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Così come Margaret Mead, Elizabeth Whitaker, nel libro The trouble with human nature:
health, conflict, and difference in biocoltural perspective (2017), mette in discussione le varie
assunzioni evoluzionistiche sulla natura umana. Whitaker parte dall’analisi delle società dei
cacciatori-raccoglitori, ovvero tutte quelle popolazioni per lo più nomadi, che non praticano
alcuna forma di agricoltura e allevamento, e che sono considerate le più prossime alle
modalità di organizzazione sociale primitiva per condivisione di alcune caratteristiche: bassa
densità di popolazione, raggruppamenti di 30-50 individui, solidarietà e cooperazione tra i
membri, nessun leader ufficiale.
L’obiettivo primo della sua analisi è stabilire una relazione tra stile di vita nomade e certi tipi
di relazioni sociali e modalità comportamentali. Viene dato per scontato, nelle società
primitive, che alle donne fosse stato riservato il compito della cura della famiglia e quello di
raccoglitrici; mentre agli uomini, quello di allontanarsi da “casa” e cacciare, provvedendo alla
crescita della famiglia e alla sua sicurezza. Da questi concetti si deriva che donne e uomini
abbiano sviluppato diverse attitudini e abilità, che ora vengono imposte loro ancora prima di
nascere. Tuttavia, le società di cacciatori-raccoglitori dimostrano l’erroneità dei concetti sopra
elencati. In primo luogo, a sfatare l’immagine dell’”uomo cacciatore” è la dieta tipica delle
società di cacciatori-raccoglitori, la quale si compone per 1/3 di alimenti di origine vegetale.
Il restante è per lo più composto da proteine di origine animale, derivanti da insetti e animali
di piccole dimensioni che invece che essere cacciati venivano catturati. In aggiunta,
dall’analisi dei resti dei nostri predecessori, tra i quali gli australopitechi, si può notare come
la loro corporatura li portasse ad essere prede, in un momento in cui la Terra era popolata da
varie specie di grandi predatori. Basandosi sull’analisi dell’anatomia e del comportamento
animale, Donna Hart and Robert Sussman , arrivano alla conclusione che la chiave per lo
sviluppo cognitivo umano, non è stata l’abilità di cacciare i predatori, quanto quella di
difendersi da essi. Come se ciò non bastasse, anche la dentatura dei nostri antenati non si
presentava adatta alla consumazione di carne cruda. Whitaker ritiene che sia sicuro affermare
che gli uomini ancestrali divennero effettivamente cacciatori 50,000-40,000 anni fa, prima di
allora le società di cacciatori-raccoglitori, così come quelle a noi contemporanee, si sono
affidate all’utilizzo di reti per la caccia. Questa pratica includeva sia uomini che donne,
anziani e bambini. Le prove dell’impiego di reti risalgono agli anni Novanta, quando Olga
Soffer trovò evidenze di sofisticate tecniche di tessitura in alcuni siti in Repubblica Ceca, che
risalgono a circa 25,000 anni fa (Advasio et al.2009).
L’idea che esistano sostanziali differenze tra uomini e donne è utile per la stratificazione della
società nella quale gruppi privilegiati difendono i propri privilegi, danneggiando le donne ma
anche gli uomini che sono incompatibili << with the variability in gender roles and the
capabilities of real human beings around the world >> (Whitaker, 234). La selezione naturale
non ha dotato uomini e donne di diverse abilità intellettuali e pratiche. Infatti, i risultati di
misurazioni fatte a cervelli umani, che vedono cervelli femminili minori di quelli maschili,
non sono attendibili, in quanto l’anatomia del nostro cervello e il suo funzionamento sono
condizionati dall’uso che viene fatto di quest’ultimo, che a sua volta è influenzato dalla
cultura. Finché le persone continueranno a credere che maschi e femmine abbiamo diverse
abilità mentali e fisiche, sarà impossibile stabilire quanto ci sia di vero alla base di tutto ciò. I
diversi atteggiamenti e esperienze delle persone, legate al loro sesso di appartenenza,
continueranno ad influenzare i modi in cui il nostro corpo e il nostro cervello operano.
È evidente perciò, che le categorie create in base al sesso e al genere, così come la relazione
fra loro, siano definite dalla cultura. Se gli individui possono cambiare sesso o identità di
genere, allo stesso modo una società può cambiare le categorie che definiscono sesso e
genere. Le testimonianze di persone intersessuali, transgender e transessuali sono la prova che
l’identità di genere non si identifica in solo due forme, uomo e donna, e che non rimane
necessariamente fissa per tutta la vita. In alcune società nativo-americane, la tradizione
permette <<the presence of two opposite spirits in the same person, whether animal-human or
male-female >> (Whitaker, 220). Si tratta di persone che nel momento della pubertà
sceglievano la loro identità di genere, e combinavano abiti e attività femminili e maschili,
intercambiandole a piacere. Un altro esempio, anche in società “sex/gender binary”, vede
alcune famiglie del nord dell’Albania, la cui prole non presenta un erede maschio, concedere
ad una figlia femmina di assumere le sembianze di un maschio e comportarsi come tale. In
entrambi questi casi, avviene un cambiamento nell’espressione del sé, della propria corporeità
e dell’habitus (comportamento di un individuo o di una specie, o più genericamente
un’attitudine, una tendenza) .
Altre testimonianze di persone che hanno messo in atto un cambiamento della propria
corporeità, a sostegno che l’esperienza del sé e l’habitus vengono strutturati culturalmente, e
non biologicamente, attraverso cambiamenti immutabili, si trovano (aggiungere nume delle
opere).