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Capitolo 1 Il diritto ecclesiastico italiano 1. Definizione, contenuto e oggetto del diritto ecclesiastico italiano.

Il diritto ecclesiastico è quel settore dell'ordinamento giuridico che concerne il fattore religioso e va distinto dal diritto
canonico che concerne l'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica. Il diritto ecclesiastico non è un corpo organico
ma le sue norme si trovano in tutti i settori dell'ordinamento giuridico: dalla costituzione alle leggi ordinarie, nel codice
civile, codice penale, codice di procedura penale, codice di procedura civile, diritto del lavoro, diritto commerciale,
leggi amministrative e finanziarie, eccetera. Accanto a questa legislazione c’è un'altra formata da atti bilaterali
costituiti da concordati con la Chiesa cattolica oppure da intese con le altre confessioni religiose. Le norme di questi
atti non hanno efficacia nell'ordinamento giuridico italiano fino a quando gli atti non vengono eseguiti attraverso leggi
di esecuzione, nel caso di concordato con la Chiesa cattolica e quindi con atti di diritto esterno, oppure attraverso leggi
di approvazione, o atti di diritto interno, attraverso cui si sostanzia l’ impegno dello Stato a rispettare l'accordo. Ci si
chiede in quali casi una norma può essere definita di diritto ecclesiastico ed in che cosa si sostanzia il fattore religioso.
Bisogna qualificare tali aggettivi. L'aggettivo ecclesiastico implica un riferimento al sostantivo chiesa; l'aggettivo
religioso, che caratterizza atteggiamenti prevalentemente personali, implica un riferimento alla visione non eterna del
mondo, così ribaltando uno dei fondamenti su cui si fonda la norma giuridica, cioè la sua verifica sulla base dei principi
generali della teoria del diritto che non sono passeggeri e sono materialmente individuati. L'indeterminatezza del
fenomeno religioso che caratterizza le norme di diritto ecclesiastico, comporta come conseguenza che in tali norme
sono essenziali i principi generali che possono portare a qualsiasi conseguenza. Tali norme quindi rappresentano dei
casi limite all'interno del diritto fortemente strutturato. Ininfluente è la collocazione del diritto ecclesiastico
nell'ambito pubblicistico o privatistico, proprio perché le sue norme si ritrovano in tutti i settori. Tuttavia può ritenersi
che tale disciplina rientri nel diritto pubblico non perché le sue norme fondamentali hanno rilevanza costituzionale,
ma perché le sue norme, sebbene siano leggi ordinarie, hanno una rilevanza fondamentale sul piano sociale per la loro
natura e per il loro oggetto. Quindi la natura pubblicistica non deriva dalla fonte da cui scaturiscono le norme, ma
deriva dall'oggetto e dal contenuto delle norme di diritto ecclesiastico. Ecclesiastico è tutto ciò che riguarda la vita e le
attività delle chiese; religioso è tutto ciò che riguarda gli interessi dei gruppi confessionali e dei loro individui, sia
quando questi ultimi siano fedeli del gruppo sia quando sono estranei ad esso. Lo Stato, proprio perché le norme di
diritto ecclesiastico riguardano la sfera personale degli individui, è l'unico referente sia dei gruppi confessionali e dei
singoli individui dal punto di vista di garantire tali norme. Ci si chiede quali siano i fattori che fanno sì che il diritto
ecclesiastico abbia connotazione pubblicistica. Innanzitutto il primo fattore riguarda il fatto che tali norme per il loro
oggetto e la loro natura debbono essere ricondotte nell'alveo del diritto pubblico. Il secondo fattore riguarda il fatto
che una legislazione avente spesso connotazione costituzionale o di livello internazionale e spesso bilaterale, deve
essere ricondotta nel diritto pubblico poiché la sua eventuale collocazione nel diritto privato non garantirebbe ai
contraenti la libertà concessa come nel diritto pubblico. Il terzo fattore riguarda la politicizzazione dei rapporti tra
Chiesa e Stato. Tuttavia la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato sta divenendo sempre meno importante(si
pensi ai vincoli posti sulla proprietà privata per motivi di pubblico interesse). Inoltre i soggetti, il patrimonio, il
matrimonio, la proprietà nel diritto ecclesiastico sono attinenti al diritto comune. Quindi limitare strettamente nel
diritto pubblico il diritto ecclesiastico, significherebbe alterare il soggetto e la sua tradizione.

2. Svolgimento legislativo dottrinale. Dalla legislazione unilaterale……

L'evoluzione del diritto ecclesiastico si distingue, per motivi pratici, in tre periodi. Il primo periodo è quello della
legislazione unilaterale dello Stato di stampo giurisdizionalistico la cui espressione principale sono le leggi eversive e
guarentigie. Il secondo periodo è caratterizzato dai patti lateranensi dove il rapporto tra la Chiesa e lo Stato viene visto
come rapporto tra ordinamenti giuridici primari. Il terzo periodo coincide con l'avvento della costituzione
repubblicana, che conferma i patti lateranensi, e con la modificazione dei patti lateranensi del 1929 attraverso un
accordo nel 1984 e con la stipulazione di intese da parte dello Stato con confessioni diverse da quella cattolica. Subito
dopo l'unificazione dell'Italia, la legislazione piemontese fu estesa a tutto il regno. Ciò comportò due effetti: il primo è
l'abolizione di tutte le legislazioni dei singoli Stati vanificando così consuetudini e usi locali; il secondo effetto è
l'affermazione della legislazione sardo piemontese che di quel particolarismo è il risultato. Importante fu lo statuto
Albertino approvato con legge numero 647 del 1848. In tale statuto fu sancito all'articolo uno che la sola religione
dello Stato è quella cattolica apostolica romana. Il re si promuove protettore di essa e garantisce l'osservanza delle
leggi nelle materie che rientrano nella potestà di essa. La magistratura garantisce l'osservanza dell'accordo tra Stato e
Chiesa e a tal fine continuerà ad esercitare la sua autorità e giurisdizione. Gli altri culti sono tollerati secondo i
regolamenti e le consuetudini che li riguardano. Di poco antecedente allo statuto Albertino è la lettera ai valdesi con
cui si conferma che essi possono godere dei diritti civili e politici, essere ammessi alle cariche militari e civili,
frequentare scuole e università nel regno italiano ma nulla cambia riguardo all'esercizio del loro culto. Un'altra
importante disposizione dello statuto Albertino è l'articolo 18 che sancisce che la potestà civile in materia beneficiaria
e concernente tutte le provvisioni di qualsiasi natura è esercitata dal re, salvo le eccezioni previste dalla legge.
L'importante è anche l'articolo 24 dove si sancisce che tutti cittadini del regno sono eguali dinanzi alla legge, godono di
tutti i diritti civili e politici e possono essere ammessi alle cariche civili e militari. Importante anche è l'articolo 28 dove
si sancisce che la stampa è libera ma una legge né reprimere gli abusi. Tuttavia le bibbie, le preghiere, i testi
ecclesiastici, eccetera possono essere venduti solo con l'autorizzazione del vescovo. Importante anche l'articolo 33
dove si afferma che il re nomina dei senatori a vita, scelti tra diverse categorie tra cui quella dei vescovi, aventi almeno
quarant'anni e in numero non limitato. Con la legge sineo numero 735 del 1848 viene sancito in un unico articolo che
la differenza di culto non determina un'eccezione riguardo al godimento dei diritti politici e civili o alla ammissione alle
cariche civili e militari. Con le leggi siccardi viene stabilita l'abolizione del foro ecclesiastico, dell'immunità ecclesiastica
e del diritto d'asilo. Successivamente con un'altra legge viene stabilito che gli stabilimenti e i corpi morali possono
acquistare stabili solo previa autorizzazione dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato. Il periodo liberale si
completa con le leggi eversive e delle guarentigie. Con le prime si provvede alla soppressione degli enti ecclesiastici e
alla liquidazione del patrimonio e dei beni ecclesiastici. Subito dopo l'unificazione dell'Italia, si impone la prima fase
della questione romana (la seconda fase infatti va dal 1870 fino al 1929 dove terminerà) caratterizzata dall'abolizione
del potere temporale del Papa che porrà il governo d'Italia in posizioni opposte rispetto a quelle della Chiesa. Verrà
meno l'attività concordataria nella seconda metà del 19º secolo dove questa attività verrà considerata un'attività
privilegiata. Prima dell'approvazione delle leggi guarentigie, ci sarà l'approvazione di una serie di leggi che adesso
elencherò. La legge che prevedeva l'abolizione dei contributi ecclesiastici, dell'immunità ecclesiastica e delle decime.
La legge che sancisce l'abolizione delle decime e la corresponsione di un assegno alla chiesa. La legge per la
concessione ad enfiteusi perpetua redimibile dei bene fondi ecclesiastici in Sicilia. La legge che prevede
l'affrancamento dai canoni enfiteutici e da qualsiasi prestazione dovuta ad un corpo morale o ente ecclesiastico. La
legge che prevede la soppressione di tutte le corporazioni religiose, e cioè il regio decreto numero 3036 del 1866.
Infine la legge che sancisce la soppressione di tutti gli enti ecclesiastici e la liquidazione dell'asse ecclesiastico. Infine
nel 241 del 1871 la legislazione eversiva si completa con le leggi delle guarentigie emanate appunto con tale legge e
con la legge che estende alla provincia di Roma le leggi sulle corporazioni religiose e sulla conversione dei beni
immobili degli enti morali ecclesiastici. La legge delle guarentigie è distinta in due capitoli: il primo capitolo riguarda le
prerogative del pontefice e della Santa sede; il secondo capitolo riguarda le relazioni tra Stato e Chiesa. All'articolo uno
del primo capitolo si sancisce che il pontefice è persona sacra ed inviolabile. Qualsiasi attentato nei suoi confronti o la
provocazione ad esso è punita con le stesse modalità e con le stesse pene previste nel caso di attentato al re. La
discussione religiosa è ammessa liberamente. Il governo riconosce gli onori sovrani e le preminente al pontefice. È
garantita la corresponsione di L. 3.225.000 come rendita annua dovuta alla Santa sede. Le ville e i palazzi, villa castel
gandolfo e annessi come biblioteche, musei ,librerie sono inalienabili. Non è ammessa l'ingerenza della pubblica
autorità. È garantita la piena libertà durante le vacanze del pontefice, le adunanze del conclave, e dei concili
ecumenici. È garantita la libertà di partecipazione del pontefice e degli ecclesiastici nel momento di emanazione degli
atti ministeriali della Santa sede. È concesso il diritto di legazione attivo e passivo. È concessa la facoltà di
corrispondere liberamente con tutto il mondo cattolico. È vietata l'ingerenza della autorità scolastica nelle scuole,
accademie, collegi e altri istituti ecclesiastici che dipendono dalla Santa sede. Il secondo capitolo riguarda i rapporti tra
Stato e Chiesa. In tale capitolo si sancisce l'abolizione di ogni restrizione alla riunione dei membri ecclesiastici. Si
aboliscono i vecchi privilegi giurisdizionalistico come gli iura maiestatica sacra,exequatur e placet regio, e si abolisce
anche l'obbligo di giuramento al re da parte dei vescovi. Tuttavia il pontefice non accetterà mai le leggi delle
guarentigie e romperà ogni rapporto con il governo italiano dichiarandosi prigioniero nei suoi palazzi. Le ragioni delle
leggi guarentigie erano quelle di porre un freno alle pretese confessionali della Chiesa cattolica. Da questo momento il
diritto ecclesiastico si caratterizzerà soprattutto per la sua laicità. Oggi notevoli settori hanno subito dei cambiamenti
nel diritto ecclesiastico. Si pensi al settore matrimoniale dove è chiara la distinzione tra matrimonio religioso e
matrimonio civile. Importante anche è la legge Crispi ancora in vigore anche se la corte costituzionale ha cancellato
l'articolo uno sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Tale legge concerne le confraternite e le
fabbricerie. I liberali distingueranno bene tra la posizione di cittadini e fedeli, dove primi obbedivano alle leggi del foro
esterno mentre nulla cambiava per le credenze religiose nel foro interno.

3….. a quella Pattizia……

La Chiesa cattolica, dopo un primo periodo, tenta di riallacciare i rapporti con il governo al fine di ottenere la soluzione
della questione romana e riottenere il territorio corrispondente alla cosiddetta città leonina. In questo tentativo la
Chiesa allaccia rapporti con il fascismo ritenuto più affidabile rispetto ad altri partiti. Sebbene sul piano ideologico il
fascismo non era concorde con la Chiesa, al regime fascista sarebbe stato utile ottenere il risultato di riportare la pace
religiosa e dimostrare che Mussolini era riuscito a fare ciò che Cavour e i liberali non erano riusciti a compiere. La
Chiesa, dall'altro lato, avrebbe ricevuto in cambio una personalità internazionale ed un proprio territorio su cui
esercitare la propria giurisdizione e sovranità. Per questo furono stipulati l'11 febbraio del 1929 i patti lateranensi,
costituiti da un trattato tra la Santa sede e lo Stato italiano + 4 allegati. Il primo allegato determinava il territorio della
città del Vaticano; il secondo riconosceva gli immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzioni da
espropriazioni e tributi; il terzo allegato riconosceva solo gli immobili con esenzioni da espropriazioni e tributi; il
quarto allegato riguardava la convenzione finanziaria tra Stato e Chiesa cattolica con cui il primo si obbligava al
versamento di 750 milioni di lire all'atto della ratifica e si obbligava a versare il 5% di 1 miliardo delle vecchie lire.
Successivamente furono approvate le leggi numero 847 e 848 del 1929 che riguardavano rispettivamente la prima la
parte relativa al matrimonio del trattato; e la seconda le disposizioni concernenti gli enti ecclesiastici e
l'amministrazione civile dei patrimoni destinati a fini di culto. I patti lateranensi reintroducono lo strumento
concordatario che sarà riconosciuto con la costituzione repubblicana del 48. Il fascismo ne ebbe notevoli vantaggi sul
piano internazionale. Tuttavia si trattava di un accordo con reciproche strumentalizzazioni. Infatti PIO 11º criticò
Mussolini affermando che i patti lateranensi erano intangibili ,e che se non fossero stati rispettate tutte le condizioni, il
patto sarebbe stato sciolto. Successivamente il fascismo fu criticato nel 31 e nel 38 da azione cattolica riguardo alle
leggi razziali e successivamente anche riguardo all'entrata in guerra. Dei patti lateranensi rimase in vita solo il trattato
e non il concordato. Il trattato riprendeva alcune disposizioni dello statuto Albertino: si pensi alla disposizione che
sanciva che la religione cattolica, apostolica e romana è l'unica religione dello Stato italiano. altre disposizioni che
coincidevano con quelle dello statuto Albertino erano l'articolo 11 che sanciva la non ingerenza della pubblica autorità
italiana nelle questioni degli enti ecclesiastici; con l'articolo 22 ci si impegnava a punire delitti commessi nella città del
Vaticano in Italia, a meno che il soggetto non si fosse rifugiato ed in quest'ultimo caso si applicano le leggi italiane;
l'articolo 23 sanciva l'esecuzione nel regno d'Italia delle sentenze emesse dai tribunali vaticani circa persone
ecclesiastiche o concernenti materie disciplinari o spirituali. Il trattato all'articolo due riconosceva la sovranità della
Santa sede; all'articolo tre si creava riconosceva la città del Vaticano e si assicurava che la forza pubblica non sarebbe
intervenuta nella basilica e nella piazza di San Pietro a meno che non sia espressamente invitata; all'articolo quattro si
sancisce la sovranità e la giurisdizione della Santa sede nel proprio territorio; all'articolo sei si stabilisce che l'Italia
provvede alla fornitura alla Santa sede di tutti i servizi pubblici(acqua, ferrovie, eccetera.); all'articolo sette si fa divieto
agli aeromobili di sorvolare la città del Vaticano. L'articolo otto riconosce il Papa come persona sacra e inviolabile;
l'articolo nove stabilisce che ha la residenza vaticana chi risiede stabilmente nella città del Vaticano; l'articolo 10
sancisce che i dignitari della Chiesa e del personale della corte pontificia sono esenti dal servizio militare, dalla giuria e
da qualsiasi altra prestazione nei confronti dello Stato italiano; all'articolo 12 si riconosce il diritto di legazione attiva e
passiva alla Santa sede e si riconoscono le immunità diplomatiche agli agenti diplomatici inviati presso la Santa sede e
a quelli facenti parte della Santa sede. All'articolo 20 si riconosce la possibilità agli agenti diplomatici inviati o della
Santa sede stessa di transitare sul territorio italiano. L'articolo 17 ci dice che le retribuzioni dovute alla Santa sede o da
qualche altro ente ecclesiastico centrale ai dignitari della Chiesa, impiegati o salariati è esente da qualsiasi tributo
verso lo Stato italiano èd qualsiasi altro ente. L'articolo 21 riconosce che i cardinali sono accolti con gli onori dovuti ai
principi di sangue. L'articolo 24 stabilisce la neutralità della città del Vaticano riguardo ai conflitti temporali tra i vari
Stati a meno che non si voglia accogliere la missione di pace proposta dalla Santa sede. L'articolo 25 riconferma la
convenzione finanziaria e l'articolo 26 determina la eliminazione della questione romana e il riconoscimento dello
Stato italiano governato dai Savoia e con Roma capitale. Il concordato mutava anche il contenuto del diritto
ecclesiastico italiano introducendo alcune disposizioni politiche come quella ad esempio dell'articolo cinque dove si
vietava ai sacerdoti che avevano subito la censura di ottenere un pubblico impiego o di insegnare. Dopo aver stabilito
norme in tema di status giuridico di persone fisiche ecclesiastiche, all'articolo nove si stabilisce nel concordato degli
edifici di culto sono di regola esenti da requisizioni e perquisizioni. Si garantisce l'assistenza spirituale alle forze armate
all'articolo 13-15; si riconoscono le festività voluta dalla Chiesa nello Stato italiano all'articolo 10; si riducono le
circoscrizioni delle diocesi e delle parrocchie; la nomina degli arcivescovi e dei vescovi deve essere comunicata allo
Stato italiano preventivamente; viene meno invece l'obbligo di giuramento del vescovo al re. Vengono aboliti gli
assegni di congrua e sulla provvista dei benefici ecclesiastici, viene abolito l'exequatur et placet regio e si stabilisce che
il regime giuridico degli istituti, santuari e basiliche spetta alle autorità ecclesiastiche. L'articolo 28 sancisce la
condonazione per tutti coloro, che a seguito delle leggi eversive, si fossero trovati in possesso di beni ecclesiastici. In
cambio lo Stato italiano si sarebbe impegnato ad adeguare la legislazione ecclesiastica alle direttive del concordato e
del trattato. Infatti si stabilisce il regime tributario dei beni ecclesiastici è equiparato, a fini tributari, al regime di
beneficenza e quindi esente da ogni tributo. Si riconosce la personalità giuridica e gli enti ecclesiastici e delle
associazioni religiose e si riconosce il regime giuridico delle confraternite e delle fondazioni di culto. I controlli sulla
gestione ordinaria straordinaria dei beni ecclesiastici spetta all'autorità ecclesiastica. Per quanto riguarda l'erezione ad
associazioni religiose questa spetta al diritto canonico, mentre il riconoscimento di tali associazioni o enti ecclesiastici
avverrà secondo le leggi civili da parte dello Stato. Dopo una breve discussione sulle catacombe all'articolo 33,
l'articolo 34 sancisce che la giurisdizione matrimoniale spetta ai tribunali ecclesiastici così come si stabilisce che il
matrimonio sacramentale produce anch'esso effetti civili, in deroga al principio del doppio binario che separava il
matrimonio civile da quello religioso. Successivamente si riconoscono norme per garantire l'istruzione paritaria,
l'insegnamento della religione nelle scuole, norme che stabiliscono che la nomina dei professori dell'Università
cattolica è subordinata al nullaosta della Santa sede, norme che sanciscono il regime giuridico delle università e dei
seminari è dipendente dall'autorità della Santa sede; le lauree in teologia e diplomi in paleografia, archivistica e
diplomatica; si riconoscono le onoreficenze e i titoli nobiliari. All'articolo 43 si fa riferimento ai componenti di azione
cattolica che non possono iscriversi a partiti politici. L'articolo 44 e 45 si fa riferimento alle leggi numero 847 e 848 del
1929 relative all'esecuzione del concordato sulla parte matrimoniale e sulla parte degli enti ecclesiastici. Il fatto che
sia stata approvata la legge sugli enti e non quella matrimoniale è ingiustificato, poiché il legislatore è costretto a far
riferimento ad una norma che dovrebbe essere abrogata( articolo 34 )perché il trattato non è più in vigore. Abrogata è
anche la legge 1159 del 1929 che concerneva le disposizioni riguardanti l'esercizio dei culti ammessi nello Stato e il
matrimonio celebrato davanti ai ministri di tali culti. Questa disposizione però è abrogata solo per le confessioni che
abbiano stipulato un'intesa con lo Stato mentre non lo è per quelle che non abbiano stipulato una tale intesa.
All'articolo uno tale legge stabilisce che l'esercizio dei culti è liberamente ammesso. All'articolo quattro si riconferma
quanto detto nella legge sineo secondo cui la differenza di culto non comporta l'eccezione riguardo al godimento dei
diritti politici e civili né riguardo all'ammissione alle cariche civili e militari. All'articolo cinque si stabilisce che la
discussione religiosa è ammessa liberamente. Importante anche la disposizione che estende le leggi civili agli istituti a
cattolici e che subordina alla nomina governativa i ministri di culto. L'ufficiale di stato civile, dopo aver accertato che
sono state adempiute tutte le formalità e che si può procedere secondo le leggi civili, nomina il ministro di culto
innanzi al quale deve svolgersi il matrimonio e la data da cui questa nomina a effetto. Per il resto, cioè celebrazione e
trascrizione, si applicano le disposizioni previste per il matrimonio sacramentale. Si diffonde in questo periodo una
cultura cattolica che intacca il principio della laicità dello Stato che aveva caratterizzato sino a quel momento il diritto
ecclesiastico.

4……. Alla contrattazione bilaterale

L’avvento della costituzione nel 48 comporta delle modifiche al diritto ecclesiastico essenziali. Importante è ricordare
che il fattore religioso viene preso in considerazione singolarmente e in forma associata; i patti lateranensi vengono
confermati nell'articolo sette comma uno della costituzione; i principi su cui si basa il diritto ecclesiastico sono quelli di
eguaglianza e libertà; si ammette a livello costituzionale una contrattazione bilaterale sia con le confessioni cattoliche
e con quelle acattoliche, le prime attraverso atti di diritto esterno da rendere esecutivi nel nostro ordinamento e le
seconde con intese, cioè atti di diritto interno, presupposto della legge successiva di approvazione. Viene meno
l'articolo uno stabilito nel codice Albertino secondo cui l'unica religione dello Stato e quella cattolica, apostolica
romana ma manca anche una norma che sancisca la laicità dello Stato, anche se questa la si deduce da una serie di
norme. Si pone in rilievo il problema di rendere le norme pattizie del diritto ecclesiastico compatibili con il sistema
costituzionale vigente. A tal proposito nel 1968 venne costituita una commissione composta dal professor ago e
jemolo e presieduta dall'onorevole gonella. Tale commissione aveva il limite di essere composta solo da
rappresentanti dello Stato e infatti venne sostituita in seguito da una commissione mista composta da componenti del
Vaticano e dello Stato. Il problema principale in questo iter venne rilievo era quello dell'abrogazione o revisione dello
strumento concordatario. Gli abrogazionisti ritenevano che si doveva utilizzare oramai un mezzo differente per
apportare la Chiesa lo Stato. I revisionisti ritenevano invece che tale strumento non avesse apportato numerosi danni
e che le res mixtae dovevano essere regolamentate; inoltre essi ritenevano che l'attività concordataria era
incrementata ed infine che il ritorno al diritto comune non sarebbe stato possibile in base alle disposizioni
costituzionali dell'articolo sette ed otto della costituzione. Secondo il revisionisti bisognava revisionare il concordato e
non tutti patti lateranensi. Ancora più conservatrice è la posizione del professor jemolo che sancisce che andavano
abrogate solo le norme che contrastavano con la costituzione e bisognava conservare il concordato. In realtà
abrogare totalmente lo strumento concordatario, significava rinunciare ad uno strumento importante per relazionare
la Chiesa con gli altri Stati. Il concordato quindi viene riconosciuto come strumento di contrattazione bilaterale con cui
la Chiesa scambiava rapporti,privilegi e favori con gli altri Stati dove le parti si impegnavano ad ottemperare agli
obblighi assunti e tale concordato doveva essere eseguito sia all'interno dell'ordinamento statuale che all'interno di
quello canonico. Alla fine non prevalse né la posizione abrogazionista né quella conservatrice di jemolo ma tutto ciò si
tradusse nelle modificazioni stabilite con l'accordo del 18 febbraio del 1984. In questo accordo le norme concordatarie
del trattato rimasero in vigore insieme agli altri patti lateranensi. Furono stipulate anche intese con confessioni diverse
da quella cattolica(si pensi a quelle con l'unione delle comunità ebraiche italiane, con i buddisti, con i testimoni di
Geova, con la Chiesa evangelica battista e con la Chiesa evangelica luterana). Prima tali confessioni, per non
legittimare lo strumento concordatario e per non rinunciare al diritto comune, tendevano a non stipulare tali intese.
Bisogna dire che la legge sull'esercizio del culto libero numero 1159 del 1929 rimane in vigore solamente per quelle
confessioni che non abbiano stipulato un'intesa con lo Stato oppure non vogliano una tale intesa. Importanti
modificazioni al diritto ecclesiastico verranno con la legge numero 151 del 1975, cioè la riforma del diritto di famiglia,
con la legge numero 898 del 1970(legge sul divorzio) ed infine con lo sviluppo della successiva legislazione del diritto
comune.

