Sei sulla pagina 1di 7

LA NUOVA OMBRA

di J.R.R . Tolkien
Da una lettera di Tolkien del 13 marzo 1964

“ Ho iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la


Caduta (di Mordor), ma si è rivelata sinistra e deprimente.
Dato che abbiamo a che fare con uomini è inevitabile che si
debba prendere in considerazione una delle caratteristiche più
deprecabili della loro natura: il fatto che presto si stancano del
bene. E così la gente di Gondor in epoche di pace, giustizia e
prosperità è diventata scontenta e inquieta – mentre la dina-
stia discesa da Aragorn ha prodotto re e governatori – come
Denethor, se non peggio. Ho scoperto che anche in epoche così
antiche ci fu un fiorire di trame rivoluzionarie, incentrate su
una religione satanica segreta; mentre i ragazzi di Gondor
giocavano a travestirsi da orchi e andavano in giro a fare
danni. Avrei potuto ricavarne un thriller con il complotto e la
sua scoperta e la sua sconfitta – ma non ci sarebbe stato altro.
Non ne valeva la pena.”
Questo racconto inizia nei giorni di Eldarion, figlio di quell’Elessar di cui le cronache hanno
molto da raccontare. Centocinque anni erano trascorsi dalla caduta della Torre Oscura, e quella
storia era ormai stata dimenticata da molti a Gondor, benché ancora vivessero alcuni che
ricordavano la Guerra dell’Anello come un’ombra sulla loro infanzia. Uno di questi era il vecchio
Borlas di Pen-arduin. Egli era il figlio minore di Beregond, il primo Capitano della Guardia del
Principe Faramir, che si era mosso insieme al suo signore dalla Città agli Emyn Arnen.
“Profonde invero si estendono le radici del Male,” disse Borlas, “e in esse è forte la linfa nera.
È un albero che non sarà mai distrutto. Gli uomini possono abbatterlo quanto vogliono, questi
germoglierà prima ancora che possano voltarsi. Nemmeno per la Festa dell’Abbattitura le scuri
sarebbero appese al muro!”
“Chiaramente pensi di pronunciare parole sagge,” disse Saelon. “Lo desumo dalla profondità
della tua voce, e dalla tua testa bassa. Ma di cosa stai parlando? Mi sembra che la tua vita sia
abbastanza tranquilla, la vita di un vecchio uomo che ormai non viaggia molto. Dove hai visto
crescere i germogli dell’albero oscuro? Nel tuo giardino?”
Borlas alzò il capo, lanciò uno sguardo penetrante su Saelon, e si chiese se quel giovane,
apparentemente allegro e scherzoso, non ne sapesse più di quanto mostrasse. Borlas non voleva
confidarsi con lui, ma era preoccupato, e perciò aveva parlato ad alta voce, più a se stesso che
all’altro. Saelon non ricambiò il suo sguardo, ma continuò a intagliare uno zufolo da un verde
salice con un coltello affilato, parlando a bassa voce.
I due stavano in un pergolato vicino alla ripida costa orientale dell’Anduin, ai piedi dei colli di
Arnen. Erano nel giardino della piccola casa di pietra grigia di Borlas, nascosta tra gli alberi del
pendio occidentale. Borlas guardò il fiume, gli alberi vestiti di giugno e, più oltre, le torri della
Città illuminate dal rosso del tramonto. “No, non nel mio giardino,” disse pensieroso.
“Allora perché ti preoccupi tanto? chiese Saelon. “Un uomo che possiede un giardino
tranquillo, circondato da forti mura, ha tutto ciò che può desiderare.” Si interruppe. “Finché è
ancora in vita,” aggiunse.
“Negli ultimi anni della sua vita, perché preoccuparsi dei mali minori? Alla fine dovrà lasciare
il suo giardino, e saranno gli altri a doversi occupare delle erbacce.”
Borlas sospirò, ma non rispose. Saelon continuò: “Ma ci sono alcuni che non sono mai
contenti, e alla fine dei loro giorni si preoccupano dei loro vicini, della Città, del Regno e del
mondo intero. Tu sei uno di questi, Mastro Borlas, lo sei sempre stato, dal giorno in cui da
fanciullo mi afferrasti nel tuo frutteto. Anche allora non lasciasti che il male facesse il suo corso,
prendendomi a bastonate o rafforzando il tuo recinto. No, tu eri addolorato, volevi cambiarmi. Mi
portasti a casa tua e mi parlasti.
