristiani si ammazzavano tra di loro, ma anche in quel caso non è
finito niente, perché nel sangue dei martiri comincia sempre una fioritura di cristiani (TERTULLIANO).
È scritto nel battesimo che dobbiamo essere pronti a morire, non ci meravigliamo se qualcuno ci chiede
la vita perché siamo discepoli di uno che è andato a morire in croce.

2b) DECISIONE E PROGETTAZIONE


Non è sufficiente analizzare e valutare, occorre decidere. È necessario che ci sia qualcuno che “guidi”,
il dato biblico conferma che sempre Gesù ha messo qualcuno a capo di qualcosa, come il collegio degli
apostoli, il vescovo capo dei presbiteri, il Papa capo del collegio episcopale, il parroco della parrocchia,
il marito della famiglia, dove “capo” non significa il dominatore, il tiranno, ma significa il “principio di
unità su cui la diversità sta insieme e va in circolo”. Decisione vuol dire che ad un certo punto bisogna
arrivare a stabilire che cosa fare. Nella Chiesa questa cosa è talmente importante che esiste lo
strumento giuridico del decreto, chi di dovere esprime una decisione che ha forza vincolante giuridica.

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Perché attraverso l’autorità, il potere che gli vien dato dal Signore, questa decisione possa innervarsi
nella vita della comunità.

2c) ATTUAZIONE E VERIFICA


La decisione presa, si deve trasformare in un’azione. Si articola in un progetto, con un obiettivo, degli
strumenti, dei mezzi, delle tappe, dei soggetti che fanno questa cosa.

IL PROGETTO PASTORALE
È innanzi tutto una “mentalità”, un mettere insieme, un piano condiviso. Il progetto presuppone e crea
la comunione nella Chiesa, fa l’unità dei diversi che agiscono insieme.

ATTUAZIONE
Quando il progetto è valutato e deciso, ci si rimbocca le maniche e si lavora. L’azione della Chiesa
raramente è un’azione che non implica fatica o sacrificio, la vita pastorale, la vita della Chiesa, allo
stesso modo della vita della famiglia, ha i suoi tempi, le sue fatiche, le relazioni dure con persone
difficili, i momenti di soddisfazione in cui le cose funzionano, i momenti in cui la grazia di Dio si fa
sentire e noi riusciamo ad essere collaborativi al massimo. Questa è l’attuazione del progetto pastorale,
non è una scampagnata in mezzo al parco suonando la chitarra, è la vita quotidiana fatta come ogni vita
quotidiana è. Attuazione è stabilire Chi, Cosa, Come, Quando e Dove si compie l’azione pastorale.

VERIFICA
La verifica necessita di obiettivi, rispetto ai quali confrontarsi. Per questo è importante progettare, se si
decide “dobbiamo pregare il giovedì, dalle 19 alle 20,” ho bisogno di controllare che sia stato fatto,
concretamente. Ecco perché il progetto deve essere dettagliato, bisogna arrivare ad un obiettivo
concreto, perché attraverso questo io posso anche verificare. E questo mi dà anche la possibilità di
scoprire e rendermi conto, che attuando il progetto, un obiettivo è fuori portata. Non devo aspettare la
fine dell’anno per cambiare qualcosa. La verifica va fatta su due fronti:
1. Quantitativa. Il raggiungimento del “che cosa”, degli obiettivi.
2. Qualitativa. Come questi obiettivi sono stati raggiunti. Non basta dire “li abbiamo raggiunti”,
ma come?

CRITERI DELL’AZIONE PASTORALE


Se l’azione pastorale è azione umana e divina deve portare il carattere di Dio dentro di sé. Dio è:
 P. Creatore.
Le azioni della Chiesa devono essere:
 F. Redentore.
di creazione, di redenzione, di santificazione.
 SPS. Santificatore.
La santificazione della Chiesa (l’edificazione della comunità), passa attraverso il progetto pastorale.
Questo strumento è sottomesso all’azione dello SPS e nessuno di noi può presumere che lo SPS debba
sottostare a quello che sta dicendo o facendo. Ogni progetto, ogni azione pastorale che noi facciamo, la
facciamo in quanto rispondiamo a questo, ma non limita l’azione di Dio: “Dio può fare figli di Abramo
dalle pietre”. I “movimenti” della Chiesa nessun progetto li aveva previsti e sono nati, chi li ha fatti
nascere? L’agire della Chiesa è sempre un agire che deve rimanere aperto, per questo si utilizza il
termine “progetto” e non “piano pastorale”, perché il piano sa già che cosa deve accadere e dove vuole
arrivare, mentre invece il progetto deve essere aperto alle novità che Dio gli porta.

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2. Morfologia
La prassi pastorale generalmente, si riconduce ai modelli deduttivo, induttivo e vedere/giudicare/agire,
perché è pensata come ripetizione di quel che si è sempre fatto.
BENEDETTO XVI nell’enciclica Deus caritas est n.25, “Le azioni ecclesiali devono essere
evangelizzatrici, liturgiche e di servizio”. L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice
compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia),
servizio della carità (diakonia). Sono ambiti (campi d’azione) che si presuppongono a vicenda e
non possono essere separati l’uno dall’altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di
assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione
irrinunciabile della sua stessa essenza. La Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia
non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario. Al contempo la caritas-agape
travalica le frontiere della Chiesa (parabola del buon Samaritano), l’universalità dell’amore verso il
bisognoso incontrato per caso, chiunque egli sia. Ferma restando questa universalità del comandamento
dell’amore, vi è però anche un’esigenza specificamente ecclesiale, in quanto famiglia, che nessun
membro soffra perché nel bisogno, Gal 6,10 “Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene
verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede”. Purtroppo il fondamento ontologico della carità, così
ben espresso da BENEDETTO XVI, è stato sempre relegato a semplice ambito dell’azione ecclesiale,
come un’azione parallela alla catechesi ed alla liturgia. Questo soprattutto in seguito alla problematica
sorta in età moderna che farebbe derivare gli ambiti dell’agire ecclesiale dal trinomio: catechesi
(formazione dei cristiani), liturgia (celebrazione dei sacramenti) e carità (cura di chi ha bisogno).
Divenute le strutture permanenti di un’azione ecclesiale. La pastorale struttura gli ambiti intra-
ecclesiali, ma è impacciata nei suoi compiti ad extra. HEGEL. Nella società contemporanea, la
Chiesa è un sottosistema tra sottosistemi con obiettivi e leggi proprie. Ha accettato questa riduzione di
essere lei stessa un sottosistema predisposto a soddisfare determinati bisogni (l’assistenza nelle
situazioni critiche e l’accompagnamento rituale a momenti importanti della vita) o se le istanze della
nuova evangelizzazione, non sottopongano a critica tutto questo. Il cristianesimo non agisce all’interno
della coscienza personale, Cristo è venuto a cambiare tutta la nostra vita, anche quella sociale e perciò
l’opera della Chiesa deve esser spiccatamente missionaria. Se il soggetto dell’AE è la comunità
cristiana, tutti i temi che hanno a che fare con la soggettività laicale quindi con la missione nel mondo
entrano come compito della TP. La presenza e l’opera della Chiesa è qualcosa che deve trasformare.
Non si devono delimitare gli ambiti dell’agire ecclesiale ad extra e dato che i vari sottosistemi non
rispondono alla questione antropologica del senso della vita dell’uomo, la pastorale deve farsi carico di
questa domanda in questo tempo di mobilità culturale, territoriale e sociale. Culturalmente la Chiesa
deve saper rispondere a tale domanda, in relazione al territorio il suo agire deve essere rivolto
all’interno di ambienti vitali, perché oggi il soggetto non appartiene a nessuna comunità e non trova la
sua identità da nessuna parte.

UNA NUOVA ANTROPOLOGIA


La Chiesa deve poter pensare la sua azione ecclesiale in termini di costruzione, di edificazione di
comunità comunicative, cioè dove la persona è riconosciuta, appartiene, dove crea la sua identità,
cultura, valori di riferimento, l’essere umano deve essere riportato alla sua dignità di figlio di Dio. È
prioritaria la questione antropologica, “Gestis verbisque”, parole e segni, devono svelare l’uomo
all’uomo. BALTHASAR propone, l’antropologia drammatica, teatrale, in cui comprendere l’essere
umano nel vivo dell’azione, perchè è li che rifletto su chi sono. Nessuno ha scelto se e quando nascere,
siamo sul palcoscenico della vita e non possiamo uscire dal nostro ruolo, dalla nostra parte, cambiare
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ciò che siamo, i nostri genitori. BALTHASAR sostiene che l’uomo è la risultante di tre tensioni polari:
1. Unita di anima e corpo. Il corpo ci riporta alla verità sulla nostra limitatezza, dobbiamo
mangiare, ci stanchiamo, dobbiamo dormire. La stanchezza, la fame, influiscono sull’anima,
perché tra corpo e anima ∃ una relazione vitale, il corpo senza anima è morto e l’anima senza
corpo non c’è. La verità dell’essere umano è data dall’unione dell’anima e del corpo.
2. L’essere umano è uomo e donna. La donna dice destinazione a un uomo, l’uomo dice
destinazione a una donna. L’essere umano è costituito per una relazione con l’altro sesso.
C’è una tensione, non bastiamo a noi stessi.
3. Ci si sperimenta come individuo inserito in società. Nessuno è solamente individuo. È
sempre e comunque parte della razza umana. È figlio di due genitori, che lo fanno essere. È
sempre in relazione con gli altri, è parte di una società, ne usa le categorie.
Queste polarità, sono le tensioni, le sfide di ogni uomo, che vivendo cerca di armonizzarle. La fede
non pre-determina le soluzioni di queste tensioni, ma segna una via da percorrere. Il cristianesimo
stabilizza queste polarità:
 Anima – corpo. Risurrezione della carne.
 Uomo – donna. Il matrimonio e l’ordinazione, che è matrimonio con Gesù.
 Individuo – società. La comunione dei santi.
C’è un modo cristiano per vivere ognuna di queste tensioni, ed è compito della pastorale insegnare
tutto questo al mondo. Per vivere il rapporto con sé stessi, con l’altro, con il lavoro, il fidanzamento,
la famiglia, la sessualità. Unità di anima e di corpo, la carità si esercita globalmente, non basta fare
una puntura al malato, bisogna parlare col paziente, interessarsi a lui, farlo sentire una persona,
altrimenti non guarirà mai. In questa unità ogni battezzato, deve imparare a muoversi per agire
cristianamente. Queste sfide la Chiesa deve pensarle anche all’esterno come dibattito culturale,
inculturazione del Vg, preparazione evangelica, offerta di modelli possibili per vivere il matrimonio.
In questa progettazione degli ambiti fa caso a sé la liturgia che non è un settore tra i tanti ma è
fonte e culmine della vita della Chiesa, non è una cosa da fare ma ciò che dà all’AE la sua forma
cristiana ed ecclesiale.

A. PIANO PASTORALE ≠ PROGETTO PASTORALE


IDEA DI “PROGETTO”
Che idea c’è dietro alla decisione “facciamo la cresima e la comunione insieme?” Siccome l’eucarestia
è fons et culmen della vita cristiana, allora la cresima va prima. Questa è la pastorale deduttivista, non è
una pastorale innovativa, è una sciocchezza, perché non tiene conto del contesto che, in una tradizione
secolare italiana dove la comunione dei bambini è comunque un obiettivo che tiene in piedi tutto un
processo di iniziazione cristiana, viene smantellata e ridotta ad un’appendice della cresima. Se parliamo
con chi ha preso questa decisione, ci dirà: “che cosa eccezionale! Finalmente ci siamo tolti il problema
dei ragazzi delle medie, perché a questi ragazzi non si riesce a fare catechismo”. Due piccioni con una
fava, cresima e comunione insieme e ad ottobre della prima media già i ragazzi se ne possono andare!
Ma è così che si ragiona in pastorale? Il dato contestuale è che i ragazzi delle medie se ne possono
andare per conto loro o non è forse un momento in cui, oggi più che mai, dobbiamo cercare di tenerli?
La logica che regge una scelta del genere è una logica di tipo deduttiva, la “deduzione” paga
nell’immediato, ma non è vero che basta fare così perché sia compiuta un’iniziazione cristiana. Sarà
anche giusto dogmaticamente che la comunione viene dopo, ma è fruttuoso per i ragazzi? È meglio
perchè si elimina il problema dei catechisti nelle medie, ma è questa la criteriologica o è altro?
I termini piano e progetto non sono sinonimi:

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 Piano. Appartiene al vocabolario del socialismo reale, ad un certo tipo di approccio alla realtà
che la studia e la determina nel senso di voler dominare scientificamente il futuro, un futuro che
è analizzato con la teoria critica ed è pianificato appunto a priori. I famosi piani quinquennali
dell’URSS, “tot acciaio, tot grano, tot vino, deciso a priori, con il risultato finale voluto.
 Progetto. La dimensione kairologica fa in modo che ∄ un piano i cui risultati sono
predeterminato. L’azione pastorale non consiste solo nel decidere cosa fare, perché la realtà mi
dà degli elementi che la teoria non può considerare (P > T), c’è l’azione dello SPS che è libera.
Il piano insiste sulle dinamiche sociali come cause dei problemi, mentre per la dimensione kairologica
entrano in gioco altre categorie, non solo la sociologia, il capitalismo. Ad esempio, l’enciclica di
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, , scritta nel 1991 per il 100º anniversario della Rerum Novarum
di papa Leone XIII, all’art.25 “… l’uomo creato per la libertà porta in sé la ferita del peccato
originale, che continuamente lo attira verso il male e lo rende bisognoso di redenzione. Questa
dottrina non solo è parte integrante della Rivelazione cristiana, ma ha anche un grande valore
ermeneutico, in quanto aiuta a comprendere la realtà umana. L’uomo tende verso il bene, ma è pure
capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere ad esso legato …”. Il
peccato originale ha un valore ermeneutico. Il fallimento di un progetto pastorale può essere legato
non al fatto che sia stato fatto male, ma al manifestarsi del peccato, di quello che Paolo chiama “il
mistero dell’iniquità”. C’è una dimensione di lotta nell’azione pastorale, di partecipazione alla passione
di Gesù Cristo. Quindi nel termine “piano” stenta a trovare posto l’idea che nella storia non agiscono
soltanto gli uomini, ma anche Dio e il suo Spirito. LANZA. Per la dimensione kairologica, noi ci
riferiamo alla storia come a un avvento, guardiamo alle cose che accadono non solo in dimensione
orizzontale, ma anche considerando appunto che Dio è tra i soggetti che agiscono.
 Progetto. È lo strumento, che stabilisce, che cosa fare, chi lo fa e quando deve essere fatto.
 Progettualità. È la mentalità che è capace di progettare.
Una parrocchia che non progetta [→ Discernimento pastorale, fasi, 2b decisione e progettazione. pag.
46], muore. Non si può pensare di agire ripetendo quello che è stato fatto, perché, se vogliamo che
l’azione sia efficace, si deve innervare nel contesto ed il contesto non è mai identico rispetto all’anno
precedente. Teoricamente si può, RÄUTENSTRAUCH poteva pensarlo, perché al suo tempo i parroci non
progettavano. La vita della parrocchia era scandita dai ritmi delle feste liturgiche, la società era
omogenea con la Chiesa, il loro progetto pastorale poteva consistere in:
 Che predicatori chiamo per la novena dell’Immacolata?
 Chi è il confessore straordinario per Natale?
 Quando facciamo la visita alle famiglie, da dove cominciamo?
Quelli erano gli elementi mobili che in un contesto omogeneo, fisso, ordinato e già centrato
ecclesialmente, potevano essere oggetto di un progetto. Ma adesso non è più così. In una Pastorale
statica, addormentata, la progettualità è minima e consiste nel ripetere quello che è già stato fatto,
rimane implicita, il discrimine non è tra avere o non avere un progetto pastorale, perché vi diranno che
abbiamo fatto sempre senza progetto. Ma questo è esattamente un progetto, che ha stabilito che
l’obiettivo è andare avanti ripetendo le stesse cose. L’agire è sempre intenzionale, è sempre
progettuale, il discrimine non è tra l’avere o il non avere un progetto, ma tra averne uno chiaro e
condiviso, discusso, partecipato e averne uno invece implicito che è nella mente del parroco.
La progettualità, cioè una mentalità da progetto, ha due scogli:
1) Sacerdoti. Se non hanno una mentalità da progetto è colpa del seminario.
2) Laici. La colpa è proprio loro.
Un prete può essere rimproverato di avere avuto una formazione individualista, ma in parrocchia no,
non c’è il singolo che fa le sue cose senza mai essersi confrontato con qualcuno. In questo senso la
mentalità va educata sempre e comincia da cose minime. La verifica è importante, finito un corso di
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catechismo, finita una riunione, è necessario incontrarsi per scambiare i propri punti di vista su come si
è svolta l’attività. Questa è mentalità da progetto:
 Verifico.
 Capisco.
 Ri-calcolo. Se emerge qualcosa di nuovo bisogna ri-pensare, ri-progettare.
La mentalità progettuale è quella che ha sempre un piano di riserva nei confronti di una eventualità
sfavorevole. Con la mentalità progettuale prima si fissa l’obiettivo e poi viene lo strumento.
Ad esempio, abituare i bambini ad utilizzare i foglietti con la meditazione del Vangelo della domenica:
1) Che sappiano aprire il Vangelo.
2) Che sappiano trovare il brano.
 Prendiamo un foglietto.
 Lo leggiamo insieme.
 Insegniamo ad averne cura.
 Facciamo un foglietto.
 Lo facciamo appendere nel quaderno (come fanno gli scout con i loro quaderni di caccia).
Perché i gruppi della pastorale familiare, giovanile, i gruppi di ascolto, che partono con tanto
entusiasmo, dopo un po’ sfioriscono? C’è mancanza di progettualità, un conto è attivarli durante la
missione, ma se vuoi che abbiano una continuità, li devi inserire in un disegno, bisogna individuare dei
responsabili, bisogna che i responsabili vadano a dei corsi, bisogna curare gli animatori dei gruppi di
ascolto, bisogna che ci sia un feedback di quello che fanno, che loro si sentano supportati dal parroco,
e così via. Ma ciò non vuol dire che se ci mettiamo tutta la buona volontà per fare i progetti migliori del
mondo, funzionino. Perché la teoria che noi possiamo mettere in campo, sempre si troverà una prassi
davanti, avremo sempre una fermata dell’autobus dove l’autobus non passa! Anche se abbiamo il
biglietto, anche se siamo alla fermata giusta, anche se la teoria è buona. Ma un conto è che questo
succede, e un altro è dire che la teoria consiste nel non prepararsi e nell’essere approssimativi. È
fondamentale che il progetto sia comunitario, tutti abbiano la possibilità di dire e il parroco ascolti tutti.
3) LANZA. Lo sguardo oggettivante. ∃ parrocchie con un progetto di tipo burocratico,
organicista, che hanno la commissione della catechesi, del centro giovanile, della casa alpina,
della caritas, degli emigranti (le grandi parrocchie del Nord Italia, organizzate come
un’azienda). La parrocchia è un insieme di organi, le commissioni che presiedono ai vari settori
della pastorale e che poi elaborano insieme il progetto. È un modello buono, ma in questo tipo
di modello, si insinua la pretesa della pianificazione, la creazione cioè di una comunità
parrocchiale che vive in funzione delle proprie attività e cioè il mantenimento della
commissione, il mantenimento del consiglio, la realizzazione e meno sulla freschezza e la
vivacità di un’azione di tipo missionario.
In questo momento storico, pur dovendo la parrocchia essere il più possibile organizzata, è molto più
importante il territorio e la presenza sul territorio, cioè che la chiesa, la comunità cristiana, sia visibile
dove la gente vive e lavora. Il progetto, in questo momento, deve essere spinto più all’infuori della
parrocchia, deve essere un progetto di tipo eccentrico, GIOVANNI PAOLO II nel 1988, ai parroci della
diocesi di Roma, disse “la parrocchia deve cercare se stessa fuori di se stessa”. La parrocchia non
esiste se non per la missione, solo in rapporto al territorio si capisce l’importanza della
evangelizzazione o la pastorale familiare, in rapporto alle concrete famiglie che hanno problemi, che
hanno perso la grazia del sacramento. Il principio d’incarnazione dice che il dato umano è rispettato dal
Signore, un’opera di educazione, di risanamento di un territorio hanno tempi obiettivamente lunghi, da
cui la dimensione operativa deve essere concretamente raggiungibile, deve essere una cosa che qui e
adesso è possibile fare, altrimenti non è un obiettivo e quindi non facciamo più TP.