5. Autonomia didattica e scientifica del diritto ecclesiastico.

Una volta determinata l'autonomia didattica del diritto ecclesiastico rispetto al diritto canonico, avvenuto a fine
ottocento, si pone il problema dell'autonomia scientifica del diritto ecclesiastico, cioè se il diritto ecclesiastico può
fondarsi solo su principi propri e non rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Prima di tutto bisogna affermare il
principio secondo cui la scienza giuridica è una ed il problema è relativo solo ad una ripartizione delle
competenze(cioè ciò di cui si occupa il diritto ecclesiastico e che non fa parte di altre discipline giuridiche). Ci si chiede
in particolare se al diritto ecclesiastico si applicano i criteri interpretativi comuni a tutte le discipline giuridiche oppure
la specialità delle norme di tale materia comporti che esse siano poste su un piano particolare. In realtà il diritto
ecclesiastico non si è sviluppato autonomamente ma è frutto del contributo di diverse discipline giuridiche e di
conseguenza ad esso si applicano i principi generali e i criteri interpretativi del diritto comune a tutte le discipline
giuridiche. Particolari problemi possono sorgere quando si tratta di fattispecie tipiche ed esclusive del diritto
ecclesiastico che hanno una caratterizzazione storica oppure si tratta di norme non provenienti dallo Stato ma di
derivazione confessionale a cui bisogna rinviare. In tali casi, non essendo possibile applicare rigidamente i criteri
interpretativi statalistici, si applicano e vengono in rilievo i criteri interpretativi storico-evolutivi. L'autonomia
scientifica deve essere intesa come specialità delle competenze di tale disciplina ma non nel senso che il diritto
ecclesiastico possa fondarsi solo su principi propri senza rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Anche se è vero che
la scienza giuridica ecclesiastica è unica e la ripartizione delle competenze è effettuata solo a fini sistematici, dall'altro
lato bisogna dire che solo il confronto con le diverse discipline giuridiche può determinare un miglioramento per il
diritto ecclesiastico. Inoltre quest'ultima è una scienza statuale laica che va distinta dalle altre scienze sacre o
confessionali e di conseguenza è necessario che questa scienza si riferisca all'ambito statuale e non ad altri ambiti.
Inoltre bisogna tener conto dell'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale del diritto ecclesiastico e quindi di
conseguenza non è possibile prescindere da elementi sociologici, storici e politologici che hanno apportato notevoli
contributi a tale scienza. Si pensi alla riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio, alla revisione del concordato,
ad interventi della corte costituzionale che provano come sia impossibile che il diritto ecclesiastico si riferisca solo a
presupposti propri senza guardare e rapportarsi ad altre discipline giuridiche. Mentre lo studioso del diritto
ecclesiastico non può prescindere dal conoscere altre discipline giuridiche, non accade in caso contrario: infatti la
giurisprudenza civile si trova in notevole difficoltà quando deve trattare e affrontare temi come il mutamento religioso
di uno dei due coniugi, l'educazione religiosa dei figli, la legislazione sull'affidamento minorile, eccetera. In definitiva
l'autonomia scientifica non garantisce una migliore qualità del diritto ecclesiastico ma tale qualità migliora solo se ci si
rapporta alle altre discipline giuridiche in modo da formare un ciclo legislativo unico.

6. Il diritto ecclesiastico e le scienze affini.

Il diritto ecclesiastico si distingue da quello canonico, quest'ultimo riguarda l'ordinamento interno della Chiesa
cattolica, anche se il primo è stato nel corso degli anni notevolmente influenzato dal secondo poiché il diritto canonico
a un'evoluzione legislativa e dottrinale molto più lunga rispetto al diritto ecclesiastico che è una scienza relativamente
recente. L’ utrumque ius riguardava sìa il diritto civile che il diritto canonico e di conseguenza anche fattispecie del
diritto ecclesiastico potevano dedursi non solo dal diritto canonico ma anche dal diritto civile. I rapporti tra norme di
diritto canonico e norme di diritto civile hanno influenzato non singole fattispecie ma interi settori della scienza
giuridica, ponendo problemi metodologici. È necessario quindi esaminare l'evoluzione del diritto canonico per
comprendere la nascita e l'evoluzione del diritto ecclesiastico. Ovviamente il diritto canonico non coincide con quello
ecclesiastico ne coincidono le sue materie affini. Il diritto canonico fa riferimento alla vita giuridica della Chiesa
cattolica partendo a ritroso dal codice di diritto canonico del 1917. Questa storia comprende circa 2000 anni dove si
sono susseguiti testi come le decretali di Gregorio nono, le clementine, il liber extra, il decreto di Graziano, eccetera;
un ambito vastissimo in cui sono ricomprese le norme di diritto ecclesiastico, che dopo la riforma protestante che
aveva sancito la separazione tra diritto canonico e diritto ecclesiastico, sono state intese come quelle norme relative ai
rapporti tra Stati. La relazione sistematica tra Stato e Chiesa può essere improntata ad una logica di unione o
separatista. Nel primo caso, se prevalgono le posizioni ecclesiastiche, siamo in uno Stato teocratico; se prevalgono le
posizioni dello Stato, siamo in uno stato giurisdizionale. Nel secondo caso chiesa e stato solo in un rapporto di
reciproca esclusione, cioè ciascuno opera in un ambito che è separato dall'ambito dell'altro. Tuttavia una separazione
assoluta è impossibile e di conseguenza le res mixtae vengono regolate attraverso dei concordati. Tuttavia queste
classificazioni non sono idonee a ricomprendere tutte le relazioni tra podestà civile e podestà ecclesiastica per la
varietà situazioni che si vengono a verificare nella realtà. Si pensi ad esempio ai concordati in stati separatisti oppure si
pensi al gallicanesimo francese o al giuseppinismo austriaco, sistemi entrambi giurisdizionalisti, che avevano più
differenze che ha analogie. Ci si chiede oggi se il sistema di coordinazione attuale sia di unione o di separazione. Per
rispondere a questa domanda bisogna andare oltre le categorie giuridiche e far riferimento, più che al rapporto tra
Stato e Chiesa, al rapporto tra politica e religione, categorie che mal si prestano ad essere definite giuridiche e
necessarie per comprendere i presupposti o alcuni fenomeni del diritto ecclesiastico. Più ampia è la storia delle
istituzioni religiose: si pensi ancora alla teoria di santi Romano essenziale nel diritto ecclesiastico per qualificare
rapporti tra Stato e Chiesa come rapporti tra ordinamenti giuridici primari. Di conseguenza i movimenti religiosi, gli
ordini religiosi sono fondamentali e necessari per comprendere l'evoluzione del diritto ecclesiastico e come attraverso
essi sia stato influenzato il diritto comune. Importante anche l'aspetto comparatistico, poiché i movimenti religiosi
operano a carattere multinazionale, cioè a livello di più ordinamenti. È importante quindi capire attraverso la
comparazione come una realtà sia vista in modo diverso.

7. Il diritto ecclesiastico nell'ambito delle scienze giuridiche.

Come abbiamo detto prima, il diritto ecclesiastico subisce le influenze delle altre discipline dell'ordinamento giuridico.
Esso è una scienza laica distinta dal diritto canonico e dalle altre scienze sacre o confessionali. Quasi tutte le riforme
legislative attuate hanno influenzato il diritto ecclesiastico, mutandone il contenuto. Il diritto ecclesiastico si inserisce
in un circolo legislativo comune a tutte le discipline giuridiche, anche se ci sono state resistenze dovute a pressioni
ideologiche e al fatto della specialità dello strumento concordatario e delle intese stipulate con confessioni religiose
diverse da quella cattolica. Affermare che il diritto ecclesiastico non riguarda i problemi generali ma comuni
solamente ad un determinato settore, significa fare un passo indietro tenendo anche conto che lo strumento di
contrattazione bilaterale è riconosciuto a livello costituzionale. Bisogna porre il diritto ecclesiastico su un piano
paritetico a tutte le altre discipline giuridiche. Per fare ciò sarebbe più opportuno una legislazione unilaterale avendo
lo Stato come unico punto di riferimento invece di avere una contrattazione bilaterale che fa venir meno quella visione
unitaria di questa disciplina. L'evoluzione legislativa, dottrinale giurisprudenziale ha influenzato notevolmente il diritto
ecclesiastico sia sotto l'aspetto costituzionalistico(si pensi agli interventi della corte costituzionale in materia
matrimoniale o di libertà religiosa); sia sotto l'aspetto del diritto internazionale(si pensi al riconoscimento della
capacità o soggettività giuridica o al riconoscimento della dinamicità giuridica dei concordati); sia sotto l'aspetto delle
strutture amministrative alle quali sono devolute la gestione degli enti ecclesiastici; sia sotto l'aspetto del diritto
canonico e anche sotto l'aspetto civilistico. Per quanto riguarda quest'ultimo un particolare riferimento va fatto
riguarda la trascrizione, che è un vero e proprio momento di collegamento tra diritto civile e diritto canonico. Il diritto
civile viene in rilievo anche in altri casi: si pensi ad esempio all'educazione religiosa dei propri figli o al mutamento di
religione di uno dei due coniugi(diritto di famiglia); si pensi all'applicazione dei principi del diritto del lavoro per i
religiosi che lavorano nelle organizzazioni di tendenza; all'applicazione del diritto penale per i reati riguardanti il
sentimento religioso o i religiosi; all'applicazione del diritto commerciale per quanto riguarda l'ente ecclesiastico
imprenditore. Si vede quindi come l'evoluzione legislativa, dottrinale giurisprudenziale di diverse discipline giuridiche
abbia influito sul contenuto del diritto ecclesiastico che idoneo non solo a verificare principi generali del diritto ma
costituisce un osservatorio privilegiato per valutare l'evoluzione legislativa, dottrinale e giurisprudenziale della scienza
giuridica nel suo complesso.

8. Problemi metodologici.

La differenziazione tra scienze umane e scienze naturali ha comportato come conseguenza un'inopportuna
differenziazione metodologica tra gli aspetti storici e gli aspetti dogmatici, che invece convivono nel diritto
ecclesiastico insieme poiché c'è un'analogia nel metodo interpretativo. Il diritto ecclesiastico è quel settore della
scienza giuridica che meno si rivolge al formalismo o dogmatismo giuridico e pone sullo stesso piano il dato
formalistico giuridico o normativistico e il dato storico politico. Comprendere la metodologia del diritto ecclesiastico è
essenziale per capire il suo contenuto e il suo oggetto non solo nella prospettiva attuale ma anche nella prospettiva
futura. Il fatto che il diritto ecclesiastico si riferisca a problemi di coscienza, si caratterizza per l'immaterialità di alcune
questioni, fa riferimento a questioni religiose o fideistiche determina la particolarità del metodo per tale scienza
giuridica in virtù dei suoi fini e dei suoi presupposti. Per quanto riguarda questi ultimi, il riferimento alle scienze sacre
e teologiche è naturale; mentre per quanto riguarda i fini, i mezzi per conseguire e tutelare un interesse economico
sono ovviamente diversi dai mezzi per conseguire tutelare un interesse religioso. Si è sostenuto spesso che non esiste
una metodologia generale avulsa da contenuti concreti e che bisognava partire dal diritto positivo come necessaria
base di partenza senza la possibilità di porre problemi generali. In realtà ciò non avviene per il diritto ecclesiastico.
questo perché la posizione di mezzo tra le scienze giuridiche del diritto ecclesiastico, i suoi presupposti storico politici,
i suoi fini religiosi, sui contenuti spirituali rendono centrale il problema metodologico sia al fine di determinarne il
contenuto e l'oggetto sia al fine di determinarne le diverse metodologie nel suo ambito. Un ventaglio di riferimenti
così ampio non consente l'elaborazione di un unico metodo. Sarebbe più comodo riferirsi ad un corpo di norme
positive che fanno capo a leggi e principi ben determinati, come avviene ad esempio nel diritto processuale. Ma ciò
non è possibile nel diritto ecclesiastico. Ne consegue il continuo riferimento a principi generali elaborati in altre
discipline giuridiche ma difficilmente accade il contrario. Si pensi ad esempio ai civilisti che difficilmente si sono avvalsi
dell'elaborazioni dottrinali degli ecclesiastici al fine di risolvere, ad esempio, problemi relativi al diritto di famiglia
oppure di internazionalisti difficilmente hanno tenuto in considerazione il problema della dinamica concordataria. La
prospettiva è quella di elaborare un diritto ecclesiastico europeo ma ci sono alcuni problemi come il diverso sviluppo
legislativo in materia religiosa dei vari paesi europei e la presenza anche in Europa i paesi musulmani. Di conseguenze
più preferibile attestarsi su posizioni di laica neutralità che riferirsi alle radici cristiane del vecchio continente.

Capitolo due

profili internazionalistici e pubblicistici

1. Profili internazionalistici. Dinamica giuridica dei concordati.


L’evoluzione legislativa del diritto ecclesiastico è caratterizzata dal continuo ricorso ai principi di diritto internazionale
per risolvere una serie di questioni pratiche. Nel 1870 con la presa di Porta Pia, con cui viene estinto lo Stato Pontificio,
la Santa sede(organo di governo della Chiesa cattolica) viene a trovarsi senza una personalità giuridica di diritto
internazionale poiché era venuto meno un requisito, quello territoriale, essenziale per la qualificazione dello Stato
vaticano come appunto uno stato, dato che solo agli Stati era riconosciuta in quel tempo la personalità di diritto
internazionale. Il problema poteva essere risolto attraverso il ricorso al principio di effettività oppure attraverso
l'allargamento della personalità di diritto internazionale ad enti diversi dagli Stati ma la concezione formalistica in quel
tempo del diritto internazionale impediva tutto ciò. Si formarono diverse teorie monistiche, dualiste e miste riguardo
alla personalità internazionale della Santa sede. La prima teoria riteneva che la città del Vaticano fosse uno Stato fine,
cioè uno stato oggetto della sovranità di un altro Stato che è la Santa sede. Quest'ultima è l'unica ad avere personalità
giuridica internazionale secondo questa teoria. Secondo invece la teoria dualistica sia la Santa sede che la città del
Vaticano avevano personalità giuridica internazionale. Secondo la teoria mista la Chiesa cattolica aveva una sovranità
spirituale illimitata e non aveva bisogno di un confine territoriale. In definitiva si può dire che solo la Santa sede,
organo di governo della Chiesa cattolica, ha personalità giuridica internazionale mentre la città del Vaticano è
anch'essa rilevante sul piano internazionale anche se è un ente diverso. Mentre il diritto internazionale faceva
riferimento indistintamente alla Chiesa cattolica, alla Santa sede e alla città del Vaticano, gli ecclesiastici distinguevano
queste tre figure. La Chiesa cattolica era una mera confessione religiosa derivante dall'alveo del cristianesimo. La
Santa sede era l'organo di governo della Chiesa cattolica mentre la città del Vaticano era un'entità territoriale. Era la
Santa sede l'unica con personalità giuridica internazionale e ad essa sono imputate una serie di attività internazionali.
La Santa sede ha dei membri permanenti presso l'osservatorio dell'Onu anche se non può farne parte poiché essa
costituisce un micro Stato con di conseguenza particolari peculiarità. Ciò che spinse alla stipulazione nel 1929 dei patti
lateranensi fu la soluzione della questione romana nella prima fase volta all'abbattimento del potere temporale
mentre nella seconda volta al ripristino di una parvenza di Stato. Questo trattato determinò la nascita dello Stato della
città del Vaticano. Si tratta di uno Stato enclave, uno Stato c'è circondato completamente da un altro(quello italiano)
che si impegna a fornire l'acqua, le comunicazioni ferroviarie, telegrafiche, telefoniche, postali eccetera; si impegna a
garantire collegamenti terrestri ed aerei; ad impedire nelle zone adiacenti nuove costruzioni. è riconosciuta la
cittadinanza vaticana a tutti coloro che hanno una residenza stabile nella città del Vaticano, ai dignitari della Chiesa, ai
cardinali residenti a Roma, ai funzionari dichiarati indispensabili dalla Santa sede. Si riconosce l'esenzione dai tributi ed
all'espropriazione agli immobili della Santa sede e ad alcuni di questi si riconosce anche il privilegio di
extraterritorialità. Si stabilisce la neutralità della città del Vaticano e si riconosce la sovranità del pontefice nella Santa
sede. Nel 1954 viene stipulata una convenzione diretta a stabilire l'immunità e la protezione dei beni culturali
appartenenti alla città del Vaticano. Lo Stato vaticano è formato da una serie di enti a cui sono attribuite diverse
funzioni. Il 7 giugno del 1929 viene approvata la legge fondamentale dello Stato vaticano che si affianca ad altre
cinque relative alle fonti del diritto, alla cittadinanza e al soggiorno, all'ordinamento amministrativo, all'ordinamento
commerciale e infine alle leggi di pubblica sicurezza. Il 1 maggio del 1949 viene approvato l'ordinamento giudiziario e il
codice di procedura civile. Nel 1967 viene modificata la legislazione penale e del processo penale. Il 26 novembre del
2000 viene approvata la nuova legge fondamentale dello Stato vaticano che riconosce al Papa la sovranità e riunisce
nelle mani del pontefice l'esercizio del potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Il potere legislativo è esercitato da
pontefice coadiuvato da una commissione che lo aiuta anche nell'esercizio del potere esecutivo. Il presidente della
commissione può farsi coadiuvare da un segretario generale e da un vice segretario i quali depositano anche i bilanci.
Per quanto riguarda l'esercizio del potere giudiziario questo è devoluto dal pontefice ad appositi organi, anche per
quanto riguarda le controversie di lavoro e amministrative. Per quanto riguarda la riproposizione dello strumento
concordatario, bisogna esaminare le questioni di dinamicità che i concordati comportano. Inizialmente il concordato
era visto come un atto che attribuiva privilegi ed immunità alla Santa sede mentre successivamente viene visto come
un atto con cui si regolano le res mixtae, dove Stato e Santa sede possono non convergere su alcune posizioni e quindi
bisogna rinvenirne i punti in comune. Sono vigenti per i concordati i principi rebus sic stantibus estare pactis e cioè i
soggetti che hanno stipulato tale concordato sono tenuti a rispettare gli impegni che sono stati assunti e a non
approvare leggi contrarie a tali impegni. Tali accordi possono essere denunziati senza la necessità di un nuovo
concordato, o possono essere modificati o si può procedere ad accordi di natura minore senza porre in discussione
l'accordo principale. I concordati fanno riferimento a principi comuni di diritto internazionale ed è per questo che la
questione di abrogare o revisionare tali strumenti poco c'entra in questo momento con la dinamica concordataria.
Piuttosto bisogna assicurare una copertura costituzionale a tali concordati in virtù del diretto riferimento fatto ai patti
lateranensi dall'articolo sette della costituzione.

2. Profili pubblicistici. L'evoluzione costituzionale.

Il passaggio dalla costituzione flessibile dello statuto Albertino a quella attuale e l'individuazione di norme che
riguardano il fattore religioso sia in forma individuale che in forma associata hanno determinato un'evoluzione
legislativa del diritto ecclesiastico. Tuttavia queste norme costituzionali non ne esauriscono l'intero contenuto del
diritto ecclesiastico ma bisogna partire dalla loro esegesi per capire lo stato attuale della previsione legislativa a livello
costituzionale. Ovviamente tali norme non sono esenti da critiche. Si pensi all'articolo due della costituzione dove la
Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo sia in forma individuale che in forma associata. Di conseguenza
l'inserimento di tale norma fra quelle che riguardano il fattore religioso è improprio poiché nell'articolo due si fa
riferimento al singolo per tutelare i suoi diritti inviolabili(anche in forma associata) e non alle formazioni sociali in
generale. Un'altra critica riguarda l'articolo tre della costituzione laddove esso fa riferimento a tutti cittadini e non
estende il principio d'eguaglianza anche alle persone giuridiche, anche se molta parte della dottrina e della
giurisprudenza sono per questa interpretazione estensiva. Nel caso fosse ammessa tale estensione, ciò sarebbe molto
importante per il diritto ecclesiastico poiché si riconoscerebbe l'eguaglianza, e non l'eguale libertà come nell'articolo
otto comma uno della costituzione, di tutte le confessioni religiose. Resta in piedi ed è fondamentale la norma che
esclude il fattore religioso come motivo di discriminazione tra i cittadini. Un'altra disposizione che contiene una
connotazione religiosa è l'articolo 52 comma due della costituzione. esso sancisce che la difesa della patria è sacra ed
inviolabile, unico articolo ad utilizzare tale aggettivo. Si ritiene invece sia pleonastica la disposizione dell'articolo sette
comma uno della costituzione sui patti lateranensi. Tale disposizione sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono
ciascuno nel proprio ordine sovrani ed indipendenti. Si tratta di una disposizione inutile poiché l'indipendenza è un
connotato della sovranità ed anche perché il termine ordine si riferisce, non all'ordinamento giuridico, ma ad una
diversità di attribuzione e competenze che appare evidente in due Stati indipendenti. Questa disposizione sembra
essere utile solo per indicare una posizione paritetica tra le due parti. Maggiormente suscettibile di critica del secondo
comma dell'articolo sette in particolare laddove si sancisce che la modifica dei patti lateranensi, accettata da entrambe
le parti, non necessita di un procedimento di revisione costituzionale. Da questa norma si è dedotto che i patti
lateranensi non possono essere modificati con un procedimento unilaterale e di conseguenza essi hanno assunto un
rilievo costituzionale notevole perché trattasi di norme speciali costituzionali superiori, secondo questa
interpretazione, alle norme costituzionali stesse. Ovviamente si tratta di un'interpretazione forzata a cui il costituente
all'epoca non voleva si arrivasse. Successivamente si avuto un'altra interpretazione avallata poi dalla corte
costituzionale nel 1971. In base a questa nuova interpretazione, lo Stato si impegna a costituzionalizzare il principio
pattizio, cioè si impegna ad rispettare gli impegni assunti e a non legiferare contrariamente nelle materie di comune
interesse. Ovviamente ciò non significa che lo Stato non possa legiferare in maniera diversa rispetto a quanto previsto
nei patti, ma la disposizione si riferisce esclusivamente alla materia concordataria. Ci si chiede se gli articoli sette ed
otto contengano riferimenti in comune tali da equiparare su un piano eguale tutte le confessioni religiose. Il fatto che
le disposizioni riguardanti la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose siano diverse non è di poco rilievo, così
come non è di poco rilievo il fatto che lo strumento concordatario sia uno strumento di diritto internazionale mentre
le intese siano un atto di diritto interno. In base all'articolo otto primo comma della costituzione tutte le confessioni
religiose sono egualmente libere dinanzi alla legge, compresa quella cattolica. Quindi ne dovrebbe conseguire una
sostanziale eguaglianza tra le diverse confessioni. Al secondo comma dello stesso articolo però si sancisce che le
confessioni religiose diverse da quella cattolica si organizzano secondo statuti propri che non contrastino con
l'ordinamento giuridico. Ne consegue che mentre la Chiesa cattolica viene considerato un ordinamento giuridico
primario, le altre confessioni religiose sono considerate ordinamenti giuridici derivati, termine improprio perché una
confessione religiosa non deriva dallo stato ma deriva dalla volontà dei suoi componenti e di conseguenza dovrebbe
essere trattata alla stregua di un'associazione di diritto interno a cui l'ordinamento attribuisce particolari diritti.
Tuttavia ancora oggi non c'è una sostanziale eguaglianza tra la confessione cattolica e le altre confessioni religiose sul
piano giuridico. A ciò va aggiunto il fatto che fino all'accordo del 18 febbraio del 1984 modificativo del concordato, le
altre confessioni religiose non hanno voluto sottoscrivere intese per non legittimare lo strumento concordatario e
perché si sentivano più libere nel diritto comune. Oggi con la moltiplicazione della sottoscrizione delle intese va
riformato l'articolo otto ,poiché si pongono problemi che prima non sussistevano. Si pensi ad esempio ad una nuova
definizione di confessione religiosa, quale è la fonte della legge di esecuzione delle intese, se va abrogata la legge 1159
del 29 sui culti ammessi, eccetera. L'articolo 19 della costituzione è importante poiché riconosce la libertà di religione
che si manifesta attraverso la sua professione, propaganda e l'esercizio del culto nel pubblico e nel privato. Tuttavia
tale norma non è in grado di comprendere tutte le forme di manifestazione religiosa. Un unico limite è dato dalla non
contrarietà delle forme di manifestazione religiosa al buon costume. Il diritto affermato dall'articolo 19 è un diritto
pubblico di natura soggettiva e come tale tutelato da parte dello Stato. Ma bisogna ricordare che la tutela della libertà
religiosa avviene soprattutto in forma individuale, essendo possibile il singolo sia coartato anche dal suo stesso gruppo
religioso. Quindi sarebbe utile rinvenire una nuova definizione del principio di libertà religiosa. L'articolo 20 della
costituzione sancisce che il carattere ecclesiastico o il fine religioso o di culto non possono essere causa di limitazioni
legislative, ne causa di imposizioni fiscali per la loro costituzione , attività o capacità giuridica. Questa norma tende ad
impedire che si realizzi nuovamente una legislazione anche ecclesiastica o al contrario si realizzi una legislazione
favoritiva, quest'ultimo pericolo evitato grazie al riconoscimento degli enti ecclesiastici da parte del diritto comune.