“Lo ricordo bene. ‘Cose da Orchi!,’ ripetevi. ‘Posso capire che un ragazzo possa rubare frutta
buona, se è affamato o se suo padre è troppo permissivo. Ma cogliere mele acerbe, per il gusto di
romperle e gettarle via! Queste sono cose da Orchi. Come sei giunto a fare una cosa simile,
ragazzo?’
“Cose da Orchi! Ero così arrabbiato, Mastro Borlas, ma ero troppo orgoglioso per risponderti,
benché avrei voluto dirti: ‘Cogliere una mela per giocarci è altrettanto sbagliato che coglierla per
mangiarla, e non lo è di più. Non parlarmi di cose da Orchi, o te le faccio vedere io!’
“Fu uno sbaglio da parte tua, Mastro Borlas. Fino ad allora avevo già ascoltato racconti sugli
Orchi e sulle loro attività, ma non mi aveva-no mai interessato. Tu risvegliasti il mio interesse nei
loro confronti. Commisi solo piccoli furti (mio padre non era affatto permissivo), ma da allora
non dimenticai gli Orchi. Iniziai a nutrire odio nei tuoi con-fronti e a meditare vendetta. Con gli
amici giocavo agli Orchi, e a volte pensavo: ‘Perché non radunare la mia banda e andare ad
abbattere i suoi alberi? Così penserà che gli Orchi sono davvero ritornati.’ Ma è stato tanto tempo
fa,” disse Saelon con un sorriso.
Borlas era sorpreso. Ora era Saelon che si confidava con lui. E c’era qualcosa d’inquietante
nel tono del giovane, al punto che si chiese se in fondo il risentimento che aveva provato da
bambino non fosse ancora vivo, come le radici degli alberi oscuri. Sì, perfino nel cuore di Saelon,
l’amico di suo figlio, il giovane che con la sua socievolezza gli aveva reso meno penosa la
solitudine. Ad ogni modo, decise di non rivelargli altro dei suoi pensieri.
“Ahimè!” disse, “tutti noi commettiamo errori. Non pretendo di es-sere saggio, ragazzo, ad
eccezione di quel poco che si può diventarlo col passare degli anni. Ma conosco fin troppo bene la
triste verità se-condo cui coloro che vogliono far del bene possono arrecare più danni di quelli che
lasciano le cose al loro corso. Mi dispiace per ciò che dissi, se ciò ha nutrito il tuo odio. Ma credo
ancora che avessi ragione; forse fui intempestivo, ma ero nel giusto. Anche un ragazzo deve
capire che la frutta è frutta, e non va raccolta prima che sia matura; abusarne quando è acerba è
peggio che rubarla a chi l’ha coltivata, perché così si de-ruba il mondo intero, impedendo il
compimento di una cosa buona. Chi si comporta in questo modo partecipa alla rovina e alla
cancrena delle forze del male. Agisce come gli Orchi.”
“E come gli Uomini,” lo interruppe Saelon. “No, non mi riferisco solo agli uomini selvaggi, o
a quelli cresciuti ‘sotto l’Ombra’, come si dice. Intendo tutti gli Uomini. Oggi non mi interessa
raccogliere la tua frutta acerba, ma solo perché non saprei che farmene, non per le tue no-bili
ragioni, Mastro Borlas. Penso invece che il tuo ragionamento sia guasto come una mela lasciata
per troppo tempo in magazzino. Dal punto di vista degli alberi tutti gli Uomini sono Orchi. Forse
gli Uomini ci pensano su prima di abbattere un albero, di usarlo per i loro fini, per farsi strada, per
usarlo come legna o carburante, o semplicemente per aprirsi una veduta? Se gli alberi potessero
giudicare, considererebbero gli Uomini migliori degli Orchi, o piuttosto li vedrebbero fonte di
rovina, come una cancrena? Con quale diritto, si chiederebbero, gli Uomini si nutrono della nostra
linfa come parassiti?”
“Un uomo,” rispose Borlas, “che cura un albero e lo difende dai parassiti e da altri nemici,
non agisce come un Orco o una cancrena. Se mangia i suoi frutti, non gli fa torto. Esso produce
più frutta di quanto necessiti per il suo fine, la continuazione della specie.”
“Fa che mangi la frutta, allora, o ci giochi,” disse Saelon. “Tuttavia io mi riferivo a quando gli
uomini giusti uccidono gli alberi, li tagliano o li bruciano, e alle ragioni per cui lo fanno”.
“Non hai detto questo. Tu hai parlato del giudizio degli alberi in materia. Ma gli alberi non
giudicano. I figli dell’Uno sono i signori. Già conosci ciò che penso. In origine i mali del mondo
non appartenevano al grande Tema, ma vennero introdotti dalle dissonanze di Melkor.
