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Psicoanalisi - Concetti introdotti da Hartmann

Introduzione
Heinz Hartmann (Vienna, 1894 – New York, 1970) è stato uno psicologo e psichiatra austriaco. Egli nacque
in una famiglia dalle profonde radici scientifiche e culturali. Suo padre era un professore di storia, mentre sua
madre era una pianista e scultrice. Dopo aver completato gli studi superiori, si laureò e lavorò presso
l’istituto di Psichiatria e Neurologia dell’Università di Vienna fino al 1934, per poi emigrare negli Stati
Uniti, dove divenne il primo direttore della Clinica terapeutica dell’Istituto psicoanalitico di New York. Dal
1932 al 1941 diresse l’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse e dal 1945, con Anna Freud e Ernst Kris,
The Psychoanalytic Studies of the Child.
Hartmann fu uno dei maggiori esponenti della cosiddetta Psicologia dell’Io, una corrente fondamentale della
psicoanalisi post-freudiana che concentra la sua attenzione soprattutto sull’Io, le sue funzioni e il suo
rapporto con la realtà.
Hartmann, nei suoi studi, parte da una critica al modello classico che si interessava poco dello sviluppo del
comportamento non patologico occupandosi invece degli aspetti inconsci, dei conflitti e della patologia. Egli
propone quindi un modello psicodinamico della personalità normale, ovvero indaga anche gli aspetti dello
sviluppo normale connessi con la realtà esterna e la coscienza.

L’importanza dell’Io
Per Hartmann l’Io assume un ruolo centrale nello sviluppo dell’individuo. A differenza della visione
freudiana, l’Io non è più visto come una struttura psichica dotata di una limitata autonomia, la cui funzione
primaria è quella difensiva, ma diviene una struttura complessa, formata da più sub-strutture e avente
differenti funzioni.
Nonostante questo cambio di focalizzazione, Hartmann resta molto legato alle ipotesi e alle teorie di Freud,
tanto da essere definito lo psicologo post-freudiano più ortodosso. In effetti il suo pensiero sarà basato sul
fatto di integrare nuove concezioni, rimanendo però fedele al modello e alle teorie di Freud.

Origini e funzioni dell’Io


L’Io per Hartmann si sviluppa partendo da tre fattori:
1. le pulsioni;
2. la realtà;
3. i fattori ereditari.

Pertanto egli da una parte resta fedele al modello pulsionale freudiano, dall’altra vede il costituirsi dell’Io
come struttura nei termini di un continuo scambio e rapporto che avviene con la realtà, sotto l’influsso degli
aspetti ereditari.
L’innovazione più importante di Hartmann sta nel concetto di sfera dell’Io libera dai conflitti. Al contrario di
Freud, che vedeva l’Io in eterna lotta per difendersi dagli attacchi dell’Es, del Super-Io e della realtà (i tre
“tiranni dell’Io”), Hartmann ritiene invece che esista una parte dell’Io relativamente esente da conflitti
pulsionali, che permette l’adattamento e lo sviluppo. Questa parte dell’Io libera da conflitti è quella che
contiene le funzioni principali dell’Io, che si dividono in due categorie:
- Funzioni autonome primarie;
- Funzioni autonome secondarie.

Delle prime fanno parte per esempio la percezione, l’azione, l’intenzionalità, l’anticipazione, l’intelligenza, il
linguaggio, la volontà, il pensiero e la verbalizzazione. Queste funzioni sono dette primarie perché, appunto,
si sviluppano in maniera relativamente indipendente dalle pulsioni, ma che comunque ne sono in parte
influenzate.
Le funzioni autonome secondarie sono invece delle forme di comportamento che originano dai meccanismi
di difesa dalle pulsioni, ma che nel corso dello sviluppo si rendono relativamente libere dalle richieste
pulsionali; ne sono un esempio la creatività e l’arte.

Le energie dell’Io
Hartmann pone l’Io come centro cardine per lo sviluppo. Ma l’Io, per poter esercitare questa funzione, deve
possedere una propria energia. Si ricordi che per Freud l’Io non possedeva una propria energia, ma questa
derivava dall’Es. Per Hartmann invece l’Io non si differenzia dall’Es, ma al pari di questo si differenzia da
un originario indifferenziato, la matrice indifferenziata dell’Io e dell’Es. Inoltre l’Io è dotato di una propria
energia libera non istintuale. Questa energia, detta energia primaria dell’Io, è quella che viene utilizzata per
attivare le funzioni autonome primarie. Per quanto riguarda, invece, le funzioni autonome secondarie,
Hartmann introduce il concetto di energia neutralizzata. Con questo concetto intende il processo per cui
l’energia che proviene dalle pulsioni viene deistintualizzata e desessualizzata, rendendola appunto neutra.
Ciò può assomigliare al concetto freudiano di sublimazione ma se ne differenzia per alcuni aspetti
fondamentali: innanzitutto la neutralizzazione dell’energia non è un processo esclusivamente difensivo
attuato a seconda delle esigenze, ma bensì un processo continuo che, trasformando l’energia stessa (e non
deviandone la meta), favorisce l’adattamento, lo sviluppo e il funzionamento dell’Io.