3. Il regime giuridico delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.

La tradizione legislativa in materia di confessioni religiose diverse da quella cattolica era limitata, all'epoca della legge
1159 del 1929, alla confessione valdese, israelita e ortodossa. A differenza della Spagna, l'Italia non aveva un registro
con un elenco delle confessioni religiose ma quest'ultime si deducevano da una serie di elementi sanciti dall'articolo
otto della costituzione tra cui uno statuto, un'organizzazione interna, dei rappresentanti esterni con cui rapportarsi e
da altri elementi come l'immedesimazione nella tradizione legislativa e culturale italiana ed una struttura tipica di un
ordinamento giuridico derivato che non contrasti con i valori dell'ordinamento giuridico italiano. è sempre lo Stato a
determinare se esiste una confessione religiosa, se ci sono i presupposti di legge per instaurare un rapporto giuridico
con tale confessione, se si tratta di una confessione o di un semplice movimento religioso, eccetera. Tutto ciò implica
una valutazione anche dal punto di vista del contenuto ideologico della confessione poiché è necessario che tali
contenuti non contrastino con i valori dell'ordinamento giuridico italiano. Le confessioni devono vivere in un
ordinamento giuridico che le qualifica e gli riconosce l'attività normativa, cioè i diritti confessionali. Non tutti gruppi
religiosi che hanno i requisiti richiesti dalla legge, sono qualificati come confessioni religiose dallo Stato e non con tutti
i quest'ultimo stipula delle intese. Oggi sarebbe opportuno passare dalla legge 1159 del 1929 ad una nuova legge che
guarda ad un panorama religioso in maniera aggiornata ed uniforme, dato che l'ordinamento italiano ha rifiutato la
stipulazione di molteplici imprese. Sarebbe opportuno quindi passare da una legislazione bilaterale a quella
unilaterale. Ovviamente non si può comprendere le diverse confessioni religiose se non si parte da un breve excursus
sulle confessioni religiose più importanti in Italia, cioè quelle valdesi, israelite e ortodossa e se non si esamina la legge
del 1929 e le 12 intese stipulate con le confessioni religiose diverse da quella cattolica. La prima intesa di durata nel
1984 con il valdesi. All'articolo uno la Repubblica riconosce autonomia e indipendenza all’ ordinamento dei valdesi e si
riconosce all'articolo due la nomina dei ministri di culto, la giurisdizione e l'organizzazione ecclesiastica ed il diritto a
emettere provvedimenti in materia spirituale o disciplinare senza alcuna ingerenza da parte dello Stato. Si estingue, su
richiesta della tavola valdese, dal bilancio dello Stato italiano l'assegno di mantenimento dovuto a tale ordine.
All'articolo quattro si riconosce la tutela penale attraverso la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali garantiti
dalla costituzione e non la tutela penale specifica del sentimento religioso. È garantito il diritto di servizio militare ai
valdesi e le forme di assistenza spirituale. Gli oneri derivanti dall'assistenza spirituale sono a carico degli organi
ecclesiastici competenti, compresa l'assistenza negli ospedali, nelle case di cura e pensionati e negli istituti
penitenziari. Singolare è la rinuncia dei valdesi all'insegnamento di pratiche di culto, catechesi e dottrine religiose nelle
scuole pubbliche statali, a meno che gli studenti, le loro famiglie ne facciano specifica richiesta. È concesso il diritto di
rinunziare alle lezioni dell'insegnamento di religione cattolica nella scuola pubblica. Si riconoscono effetti civili ai
matrimoni stipulati dagli organi ecclesiastici valdesi, a condizione che l'atto sia iscritto nel registro dello Stato civile e
previa pubblicazione presso la casa comunale. È riconosciuta la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che
operano a fini di beneficenza, di culto e di istruzione su richiesta della tavola valdese che rilascia la delibera sinodale
motivata per il riconoscimento e l'erezione dell'ente ecclesiastico in istituto autonomo. Si riconoscono le lauree e
diplomi in teologia, la facoltà di rinvio del servizio militare per il valdesi ed un principio di collaborazione per la
valorizzazione e la tutela dei beni culturali. Si consente la deduzione di 2 milioni di lire ai fini Irpef per il contributo
volontario all'ordine dei valdesi, ripartendo l'8 * 1000. Un lungo preambolo precede anche l'intesa con l’ unione delle
chiese avventiste italiane. In tale intesa sono sanciti i principi della costituzione,convenzione europea diritti
umani,dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. nel preambolo si riconosce il diritto di rinunzia all’ insegnamento
nelle scuole pubbliche statali. si riconosce il diritto degli avventisti a svolgere,su loro richiesta,il servizio civile in luogo
di quello militare. disposizioni simile a quelle dei valdesi riguardano l’assistenza spirituale negli ospedali,penitenziari e
case di cura;il diritto di non avvalersi degli insegnamenti delle altre confessioni religiose;di istituire scuole paritarie. gli
edifici di culto non possono essere espropriati,demoliti e requisiti se non per ragioni gravi e con l’accordo della chiesa
avventista. è riconosciuto il diritto di festa il sabato nelle scuole e di non sostenere prove di esame quel giorno. è
riconosciuta la deduzione di 2 milioni ai fini irpef e la ripartizione dell’ 8 *1000.si riconosce il diritto di concedere
lauree e diplomi in teologia e cultura biblica da parte dell’istituto avventista di cultura biblica. Di analogo contenuto
all'intesa e al preambolo dell'unione delle chiese avventiste, è l'intesa con le assemblee di Dio fatta eccezione per il
riconoscimento degli enti aventi fini di culto i cui statuti devono essere depositati presso il Ministero dell'Interno e che
debbono iscriversi agli effetti civili nel registro delle persone giuridiche entro 12 mesi dall'entrata in vigore della
presente legge numero 517 del 1988. Per quanto riguarda l'intesa con l'unione delle comunità ebraiche italiane, viene
garantita la libertà sancita nelle disposizioni costituzionali; viene garantita la tutela penale del sentimento religioso;
vengono riconosciute le festività ebraiche, il diritto alla macellazione, il diritto di giuramento a capo scoperto, il riposo
sabbatico. si riconoscono le forme di assistenza spirituale alle forze armate, negli ospedali, nelle case di cura e nei
penitenziari. Si riconosce il diritto a non avvalersi dell'insegnamento delle altre religioni e il diritto ad istituire scuole di
ogni ordine e grado ed il diritto a concedere lauree e diplomi in cultura ebraica. Gli edifici di culto ebraici non possono
essere requisiti, espropriati e demoliti se non previa accordo con la comunità ebraica. La forza pubblica non può fare
irruzione in tali edifici a meno che non ricorrano gravi ragioni e vi sia l'accordo con la comunità ebraica. Si tutela il
patrimonio ecclesiastico di tale comunità. Si determinano le funzioni, la possibilità di costituire nuove comunità
ebraiche. Si riconosce la personalità giuridica agli enti ecclesiastici ebraici che debbono iscriversi nel registro delle
persone giuridiche entro due anni dall'entrata in vigore della legge numero 101 del 1989. c'è l’ equiparazione a fini
tributari tra fine religioso e di culto con il fine di beneficenza o assistenza. Gli ebrei possono dedurre dal loro
contributo al mantenimento e sostentamento dell'unione delle comunità ebraiche fino al 10% del loro reddito e fino
ad un massimo di 7 milioni e mezzo di lire. Quest'accordo è stato riveduto 10 anni dopo. Importante anche l'intesa con
la Chiesa evangelica battista e la Chiesa evangelica luterana il 29 marzo e il 20 aprile del 1993. I battisti hanno come
principi cardine: il battesimo dei credenti è la loro parità nella responsabilità dinanzi a Dio; il valore autonomo della
Chiesa evangelica; la non ingerenza tra Stato e Chiesa. Altri principi sono quelli del sostentamento mediante contributi
volontari della Chiesa evangelica battista e la non necessità della tutela penale di questo sentimento religioso. Per il
resto l'intesa ricalca la stessa stipulata con la Chiesa evangelica luterana.

4. La laicità dello Stato.

Il problema della qualificazione religiosa dello Stato ha notevole rilevanza poichè dalla scelta della opzione religiosa
dipendono una serie di conseguenze legislative. La nostra costituzione, pur non facendo espresso riferimento al
principio di laicità, può ritenersi una costituzione laica, laicità sancita dalla sentenza della corte costituzionale numero
203 del 1989. Ciò anche in virtù del fatto che l'articolo uno dello statuto Albertino, che riconosceva la religione
cattolica apostolica romana come unica religione di Stato, è stato abrogato ed inoltre l'articolo uno del protocollo
aggiuntivo al concordato modificato nell'accordo del 1984 non ha ribadito tale preminenza della religione cattolica. A
questo punto il problema della laicità sembrerebbe risolto sia livello giurisprudenziale, sia a livello legislativo che a
livello di coscienza comune. Ma i continui attacchi alla laicità dello Stato ci fanno pensare che non è così. Ci si chiede
perché il principio della laicità non è oggi ancora totalmente affermato. Innanzitutto bisogna dire che il principio di
laicità deriva dall'illuminismo che combatteva all'antico regime il quale affidava alla Chiesa un ruolo rilevante dal
punto di vista politico perché la Chiesa era funzionale alla legittimazione dell'antico regime che si fondava sul diritto
divino. Ovviamente stiamo parlando dello stato assoluto. Il principio di laicità si è affermato nello Stato hegeliano dove
tutti i consociati dello Stato dovevano essere rappresentati e lo Stato stesso non poteva rappresentare solo una parte
di loro per motivi religiosi. Lo Stato laico per eccellenza è lo Stato liberale, caratterizzato da una legislazione
anticlericale e di stampo unilaterale. Lo Stato laico rifiuta lo strumento concordatario e la differenziazione di tutela
delle diverse confessioni religiose. È questo un altro motivo per cui il nostro Stato non è ancora totalmente laico che
può essere garantito solo se lo Stato si pone su una posizione di imparzialità. Si pensi ad esempio al fatto che l'autorità
ecclesiastiche cattoliche sono considerate autorità di Stato e della Chiesa cattolica, il fatto che parroci siano
considerati nel matrimonio canonico ufficiali di stato civile, il fatto che lo strumento concordatario stato riconfermato,
il fatto che ci siano nei tribunali e nelle scuole segni religiosi riconducibili alla Chiesa cattolica, eccetera. Il principio di
laicità quindi è un principio di tipo convenzionale e utile ma ancora non totalmente affermato. Il diritto ecclesiastico,
scienza laica, deve trarre la sua massima forza espansiva proprio dal principio di laicità, in modo che una confessione
religiosa non possa prevalere sulle altre.

5. Fattore religioso e tutela degli interessi religiosi dei cittadini.

Vi è un ambito dei rapporti in cui lo Stato tutela l'interesse religioso dei suoi consociati e tale ambito riguarda non solo
i singoli ma anche le organizzazioni di tendenza, in particolare enti di beneficenza e assistenza dove i singoli fanno
valere le loro istanze religiose che necessitano di una tutela. Bisogna chiedersi che cosa si intende per interesse
religioso, cioè se si riferisca ad un semplice interesse oppure ad un diritto soggettivo oppure ad un diritto potestativo,
cioè un diritto che incide sulla potestà altrui. Il diritto serve non solo a tutelare gli interessi ma anche a dirimere i
conflitti tra gli stessi stabilendo il limite di un interesse rispetto all'altro e la loro strumentalità rispetto all'interesse
superiore della comunità statale. Per fare questo lo Stato deve riferirsi ai principi generali costituzionali, tra cui quelli
riguardanti il fattore religioso che non è univoco ma va contemperato con gli altri principi. Gli interessi vanno tutelati
nell'ambito della libertà religiosa e non in contrasto con questa. L'aggettivo religioso, unito al sostantivo interesse,
delinea dati metafisici e metagiuridici che a volte esulano dal campo giuridico. Di conseguenza lo Stato può tutelare
una parte degli interessi religiosi, cioè quelli che si rapportano alla vita degli altri, ma non tutti gli interessi. Tali
interessi sono tutelati sul piano individuale e sul piano degli interessi diffusi, cioè di interessi appartenenti ad una
determinata pluralità di soggetti più o meno determinata. Ad esempio viene tutelato il diritto a costituirsi parte civile
del singolo fedele che contesta la rimozione da parte di un vescovo di un parroco senza alcuna motivazione dalla sua
chiesa. Accanto agli interessi dei singoli fedeli quindi sono tutelati anche interessi del gruppo confessionale anche
perché non è detto che tali interessi coincidano, ad esempio può verificarsi che il soggetto sia discriminato all'interno
del suo gruppo confessionale. La funzione del diritto ecclesiastico quindi riguarda tutto il fattore religioso. La religiosità
concerne anche i rapporti interpersonali. Essa è una concezione non immanente della vita.

6. La libertà religiosa.

La libertà religiosa viene intesa da JELLINEK E KELSEN come un diritto soggettivo pubblico che lo Stato deve tutelare e
garantire ed tale diritto è limitato dalle libertà altrui. La libertà giuridica, secondo JELLINEK, si manifesta attraverso la
volontà di essere d'accordo o meno con una norma etica senza subirne le conseguenze giuridiche. La libertà giuridica è
senza vincoli. La tutela dei diritti di libertà non è unitaria, altrimenti il diritto soggettivo verrebbe ad identificarsi con
tutto ciò che è lecito. Mentre il diritto di libertà è qualcosa in più di un comportamento lecito, precisamente è il potere
di protezione di un interesse. Tuttavia tale diritto di libertà trova un limite nelle libertà altrui, cioè viene contemperato
con la libertà altrui e di conseguenza non è un diritto assoluto ma relativo. Queste considerazioni inducono a ritenere
la libertà religiosa in valore etico politico, storico, religioso e relativo. Anche che kelsen riteneva che la libertà non
fosse un concetto giuridico. Quindi, in definitiva, la libertà religiosa costituisce un diritto autonomo e non unitario,
relativo e non assoluto, pubblico ma anche privato, positivo e non negativo. Tuttavia tale concezione non teneva
conto delle manifestazioni religiose interne, cioè ignorava la libertà religiosa intesa come valore, come principio.
Quindi successivamente la libertà religiosa è stata ritenuta come un diritto autonomo e non unitario, poiché la libertà
è una sola ma sono autonomi i singoli diritti; è un diritto positivo e non negativo, cioè lo Stato non si astiene solo da
interventi nella sfera religiosa del soggetto ma provvede ad attuare positivamente quella libertà religiosa; la libertà
religiosa è un diritto relativo e non assoluto perché va contemperato con le altre libertà ed infine è un diritto non per
forza pubblico ma può essere anche privato poiché la tutela del bene stesso non avviene per forza da parte dello Stato
ma può avvenire anche da parte di altri consociati e il bene stesso da tutelare può essere un bene non pubblico. Ci si
chiede oggi se questo diritto di libertà religiosa è stato attuato. Oggi ci sono differenti previsioni normative in capo alle
singole legislazioni. Le differenti previsioni normative hanno portato ad un mutamento dell'oggetto della libertà
religiosa. Si lega la libertà religiosa al principio di doverosità e legge morale e se ne sottolinea la dimensione privata,
attribuendo alcune facoltà all’individuo che sono riconosciute dalla costituzione. Si è fatto riferimento ai contributi
derivanti dalle diverse confessioni religiose, alla tutela della libertà religiosa non nei singoli paesi ma per macro aree
del mondo e si è cercato di capire in quale direzione va la libertà. Ad esempio questione più di libertà religiosa e di
laicità quella attinente all'uso del velo nei paesi non islamici oppure alla presenza di simboli come crocifissi nelle aule
scolastiche pubbliche e nei tribunali. Il progetto di legge della libertà religiosa, giacente da ben 11 anni in Parlamento,
non porterebbe ad alcun contributo ad una diversa configurazione della libertà religiosa.

Capitolo tre

Le fonti del diritto ecclesiastico

1. Principi generali.

Per esaminare le fonti del diritto ecclesiastico, bisogna necessariamente far riferimento allo sviluppo legislativo
unilaterale, bilaterale e concordatario ed alle disposizioni costituzionali già precedentemente richiamate. Il richiamo
alle fonti si ha nell’articolo uno delle disposizioni generali sulle preleggi del codice civile. Secondo D’ AVACK e secondo
noi, è da condividere l'opinione secondo cui le norme di diritto ecclesiastico seguono la stessa sorte delle altre norme
di legge dell'ordinamento giuridico italiano e da condividere è anche l'assunto secondo cui lo Stato costituisce
esclusivamente l'unica fonte materiale di tutti poteri, compreso quello legislativo. Con quest'ultimo assunto si è
evitata una polemica riguardante la vigenza delle norme preconcordatarie. Infatti si è ritenuto che tali norme del
diritto ecclesiastico stipulate prima del concordato del 29 rimangano vigenti dopo l'entrata in vigore del concordato
stesso a meno che non siano state esplicitamente o implicitamente abrogate, oppure contengano disposizioni
contrastanti con il concordato stesso oppure regolano una materia già interamente regolata ex novo dai patti
lateranensi o dal concordato. Altrimenti le norme preconcordatarie di diritto ecclesiastico continuano ad essere
vigenti ancora oggi. In questo modo si separa il diritto ecclesiastico dal diritto concordatario, quest'ultimo
essenzialmente bilaterale, e non si mortifica la legislazione unilaterale dello Stato. È da condividere l'opinione di
D’AVACK secondo cui le disposizioni sulle fonti contenute nelle preleggi del codice civile mal si adeguano ad una
costituzione rigida e sarebbe meglio ricomprendere le fonti nell'ambito costituzionale. Se gli ecclesiastici distinguono
tra fonti unilaterali, sia confessionali che pattizie, e fonti bilaterali, bisogna distinguere le fonti anche in base alle loro
gerarchie e competenze. Le gerarchie possono essere: strutturali, se un potere normativo trae la propria fonte da un
altro; formali, se le relazioni istitutive tra le fonti sono stabilite dalle fonti stesse; logiche, se non sono istituite dal
diritto ma si basano sulla struttura del linguaggio delle fonti; ed infine assiologiche, se le relazioni tra le fonti si basano
su valutazioni interpretative. Le gerarchie delle fonti logiche e assiologiche non comportano però uno stravolgimento
dei principi su cui si basa il nostro ordinamento giuridico. In particolare si conferma che le fonti sono gerarchicamente
ordinate, cioè le leggi prevalgono sui regolamenti e le leggi e i regolamenti prevalgono sugli usi. Che è solo lo Stato ad
attribuire rilevanza alle fonti esterne tramite il rinvio materiale o formale o mediante l'esecuzione di impegni assunti
sul piano del diritto esterno. Infine si conferma che è solo lo Stato ad attribuire agli atti o fatti aventi forza di legge il
grado gerarchico nelle fonti. Non si stravolgono principi come quello secondo cui il nostro ordinamento non è un
ordinamento consuetudinario o giurisprudenziale. La rilevanza delle fonti esterne è possibile solo se vengono
rispettate queste tre condizioni o meglio criteri di collegamento:1. Le norme non devono contenere principi contrari
all'ordinamento giuridico italiano;2. Le norme devono avere contenuto specifico;3. L'ordinamento statale non abbia
già previsto specifiche disposizioni in materia. i criteri di collegamento sono del tutto pacifici nel diritto internazionale,
dove vige il principio di affettività, c'è il principio di collegamento tra la norma e la realtà. Ciò ovviamente non significa
che quando una norma non viene ottemperata, perché magari non aderente alla realtà oppure perché contrasta con
disposizioni nuove, ciò non vuol dire che la norma sia stata abrogata ma è un suggerimento al legislatore affinché
provveda ad una sua modifica. Nell'ambito del diritto interno, il principio di effettività ha una minore rilevanza. Questo
perché le norme sulle fonti sono soggette alla disciplina da esse stabilita e quindi la gerarchia è meramente
strumentale. Per quanto riguarda le sentenze di accoglimento della corte costituzionale, bisogna dire che queste sono
semplicemente sentenze che indicano che una determinata norma non va applicata perché incompatibile con le altre
norme dell'ordinamento. Quindi alla corte costituzionale si attribuisce una funzione solamente negativa mentre una
parte della dottrina attribuisce alle sentenze di accoglimento della corte una funzione positiva, cioè una vera e propria
funzione di fonte del diritto con efficacia erga omnes capace di introdurre nuove norme dell'ordinamento giuridico. In
realtà sappiamo che non è così poiché al massimo le sentenze della corte possono essere chiarificatrici di come
interpretare una norma ma non possono introdurre nuove norme nell'ordinamento giuridico. Questo perché la
funzione legislativa ed esecutiva è un compito rimesso esclusivamente al Parlamento e al governo e non alla corte
costituzionale. A maggior ragione lo stesso discorso vale per le sentenze di rigetto o di inammissibilità perché non
introducono nessuna modifica ad una legge. La dottrina dovrebbe rifarsi ai principi e alle leggi generali
dell'ordinamento assumendo una funzione di controllo e non seguire semplicemente l'andamento giurisprudenziale,
altrimenti abdicherebbe al suo compito. Le sentenze della corte costituiscono il frutto di una politica giurisprudenziale
fondata sulla regola dello stare decisis ma non costituiscono fonti del diritto in senso tecnico. Se così fosse,
bisognerebbe rivoluzionare l'opinione tradizionale secondo cui la giurisprudenza ha solo una funzione negativa dal
punto di vista delle fonti del diritto. La regola dello stare decisis, c'è la regola del precedente vincolante, vale solo negli
ordinamenti di Common law mentre negli ordinamenti di civil law, come quello italiano, tutt'al più una sentenza può
avere efficacia persuasiva.

2. Le fonti del diritto interno.

Le fonti del diritto ecclesiastico interno sono le leggi costituzionali, le norme costituzionali riguardanti il fattore
religioso, le leggi ordinarie, regolamenti e gli usi. La legge numero 810 del 1929 riguardante patti lateranensi è stata
ritenuta una legge ordinaria che può essere modificata da una legge ordinaria successiva solo se c'è accordo tra essere
stato e può essere modificata in via unilaterale solo se si attua il procedimento di revisione costituzionale previsto
dall'articolo 138 della costituzione. Questa interpretazione è stata ritenuta conforme alla sentenza numero 30 del
1971 della corte costituzionale secondo cui le norme concordatarie dei patti lateranensi possono essere sottoposte al
giudizio di compatibilità costituzionale con i principi supremi. L'articolo sette della costituzione non riguarderebbe solo
il concordato ma tutto regime pattizio tra Stato e Chiesa. Tale articolo impone un obbligo negativo, cioè quello di non
emanare norme contrarie ai patti lateranensi, è un obbligo positivo c'è quello di eseguire tali patti. Quando la corte
costituzionale con la sentenza numero 30 del 1971 ha sancito che le norme concordatarie sono leggi rinforzate, cioè
leggi che non possono essere abrogate o modificate da leggi ordinarie ma che sono sottoposte a giudizio di
costituzionalità in caso di contrasto con i principi fondamentali della costituzione, la dottrina si è posto il problema di
stabilire quali sono questi principi. Ovviamente tra quelli fondamentali ricordiamo il principio di eguaglianza, di tutela
giurisdizionale, di ordine pubblico ma anche i diritti fondamentali e i diritti di libertà. L'articolo sette della costituzione
ci dice che non è possibile emanare una legge ordinaria contraria ai patti lateranensi senza l'accordo con la chiesa. Tale
articolo copre sostanzialmente il principio di bilateralità su cui si fonda il sistema pattizio. anche l'articolo otto comma
tre della costituzione sancisce che la legge del Parlamento stipulata sulla base di intese è una legge rinforzata. Tuttavia
si sono posti alcuni problemi relativi al dubbio sul fatto che lo Stato risultasse vincolato all'impegno pattizio senza
poter modificare la legislazione ecclesiastica e ulteriori dubbi sono scaturiti dal fatto che le intese sono emanate con
decreto del presidente della Repubblica, contribuendo a confondere il sistema delle fonti del diritto ecclesiastico. Le
intese costituiscono accordi di secondo grado, al pari delle norme concordatarie, cioè accordi self-executing. Ciò a
riprova dell'inadeguatezza oggi delle norme concordatarie.