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NUOVO PARADIGMA DELLA COMUNITÀ CRISTIANA
La catechesi è lo strumento adeguato nel momento in cui il contesto è cristiano, quindi la parrocchia
all’interno di un dato di fede che condiviso, si occupa dei sacramenti, perché le persone conoscono,
vanno a messa la domenica. La Chiesa fa catechismo, approfondisce il un dato di fede, perché il
catechismo presuppone la fede. Il contesto attuale, compreso i cristiani battezzati, non è più di
catechismo, ma di nuova evangelizzazione, perché bisogna portare il Vg, come se fosse la prima volta,
anche a gente già battezzata, che pensa di sapere già cos’è il Vg e che ha già deciso che può vivere
senza, è una situazione inedita, perché manca la fede. In questo contesto il catechismo è uno strumento
inadeguato, infatti il giorno della prima comunione si fanno feste, fuochi d’artificio, il giglio bianco, la
veste, ecc. ma la domenica dopo i bambini non sono a messa, perché non c’è fede nelle famiglie, non
c’è l’adesione ai sacramenti, la gente non va a confessarsi. Ma anche partendo da zero, non sarà il
kerigma, l’annuncio che li farà credere. Questo è un compito nuovo, ∄ ricette, non c’è un libro che dica
cosa e come fare. Quello che è chiaro è che lo spostamento deve essere eccentrico, perché pian piano la
generazione dei più anziani morirà, le chiese si svuoteranno e rimarranno solo alcuni, come è accaduto
in Francia, Belgio e Olanda. La pastorale deve seguire oltre al catechismo, la lectio, i gruppi, anche le
sollecitazioni che la cultura e la società propongono:
 Il riposo settimanale. I negozi sempre aperti anche la domenica, perché è tempo sottratto alla
famiglia, al riposo, al tempo da dedicare a Dio, è un comandamento di Dio.
 Eluana Englaro. La difesa della vita, la promozione della cultura della vita. Ai ragazzi che
fanno catechismo, se cominciano a pensare che si possa uccidere uno che sta male, che
l’eutanasia sia una soluzione buona, che apprenderanno dal catechismo se dietro c’è questa
cultura, per cui Gesù è irrilevante.
Oggi spesso ci chiediamo se la cresima vada fatta prima o dopo la comunione, senza preoccuparsi dei
problemi sociali, quali la droga, l’assistenza sanitaria. La parrocchia, la diocesi potranno intervenire per
dirci cosa dire a queste famiglie, fare un incontro e organizzarsi in questo momento, questo una
parrocchia lo può fare. Perché è da queste cose che nascono le vocazioni laicali, così le cose
cominciano a mettersi in movimento.

B. CARATTERI DELL’AGIRE ECCLESIALE


La verifica è molto importante perché se l’azione è stata fatta in maniera sbagliata, se è stata inutile, se
non è servita allo scopo o al compito assegnato, la verifica darà modo di ripensare a qual è lo strumento
o l’azione adeguata. La progettualità, è una qualità che va oltre la realizzazione della singola cosa. Ad
esempio, se stabiliamo di formare i gruppi del dopo cresima, questo orientamento diventa progetto nel
momento in cui si stabiliscono:
 Le classi.
 I gruppi di persone.
 Gli animatori.
 Gli itinerari da proporre.
La realizzazione del progetto metterà in luce se ciò che è stato pensato è adeguato:
 Lo strumento del gruppo ha funzionato?
 L’itinerario è congruo con il questi ragazzi?
 Gli animatori sono in grado?
L’attuazione degli orientamenti nel progetto, mette in moto non semplicemente l’azione:
1. Edifica la comunità. Attraverso il coinvolgimento di più persone ad un progetto comune. Ciò,
fa diventare un insieme di persone spurio in un gruppo unito, dove si conoscono e agiscono
insieme. In questo senso la progettualità è un valore, che supera il raggiungimento dello scopo.

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2. La verifica quantitativa. Se l’obiettivo del progetto è stato raggiunto.
3. La verifica qualitativa. Ciò che edifica la Chiesa non è semplicemente il fare qualche cosa, ma
la qualità delle relazioni che vengono generate da quella azione, perché si tratta di relazioni che
devono portare in se, Dio stesso.
Un’azione ecclesiale che non generi comunione, fraternità, non è un’azione ecclesiale. La messa
inizia quando l’assemblea si raduna, perché Gesù ha detto Mt 18,20 “dove due o tre si riuniscono nel
mio nome, io sono in mezzo a loro”. Le azioni che si compiono come Chiesa non devono essere aspetti
della spiritualità del collaboratore pastorale che agisce, ma devono essere azioni che vedendosi,
lasciano intravvedere qualcosa di Dio:
 Se un prete accumula soldi o ruba, è contro tutto ciò che dovrebbe testimoniare, perché
quell’azione contraddice chiaramente la natura di Dio, che non è un ladro. In un prete o in un
cristiano ladro c’è qualcosa di profondo che non va, non soltanto per il furto, ma perché Dio
non ha potuto esprimersi in quel battezzato, impedendo alla grazia del battesimo di trasformare
la vita del battezzato a immagine di Gesù.
 Se un’attività pastorale ha delle spese, per cui il prete chiedere un’offerta, un aiuto, perché la
Chiesa vive del sovvenire che i cristiani le procurano, è un’azione cristiana. Ma se il prete ci fa
la cresta, anche di poco conto, quell’azione non è più cristiana, anche se è fatta con le più buone
intenzioni, se non è dichiarata è come se avesse rubato.
Affinché ci sia un’azione ecclesiale, esistono dei caratteri riconoscibili in quanto testimoniano la
presenza di Dio in quell’azione. Tali caratteri sono costitutivi dell’azione ecclesiale, non ne sono
l’essenza, ma fattori qualificanti e determinanti. L’agire umano è caratterizzato:
 Intenzionalità.
 È collocato nel pensiero che progetta.  caratteristiche peculiari, per cui è possibile dire
“ecco, qui c’è Gesù Cristo”.
L’azione ecclesiale è sempre di tipo agapico, perché manifesta la carità di Dio, esprime sempre la
gratuità delle relazioni intra-trinitarie, Mt 10,8 “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” .
Se l’azione ecclesiale non esprime la gratuità dell’amore di Dio, questa azione è da cambiare. Ad
esempio:
 Le offerte della messa.
 Il tempo impiegato ad ascoltare una persona molesta.
Dio è Trinità, è P, F e SPS, i caratteri dell’azione ecclesiale devono rispecchiare le tre Persone divine:
1. P. Creatore.
2. F. Redentore.
3. SPS. Santificatore.

B1. PADRE CREATORE


Le azioni compiute dalla parrocchia devono poter mostrare che Dio è innanzitutto, creatore.
Il cardinale belga JULIEN RIES, antropologo famoso, è un’autorità in campo mondiale circa l’homo
religiosus come traccia della creazione. Ciò significa che l’azione ecclesiale deve considerare l’uomo,
come una creatura. Ogni uomo è strutturalmente religioso, cioè prima che intervengano la cultura, la
formazione e la tradizione. Dal punto di vista pastorale l’implicazione è abbastanza chiara, il senso
religioso è un dato sicuro sul quale sempre si può fare riferimento ed è la domanda o il desiderio di Dio
presente in ogni uomo ben prima di qualsiasi condizionamento politico, culturale, o anche biografico.
Questo dato è molto importante e smentisce una previsione che era stata fatta che, con l’avanzamento
della secolarizzazione, sarebbe corrispondentemente diminuito anche il senso religioso. HARVEY COX,
ministro della chiesa battista, con la sua teologia della secolarizzazione ha fatto molti disastri pastorali,
perché molti operatori pastorali, sacerdoti e catechisti, gente attiva e impegnata nelle comunità, hanno

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creduto alla città secolare, alla eclissi religiosa, la secolarizzazione come esito ultimo della modernità.
Questa teoria è stata smentita da PHILIP BERGER, il quale ha affermato che se c’è una realtà culturale,
vivace e in fermento, che si afferma sempre di più, è proprio la religione e proprio nel suo ruolo
pubblico. E questo lo dobbiamo all’Islam che non si è fatto tutte queste paranoie della città secolare e
che pone con evidenza il ruolo pubblico della religione all’interno delle società occidentali dove l’Islam
è penetrato. La secolarizzazione come esito ultimo non ha l’ateismo, ha la pluralità, il pluralismo
religioso, non l’eliminazione della religione. Questo è il punto di partenza di una pastorale che voglia
ripensarsi in senso missionario, guardando all’uomo come creatura, che ha 4 caratteri fondamentali:

I. CREATIVITÀ
1) La creazione non è soltanto ex nihilo, ma anche contra nihilum. È un’istanza che porta
ordine e significato nel mondo, agire affinché ci sia un’interpretazione del reale capace di
trattenere il significato religioso e divino della realtà, che non è caotica, è ordinata e creata dal
λόγος, è un cercare Cristo in tutte le cose.
2) Opposizione al nichilismo. È l’azione pastorale che si oppone a chi dice che la realtà non ha
valore, che la vita dell’uomo non conta. L’azione ecclesiale è sempre capace di un’energia in
grado di partire lì dove non c’è niente. ∄ una situazione pastorale di fronte la quale non c’è
niente da fare, perché questo contraddice la creazione di Dio. La situazione è gravissima, non
c’è più niente da fare è commette un peccato di fede contro Dio creatore, lo si sta smentendo.

II. ORIGINALITÀ
Quello che fa una parrocchia è sempre originale e unico. Il confronto, l’imparare dagli altri è
importante ed a volte necessario, ma ∄ una pastorale teorica che si prende e si trasloca da un’altra parte,
perché sarebbe una pastorale di tipo deduttivo e la teoria non passa mai nella prassi per passaggio
diretto [→ Modello deduttivo, Teoria e Prassi, pag. 35]. Originalità, è creare qualcosa di nuovo, che
porti la nostra impronta, la nostra sensibilità, i nostri doni, le nostre capacità.

III. CORPOREITÀ
L’uomo è fatto di anima e corpo. La pastorale della salute, del matrimonio hanno senso a partire dalla
considerazione di ciò che è accaduto nella creazione dell’uomo, Gn 1,27 maschio e femmina, che
hanno un corpo che si corrompe e che si ammala, un corpo che muore. I cristiani si sono distinti sempre
da altre culture, da altre religioni, per il rispetto al cadavere, tale rispetto è pensato all’interno di questa
fede nella creazione del corpo da parte di Dio e nel fatto che il corpo, nell’essere umano, non è mai
materia bruta, ma è sempre destinato alla risurrezione.

IV. VULNERABILITÀ
L’essere umano è vulnerabile, in quanto è un corpo destinato a morire. L’esperienza della
vulnerabilità, del peccato e del limite, appartiene ai campi di interesse propri della Chiesa. L’ambito
della malattia, della prova, della morte, appartengono al campo proprio di azione della Chiesa, perché
la vulnerabilità e la fragilità sono traccia della creazione, Dio non ci ha creati immortali, o meglio ci
aveva creati, ma la nostra condizione è la condizione di chi ha bisogno di essere riscattato e redento.

B2. FIGLIO REDENTORE


Gesù Cristo, il verbo fatto uomo, è unità vivente, teorica e corporea, di verità e di carità, di λόγος -
logos e ἀγάπη - agape. L’agire ecclesiale ha sempre dentro di se la dimensione dell’annuncio e della
testimonianza della verità e la diaconia della carità:
a) Testimonianza della verità. Evangelizzazione.
b) La diaconia della carità. Il servizio.

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A. TESTIMONIANZA
Un’azione ecclesiale che non evangelizzasse non è un’azione ecclesiale. È sbagliato sostenere che non
c’è necessità di parlare di Gesù, piuttosto bisogna testimoniare con la vita. Ma una testimonianza muta
è un significato che non arriva, non basta vedere l’uomo, occorre capire, non basta l’opinione, è
necessaria la verità. Il servizio (diaconia) e la testimonianza della verità sono costitutivi dell’agire
ecclesiale, PAOLO infatti dice che il ministero degli apostoli è quello di cooperatori della verità, a
disposizione della verità, perché la verità potesse essere conosciuta. È un aspetto molto importante in
questo tempo di nuova evangelizzazione, in cui da una parte la libertà religiosa conosce delle difficoltà
ad affermarsi e dall’altra l’azione ecclesiale teorizza un dialogo che preceda e non accompagni
l’evangelizzazione. Discorsi come “non dobbiamo spingere a che i musulmani si convertano, basta che
siano bravi musulmani” minano il compito della Chiesa affidatole espressamente da Gesù, ovvero che
tutte le genti siano battezzate e arrivino alla conoscenza della verità, Mt 28,19 “Andate dunque e fate
discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, Mc 16,16
“Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvato; ma chi non crederà sarà condannato”. Il mandato che
Gesù affida alla Chiesa, non è stato quello del dialogo, ma è stato quello dell’evangelizzazione. Il
dialogo è un mezzo di rapporto tra Chiesa e il mondo, ma non si può cambiare uno strumento con il
fine, noi dobbiamo essere seriamente dispiaciuti che ¾ dell’umanità non conosca Gesù Cristo, perché
questa è una grande disgrazia, è un grosso problema, ed un grande compito che ci riguarda. Non è vero
che se basta conoscere Gesù per essere contenti, lo è per certi versi, ma è tendere ad una vita
quanto più simile alla Sua, perché una vita senza Gesù Cristo non è il massimo. Purtroppo molte
azioni pastorali portano l’impronta della vergogna di Gesù, trattata da Paolo, 1Cor 9,16 “Non è infatti
per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!”;
Rm 1,16 “Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque
crede, del Giudeo prima e poi del Greco”. Ad Esempio, un parroco va a trovare i musulmani, ma non
parlo loro di Dio, di Gesù. È vero che non può presentarsi in casa e fare la catechesi o annunciare il
kerigma, ma è penoso un cristiano che di proposito non annuncia Gesù, non perché bisogna parlare
sopra le persone come fanno i telepredicatori americani o come fa certa gente che ripete sempre le
stesse cose “credi in Gesù, alla Madonna, a Medjugorje” e non ascoltano mai la persona. Come
l’azione ecclesiale, pastorale di andare dai carcerati o ammalati e non pregare con loro. Al malato in
quel momento la tua presenza testimonia che Dio ha cura di lui, che si ricorda di lui, che la comunità
cristiana conosce la sua situazione. Che un cristiano, prete o ministro straordinario, nell’imminenza
della morte non dica “ma forse sarà il caso dell’olio santo” e ignori che esiste un sacramento che
accompagna la malattia, è grave!

B. DIACONIA
L’agire della Chiesa deve avere sempre una dimensione di servizio, perché questo è proprio di Gesù, se
vuole esserne il riflesso, che è unità vivente di verità e carità, infatti Gesù ha detto, Mc 10,45 “il figlio
dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.
Questa destinazione al servizio della missione di Gesù è costitutiva dell’azione della Chiesa. Il termine
ministero, ministerium traduce la parola διακονία “diaconia, servizio”. L’agire della Chiesa deve essere
sempre preoccupato di chi deve servire, nel momento in cui dobbiamo decidere che cosa fare, uno dei
criteri della decisione deve essere: “chi, in questo momento, ha bisogno di essere servito di più?”. Gesù
userà l’espressione siamo servi inutili (Lc 17,10), cioè il servo è colui che coglie le situazioni come
occasioni nelle quali prendere l’iniziativa e agire a vantaggio di qualcun altro. Questo è il motivo per
cui la Chiesa, ripiegata su di sé, rende vana la percezione che ha di Dio e vive di ripetitività, se i
problemi non sono visti come occasioni di servizio (ricordate come sono nati i diaconi), diventano
questioni sulle quali l’agire della Chiesa si ferma, si blocca, si paralizza. Proprio dove c’è gente da

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servire, la Chiesa è messa di fronte alla possibilità di capire qual è la sua missione, o meglio di capire
qual è la sua identità. Papa BENEDETTO XVI, in Deus Caritas est, n. 20, “La coscienza di tale compito
ha avuto rilevanza costitutiva nella Chiesa fin dai suoi inizi: « Tutti coloro che erano diventati credenti
stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva
parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno » (At 2, 44-45). Luca ci racconta questo in connessione
con una sorta di definizione della Chiesa, tra i cui elementi costitutivi egli annovera l’adesione all’«
insegnamento degli Apostoli », alla « comunione » (koinonìa), alla « frazione del pane » e alla «
preghiera » (cfr At 2, 42). L’elemento della « comunione » (koinonìa), … consiste appunto nel fatto che
i credenti hanno tutto in comune e che, in mezzo a loro, la differenza tra ricchi e poveri non sussiste
più (cfr anche At 4, 32-37).” è costitutivo della Chiesa l’agire caritativo, n. 25b, “La Chiesa è la
famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del
necessario. Al contempo però la caritas-agape travalica le frontiere della Chiesa; la parabola del
buon Samaritano rimane come criterio di misura, impone l’universalità dell’amore che si volge verso
il bisognoso incontrato « per caso » (cfr Lc 10, 31), chiunque egli sia. Ferma restando questa
universalità del comandamento dell’amore, vi è però anche un’esigenza specificamente ecclesiale —
quella appunto che nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno.
In questo senso vale la parola della Lettera ai Galati: « Poiché dunque ne abbiamo l’occasione,
operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede » (6, 10)”, se non c’è la carità, la
Chiesa non risponde alla sua intima natura. Quindi una parrocchia che funziona benissimo, che è
attivissima, ma non avesse un servizio alla carità, istituzionalmente invisibile o rilevante, mancherebbe
alla sua missione, perché Gesù è unione vivente, personale, di verità e carità. La rivelazione si compie
attraverso gesti e parole [DV2 gestis verbisque], intimamente connessi tra loro. I gesti della carità
rivelano Gesù Cristo e sono servizi fatti a Gesù Cristo, Mt 25,35 “Avevo fame e mi avete dato da
mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere”.

L’ELEMOSINA
 Il mercoledì delle ceneri è ribadito ciò che deve essere di pertinenza del cristiano:
o L’elemosina. È il rapporto con il prossimo.
o La preghiera. È il rapporto con Dio.
o Il digiuno. È il rapporto con le cose.
Il termine “elemosina” deriva da ἔλεος – eleos, “compassione, misericordia”, è l’amore che fa sentire la
vita dell’altro come propria. L’elemosina può essere l’atto materiale, in soldi o beni, ma di per sé
elemosina è la relazione buona, amorevole, che ho con il prossimo.
Nei libri sapienziali, ripresi nel NT, l’elemosina è uno strumento di espiazione dei peccati:
 Tb 12,9. L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato.
 Sir 3,30. L’acqua spegna il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati.
 1Pt 4,8. Conservate una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati.
 2Cor 9,6-7. 6Tenete a mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina
con larghezza, con larghezza raccoglierà. 7Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo
cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia.
La carità non è da intendere solo come l’atto bruto del dare i soldi o del fare qualcosa, piuttosto come
un cuore magnanimo, che comprende, che fa posto, che copre una moltitudine dei peccati.
Ad esempio, il problema pastorale delle persone divorziate e risposate che non possono accedere al
sacramento della penitenza. È chiaro che rimane la ferita sacramentale e tuttavia deve esistere un
itinerario di conversione del cuore, che consiste appunto nella magnanimità, nel farsi carico, nel porre
gesti di carità. Senza nulla togliere all’aspetto canonico. Ci sono due estremi da evitare:

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1. Non do mai l’elemosina perché non so dove va a finire. L’elemosina ha un valore importante
per chi la fa e non dovremo mai indurire il cuore, è vero che a volte dare dei soldi non aiuta,
perché verosimilmente li butterà ancora nel bere, ma questo non può impedire di fare
l’elemosina, quanto piuttosto di aiutarlo in maniera diversa.
2. Ho fatto l’elemosina e quindi sono posto. Non è con l’assistenzialismo che si risolvono i
problemi, perché ∃ una radice politica. Infatti SAN TOMMASO ha detto che la politica è la forma
più vasta di carità. Ma non vuol dire che non la devi fare, in attesa della politica.
Un esempio importante: PIER GIORGIO FRASSATI (Torino 1901-1925). Proclamato beato da
GIOVANNI PAOLO II il 20 maggio 1990, definito “il ragazzo delle otto Beatitudini”. Fu attivo in
politica (PPI), affinché la dottrina sociale della Chiesa fosse il programma della società civile, perché
questo avrebbe aiutato i suoi poveri. Il servizio, ciò che la Chiesa fa deve essere determinato da questa
domanda, “chi scelgo di servire?” Questo è un connotato oggettivo dell’azione pastorale, è la situazione
che chiama aiuto, che determina il tipo di servizio. La Chiesa agisce in termini di diaconia, di servizio,
“perché c’è bisogno e io te lo chiedo”. Quando il parroco chiama per fare qualcosa, dobbiamo far
presenti le difficoltà che abbiamo, se in coscienza ci sentiamo inadeguati al compito, ma una volta detto
tutto questo, se il vescovo, la madre generale, il parroco dicono “sì, ho capito, però c’è questa
emergenza, c’è questa urgenza, ho bisogno proprio di te, anche se non sei il migliore”, per la stessa
dimensione diaconica uno deve rispondere “sì, va bene, sono al servizio”.