Gli uomini non trassero origine da queste dissonanze, ma furono creati in seguito da Eru, l’Uno, e
perciò sono chiamati i Suoi figli, e hanno diritto di usare per il loro bene tutto ciò che fu nel tema,
non in modo super-bo o licenzioso, ma con riverenza.
“Se d’inverno il figlio di un boscaiolo ha freddo, anche all’albero più fiero non viene fatto
torto se la sua vita è necessaria a riscaldare il bambino col fuoco. Ma il bambino non deve
deturpare l’albero, per gioco o per dispetto, strappando la sua corteccia o i suoi rami. E un buon
contadino, se può, userà prima la legna che già possiede o quella di un vecchio albero, e non
taglierà un albero giovane né lascerà che marcisca, per il solo piacere di usare la scure. Così
agiscono gli Orchi.
“È anche vero quanto ho detto prima: le radici del Male si estendo-no in profondità, e il
veleno che agisce in noi viene da lontano, sicché a volte molti si comportano in questo modo, e
diventano simili ai servi di Melkor. Ma gli Orchi agivano sempre così, godevano a danneggiare e
a far soffrire ogni cosa, e si fermavano solo quando veniva loro impedito, non per prudenza o
pietà. Ma di ciò abbiamo parlato abbastanza.”
“Perché?” disse Saelon. “Abbiamo appena cominciato. Quando par-lavi della rinascita
dell’albero oscuro non era al tuo frutteto, né alle me-le, né a me che stavi pensando. Tuttavia,
posso indovinare cosa stavi meditando. Ho occhi e orecchie aperti, Mastro Borlas.” La sua voce
di-venne un sussurro, appena udibile sul mormorio del vento freddo tra le foglie, mentre il sole si
abbassava sul Mindolluin. “Dunque anche tu hai udito il nome”, disse con un filo di voce, “di
Herumor?”
Borlas lo guardò con stupore e paura. La sua bocca tremava, cerca-va di parlare, ma non ci
riusciva.
“Vedo che lo conosci,” disse Saelon. “E mi sembri stupito di apprendere che l’ho udito
anch’io. Ma sono più stupito io, nel vedere che il nome è arrivato fino a te. Come ti ho detto, io ho
occhi e orecchie aperti, ma i tuoi sono stanchi anche nelle faccende quotidiane, ed è stra-no che
un affare tanto segreto sia giunto a tua conoscenza.”
“Tenuto segreto da chi?” gridò Borlas, con violenza. I suoi occhi potevano anche essere
stanchi, ma adesso fiammeggiavano con rabbia.
“Suvvia, da coloro che hanno udito la sua chiamata, e chi altri?, rispose Saelon impassibile.
“Non sono così numerosi da contrastare il popolo di Gondor, ma il loro numero va crescendo.
Non tutti sono soddisfatti da quando il Grande Re è morto, e sono sempre meno coloro che ne
sono dispiaciuti.”
“Così avevo ragione,” disse Borlas, “è questo pensiero che angoscia il mio cuore, come un
vento freddo d’estate. Un uomo può vivere in un giardino circondato da alte mura, Saelon, e
tuttavia non trovarvi pace né serenità. Ci sono nemici che queste mura non possono tenere fuori,
poi-ché il suo giardino è parte di un regno che lo custodisce. È alle mura del regno che deve
rivolgersi, se vuole essere realmente sicuro. Ma che cos’è la chiamata? Cosa hanno intenzione di
fare?” gridò, allungando la mano verso le ginocchia del giovane.
“Prima di risponderti ti porrò una domanda a mia volta,” disse Saelon, che adesso cercava lo
sguardo del vecchio. “In che modo tu, che vivi nell’Emyn Arnen e di rado ti rechi persino nella
Città, sei venuto a conoscenza delle voci sul nome?”
Borlas abbassò lo sguardo e unì le mani sotto le ginocchia. Per un attimo non rispose. Poi
guardò nuovamente Saelon, con il volto indurito e un’espressione più prudente. “Non risponderò
alla tua domanda, Saelon,” disse. “Non fintanto che avrai risposto a un’altra domanda. Prima
dimmi,” disse lentamente, “tu sei tra quelli che hanno udito la chiamata?”
Uno strano sorriso apparve sul volto del giovane. “L’attacco è la migliore difesa,” rispose,
“come ci dicono i Capitani, ma quando entrambi i fronti ricorrono a questa strategia, vuol dire che
c’è fragore di battaglia. Cercherò di essere al tuo pari. Non risponderò alla tua do-manda, Mastro
Borlas, finché tu non mi avrai risposto: sei tra quelli che hanno udito la chiamata, o no?”