3. Le fonti di diritto esterno.

L'adesione dell'Italia alla comunità europea economica ha comportato una diversa relazione tra le fonti di diritto
interno e le fonti di diritto esterno. Tutto questo attraverso l'esaltazione del ruolo della giurisprudenza e il trascurare il
ruolo della dottrina. Alla domanda se i regolamenti comunitari sono prevalenti rispetto alle norme costituzionali, la
corte costituzionale ha sancito che l'adesione alla comunità europea non comporta la prevalenza totale delle norme
comunitarie che devono rispettare diritti fondamentali e principi fondamentali della carta costituzionale, rispetto ai
quali la legge di esecuzione del trattato è sottoposta a sindacabilità costituzionale. A questo punto chi sostiene che lo
Stato sia l'unica fonte dovrebbe conciliare la sua posizione con chi sostiene, come la corte di giustizia europea, un
pluralismo delle fonti. Tale corte di giustizia europea ha sancito che le norme comunitarie sono prevalenti rispetto alle
norme di diritto interno, comprese quelle costituzionali; è l'obbligo del giudice di disapplicare le norme interne in
contrasto con la normativa comunitaria. La corte di giustizia europea ha dimenticato che la sovranità spetta al popolo
e non alla comunità europea; ha dimenticato che ci sono alcuni principi fondamentali della costituzione intangibili e
immodificabili; che l'atto comunitario non può fungere da parametro ne può sostituire una legge interna; che le fonti
di diritto sono disciplinate da parte dello Stato. Ne deriva la conseguenza che le norme comunitarie hanno efficacia
nello Stato se compatibili con i diritti fondamentali, i diritti di libertà, i diritti inviolabili dell'uomo e i principi
fondamentali delle carte costituzionali di ciascun ordinamento. Chi sostiene il pluralismo delle fonti vuole
codeterminazione di quest'ultime e di conseguenza una attenuazione del principio di attribuzione esclusiva allo stato
delle fonti. Ovviamente tale codeterminazione non deriva dall'articolo sette comma uno della costituzione che
sancisce l'autolimitazione della sovranità dello Stato. In realtà non viene limitata alcuna sovranità dello Stato ma si
afferma semplicemente che Chiesa e Stato sono due ordini indipendenti e sovrani. Né tanto meno la laicità dello Stato
si sostanzia nell’autolimitazione di sovranità. Infatti uno Stato è laico perché non è influenzato dalle confessioni
religiose e si mantiene in una posizione di asetticità e imparzialità. È da condividere l'opinione secondo cui l'autonomia
confessionale è garantita dalla costituzione e il riconoscimento dell'autonomia spetta non solo alla Chiesa cattolica ma
ciò non significa che le norme che fanno riferimento a tale autonomia o che costituiscono manifestazione di tale
autonomia non sono sottoposte alle leggi ordinarie. Gli ordinamenti confessionali sono ordinamenti giuridici derivati
perché sono interni allo stato e sono esterni a quest'ultimo solo nei rapporti tra Stati. Tuttavia ci sono anche
ordinamenti confessionali, come quello della Chiesa cattolica, che non sono derivati ma originari perché indipendenti
e sovrani e proprio per questo non c'è in questo caso una codeterminazione delle fonti. Se vogliamo ragionare dal
punto di vista realistico, l'ampliamento delle fonti non può derivare da interpretazioni giurisprudenziali o da forzature
esterne ma si può procedere a tale ampliamento solo attraverso la via legislativa, ciò vale soprattutto nell'ambito del
diritto ecclesiastico. L'articolo 117 della costituzione, dopo la riforma del titolo quinto della costituzione, sancisce la
legislazione esclusiva dello Stato nei rapporti tra esso e le confessioni religiose. Le regioni hanno potestà legislativa
esclusiva o concorrente in determinate questioni ecclesiastiche, come ad esempio la valorizzazione e l'istituzione di
beni culturali e ambientali. Bisogna dire che le leggi regionali garantiscono la rimozione di ogni ostacolo alla parità tra
uomo e donna nella vita sociale, culturale economica.

4. Sistematica delle fonti. Possibili prospettive

La dottrina costituzionalistica sembra aver fatto venir meno il principio di tassatività delle fonti costruito su un sistema
lineare basato sulla fonte legislativa. La negazione di un'unica fonte legislativa e l'introduzione di nuove fonti diverse
dalla legge ordinaria, come ad esempio le leggi di delegificazione, ha comportato una risistemazione dell'ordine delle
fonti che deve riferirsi non più alla legge ma all'atto normativo nella sua molteplicità di forme procedurali in cui può
esplicarsi. Viene messa In crisi quindi l'idea del Crisafulli secondo cui la gerarchia delle norme dipende dalla gerarchia
delle fonti così come stabilita dall'ordinamento, con la conseguenza che nessuna legge può modificarne un'altra e
questa idea determinava un venir meno dell'efficacia generale o forza tipica della fonte legislativa. Ne è una prova
l'approvazione delle leggi di esecuzione delle intese con confessioni religiose a cattoliche che hanno una qualificazione
diversa dalla legge ordinaria. Infatti nei rapporti tra legge sui culti ammessi e intese, il criterio gerarchico non ha
impedito l'applicazione del criterio cronologico. Si afferma l'idea secondo cui la gerarchia delle fonti è foggiata dalla
gerarchia dei significati normativi. Quindi ne scaturisce la conseguenza, preceduta da una serie di premesse quali la
non vincolatività delle intese dell'articolo otto della costituzione, il rispetto del principio pacta sunt servanda, la
mancanza di una soggettività internazionale delle confessioni a cattoliche, che le intese servono ad attuare la libertà
religiosa. Esaminando l'accordo del 1984 sul concordato, bisogna dire che questo è un accordo internazionale in forma
semplificata e non un accordo interno che richiama a moduli convenzionali dell'attività amministrativa. Si tratta di un
accordo di secondo grado, perché proveniente da due fonti distinte, perché dà luogo a due atti distinti anche se
collegati tra di loro e perché corrisponde a due distinte volontà dello Stato. Si tratta di un accordo internazionale in
forma semplificata dove le parti hanno rinviato a future intese o accordi volontariamente per inserire o completare
quelle clausole non ha avuto esecutive dello stesso accordo. Quindi si tratta di un accordo in forma
semplificata(perché non richiede una ratifica) e di secondo grado poiché l'obbligo giuridico di rispettare l'accordo non
deriva dall'incontro della volontà delle due parti ma dall'obbligo stipulato precedentemente con l'accordo.

Parte speciale

I soggetti

capitolo uno
le persone fisiche

1. Soggettività, personalità e capacità.

Il concetto di soggettività, centro di imputazione di diritti e doveri a cui si ricollegano effetti giuridici, deriva da un
evento fenomenologico che è la nascita da cui deriva la capacità giuridica, cioè l'attitudine ad essere titolari di diritti e
doveri giuridici. La soggettività non coincide con la personalità giuridica che è attribuita non solo alle persone fisiche
ma anche alle persone giuridiche. La personalità giuridica individua l'ambito o la sfera entro la quale si muove la
capacità giuridica. Bisogna dire che diritti individuali non sono subito stati riconosciuti dagli ordinamenti come diritti
naturali ma c'è voluto molto tempo e una dura lotta tra l'individuo e le autorità. I soggetti si rapportano non solo con
altre persone ma anche con gli ordinamenti e non è sempre detto che l'ordinamento tutela i diritti individuali del
soggetto ma talvolta quest'ultimo si deve difendere dagli attacchi dell'ordinamento stesso. Ciò è provato dalle
molteplici definizioni di diritto soggettivo nelle diverse epoche storiche. Nel diritto ecclesiastico la distinzione tra
ecclesiastici, cui è attribuita la pienezza dei diritti, e fedeli laici posti su un piano minore, ha comportato un ulteriore
complicazione del problema. Eccetto chi ha la residenza vaticana(Papa, cardinali residenti in Roma e altre poche
eccezioni), gli ecclesiastici che risiedono nel territorio italiano hanno la cittadinanza italiana e sono soggetti alle leggi e
all'ordinamento dello Stato italiano. Lo status di ecclesiastico è uno status particolare ma non privilegiato che è
attribuito dall'ordinamento confessionale e recepito dall'ordinamento statale italiano. L'ecclesiastico quindi è
sottoposto ad entrambi gli ordinamenti: l'uno coattivo e l'altro volontario. Comunque sia il fedele laico che
l'ecclesiastico non possono vedersi degradare i loro diritti soggettivi. In questo capitolo facciamo riferimento ai diritti
della persona. Tali diritti sono imprescrittibili, inalienabili, assoluti, intrasmissibili e irrinunciabili e sono garantiti dalla
costituzione, la quale si fa carico anche di promuovere lo sviluppo di tali diritti della persona. A questi diritti si
accompagnano i doveri della persona, come ad esempio il dovere di prestazione patrimoniale o di difendere la patria.
Sarebbe necessario che tutte queste garanzie fossero attuate non solo sul piano formale ma anche sul piano pratico.

2. La condizione giuridica degli ecclesiastici.

L'appartenenza ad una confessione religiosa non è irrilevante per l'ordinamento italiano, poiché quest'ultimo deve
conoscere l'opzione religiosa dei propri cittadini fedeli che coattivamente appartengono all'ordinamento statale e
volontariamente all'ordinamento confessionale. Ad esempio per la Chiesa cattolica, il popolo di Dio è costituito dai
battezzati. Tuttavia è sempre l'ordinamento ad attribuire la personalità e ciò è riconosciuto anche dal diritto canonico
secondo cui, nel momento del battesimo, il battezzato fa parte della società ecclesiastica ma non riceve una nuova
personalità ma bensì la completa. Infatti il diritto canonico riconosce diritti e doveri anche ai cosiddetti infedeli. Con
l'accordo del 1984, a differenza del concordato del 29, non si è sancita l'esclusione degli ecclesiastici dagli uffici di
giurato, non si è sancito l'obbligo di comunicare allo stato la nomina dei vescovi e non si è sancito il divieto di
appartenenza a partiti politici. L'unica norma che riguarda la condizione giuridica degli ecclesiastici nell’accordo del
1984 riguarda l'articolo quattro. Tale articolo sancisce la facoltà degli ecclesiastici di essere esonerati dal servizio
militare e richiedere l'assegnazione al servizio civile. Inoltre è sancita la possibilità di non comunicare ai magistrati
informazioni di reato acquisite mediante l'esercizio del proprio ufficio o professione. Si tratta in questo caso di facoltà
e non di obblighi come previsto dal concordato del 29. Inoltre si dà la possibilità agli studenti di teologia e ai novizi
degli istituti di vita consacrata di usufruire dei rinvii del servizio militare cui usufruiscono gli studenti universitari
italiani. È prevista la possibilità, che in caso di mobilitazione generale, gli ecclesiastici possano, nel caso in cui non
siano assegnati alle cure d'anime, esercitare il loro ministero religioso nelle truppe o nel servizio sanitario. Non è
sancito nell'accordo dell'ottantaquattro l’esenzione degli ecclesiastici dagli uffici di giudice popolare. Gli ecclesiastici,
negli edifici di culto, possono effettuare collette al loro interno. Nel caso di calamità pubbliche, di malattie contagiose,
i ministri di culto possono ricevere testamento in presenza almeno di due persone con l'età di 16 anni. L'illecito
religioso commesso da un religioso con il consenso dei suoi superiori comporta che anche i superiori stessi e l'ente
committente rispondano di tale illecito. I ministri di culto possono essere soggetti attivi o passivi di un reato. L'aver
commesso il fatto con abuso di potere o la violazione del proprio dovere d'ufficio costituisce un'aggravante e la pena è
aumentata di un terzo. Così come costituisce un'aggravante d'aver commesso il reato contro un ministro di culto o
contro un culto ammesso nello stato. L'articolo 406 del codice penale, poi dichiarato incostituzionale, diminuiva la
pena nel caso di commissione dei reati di vilipendio al culto religioso nei confronti di persone o cose o del reato di
turbamento delle funzioni religiose durante un culto(articoli 403,404 e 405 c.p.) se il culto era ammesso nello stato.
abolito sostanzialmente l'articolo 402 che prevedeva il reato di vilipendio contro la religione di Stato( abolito perché
non c'è +1 religione di Stato), l'articolo 403 e 404 del codice penale prevedono che il reato di vilipendio possa essere
commesso contro persone fisiche o mediante danneggiamento di cose. L'articolo 404 primo comma del codice penale
è stato abrogato nella parte in cui prevedeva la reclusione da uno a tre anni e non la diminuzione della pena prevista
dall'articolo 403 al primo al secondo comma per la disparità di trattamento tra confessione cattolica e le altre
confessioni. La legge numero ottantacinque del 2006 ha abrogato l'articolo 406 del codice penale e ha modificato
l'articolo 403 e 404 del codice penale che riguardano i reati di vilipendio contro le persone fisiche o mediante
danneggiamento di cose. L'articolo 405 del codice sancisce il reato di turbamento delle funzioni religiose che si
concretizza mediante il disturbo durante pratiche religiose o cerimonie che si compiono con l'assistenza di un ministro
di culto in un luogo destinato al culto o in un luogo pubblico o privato. Per quanto riguarda l'articolo due del
protocollo modificativo dell'accordo del 1984 sancisce della Repubblica italiana comunica alle autorità ecclesiastiche
competenti per territorio i procedimenti penali iniziati nei confronti di persone ecclesiastiche. Per quanto riguarda i
delitti contro la pietà dei defunti, è punita con la reclusione da uno a cinque anni la violazione del Santo sepolcro. È
punita con la reclusione da sei mesi a tre anni il vilipendio di tombe o cose di culto destinate ai defunti. Il turbamento
di un servizio funebre o funerale è punito con la reclusione fino ad un anno. La distruzione, l'uso illegittimo,
l'occultamento di cadavere è punito in vari modi. La bestemmia è punita con una contravvenzione dall'articolo 724 del
codice penale ed è intesa come un'offesa ai simboli, alle divinità e alle persone venerate di quel culto religioso.
Importanti sono anche le disposizioni del trattato lateranense. Tra queste ricordiamo l'articolo otto che, in base
all'articolo uno del trattato che considera il pontefice persona sacra ed inviolabile, sancisce che l'attentato o la
provocazione a commetterlo contro il pontefice è punito con le stesse pene previste per l'attentato o la provocazione
a commetterlo contro il presidente della Repubblica. lo stesso vale per le offese e le ingiurie. Articolo 22 del trattato
prevede che lo Stato italiano provveda alla punizione di quei delitti commessi nella città del Vaticano, meno che il
soggetto imputato non dichiari di voler rifugiarsi nello Stato italiano e quindi sarà sottoposto inevitabilmente alle leggi
italiane. Tale articolo prevede anche che la Santa sede consegna allo Stato italiano coloro che hanno commesso delitti
che violano le leggi di entrambi gli Stati o abbiano commesso delitti nel territorio italiano o negli immobili immuni da
violazioni, a meno che i preposti agli immobili non dichiarino di ammettere gli agenti italiani per l'arresto
dell'imputato. Importante è anche l'articolo nove che sancisce la sottoposizione alla sovranità della Santa sede di tutti i
residenti nella città del Vaticano. L'articolo 23 del trattato lateranense sancisce invece i provvedimenti dell'autorità
ecclesiastica concernenti gli ecclesiastici o i religiosi o riguardanti materie spirituali o disciplinari obbligano il giudice
civile a dare efficacia a tali provvedimenti. Il giudice civile non dichiarare il difetto di giurisdizione, poiché ciò sarebbe
in contrasto con l'articolo 24 della costituzione. L'ecclesiastico potrà rivolgersi al giudice civile solo se è stata violata
una norma procedimentale o se è stato violato un suo diritto di libertà fondamentale.

3. L'assistenza spirituale.

Gli ecclesiastici devono garantire l'assistenza spirituale ai loro fedeli, tra cui le forze armate, i detenuti e coloro che
sono in strutture ospedaliere. Il concordato del 29 garantiva all'assistenza spirituale solo alle forze armate e non anche
ai detenuti negli istituti penitenziari e nelle strutture sanitarie. Ciò è avvenuto con l’articolo 11 dell'accordo
modificativo del concordato nel 1984 con il quale si è sancita l'estensione, oltre alle forze armate, anche alle categorie
sopra indicate. La nuova norma, articolo 11, coniuga l'esercizio della libertà religiosa all'assistenza spirituale e tale
assistenza è garantita dagli ecclesiastici nominati dall’ autorità civile su designazione dell'autorità ecclesiastica
secondo le modalità e l'organico previsto. Con il decreto legislativo 1022 del 1915 si sono istituiti i cappellani militari in
numero non determinato ai quali era preposto un vescovo; con la legge numero 417 del 1926 si è sancito il ruolo
stabile dei cappellani militari; con la legge numero 77 del 1936 è stato istituito il servizio nazionale di assistenza
spirituale; con la legge numero 522 del 1961 è stato sancito che i cappellani militari dipendono da autorità civili e
ecclesiastiche. La nomina dei sacerdoti a cappellani militari presuppone il godimento dei diritti civili e politici,
instaurando con lo stato un vero e proprio rapporto di pubblico impiego. Per quanto riguarda l'assistenza spirituale
negli istituti penitenziari, il regio decreto numero 260 del 1891 sanciva che la religione era tutto di recupero e di
conseguenza si arrivò al punto di negare la libertà religiosa, cioè coloro che non volevano seguire il culto non potevano
farlo. Ciò per quanto riguarda i cattolici mentre per coloro che appartenevano a confessioni a cattoliche erano più
liberi di non seguire il loro culto. Successivamente con la legge numero 354 del 1975, sono venute meno tutte le
disposizioni più impositive e viene sancita la totale libertà religiosa. Solo che mentre per i cattolici vi era un servizio
regolare e stabile per esercitare il loro culto, per coloro che professavano le religioni non cattoliche l'esercizio del culto
era garantito su richiesta e l'autorità doveva provvedere a chiamare i ministri di culto di quella religione. Per quanto
riguarda l'assistenza spirituale al personale della polizia di Stato, la legge numero 92 del 1991 sanciva che i cappellani
erano nominati con decreto del ministro dell'interno, d'accordo con il presidente della conferenza episcopale italiana,
su designazione del vescovo. Non era però instaurato un rapporto di pubblico impiego. Successivamente con la legge
del 9 settembre del 1999 viene creata la figura del cappellano con funzione di coordinamento con la c.e.i, da cui è
nominato, ed anche con funzioni di aggiornamento e di programmazione. Oltre al vescovo, l'autorità ecclesiastica
competente è anche la conferenza episcopale italiana regionale. La nomina di tale cappellano deve essere presentata
al prefetto della provincia e a quello regionale, che la trasmette al ministero dell'interno. È previsto un compenso per il
cappellano, l'incarico può essere revocato e non è possibile dare l'incarico per chi ha più di 68 anni. L'incarico è
annuale. Il cappellano risponde dinanzi al questore o al direttore dell'istituto di istruzione. È evidente che instaurato
un vero è proprio rapporto d'impiego. Il cappellano deve svolgere le stesse ore di servizio del personale della polizia di
Stato. Lo status giuridico è diverso tra i vari cappellani. Mentre per i cappellani delle forze armate era previsto uno
status eguale a quello dei membri delle forze armate, per quelli della polizia di Stato non sono inquadrati nel rapporto
di pubblico impiego. I cappellani delle carceri possono essere considerati incaricati di pubblico servizio è soggetto al
rapporto di pubblico impiego. I cappellani delle strutture sanitarie hanno invece una maggiore autonomia. La
assistenza spirituale negli ospedali viene garantita dalla legge numero 132 del 1968. Ancora una volta per i cattolici
viene istituito un servizio stabile di assistenza spirituale, cioè un servizio i cui fini sono quelli propri della pubblica
amministrazione. Una limitazione al consiglio di amministrazione dell’ente ospedaliero riguarda il fatto che esso deve
procedere, nel fornire tale servizio, d'intesa con l'ordinario diocesano competente territorialmente. Per le confessioni
a cattoliche, la direzione sanitaria deve fornire il servizio su richiesta dell'infermo, remunerando i relativi ministri di
culto e stabilendo un rapporto di lavoro con prestazione occasionale. Un'altra discriminazione sia con la legge numero
833 del 1978 istitutiva del servizio sanitario nazionale. Ancora una volta per i cattolici viene istituito un servizio
sanitario stabile che deve essere fornito dalle usl d’intesa con l'ordine diocesano competente mentre per le
confessioni acattoliche devono provvedere le autorità religiose. Questa discriminazione viene ancora più rilievo con il
decreto attuativo della legge che sancisce la qualifica di assistente religioso solo al personale cattolico mediante la sua
assunzione diretta nel personale delle usl o mediante convenzione tra l'amministratore della usl e il vescovo, con la
conseguenza che non sempre si instaura un rapporto di pubblico impiego. Per le confessioni acattoliche invece non è
data alcuna possibilità alle autorità religiose di inserire il proprio personale in un rapporto di pubblico impiego. Lo
Stato dovrebbe garantire non solo la libertà religiosa ma anche la tutela dei bisogni religiosi dei suoi cittadini.
L'assistenza spirituale nelle intese con le confessioni acattoliche risulta molto articolata. Si pensi all'intesa della tavola
valdese che si sostanzia in quattro articoli in cui è garantita tale assistenza ai militari, nelle case di cura, negli ospedali
e nei penitenziari. Due sono i principi su cui si basa tale intesa: il primo è l'onere che grava sull'autorità religiosa
valdese riguardo agli costi dell'assistenza spirituale e il secondo principio concerne la garanzia da parte dello Stato di
assicurare la piena libertà nell'usufruire di tale assistenza agli interessati. Questi due principi avrebbero dovuto
informare anche l'articolo 11 del concordato del 29 che avrebbe dovuto solamente garantire l'impegno dello Stato a
far rispettare l'assistenza religiosa e non specificare il tipo di fornitura del servizio o entrare in rapporti di pubblico
impiego, poiché si tratta di materie di competenza esclusiva dello Stato. Formulato così come è, l'articolo 11 del
concordato non consente la piena attuazione della libertà religiosa e la tutela dei bisogni dei propri cittadini, poiché
l'onere finanziario della religione cattolica cade sulle spalle della comunità. Altre intese in cui è garantita l'assistenza
spirituale, con onere finanziario a carico delle relative autorità religiose, sono quelle con l'unione delle chiese
avventiste, con le assemblee di Dio, con la comunità ebraica e con la Chiesa evangelica luterana e battista. Lo Stato
inoltre dovrebbe garantire l'assistenza sia le organizzazioni laiche che a quelle confessionali, confermando che il
principio di sussidiarietà che distingue tra l'assistenza pubblica e privata. Inoltre l'articolo 29 lettera H. del concordato
del 1929, che equiparava il fine di culto o di religione al fine di assistenza o beneficenza, sembra sia stato eliminato
dall'articolo 16 della legge 122 del 1985 secondo cui tali fini non sono equiparabili tra di loro. Inoltre suscita
perplessità il fatto che gli ecclesiastici dell'assistenza spirituale debbano essere nominati dallo Stato su designazione
dell'autorità ecclesiastica, poiché l'interesse non è solo pubblico e quindi non solo dello Stato.
4. Le obiezioni di coscienza.