B3. SPIRITO SANTO SANTIFICATORE


SANT’AGOSTINO dice che lo Spirito Santo è la communio, la comunione. P e F hanno un nome
proprio, invece lo SPS non è esclusivo della terza persona, perché anche il P e il F sono uno spirito
Santo. AGOSTINO dice che è proprio questo che rivela l’identità dello SPS, è colui che è in comune al P
e al F, è Lui la comunione che li lega è l’Amore:
 L’Amante - il P.
 L’Amato - il F.
 L’Amore - lo SPS.
Lo SPS è innanzitutto l’edificazione della Chiesa, della communio che È la Chiesa. La LG definisce la
Chiesa come un sacramento di unità degli uomini con Dio e degli uomini tra di loro, è in questo senso
la Chiesa è l’opera dello SPS, che è il cuore della Chiesa e come il cuore ha due movimenti, sistole e
diastole, la raccolta del sangue e l’espansione dello stesso per nutrire tutto il corpo.
L’azione dello SPS:
 Raccolta. Lo SPS è il principio dell’unità della Chiesa, ha il compito dell’edificazione.
 Diffusione. Lo SPS porta la Chiesa ad essere missionaria, far conoscere Gesù al mondo.
Edificazione e missione della Chiesa sono i due caratteri propri dell’azione dello Spirito Santo, per cui
tutto ciò che nella Chiesa è fatto, deve servire all’edificazione e deve servire alla missione. Questo era
il carattere che GRAF e SCHLEIERMACHER intendevano della TP “cosa deve fare anzitutto la Chiesa,
deve edificare se stessa”. Qualunque cosa che divida la Chiesa, non è voluta dallo SPS. Certamente lo
SPS agirà nel senso della riforma della Chiesa, ma questa riforma non comporta una scissione dalla
Chiesa, ma l’espansione positiva, magari travagliata e difficile, di questo soggetto, non la creazione di
un altro soggetto. La comunità cristiana ∃ perché missionaria, AG 2, “la Chiesa durante il suo
pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla
missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine.”
Eliminata la missione, non c’è più la Chiesa e lo scopo della missione è quello di tendere alla Chiesa, di
unire l’umanità nella Chiesa, lo SPS è colui che spinge la missione, prepara alla conoscenza di Gesù,
attira alla conoscenza di Gesù. L’azione pastorale è comunicazione è del Vg, sia che diate da mangiare

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ad un povero, sia che facciate catechismo, sia che andiate a messa, l’azione ecclesiale è la trasmissione
di qualcosa che tocca chi riceve quell’azione, o chi vede quell’azione, nel suo senso del sacro e lo apre
alla possibilità di Dio, è un’azione che spinge chi la vede o chi la riceve a sentire e riconoscere che qui
c’è Dio. L’agire ecclesiale è un agire sempre missionario, anche l’azione più ad intra della Chiesa,
l’Eucarestia, i sacramenti (che sono, in quanto segni della fede, quello che di più intimo ed interno ci
sono nella vita della Chiesa), devono sempre rendere possibile questa comunicazione del Vg, per
questo DV ha trattato sia del rapporto che la Chiesa ha con il libro delle scritture che di ciò che la
Chiesa riceve come compito, l’annuncio del Vg.
1. Ad esempio, si può accogliere un povero, preoccuparsi di dargli del sostentamento, oppure è
possibile sedersi ed offrirgli un caffè come si farebbe con un amico, ascoltarlo e rispondergli
mettendo in mezzo il Signore, cioè vedendo insieme a lui la vita che vi sta raccontando in una
dimensione di fede. In quel momento la dimensione è missionaria, è in teoria un’opera di carità.
2. Come mai tanti operatori della caritas o di altri organismi cristiani, cattolici, non sono
credenti? Oppure acconsentono a posizioni morali che la Chiesa cattolica non riconosce come
verità? Perché si è scissa la dimensione della comunicazione del Vg e si è detto che è possibile
fare un’opera buona anche senza mettere di mezzo il Signore ed in questo senso quest’opera
non è un’opera ecclesiale, non è che non sia un’opera buona, ma non è un agire ecclesiale,
un’opera che lo SPS fa attraverso il suo corpo che è la Chiesa.
La dimensione missionaria riguarda vicini e lontani, anche nell’ipotesi che tutti siano diventati cristiani
essa non verrebbe meno, perché l’impegno a comunicare all’altro il Vg resta sempre, questo Vg che è
Gesù, non il libro del Vg, ma colui che è la parola di Dio fatta carne, Gesù, che viene a noi attraverso
due vie segnate nella DV:
1. La Bibbia. la parola scritta.
2. La tradizione. La vita della comunità cristiana.
Riassumendo ogni azione pastorale deve essere finalizzata secondo questi connotati:
a) Agapica. Donativo – oblativa.
b) Diaconica. Servizio – carità – gratuità.
c) Edificante la comunità. Testimoniare Dio (martyria) qui ed ora, portare il Suo amore.
d) Missionaria. Evangelizzazione (kerygma).
Se l’azione non corrisponde a questo, c’è qualcosa che non va e occorre una verifica pastorale.
Un altro effetto dello SPS è la configurazione carismatica della Chiesa, uno dei frutti recenti del CV II.
Il cardinale SUENENS (1904-1996), fu incaricato da PAOLO VI di seguire il movimento carismatico.
SUENENS sosteneva che il Concilio ha dato il progetto e ha messo a punto la macchina, adesso perché
la macchina funzioni, ci vuole la benzina e la benzina è lo Spirito Santo. Il compito della communio, è
la circolazione della vita dello SPS fra i cristiani, non è un compito finito, ma assume sempre
fisionomie diverse, nuove, proprio perché è una vita, che di natura sua, cresce, non sta ferma, non è
immobile. Garantendo la vita dello SPS, Egli agisce anche con una ciabatta (o l’osso d’asino - dice il
profeta). Ad esempio, il CURATO D’ARS. JEAN - MARIE BAPTISTE VIANNEY (1786-1859), scriveva
con una semplicità disarmante, con una grafia da 2a elementare. Respinto più volte agli esami, il
vescovo lo aiutò per l’ordinazione, perché era veramente un testone, incapace di ricordarsi quanto
studiava anche se ce la metteva tutta. Il CURATO D’ARS è patrono dei parroci, è modello dei sacerdoti
secondo Papa GIOVANNI XXIII (enciclica Sacerdotii Nostri Primordia). Quello che ha fatto nella sua
parrocchia è esemplare per qualunque parroco. Lo strumento è ben poca cosa, è ciò che accade
attraverso lo strumento che salva (principio del divino - umano, o dell’incarnazione). La povertà
intellettuale del CURATO D’ARS in realtà mascherava una potente vita dello Spirito, un’irradiazione
della grazia, nella riconciliazione, nella conversione e nella penitenza.

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I CARATTERI DELLO SPIRITO SANTO
Lo SPS è la communio, l’Amore che lega l’Amante all’Amato, il P al F, è la vita del P che si riversa nel
F e viceversa, tradizionalmente definito come ἀγάπη – agape, carità. Lo SPS genera la Chiesa, rende
possibile la fede, la carità e la speranza. È Santificatore, trasforma la vita umana, sia singolare -
personale che plurale - comunitaria, a immagine della vita di Gesù Cristo:
1. Lc 1,34-35, 34”Allora Maria disse all’angelo, com’è possibile? Io non conosco uomo”. L’angelo
non dice come, ma Chi agirà, 35”lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra
la potenza dell’Altissimo”.
2. L’opera dello SPS è generare il figlio di Dio:
a. Nel seno della Trinità.
b. Nel grembo della vergine Maria.
c. Nella vita del mondo.
3. 2Cor 3,18 “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore,
veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello
Spirito del Signore”.

QUALITÀ DELL’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO

1. LA DINAMICITÀ
Lo spirito non si limita a suggerire le cose da fare, ma le abbellisce, le rende facili, le rende profumate:
 2Cor 2,14. “Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde
per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero”. Siamo nel mondo il
profumo di Cristo.
Il profumo rende gradevole ciò che lo emana, non è necessario, ma come la luce, la sua presenza o
assenza è avvertita. Con questa qualità carismatica Dio abbellisce la Chiesa di doni di per sé non
necessari alla sussistenza, ma che la rendono bella. Ci sono nella Chiesa dei doni dello SPS che sono
fondamentali, sostanziali, che sono per l’essere della Chiesa:
1. La parola di Dio.
2. La tradizione.
3. I sacramenti.
4. Il ministero ordinato.
Ce ne sono altri che sono per il benessere della Chiesa, perché la Chiesa cioè possa vivere bene, al
meglio, la sua vocazione e secondo i compiti e il tempo in cui è chiamata vivere:

A. I CARISMI
Orientano la Chiesa, per il suo beneficio in tutto il mondo. Lo SPS agisce attraverso il carisma, dato in
un contesto preciso. Se viene dallo SPS, si diffonde in tutta la Chiesa. Tra il 1200 – 1300, lo SPS ha
suscitato i Mercedari, che si occupavano del riscatto dei cristiani rapiti dai pirati saraceni. Terminate le
incursioni il carisma è finito, il contesto invoca altro. Il CV II ha chiesto agli istituti religiosi, di
rivedere il proprio carisma, se è ancora rispondente ad una chiamata dello SPS oppure è esaurito.
Dietro certe crisi di vocazioni di alcuni istituti e di alcuni ordini dobbiamo chiederci se non ci sia
un’indicazione dello SPS che il carisma si è esaurito. I Mercedari hanno ricompreso quale era il loro
carisma, dato che il compito iniziale era esaurito, oggi, si occupano della tratta delle prostitute, rapite e
schiavizzate dai loro capi. Ricomprendere il carisma significa andare alla radice del dono dello spirito,
al di là di come concretamente, storicamente, si è manifestato e comprendere come quel carisma
reagisce nella situazione, nel contesto attuale. Diverso è per gli ordini religiosi, che rispetto gli istituti
non esprimono un carisma per una necessità storica, quanto una qualità propria della vita cristiana:
 Francescani. La povertà, la sequela di Gesù povero e crocifisso, in letizia.
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 Domenicani. La contemplazione della verità.
 Agostiniani. L’amore quotidiano della vita fraterna.

B. I MOVIMENTI
Nel post CV II, nacquero spontaneamente, inattesi ed imprevisti, non pianificati. La Chiesa ha
ufficialmente riconosciuto per molti di loro, la loro derivazione carismatica, cioè doni che lo SPS ha
dato alla Chiesa. Padre Raniero Cantalamessa sostiene che l’evangelizzazione ha avuto 3 fasi:
1) Affidata agli apostoli, ai vescovi. Fino all’alto medioevo, il cui ultimo rappresentante fu
MARTINO DI TOURS (missionari irlandesi e scozzesi che hanno evangelizzato l’Europa).
2) Ordini mendicanti e degli istituti religiosi. Basso medioevo fino alla modernità.
3) Laici e movimenti. Dal CV II in poi.
La Chiesa cattolica in Italia al proprio interno ha offerto una pluralità di esperienze di tipo religioso, i
movimenti hanno offerto qualità diverse di appartenenza alla Chiesa, con sensibilità molto varie,
diversamente, come la Francia, dove la Chiesa cattolica era un monolite. Questo ha propiziato la tenuta
del cattolicesimo e ciò spiega perché i movimenti sono stati voluti dallo SPS, è indubbio che l’efficacia
dei movimenti, a prescindere dal loro operato che sarà giudicato dalla storia, rispetto all’efficacia
pastorale ed evangelizzatrice delle parrocchie, depone a favore della loro provenienza dallo SPS.
L’azione pastorale ha un’energia, una capacità che non dipende soltanto dall’azione umana, questo è
molto importante, perché si tratta di assecondare l’azione che lo SPS fa in noi, non è questione di avere
o no capacità, quanto di avere o no fede, umiltà e povertà. Questa qualità carismatica dell’azione
pastorale deve correggere sia l’efficientismo, che l’attivismo, non ∃ soltanto il fare delle cose, ma
anche fare ciò che umanamente impossibile, reso tale solo dallo SPS. Ad esempio:
 Perdonare il nemico. È una attestazione della presenza dello SPS nella vita di una persona.
 Chiara Cordella. Che muore felice e serena dando la vita al suo bambino, accettando di morire
per farlo vivere, c’è lo SPS.
L’azione dello spirito mette in movimento, è una δύναμις, dinamys, una forza, che produce luce, non è
ferma, non è statica, non è ripetitiva, è sempre generatrice ed esplosiva. PAOLO VI, “Lo SPS
continuamente scompiglia i progetti, i disegni ecc.; fa in modo che la nostra azione non si riposi mai,
perché Lui è così”. Una pastorale di conservazione smentisce l’opera dello SPS, che ha suscitato dei
santi anche nelle pastorali più conservatrici, ovvero cristiani battezzati, che si sono aperti in maniera
non reticente all’azione dello spirito e che hanno prodotto qualcosa di nuovo, specialmente lì dove la
Chiesa non voleva entrare e non voleva fare, ad esempio gli ospedali, le scuole, le carceri, i condannati
a morte. RATZINGER. Lo SPS è sempre tende a rompere gli equilibri e nello stesso tempo è una
dinamica che sempre va incontro al Signore che viene, non sta ferma, cammina, si muove.

DINAMICITÀ ≠ ECCENTRICITÀ
∃ gente che si attribuisce patenti di profezia, perché hanno bisogno di emergere e usano a volte, anche
il ministero per proporsi come mandati dallo SPS. La vita dei profeti, nell’AT e nella Chiesa, è stata
sempre molto dura, Lc 6,26 “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti
facevano i loro padri con i falsi profeti” L’eccentricità e la libertà non significa poter dire “il diritto
canonico dice una cosa, ma siccome io sono libero me ne infischio del diritto canonico e del vescovo”,
lo SPS fa andare oltre il minimo del diritto canonico, ma mai contro e ciò che il diritto canonico chiede,
perchè il diritto canonico non impedisce né l’irradiazione della carità, né della fede, né della santità, né
della libertà della Chiesa.
Ad esempio:
1. I divorziati e risposati. Se uno dicesse “sì, la Chiesa dice questo ma la misericordia del
Signore è più grande delle regole della Chiesa”, non sta facendo un atto di carità.

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2. La pedofilia. È un problema che non è stato affrontato in modo adeguato, perché vescovi e
superiori, hanno ritenuto di infischiarsene delle regole del diritto canonico, date per affrontare
problemi di questo tipo. Però, siccome bisogna essere buoni, piuttosto che punire, (∃ una
punizione cristiana sana che non è contro la persona), anziché punire, hanno spostato, anziché
affrontare il problema lo hanno trasferito da un’altra parte, con le conseguenze che sono sotto
gli occhi di tutti. I frutti di questa azione dimostrano una resistenza allo SPS, che non può
inclinare a fare il male o protegge il male o non difende chi è umiliato.
3. Dio non manda profeti contro la Chiesa, li manderà certamente a schiaffeggiarla. ∄ un
profeta che sostenga che “la Chiesa è finita, adesso siamo arrivati noi!”, questo è giacobinismo.

DINAMICITÀ ≠ AGGRESSIVITÀ
Essere dinamici, attivi, propositivi, non significa essere invadenti o aggressivi o cattivi. Se un
musulmano o un ateo vengono in un ospedale cattolico sono curati come ogni altro paziente, non gli è
imposto di diventare prima cattolico. Essere aggressivi è anche usare quel tono che tende ad umiliare le
persone, si deve sempre dire a una persona se un atto è compiuto contro la legge morale o non è un
bene, ma questa legge è per lei, per aiutarla a vivere, non per umiliarla o per ispirare vergogna di vivere

2. LA LIBERTÀ
Se ∄ libertà  ∄ amore  ∄ servizio, ma paura e divisione. La modernità ha regalato alla Chiesa,
oltre a tanti disastri, la libertà di essere cristiano, libero da ipocrisia e consenso sociale. Un
convincimento interiore, appassionato, a Gesù, alla verità, alla libertà del Vangelo e non semplicemente
una legge esterna che costringe dal di fuori, che rende cristiani e liberi all’azione dello SPS.
Padre ANTOINE CHEVRIER, sacerdote contemporaneo del CURATO D’ARS, diceva, “quello che è troppo
raccomandato, quello che è troppo costretto, non dura”. L’azione ecclesiale deve sempre avere una
vitalità interna per cui sì, insisto, faccio presente, invito, raccomando, ma l’attività pastorale non può
essere una coercizione, perché deve essere una cosa che esprime una libertà di adesione e quindi
l’amore che aderisce ad una cosa che piace.

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3. Fenomenologia

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4.Antropologia
INTRODUZIONE – LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA” DELLA LUMEN GENTIUM
La commissione ante preparatoria,del concilio, non fu una commissione di conservatori gretti e stupidi,
ma un insieme di gente preparata, che aveva raccolto il materiale arrivato da tutto il mondo circa la
Chiesa ed aveva prodotto un documento, che ricalcava l’ecclesiologia piramidale di S. ROBERTO
BELLARMINO (1542-1621). Il documento riprendeva e ricomponeva un quadro ecclesiologico
interrotto durante il CV I, perché non ebbe il tempo di affrontare il temo del primato petrino nel
rapporto col collegio episcopale. L’idea di un concilio precede quindi Papa GIOVANNI XXIII,
formalmente il CV I non è mai stato chiuso da nessun atto del Papa. Altro tema non affrontato era
quello della Sacramentalità dell’episcopato. Quando questo documento fu presentato, fu respinto. Un
intervento radiofonico del cardinal MONTINI fa capire perché, “materiale interessante, ottima raccolta
di contenuti, ottima esposizione, magnifico compito, ma il concilio non ha un tema architettonico: non
c’è un principio architettonico che ci dica di che cosa siamo venuti a parlare”. Perché? Perché tutti i
concili precedenti erano concili che intendevano rispondere ad un errore dottrinale, riaffermando la
retta professione della fede; tutti i concili terminavano con un simbolo della fede (basti ricordare i
concili di Nicea, Calcedonia e Costantinopoli) e la professione di fede, grosso modo, sempre
concludeva i lavori del concilio con gli anatematismi, che prima di essere una condanna questo era un
servizio alla verità, cioè chi vuole essere cattolico deve ritenere questa cosa come un atto di fede”.
Il CV II si aprì con la questione “di che cosa parliamo?” Non c’è un errore della fede, non c’è un
problema di fede. Papa GIOVANNI XXIII nella omelia di apertura del concilio Gaudet Mater Ecclesia,
“vogliamo riaffermare il deposito della fede, lo vogliamo rendere ancora più splendido” perché questo
deposito della fede non entra in rapporto col mondo e quindi dobbiamo essere pronti ad offrirlo in
maniera comprensibile. Sempre il cardinal MONTINI, “io ritengo che questo principio architettonico
debba essere la Chiesa”, perché nella trattazione dottrinale non si trattava più del P, del F e dello SPS,
ma di ciò che è la Chiesa, se è necessaria, istituzionale, carismatica, intima e privata, sacramentale e
mistica o visibile e concreta. Queste questioni si trascinavano da secoli attendevano una loro
sistemazione. Già alla fine della WWI, ROMANO GUARDINI (1885-1968), scrive “siamo alla vigilia di
una grande rivoluzione, la Chiesa si risveglia nelle Ande”. L’immagine della Chiesa dopo CdT era
giuridica, una societas perfecta, il CV II colse l’influsso che lo SPS suscitava a vari livelli con i
movimenti preparatori, che spingevano verso una riforma complessiva ed evangelica della vita della
Chiesa, una Chiesa sentita come il luogo in cui la salvezza si manifesta. MONTINI ebbe una visione
prospettica decisiva, ben delineata nell’omelia all’apertura della 2a sessione del concilio “Chiesa, cosa
dici di te stessa?”, ponendo de facto, la questione ecclesiologica come la questione del concilio. È
anche per questo che fu eletto papa.

LE QUATTRO COSTITUZIONI
Due riguardano direttamente la Chiesa (ecclesiologia):
 Lumen Gentium. La natura della Chiesa.
 Gaudium et Spes. La Chiesa e il mondo contemporaneo.
Le altre due hanno argomenti specifici:
 Sacrosantum Concilium. La liturgia, la massima attività che la Chiesa ha nei confronti del
corpo di Cristo.
 Dei Verbum. Sulla divina rivelazione. Che ha due vie, la Bibbia e la tradizione (la vita della
Chiesa). Quindi anche DV ha a che fare con la con la Chiesa, la fede che nasce dall’ascolto, la
chiesa che trasmette la rivelazione.
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La “rivoluzione copernicana” della LG, fu il rovesciamento del quadro ecclesiologico precedente, non
bisognava partire dal vertice, si ebbe una nuova comprensione della Chiesa, il concilio usò il termine
popolo di Dio, un popolo che cammina, che sta dentro i fatti, che partecipa, che ha una sua visibilità
sociale. Il sinodo del 1985, a 20 anni dalla conclusione del concilio, disse che l’idea propria di Chiesa
che emerge dal CV II è quella della communio, il concilio afferma che la realtà della Chiesa si
comprende innanzitutto dalla sua unità di popolo di Dio.