“Come puoi pensarlo?” gridò Borlas.
“E tu come puoi pensarlo? chiese Saelon.
“Quanto a me,” disse Borlas, “tutte le mie parole non ti hanno già risposto?”
“E tu invece,” aggiunse Saelon, “nutri dubbi su di me solo perché ho difeso un ragazzino che
tirava per gioco le mele ai suoi compagni dall’accusa di essere un Orco? O perché ho parlato delle
sofferenze de-gli alberi provocate dagli uomini? Mastro Borlas, è poco saggio giudicare il cuore
di un uomo sulla base delle parole pronunciate su un argomento che non condivide, solo perché
queste parole lo disturbano.
Forse sono impertinenti, ma sono sempre meglio di un’eco ossequiosa. Non dubito che coloro
con cui parli usano parole solenni quanto le tue, e in tua presenza parlano con riverenza del
Grande Tema e di cose simili. Dunque, chi risponde per primo?”
“Il più giovane, che dovrebbe usare cortesia verso il vecchio,” disse Borlas, “o colui a cui la
domanda è stata posta per primo. In entrambi i casi sei tu a dover rispondere.”
Saelon sorrise. “Molto bene,” disse. “vediamo: la prima domanda che mi hai rivolto è stata:
che cos’è la chiamata, cosa hanno intenzione di fare? Con la tua età e tutta la tua esperienza non
riesci proprio a trovare una risposta? Io sono giovane e ho meno esperienza di te, tuttavia, se lo
desideri veramente, forse posso chiarirti il significato delle voci.”
Si alzò in piedi. Il sole era tramontato oltre i monti, e si faceva buio. Le mura occidentali della
casa di Borlas, sul lato della collina, erano in-dorate dal crepuscolo, ma sul fondo il fiume era
scuro. Guardò in alto, poi voltò lo sguardo verso l’Anduin. “È una bella serata,” disse, “ma il
vento si muove a est. Stanotte la luna sarà coperta da nubi.”
“Bene, e con ciò?” disse Borlas, rabbrividendo un po’ per l’aria fredda. “Forse vuoi dire che
un vecchio dovrebbe affrettarsi a rincasare per mantenere le sue ossa all’asciutto?” Si alzò e si
diresse verso il sentiero che conduceva alla sua casa, pensando che il giovane non avesse più nulla
da dirgli, ma Saelon si pose davanti a lui, trattenendolo per un braccio.
“Voglio dire invece che dovrai indossare abiti pesanti dopo il crepuscolo,” disse. “Se vuoi
saperne di più, se lo vuoi davvero, dovrai metter-ti in viaggio con me, stanotte. Ti aspetterò
all’entrata orientale della tua casa, sul retro, o almeno passerò da quel lato quando sarà notte
fonda, sarai tu a decidere se venire o meno. Indosserò un abito nero, e chiunque verrà con me
dovrà essere vestito così. Ora addio, Mastro Borlas! Pensaci, finché dura la luce del giorno.”
Con ciò Saelon s’inchinò e si allontanò, per un altro sentiero che costeggiava la ripida sponda
del fiume, andando a nord, verso la casa di suo padre. Quando scomparve al di là di una curva, le
sue parole ancora echeggiavano nella mente di Borlas.
Dopo che Saelon si fu allontanato, per qualche attimo Borlas rimase in silenzio, con le mani
sul volto, appoggiando la fronte sulla fredda corteccia di un albero lungo il sentiero. Cercava di
richiamare alla men-te come era iniziata quella strana e allarmante discussione. Non sapeva
ancora cosa avrebbe fatto dopo il crepuscolo.
Dall’inizio della primavera non si sentiva bene, benché fosse piuttosto in forma per la sua età,
che gli pesava meno della sua solitudine. Da quando ad aprile suo figlio Berelach era partito di
nuovo – lavorava sul-le Navi, e ora viveva nei pressi di Pelargir – Saelon era divenuto più
premuroso, quando era a casa. Di recente, era spesso in viaggio. Borlas non era al corrente dei
suoi affari, sapeva solo che si occupava, tra l’altro, di legname. Portava notizie del regno al
vecchio amico, o meglio, al padre del vecchio amico, poiché un tempo Berelach era stato il suo
compagno più fedele, sebbene ora si incontrassero di rado.
“Certo, è andata così”, si disse Borlas. “Ho parlato a Saelon di Pelargir, riferendomi a
Berelach. C’è stato qualche piccolo incidente all’Ethir: alcuni marinai sono scomparsi, e anche un
piccolo vascello della Flotta. Niente di più, secondo Berelach.