Il rifiuto di ottemperare a disposizioni di legge positive per motivi di coscienza è una questione delicata(perché in tal
modo si sovverte la concezione impositiva delle nostre norme giuridiche) e relativamente recente, perché prima tale
obiezione non era concessa. Quella di cui parleremo è l'obiezione di coscienza per motivi religiosi che si è sostanziata
essenzialmente nell'obiezione al servizio militare, al diritto di riservatezza, nell'obiezione all'interruzione della
gravidanza e ad alcune prestazioni terapeutiche mentre rimangono fuori da questa trattazione le obiezioni attinenti
alle prestazioni di lavoro, prestazioni fiscali, ecc. Le obiezioni di coscienza vanno trattate nell'ambito dei doveri
costituzionali senza estendere infinitamente quest'ambito. La Chiesa ha dimostrato un'apertura riguardo a tali
obiezioni di coscienza: si pensi a papa paolo sesto che si rallegrò che in alcune nazioni si dava la possibilità di sostituire
al servizio militare in servizio civile per alcuni obiettori di coscienza. Così come nella costituzione pastorale si riteneva
equo che le leggi provvedano a caso di coloro che per motivi di coscienza rifiutano l'uso delle armi. Così come l'articolo
289 del diritto canonico esonera i chierici e i componenti degli ordini sacri dal servizio militare e da qualsiasi incarico di
pubblico ufficiale civile per motivi di coscienza. Questo è l'unico momento in cui la coscienza viene giuridicamente
tutelata. Per quanto riguarda le disposizioni costituzionali, l'articolo 11 della costituzione sancisce il ripudio della
guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali. L'articolo 52 ci dice che il dovere di difendere la patria è sacro ed inviolabile. L'ordinamento delle forze
armate si ispira ai principi democratici della nazione e il servizio militare va svolto secondo i limiti e le modalità
stabilite dalla legge. La legge numero 72 del 1972 esonerava dal servizio militare colorò che per motivi religiosi o
filosofici o morali attinenti alla loro concezione di vita ricusavano l'uso delle armi. Ovviamente questa legge doveva
essere riformata poiché le convinzioni religiose, tutelate da disposizioni costituzionali, non possono essere equiparate
alle convinzioni filosofiche o morali. Per questo è stato proposto il 13 settembre del 1990 un disegno di legge
approvato dal Consiglio dei Ministri ed ora riproposto che sanciva il diritto di agire secondo la propria coscienza
nell'ambito dei diritti doveri costituzionali. Tale diritto di agire poteva essere individuale o collettivo. Le modalità di
esercizio dell'obiezione di coscienza sono stabilite da norme specifiche attinenti alle materie. All'articolo tre di tale
legge si sanciva che nessuno può essere discriminato per la propria appartenenza religiosa e non può essere obbligato
a dichiarare a quale confessione appartiene. Si sostiene anche il diritto di mutare la propria credenza religiosa.
L'attuale legge numero 230 del 1998 ricollega il diritto di obiezione di coscienza ai diritti fondamentali sanciti dalla
convenzione dei diritti civili e politici e alla dichiarazione universale sui diritti dell'uomo. Chi intende essere esonerato
dal servizio militare e fare il servizio civile deve farne apposita domanda all'organo di leva entro 15 giorni. Non
possono essere esonerati coloro che hanno prestato servizio presso le forze armate o forze di polizia, coloro che
hanno il porto d'armi, coloro che siano stati condannati per violenze o per reati attinenti alla criminalità organizzata. Il
Ministro della Difesa è tenuto a rispondere entro sei mesi dalla domanda. Se non lo fa, la domanda si intende accolta.
Contro tale domanda si può presentare ricorso all'autorità giudiziaria che può rifiutare la reiezione della domanda. Chi
presta servizio civile ha gli stessi diritti e doveri di chi presta il servizio militare. Presso la presidenza del Consiglio dei
Ministri, è istituito l'ufficio nazionale per il servizio civile che provvede alla formazione del personale, a verificare le
modalità di svolgimento del lavoro da parte del servizio civile, predispone piani di gestione, stipula convenzioni con gli
enti e le organizzazioni apposite, organizza il servizio stesso. C'è un ufficio per il servizio civile a livello nazionale e vari
uffici a livello regionale. Presso l'ufficio nazionale del servizio civile è istituito un albo dove sono indicati gli enti e le
organizzazioni convenzionate per lo svolgimento del servizio civile, la lista degli obiettori di coscienza e è istituita una
consulta nazionale in via permanente. Il servizio civile deve svolgersi entro l'area di vocazione richiesta, nella regione
indicata o di residenza. Il servizio civile ha la stessa durata di quello militare e può svolgersi anche all'estero. Il rifiuto
del servizio civile comporta una reclusione da sei mesi a due anni. Il servizio civile è incompatibile con qualsiasi
incarico di ufficio pubblico e con l'esercizio di un'attività professionale. L'ufficio nazionale del servizio civile usufruisce
di 120 miliardi di lire come fondo nazionale per il servizio civile dal 1998 in poi. Il presidente del consiglio ,entro il 10
giugno, presenta al Parlamento una relazione sull'attività svolta di anno in anno. I due limiti che incontra il servizio
civile sono il dovere di fedeltà alla Repubblica e i doveri di solidarietà politica, sociale e economica. Per quanto
riguarda la legge 194 del 1978, che ha depenalizzato il reato di aborto, è prevista la possibilità per i medici inseriti in
strutture ospedaliere in cui è praticata l'interruzione di gravidanza di essere esonerati da tali procedure per motivi
religiosi. In questo caso vengono in rilievo le concezioni attinenti all'inizio e alla fine della vita che vanno tutelate. Per
quanto riguarda l'obiezione al giuramento, la corte costituzionale con sentenza numero 117 del 1979 ha dichiarato
costituzionalmente illegittime le norme del vecchio codice di procedura penale 251 comma 2,146 comma 1,316
comma 2,329 comma uno e 449 comma due, là dove esse con riferimento all’importanza religiosa e alla divinità del
giuramento nei processi penali, non aggiungevano l'inciso” se non credente”. La questione oggi è stata risolta con una
formulazione della norma tale da impegnare la responsabilità giuridica e morale di chi presta giuramento. Le
questioni di bioetica possono portare a delle obiezioni di coscienza. In tale settore non c'è una regolamentazione
giuridica. Tuttavia si è iniziato con la legge regionale della Lombardia numero 97 del 1975 e la legge regionale
piemontese numero tre del 1987 che garantisce ai sanitari, per determinati motivi, di sottrarsi a determinati
programmi di ricerca. Con la legge numero 413 del 1993 si prevedono norme di obiezione di coscienza sulla
sperimentazione animale. Non sembra riferirsi ai vari tipi di obiezione di coscienza le intese con le confessioni
acattoliche che garantiscono il riposo sabbatico o le festività delle relative confessioni ma piuttosto queste si
riferiscono all'attuazione del principio di libertà religiosa basato sul fatto che il nostro è uno Stato laico e non
confessionale. Solo nei casi di trattamenti sanitari obbligatori, che debbono attuarsi nel rispetto della persona umana e
con il suo consenso, e anche nel caso di rifiuto della emotrasfusione da parte dei testimoni di Geova, non si può
opporre l'obiezione di coscienza. Questo perché il diritto alla vita, a nostro avviso, prevale sui convincimenti religiosi
poiché il diritto alla vita è un bene a valenza sociale, cioè di tutti, ed è indisponibile.

5. Il sostentamento del clero. Aspetti previdenziali.

In origine il sostentamento del clero avveniva attraverso un sistema di beneficiale. Cioè all'ufficio del parroco, del
vescovo, eccetera arrivava un beneficio che era costituito da una serie di beni materiali o da cespiti necessari al suo
sostentamento. Erano questi i diritti di regalia che la legge delle guarentigie salvava e che furono abrogati dal
concordato del 1929. Ovviamente ad parrocchie e uffici ecclesiastici ricchi, c'erano parrocchie e uffici ecclesiastici
poveri. Per questo lo stato pensò di supplire a questa situazione attraverso i supplementi di congrua, cioè assegni
offerti dallo Stato alla Chiesa, che servivano a perequare le rendite in modo da farsi che queste ultime siano congrue
per il sostentamento di ciascun ente ecclesiastico. In questo modo lo Stato controllava in un certo modo la Chiesa che
comunque poteva creare disordini o essere in contrasto con lo Stato stesso. Il modo di sostentamento del clero fu
modificato con la legge 222 del 1985. All'articolo 21 di tale legge si sancisce l'istituzione per ogni diocesi dell'istituto
interdiocesiano o di sostentamento del clero, oltre all'istituzione dell'istituto centrale che provvedeva ad integrare tali
istituti qualora essi non fossero sufficienti per il sostentamento di ciascun ente. Ciascuno di questi istituti ha una
propria personalità giuridica e ha propri statuti. La remunerazione è equiparata a fini fiscali al reddito da lavoro
dipendente. L'istituto centrale versa i contributi previdenziali ed assistenziali a i propri sacerdoti e trattiene le ritenute
fiscali. L'istituto centrale può stabilire anche una funzione previdenziale e assistenziale autonoma per i suoi sacerdoti.
L'articolo 26 di tale legge prevede per la pensione che ciascun istituto religioso, le loro case possono dedurre, ai fini di
determinazione del reddito d'impresa, per tutti coloro che svolgono continuamente un'opera nella attività
commerciale dell'ente, un importo pari all'ammontare del limite minimo del fondo Inps dei lavoratori dipendenti. I
sacerdoti devono comunicare all'istituto diocesano: la loro remunerazione che ricevono dagli enti ecclesiastici e
eventuali altri pagamenti dovuti ad altri lavori; nel caso in cui la conferenza episcopale ritiene che non si raggiunga la
somma minima, all'integrazione provvede l'istituto centrale. Le principali entrate dell'istituto centrale sono costituite
dalle erogazioni libere dove è possibile la deduzione fino a 2 milioni di lire dal proprio reddito e da una quota dell'8 *
1000 da dedurre sull'imposta del reddito delle persone fisiche. Se ne deduce che lo Stato concorre in certo qual modo
al sostentamento del clero cattolico. Mentre per le confessioni acattoliche, la quota di gettito dell'Irpef che può essere
concessa ai loro istituti viene data non a fini di sostentamento ma per fini e scopi umanitari, assistenziali e sociali. Con
la legge 903 del 1973 si sono istituiti gli istituti di previdenza del clero e dei ministri di culto di confessioni diverse da
quella cattolica e si sono stabiliti nuovi trattamenti pensionistici al fine di concedere la pensione a chi ha compiuto il
65simo anno, a chi è in valido permanentemente oppure concedere la pensione di reversibilità ai superstiti
dell'iscritto. In via generale, le normative più importanti in materia di assistenza è previdenza per il clero sono il regio
decreto 1422 del 1924 che riguarda l'assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia; la legge 392 del 1952 che riguarda
il lavoro dei religiosi che prestano attività presso terzi; ed infine la legge 1124 del 1965 che prevede l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

6. Il lavoro dei religiosi.


Il codice di diritto canonico prevede che le organizzazioni ecclesiastiche assicurino al loro interno un ordine di giustizia
a tutte le persone che vi lavorano, assicurando loro una retribuzione adeguata allo svolgimento delle loro mansioni e
conseguentemente di garantire loro il mantenimento e i diritti previdenziali nel caso di malattia, invalidità o vecchiaia.
Non conta e non rileva il fatto che gli ecclesiastici abbiano assunto obblighi di diritto naturale al momento della loro
investitura, come il riferimento al voto di povertà e obbedienza, né rilevano le concezioni di spiritualizzazione del
lavoro o assimilazione del lavoro degli ecclesiastici al lavoro svolto nella comunità familiare. Chiaro è l'articolo 1286
del codice di diritto canonico secondo cui gli amministratori dei beni, nell'affidare i lavori, osservino accuratamente le
leggi del lavoro di diritto comune, secondo i principi della Chiesa. Nonostante l'articolo 17 e 23 del trattato lateranense
tendano a sottrarre al diritto comune materie che sono di competenza del diritto canonico e nonostante il principio di
prevenzione secondo cui colui che ha adito la giurisdizione ecclesiastica non può a dire quella ordinaria, vi è sempre la
possibilità per l'ecclesiastico di adire la giurisdizione ordinaria senza far riferimento a quella ecclesiastica. Ciò che viene
in rilievo non è lo status di ecclesiastico ma l'attività lavorativa dell'ecclesiastico o del laico che deve essere sempre
retribuita, anche a fini assistenziali e previdenziali. Non si vuole estendere il diritto canonico ai principi di diritto
comune ma si vogliono applicare in via preliminare le disposizioni del diritto comune. Quindi nessuna rilevanza hanno i
voti di obbedienza e di povertà, osservazione che in convento non si entri per esercitare una professione, eccetera in
quanto se tali principi fossero applicati, ne deriverebbe la violazione di altri principi, come ad esempio quello di
eguaglianza. Il rapporto di lavoro tra l'istituto religioso e l’ ecclesiastico è un rapporto di lavoro subordinato, non
esistendo rapporti sui generis tra essi e non essendo permanente la qualifica di ecclesiastico che può venir meno su
disposizione dell'autorità ecclesiastica o su richiesta dell'ecclesiastico stesso, con conseguente possibilità che
quest'ultimo si trovi senza mezzi di sussistenza. Inoltre molti istituti religiosi esplicano attività che hanno carattere
imprenditoriale, anche se il fine ultimo o esclusivo non è quello imprenditoriale. Ed ecco che in tal caso si tratta di
attività di lavoro economicamente quantificabili. I laici che svolgono prestazioni lavorative all'interno di istituti, scuole,
enti religiosi non possono vedersi sottratti i loro diritti di lavoratori previsti dal diritto comune. Non potranno essere
puniti ad esempio chi si sposi con rito civile oppure chi non voti per una certa ala politica vicina al clero. Lo Stato deve
garantire, in questi casi, i principi di libertà ed eguaglianza all'interno di tali organizzazioni.

7. L'istruzione religiosa.

Per quanto riguarda l'istruzione religiosa, c'è bisogno di partire dalle disposizioni costituzionali che garantiscono il
diritto allo studio. Bisogna garantire innanzitutto il pluralismo scolastico e la libertà della scuola, cioè la libertà di
scegliere un insegnamento in base alle proprie esigenze. Accanto alla libertà della scuola bisogna garantire la libertà
nella scuola, cioè la libertà riguardante la scelta dell'insegnamento religioso(se impartire l'insegnamento e in quali
termini) e lo status giuridico degli insegnanti. Il principio del pluralismo scolastico è sancito nell'articolo 33 comma uno
della costituzione che sancisce: l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. Lo Stato deve assicurare
agli enti e ai privati il diritto di istituire scuole ed istituti di ogni ordine e grado parificati alle scuole pubbliche statali,
garantendo piena libertà e parità di trattamento agli studenti delle scuole parificate. Il diritto allo studio è sancito
invece nell'articolo 34 della costituzione che sancisce che la scuola è aperta a tutti, stabilisce i limiti minimi di
istruzione obbligatoria e garantisce il diritto ai più capaci e meritevoli di raggiungere i più alti gradi di studio attraverso
borse di studio, assegni e altre forme di sostentamento. Tra le scuole parificate, particolarmente importanti sono
quelle confessionali. L'articolo nove dell'accordo del 1984 tra Stato e Chiesa sancisce che la Repubblica italiana
riconosce alla Chiesa cattolica il diritto ad istituire scuole ed istituti religiosi di ogni ordine e grado, ripetendo le
disposizioni costituzionali. Si garantisce che istituti universitari, le accademie, i collegi, i seminari dipendono
direttamente dall'autorità ecclesiastica. Sono riconosciuti dallo Stato italiano, inoltre, i titoli di laurea in teologia e
diplomi in archivistica, biblioteconomia e paleografia. Le nomine dei docenti e dei dipendenti dell'Università cattolica
del sacro cuore sono subordinate al gradimento dell'autorità ecclesiastica. Gli studenti di teologia e coloro che sono
iscritti agli ultimi due anni di propedeutica alla teologia e i novizi degli istituti di vita consacrata possono usufruire del
rinvio del servizio militare. In definitiva, il diritto allo studio sembra garantito alle confessioni religiose. Il problema è
che maggiormente garantito alla religione cattolica, dove è assicurato sempre l'insegnamento della religione cattolica,
mentre per le altre confessioni non è così. All'articolo nove comma due dell'accordo del 1984 si sancisce che la
Repubblica italiana assicura e garantisce l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole non universitarie di ogni
ordine e grado. Secondo l'autore, sarebbe meglio assicurare l'insegnamento della cultura religiosa in generale e non
l'insegnamento di una sola religione. Il diritto di avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole è riconosciuto agli studenti e ai loro genitori senza che ciò possa comportare alcuna discriminazione. In realtà si
ha una vera è propria schedatura per chi non si avvale del diritto all'insegnamento della religione cattolica, poiché si
tratta di un insegnamento tenuto durante le ore curriculari e non alla fine o all'inizio delle lezioni, come avviene negli
Stati Uniti. Inoltre non è consentito ottenere materie alternative a tale insegnamento, per cui si è costretti a seguirlo.
Inoltre è strano che il diritto spetti ai genitori anche nelle scuole non obbligatorie, come quelle superiori ad esempio,
poiché si tratta di un diritto strettamente personale. La corte costituzionale con la sentenza 203 del 1989 ha sancito
che è incostituzionale imporre la frequenza obbligatoria a chi non ha opzionato per l'insegnamento della religione
cattolica poiché l'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito quale quello della libertà religiosa non può essere
equiparato ad una opzione tra equivalenti discipline scolastiche. Coloro che non usufruivano dell'insegnamento
religioso cattolico non potevano però allontanarsi dalla scuola. Qualcosa cambia con la sentenza numero 13 del 1991
secondo cui l'insegnamento della religione cattolica non contrasta con il principio di laicità dello Stato poiché si
consente agli studenti di allontanarsi dalla scuola. Con la legge casati si attua il processo di laicizzazione della scuola
sottraendo alle dipendenze dell'autorità ecclesiastica la scuola pubblica. Rimaneva però obbligatorio l'insegnamento
della religione cattolica nelle scuole, anche se si poteva essere dispensati. Con la legge 3198 del 1877 viene meno
l'insegnamento della religione nei licei classici e negli istituti tecnici insieme con la figura del direttore spirituale ma
rimane l'insegnamento nelle scuole magistrali. Con la legge coppino l'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole viene sostituito da quello riguardante i doveri dell'uomo e del cittadino. Con il concordato del 29 viene
reintrodotto l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole medie ed elementari, anche se su richiesta si poteva
essere dispensati, con programmi scolastici presi in accordo con la Santa sede. Nelle scuole elementari potevano
insegnare religione cattolica anche insegnanti ritenuti idonei dall'autorità ecclesiastica e graditi a questa. Nelle scuole
superiori l'insegnamento si applica un'ora settimana da insegnanti pagati dalla pubblica amministrazione e il cui
incarico è annuale. Gli insegnanti possono essere revocati dall'ordine diocesano una volta venuta meno l'idoneità.
Successivamente all'accordo del 1984, ci fu un accordo numero 751 nel 1985 relativamente ai programmi di
insegnamento, alle modalità di programmazione, ai criteri di scelta per i testi relativi all'insegnamento della religione e
relativamente ai profili per la qualificazione professionale degli insegnanti di religione cattolica. Per quanto riguarda
quest'ultimo aspetto, questo concerne solo insegnanti delle scuole superiori. Tali insegnanti devono avere: a) una
laurea in teologia rilasciata da una facoltà riconosciuta dalla Santa sede; b) attestato di aver seguito un corso in
teologia presso i seminari maggiori; c) diploma di magistero in scienze religiose, rilasciato da un istituto religioso; d)
diploma di laurea valido nell'ordinamento italiano insieme a un diploma rilasciato da un istituto di scienze religiose. Gli
insegnanti di religione cattolica hanno gli stessi diritti e doveri degli insegnanti di altre discipline e partecipano alle
valutazioni finali degli studenti. Essi hanno lo stesso trattamento economico e status giuridico degli altri insegnanti. Si
accede a tali insegnamenti tramite un concorso pubblico per esami e titoli a base regionale in accordo con l'ordine
diocesano competente territorialmente. Tale ordine può revocare l'idoneità all'insegnante di religione. Qualora non si
coprano tutti gli insegnamenti previsti, si può procedere con contratti di lavoro a tempo determinato.

Capitolo 2

Le persone giuridiche

1. il concetto di ente ecclesiastico.

Nè le radici storiche, nè i presupposti canonistici e nè i fini religiosi o di culto permettono una diversa qualificazione
degli enti ecclesiastici rispetto agli altri enti morali, fermo restando che il riferimento a regimi particolari comporta
l'applicazione di questi come tali. Il concetto di ente si riferisce a qualcosa di esistente non solo in via di fatto ma anche
giuridicamente, consentendo di riferirsi non solo alle persone fisiche ma anche a quelle giuridiche, indipendentemente
dalla loro natura reale o personale e dal fatto che siano stati riconosciuti o meno. La differenza tra persona giuridica e
persona fisica viene meno con il concetto di soggettività giuridica che le ricomprende entrambe, anche se la persona
giuridica ha una maggiore articolazione e presenza nell'ordinamento per comprendere la quale bisogna far
riferimento, non al nomen juris, ma all'effettiva attività svolta dall'ente ecclesiastico, indipendentemente se esso è
riconosciuto o meno dall'ordinamento e indipendentemente dalla natura giuridica dell'ente. Bisogna dire che la
maggior parte degli enti ecclesiastici è un ente di natura giuridica privata. L'equivoco nasce poiché alcuni enti, ad
esempio gli enti centrali della Chiesa cattolica, sono enti di diritto pubblico ed anche i loro fini sono di natura pubblica.
Inoltre gli enti ecclesiastici assumono personalità giuridica solo dopo il loro riconoscimento che è revocabile se
vengono meno i presupposti per lo stesso. Il riferimento all'attività effettiva degli enti comporta una loro assimilazione
al diritto comune, in quanto enti ecclesiastici che esercitano attività imprenditoriale sono soggetti al fallimento. Di
conseguenza non si può guardare ed enti ecclesiastici solo in una prospettiva confessionale. Come abbiamo detto,
bisogna guardare ad essi dal punto di vista dell'attività lavorativa concretamente effettuata, in modo da poter
considerare la legislazione in tema di volontariato, di attività caritative , cioè di tutte quelle forme nelle quali si
sostanzia il ruolo di supplenza delle confessioni religiose rispetto allo Stato inefficiente. Le persone giuridiche
ecclesiastiche, siano esse associazioni(con carattere ecclesiastico o laico) o fondazioni(con fine di culto o meno)
devono essere riconosciute dallo Stato e hanno bisogno di una serie di requisiti: la sede in Italia, il fine di culto o
religioso e l'approvazione o erezione da parte della Chiesa. L'autonomia patrimoniale nei mezzi ha assunto minore
importanza poiché si assume che anche le persone giuridiche non riconosciute dall'ordinamento possano operare
all'interno di esso. I riferimenti normativi degli enti ecclesiastici sono il codice civile, l'accordo modificativo del 1984, le
intese con le altre confessioni religiose acattoliche e le leggi civili riguardanti i singoli enti. Le disposizioni riguardanti i
singoli ordinamenti confessionali hanno minore importanza poiché queste vengono prese in considerazione solo nel
caso in cui il nostro ordinamento civile non disponga nulla.

2. La natura giuridica degli enti ecclesiastici.

Il problema della natura giuridica privata o pubblica degli enti ecclesiastici nasce con l'articolo due del codice civile del
1865 che sanciva che i comuni, le province e in genere tutti i corpi morali legalmente riconosciuti sono considerati
come persone e godono dei diritti secondo le leggi e gli usi del diritto pubblico. Quindi si pensava che gli enti
ecclesiastici avessero una natura pubblica. Con il codice del 42 gli enti ecclesiastici non vengono assimilati ai comuni e
alle province e di conseguenza non ricompresi tra gli enti pubblici. C'è chi ha ritenuto che tali enti ecclesiastici fossero
regolati solo dal diritto canonico e dalla legislazione pattizia. Nella relazione di cardano al codice civile, si sancisce che
gli enti ecclesiastici sono regolati da leggi speciali e che quindi non hanno bisogno di essere regolati dalla normativa
sulle persone giuridiche private. In realtà nè diritto canonico, ne la legislazione pattizia costituiscono leggi speciali. La
personalità si acquista con il riconoscimento e quest'ultimo è discrezionale. Tale discrezionalità è rimessa non al diritto
della Chiesa ma allo stato che qualifica, dopo il riconoscimento, gli enti come ecclesiastici. Secondo la posizione di del
giudice, gli enti ecclesiastici possono qualificarsi come pubblici o privati a seconda delle circostanze concrete. In realtà
lo stesso fatto che si richiede l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche private, il fatto che il riconoscimento è
discrezionale ed infine che le attività diverse da quelle con fine di culto o religione da parte degli enti ecclesiastici sono
soggette alle leggi civili dello Stato comporta che gli enti ecclesiastici abbiano natura giuridica privata. Per quanto
riguarda il problema delle ecclesiasticità, anche quest'ultima è concessa dallo Stato. Cioè il regime giuridico degli enti
ecclesiastici è stabilito dallo Stato, così come stabilita la loro utilità sociale. Precedentemente la ecclesiasticità era
concessa solo agli enti ecclesiastici cattolici ma non alle altre confessioni. Oggi non è più così. I requisiti per il
riconoscimento delle ecclesiasticità sono: l'erezione o approvazione da parte della Chiesa, la sede in Italia e lo
svolgimento di un'attività a fini religiosi o di culto. Lo Stato può revocare la qualifica di ente ecclesiastico se questo
svolge un'attività e quale un simile a quella di un ente ad ordinamento civile. Sono considerati enti aventi fini di
religione o di culto quelli facenti parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari. Agli
altri enti va accertata il loro fine religioso o di culto volta per volta. È un fine religioso o di culto l'attività diretta
all'esercizio di culto, alla cura delle anime, alla catechesi, l'attività missionaria. Non è un'attività con fine di culto o
religioso l'attività imprenditoriale, l'attività con fine di assistenza, beneficenza o istruzione. Secondo l'opinione di
Ferraboschi, si può equiparare all'attività con fine religioso o di culto l'attività di istruzione religiosa diretta
all'elevazione culturale di ecclesiastici o dei fedeli. Anche l'articolo cinque comma due della legge 222 del 1985
sancisce che ai fini della registrazione, gli enti ecclesiastici devono essere equiparati alle persone giuridiche di diritto
privato. Per quanto riguarda la attività di beneficenza e assistenza, bisogna distinguere tra gli enti ecclesiastici che
hanno tra le loro attività e quelle di beneficenza assistenza e la esercitano in maniera complementare e gli enti il cui
fine è quello esclusivamente di assistenza o beneficenza, questi ultimi da qualificarsi come laici e non ecclesiastici. La
ecclesiasticità quindi è un requisito che viene concesso dallo Stato dall'esterno. Sarebbe bene assimilare gli enti
ecclesiastici cattolici e acattolici nell'ambito del diritto comune che li permette di dire essere guardate insieme alle
persone giuridiche private.