1. IL POPOLO DI DIO
Il soggetto primo dell’azione ecclesiale è il popolo di Dio che condivide un’unica e identica missione.
Ad esempio:
1. Il risentimento verso la curia vaticana. Non ci può essere una diversa missione tra chi è in
trincea e chi è al centro, perché la missione è unica e identica e chi lavora in centro deve
sostenere la missione di chi è in trincea e chi è in trincea capisce questa missione a partire da
ciò che fa chi è in centro, ma non sono due realtà diverse.
2. L’elemento visibile o istituzionale della Chiesa non è un’altra cosa rispetto all’elemento
mistico, interiore, alla vita della grazia propria dei sacramenti. È proprio nella natura del
sacramento avere questo doppio aspetto che in realtà è unico:
 Fides qua. Ciò che si vede, ciò che è percepibile, visibile. L’atto di fede, il rito.
 Fides quae. Ciò che è a fondamento. Le verità di fede espresse nell’atto di fede, nel rito.
Questo è il fondamento che rende necessario il consiglio pastorale, l’identità e l’unicità della missione,
che non è solo una questione del parroco. Un prete, se non avesse una comunità cristiana, a cosa serve?
Un vescovo capisce se stesso non solo in rapporto ai compiti della curia, quanto col suo popolo. Questa
è la base teologica che regge la missione laicale, perché se non fosse così si potrebbe anche
legittimamente pensare, che esistono nella Chiesa delle vocazioni che sono più importanti delle altre.
È vero che ci sono delle vocazioni, per esempio la vocazione ministeriale, che è chiaramente costitutiva
della Chiesa e quindi è indubbio che questa vocazione assume un rilievo del tutto particolare tra gli
elementi costitutivi della Chiesa, ma se non ci fosse una comunità nemmeno questa vocazione avrebbe
senso e significato. Questa natura di reciproco rinvio è alla base del fondamento che ciò che fa il laico
ha piena consistenza nella Chiesa, cioè è un compito che edifica la Chiesa, che tratta le cose del mondo
orientandole secondo Dio. Il CV II si rese conto, che la missione sacerdotale e della vita consacrata, era
insufficiente a trattare le cose del mondo e a ordinarle secondo Dio, perché dopo la modernità il mondo
si è costituito come se Dio non esistesse.
RATZINGER. Quando una comunità si riunisce per l’eucarestia “sta facendo una cosa decisiva per la
salvezza del mondo”, perché quando il popolo di Dio, si riunisce e celebra l’eucarestia compie l’azione
più grande che il popolo di Dio può fare, ovvero ascolta e riceve la parola di Dio, rinnova l’alleanza e
accoglie Dio che viene a trasformare quell’assemblea in un’offerta gradita, porta la vita degli uomini
già nella vita di Dio. È un anticipo di resurrezione, della vita beata, del nostro compimento.
 Comunione è sempre unità di diversi, è la Chiesa. Fonda l’unità della missione, non solo
l’identità (la Chiesa è la comunione dei battezzati), perché la missione della Chiesa appartiene a
tutti i battezzati, non è solo dei vescovi, del Papa, dei preti, dei laici, ma di tutti questi soggetti
insieme, nell’armonia delle loro diversità e specificità.

A. CORRESPONSABILITÀ
È una qualità propria dell’essere cristiano, è l’appartenere allo stesso popolo, l’essere communio, ciò fa
sì che tutto ciò che è degli altri mi appartenga ed io ne sia corresponsabile. È propria dei laici e dei
preti, non è una cosa da fare, per cui è errato dire che la Chiesa deve essere fatta da gente che è
corresponsabile, che occorre sviluppare la corresponsabilità dei laici.

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Tutto questo ha delle implicazioni, ad esempio, la comunicazione nella Chiesa è necessaria, tutti
debbono sapere. Sovvenire alle necessità della Chiesa è uno dei 5 precetti generali, è compito dei laici,
di chi lavora, sovvenire alle necessità della Chiesa e dei poveri e questo dovere di sovvenire fonda il
diritto di sapere, dove vanno i soldi, quale uso ne viene fatto, come vengono determinate le
destinazioni. L’idea dietro l’istituzione dei consigli degli affari economici è che non è solo il parroco
che deve essere responsabile delle spese, perché per il principio di corresponsabilità, il parroco deve
rendere conto. Un parroco deve avere un consiglio che approva e una documentazione che possa essere
esibita, che normalmente è vistata e vidimata dall’ufficio della curia che dice che la procedura è stata
corretta. L’agire corresponsabile è esattamente l’agire che sente la missione di tutti come propria. Se il
prete sta male, non ce la fa, ha bisogno, io devo sentire questo bisogno come fosse mio, non sarò la
persona in grado di risolvere tale situazione, ma essere corresponsabile quanto meno mi farà pregare
per questa cosa, fare presente, sollecitare. La corresponsabilità viene prima dell’effettivo fare qualche
cosa, è il sentire la vita dell’altro come mia e quindi ciò che viene fatto da la Chiesa come qualcosa che
mi deve poter rappresentare, non è l’assunzione di un ministero ed è una qualità che riguarda i laici, i
religiosi e i ministri.

B1. COLLABORAZIONE
PAOLO in Rm 16,3 usa il termine collaboratori del Vangelo parlando di Aquila e Prisca, i laici che lo
aiutavano nel suo compito di diffusione del Vangelo, infatti non dovrebbe essere usata la locuzione
operatori pastorali, quanto di collaboratori. Collaborare significa faticare:
 Rm 16,6. “salutate Maria, che ha faticato molto per voi”.
 Rm 16,12. “salutate Trifena e Trifosa, che hanno faticato per il Signore. Salutate la carissima
Pèrside, che ha tanto faticato per il Signore”.

B2. PARTECIPAZIONE
La corresponsabilità riguarda tutti i battezzati, la collaborazione o partecipazione riguarda invece solo
alcuni, i quali sono chiamati a svolgere, un servizio nella Chiesa che si incardina sul battesimo, un
servizio che possono assumere perché sono battezzati e cresimati:
1. Il catechista. Partecipa alla vita della comunità cristiana, collabora alla diffusione del Vangelo,
ma vi collabora in quanto laico, l’impegno dell’evangelizzazione è inscritto nel battesimo, non
viene dal conferimento di un incarico, non è richiesto un sacramento per fare il catechista.
2. Accolitato e lettorato. Attualmente, nella Chiesa italiana, sono gli unici incarichi ufficiali a
carattere ministeriale. Sono dei battezzati, ai quali in forma pubblica, per mandato ufficiale
della Chiesa, è affidata la lettura della scrittura durante la messa, nelle celebrazioni e
l’assistenza al celebrante durante la celebrazione liturgica, in quanto servizio all’altare. PAOLO
VI nel Motu proprio del 15 agosto 1972, Ministeria quaedam, per ministero intende un
mandato pubblico e ufficiale, per cui, chi lo riceve, agisce a nome della Chiesa
Perché è importante dire questo? Avrete senz’altro sentito parlare di un “ministero coniugale”: non
esiste alcun ministero coniugale. Chi è sposato ha ben più di un incarico ufficiale, ha un sacramento di
cui vivere. Nelle chiese giovani è stato istituito il ministero del catechista perché in queste chiese, le
comunità sono tenute dai catechisti: il parroco può andare tra queste comunità ogni due o tre mesi per
celebrare la messa, ma in quel caso il catechista ha un pubblico incarico, ufficiale, da parte della
diocesi, di trasmettere la fede e di guidare la preghiera della comunità la domenica.
3. Collaboratori alla carità. Chi ha ruoli di animazione della carità, assume già la fisionomia di
ministero. Un animatore della Caritas che fa da referente, è l’esercizio di ministero di fatto.
4. Vocazione della diaconia. Non è sufficiente una passione o un’attitudine per una cosa perché
ci sia vocazione. L’attitudine è prerequisito, ma la vocazione è la chiamata della Chiesa ad
assumere un compito. Il ministero incrocia questi due aspetti:
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 Attitudine. Un dono di grazia che è presente per il battesimo e la cresima.
 Il discernimento e la chiamata della Chiesa. Che riconosce la persona come qualcuno da
chiamare a collaborare, a partire, dal battesimo e dalla cresima che ha ricevuto.

C. COOPERAZIONE
Nel diritto, cooperare è l’assunzione, in via suppletiva e straordinaria, di incarichi che di per sé
appartengono al ministero ordinato e che in forma del tutto eccezionale e straordinaria vengono svolti
da laici. In questo caso parliamo di cooperazione laicale, ad esempio:
1. I ministri straordinari della comunione. Di per sé non appartiene all’identità del battezzato
distribuire la comunione, perchè questo ministero è riservato al ministro ordinato, il quale però
lo può partecipare ad un laico.
2. I catechisti che reggono comunità. È ministero di tipo cooperativo, perché la guida della
comunità cristiana di per sé non spetta ad un laico, spetta ad un pastore. Ma può succedere che,
per scarsità di clero, un laico sia chiamato a cooperare alla guida di una precisa comunità
parrocchiale, di una comunità cristiana e a svolgere funzioni che di per sé sono invece proprie
del ministero ordinato.

PADRE CONGAR
Negli anni ‘70, espresse: “la Chiesa deve essere tutta ministeriale”.
 Se per Chiesa tutta ministeriale intendiamo la diaconia [→ Morfologia, pag. 54], allora si. La
Chiesa deve essere sempre orientata al servizio, ministerium traduce servizio e quindi l’azione
ecclesiale è ministeriale, perché è un’azione di servizio, sempre preoccupata di servire.
 Ma se intendiamo, come PADRE CONGAR, che nella Chiesa tutti debbono avere un ministero,
per essere qualcosa nella Chiesa, allora no. Ministero ha una definizione molto precisa, è un
incarico pubblico e ufficiale, determinato nella sua missione canonica. Nella Chiesa non
dovrebbe esistere che per diritto ereditario un catechista fisso alla 2a elementare. Non si
occupano posti di potere, si va dove c’è necessità.
Non basta per essere educatori che si sappia ballare e cantare, è un aspetto. Non è l’interessato che dice
di essere la persona adatta a fare quella cosa. I ministeri nella Chiesa non sono dati per la
soddisfazione personale di chi li vuole, per dare in qualche modo, consistenza a personalità
fragili. Non sono dati perché non c’è nessun altro e allora prendiamo quello che Dio manda sulla
terra e speriamo che funzioni, ma sono oggetto di discernimento. Non è sufficiente che ci si renda
disponibili a fare il ministro straordinario dell’eucaristia, perché non c’è nessuno che lo vuol fare. Il
Parroco ed il consiglio devono valutarne la nomina. Nell’assegnazione di un ministero esiste un criterio
di discernimento, è l’individuare quali sono le vocazioni di servizio e di collaborazione, che si vedono e
si presentano e formare dei ministri che possano svolgere quegli incarichi. Non può essere che
l’emergenza dei catechisti rimanga sempre emergenza, deve essere affrontata e stabilito con chiarezza
cosa vuol dire assumersi un ministero di questo tipo nella Chiesa. E deve poter essere, in qualche
modo, organizzato.

D. INDOLE LAICALE
Il campo proprio di espressione della santità battesimale è l’indole secolare, ovvero trattare le cose del
mondo ordinandole secondo Dio, non è avere un incarico nella Chiesa. Questa è la via propria di
partecipazione alla missione che è propria dei laici, che in quanto lavorano, sono sposati, hanno figli e
li accudiscono, facendo queste cose partecipano dell’unica missione della Chiesa. Non perché leggono
in chiesa o fanno parte del consiglio degli affari economici, ma perché sono fedeli alla loro vocazione,
al loro matrimonio, ed educano i loro figli, come hanno detto sposandosi, secondo la legge di Cristo e
della Chiesa. Questo è già sufficiente per dire che partecipano alla missione della Chiesa e lo fanno
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esprimendo Gesù Cristo in loro, cioè con amore, con fedeltà, con dedizione, con tenerezza, con verità,
con giustizia, tutto questo è l’irradiazione del ministero della Chiesa attraverso di loro.
 Consiglio pastorale parrocchiale. Una forma particolare di corresponsabilità e partecipazione.
 La democrazia nella Chiesa. È il rapporto tra ministero ordinato e i laici. In questo senso è
connesso al tema del consiglio pastorale, cioè dell’organismo dentro al quale questo rapporto
viene istituzionalizzato.

2. CONSIGLIO PASTORALE
Il consiglio pastorale o gli organismi di partecipazione funzionano se c’è qualcuno che vuole
partecipare, ma se non si vuole partecipare diventano delle scatole vuote o dei compiti che non hanno
un aggancio con la realtà. La corresponsabilità non è fare qualcosa, è una qualità dei battezzati in
quanto battezzati. È una nota propria del battezzato, quella per la quale tutto ciò che accade nella
Chiesa gli appartiene, fa parte della sua vita e questo precede l’assumere o meno un incarico nella
Chiesa. Un malato, inchiodato in un letto d’ospedale, che non può fare niente di pratico per la vita della
Chiesa, è corresponsabile della vita della Chiesa, perchè la Chiesa rimane sua, e lui è parte della
Chiesa, anche se materialmente non fa qualcosa. L’importanza, la vitalità di un soggetto ecclesiale, non
è data dal fatto che compia un ministero istituzionalizzato nella Chiesa, ma dal fatto che Gesù Cristo,
attraverso lo SPS, vive in lui e attraverso questo spirito compie la trasformazione del mondo e il culto
spirituale di Rm 12,1 “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”. La rilevanza
ecclesiale dei laici non è dal compito che hanno nella comunità cristiana, ma dalla testimonianza che
danno nei luoghi in cui vivono la loro vocazione di sposi, genitori o figli, o non sposati e che tuttavia
vivono in un quartiere, in un palazzo e vanno a lavorare quotidianamente, atti che costituiscono quella
vita rilevanti ai fini della missione della Chiesa. LANZA. Questo allarga gli ambiti dell’azione
ecclesiale, che non può essere ridotta soltanto a quello che la comunità affida di fare o da compiere, ma
si insedia nella normalità della vita quotidiana. Come mai da GIOVANNI PAOLO II in poi c’è stata
un’impennata di beatificazioni e di canonizzazioni di laici che non hanno fatto cose mirabolanti, salvo
lo sposati, avere figli, lavorare, si sono voluti bene. A volte c’è un fatto eclatante che li rivela, come
SANTA GIANNA BERETTA MOLLA (1922-1962), che ha sacrificato la propria vita pur di non
interrompere la quarta gravidanza. Canonizzata nel 2004 da GIOVANNI PAOLO II, “la scelta di Gianna
fu una reazione meditata e ragionata. Al medico che le consigliava di interrompere la gravidanza
rispose: Professore, questo non lo permetterò mai! È peccato uccidere nel seno. Agli altri tre figli ella
era necessaria, ma a quello che portava in grembo era indispensabile. La stessa Gianna diceva che
senza di lei Dio poteva provvedere agli altri bambini, ma neppure Dio avrebbe potuto provvedere a
quello che portava in grembo, se lei lo rifiutava”. Papa GIOVANNI PAOLO II nel 1980, riflettendo sulla
regola di SAN BENEDETTO dove si trovano prescrizioni che riguardano, il mangiare, il vestire, come
cantare, che cosa leggere, come coprirsi, che tipo di letto bisogna avere. Tutte queste cose c’entrano
con la santità, il Papa infatti disse “era necessario che il quotidiano diventasse eroico e che l’eroico
diventasse quotidiano.” La TP si occupa dell’azione che ha come soggetto la comunità cristiana, di tutti
i battezzati, quindi l’ambito della missione della Chiesa è esteso alla vita dell’uomo. La santità laicale è
chiamata ad esprimere modelli di vita familiare che corrispondono al Vangelo di Gesù, se la Chiesa
avrà un futuro, lo avrà per il fatto che ci sono famiglie cristiane dove la santità, iscritta nella differenza
sessuale, nell’unione dell’uomo e della donna, nella generazione dei figli, sia vissuta esattamente come
risposta ad una chiamata da parte di Dio e non come una libera interpretazione che l’uomo dà della sua
natura bio-psichica, ma come un dato che viene ricevuto dall’opera creatrice di Dio. Lo stesso si può
dire dei figli, perché la santità di un figlio passa attraverso il legame che stabilisce con i genitori, con i
fratelli e con le sorelle e non soltanto perché è inserito in un gruppo. Ad esempio la preghiera di lodi e

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vespri. Non è soltanto per preti o monaci e religiosi, perché di per sé sono la preghiera del mattino e
della sera di tutti i battezzati. Ma non è la stessa cosa la preghiera di lodi e vespri detta in famiglia con
moglie e figli o detti dal prete e dal monaco con la sua comunità. L’obbligo che hanno i monaci e i
sacerdoti non è lo stesso in questo senso.

A. PREMESSE AL CONSIGLIO PASTORALE


A1. IL RAPPORTO TRA DEMOCRAZIA E COMMUNIO
Chi è consacrato è chiamato all’obbedienza dei suoi superiori, vive dovendo obbedire a degli ordini,
per esempio riguardo la destinazione. Questo è un punto dolente, perché la vita non è un contenitore
vuoto in cui poter scrivere le proprie idee, decisioni, progetti, specie oggi dopo secoli di istanze di
autonomia e democrazia del soggetto che influenzano l’idea della communio.
In democrazia ogni testa vale quanto l’altra, ed è difficile poter affermare:
1. La testa di Gesù vale più di tutte quante le altre messe insieme.
2. I superiori hanno una comprensione della volontà di Dio, che merita di essere obbedita,
piuttosto che la propria volontà.
3. ∃ un magistero, che parla a nome di Gesù Cristo e quindi merita l’ossequio dell’intelletto e della
volontà (DV 5) rispetto ai propri pareri e ai propri giudizi in ordine alla fede.
 L’istanza della democrazia deve fare i conti con lo specifico della forma della salvezza
cristiana, che non viene da una decisione comunitaria, ma viene da un dono dall’alto, da un
dono che non è umanamente producibile e non è il frutto del consenso e che in qualche modo
precede e supera le possibilità umane.
La vita cristiana è seconda rispetto al dono di grazia che viene attraverso Gesù, non siamo noi a creare
Gesù, a creare la verità. Dunque non è semplicemente una decisione che noi prendiamo e a
maggioranza diciamo “adesso ci vogliamo tutti bene”. La vita cristiana segue leggi di relazione, non di
votazione e di consenso più o meno plebiscitario, ma di ascolto, di rapporto, di familiarità, di risposta,
di silenzio, di condivisione. La soggettività ecclesiale non si esercita nelle forme della democrazia
rappresentativa, non siamo dei partiti che devono sostenere idee diverse, siamo diversi che devono
capire l’unica e medesima volontà che li costituisce un corpo solo in Gesù Cristo. La condizione
battesimale rafforza e forse storicamente genera quella uguaglianza che nel diritto degli Stati, per
esempio, si riconosce l’uomo per nascita. Questa condizione, nel cristianesimo, è stata precedente a
qualunque forma di democrazia. Gal 3,28 “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero;
non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”, ∄ più queste distinzioni. Questa
uguaglianza dell’essere uno in Cristo Gesù precede la democrazia, ma allo stesso tempo non coincide
con la democrazia, è un dono che viene dall’essere “uno” in Cristo Gesù, cioè un effetto della morte e
della risurrezione di Gesù, perché, dice sempre Paolo, Ef 2,14b “è lui che ha rotto il muro di
separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia”.
Il principio che regola la democrazia, è che ogni testa vale come un’altra, per cui si ragiona in termini
di maggioranza, di minoranza, di preferenze, di voti espressi, per cui, se in una ipotetica votazione ci
fosse la differenza di un voto solo, per quel solo voto, chi l’ha preso ha diritto di governare, piuttosto
che l’altro. Un esempio di “democrazia” è la legge sull’aborto, una maggioranza ha deciso che
qualcuno non è portatore di diritti e meriti o no di vivere, come per l’eutanasia, che artatamente è fatta
passare come desiderio dell’interessato. Questo rovina alla radice la democrazia liberale, madre Teresa
quando ritirò il premio Nobel, li fece pregare tutti e poi disse che “l’aborto era causa della guerra”. Se
una madre non riconosce che suo figlio ha diritto a vivere, chi è che lo può riconoscere. Se qualcuno
decide della vita di un altro, è la logica del più forte che prevale sul più debole, che è il principio contro
il quale si è voluta la democrazia, perché la democrazia si oppone alla oligarchia o alla monarchia, cioè
al potere di qualcuno che decide sulla vita degli altri.
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Il cardinale RATZINGER quando fu insignito della laurea honoris causa presso l’università di Trieste,
fece un lungo discorso in cui affrontò il tema dei principi non negoziabili, perchè la Chiesa fa questo
non per difendere sua ideologia, ma per difendere la verità dell’essere umano e la possibilità di una vita
sociale, che precede la religione. Quindi una mamma che potrebbe abortire e non lo fa, sta edificando la
società, sta dicendo che per questo è nata, per rendere testimonianza alla verità e quando un laico
testimonia la verità, che è Gesù, instaura il regno di Dio.
La communio, la comunione, non si lascia ingabbiare dalle forme della democrazia rappresentativa,
non è semplicemente la somma di posizioni diverse che cercano di valere con il principio della
maggioranza, in questo senso, la funzione di rappresentanza che ha il laico che partecipa al consiglio si
esercita in una forma originale:
 Non è espressione di un partito.
 Non esiste solo in ragione della competenza.
 Non esprime soltanto le diverse appartenenze ecclesiali.
 Manifesta la personale responsabilità della fede davanti al Signore, come testimone della fede.
Il giudizio prudenziale che viene richiesto a chi partecipa a un consiglio pastorale non è quello di
esprimere una posizione o una competenza, ma di testimoniare che cosa della vicenda, della questione
che viene sottoposta, la propria fede, il proprio amore per il Signore fa emergere in quanto giudizio. In
questo senso, chi partecipa al consiglio pastorale deve poter farsi carico della responsabilità della realtà
complessiva della comunità, non soltanto del suo movimento, non soltanto del gruppo o dell’ambito di
servizio a cui si dedica.