“ ‘La pace indebolisce gli animi,’ mi sembra che disse, in veste di sottufficiale. ‘Hanno usato
qualche stratagemma per disertare, così sembra – forse delle conoscenze in uno dei porti
occidentali – ma senza una guida sono annegati. Gli sta bene. In questi tempi ci sono sempre
meno veri marinai, la pesca è più redditizia. Ma almeno tutti sapranno che le coste occidentali non
sono sicure per chi non ha esperienza.’ ”
“Fu tutto qui. Ma ne ho parlato a Saelon, e gli ho chiesto se a sud avesse udito qualcosa su
quest’episodio. ‘Sì,’ mi ha risposto, ‘pochi hanno creduto alla versione ufficiale. Quegli uomini
non erano inesperti, erano figli di pescatori. E in quel periodo non vi erano state particolari
tempeste lungo la costa.’ ”
Nell’udire ciò, Borlas improvvisamente rammentò altre voci, che gli erano state riferite da
Othrondir. Era lui che aveva usato per primo la parola “cancrena”. Questo pensava Borlas quando
aveva cominciato a parlare tra sé, ad alta voce, dell’Albero Oscuro.
Borlas scoprì gli occhi e accarezzò il tronco armonioso dell’albero al quale si era appoggiato,
guardando il cielo sempre più scuro attraverso le sue foglie ombrose. Una stella brillava al di là
dei rami. Continuò a parlare, sottovoce, come se si rivolgesse all’albero.
“Dunque, come mi devo comportare adesso? È chiaro che Saelon è coinvolto in questa storia.
O non lo è? C’era lo scherno nelle sue parole, e il disprezzo per le regole di vita degli Uomini.
Non ha voluto dirmi neanche il motivo degli abiti neri! Tuttavia, perché invitarmi ad andare con
lui? Non certo per convertire il vecchio Borlas! Inutile. Inutile provarci: nessuno spererebbe di
averla vinta su un vecchio che ancora ricorda il Male, per quanto distante. Inutile anche se si
riuscisse a convincerlo: il vecchio Borlas non serve a nulla. Saelon potrebbe aver voluto giocare
alla spia, cercando di scoprire qualcosa in più sulle voci che circolano. L’abito nero potrebbe
essere un travestimento o servire a muoversi furtivamente nella notte. Ma, tuttavia, di che aiuto
potrei essere io in un incarico segreto e pericoloso? Sarei più utile fuori dai piedi.”
Un gelido pensiero attraversò il cuore di Borlas. Fuori dai piedi – era dunque ciò che
volevano? Lo avrebbero condotto in qualche luogo dove sarebbe scomparso, come i Marinai?
L’invito di Saelon era giunto nel momento in cui gli aveva rivelato di essere a conoscenza delle
voci, e persino di aver udito il nome. E gli aveva dichiarato apertamente la sua ostilità.
Questo pensiero spinse Borlas a decidersi: al calar della notte avrebbe atteso Saelon al
cancello, vestito di nero. Era stato sfidato, e non voleva tirarsi indietro. Appoggiò con forza il
palmo della mano sull’albero. “Non sono ancora un vecchio rimbambito, Neldor,” disse, “ma la
morte non è tanto distante per sprecare molti anni preziosi, perdendo le occasioni concesse.”
Raddrizzò la schiena e alzò la testa, incamminandosi lungo il sentiero, lentamente, ma con
passo deciso. Quando varcò la soglia di casa, un pensiero gli balenò nella mente: “Forse ho
vissuto così a lungo per questo scopo: che ci fosse ancora qualcuno che ricordasse lucidamente
ciò che è accaduto prima della Grande Pace. Il naso ha una lunga memoria, penso di potermi
ricordare ancora l’odore dell’antico Male, e di riconoscerlo per ciò che è.”
La porta sotto il portico era aperta, e in casa si faceva buio. Non si udivano i soliti suoni della
sera, solo un piatto silenzio, un silenzio di morte. Entrò in casa, sussultando. Chiamò, ma non vi
fu alcuna risposta.
Si fermò nello stretto corridoio che attraversava la casa, e gli apparve immerso nell’oscurità;
dall’esterno non proveniva neanche un barlume di luce. D’un tratto lo fiutò, o così gli sembrò,
benché fosse più una sensazione interna che esterna: fiutò l’antico Male e lo riconobbe per ciò che
era.

Qui finisce La Nuova Ombra, e non si saprà mai che cosa avesse trovato Borlas nella sua casa
buia e silenziosa, né che ruolo giocasse Saelon e quali intenzioni avesse.

Potrebbero piacerti anche