3. L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto.

L'articolo quattro della legge 222 del 1985 sancisce che gli enti ecclesiastici che hanno personalità giuridica
dall'ordinamento possono essere riconosciuti come persone giuridiche civili, qualifica che è attribuita dallo Stato.
L'articolo uno della stessa legge sancisce che i requisiti per il riconoscimento dell'ente ecclesiastico sono tre: l'erezione
o approvazione da parte dell'autorità ecclesiastica di quell'ente; la sede in Italia e infine il fine religioso o di culto. Tale
fine ultimo si ritiene intrinseco negli enti facenti parte della costituzione gerarchica della Chiesa, nei seminari e negli
istituti religiosi. Per gli altri enti va accertato di volta in volta tale requisito del fine religioso o di culto. Con riferimento
al requisito della sede in Italia, è stabilito che istituti religiosi di vita religiosa e le società apostoliche di vita consacrata
non possono essere riconosciuti se non hanno la sede in Italia. Le province degli istituti di vita religiosa e delle società
apostoliche di vita consacrata devono svolgere la loro attività nel territorio italiano. Gli enti di cui ai commi precedenti
e le loro case possono essere riconosciute solo se appartenenti a cittadini aventi domicilio in Italia. Per quanto
riguarda il procedimento di riconoscimento, si presenta domanda alla prefettura competente territorialmente. A
presentare la domanda è chi rappresenta l'ente o l'autorità ecclesiastica. Il prefetto istruisce la domanda, esamina se
sussistono tutti i presupposti che sono necessari per il riconoscimento e trasmette il proprio parere al Ministero
dell'Interno. Un parere è espresso anche dal Consiglio di Stato. Con decreto di riconoscimento del presidente della
Repubblica, termina tale procedimento. Se la domanda è respinta, viene data comunicazione a chi ha presentato la
domanda. L'autorità ecclesiastica o chi rappresenta l'ente può proporre ricorso al Consiglio di Stato. In base all'articolo
uno della legge 222 del 1985 gli enti ecclesiastici possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili,
per cui l'autorità civile valuta tale opportunità in base all'utilità sociale dell'ente. Tale discrezionalità è però
circoscritta, poiché la conferenza episcopale italiana, le parrocchie e le diocesi sono riconosciute come persone
giuridiche agli effetti civili in base alla legge 222 del 1985. Per quanto riguarda i capitoli, questi possono essere revocati
e soppressi se non rispondenti più alle esigenze religiose e possono essere costituiti solo in seguito alla soppressione
dei capitoli precedenti. Per quanto riguarda le fondazioni di culto e le associazioni, si prende in considerazione anche il
requisito dei sufficienti mezzi. Ottenuto il riconoscimento, è necessaria l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche
private da parte dell'ente ecclesiastico. Tale iscrizione avviene presso l'ufficio territoriale di governo competente.
Nell'iscrizione vanno indicate lo statuto, l'atto costitutivo, il nome del richiedente e la data, oltre alla copia del decreto
di riconoscimento. Lo statuto può essere sostituito da una dichiarazione dell'autorità ecclesiastica o dal decreto di
erezione dell’ente. L'ente riconosciuto, ma non iscritto, può concludere contratti ma questi sono annullabili su
richiesta delle parti richiedenti. L'iscrizione serve ad equiparare l'ente ecclesiastico alle persone giuridiche di diritto
privato e a garantire la trasparenza dei rapporti tra l'ente e i terzi. Non sono opponibili ai terzi i limiti del potere di
rappresentanza o l'omissione controlli canonici. Gli enti iscritti possono stare in giudizio e concludere negozi giuridici.
Per quanto riguarda la struttura e le finalità di tali enti, bisogna distinguere tra il mutamento dei fini e della
destinazione dei beni di tali enti, la revoca di tali enti e la loro soppressione o estinzione. Nel caso di mutamento dei
fini dell'ente, questi debbono essere riconosciuti con decreto del presidente della Repubblica e udito il parere del
Consiglio di Stato. Quando l'ente perde uno dei requisiti necessari per il riconoscimento, quest'ultimo viene revocato
attraverso decreto del presidente della Repubblica ed udito il parere del Consiglio di Stato, oggi non più obbligatorio.
Bisogna distinguere tra revoca, che interviene su cause sopravvenute, e un provvedimento di annullamento del
riconoscimento dell'ente da parte dello Stato che ha effetti retroattivi, cioè come se il riconoscimento non fosse
proprio avvenuto. Bisogna distinguere inoltre tra soppressione dell'ente che avviene da parte di un organo diverso
dall'ente soppresso e la estinzione che avviene sulla base di cause intrinseche per il venir meno dello scopo dell'ente.
La legge numero 13 del 1991 ha sostituito al decreto del presidente della Repubblica il decreto del presidente del
consiglio o il decreto del ministro a seconda della competenza a formulare la proposta sulla base della normativa
vigente.

4. Tipologie di enti ecclesiastici: associazioni………

accanto agli enti civilmente riconosciuti, ci sono enti riconosciuti dall'autorità ecclesiastica ma non dallo Stato o enti
che sono riconosciuti nell'ambito del diritto comune ma non dall'autorità ecclesiastica. Questa è la realtà vigente per
le associazioni. Le associazioni si distinguono dalle fondazioni poiché le prime sono costituite da un gruppo di persone
che si riuniscono per il raggiungimento di uno scopo comune, mentre le seconde vedono la prevalenza dell'elemento
patrimoniale. Inoltre mentre la volontà della fondazione è determinata da una persona esterna, cioè il fondatore,
nelle associazioni la volontà è determinata dal gruppo che lei compone. Il diritto di associazione è stato riconosciuto
recentemente in capo agli ordinamenti liberali. Le associazioni private dei fedeli, sia di chierici che di laici, sono
regolate dall'articolo 298 del codice di diritto canonico mentre le associazioni istituite mediante accordo privato sono
regolate dall'articolo 299. Il diritto di associazione dei fedeli è abbastanza limitato, soprattutto per le associazioni
pubbliche che sono sottoposte ad un maggiore controllo. Ogni associazione, pubblica o privata, deve avere un proprio
statuto. Le associazioni pubbliche di fedeli sono riconosciute dalla Santa sede se internazionali, dalla conferenza
episcopale italiana se nazionali e infine dal vescovo se locali. Essi hanno personalità giuridica, hanno un proprio
statuto. L'articolo nove della legge 222 del 1985 sancisce che le associazioni pubbliche devono essere riconosciute
dalla Santa sede e non avere carattere locale mentre le associazioni private, approvate dall'autorità ecclesiastica, sono
riconosciute alle condizioni previste dalla legge civile. Esse quindi sono regolate dalle leggi civili, eccetto per l'attività di
culto e i poteri degli organismi statuari che spettano alla Chiesa. Infatti l'articolo sei del decreto del presidente della
Repubblica numero 33 del 1987 sancisce che nella domanda di riconoscimento, l'associazione deve allegare l'atto di
approvazione dell'autorità ecclesiastica. La conclusione secondo cui lo Stato è competente a regolare tutte le attività
diverse da quella di culto o di religione e la Chiesa tutte le attività di culto e religione delle associazioni è sbagliata.
Questo perché l'ordinamento statuale, un ordinamento primario, non può consentire ad un altro ordinamento di
regolare in modo parificato la stessa fattispecie. La specificità dell'associazione ecclesiastica non le consente
comunque di sottrarsi alle leggi civili. Il riconoscimento da parte dello Stato o della chiesa come persone giuridiche non
è un atto vincolato ma discrezionale poiché le associazioni possono anche evitare di ottenerlo ritenendo che così
possono essere più libere. Le associazioni ecclesiastiche non hanno mai avuto un diritto al riconoscimento, ma solo dei
favori dovuti al fatto che esse svolgevano attività utile allo Stato e che non gravavano sul bilancio statale. Ci sono dei
limiti alle associazioni tra i quali quello di non poter comportare un danno patrimoniale ai soci o a terzi, di non poter
pregiudicare il diritto di recesso del singolo socio, di non poter pregiudicare la tutela giurisdizionale. Anche il
concordato del 29 riconosce le associazioni laiche che a scopo di culto o di religione , omettendo però la equiparazione
tra gli istituti di beneficenza e assistenza e le confraternite. Il principio al quale riferirsi è quello secondo cui lo Stato
non lascia una competenza unilaterale alla chiesa e di conseguenza in caso di contrasto tra norme canoniche e norme
di diritto comune, prevalgono queste ultime. Le confraternite sono associazioni laiche con lo scopo di promuovere la
dottrina cristiana e di perfezionare la vita dei loro adepti. Con la legge 6197 del 1870 le confraternite vennero
riconosciute come istituti di beneficenza. Con il concordato del 29 le confraternite per la loro amministrazione e il
funzionamento dipendevano dall'autorità ecclesiastica , venendo meno il loro carattere laico. Successivamente con il
decreto Reggio 2032 del 1935 si sancì che l'accertamento dello scopo di culto o religione delle confraternite è fatto
d'intesa con l'autorità ecclesiastica e vincola lo Stato solo dopo l'approvazione del decreto Regio e udito il parere del
Consiglio di Stato. Oggi la stessa disposizione è sancita nell'articolo 71 comma due della legge 222 del 1985.

5. ….. e fondazioni. Lasciti per enti da fondare.

Le fondazioni hanno come caratteristica essenziale l'elemento patrimoniale costituito a scopo di una pubblica o
privata utilità da parte del fondatore. La fondazione acquisisce la sua volontà dall'esterno poiché è il fondatore ad
indicare i fini da raggiungere attraverso quel patrimonio. Tra le fondazioni ricordiamo le chiese, i santuari, le
fabbricerie, le fondazioni di culto, i seminari e gli istituti di sostentamento per il clero. Sono riconosciute come
fondazioni le chiese aperte al pubblico che sono aperte al culto pubblico, che non sono legate ad un altro ente
ecclesiastico e che siano fornite di mezzi per la manutenzione di tali edifici. Anche le chiese private aperte al pubblico
sono riconosciute come fondazioni. Gli edifici di culto appartenenti ad privati non possono essere sottratti alla loro
destinazione, se non per ordine del vescovo. Il privato non perde la proprietà sull'edificio ma ha una minore facoltà di
godimento. La requisizione, l'occupazione, l'espropriazione per pubblica utilità non possono verificarsi se non in casi
urgenti e previo accordo con l'autorità ecclesiastica. I santuari non sono altro che chiese molto importanti per le
reliquie contenute o per la loro storia costituite da enti o masse patrimoniali che si differenziano dalle chiese normali
solo per una maggiore laicità del consiglio di amministrazione. Le fabbricerie sono enti particolari composti da masse
patrimoniali, gestite da un consiglio di amministrazione, con il compito di manutenzione degli edifici di culto di
particolare rilievo. Tale consiglio di amministrazione è di composizione mista, cioè composto sia da laici che da
ecclesiastici. Le fabbricerie hanno una composizione diversa a seconda che si riferiscano a chiese cattedrali o edifici di
culto di particolare rilievo oppure si riferiscano ad altro. Nel caso di chiese cattedrali, il consiglio di amministrazione è
composto da sette membri, di cui due nominati dal vescovo diocesano e cinque nominati dal ministro dell'interno per
un triennio complessivo. Nelle altre fabbricerie ci sono nel consiglio di amministrazione cinque membri, di cui uno è il
parroco o rettore della chiesa e quattro sono nominati dal prefetto per un triennio, sentito il vescovo. Come si vede la
maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione è laica. Il prefetto entro il 31 gennaio riceve dal
presidente del consiglio di amministrazione il rendiconto consuntivo e il bilancio della fabbriceria. Il presidente
predispone il bilancio, delibera le decisioni del consiglio di amministrazione, eroga le spese e tutela i diritti relativi ai
beni della Chiesa amministrati dalla fabbriceria. Il prefetto può procedere ad ispezioni, disporre la nomina di un
commissario prefettizio in caso di irregolarità o urgenza. Riferisce di tutto ciò al Ministro dell'interno il quale , sentito il
vescovo e il Consiglio di Stato, può deliberare lo scioglimento della fondazione e nominare un commissario
straordinario. Pur deliberarsi la soppressione della fabbriceria da parte del ministro dell'interno d'intesa con la
conferenza episcopale italiana e udito il parere del Consiglio di Stato. Le fabbricerie che hanno personalità giuridica
continuano ad amministrare beni anche se la loro Chiesa ha perso la personalità mentre per quelle che non hanno
personalità giuridica si perde anche la possibilità di amministrare i beni. Le fondazioni di culto sono persone giuridiche
costituite da masse patrimoniali i cui redditi sono destinati in perpetuo a scopi di culto. I loro beni e la loro
destinazione sono regolati da negozi di diritto privato. Le fondazioni di culto sono riconosciute se hanno un patrimonio
sufficiente, se rispondono ad esigenze religiose della popolazione e se hanno l'approvazione ecclesiastica. Prima si
richiedeva anche il requisito di assenza di oneri finanziari per lo Stato, in seguito venuto meno. Il Fine di culto delle
fondazioni viene accertato di volta in volta. Sono pubbliche le fondazioni create dall'autorità ecclesiastica, mentre le
altre sono private. Diverso è il caso delle fondazioni pie, create da un disponente che concede dei beni alla fondazione
per fini di celebrazione di messe o altre funzioni sacre. I seminari prima dipendevano sostanzialmente dalla Santa
sede. Oggi dipendono dalla conferenza episcopale italiana e sono collegati direttamente all'ufficio episcopale, poiché
la loro funzione principale è quella di formare sacerdoti. I principali seminari sono quelli diocesano o interdiocesiano. I
seminari sono riconosciuti come fondazioni se approvati dalla Santa sede e se sussistono condizioni di stabilità. Anche
gli istituti di sostentamento per il clero hanno carattere di fondazione. Riguardo alle fondazioni che sorgono tramite un
atto autonomia privata, quasi sempre un testamento, secondo l'opinione dell'autore Barillaro a tali fondazioni
debbono applicarsi le norme del negozio di fondazione e non le norme successorie poiché il testamento non
costituisce altro che una forma di dichiarazione della donazione ad un ente ecclesiastico di una massa di beni e di
conseguenza la disciplina dell'atto stesso nonché quella dell'atto di creazione dell'ente è riconducibile alle norme del
negozio di fondazione.

6. Gli enti acattolici.

La legge 1159 del 1929 prevede un regime generale per tutte quelle confessioni acattoliche non hanno stipulato
nessuna intesa. Per il loro riconoscimento deve presentarsi domanda al ministero dell'interno tramite la prefettura
nella provincia dove ha sede l'ente. Presso il Ministero dell'Interno va depositato lo statuto dell'ente, da cui si deduce
lo scopo dell'ente, il suo patrimonio, le norme di funzionamento e i suoi organi. Valutato tutto ciò, l'ente è
riconosciuto come persona giuridica privata con decreto del presidente della Repubblica, una volta udito il parere del
Consiglio dei ministri. Gli enti sono soggetti alla vigilanza governativa ed il ministero dell'interno può Nominare un
commissario governativo. Gli enti ecclesiastici a cattolici riconosciuti sono persone giuridiche private. Per quanto
riguarda i valdesi, essi sono riconosciuti con decreto del presidente della Repubblica che determina l'erezione dell'ente
come Istituto autonomo, dove c'è l'assoluta competenza della autorità ecclesiastica e nessuna ingerenza da parte
dello Stato negli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione o gestione. Tali enti valdesi debbono avere
congiuntamente fini di culto e di beneficenza. La revoca dell'ente riconosciuto come Istituto autonomo con delibera
sinodale avviene da parte del sinodo e determina il venir meno della personalità giuridica. Una volta riconosciuto
come persona giuridica, l'ente deve iscriversi nel registro delle persone giuridiche. Per quanto riguarda l'unione della
comunità ebraica, si presenta presso il Ministero dell'Interno lo statuto ai fini del riconoscimento dell'unione. Tali enti
devono avere fini di culto o di religione e essere approvati dalla comunità competente per territorio. Essi sono
riconosciuti con decreto del presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio dei Ministri. Inizialmente tali enti
ebraici erano considerati enti pubblici e vi appartenevano tutti gli israeliti che risiedevano in quel territorio. Poi con
una sentenza della corte costituzionale numero 239 del 1984 venne meno la qualifica di ente pubblico così come
venne meno il pagamento obbligatorio del tributo all’ente. Il 29 ottobre del 1996 si stabilì che l'8 * 1000 poteva essere
destinato alle comunità ebraiche italiane. Per quanto riguarda invece le chiese evangeliche avventiste del settimo
giorno, la Repubblica italiana riconosce essere e gli istituti avventisti di cultura biblica. Il fine di culto è valutato in base
all'attività svolte. Il riconoscimento di tali enti avviene su domanda di chi rappresenta l'ente e chi lo rappresenta deve
essere cittadino italiano. Come nell'ordinamento valdese, non c'è nessuna ingerenza da parte dello Stato negli atti di
ordinaria e straordinaria amministrazione o gestione. Il mutamento dei fini che determina il venir meno di un requisito
comporta di conseguenza il venir meno della personalità giuridica. Gli enti ecclesiastici avventisti debbono essere
iscritti nel registro delle persone giuridiche. Le assemblee di Dio in Italia sono riconosciute con decreto del presidente
della Repubblica. Esse però sono considerate enti morali e quindi sottratte a qualsiasi regime di specialità. Anche per
esse prevista l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, il venir meno della personalità giuridica o
riconoscimento nel caso di mutamento dei fini che determini il venir meno di un requisito essenziale ed infine la non
ingerenza dello Stato negli atti di ordinaria e straordinaria gestione. Un discorso analogo può farsi per la Chiesa
evangelica battista, dove viene specificato che il fine di beneficenza è equiparato, agli effetti tributari, al fine di culto o
di religione. Norme comuni riguardanti il riconoscimento, il regime giuridico, le attività, l'iscrizione nel registro delle
persone giuridiche, i mutamenti, eccetera riguardano l'unione italiana induista, i testimoni di Geova, di ortodossi, la
Chiesa evangelica luterana, eccetera. Gli enti ecclesiastici riconosciuti sono quegli enti cattolici e acattolici che hanno
stretto accordi con lo Stato e sono sottratti alla legge 1159 del 1929.

7. Il fondo edifici di culto.

Il fondo edifici culto è regolato in base agli accordi del 14 febbraio e del 15 novembre del 1984 e si riallaccia alla
disciplina della cassa ecclesiastica, al demanio statale, all'azienda generale delle finanze per mezzo delle quali si
disciplinavano i beni incamerati dallo Stato attraverso le leggi eversive. Dopo il concordato del 1929, il fondo degli
edifici di culto è disciplinato dalla legge 848 e il 1929 e dalla legge 455 del 1933 con cui la competenza è passata dal
Ministero di Grazia e Giustizia al ministero dell'interno. Si tratta di un provvedimento di stampo giurisdizionalistico
attraverso cui lo Stato voleva assicurare la tutela delle esigenze religiose ai propri cittadini e garantire una
redistribuzione delle proprietà del clero tra il clero cattolico. Dopo la legge 317 del 1892, il fondo di culto interveniva
con il supplemento di congrua a favore degli enti ecclesiastici cattolici più poveri, attingendo le rendite ecclesiastiche
dai beni incamerati e avendo una gestione e manutenzione autonoma di tali beni. Con la legge 222 del 1985 il fondo
edifici di culto sostituisce il fondo per il culto. Ci si chiede come sia possibile che un organo facente parte
dell'amministrazione statale sia oggetto di un accordo bilaterale e non di un'autonoma legislazione statale. Il fondo
per gli edifici di culto faceva parte dello stato, non aveva personalità giuridica e disponeva di chiese di enti soppressi e
appartenenti al demanio statale. Con l’articolo 56 della legge 222 del 1985, il fondo edifici per il culto ha personalità
giuridica e di conseguenza può gestire autonomamente il patrimonio, pur rimanendo il fondo un'organizzazione
statale. Non si tratta dell'ente ecclesiastico ma di un ente pubblico che gestisce i beni pubblici. Il ministro dell'interno
nomina il consiglio di amministrazione dell'ente e approva il bilancio preventivo e il rendiconto consuntivo. Cosa
strana è che all'interno del consiglio di amministrazione del fondo per edifici di culto, ci siano tre membri eletti dalla
conferenza episcopale italiana. Di conseguenza si consente di non rispettare il principio di non identificazione poiché si
attribuiscono funzioni-poteri a gruppi confessionali attraverso attività autorizzative. Sarebbe meglio, secondo l'autore,
ampliare i compiti dello Stato e promulgare una disciplina solamente statale.