A2. LA COMUNIONE INTEGRA LA DEMOCRAZIA


La regola di SAN BENEDETTO pone l’elezione dell’abate, in maniera collegiale, è eletto da tutti i
confratelli, per cui ingloba l’istanza della partecipazione, ma non si appiattisce nelle forme della
democrazia rappresentativa, perché ha a che fare con la comunione. Se per esempio in una decisione, o
in una responsabilità ecclesiale, noi dovessimo vedere che la nostra posizione spacca la comunità, la
divide, la rovina, rompe la comunione, quella posizione non può essere sostenuta e va ripensata.

DISCERNIMENTO COMUNITARIO
Il discernimento gode di quella illuminazione che non è data soltanto dal fatto che persone diverse
condividono il loro differente punto di vista, ma dalla presenza del Signore, ha una dimensione
kairologica. Il consiglio riconosce la presenza del Signore e suggerisce l’azione e in quanto risposta a
questa presenza, ha una dimensione operativa. Il consiglio pastorale non è una riunione di condominio,
è simile a un vero e proprio ritiro spirituale. Compito proprio della laicato, è concorrere
all’elaborazione comune dei progetti pastorali, alla messa a punto del discernimento, grazie al quale si
arrivi alla determinazione di che cosa la Chiesa deve fare. Nel momento in cui facciamo un progetto
pastorale, si delineare un soggetto comune, non noi stessi, che è capace di agire insieme. Il dialogo è
imprescindibile, perché senza comunicazione è impossibile al singolo partecipare alla vita della
comunità e alla comunità partecipare alla vita del singolo. Partecipare alla vita della comunità e
attraverso la comunicazione agire nei due sensi, singolo ⇄ collettivo, impedisce l’autoreferenzialità dei
soggetti pastorali, che sviluppano azioni senza sapere bene a che cosa sono destinate, se a edificare una
comunità cristiana o a manifestare se stessi o peggio ancora ad allinearsi a qualcosa che hanno deciso
gli altri, rinunziando alla propria creatività e al proprio contributo. Il dialogo non è una perdita di
tempo, cosa che si rimprovera spesso ai consigli pastorali, ma la via attraverso la quale la verità di Dio
si manifesta sempre più chiaramente nell’interlocutore che ascolta. Per cui è in un contesto comunitario
che la persona sia liberata dalle dipendenze dei propri punti di vista e che l’azione ecclesiale sia
ugualmente liberata dalla ripetitività, dalla ripetizione oppure dalla schiavitù del parroco o degli

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operatori pastorali che sanno farsi valere rispetto agli altri. Nella società contemporanea, pluralista e
policulturale, molto tempo del dialogo è speso a capire che cosa realmente l’altra persona sta dicendo,
perchè ∄ più un comune presupposto evangelico, come in passato. Ciò evidenzia la necessità che prima
del discernimento da fare in consiglio pastorale, sia necessaria un’evangelizzazione, sotto forma di
catechesi o di chiarimento rispetto a che cosa vuol dire la verità del Vangelo. Convocare un consiglio
pastorale è avere una base dialogica e di fede che garantisca che quello che si fa è un’attività di tipo
cristiano. Ma se il consiglio deve essere l’occasione per catechizzare qualcuno, c’è qualcosa che non
funziona, se la situazione generale è quella di una certa fragilità della fede, bisognerà trovare altre
forme che non siano queste del consiglio e del discernimento volontario.

B. CARATTERI DEL CP
B1. COMUNIONE E FRATERNITÀ
Il CP è segno e strumento di una Chiesa comunionale e fraterna. La Chiesa non è un’azienda, ma è una
comunità radunata nel Signore, con il dono e la grazia della fraternità, ovvero di persone che hanno la
stessa origine. I fratelli e le sorelle non si scelgono, sono nostri e non sono amici, che hanno comunione
di vita, di origine. La fraternità vera lo vivremo in paradiso, ma i caratteri del P, F e SPS, devono poter
trovare una concreta, anche se parziale realizzazione. La Chiesa si edifica e agisce effettivamente solo
nella reciprocità, non nella direzione del comando-esecuzione, ma del tu parli, io ascolto – io parlo, tu
ascolti, questa è il significato di comunionale e fraterna. Quando il CP è solo la cassa di risonanza del
parroco o di un movimento o di un gruppo ∄ reciprocità o peggio il CP non è convocato perchè è
occasione di disunione, rappresentando una relazionalità bloccata. Ciò dipende da fattori:
 Oggettivi. Le modalità di costituzione, l’assenza di progetto e obiettivi, la modalità di
conduzione. Non è sufficiente lanciare un argomento, bisogna mettere la persona in grado di
rispondere, Se deve esprimere un giudizio deve avere degli elementi, informazioni, deve essersi
preparata. Una riunione non preparata rende vano il CP, per il principio d’incarnazione, Dio non
salta la necessità che le persone debbano poter sentire la riunione importante, debbano poter
partecipare, parlare, capire.
 Soggettivi. Atteggiamenti dei membri che, per motivi personali, questioni caratteriali irrisolte,
non afferiscono all’identità del consiglio, ma per partito preso devono fare il bastian contrario.

B2. CORRESPONSABILITÀ
Il CP è il luogo della corresponsabilità non è un organo con funzione organizzativa, ma esecutiva.
L’organizzazione è propria del parroco e/o dell’equipe pastorale di supporto, che hanno il governo
pastorale. Il CP non si organizza come una struttura di una democrazia rappresentativa, dove gli eletti
rappresentano quelli dai quali hanno ricevuto il voto o sono dei super laici che rappresentano l’elite
ecclesiale. Il CP è una realtà che esprime la responsabilità dei credenti, l’essere testimoni di fronte a
Dio, a favore e a servizio di una comunità per la sua edificazione e per la sua missione, quindi per sua
natura il CP non può essere una struttura elitaria, ma deve rappresentare tutte le realtà presenti in
parrocchia, anche la gente che va a messa la domenica e senza nessun incarico, affinché non si crei il
gruppo dei laici, esperti della pastorale, che diventa “clericale”, appiattito sulle cose intra-ecclesiali. Il
servizio, la vita del laico è nel mondo, non è possibile che non ci siano collaboratori pastorali che non
siano mai andati al cinema, che non sanno niente di macchine, di motori e che vivono nel mondo
aspettando il convegno, la riunione, la catechesi, l’adorazione. Questi cristiani che tipo di consigli
possano dare nel rapporto col mondo esterno, se non lo conoscono?
Paragonando la parrocchia allo stato, organizzato secondo la divisione dei poteri:
 Esecutivo (amministrativo): Governo  CP.
 Legislativo: Parlamento  Parroco (equipe pastorale).
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In realtà il CP non è accomunabile ne all’uno, ne all’altro, perchè lo stato del consiglio non è quello di
governare, ne è l’organo che decide - sottopone al vescovo l’approvazione di norme (sinodo), ciò non
significa che il CP è inutile, perchè esprime una specifica forma di cooperazione laicale al governo del
parroco. In questo senso il CP esprime un carattere di laicità, ovvero il carattere testimoniale dei
credenti, di fronte a Dio, al servizio della loro comunità, in vista dell’edificazione della missione della
Chiesa. È il luogo in cui i laici, in forza della vita che fanno e della fede che hanno, dicono che cosa
occorrerebbe fare affinché nella Chiesa ci sia edificazione e compia la sua missione. È quindi chiaro
che un membro del consiglio pastorale è come minimo uno che va a messa, prega, si confessa, è
cattolico, perchè il buon funzionamento di un CP sta anche nei prerequisiti dei suoi membri,  soggetti
non in condizione di farsi carico dei problemi degli altri e di cercare di orientarli secondo Dio, ovvero
chi ha una fede traballante o non è orientato secondo la morale della Chiesa o è un polemico convinto.

B3. COMUNICAZIONE
Il CP rende visibile la comunicazione della Chiesa. È molto importante per le comunità cristiane, che i
cristiani tra di loro imparino a comunicare, a raccontarsi. Questo appartiene alla struttura della fede
cristiana, perchè la natura della fede consta nel ricevere e riconsegnare la rivelazione, il simbolo della
fede, Porta Fidei n.7, “La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e
quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il
cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare”. La fede non è
guadagnata se non nel momento in cui è capace di dire:
 Perché credo a Dio Creatore.
 Perché credo all’effusione dello SPS.
 Perché credo che Gesù è morto ed è risorto.
 Perché vivo nella Chiesa.
È necessario che i componenti della famiglia, che è la prima comunità cristiana, imparino a parlare tra
di loro. Le lettere di Paolo sono espressione di fede di una comunità che trasmette la sua fede ad
un’altra comunità, quindi è necessario che deve diventare quotidiano, feriale, normale, avere il
vocabolario e le parole per lo scambio della fede tra di noi. Questo edifica la comunità cristiana, questa
è anche la palestra che rende possibile la missione, che non è delegata al parroco, al catechista, al frate,
mentre in famiglia ∄. Un compito pastorale prioritario è quello di imparare a comunicare la fede,
rendere capace la comunità cristiana di parlare, di inserirsi dentro un dibattito, superando un’immagine
diffusa di pressappochismo. Grazie a Dio ci sono persone capaci di sostenere dibattiti ma guai se la
comunicazione fosse affidata soltanto a loro e consistesse soltanto in polemiche, giuste quando la verità
è negata, dove c’è l’inganno, l’umiliazione della dignità delle persone.

C. NATURA DEL CP
Il CP è segno, perchè manifesta qualcosa e strumento perchè la realizza.
Il progetto esprime la comunione della Chiesa, la sua capacità di progettare e creare il soggetto Chiesa
come comunità, perché quando le persone devono decidere e coordinarsi insieme, per forza il processo
che attiva questa decisione, fa sì che si crei un soggetto unitario. Uno dei compiti fondamentali del CP
è di costituire il soggetto ecclesiale, che poi deve agire. Ma una decisione presa da un soggetto
scomposto, frantumato, che possibilità ha di arrivare al suo obiettivo, se nessuno se ne fa carico, se non
c’è un soggetto capace di corresponsabilità, cioè di sentire come proprio ciò che tutti hanno deciso. In
questo non bisogna considerare come azioni pastorali soltanto le cose che si fanno. La verifica è
importante, perchè riguarda il raggiungimento degli obiettivi del progetto e il come gli obiettivi sono
stati raggiunti, se hanno generato comunione, espresso carità, speranza, fede, solo cos’ì l’azione
pastorale ha possibilità di manifestare Dio nel mondo, ovvero devono essere visibili i caratteri:
 Della diaconia – carità.
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 Della creatività – originalità.
 Dell’annuncio del Vangelo.
 dell’edificazione e missione.
Può darsi che alla verifica, quell’azione risulti inadeguata, ma si è creato un soggetto capace di
intervenire. Questo mettersi insieme, questo ragionare, anche attraverso internet, hanno edificato la
comunità cristiana, hanno realmente contribuito al discernimento secondo il Vangelo e quindi alla
creazione di una cultura, cha ha manifestato Dio nel mondo, ad esempio il reagire alle questioni sociali,
che riguardano la vita, così da dare voce anche ai soggetti ecclesiali inabili all’azione, come i bambini, i
malati, gli handicappati, gli anziani, che altrimenti sarebbero fuori della Chiesa, il che ∄. Attraverso
l’esercizio del consiglio condiviso, la Chiesa si edifica in quanto comunione, communio, come l’unità
dei diversi, non omogenea, deve  differenze, che si compongono reciprocamente, LG, “il popolo di
Dio che si comprende su base relazionale”. Questa opportunità pratica, nella quale le persone si
ritrovano, si vedono e si parlano, rende non astratto il discorso sui caratteri dell’azione ecclesiale.
L’autorità che ha il parroco deve essere confermata dal CP che lo sostiene, perchè se tutto il consiglio
vota unanime ad eccezione del parroco che ha un parere divergente (fatte salve questioni di fede e di
morale che non sono sottoposte a voto), il parroco deve ragionevolmente lasciare quella comunità,
perchè c’è qualcosa che si è rotto,  una realtà che non lo riconosce. L’equilibrio è delicato, l’autorità
del parroco (che non dipende dal parere dei fedeli), conduce la comunità, ma se questa prende le
distanze dal proprio pastore è previsto il trasferimento d’ufficio, laddove il conflitto sia tale che non
consenta più il governo.

D. CRITERI PER LA COMPOSIZIONE


D1. MEMBRI
È un aspetto molto delicato perché, il CP esprime la corresponsabilità di tutti i battezzati, per cui
devono  dei criteri minimali sotto il quale non si può andare:
1) Essere credenti e praticanti (indispensabile).
2) Essere interessati alla missione della Chiesa.
3) Avere disponibilità di tempo.
4) Essere disposti a seguire un corso di formazione.
5) Essere disposti e capaci di lavorare con altri.
Qualora questi criteri ∄, è meglio non convocare il CP, piuttosto che cominciare in qualche maniera. È
necessario che il CP esprima un minimo di cultura di communio, che non può essere imposto dall’alto.

D2. FORMAZIONE DEL PERSONALE


Prima che si riunisca il CP, è necessaria una fase di preparazione, in cui i membri si conoscano,
capiscano cosa ci fanno li e si rendano conto del servizio che gli è chiesto. La formazione spirituale è
da curare, perché il consiglio è uno dei sette doni dello SPS. Consigliare è vedere una realtà, una
situazione alla luce dello SPS e lo si deve chiedere nella preghiera, per ciò le riunioni del CP sono
simili ad un ritiro spirituale. Questo non vuol dire che basti invocare lo SPS all’inizio e poi agire
durante il consiglio belve, ma che tutta l’attività del consiglio, dal momento iniziale alla benedizione
finale, è spirituale, il che comporta che si sta nel CP come se si stesse in Chiesa, davanti al Signore. Per
cui l’uso di certi toni, certe litigate, certe parolacce, certe durezze non dovrebbero esserci, in questo
senso il consiglio è anche una occasione buona di conversione.

D3. ATTEGGIAMENTI
Il compito della correzione fraterna e della custodia reciproca riguarda tutti i cristiani, ma questo
argomento riguarda soprattutto chi presiede la comunità cristiana, ovvero i pastori.  un compito di
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sostenersi nell’incarico che si è ricevuto di consigliare ed aver cura degli atteggiamenti propri dei
membri del consiglio:
 Chi si sente investito della partecipazione alla guida della comunità.
 Chi è più pratico e contribuisce affinché tutto possa andare in maniera adeguata e soddisfacente.
 Chi è coinvolto come collaboratori dei pastori, non preoccupandosi della ribalta, lavorano
affinché i presbiteri siano sollevati da compiti particolarmente gravosi.
 Chi si occupa della spiritualità.
 Chi ha cura della prudenza economica. Il consiglio per gli affari economici deve esserci, ma
economicità e risparmio non sono criteri necessariamente pastorali, lo è invece la gratuità, guai
ad associare l’idea di pagare qualcosa alla liturgia o alla messa.
Sono da evitare assolutamente, gli atteggiamenti nemici della consultazione o del consiglio:
 La condiscendenza menefreghista. Lascia che parli, tanto poi facciamo quello che sempre
abbiamo fatto.
 La condiscendenza rassegnata. È tutto inutile, tanto si fa come dice il parroco.
 Il paternalismo. Chi fintamente ascolta e abbozza.
 Il favoritismo. Favorire nella discussione una parte piuttosto che un’altra, piuttosto del
riconoscimento della verità.
Ad esempio, “fare la comunione prima o dopo la cresima”. Il consiglio deve dire: “stanti questi
elementi, questo è il contesto educativo di oggi, questi sono i requisiti richiesti per l’iniziazione
cristiana, come queste due realtà - dimensione criteriologica - reagiscono tra di loro?” così è unito il
dato di fede al dato contestuale, il consiglio deve lavorare su un’analisi lucida della realtà e su un dato
di fede, reciprocità dialettica e asimmetrica. Se invece io partecipo alla discussione con già in mente
che deve essere come voglio, non c’è discernimento, c’è l’irrigidimento di qualcuno che farà andare le
cose in modo tale da non causargli sovvertimento di quello che lui già sta facendo. La comunicazione
deve essere il più possibile aperta, tutti devono potersi coinvolgere, esprimere, in questo senso un CP di
80-100 persone sono ridicoli, sono assemblee, non un consiglio, che deve avere numeri tali che le
persone, almeno frazionate in gruppi da 8 o da 10, possano parlare.

E. CARATTERISTICHE
Il consiglio richiede tempo, ed è attraverso questo tempo che la comunità cristiana assume il suo
spessore, che si attivano l’interesse e la partecipazione, altrimenti anche il consigliare diventa più o
meno un ripetitore passivo o soltanto esecutivo. La consultazione è fatta su questioni importanti, non si
deve sprecare tempo ed energie per cose di minore interesse, perché questo può creare:
 La frustrazione di chi non ha tempo e si vede buttar via tempo in cose non importanti.
 L’imperversare di disimpegnati che sulle questioni di per sé opinabili fanno invece vere e
proprie battaglie campali.
Questo pone anche il problema che bisognerebbe insegnare ai sacerdoti a dirigere una riunione, per cui
si possono trovare dei preti che non riescono a interrompere il logorroico oppure, essendo timidissimi,
possono incontrare dei laici che prevalgono su di loro. La consultazione del consiglio non è una
raccolta di pareri a caso, ma una vera analisi che deve essere condotta con profondità e rigore. La gente
deve essere in grado di esprimere pareri, non sputando sentenze, ma sapendo di che cosa parla, bisogna
stabilire qualcosa in rapporto alla quale si esprime un discernimento, bisogna presentare delle proposte
motivate. È sbagliato ridurre la dimensione decisionale propria del consiglio, secondo cui esprime solo
un parere qualsiasi. Si perde l’orizzonte proprio del consiglio in funzione testimoniale dei credenti, di
fronte a Dio, al servizio della loro comunità, in vista dell’edificazione della missione della Chiesa. 
CP dove si discute di tutto, ma non si arriva mai a decisioni pastorali. La decisione non si esprime per
votazione e maggioranza, perché questa modalità è propria di chi ragiona secondo modelli di
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democrazia rappresentativa, dove mancano l’ascolto e il dialogo, che rimangono atteggiamenti
fondamentali. In questo senso il consenso non equivale ad un semplice accordo tra diversi che trovano
la via media, restando però dello stesso parere che avevano prima, ma di capire che cosa lo SPS sta
dicendo a quella comunità e a quella chiesa.