Il concetto di adattamento
L’Io per Hartmann, grazie alle sue funzioni, diviene l’organo specifico dell’adattamento. L’adattamento è
inteso come l’insieme dei processi che permettono di dominare la realtà, ed è un concetto fondamentale per
lo sviluppo dell’individuo. L’adattamento, però, può avvenire solo se il bambino si trova a vivere in un
ambiente sano e gratificante, quello che Hartmann definisce ambiente medio prevedibile. Con questo termine
s’intende non solo un buon ambiente biologico, ma anche sociale. In questo aspetto della sua teoria quindi si
nota una maggiore attenzione per la realtà e le relazioni oggettuali (le relazioni che il bambino intrattiene con
le persone più significative della sua infanzia), anche se Hartmann punta sempre maggiormente l’attenzione
sui fattori biologici. Ritiene, infatti, che ciò che permette l’adattamento è soprattutto il bagaglio ereditario
innato di cui l’Io dispone, anche se alcune funzioni si svilupperanno in seguito se l’ambiente lo permette. Le
relazioni oggettuali sono quindi secondarie al bisogno di sopravvivenza. Inoltre, secondo Hartmann, il
rivolgersi dell’Io alla realtà esterna non dipende da una frustrazione interna come per Freud, ma dalla natura
stessa dell’Io. L’adattamento quindi non è un processo passivo ma attivo, non è un processo individuale ma
transgenerazionale e culturale. Questo perché il bambino quando nasce non si ritrova ad affrontare la
situazione di adattamento ex novo, ma può sfruttare le abilità e le conoscenze fino ad allora ottenute dalla
stessa umanità.

Introduzione del concetto di Sé


Come altri teorici prima di lui, anche Hartmann intraprese una revisione della teoria del narcisismo. Egli
ridefinisce questo concetto nell’ambito del sistema strutturale, affermando che debba essere interpretato
come un investimento del Sé, piuttosto che dell’Io.
Questa definizione introdusse il concetto di Sé (visto in interazione con gli oggetti) nella teoria classica,
aprendo la strada ai futuri teorici, come la Jacobson, per i quali gli scambi tra “il Sé e il mondo oggettuale”
rivestiranno una funzione motivazionale centrale.
La visione di Hartmann, comunque, è conservativa, in quanto definisce il Sé come una rappresentazione, un
costrutto esperienziale parallelo alla rappresentazione oggettuale e con essa in relazione.

La terapia psicoanalitica
Secondo Hartmann la salute mentale è data dal giusto equilibrio fra pulsioni, strutture psichiche e funzioni
dell’Io. L’individuo ben adattato all’ambiente è colui che risulta produttivo e capace di godere della vita.
Secondo la psicologia dell’Io, la terapia psicoanalitica deve dunque rifarsi ai seguenti fondamenti: maggiore
attenzione per l’Io, le sue difese, il suo rapporto e adattamento con la realtà. Diviene molto importante il
concetto di interpretazione. Queste possono essere distinte in due gruppi:
- Interpretazioni intersistemiche: quelle che riguardano i conflitti tra l’Io e le altre istanze psichiche;
- Interpretazioni intrasistemiche: quelle che riguardano i conflitti tra funzioni interne all’Io stesso.
L’interpretazione per Hartmann diviene efficace solo in presenza di un setting ottimale, che può essere
garantito solo da una strutturazione rigorosa e da interventi preliminari che favoriscono l’emergere dei
contenuti inconsci. L’interpretazione efficace è inoltre diversa da una semplice spiegazione.
L’interpretazione, infatti, deve contenere dei riferimenti temporali concreti alla realtà del paziente e deve
essere espressa con parole vicine al modo di pensare del cliente e a seconda delle circostanze. È molto
importante anche che l’interpretazione non vada mai troppo in profondità, ma resti sempre su quella che
viene definita una distanza ottimale dalla superficie che può essere identificata con il rifarsi ai contenuti del
preconscio e mai a quelli dell’inconscio.

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