8. Aspetti fiscali. L'ente ecclesiastico imprenditore e gli enti senza scopo di lucro. Nuove prospettive.

Il riferimento all'articolo 20 della costituzione, che vieta l'imposizione di speciali gravami fiscali sugli enti ecclesiastici,
limita il potere impositivo dello Stato su di essi. Questo divieto riguarda tutte le confessioni religiose. I canali di
finanziamento degli enti ecclesiastici solo due: l'8 * 1000 della quota Irpef e le erogazioni liberali, incentivate dalla loro
deducibilità dall'imposta Irpef. Importante è la risoluzione del 2002 del ministro dell'economia e delle finanze che
sanciva la deducibilità fino al 2% del reddito d'impresa per le erogazioni liberali a favore del pontefice romano.
L'accordo del 1984 prevede l'equiparazione, per gli enti ecclesiastici, dei fini di culto o religione a quelli di beneficenza
o assistenza in relazione agli effetti tributari. L'articolo 10 del testo unico sulle imposte dirette sancisce la deducibilità
per le erogazioni libere a favore di persone fisiche o giuridiche che svolgono attività senza scopo di lucro di valore
artistico o culturale. L'articolo 65 dello stesso testo unico prevede la deducibilità delle oblazioni per le persone
giuridiche che perseguono anche fini di culto. Possono essere dedotti gli oneri relativi alle spese di manutenzione per il
restauro di beni artistici culturali e quelli relativi al lavoro prestato per l'ente ecclesiastico che svolge attività
commerciale. Per quanto riguarda l'Iva, le operazioni svolte dagli enti ecclesiastici sono assoggettate a questa imposta.
L'articolo 10 del decreto del presidente della Repubblica 633 del 1972 sancisce però l'esenzione dall'obbligo di
imposta per una serie di operazioni, tra cui le prestazioni didattiche e quelle sanitarie. Altre esenzioni sono previste
per l'imposta sulle successioni alle donazioni, imposta comunale sulla pubblicità e diritti di affissione. È prevista in un
decreto legislativo del 2005 numero 163 l'esenzione dall'Ici per tutti quegli immobili che svolgono attività di assistenza,
beneficenza, educazione e l'istruzione se connesse a fini di culto. L'articolo 53 della legge 222 del 1985 prevede,
relativamente agli edifici di culto, che questi ultimi non possono essere sottratti alla loro destinazione se non sono
passati almeno vent'anni. Tale vincolo è trascritto nel registro immobiliare e viene meno solo se c'è l'intesa tra autorità
civile e ecclesiastica, previo rimborso o restituzione delle somme date a titolo di contributo e riduzione del termine.
Relativamente agli enti ecclesiastici che svolgono attività imprenditoriale, dottrina e giurisprudenza in precedenza
prevedevano la sottrazione al regime di diritto comune dell'impresa civile di tali enti. Successivamente la corte di
cassazione nella sentenza numero 3333 del 1994 ha sancito che gli istituti di istruzione religiosa gestiti da un ente
ecclesiastico sono considerati imprenditori se, oltre ad avere requisiti indicati nell'articolo 2082 del codice civile,
perseguano il loro risultato con metodo economico oppure prevedano il pareggio tra costi e ricavi. L'ente ecclesiastico
imprenditore non perde la sua identità ma non confonde la sua attività imprenditoriale, per cui non è possibile
usufruire delle agevolazioni fiscali, con la sua attività religiosa o di culto. Per quanto riguarda gli enti non profit,
secondo la normativa 460 del 1997, tali enti debbono avere esclusivo fine solidaristico e tra questi enti ci possono
essere anche quelli ecclesiastici, purché siano riconosciuti dalle confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato un
accordo o un'intensa. Questi enti fanno parte del cosiddetto terzo settore, dopo quello pubblico e privato. Il punto di
accordo tra enti ecclesiastici e enti non profit è quello dell'esclusione del lucro soggettivo. Ciò non significa che gli enti
ecclesiastici non possano assumere la qualifica di enti imprenditoriali. La legge 266 del 2001 sancisce che le
organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica più adeguata al perseguimento del loro scopo,
fermo restando il limite dell'assenza di lucro, della democraticità della struttura, dell’elettività delle cariche.
Recentemente una commissione paritetica voluta dalla Santa sede ha sancito l’inapplicabilità delle norme del codice
civile in tema di costruzione, struttura, amministrazione d'estinzione delle persone giuridiche di diritto comune agli
enti ecclesiastici, in virtù della specialità di questi ultimi, distinguendo tra riconoscimento e iscrizione nel registro delle
persone giuridiche. Ovviamente bisogna rilevare che con buona pace della commissione non è opportuno modificare
le regole del codice civile in tema di persone giuridiche in quanto la specialità degli enti ecclesiastici ,ad un certo
punto, viene a mancare. Inoltre è inopportuno ed impossibile, anche per ragioni di affidamento dei terzi, distinguere
tra riconoscimento e iscrizione nel registro delle persone giuridiche. Questo perché alla domanda di riconoscimento
deve essere allegata anche la documentazione per l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche. Il decreto
legislativo 460 del 1997 ha sancito il riordino è materia tributaria degli enti non commerciali e delle onlus. Tale decreto
prevede che gli enti esercitano le attività di utilità sociale nei settori indicati nell'articolo 10 del decreto, che abbiano i
requisiti previsti nel decreto, che abbiano scritture contabili separate e onerino l'obbligo di comunicazione previsto
dall'articolo 11 del decreto. Tale decreto all'articolo uno estende la sua disciplina anche agli enti ecclesiastici,
limitatamente alle attività di utilità sociale, purché approvino un regolamento in forma di scrittura privata autenticata
e abbiano scritture contabili separate. Il decreto legislativo del 2006 prevede una deroga per gli enti ecclesiastici
relativamente alla forma solenne, dando la possibilità agli enti ecclesiastici di presentare un regolamento in forma
giuridica di scrittura privata; una deroga al regime di responsabilità patrimoniale; una deroga al limite quantitativo per
la qualificazione del personale dipendente e dell'attività principale; non c'è l'obbligo di utilizzare la locuzione di utilità
sociale; si limita alle sole attività di utilità sociale l'obbligo di scritture contabili separate; l'obbligo di preservare
l'assenza di lucro solo nei casi di trasformazione, fusione, scissione dell'azienda; esclusione della liquidazione coatta
amministrativa in caso di insolvenza; ed infine deroga al limite per le prestazioni di attività di lavoro volontario.

Parte speciale

i rapporti
capitolo uno

i rapporti patrimoniali

1. La proprietà ecclesiastica.

Accanto ai beni del demanio dello Stato, ci sono quelli del demanio ecclesiastico che sono stati oggetto di attacchi da
parte prima dei vari regni esistenti in Italia e poi del regno d'Italia per risanare i loro bilanci. I governi liberali hanno
attaccato e espropriato la proprietà ecclesiastica(una parte) abolendo le decime sacramentali, sottraendo beni agli
enti e abolendo gli iura circa sacra, questi ultimi l'espressione delle prerogative ecclesiastiche. Il problema della
gestione dei beni ecclesiastici era enorme se si pensa che il 40% dei beni culturali ed artistici è detenuto nel territorio
italiano e che la maggior parte di questi sono di proprietà ecclesiastica. Il problema riguarda non solo la loro gestione o
manutenzione ma anche la loro fruibilità. Infatti musei, archivi, biblioteche, eccetera spesso non sono stati fruibili in
passato poiché vi era il problema di stabilire chi fosse il proprietario e chi avesse la gestione di tali beni, oltre a
stabilire chi dovesse intervenire. Ciò ha comportato la necessità di un riassetto della proprietà ecclesiastica in modo
che quest'ultima sia compatibile con la carta costituzionale e con la funzione sociale della proprietà sancita
dall'articolo 42 della costituzione. Nell'ottocento la Chiesa deteneva ancora una rilevante proprietà dei beni che
successivamente fu oggetto di espropriazioni e attacchi da parte dei governi liberali; questi ultimi misero in
commercio tali beni. Ora il problema diveniva comprendere quali sono gli enti soppressi e quelli conservati, quali sono
i beni di proprietà ecclesiastica e quelli devoluti allo Stato, quali beni sono pubblici e quali privati, eccetera. Con la
legge numero 848 del 1929 si stabilì che l’amministrazione del patrimonio riunito degli economati dei benefici vacanti
e dei fondi di religione dei territori annessi, del fondo per il culto e del fondo di religione per uso di beneficenza della
città di Roma fossero di competenza del ministro di giustizia e di quello degli affari di culto, con due direzioni generali
e con due distinti consigli di amministrazione. Il bilancio preventivo e consuntivo era approvato dal Parlamento. Con il
regio decreto 804 del 1932 la competenza passa al ministero dell'interno e alle prefetture. Rimangono invariate le due
direzioni generali e la composizione di 10 membri del consiglio di amministrazione, per metà nominato dall'autorità
ecclesiastica. Il bilancio preventivo e consuntivo era approvato dal Parlamento. Con la legge 222 del 1985 il fondo per
il culto e il fondo per uso di beneficenza e di religione della città di Roma vengono soppressi e viene istituito un unico
fondo per gli edifici di culto, la cui gestione spetta allo Stato tramite la direzione generale degli affari di culto che si
trova presso il ministero dell'interno. Il ministro dell'interno si avvale della collaborazione del consiglio di
amministrazione. I proventi del patrimonio servono a tutelare e restaurare gli edifici che fanno parte del fondo e a
sostenere gli oneri che dal fondo stesso derivano. Il fondo per gli edifici di culto riscuote canoni enfiteutici e può
alienare immobili per uso di abitazione civile e reinvestire il ricavato. Accanto ad un patrimonio ecclesiastico che serve
strettamente per la sopravvivenza della Chiesa, ce n'è un altro destinato alla tutela gli interessi religiosi dei credenti e
dei fini di culto, la cui gestione spetta allo Stato in collaborazione con la Chiesa. Tale collaborazione ha come
presupposto la capacità patrimoniale della Chiesa nel suo ambito, quale proprietaria dei beni, e nell'ambito
dell'ordinamento giuridico per la tutela e l'amministrazione di tali beni. Per quanto riguarda il concetto di patrimonio
ecclesiastico, secondo l'accezione comune, esso coincide con il complesso dei beni materiali che appartiene alla Chiesa
per realizzare i suoi scopi. In realtà i beni appartengono alla Santa sede e la Chiesa esercita su di essi solo l'autorità.
Secondo una parte della dottrina, il concetto di patrimonio ecclesiastico deve riferirsi allo scopo di tale patrimonio,
secondo un'altra bisogna riferirsi all'appartenenza di tale patrimonio e secondo un'altra parte bisogna far riferimento
alla volontà della Chiesa. Secondo l'autore, il concetto di patrimonio ecclesiastico coincide con quel complesso di diritti
sui beni materiali che l'ordinamento giuridico riconosce alla chiesa per realizzare i suoi scopi. Tali beni possono essere
mobili o immobili e appartenenti a ecclesiastici o laici. Sembra da condividere l'opinione secondo cui il criterio di
qualificazione del patrimonio ecclesiastico sia da rinvenire nell'attività, poiché quest'ultima ha valore generale per
qualsiasi ente anche se deve sostanziarsi in qualcosa di completamente determinabile.

2. La tutela del patrimonio storico e artistico.

La tutela del patrimonio storico e artistico era disciplinata precedentemente dalla legge numero 182 del 1902 e
successivamente fu disciplinata dalla legge 1089 del 1939. Al primo articolo tale legge definisce i beni di interesse
artistico, storico, archeologico da dover tutelare, impone ai comuni e alle province di presentare un elenco di cose
sancendo la collaborazione con la autorità ecclesiastica per i beni appartenenti a quest'ultima ed infine Distingue tra
beni appartenenti allo Stato e quelli appartenenti a privati. l'articolo 810 del codice civile definisce beni le cose che
possono essere oggetto di diritto dell'articolo 831 sancisce che i beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme
del codice civile e di edifici di culto cattolico non possono essere sottratti alla loro destinazione se non per accordo tra
stato autorità ecclesiastica. Articolo nove della costituzione sancisce che la Repubblica tutela e promuove lo sviluppo
della cultura e della ricerca. Tutela il paesaggio storico ed il patrimonio artistico del paese. Agli articoli 117 e 118 della
costituzione si sancisce che tra le funzioni legislative, le regioni hanno anche quelle di assistenza e beneficenza relative
ai musei e alle biblioteche degli enti ecclesiastici. L'articolo 118 conferisce anche le funzioni amministrative agli enti
locali, così come il decreto del presidente della Repubblica 616 del 1977 sancisce le funzioni amministrative degli enti
locali di tutela del patrimonio storico, artistico, culturale, paleologico e monumentale. Relativamente alle imposte
dirette, si sancisce l'esenzione degli immobili destinati ad uso culturale da tali imposte insieme ai redditi derivanti da
terreni catastali destinati ad uso pubblico oppure la cui conservazione sia riconosciuta dal ministero dei Beni Culturali.
Relativamente alle imposte indirette, si sancisce per le imposte di donazione, successione e di registro la riduzione
dell'aliquota per tali immobili di interesse storico, archeologico e artistico del 50%. Il decreto 637 del 1972 sancisce
che gli eredi di immobili di interesse storico, artistico o archeologico possono cederli allo Stato a scomputo(cioè a
deduzione) totale o parziale delle imposte da pagare, delle pene pecuniarie degli interessi o di qualsiasi altro obbligo
tributario che così viene estinto. L'articolo 12 dell'accordo del 1984 sancisce che per armonizzare le esigenze religiose
con la disciplina legislativa statale, lo Stato e la Chiesa con i loro organi competenti stipulano intese dirette alla
conservazione di archivi e biblioteche di enti ed istituzioni ecclesiastiche. In questo modo però lo Stato viene
condizionato nella sua attività legislativa, comprese le attività di sua esclusiva competenza. Sarebbe stato preferibile
fermarsi ad una collaborazione tra Stato e Chiesa. Si è preferita la accezione di beni di interesse storico e artistico
rispetto alla definizione dei Beni Culturali, più generica e intuita con la legge numero cinque del 1975 che istituisce il
ministero dei beni culturali. I beni di interesse storico ed artistico sono beni che soddisfano dei bisogni, degli interessi
giuridicamente protetti. Per quanto riguarda i beni di interesse culturale religioso, essi inizialmente erano di
competenza dello Stato che doveva tutelarli e assicurarne la loro fruizione, anche se lo Stato agiva d'accordo con
l'autorità ecclesiastica. I beni di interesse culturale religioso coinvolgono non solo la posizione del proprietario e dello
Stato ma anche quella della confessione religiosa. Infatti tali beni possono essere oggetto di disposizione nei limiti e
con le osservanze stabilite dall'ordinamento giuridico. La legge 1089 del 1939 sanciva il divieto di esportazione di tali
beni, disciplinava la loro espropriazione e limitava la loro circolazione. Il privato era tenuto a notificare al ministero dei
beni culturali il possesso di tali beni, ed in caso di trasmissione di essi, quest'ultimo deve essere avvisato affinché
possa esercitare il diritto di prelazione. Per i beni appartenenti alla Santa sede, c'era bisogno anche di una
autorizzazione di quest'ultima. Nel 2004 viene approvato con la legge 42 del codice dei beni culturali. Con la legge 112
del 1998 si sanciscono le funzioni amministrative e i compiti che spettano alle regioni, allo Stato e agli enti locali. Nel
2000 il ministero dei beni culturali e il presidente della conferenza episcopale italiana stipulano un'intesa diretta alla
consultazione e alla conservazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche appartenenti ad enti
ecclesiastici. nel 2005 si stipula intesa diretta alla tutela dei beni culturali di interesse religioso degli enti ecclesiastici.

3. il regime giuridico degli edifici di culto.

Gli edifici di culto sono quei luoghi come chiese, moschee, oratori, templi, eccetera dove i fedeli esercitano il loro culto
sia singolarmente che collettivamente. Lo Stato valuterà l'uso, la destinazione e gli interessi di tali edifici, non facendo
propria la qualificazione che a tali edifici viene data dal diritto canonico. Fanno parte degli edifici di culto anche gli
edifici accessori. Precedentemente la dottrina e la giurisprudenza tendevano a negare la commerciabilità di tali edifici
contribuendo, in un certo senso, a creare una sorta di demanio ecclesiastico accanto a quello statale. L'espressione di
questa tendenza fu una legislazione che va dalla metà dell'ottocento fino al secolo scorso. Si pensi al decreto Regio
numero 3036 del 1866 dove si escludevano gli edifici di culto dalla devoluzione al demanio statale; si pensi alla legge
2152 del 1865 che esentava gli immobili destinati al culto dall'imposta sui fabbricati; al regio decreto 1169 del 1919
che esentava immobili destinati al culto dall'imposta sul patrimonio; si pensi alla legge 6179 del 1890 che escludeva le
confraternite dalla soppressione assoggettandole alla trasformazione; si pensi alla legge che escludeva gli edifici di
culto appartenente allo Stato dalla vendita. Per quanto riguarda le opere di urbanizzazione e di edilizia, il decreto
legislativo numero 35 del 1946 ha sancito la riparazione e la ricostruzione degli edifici di culto colpiti dalla guerra.
successivamente la legge 2522 del 1952 ha sancito che il ministero dei lavori pubblici contribuisce a fornire dei
contributi per la ricostruzione o l'acquisto di aree destinate ad edifici di culto. Gli articoli 9 e10 del concordato del
1929 hanno sancito che gli edifici di culto non possono essere oggetto di demolizione, requisizione ed espropriazione,
tranne che in caso di gravi necessità pubbliche e in accordo con l'autorità ecclesiastica. La forza pubblica non può
entrare negli edifici aperti al culto a meno che non sia espressamente autorizzata dall'autorità ecclesiastica. Nello
stesso concordato si ribadisce la libertà di culto che è garantita a tutte le confessioni religiose come espressione della
soddisfazione delle esigenze religiose dei cittadini. Le disposizioni del concordato sono ribadite dall'articolo cinque
della legge numero 121 del 1985 che aggiunge però che la costruzione di nuovi edifici di culto sarà presa in accordo
con l'autorità civile in base alle esigenze religiose dei cittadini. Analoghe disposizioni sono stabilite con le altre
confessioni religiose tra cui le assemblee di Dio, l'unione delle comunità ebraiche italiane(dove è ribadito che gli edifici
di culto non possono essere sottratti alla loro destinazione nemmeno per alienazione e se non sono passati vent'anni,
eccetto il caso in cui autorità ecclesiastica e quella civile si mettano d'accordo per l'estinzione di tali edifici), chiesa
evangelica luterana, chiesa evangelica battista, testimoni di Geova, eccetera. Accanto alle chiese, per sostenere gli
oneri finanziari derivanti da queste, ci sono le fabbricerie, costituite da una massa patrimoniale gestita da un consiglio
di amministrazione a composizione mista. Il consiglio di amministrazione non può intervenire nei servizi di culto e la
nomina dei suoi componenti sarà sempre presa in accordo con l'autorità ecclesiastica. Oggi le fabbricerie e le
confraternite sono regolamentate dalla legge 222 del 1985 di intesa tra il Ministro dell'interno e il presidente della
conferenza episcopale italiana. Le confraternite destinate esclusivamente o prevalentemente a scopi di culto sono
sottoposte alla vigilanza e alla tutela dell'autorità ecclesiastica, le altre alla vigilanza e alla tutela dello stato.
Quest'ultime possono essere soggette a trasformazione.

4. L'autorizzazione agli acquisti degli enti ecclesiastici.

L'autorizzazione è un atto con cui lo Stato rimuove il limite all'esercizio di un diritto che senza l'autorizzazione non può
essere esercitato. L'autorizzazione quindi è un requisito di validità. Nell'accordo del 1984 all'articolo 7.5 emerge che gli
acquisti degli enti ecclesiastici, oltre ai controlli canonici, sono soggetti alla disciplina del codice civile prevista per gli
acquisti delle persone giuridiche. Tutta la materia è rimandata alla seconda legge siccardi numero 1037 del 1865 che in
un unico articolo afferma che gli stabilimenti e i corpi morali non possono acquistare stabili senza essere autorizzati
con regio decreto, previo parere del Consiglio di Stato. Le donazioni a loro favore e le disposizioni testamentarie non
hanno effetto nei loro confronti se non c'è l'autorizzazione. L’autorizzazione aveva due funzioni: quella di tutelare gli
eredi legittimi e di reprimere la manomorta. La legge 281 del 1896 delegava al prefetto la competenza per
l'autorizzazione agli acquisti da parte dei comuni, province o istituti di beneficenza disciplinati dalla legge crispi.
L'articolo nove della legge 848 del 1929 sanciva che gli enti ecclesiastici non possono acquistare beni immobili o
ricevere testamenti o donazioni a loro favore se non erano autorizzati con regio decreto, previo parere del Consiglio di
Stato, per gli atti eccedenti un certo valore nonostante il concordato lateranense sanciva che nella gestione ordinaria e
straordinaria dei beni ecclesiastici non ci doveva essere ingerenza da parte dello Stato. Tutto ciò viene riconfermato
nell'articolo 17 del codice civile del 1942 che sancisce che le persone giuridiche non possono acquistare beni immobili
o ricevere donazioni modestamente a loro favore se non autorizzati dal governo. Ciò viene confermato nelle
disposizioni attuative del codice civile, anche se viene meno il parere obbligatorio del Consiglio di Stato. Con la legge
127 del 1997 sia l'articolo 17 del codice civile che la legge 281 del 1896, insieme con le disposizioni che prevedevano
una autorizzazione per l'acquisto di immobili o per ricevere testamenti o donazioni da parte di persone giuridiche,
vengono abrogate. Le regioni vengono investite di funzioni amministrative riguardo all'acquisto di beni immobili o il
ricevimento di testamenti o donazioni da parte di enti amministrativi dipendenti dalle regioni. Con l'accordo del 1984,
i prefetti assumevano compiti di mera ricognizione, poiché la competenza spettava l'autorità centrale, cioè il ministro
previo parere della corte dei conti. Ciò viene ribadito anche nella legge numero 13 del 1991. Atto propedeutico
all'abolizione dell'articolo 17 del codice civile, fu la trascrizione nei registri immobiliari degli acquisti inter vivos da
parte di associazioni non riconosciute. Inoltre previsto anche che le organizzazioni di volontariato non riconosciute
potessero acquistare senza autorizzazione beni mobili registrati e beni immobili necessari per la propria attività. Il
superamento della legge siccardi si ebbe anche con la legge numero 123 del 1991 che sanava gli acquisti fatti dalle
province ed alle regioni autonome senza autorizzazione. Con il decreto ministeriale del 1992 si delegava al prefetto
l'autorizzazione per gli acquisti di beni immobili o per il ricevimento di testamenti o donazioni per un valore non
superiore al mezzo miliardo da parte di enti dotati di personalità giuridica che svolgono la loro attività nell'ambito di
una provincia. La corte costituzionale con sentenza numero 512 del 1988 ha sancito che l'autorizzazione agli acquisti è
compatibile con l'autonomia regionale e di conseguenza le regioni dovevano attenersi alla legge siccardi. Non si
capisce perché sia stato abrogato l'articolo 17 del codice civile dato che le motivazioni ispiratrici della legge siccardi
sono ancora vigenti e quindi è necessario un controllo degli acquisti effettuati dagli enti ecclesiastici. Non è da
condividere l'opinione di chi sostiene che ,sottoponendo gli enti ecclesiastici ad una autorizzazione discrezionale per i
loro acquisti ,si limita la loro autonomia. Ciò che è in discussione non è la loro autonomia ma è necessario effettuare
un controllo sugli acquisti di beni immobili da parte degli enti ecclesiastici al fine di tutelare le aspettative degli eredi
legittimi e immettere in commercio tali beni che senza autorizzazione sarebbero soggetti alla manomorta dell'autorità
ecclesiastica. L'autorizzazione è una forma di controllo sulla trasparenza gestionale in funzione di vigilanza e non può
cambiare la sua natura. Un sistema di controlli è stato previsto dal codice dei beni culturali di cui articolo 56 afferma
che sono sottoposti ad autorizzazione ministeriale la alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici
diversi da quelli indicati nella lettera a, appartenenti a personalità giuridiche senza fini di lucro e sempre che non si
tratti di beni indicati nell'articolo 54 comma due lettera a e lettera c. L'autorizzazione ministeriale è prevista anche per
la vendita parziale di collezioni o raccolte librarie o cose da parte dei soggetti indicati nel primo comma. Le disposizioni
dei commi precedenti si applicano anche al caso di pegno e ipoteca. L'articolo 60 del codice afferma che il ministero, la
regione o l'ente pubblico interessato possa acquistare in via di prelazione beni culturali alienati a titolo oneroso allo
stesso prezzo stabilito nell'atto di alienazione. Qualora non sia previsto un corrispettivo o ci sia una permuta, il prezzo
è determinato dal soggetto che effettua la prelazione. Qualora non si accetti il valore determinato dal soggetto che
effettua la prelazione, tale valore del bene è determinato da un terzo designato in accordo tra soggetto che effettua la
prelazione e alienante. Se le parti non si accordano per la nomina del terzo o per la sua sostituzione, è il presidente del
tribunale del luogo a nominare il terzo. Le spese sono a carico dell'alienante. La determinazione del valore economico
del bene da parte del terzo è impugnabile per errore o per manifesta iniquità. Con il decreto legislativo numero 62 del
2008 si riconosce agli enti ecclesiastici la possibilità di garantire la conservazione dei beni culturali di cui sono
possessori.

Capitolo due

i rapporti personali

1. Tipologie matrimoniali. Il matrimonio religioso con effetti civili.

La sostanza del matrimonio religioso è disciplinata dagli ordinamenti confessionali(ad esempio quello canonico per la
religione cattolica) mentre il resto dei matrimoni è disciplinato preliminarmente dal codice civile, dalle intese e dalla
legge sui culti ammessi del 1929. Gli ecclesiastici si occupano principalmente della trascrizione, cioè quel
procedimento attraverso cui si attribuisce al matrimonio religioso gli effetti civili. Ciò è frutto dei patti lateranensi del
1929 e del concordato attraverso cui è venuto meno il principio del doppio binario. In base a tale principio, il
matrimonio religioso ed quello civile erano posti su piani totalmente separati. cioè chi stipulava matrimonio religioso e
voleva farsi che tale matrimonio avesse effetti civili, doveva stipulare anche matrimonio civile. Oggi ed in passato il
matrimonio religioso ad effetti civili crea ed ha creato problemi di collegamento tra l'ordinamento statuale e quello
confessionale. Ci sono molte differenze tra questi due tipi di matrimonio: ad esempio la diversa rilevanza dell'aspetto
psicologico, la diversa concezione sacramentale e contrattuale del matrimonio, la diversa forma del matrimonio,
eccetera. La concezione del matrimonio canonico si basa essenzialmente sul consenso liberamente espresso, cioè
sull'aspetto psicologico del matrimonio, a differenza del matrimonio civile che tiene conto dell'aspetto psicologico ma
ammette anche il divorzio e la separazione, rendendo l'istituto matrimoniale un istituto non forte e saldo ma un
istituto vulnerabile. Per quanto riguarda i matrimoni acattolici, essi sono disciplinati unitariamente dal codice civile,
dalle intese e dalla legge sui culti ammessi e sono visti come una sottospecie del matrimonio civile. Questo quadro in
seguito dovrà mutare poiché il panorama delle confessioni religiose oggi è notevolmente cambiato in una società
multietnica. Per quanto riguarda il matrimonio civile, novità sono state introdotte con la legge sul divorzio numero 898
del 1970 e con la riforma del diritto di famiglia(legge numero 151 del 1975). In base a tali leggi, questioni come il
mutamento di confessione religiosa di uno dei due coniugi o l'educazione religiosa dei propri figli non può costituire
più motivo di separazione di divorzio. I matrimoni misti, cioè i matrimoni tra persone di diversa confessione religiosa,
sono sempre +1 realtà concreta e lo Stato dovrà riguardare essi con attenzione perché, trattandosi di Stato laico, non
si può più fare riferimento al favor religionis su cui si sono basate decisioni dottrinali e giurisprudenziali(come avveniva
in passato per la religione cattolica, considerata religione di Stato). Il matrimonio costituisce un istituto in costante
evoluzione.