F. I CONFLITTI
L’espressione di legittime diversità, implica che i conflitti nella Chiesa sono inevitabili. Se ci sono dei
problemi, questi vanno affrontati, non è scansando il problema che si edifica la comunità, ma
esattamente entrandoci dentro. Il conflitto va gestito, perché è sano quando rappresenta un momento di
crescita e di illuminazione. SAN BENEDETTO. “quando affronti qualcuno, hai tre tipologie di persone:
1) Spirituale. Può essere convertita, da argomenti spirituali, sequela di Gesù, ascolto della parola
2) Ragionevole. Che riflette, così si può attingere ad argomenti di umana sapienza.
3) Stupida e testona. In questo caso c’è solo la punizione fisica.
Quando una persona che non capisce, non ascolta, non comprende ed è superficiale, ha ancora il
linguaggio del corpo ed il linguaggio fisico è l’unico che con certe persone va adoperato.
La litigiosità e le tensioni nel CP, mettono in evidenza una fatica inevitabile che va affrontata se si
vuole che il consiglio di discernimento ci sia e sia da parte di tutti.

F1. ASSENZA DI CONFLITTI


L’assenza di conflitti in presenza di pareri diversi, non è sintomo di buona salute, perché segnala:
1. Disinteresse.
2. Accomodamento formale pubblico.
3. Rapporto non veritiero tra i membri.
4. Mancanza di relazione tra diverse realtà che agiscono nell’ambito della vita ecclesiale.
 un tasso normale, fisiologico, di difficoltà e conflitto, che è proprio della vita quotidiana. Per cui una
certa dose di difficoltà deve essere preventivata, guai se in un consiglio uno si scandalizzasse perché
due o più hanno pareri diversi.

F2. CONFLITTI NON AFFRONTATI


I conflitti mai risolti e riconciliati, sono ugualmente un brutto sintomo. L’insabbiamento del problema è
tipico nella Chiesa, il non parlarne, la rimozione, queste sono che non risolvono il problema, ma lo
lasciano ingigantire nel silenzio. I conflitti possono essere determinati da una scarsa attitudine di chi
presiede, alla loro funzione di guida, infatti si ha il leader:
 Democratico. Lo stile del CP è partecipativo, è capace di ascoltare e capire ciò che si dice.
 Autoritario. Chi esercita la leadership potente, fa tutto il capo che si fa ascoltare ed a cui
nessuno mette i piedi in testa. Il parroco espone quello che ha deciso ed il consiglio è chiamato
solo ad avvalorare quanto è proposto. E questo alla lunga diventa anche il meccanismo per cui:
o Se un membro condivide. È dalla parte giusta.
o Se un membro non condivide. È dalla parte opposta:
 Non è considerato.
 È considerato problematico, perché la pensa sempre diversamente.
 Inesistente. Ci sono dei sacerdoti che, purché non si parli male di loro, pur di non andare contro
corrente, pur di non avere nessuno che abbia qualcosa da dire contro di loro, acconsentono a
tutto, questa è la disfatta di ogni organismo sociale e non solo della Chiesa.

F3. INCAPACITÀ NEL GESTIRE CONFLITTI


Ci sono alcuni fenomeni che nascono dall’incapacità di gestire un conflitto:

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1) Generalizzazione dei problemi. Anziché affrontare un problema, questi sono generalizzati. Per
cui si fanno riunioni su temi come la secolarizzazione, l’indifferenza religiosa, l’ateismo, i
giovani che non sono più come quelli di una volta.
2) Personalizzazione dei conflitti. Discorsi che lasciano il tempo che trovano.
a. Se tu non fossi il parroco.
b. Se avessimo avuto un altro vescovo, queste cose non sarebbero successe.
c. Nell’altra parrocchia, non ho mai trovato gente di questo tipo.
3) Delega della responsabilità. Indicare come responsabili le gerarchie superiori a cui rinviare il
problema, che è sintomo di incapacità di decidere e di gestione.

F4. LA REGOLA DI GREGORIO MAGNO


GREGORIO MAGNO, attraverso la regola [→ pagg. 15-16] mostra due cose:
1) Non per tutti vale la stessa azione ecclesiale. La stessa pastorale non può essere uniforme per
tutti, come non tutte le malattie si curano con la stessa medicina, non tutti i comportamenti si
possono affrontare con la medesima azione pastorale.
2) Bisogna conoscere il gregge (pastorali di PAOLO). Distinguere, sapere chi sono le persone, che
carattere hanno. Nel caso del consiglio bisogna proprio sapere la tipologia umana dei
temperamenti, perché ci possono essere:
 Il forte. Che non ha bisogno di essere assecondato.
 Il creativo. Che espone idee non sempre realizzabili.
 Il retorico. A cui piace parlare molto e spesso difficilmente comprensibile.
 Il capzioso. Che fa le pulci “ma tu avevi detto”.
I conflitti non sono ne da consacrare, ne da demonizzati, perché nella comunità cristiana ci sono
conflitti, da affrontati e poter diventare un motivo di approfondimento e di crescita, altrimenti
diventano motivo di ulteriori divisioni e separazioni.

3. I SOGGETTI DELL’AZIONE ECCLESIALE


A. RAPPORTO TRA ELEMENTO ISTITUZIONALE E ELEMENTO CARISMATICO
I soggetti nella Chiesa non sono soltanto il prete o il singolo laico, ma anche soggetti di tipo
comunitario. In effetti i singoli sono sempre inseriti in una comunità per quanto piccola come la
famiglia. BALTHASAR, sostiene che la Chiesa ha due principi:
 Petrino. Istituzionale. Maschile.
 Mariano. Carismatico. Femminile.
La scuola di Milano sostiene che l’elemento istituzionale (il ministero dell’ordine, i sacramenti, la
Parola di Dio) è necessario per l’essere della Chiesa, quello carismatico, per il benessere della Chiesa,
non è quindi fondamentale come il sacramento dell’ordine, il sacramento dell’eucarestia e la guida
pastorale. Ma i documenti ufficiali, tendono a considerare la vita consacrata quasi strutturale della
Chiesa, non accessoria e superflua. Anche se di per sé, la vita consacrata non ha una strutturazione
rigida, ma libera e articolata, dipendente da un carisma che liberamente lo SPS ha dato, senza alcuna
progettazione pastorale, ma tuttavia rappresentano comunque vita concreta della Chiesa.
Le aggregazioni laicali si possono distinguere in:
1) Associazioni. Sono aggregazioni codificate, con uno statuto, organismi di rappresentanza, ci
sono elezioni. L’Azione Cattolica o le ACLI (Associazione Cristiana dei Lavoratori Italiani).
2) Movimenti. Fanno riferimento ad una persona che ha un carisma, cioè a qualcuno che ritiene di
avere ricevuto, o al quale è stato riconosciuto di avere, un carisma, un dono particolare per
l’edificazione della comunità cristiana, da parte dello SPS. L’aggregazione non è a partire da
strutture oggettive di tipo giuridico, ma dal rapporto con la persona carismatica.
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3) Gruppi. I gruppi parrocchiali, che sono propriamente espressione dell’istituzione, non sono
nemmeno di tipo carismatico e movimentista (anche se tendono ad esserlo). Sono l’elemento
più mobile dell’aggregazione laicale, nascono e muoiono, a volte, anche per motivi quasi di
servizio o occasionali.
A rigore dobbiamo dire che in questa classificazione non rientra il cammino Neo-catecumenale, il
quale non è un movimento, non è un gruppo e non è una libera aggregazione, ma è il percorso del
catecumenato offerto alle chiese particolari, come cammino tipico di formazione cristiana. Il cammino
di per se non è un movimento come il rinnovamento dello spirito. Questo spiega perché alle volte ci
siano dei problemi di comprensione tra la parrocchia e il cammino, proprio per questa sua specificità.

IL PRINCIPIO CARISMATICO
Il principio carismatico di per se non è strutturato, se per struttura intendiamo la divisione in strutture
rigide, che rimangono nel tempo sempre uguali a se stesse, allora le realtà carismatiche non sono
strutturali, perchè non sono durevoli per sempre ( SPS, dinamicità, Mercedari, pag. 58). L’istanza
che, davanti a fattori contestuali nuovi lo spirito susciti la reazione e la risposta di qualcuno, questo
rimane una scrittura fondamentale nella vita della Chiesa, ad esempio S. CAMILLO e la cura dei malati.
La cura dei malati è uno dei segni della redenzione, del ministero di Gesù, per ciò nella Chiesa non
mancherà mai chi si prende cura dei malati. Nel caso dei movimenti, onestamente è da chiedersi, se di
fronte alla secolarizzazione, ai processi che sono stati attivati nella post-modernità, lo SPS, con 30/40
anni di anticipo, ha pensato di suscitare forme di aggregazione, di catechesi e di esperienza di Chiesa,
come una nuova via per la quale rievangelizzare l’oggi, rompendo la rigidità istituzionale che era
precedente alla loro nascita, che hanno consentito a molte persone di trovare la loro via, la loro
sensibilità. La questione è quindi se il principio carismatico è in più o costitutivo, è per il benessere o è
essere della Chiesa. ASOLAN. Costituisce l’essere della Chiesa. Ad esempio se ad un corpo tagliate
gambe, braccia, cavate gli occhi, mozzate le orecchie, etc, resta un essere vivente, ma che tipo di vita
umana rappresenta? Soprattutto, che tipo di azione pastorale ci può essere se ci fosse solo l’istituzione!
Quindi, il ministero ordinato, dei pastori, garantisce il minimo, cioè la presenza di Cristo capo e la
sinapsi del popolo di Dio, ma occorrono anche altre realtà che non sono codificabili a priori e che
dunque sono in questo senso mobili, non fisse e predeterminate. La Chiesa manifestando forme
diversificate non è una realtà eccezionale, ma ciò che essa è, cambiano le forme, ma la vita della Chiesa
è arricchita e resa idonea alla sua missione, a partire dai doni dello spirito.

LA CHIESA DELLE ORIGINE ERA CARISMATICA O ISTITUZIONALE?


Se si considera la classificazione delle chiese fondate dagli apostoli, che chiese erano?
 Pietro. Istituzionali.
 Paolo. Carismatiche.
 Giovanni. Mistiche.
WEBBER sostiene che anche quelle di PAOLO sono istituzionali, mentre quelle di GIOVANNI sono
scomparse perché non c’era il principio istituzionale che le aveva garantite:
 La comunità è dotata di carismi. 1Cor 12,1-11. Linguaggio, profezie, guarigioni.
 È istituzionale. 1Cor 7,10 “Agli sposati poi ordino”; 1Cor 5,5 “questo individuo sia dato in
balìa di satana per la rovina della sua carne”; 1Cor 5,11 “Vi ho scritto di non mescolarvi con
chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro; con
questi tali non dovete neanche mangiare insieme”, 1Cor 5,13 “Quelli di fuori li giudicherà Dio.
Togliete il malvagio di mezzo a voi”. Usa la sua autorità di Apostolo.
 È sterile contrapporre le due dimensioni, esse sono in reciprocità, 1Ts 5,19-21, “19Non spegnete
lo Spirito, 20non disprezzate le profezie; 21esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono”.
 Non c’è una libertà senza regole.
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RAPPORTO PARROCCHIA - MOVIMENTI
Le realtà carismatiche sono anch’esse strutturali, il problema del parroco non può essere “le debbo
riconoscere o no? spetta a me o no?” perché se esistono e sono riconosciute, il pastore smette di avere
un margine di discrezionalità e le deve accogliere, con buona pace di tutti quanti, perché non sono
realtà alla libera disposizione del pastore. Il problema sorge quando il movimento si disinteressa
della parrocchia e del suo parroco, non è in comunione, o quanto un parroco rifiuta qualunque
rapporto con il movimento. La parrocchia non è un movimento accanto ad altri movimenti. Le
attività parrocchiali diocesane si stanno realmente configurando come attività di tipo movimentista, ad
esempio la pastorale giovanile fa le sue attività attingendo ad un bacino di ragazzi e trascurando altri, fa
le sue attività alle quali partecipano quelli che comunque vanno. Tutte le pastorali diocesane
praticamente sono fatte così, hanno le loro attività cui partecipano le persone interessate, ma questa è la
logica del movimento, per cui anche le parrocchie stanno diventando questo. Ciò crea frizioni tra
parrocchia e movimenti, perché anche le parrocchie esistono con le proprie attività rispetto alle quali
altri organizzano altre attività, che non sono sentite come parti della parrocchia, perché attività di altri e
questa è la logica del movimento. L’ottica della parrocchia è stabilire una rete che leghi tra loro tutte le
diverse realtà che sono presenti, questo presuppone una base comune, la cristianità, che oggi ∄ più.

B. LA PARROCCHIA
LANZA. Prende spunto dai caratteri della Chiesa cattolica ovvero “una, santa, cattolica e apostolica”,
per intendere la parrocchia alla luce della cattolicità, non territoriale ma antropologica. Ma il tema della
parrocchia è un tema sia teologico che dogmatico, quindi di interesse per TP. È teologia perché è la
Chiesa che vive in un luogo, ma non è ecclesiologia perché essa non si occupa ne del luogo ne della
forma concreta che qui e ora la comunità cristiana deve assumere. L’analisi del rapporto parrocchia-
movimenti ha promosso una seria critica alla parrocchia, con affermazioni del tipo “la parrocchia è
finita”. Ad esempio, in America Latina, la fortuna delle sette è dovuta al non essere parrocchie, cioè
non avere legami con il territorio, non essere istituzionali, essere carismatiche, affettive, fraterne, e
finanziate dalle comunità ecclesiali/religiose degli Stati uniti, contro un soggetto parrocchiale che fatica
a reagire a questa aggressione fatta apposta per togliere gente alla Chiesa. La nuova evangelizzazione
pone il problema se la parrocchia sia adeguata o se non sia una forma del passato. La forma assunta
dalla parrocchia a partire dal CdT è stata un’ottima forma, ha prodotto una vitalità e una vita ecclesiale
straordinarie, ma oggi le condizioni, il contesto che rendevano efficace quel modello di parrocchia non
ci sono più. La parrocchia tridentina è stata così buona, così incarnata, così congruente con i suoi
compiti che ha funzionato per quasi cinque secoli. Il problema contemporaneo è ripensare a come i
caratteri costitutivi della Chiesa debbano poter essere realizzati in un contesto che si è fatto diverso,
fluido, mobile, diversamente dalla parrocchia tridentina che invece faceva della stabilità e della
territorialità geografica il suo punto di forza.

RIFLESSIONE TEOLOGICO PASTORALE


La parrocchia non è semplicemente una cosa umana, perché:
 ∃ elementi umani e spirituali. Preghiera e sacramenti.
 Le attività della Chiesa rinviano alla presenza di Dio.
La parrocchia è oggetto di riflessione teologico pastorale, perché è la Chiesa che vive in un posto
preciso (territorialità), con dei compiti precisi. La territorialità fa riferimento alla pastorale del Milieu,
ovvero la parrocchia in quanto ente geografico e territoriale è finita, perché la vita della gente è mobile,
diretta in altri campi e per evangelizzare è necessario intercettare la vita delle persone, se si vuole che
queste vite incontrino Dio. Questa è la pastorale d’ambiente, dove il dato contestuale, la zona umana,
l’ambiente determinano la forma della presenza nella parrocchia e questo grazie ai laici e ai religiosi.

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La parrocchia si comprende a partire dal rapporto con il territorio, che fissa una missione che altre
presenze ecclesiali non hanno e che fa lo specifico della parrocchia, uno specifico talmente
fondamentale che senza di esso neanche le altre presenze, mi azzardo a dire, possono essere efficaci.

RADICE STORICA DELLA PARROCCHIA


La parrocchia nasce come contingenza pratica, si discute se sia un istituto del Concilio Lateranense IV
(1213), dove si stabilì praticamente il ministero del parroco. Ma l’idea che la Chiesa doveva prendersi
cura di parte della diocesi, risale al IV secolo, nacque dopo l’editto di Costantino che liberalizzò il culto
del 313 e l’editto di Teodosio che proclama il cristianesimo religione di Stato del 392, quando il
cristianesimo, dalle città dove risiedeva il vescovo, si spostava nelle zone rurali. La libertà di
movimento consente l’espansione missionaria nei pagi, i villaggi, da cui paganus sarebbe l’abitante del
villaggio che non è ancora stato raggiunto dalla fede. Il vescovo, che risiede nella città episcopale, si
prende cura di queste comunità fuori della città, distanti, nel 500 – 600 ad alcune di queste è concessa
la possibilità di battezzare, nacquero le pievi, dove un presbitero è delegato a presiedere personalmente
queste comunità che stanno in comunione col vescovo. Questo è una delle probabili spiegazioni della
immistio, il gesto del sacerdote che durante la messa spezzando il pane, lascia cadere nel calice un
frammento dell’ostia.

IMMISTIO
Immistione, da immiscere, unire a, mescolare con. Questo antichissimo gesto ha un triplice significato:
1. Temporale. È possibile che si immergessero nel calice i pani consacrati nelle messe precedenti,
per rammollirli. Questo manifestava l’unità del sacrificio eucaristico nel tempo, è sempre lo
stesso sacrificio che si celebra.
2. Ecclesiale. Segnava l’unità con il vescovo. La domenica, il vescovo mandava degli accoliti a
portare ai presbiteri, che celebravano la messa nei villaggi, un frammento dell’ostia che egli
aveva consacrato. I sacerdoti mettevano questa particella nel calice in segno di unità con il
vescovo. Oggi, questo vincolo di unità è significato dalla menzione del Papa e del Vescovo
nella preghiera eucaristica.
3. Simbolico. Sull’altare il corpo e il sangue di Cristo sono separati, questo è un segno del suo
unico sacrificio nel quale il suo sangue versato sulla croce è stato come separato dal suo corpo.
L’immistione evoca all’inverso la resurrezione che ha unito per sempre, per la vita eterna, il
corpo e il sangue di Cristo. Compiendo questo gesto, il sacerdote chiede che noi abbiamo parte
alla sua risurrezione: “il corpo e il sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di
vita eterna”.
SAN MARTINO DI TOURS è il massimo rappresentante del passaggio del cristianesimo dalla città alle
zone rurali. Oggi lo ritroviamo nelle comunità giovani, dove il parroco va ogni tanto, ma dove però le
comunità si trovano nei paesi e nei villaggi e dove il catechista fa le veci del parroco. Questa
configurazione di una grande parrocchia, di una comunità cristiana molto vasta che però si fraziona in
piccole comunità geograficamente dislocate è uno degli elementi che invece ricorrono da sempre,
possiamo dire, nella storia della Chiesa. Però è possibile intendere la parrocchia quando comincia ad
esserci la presenza del presbitero, che è responsabile di quella comunità.