2. Il procedimento di trascrizione.

L'articolo 8.1 dell'accordo del 1984 tra Stato e Chiesa sancisce che il matrimonio religioso stipulato secondo le norme
di diritto canonico produce effetti civili, a condizione che l'atto di matrimonio sia trascritto nel registro dello stato
civile, previa pubblicazione nella casa comunale. La pubblicazione costituisce il primo atto del procedimento
amministrativo di trascrizione e assicura alle parti che il matrimonio sarà trascritto nel registro civile. Non vige più la
regola secondo cui la pubblicazione deve essere effettuata sia in chiesa che il municipio e per due domeniche
successive. Successivamente alla pubblicazione, il parroco o il suo delegato nel momento della celebrazione spiega gli
effetti civili ai contraenti del matrimonio e redigerà un atto matrimoniale in doppio originale, uno per il registro
parrocchiale e l'altro da inviare all'ufficiale di stato civile, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi
relative al regime patrimoniale coniugale scelto. L'atto di matrimonio, insieme alla richiesta di trascrizione nel registro
civile dello stesso atto, va inviato entro cinque giorni dalla celebrazione del matrimonio. Questa è la trascrizione
tempestiva. La trascrizione può essere anche successiva se richiesta da entrambi i coniugi o da uno di loro senza
opposizione dell'altro e senza pregiudicare i diritti di terzi a condizione che entrambi i coniugi dal momento della
celebrazione a quello della trascrizione abbiano conservato lo Stato libero ininterrottamente. Questa è la trascrizione
tardiva. La trascrizione non può essere effettuata se:1) uno dei due coniugi o entrambi non hanno l'età per stipulare
matrimonio ai sensi della legge civile; 2) quando sussiste per uno dei due sposi o per entrambi un impedimento
inderogabile. Tale impedimento si verifica in tre casi:1) quando uno dei due coniugi sia interdetto per infermità di
mente o per incapacità naturale;2) quando uno dei due coniugi sia già sposato agli effetti civili;3) quando ci sia un
impedimento per delitto o affinità in linea retta. La presenza dell'ordinamento statale nel procedimento di trascrizione
non deriva dalla lettura degli articoli del codice civile, poiché il matrimonio una volta trascritto sarebbe comunque
valido per il diritto comune; ne deriva dall'equiparazione effettuatasi con decreto nel 1983 dell'età per contrarre
matrimonio che precedentemente era, per l'ordinamento canonico, di 14 anni per la donna e di 16 per l'uomo mentre
per la legge civile era per entrambi di 18 anni. Ne deriva dalla annotazione del regime patrimoniale che può effettuarsi
anche dinanzi ad un notaio. Ciò che condiziona lo Stato sono altre disposizioni dell'accordo del 1984, in particolare
quelle relative alla riserva di giurisdizione sulle cause matrimoniali. Rimanendo alla trascrizione, è conservata quella
tempestiva e tardiva. La trascrizione non dipende dalla celebrazione del matrimonio religioso, poiché quest'ultimo può
rimanere tale se le parti vogliono semplicemente un matrimonio di coscienza e, in quest'ultimo caso, il matrimonio è
trascritto presso il registro diocesano ma il vescovo non potrà trascriverlo contro la volontà delle parti agli effetti civili.
La trascrizione ha come procedimento propedeutico la pubblicazione dell'atto di matrimonio. Quindi il matrimonio
non è sottoposto a condizione ma la trascrizione è un istituto autonomo e costituisce l'atto finale di un procedimento
amministrativo che ha inizio con la pubblicazione presso la casa comunale dell'atto di matrimonio. Precedentemente
la dottrina prevedeva un terzo tipo di trascrizione: la trascrizione tempestiva tardiva, cioè quella trascrizione che
avveniva pure se non c'era stata la preventiva pubblicazione dell'atto di matrimonio. Questo tipo di trascrizione
venuto meno poiché è stata abrogata la legge 847 del 1929 che ne costituiva il fondamento. In mancanza di una legge
matrimoniale, come sua sostituzione sembra esserci una circolare del ministero di giustizia relativa alle disposizioni
per gli ufficiali di stato civile dell'attuazione dell'articolo 8.1dell'accordo del 1984 tra Stato e Chiesa, al fine di avere
una sicurezza sul fatto che i contraenti vogliano conferire effetti civili al proprio matrimonio religioso. Un mezzo
essenziale sembra essere il testamento, strumento utilizzato molto spesso anche come deposito di volontà circa
questioni spirituali o religiose come ad esempio le confessioni stragiudiziali, le disposizioni circa la donazione degli
organi, le disposizioni circa la propria cremazione, eccetera.

3. Gli effetti civili delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale.

L'articolo 8.2 sancisce che le sentenze di nullità di un matrimonio pronunciate da un tribunale ecclesiastico, munite del
decreto di esecutività dell'organo superiore di controllo ecclesiastico(la segnatura apostolica), hanno efficacia nel
nostro ordinamento su domanda di una o di entrambe le parti con sentenza della corte d'appello competente. Cioè
accanto ad una giurisdizione statale, c'è una giurisdizione ecclesiastica le cui sentenze sono dichiarate efficaci nel
nostro ordinamento previo controllo della segnatura apostolica che valuta la regolarità e la definitività della sentenza,
cioè se è stato consentito alle parti di difendersi in almeno 2° di giudizio e se la sentenza è passata in giudicato. La
corte d'appello competente dovrà accertare:1) se il tribunale ecclesiastico è competente;2) se sia stato assicurato alle
parti il diritto di agire di difendersi in giudizio secondo i principi fondamentali dell'ordinamento italiano;3) se sono
state rispettate le altre disposizioni concernenti il riconoscimento delle sentenze straniere e della loro efficacia in
Italia. Inoltre il protocollo addizionale all'articolo quattro sancisce che ai fini dell'applicazione degli articoli 796 e 797
del codice di procedura civile italiano, si dovrà tener conto della specificità dell'ordinamento canonico dal quale il
matrimonio è regolato. In particolare bisognerà tener conto:1) il richiamo fatto dalla legge italiana alla legge del luogo
dove si è svolto il matrimonio è il richiamo fatto al diritto canonico; 2) si considera passata in giudicato la sentenza
dichiarata esecutiva secondo il diritto canonico;3) c'è il divieto di riesame del provvedimento nel merito. Proprio
questo divieto di riesame è espressione della riserva giurisdizionale nelle cause matrimoniali a favore del diritto
canonico. La corte d'appello competente, cioè quella ove il matrimonio è stato trascritto, può adottare provvedimenti
economici provvisori a favore di uno dei due coniugi il cui matrimonio sia stato annullato al fine di evitare un effetto
negativo della sentenza di nullità quale il disimpegno economico che spesso danneggia il contraente più debole ed è
contrario al senso comune. Il giudice statale può intervenire anche successivamente. Se l'ordinamento canonico fosse
equiparato ad un ordinamento straniero(ma così non è per l'autore), allora le sentenze del tribunale ecclesiastico
potrebbero essere equiparate ai sensi della legge 218 del 95 alle sentenze di un ordinamento straniero. Ma il rinvio
dell'accordo del 1984 alle norme del codice di procedura civile non può essere un rinvio mobile ma solamente un
rinvio fisso senza la possibilità che le norme possano essere mutuate da una convenzione successiva se non creando
discriminazione e ingiustizie relativamente a tale regime. Con la convenzione di Bruxelles numero due si è voluto
estendere la prima convenzione di Bruxelles alle cause matrimoniali. Cioè si voleva adottare un sistema di
riconoscimento automatico e di esecuzione semplificata delle sentenze tra i vari paesi membri dell'unione europea. In
questo modo si voleva anche evitare si creassero procedimenti paralleli e conseguentemente decisioni contraddittorie
tra diversi paesi. Purtroppo tale convenzione non è stata ratificata dal Parlamento e sono stati mantenuti gli accordi
con la Santa sede. Di conseguenza è inutile ogni rinvio a tale convenzione.

4. Il problema della riserva di giurisdizione.

Il problema della riserva di giurisdizione in materia matrimoniale è una questione ancora attuale. L'articolo 34 comma
quattro del concordato del 1929 sancisce che per le cause concernenti la nullità del matrimonio e il matrimonio rato e
non consumato c'è la competenza del tribunale o dicastero ecclesiastico. Questa disposizione costituiva la concessione
più rilevante dello Stato alla Chiesa cattolica e appariva come una disposizione che viola la sovranità statale, anche se
giustificata dal presupposto della sacramentalità del matrimonio. L'accordo del 1984 non sancendo la sacramentalità
del matrimonio e stabilendo all'articolo 13 che le disposizioni del concordato del 1929 non riprodotte s'intendono
abrogate, faceva intendere che in materia matrimoniale la riserva esclusiva di giurisdizione ecclesiastica sia venuta
meno. Ma la conferma di tale riserva viene dal protocollo addizionale all'articolo quattro che sancisce e bisogna tener
conto dell'ordinamento canonico per l'applicazione degli articoli 797 e 796 del codice di procedura civile; ed in
particolare bisogna tener conto che il richiamo alle leggi del luogo fatto dalla legge italiana è il richiamo al diritto
canonico e che non si procederà alla riesame nel merito. Inoltre l'accordo del 1984 all'articolo 8.2 sancisce che le
sentenze di nullità del matrimonio da parte del tribunale ecclesiastico hanno efficacia nella Repubblica italiana
attraverso la corte d'appello competente. Tale corte deve accertare: che il giudice ecclesiastico sia competente; che
sia garantito il diritto di agire e difendersi secondo i principi dell'ordinamento italiano; e che siano accertate le
condizioni in base alle leggi civili che rendono efficace l'esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico come una
sentenza straniera. Non è configurabile nemmeno una giurisdizione concorrente, poiché l'ordinamento canonico è un
ordinamento confessionale e non un ordinamento statale. Inoltre nell'ordinamento canonico non è garantito il
principio di reciprocità. La giurisdizione canonica è una giurisdizione volontaria e non coattiva come deve essere una
giurisdizione statale. Quindi anche una giurisdizione concorrente violerebbe il principio di unità giurisdizionale di uno
Stato. Il fatto che il principio di sacramentalità non sia stato ribadito nell'accordo del 1984 ha poca importanza poiché
l’articolo 8.3 sancisce che la Santa sede vuole riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio, e
ciò equivale a ripristinare il principio di sacramentalità. Il principio di libertà matrimoniale comporta che le parti
possano scegliere quale tipo di matrimonio stipulare. La conseguenza del matrimonio scelto è quella del regime
patrimoniale e quindi, in base al regime patrimoniale scelto, spetta alle parti scegliere di adire, per la nullità del
matrimonio stipulato, il tribunale ecclesiastico o quello civile. Ciò potrebbe creare non solo una nuova riserva di
giurisdizione ma anche dei conflitti tra giudicati, non essendo possibile dichiarare la litispendenza poiché
l'ordinamento canonico non è un ordinamento statale e perché per l'ordinamento canonico non vale il principio di
reciprocità. Nemmeno è possibile stabilire una riserva di giurisdizione esclusiva a favore dei tribunali ecclesiastici
perché qualora l'oggetto sia un articolo del codice civile, non si può escludere la competenza del tribunale civile.
Nemmeno è possibile il combinato tra diritto statale e diritto canonico, dal momento che non vige il principio iura
novit curia, cioè il principio secondo il quale le parti possano indicare al giudice i criteri normativi su cui decidere ed
inoltre il giudice ha bisogno di un diritto certo. il problema della riserva di giurisdizione è un problema complesso,
poiché lo Stato non può vedere violato il principio di unità giurisdizionale e la Chiesa non può rinunciare al concetto di
sacramentalità del matrimonio. Sarebbe auspicabile una modifica dell'accordo del 1984, magari ripristinando il
principio del doppio binario e garantendo le concezioni di fondo ad entrambe le giurisdizioni.

5. Il matrimonio acattolico

Il matrimonio acattolico è regolato dagli articoli 7-13 della legge 1159 del 1929 e dal regio decreto numero 289 del
1930 25-28, oltre alle intese stipulate con le singole confessioni. Quando tale matrimonio venne introdotto, c'era il
matrimonio concordatario- canonico e il matrimonio civile e si discuteva se il matrimonio acattolico potesse essere
una specie autonoma di matrimonio o una sottospecie del matrimonio civile. In base alla legge 1159 del 1929, il
ministro di un culto diverso dalla confessione cattolica è soggetto all'autorizzazione ministeriale per conferire effetti
civili agli atti del suo ministero. In base all'articolo sette della legge 1159/1929 il matrimonio celebrato dinanzi ad un
ministro di culto acattolico produce gli stessi effetti del matrimonio civile stipulato dall'ufficiale di stato civile.
L'ufficiale di stato civile, valutato che siano state compiute tutte le formalità e che la celebrazione del matrimonio
acattolico possa svolgersi senza intoppi con il codice civile, autorizza per iscritto il ministro di culto a celebrare il
matrimonio, con l'indicazione della data, del luogo del provvedimento e con il decreto di nomina. La circolare numero
sei del 2007 del Ministero dell'Interno sancisce che il ministro di culto potrà celebrare il matrimonio solo nel territorio
indicato nel decreto di nomina. A questo punto il ministro di culto celebra il matrimonio dinanzi a due testimoni,
leggere gli articoli 143- 144 e 145 del codice civile, apprende le dichiarazioni dei due sposi di volersi prendere come
marito e moglie e redige l'atto di matrimonio che sarà trasmesso in originale all'ufficiale di stato civile entro cinque
giorni dalla celebrazione. L'ufficiale civile entro un giorno provvederà alla trascrizione dell'atto di matrimonio nel
registro civile. Il ministro di culto, in caso di legittimo impedimento, può essere sostituito da un suo delegato. Il
ministro di culto acattolico non può rilasciare copie ne certificati del matrimonio, conferma del fatto che la sua
autorizzazione è legata strettamente al suo ministero. Di conseguenza il ministro di culto acattolico non costituisce un
ufficiale di stato civile ma si può dire solo che esercita pubbliche funzioni. Secondo una diversa opinione, è applicabile
l'articolo 113 del codice civile e di conseguenza si ritiene che il matrimonio che avvenga dinanzi ad una persona che
non ha la qualità di ufficiale di stato civile, a meno che non lo sappiano entrambi gli sposi, ma che esercita pubbliche
funzioni si considera celebrato. Al matrimonio acattolico si applicano le disposizioni del regime di diritto comune,
anche perché nel 1929 era il matrimonio civile il modello di riferimento dato che non erano ancora state stipulate le
intese con le diverse confessioni acattoliche. Tuttavia il matrimonio acattolico costituisce un terzo tipo di matrimonio
poiché non è assimilabile né al matrimonio canonico né al matrimonio civile. Al primo non è assimilabile poiché si
consente agli sposi o a uno dei due che abbiano una religione diversa da quella cattolica di celebrare un matrimonio
differente. Né al matrimonio civile è assimilabile a quello acattolico, poiché quest'ultimo è diverso. Successivamente
sono state stipulate 6 intese con le diverse confessioni acattoliche e a queste ultime che hanno stipulato tali intese,
non si applica la disciplina della legge 1159 del 1929. Le condizioni essenziali affinché il matrimonio acattolico abbia
effetti civili sono 3:1) l'autorizzazione conferita dall'ufficiale di stato civile al ministro di culto;2) la forma comune di
celebrazione;3) la trascrizione dell'atto di matrimonio, che può essere anche tardiva. Relativamente alle intese, si è
cercato di uniformare le loro norme tra di loro anche se ciò costituisce una operazione poco opportuna perché non
rispetta le diverse caratteristiche delle singole confessioni. Per le confessioni acattoliche che hanno stipulato un'intesa
c'è stata l'abolizione dell'autorizzazione ministeriale e dell'autorizzazione dell'ufficiale di stato civile a celebrare il
matrimonio. In tal modo esse sono maggiormente sottoposte alle confessioni di appartenenza.
6. Natura ed essenza giuridica del matrimonio.

La natura ed l'essenza giuridica del matrimonio sono diverse a seconda del punto di vista confessionale o civile. Per
quanto riguarda il primo punto di vista, il matrimonio è visto come un sacramento mentre per il secondo punto di vista
il matrimonio è un contratto che vincola due parti che ha effetto sul piano personale e patrimoniale. Entrambe le
visuali appaiono troppo limitative. Il matrimonio è un'istituzione sociale. Quindi la sua natura giuridica bisogna evitare
di cercarla sul piano storico o ideologico ma bisogna ricercarla sul piano attuale. La costituzione italiana all'articolo 29
pone il matrimonio alla base della famiglia, confermando che l'istituto matrimoniale è un istituto cardine nel nostro
ordinamento anche se si sono create le cosiddette famiglie di fatto, cioè situazioni di mera convivenza. Lo stesso
concetto di honor matrimonii dava uno status personale e patrimoniale diverso ai coniugi, status che invece non viene
attribuito ai meri conviventi. Tuttavia sia il matrimonio civile che quello religioso hanno alcuni punti in comune. Si
pensi ad esempio alla forma del matrimonio che si svolge partendo dalla dichiarazione dei due coniugi di volersi come
marito e moglie dinanzi ad un ufficiale di stato civile o un sacerdote in presenza di due testimoni e con le forme
prestabilite(lettura degli articoli del codice civile ,scelta del regime patrimoniale e trascrizione nel registro civile e
parrocchiale dell'atto di matrimonio). Il matrimonio ha effetti sullo status personale in quanto si è legati da un
rapporto coniugale ed anche sul piano patrimoniale, poichè il regime prestabilito è quello di comunione e di
conseguenza ciascun atto di un coniuge deve avere il consenso dell'altro oppure ciascun atto è ricondotto al
patrimonio comune, a meno che le parti non abbiano scelto il regime di separazione. ai meri conviventi tale regime
non viene applicato, anche se si sono riconosciuti alcuni diritti come ad esempio il diritto di successione nel contratto
di locazione. Oltre alla forma, un altro aspetto in comune tra matrimonio civile e quello religioso sono gli aspetti
spirituali, e cioè l'obbligo di fedeltà tra i coniugi, l’indissolubilità del sacramento matrimoniale e l'educazione della
prole. In realtà solamente il primo aspetto, c'è l'obbligo di fedeltà tra i coniugi, è in comune perché l'indissolubilità del
matrimonio è venuta meno con l'introduzione della legge sul divorzio e la prole non costituisce un elemento
fondamentale nel matrimonio civile. Poi ci sono altri aspetti spirituali, come abbiamo appena detto, quale ad esempio
la volontà di convivere insieme tra marito e moglie. Secondo l'opinione di doms, il matrimonio è la volontà di donare
se stesso al proprio coniuge, c'è un atto d'amore in assoluta libertà, di cui si conoscono benefici e limiti. Riprendendo
questa concezione di matrimonio, jemolo sostiene che la dignità dell'atto sessuale non sta nella prospettiva della
generazione, ma sta nell'essere dono di una persona all'altra. A questo punto ci si chiede perché un istituto come il
matrimonio sia stato influenzato ed è ancora influenzato dal mondo religioso. La risposta è semplice: perché il
matrimonio era un evento talmente importante nella vita di una persona che veniva ad riempirsi di sacramentalità. Ci
sono anche aspetti diversi tra matrimonio civile e matrimonio religioso. Il primo aspetto differente è quello della
consumazione, irrilevante nel matrimonio civile mentre molto importante in quello religioso. L'altro aspetto è quello
della procreazione: entrambi tipi di matrimonio prevedono il matrimonio di mutuo ausilio in tarda età per non avere
figli, ma mentre ciò è coerente per il matrimonio civile non sembra esserlo per quello religioso. L’ altro aspetto
differente è, come abbiamo appena detto, l'indissolubilità del matrimonio venuta meno nel matrimonio civile con il
divorzio. Mentre il matrimonio religioso ha regole che hanno le loro radici nella cultura e nei popoli e quindi non
producono sempre effetti civili, il matrimonio civile è un contratto che vincola due parti sia sul piano personale che sul
piano patrimoniale. Ma in entrambi i casi il matrimonio è una nuova comunità con forme tipiche e lo scambio di
consenso tra due parti che fa una dimensione e una prospettiva personale e patrimoniale.

7. Matrimonio, separazione e divorzio. Diritto di famiglia e libertà religiosa.

La costituzione, ponendo all'articolo 29 alla base della famiglia il matrimonio, rende necessaria un'analisi delle vicende
matrimoniali di divorzio e separazione e del caso di mutamento di fede religiosa di uno dei due coniugi e dell’
educazione religiosa dei figli. La separazione è regolata dagli articoli 150-158 del codice civile mentre il divorzio è
regolato dalla legge 898 del 1970. Il matrimonio può terminare non solo per morte di uno dei due coniugi ma anche
per divorzio, cioè nei casi espressamente previsti dalla legge. Si tratta di un istituto civilistico, di conseguenza non
c'entra il diritto ecclesiastico. Oltre alla separazione personale, il codice di diritto canonico prevede anche la
separazione con vincolo di permanenza. Per quanto riguarda il matrimonio non consumato, questo è irrilevante per
l'ordinamento civile ma può essere causa di scioglimento agli effetti civili del matrimonio e di conseguenza assume
rilevanza solo in relazione al divorzio. Il mutamento di religione di uno dei due coniugi o l'educazione religiosa dei
propri figli può costituire motivo di dissenso familiare. Breve in relazione all'ora di religione, si è visto come tali
questioni vanno risolte nell'interesse del minore, cioè seguendo la sua volontà. Infatti il minore è capace di
autodeterminarsi e di avere diritti soggettivi autonomi. La legge 54 del 2006 ha riconosciuto l'affidamento condiviso ad
entrambi i genitori, ribaltando il precedente regime, al fine di garantire maggiore libertà religiosa. Ci si chiede che cosa
succede se uno dei due genitori cambia fede religiosa e vuole imporre la propria educazione religiosa ai figli. In
precedenza la giurisprudenza era stata influenzata al principio di favore per la religione cattolica, mentre oggi bisogna
far riferimento al principio di libertà religiosa individuale, cioè tener conto della volontà del soggetto individuale di
professare la propria religione anche in caso di ateismo. La stessa corte di cassazione ha sancito che il fatto che un
soggetto abbia mutato la propria religione non significa che tale libertà può essere ridotta perché è sposato o perché
ha figli. Inoltre non è possibile stipulare una convenzione con una clausola che imponga la propria fede religiosa ai figli,
perché la libertà religiosa è indisponibile. La cassazione inoltre ha stabilito che il mutamento di fede religiosa di uno
dei due coniugi non può costituire motivo di addebito della separazione ma costituisce causa di separazione il non
rispetto di tale mutamento. Precedentemente la corte costituzionale mostrò il suo favore per la famiglia legittima,
contrapponendosi una concezione istituzionale della famiglia(dove il valore della famiglia è preminente rispetto al
valore dei singoli componenti) ad una concezione individualista(dove l'interesse del singolo componente prevale
sull'istituto famiglia, poiché quest'ultima è un mezzo per conseguire gli interessi del singolo). La giurisprudenza è stata
non sempre uniforme. Quella del tribunale dei minorenni ha sancito ancora una volta il principio di libertà religiosa del
singolo individuo che non può essere guardato né dalla confessione né dalla propria famiglia, per cui l'ordinamento
statale può intervenire anzi deve intervenire solo nei casi strettamente necessari. Inoltre diritti inviolabili dell'uomo
sono garantiti all'interno delle formazioni sociali, tra cui la famiglia, dall'articolo 2 e 30 comma due della costituzione e
ciò non legittima l'imposizione dell'ideologia religiosa ai propri figli. Il diritto di educare alla religione i propri figli
riguarda solo i primi anni di vita ma dai 14 anni in poi è il singolo soggetto a scegliere la propria religione. Il tribunale di
Genova nel 1959 ha affermato il diritto del minore di professare una religione diversa da quella dei propri genitori e la
cassazione ha sancito che il mutamento di fede religiosa di uno dei due coniugi non può rientrare tra i motivi per
l’affidamento dei propri figli. Per quanto riguarda il giudice, questi deve intervenire solo per attribuire il potere di
decisione al coniuge che meglio sembra sostenere e mantenere il proprio figlio.

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