IL PRINCIPIO TEOLOGICO DELLA PARROCCHIA


La parrocchia non è un dogma di fede, potrebbe essere eliminata? Il dibattito, ha creato due posizioni
storiche, una più recente ed una del prof. LANZA:
 Canonisti. Diritto canonico.
 CORECCO sostiene che “ la parrocchia non è di diritto divino, non l’ha fondata Gesù; così non
può essere oggetto di teologia”.
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 Se in una Chiesa dovessero esistere solo le realtà di diritto divino, ci sarebbero moltissime cose
che non andrebbero discusse teologicamente, lasciando Dio fuori. Gesù non ha detto come fare
la messa o il catechismo, ha detto di istruire e di battezzare, non ha previsto libri di catechismo.
 Dogmatici. Ecclesiologica.
 DON SEVERINO DIANICH. “non è compito della teologia, indicare le vie pratiche dell’AE”.
 Questa posizione è erronea, perché introduce una separazione tra prassi e teologia, come se la
prassi non contenesse una teologia.
 MONS. BRAMBILLA, vescovo di Novara. “è l’ecclesiologia che fissa le condizioni di possibilità
e le figure della presenza e dell’azione della Chiesa”
 Questa è la consueta fagocitazione ecclesiologica. Essa sarebbe il deduttivismo più assurdo, con
l’ecclesiologia che dice cosa deve essere la Chiesa. Ma noi sappiamo, che non funziona [→35+]
La parrocchia è un tema teologico, non perché se ne occupa l’ecclesiologia, ma perchè è presenza
sacramentale di Dio.
 Posizione recente. Cristologica.
 PAPA GIOVANNI PAOLO II, “la parrocchia è fondata su di una realtà teologica, perché essa è
una comunità eucaristica”, Esortazione apostolica Christifideles laici n. 26 sul tema “Vocazione
e missione dei laici nella chiesa e nel mondo”.
È un richiamo alla LG, “ogni eucaristia è celebrata da una comunità”. Questo è il modello di
SANT’IGNAZIO DI ANTIOCHIA, il quale nelle lettere indirizzate alle chiese, mentre si recava a Roma
perché condannato ad bestias dall’imperatore TRAIANO nel 107, descrive le chiese del tempo, “il
vescovo presiede, coadiuvato dai presbiteri e diaconi, con l’eucarestia evento in cui la Chiesa manifesta
se stessa, stretta attorno al suo vescovo”.
 Il principio eucaristico, fa comunità cristiana, non parrocchia. Ad esempio, le suore di clausura,
partecipano alla messa ogni giorno, sono una comunità eucaristica, ma non una parrocchia.
 Posizione di Lanza. Nel libro La parrocchia in un’ecclesiologia di comunione e precisamente
all’articolo Parrocchia, cioè Chiesa e territorio, LANZA rivisita le quattro categorie della Chiesa
espresse nel simbolo della fede, “una, santa, cattolica e apostolica”. Indica nell’elemento della
cattolicità, cioè dell’universalità, ciò che contraddistingue la parrocchia rispetto a tutte le altre
forme ecclesiali. È una cattolicità antropologica, la Chiesa cattolica è la chiesa di tutto il mondo.
Quindi la parrocchia è la comunità dove si rende visibile la cattolicità, ovvero è la Chiesa in quanto
tutti possono partecipare. Questo è ciò che distingue la parrocchia da altre figure ecclesiali, già nel
movimento non è così, già nella comunità delle suore d’ospedale non è così, perché dovete essere
ammalati o Camilliani o carismatico per far parte di quella comunità. Nella parrocchia si esprime un
livello di appartenenza universale e quindi chiunque, suora camilliana o di clausura o di un movimento,
può partecipare alla vita della parrocchia. La parrocchia rende visibile un dato teologico e della Chiesa:
 L’essere universale.
 Insistere su un territorio.
L’elemento territoriale è molto importante, perchè la parrocchia è aperta e ha relazioni concrete con un
territorio definito. Un cristiano deve sapere chi è il suo pastore, deve sapere chi è che ha il dovere di
prendersi cura di lui. L’elemento territoriale non è solo di cornice o di contesto, perché, come sapete
bene da la parte sistematica, il dato storico, il dato antropologico, il dato culturale non sono accidenti
rispetto la sostanza, sono la via per cui la sostanza si manifesta ed esiste. La Chiesa è anche mistica e
interiore. ROMANO GUARDINI, nel 1922, disse “Siamo alla vigilia di una grande rivoluzione, la chiesa
si risveglia nelle anime”. E così è stato, il XX secolo è stato il secolo di una Chiesa sempre più
ecclesiologica. Quindi è vero che la Chiesa esiste innanzitutto nei nostri corpi, ma già dicendo i nostri
corpi, noi fissiamo un elemento che occupa uno spazio, che ha delle dimensioni, che è visibile. Non si
dà una Chiesa a prescindere da questa manifestazione.
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Riferimenti bibliografici
# Argomento Libro Pagine
Dispensa 60101 1-13
1 Introduzione alla TP
Giona convertito 13-26
2 Radici bibliche Dispensa 60101 13
3 Sviluppi storici: dai Padri all’età illuminista Dispensa 60101 13-15
4 Interesse politico e configurazione accademica Dispensa 60101 15-18
5 Tra manualistica e CV II. Sviluppi contemporanei Dispensa 60101 19-31
Dispensa 60101 42-77
6 Il metodo del discernimento pastorale Giona convertito 27-31
Il tacchino induttivista 15-39
Opus Lateranum 279-283
7 Ontologia: la carità di Dio, sorgente dell’AE
Perché Dio entri nel mondo 13-16
Opus Lateranum 283
8 Padre. Creatore
Perché Dio entri nel mondo 17-40
Opus Lateranum 283-284
9 Figlio. Vivente unità di carità e verità
Perché Dio entri nel mondo 45-66
Opus Lateranum 285-290
10 Spirito. Communio della Chiesa e della sua missione
Perché Dio entri nel mondo 71-107
Opus Lateranum 290-313
11 Morfologia: martyria, leiturgia, diakonia
Il tacchino induttivista 157-162
12 Fenomenologia: un ripensamento decisivo Opus Lateranum 313-320
13 Antropologia: i soggetti dell’azione ecclesiale Il tacchino induttivista 113-123

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Il discernimento pastorale
Le indicazioni e le regole per il discernimento non garantiscono la riuscita quanto la disposizione
del contesto umano all’azione libera e gratuita dello Spirito. È lo SPS la causa efficiente del
discernimento, che è azione di preghiera. Un esempio di discernimento comunitario:
1. Formulazione della questione. Presentazione dei vari aspetti del problema.
2. Preghiera. Esplicita personale e comunitaria.
3. Riflessione. Personale e comune.
4. Scambio. Ascolto e dialogo in clima di fraternità e di preghiera, evitando ogni forma di
discussione-confronto delle opinioni.
5. Decisione. Non con il criterio maggioritario. Il discernimento può imporre la non decisione
in vista di un’eventuale approfondimento o nel caso di pericolo per l’unità comunitaria.
 Come si fa a determinare cosa fare qui e adesso? Con il metodo del discernimento pastorale.
Le 3 dimensioni sono:
1) Kairologica. È il tempo buono da riconoscere. È vedere e giudicare con gli occhi della
fede, cogliendo il tempo della grazia nel fenomeno osservato in cui Dio vuole intervenire. In
TP sempre bisogna pensare una situazione all’interno della fede, l’agire della Chiesa inizia
dalla realtà (segni dei tempi) per riconoscervi un adventus (intervento) da parte di Dio. La
visione del tempo è lineare - escatologica, il vedere non è neutro, ma con gli occhi della fede
2) Operativa. La TP si occupa di cosa fare qui e ora, su come intervenire, stabilendo la
praticabilità di un’azione ecclesiale. ∄ un problema pastorale senza soluzione, ma si deve
necessariamente stabilire cosa è da fare elaborando un’azione.
3) Criteriologica. L’azione implica l’elaborazione di criteri, non di principi. I criteri indicano
come l’azione va compiuta affinché possa essere una risposta alla chiamata di Dio. Criterio
≠ principio. Ama il tuo prossimo è il principio e cominciare ad amare la persona vicina a te,
è il criterio. Il principio è fisso e immutabile, vale sempre, il criterio è la componente pratica
della fede quindi va elaborato. La criteriologia è l’incontro tra il dato di fede e il dato reale.
Ad esempio la nomina papale dei Vescovi cinesi e l’introduzione della lingua nazionale
nella Messa preconciliare per favorire la partecipazione attiva dei fedeli.

Le 3 fasi, sono collegate tra di loro e rappresentano i tempi e i modi in cui le tre dimensioni si
sviluppano in un certo tempo:
1) Analisi e valutazione. Il nostro vedere non è neutro, ma accompagnato da un giudizio di fede,
la realtà è descritta da credente. In questa prima fase si articola l’azione della Chiesa nelle tre
dimensioni, kairologica perchè è necessario uno sguardo di fede, operativa valuto in
prospettiva all’agire e criteriologica mentre valuto ho già l’urgenza di fare.
2) Decisione e progettazione. È necessaria una decisione condivisa. Chi esercita una funzione
pastorale deve prendersi anche la responsabilità della decisione, laico o religioso. La decisione
è talmente importante che esiste l’istituto giuridico del decreto. La decisione è importante che
si trasformi in un progetto affinché si attui l’azione pastorale:
o Progetto ≠ piano. Il piano presuppone una conoscenza scientifica del futuro ed una
chiarezza completa su ciò che i membri possono e devono fare per raggiungere l’obiettivo,
ad esempio un piano industriale di un’azienda, basato su un’indagine di mercato che
fornisce dati precisi e un piano scientifico che porterà al raggiungimento di quegli obiettivi.
Il Progetto è sempre aperto all’azione imprevista e imprevedibile di Dio, ha obiettivo,
strumenti e scansione temporale per il raggiungimento degli obiettivi, modalità e attori.
Però nessuno può sapere in anticipo cosa la vita, la pratica, Dio, presenterà, il Progetto
tiene conto dell’azione imprevedibile dello SPS.

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Anno accademico 2015-2016 Marco De Felice
o Attuazione del progetto.
 Orientamenti. A carattere generale. Individuano le linee di attenzione a vasto raggio,
proposte come orizzonte di riferimento per la progettazione.
 Progetto. Presuppone
1. L’opera di Dio.
2. Qualcuno che vuole collaborare. È implicito l’atto di fede.
3. Una comunità dove le persone possano vivere relazioni comunitarie.
 Ha come elementi caratterizzanti
1. Obiettivi. Determinati dalla lettura teologica della realtà, analisi e valutazione,
decisione e progettazione, kairologicamente individuati, per la crescita della fede,
edificazione e la missione della comunità. Non ripetono i principi ma già li
concretizzano (mettere al centro l‘Eucarestia è un principio, fare adorazione un
giorno preciso ad orari precisi è un obiettivo). Sono generali dell’anno (tre al
max) e intermedi, l’importante è che ci sia una scansione temporale in cui
controllare e di rilascio della tensione (non si può fare festa ogni domenica)
2. Tappe. Scandiscono i tempi di realizzazione, soggette a verifiche. Sono
calendarizzate nella programmazione. È importante che una programmazione
settimanale di massima ci sia affinché non si sovrappongano azioni. Il calendario
deve essere a disposizione di tutti.
3. Attori. Chi fa. Il progetto si fa quando ci sono queste persone, non senza! Al
limite può essere che le competenze debbano essere preparate e si può prevedere.
4. Modalità. Mezzi e strumenti. Verificati con cura. Non si copiano da un anno
all’altro. Si scelgono in relazione alle reali possibilità della comunità. Sono a
servizio delle persone.
 Programmazione. Determina tempi, persone e mezzi per la fattibilità e l’esecuzione
del progetto, senza rigidità. Necessita di verifica, non solo nella parte finale, ma anche
nelle tappe intermedie. Il progetto:
 La mentalità progettuale. È il cogliere in un problema una possibilità buona di azione
da compiere, di discernimento, mosse da fede, speranza e carità, non come una difficoltà
insormontabile. Conseguenze della mentalità progettuale:
 Nella vita di una comunità cristiana il progetto ha valore ben oltre gli obiettivi
che raggiunge perché è uno strumento potente di comunione.
 Edifica la comunità cristiana. È bello, cristiano, efficace solo ciò che comporta
una partecipazione ricca e diretta. Comunità di base in Brasile: ok, Fra e Ger:
disastro.
 una comunità che progetta deve per forza esprimersi e manifestarsi nei suoi
componenti, nella diversità dei doni presenti, portare ciò che appartiene per il
frutto comune
3) Attuazione e verifica. L’azione della Chiesa implica fatica e sacrificio. La verifica è
necessaria per capire l’andamento del progetto, se funziona o no. Per valutare il
raggiungimento degli obiettivi. Poiché l’agire pastorale è un agire umano-divino (principio
dell’Incarnazione), è importante capire ciò che va verificato. Nelle azioni di una comunità
cristiana, devono potersi percepire la presenza e l’azione del P, del F e dello SPS.
o La verifica
a. Quantitativa. È il controllo se le cose progettate sono state anche realizzate.
b. Qualitativa. L’azione ha migliorato la vita di comunione? Non basta il fare, i
numeri, conta l’essere, l’amore e la comunione che si sviluppano nel fare (si sono
sviluppate la fede, la speranza e la carità di Dio?). L’azione pastorale è umano-
divina (il principio di Incarnazione) e dobbiamo discernere e valutare come è stata
la nostra azione umana e se era presente Dio.

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Possibili domande d’esame


1. Differenza tra Teologia Pastorale e Pastorale
La teologia pastorale è la scienza che studia l’agire della Chiesa. Pastorale è l’azione ecclesiale,
che ha come soggetto la Chiesa.

2. Radici bibliche della Teologia Pastorale


In quanto disciplina accademica è nata nel 1774. Ma in quanto dimensione propria della vita della
chiesa c’è sempre stata. Il NT è ricco di esempi di TP implicita:
 Il Vg quadriforme.
 At. Istituzione dei diaconi (At 6) e Concilio di Gerusalemme: prassi catecumenale e
circoncisione (At 15, 23-29).
 Le lettere pastorali (1Tm, 2Tm e Tt ≠ Cor, Ts).

3. Elementi di storia patristica, medievale, Concilio di Trento


 I Padri. La teologia dei Padri è nata nel vivo dell’azione pastorale. Il dato su cui riflettere
perveniva dalla situazione e dalle domande dei cristiani. Lo specifico della Teologia
patristica è che è insieme TP e Teologia speculativa. Il vertice della produzione teologico
- pastorale di questo periodo è Regola Pastorale di Gregorio Magno.
 Medioevo. La società medievale era profondamente unita, non c’era separazione tra vita
ecclesiale e vita sociale. L’azione ecclesiastica è circoscritta all’azione dei pastori ed in
particolare all’azione liturgica. I sacerdoti erano formati a “bottega” e l’ignoranza del clero e
l’incapacità di predicare era un problema reale. Nel CL IV (1215), presente S. FRANCESCO,
è prescritto che nelle scuole ci sia un magister che sapesse leggere e insegnare la cura
pastorale, che insegnasse al futuro prete tutto ciò che occorreva per la cura delle anime.
 Concilio di Trento. Determina la pastorale fino al CV II. Il CdT affermò che il principio
della comunità cristiana è il parroco, che ogni parrocchia deve essere geograficamente
delimitata ed aver un pastore proprio, che deve risiedere in luogo, che il pastore deve essere
formato nei seminari ed aggregato giuridicamente ad un vescovo il quale a sua volta deve
risiedere nella diocesi. Specifico del sacerdote è la celebrazione della messa. Limiti:
pastorale clericomorfa e clericocentrica, polemica antiluterana. Cominciò a prodursi il
manuale, si limita a prescrivere ciò che il sacerdote deve fare.

4. Riforma asburgica: interesse politico e configurazione accademica


 Nel 1774, MARIA TERESA D’AUSTRIA, preoccupata delle idee illuministe, incaricò l’abate
RÄUTENSTRAUCH di predisporre un corso apposito per preparare i parroci ad amministrare
le parrocchie. RÄUTENSTRAUCH presenta un metodo di impianto deduttivo, sceglie un
modello cristologico, lo schema del tria munera di Gesù e deduce l’identità del ministero
del pastore. La derivazione cristologica di questo modello lo discosta dai manuali che
prescrivevano le azioni da fare. È questo passaggio che fa della TP una disciplina
teologica. Di RÄUTENSTRAUCH è da apprezzare l’attenzione agli aspetti pedagogici e
metodologici. Non c’è solo deduzione ma c’è anche attenzione al come questo va fatto.
 Il passaggio accademico successivo è contrassegnato da SCHLEIERMACHER. La TP ha come
fine una buona conduzione della comunità cristiana e deve avere un carattere operativo. Essa
serve alla auto-edificazione della Chiesa. La fondazione teologica della TP non è più
fatta risalire alla cristologica ma alla ecclesiologia. Il soggetto della TP diventa la
Chiesa come comunità. Alla TP non si deve chiedere la risposta al problema concreto,
ma che metta a fuoco un metodo acquisito il quale si possa agire davanti a qualunque
problema. Scrive “Breve presentazione dello studio della teologia, redatta al fine di lezioni

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introduttive” dove afferma che la teologia non è proprio dei pastori ma di tutti coloro che
partecipano alla conduzione della Chiesa. Due novità:
 Non deducibilità. L’applicazione pratica non può essere predeterminata ma deve essere
di volta in volta determinata in relazione alla situazione concreta, ne consegue che non
c’è deducibilità degli imperativi pastorali dalle premesse dottrinali.
 Competenze. Proprio perché devo conoscere il contesto in cui mi trovo a vivere e
proprio perché ciò che devo fare non è predeterminato, devo acquisire un “bagaglio
tecnologico” previo che mi consenta di capire che cosa sta accadendo. In tal modo, si
potrà avere la chiarezza di ciò che compete a chi si occupa di pastorale e di ciò che egli
può acquisire dalle altre scienze e degli altri metodi, senza importare metodi da altre
scienze mantenendo il proprio metodo e lasciandosi interpellare dall’altro.

5. Graf e Arnold
 ANTON GRAF. La TP ha un metodo scientifico proprio, radicato nell’ecclesiologia. Per
GRAF la teologia, intesa globalmente, si può comprendere come “autocoscienza scientifica
della Chiesa” che avviene con metodo e vive di tre dimensioni: passato (biblica e storia
della Chiesa), presente (dogmatica e morale: fede, carità), futuro (teologia pratica). La
teologia pastorale non può essere ridotta alle soluzioni pratiche perché la verità non sta mai
soltanto nell’esperienza: l’esperienza dice il manifestarsi di una verità ma non dice il
dato assoluto. Esiste una specificità della conoscenza pratica ed una specificità della
conoscenza teorica, ma le due sono reciproche e nessuna delle due sta mai senza l’altra. I
soggetti della teologia pastorale non sono soltanto i pastori ma tutti (ma non è ancora
l’ecclesiologia di comunione scaturita dal Concilio). GRAF intende edificare la comunità
cristiana indipendentemente dagli interessi che lo Stato ha sulla Chiesa. È il primo che
introduce il P, il F lo SPS che agiscono nei battezzati producendo degli effetti.
 ARNOLD collaborò invece alla stesura dell’Handbuch der Pastoraltheologie con RAHNER.
Egli definisce la teologia pastorale come “la dottrina della mediazione ecclesiale e delle sua
forme di azione”. Questa mediazione deve essere insieme realmente dedotta e totalmente
compresa a partire dal principio di incarnazione, cioè nel modo concreto in cui la salvezza
dell’uomo è stata inaugurata e totalmente realizzata dal Verbo che ha assunto la natura
umana. La pastorale non si configura come cura delle anime, ma come servizio alla fede. Si
elabora da principi propri.

6. Questa attenzione al destinatario, recentemente dal punto di vista epistemologico dov’è


che ha avuto un momento importante? La pastorale del milieu.
La forma della pastorale non deve essere dedotta da quel che si è sempre fatto o dai decreti di un
Concilio, ma deve essere elaborata a partire dal rapporto col milieu, cioè con l’ambiente umano, la
comunità umana omogenea che insiste su un certo territorio, deve essere in grado di produrre un
modello che sia armonico a quell’ambiente vitale. Il dato che viene dalla realtà non è consecutivo
ma costitutivo. Significa che metodologicamente bisogna sempre far incontrare il dato di fede con
quello storico-antropologico. La pastorale del milieu è la prima pastorale che afferma
l’imprescindibilità del laicato, la specifica partecipazione dei laici alla pastorale deve essere fatta
valere in un lavoro di équipe.

7. “nota previa” di Gaudium et Spes


La ‘Nota previa’ è importante perché, per la prima volta, un testo del Magistero mette in rapporto
tra di loro la dimensione la dogmatica e quella pastorale, cioè, si riconosce che tra teoria e prassi c’è
un rapporto di reciprocità. “la costituzione pastorale GS consta di due parti, ma è un tutto
unitario (...) Non manca dunque né l’intento pastorale nella prima parte, né l’intento
dottrinale nella seconda”. La proposta fu quella di fare una parte dogmatica e poi di affrontare i
singoli problemi nei vari allegati (adnexa). Tuttavia, nella redazione definitiva si vide come non sia
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possibile parlare dell’azione ecclesiale in astratto e di come non sia possibile affrontare i singoli
problemi se non facendo riferimento ai criteri che permanentemente danno forma all’azione della
Chiesa. Limite: dottrina = dogmatica.

8. Teoria e prassi: modelli inadeguati e modello adeguato


Per essere una disciplina scientifica occorre che la TP abbia un metodo che deve farsi carico di dire
qual è il corretto rapporto tra teoria e prassi. 3 sono i modelli inadeguati: deduttivo, induttivo
e V/G/A (cripto deduttivo)
modello adeguato:
 Indeducibilità della prassi dalla teoria. Deduttivo P > T.
 Irriducibilità della teoria alla prassi. Induttivo (Tacchino / Popper).
 Reciprocità dialettica e asimmetrica.
Il metodo adeguato per progettare un’azione ecclesiale deve essere quello del discernimento, che
tiene tutta la consistenza della realtà, senza riduzioni di tipo deduttivo o induttivo, preoccupato di
individuare l’azione di Dio nella storia, dentro questo soggetto che è la Chiesa.

9. Principio di Incarnazione e teologicità della TP


Sempre Dio salva l’uomo attraverso l’uomo. La centralità dell’incarnazione fonda la teologicità
della TP. Le azioni della Chiesa non sono azioni soltanto umane, ma azioni umano-divine, perché la
Chiesa è il corpo del Verbo incarnato. L’incarnazione (gesti e parole di Gesù) è la forma dell’agire
ecclesiale.

10. Il discernimento pastorale: metodo (dimensioni e fasi)


Il discernimento pastorale è il modello adeguato.
Le dimensioni sono ciò che è sempre presente nell’azione come costitutive dell’azione.
Le fasi sono il dispiegarsi dell’agire in una successione, sono sequenziali.
 Dimensioni. kairologica, criteriologica (≠ principi) e operativa.
 Fasi. analisi e valutazione, decisione e progettazione, attuazione e verifica.

11. I caratteri dell’azione ecclesiale


Nella Trinità le Persone “sono”, in quanto in relazione l’uno all’altra. La Chiesa esiste in quanto è
relazione al mistero di Dio e al mondo. L’agape non è un settore della pastorale ma è la natura
profonda dell’azione ecclesiale. Poiché l’agire della Chiesa è agire umano-divino, in ciò che la
Chiesa fa si devono poter distinguere dei caratteri che rendono visibile l’opera della Trinità e delle
Sue singole persone. Caratteri che sono costituenti dell’azione ecclesiale, cioè per progettare
un’azione ecclesiale devo aver cura che questi caratteri siano presenti e visibili:
1. P Creatore. Creatività.
2. F Redentore. Diaconia o Servizio.
3. SPS Santificatore. Edificazione della Chiesa, libertà e verità.

12. Il progetto pastorale


Il progetto presuppone:
a. L’opera di Dio (≠ piano).
b. Qualcuno che vuole collaborare.
c. Una comunità dove queste persone possano vivere relazioni comunitarie.
Distingue:
a. Orientamenti. Hanno carattere generale, colgono l’urgenza.
b. Progetto. Dà forma operativa alla decisione.
c. Programmazione. Determina obiettivi, tempi, persone, mezzi concreti.

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Avere mentalità progettuale significa che una problematica è letta come una possibilità buona di
azione da compiere, di possibilità di discernimento, di esercitare la passione pastorale, la fede, la
speranza, la carità che mi muovono e non come una difficoltà insormontabile.

13. Ambiti dell’azione ecclesiale: problematica e proposta


Gli ambiti sono il campo di azione entro cui si agisce. Problematica è quella degli ambiti desunti
dal trinomio: Catechesi, Liturgia, Carità. L’insufficienza è nella determinazione in ambito
esclusivamente intra-ecclesiale. I due assi su cui va pensata e progettata l’azione ecclesiale sono:
 La questione antropologica: anima/corpo; uomo/donna; individuo/società o comunità
 Il doppio movimento ad intra e ad extra. La Liturgia non è un ambito ma è fondamento e
culmine dell’azione ecclesiale.

14. Le tre tensioni polari


Tradizionalmente, “la Chiesa deve fare”:
 Catechesi. Annuncio Vg.
 Liturgia. Celebrare i sacramenti. la grazia non si amministra.
 Carità. Esercitare la carità.
Sulla scia di RÄUTENSTRAUCH, la Chiesa si è specializzata in queste tre attività, tutte “ad intra”,
in questo modo la Chiesa ha contribuito alla secolarizzazione della società, che si è sempre più
staccata dal Vg e ha perso la fede. Oggi che pochissimi sono realmente cristiani, la catechesi è
l’ultimo passo, perchè presuppone la fede per spiegarla, ma oggi mancano i presupposti. In realtà
questi tre settori non sono separati, non sono tre fasi in sequenza, ma sono in costante
relazione tra loro, senza carità non si può celebrare liturgia né fare catechesi, senza catechesi
non si capisce la liturgia e non c’è il fondamento della carità, senza liturgia la catechesi è
vuota, la carità è solo affetto umano. Perché è l’unico e medesimo Spirito che le suscita.

15. Soggetti dell’azione ecclesiale


 Comunità nel suo insieme = Consiglio pastorale parrocchiale, Sinodalità
 pastori (vescovi – presbiteri – diaconi)
 laici
 Corresponsabilità. Qualità che compete a ciascun battezzato. Non vuol dire che tutti
devono fare tutte le cose, ma che ciò che è della Chiesa è proprio di ogni battezzato.
 Partecipazione. I ministeri (incarichi pubblici canonicamente, ecclesialmente
determinati) che vengono affidati a dei laici in forza del battesimo e della cresima.
 Cooperazione. Sono i ministeri che di per sé necessitano dell’ordine sacro ma che per
motivi diversi, in via straordinaria, suppletiva e transitoria vengono affidati a dei laici.
Lo slogan “la Chiesa tutta ministeriale” (p. CONGAR) è da respingere se ministero è inteso nel senso
che a tutti deve avere un compito ufficiale, visibile, pubblico. Si può accettare se ministeriale è
inteso come l’agire cristiano che ha il carattere del servizio (diaconia) che corrisponde al carattere
diaconico del F nella comunità

16. L’interesse pastorale


LANZA. L’interesse pastorale è l’interesse che la TP ha della pastorale. Con GRAF, lo spettro
dell’indagine della TP è ridotto ai preti, l’interesse pastorale è l’interesse su cosa sono le azioni
specifiche dei pastori. Invece autori successivi, si sono interessati di ciò che riguardava la vita della
Chiesa nel suo insieme. Nella prima metà dell’800 sono avvenute due rivoluzioni, che hanno
comportato dei mutamenti di vita, sociali e culturali:
1. La Rivoluzione industriale
a. Crisi dell’autorità. Nella civiltà contadina, è il padre il capo famiglia, è colui che
determina la vita degli altri componenti. Nel momento in cui il lavoro dipende da

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una realtà che è esterna alla famiglia, lo stesso capofamiglia è sottomesso a
un’autorità più grande di lui. La crisi dell’autorevolezza paterna è cominciata da qua.
b. Urbanesimo. La localizzazione del lavoro, con la concentrazione in grandi
agglomerati vicino l’impresa ha prodotto una serie di problematiche sociali, quali la
casa, il sostentamento materiale, all’offerta di lavoro nelle grandi città.
a. Il marxismo. A partire dai mutamenti sociali e lavorativi, si andava affermando
un’interpretazione della realtà che trovava nell’economia la radice dei cambiamenti.
L’analisi marxista della realtà sociale, dei fenomeni interpretati non più a partire
dalla provvidenza di Dio, dalla presenza di Dio, dalla carità della Chiesa, ma dai
fattori economici. È un’impostazione filosofica, ma che poi è diventata anche una
interpretazione culturale. NIETZSCHE, FREUD E MARX, sono i maestri del sospetto,
perché hanno gettato il radicale sospetto sulla religione. La risposta della Chiesa è
venuta dal Magistero Pontificio, (Leone XIII, Rerum Novarum), non dai pastori.
2. Lo sviluppo della Sociologia e Psicanalisi
Le scienze umane, sono quelle che applicano il metodo scientifico a fenomeni umani.
 La sociologia. La previsione e il governo scientifico dei fenomeni sociali.
 La psicoanalisi (FREUD). I fenomeni intrapsichici, con l’individuazione di ciò che
l’inconscio è in grado di fare, di condizionare la libertà, le azioni. Essa asserisce che
“in quanto determinato dall’inconscio non sono libero e non sono responsabile fino
in fondo di quel che faccio”, ciò mina il concetto di libertà, profondante cristiano.
La TP si occupa dell’agire del un soggetto sociale Chiesa, per cui l’interesse per la
sociologia è innato, dalla quale prende la strumentazione che la sociologia ha per affrontare
lo studio dei fenomeni, ad esempio le statistiche, la ricostruzione dei modelli, l’andamento
di una tendenza. La psicoanalisi ha fornito alla TP informazioni utili sull’inconscio e i
meccanismi che determinano la vita sociale.

17. Qual è il rapporto adeguato tra teoria e prassi?


La reciprocità dialettica e asimmetrica.
La realtà non è un contenitore vuoto in cui la teoria pone le sue proposte, dà degli elementi che sono
imprescindibili che non possono non essere considerati, ma la prassi porta dentro di sé una teoria.
La scienza deve essere critica sull’esperienza e testare, vedere se il modello regge oppure no.
Questo è il compito ermeneutico della TP che in tal senso è scienza.
 Reciprocità dialettica. La teoria orienta la prassi e la prassi fornisce contenuti alla teoria.
 Asimmetrica. Il dato di fede, cioè la teoria, fornisce le categorie adeguate per leggere e
interpretare la realtà, la realtà non interpretare il dato di fede.

18. Perché diciamo che il modello del discernimento è adeguato?


È adeguato perché tiene tutta la consistenza della prassi però la guarda con occhio di fede, teologico
e quindi la interpreta come un appello alla chiamata di Dio a collaborare con Lui, questo è il
discernimento. Capire nel vissuto dove Dio chiama la sua Chiesa ad agire. La teoria, il dato di fede
è intatto, non analizzato solo con la sociologia, economia politica ma osservato con un occhio di
fede. Questa è l’adeguatezza che fa di TP una disciplina teologica, non tecno-poietica direbbe
LANZA, cioè non è una materia che dice cosa fare, ma che insegna a pensare come agire in maniera
teologica. Fornisce un metodo rispetto al quale qualunque situazione può essere oggetto di
discernimento e di progettazione, il progetto è appunto la sintesi del metodo, delle fasi, delle
dimensioni. Tutto deve arrivare all’azione, perché agire è più che fare, la persona umana deve
decidere, progettare, valutare, avere strumenti, possibilità, mezzi.

19. Perché i paradigmi deduttivo – induttivo e v/g/a sono inadeguati?


Non sono sbagliati nel senso che dicono una cosa che non è vera:

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1. Vero. La teoria deve orientare la prassi. Non è vero che questo avviene per via deduttiva.
2. Vero che la prassi insegna alla teoria. Non è vero che la prassi in sé costituisce una teoria
(la triste storia del Tacchino Induttivista).
3. Vero che esiste una distinzione tra v/g/a, ma questa distinzione è nei termini di dimensioni
sempre compresenti, non di fasi dell’azione, separate tra loro, autonome e indipendenti.

20. Rapporto Teoria/prassi


Il passaggio dall’idea alla prassi è il passaggio tra due campi assolutamente diversi, non è possibile
farlo deduttivamente (T→P). Il pensiero deve in qualche modo diventare un gesto, ma per diventare
un gesto deve passare attraverso i sensi. S. TOMMASO dice “niente è nell’intelletto se prima non è
stato nei sensi”, non c’è niente che è passato all’intelletto se prima non è passato attraverso
l’esperienza. Esiste un rapporto di reciprocità tra il dato astratto su cui lavora l’intelletto e il dato
pratico che l’intelletto riceve come materia sulla quale lavorare: T ⇆ P
- Perché la TP può essere non bene impostata? Perché diversamente da una cosa o animale, la
persona umana pensa, progetta, sceglie. La sua azione non è istintuale, ma determinata di volta in
volta. Ecco che si pone il problema della teoria e della prassi e i paradigmi della prassi.
21. Perché il paradigma deduttivo continua ad avere fortuna?
Perché la teoria, nel cristianesimo, ha una figura rivelativa, cioè discendente. Ha preminenza la
teoria perché la Rivelazione non si può e vuole cambiarla, perché la verità è quella che ci è
consegnata lì, in Gesù Cristo, cioè in ciò che Gesù ha detto e ha fatto. È proprio la rivelazione
cristiana a esigere questa reciprocità tra la T e la P, perché la Riv non è una dottrina slegata dalla P.

22. “Nota previa” di Gaudium et Spes


- dov’è che, dopo la pastorale d’insieme, si trova ancora quest’articolazione tra dato di fede e vita
vissuta nei termini non di una consecutività, ma di due cose...? La GS. È li che per la prima volta
dal punto di vista magisteriale si afferma che un’urgenza pastorale per essere affrontata ha bisogno
della luce della fede ma che la luce della fede, per esprimersi, ha bisogno del dato umano concreto.
- A che cosa ha aperto le porte al Concilio Vaticano II? Alla GS e alla nota previa. La Nota previa,
per la prima volta, un testo del Magistero, mette in rapporto tra di loro la dimensione la parte
dogmatica e quella pastorale, cioè, si riconosce che tra teoria e prassi c’è un rapporto di reciprocità.
“consta di due parti, ma è un tutto unitario, né alla parte dottrinale manca quella pastorale,
né a quella pastorale manca quella dottrinale”. Brevemente la storia dello schema 13. L’idea era
di fare una costituzione che fosse di tipo dogmatico, ma poi si vide che per poter parlare di questo
bisognava fare riferimento ai problemi concreti e a loro volta questi per essere risolti avevano
bisogno dell’atto di fede. E così la nota previa compone ciò e dice che effettivamente l’uno è dentro
l’altro. Quindi si ovvia alla proposta degli adnexa, degli allegati che studiavano i singoli problemi,
le singole emergenze e priorità (la famiglia, la pace, la cultura).
23. Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI
Capitolo due: “il cristianesimo non era soltanto una «buona notizia», una comunicazione di
contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non
era solo «informativo», ma «performativo». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una
comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia
la vita. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”.

24. Fondamento teologico TP


All’inizio il fondamento è stato cristologico, poi è divenuto ecclesiologico. Si parla di teologia
perché il soggetto e l’oggetto dell’interesse è la Chiesa, non l’azione. La TP è fondata sul principio
d’incarnazione, per cui Dio salva l’uomo attraverso l’uomo, con azioni umano – divine.

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25. Il metodo del discernimento è un modello buono in un’azione dove il punto di
partenza è rivelativo? Non è qualcosa da conoscere nella storia ma è qualcosa che viene
da fuori la storia, che precede?
È adeguato perché la rivelazione cristiana si è compiuta attraverso fatti e parole intimamente legati
tra loro, cioè non attraverso un sapere assoluto, ma un sapere storicamente determinato, un
avvenimento preciso nello spazio e nel tempo, storico e cade sotto modalità proprie, conoscibili
dell’essere umano, rapporto teoria/prassi. L’incarnazione è una “legge”, una costante nell’azione
di Dio per la quale sempre Dio salva l’uomo attraverso l’uomo. Da una parte l’Incarnazione
determina che tutto ciò che Dio fa si manifesta nell’umano e quindi entra dentro questa corretta
teoria dell’agire umano e dall’altra La centralità dell’incarnazione fonda la teologicità della TP.
La TP è teologia non perché si fonda sulla cristologia o sulla ecclesiologia, ma perché si fonda sul
principio dell’incarnazione. Le azioni della Chiesa non sono azioni soltanto umane, ma azioni
umano-divine, perché la Chiesa è il corpo del Verbo incarnato, L’incarnazione (gesti e parole di
Gesù) è la forma dell’agire ecclesiale. La teologicità della materia è garantita dal fatto che essendo
la TP una scienza che studia l’agire della Chiesa ed essendo la Chiesa il corpo di Cristo, cioè
l’umanità nella quale agisce sacramentalmente in maniera incarnata Gesù Cristo, lo Spirito di Dio,
allora ciò che la Chiesa fa è teologico. È un’azione umana e divina dove c’è la consistenza
dell’umano e quella del divino. La qualità delle azioni della Chiesa è una qualità sacramentale per
cui non è che la Chiesa fa una cosa e la salvezza arriva dopo come effetto, la salvezza avviene
nell’agire stesso perché nell’agire della vita della Chiesa io sono in contatto e ricevo l’azione del
Verbo incarnato. L’incarnazione è:
 Principio di fondazione dell’azione ecclesiale.
 Criterio ermeneutico (cioè di interpretazione). L’incarnazione spiega perché adesso
accadono certe cose.
 Criterio progettuale. L’incarnazione è in coloro che progettano un’azione ecclesiale, aperta
e disponibile all’azione di Dio.
Il metodo adeguato per progettare un’azione ecclesiale è quello del discernimento, che tiene
tutta la consistenza della realtà, senza riduzioni di tipo deduttivo o induttivo, ma è preoccupata
di individuare l’azione di Dio, l’opera di Dio nella storia, dentro questo soggetto che è la
Chiesa. Quando la Chiesa o una comunità cristiana riflettendo su di sé, sul proprio agire, progetta il
suo agire fa un’operazione nella quale è coinvolto Dio stesso, lo Spirito di Dio. Proprio perché Gesù
Cristo è risorto e ha effuso lo SPS, si manifesta nella storia sempre per via incarnata, attraverso
l’umanità concreta che è il suo Corpo che è la Chiesa. Si articola in dimensioni, ciò che è sempre
presente nell’azione e fasi, la successione delle azioni. Le dimensioni sono kairologica,
criteriologica e operativa. Le fasi sono analisi e valutazione, decisione e progettazione, attuazione e
verifica.
26. - Qual è la differenza tra criteri e principi?
I principi sono fissi, immutabili, i criteri sono il coefficiente pratico dell’azione, rimane il dato di
fede ma il dato di fede qui ed ora si trascrive in questo criterio. Ad esempio le nomine dei vescovi
in Cina. Questo è il criterio che in questo momento può essere usato per la Cina, ma non è il
principio puro, che non si dà mai perché si deve tenere conto della cultura.
27. Qual è la DIFFERENZA tra corresponsabilità, partecipazione e cooperazione?
Corresponsabilità. È una qualità che compete a ciascun battezzato che essendo tale ha pari dignità
con tutti gli altri battezzati. ∄ che tutti devono fare tutto, ma che ciò che è della Chiesa è proprio di
ogni battezzato perché ogni battezzato è la Chiesa. Deve partecipare, conoscere, sentire come
proprio ciò che accade nella Chiesa, sovvenire alle necessità, sentire propria la missione della Xsa.
Partecipazione. È ciò che un laico battezzato e cresimato può fare in forza di questi due sacramenti
I ministeri (incarichi pubblici canonicamente, ecclesialmente determinati) affidati a dei laici.
Cooperazione. Ministeri che di per sé necessitano dell’ordine sacro ma che per motivi diversi, in
via straordinaria, suppletiva e transitoria vengono affidati a dei laici (distribuzione dell’Eucarestia).
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Da sapere
1. Metodo. Discernimento pastorale, 3 dimensioni e 3 fasi.
2. Caratteri dell’Azione Ecclesiale. P, F, SPS.
3. Ambiti dell’Azione Ecclesiale. L, Cat, Car.
4. Soggetti dell’Azione Ecclesiale:
 Comunità nel suo insieme = Consiglio pastorale parrocchiale (Sinodalità - communio).
 Pastori (vescovi – presbiteri – diaconi).
 Laici. (Corresponsabilità – tutti; Partecipazione – alcuni; Cooperazione – pochi).
Le domande sono di questo tipo

 Räutenstrauch.
 Maria Teresa.
 Quando è nata la teologia pastorale, quella accademica, ci sono radici bibliche?
 Questa attenzione al destinatario, recentemente dal punto di vista epistemologico dov’è che
ha avuto un momento importante? Risposta: la pastorale del milieu.
 A che cosa ha aperto le porte al Concilio Vaticano II? Alla GS e alla nota previa.
 Cosa è la nota previa? Risposta: consta di due parti ma è un tutto unitario. A questa
domanda non si deve parlare del carattere del Concilio. Dire che è di due parti ma è un tutto
unitario né alla parte dottrinale manca quella pastorale, né a quella pastorale manca quella
dottrinale che porta alla domanda successiva: il rapporto Teoria/Prassi.
 All’esame dimostrare di aver capito il metodo, in che cosa consiste, che cambiamenti
presuppone nel modo di pensare la vita della Chiesa, la sua attività.
 Nel rapporto Teoria/Prassi ci sono metodi adeguati e inadeguati.
o Quali sono questi metodi inadeguati? Sono 3.
o Perché sono inadeguati?
 Perché diciamo che invece quello del discernimento è adeguato?
La risposta non è in che cosa consiste il metodo, ma siamo ancora nel rapporto Teoria/Prassi.
È adeguato perché tiene tutta la consistenza della prassi però la guarda con occhio di fede,
teologico e quindi la interpreta come un appello alla chiamata di Dio a collaborare con Lui;
questo è il discernimento: capire tra le cose che succedono dov’è che Dio chiama la sua Chiesa
ad agire. La teoria, il dato di fede rimane intatto, non analizziamo solo con la sociologia,
economia politica o le scienze economiche ma guardiamo tutto questo con un occhio di fede.
Questa è l’adeguatezza della TP, una disciplina teologica, non tecno-poietica (LANZA), cioè non
è una materia dove mi si dice che cosa devo fare ma è una materia che mi insegna a pensare
come agire in maniera teologica. Questo metodo non dice come affrontare i problemi cioè che
cosa fare ma dice COME FARE. Fornisce un metodo rispetto al quale qualunque situazione può
essere oggetto di discernimento e di progettazione, ecco perché ci siamo concentrati molto sul
progetto che è appunto la sintesi di tutto ciò che abbiamo detto: del metodo, delle fasi e delle
dimensioni. Tutto deve arrivare, perché questa è una teologia pratica, dell’agire. La persona
umana deve decidere, progettare, valutare, avere strumenti, possibilità, mezzi, congruenza della
cosa con quello che sta facendo.
 Nell’esposizione usare un vocabolario tecnico-teologico:
o dire Ambiti dell’azione ecclesiale,
o sapere la differenza tra ambiti, dimensioni, fasi:
 Le dimensioni sono ciò che è sempre presente nell’azione (costitutive).
 Le fasi sono la successione delle azioni.
 Ambiti sono il campo di azione entro cui si agisce.
o Criterio. ∆, declina nel qui ed ora il comando dell’amore di Dio (il principio è fisso).
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